Marco Moscheni, 17-12753 - CN7M5
SAE INSTITUTE Milan
CMN 6100: Research, Practice and Society
CMN 6100.1 - Cultural Ideas Essay
Submitted in partial fulfillment of the BA/BSc (Hons.) in Music Business.
Student Details Marco Moscheni 17-12753 CN7M5 09/03/2019 Word Count: 2500
Module Leader: Alessandra Micalizzi  CMN 6100.1 - Cultural Ideas Essay
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Il rapporto tra l’atto artistico e l’opera d’arte tra jazz e popular music.
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Indice Introduzione
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Capitolo 1 - L’opera d’arte riproducibile
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Capitolo 2 - Musica dal vivo e società
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2.1 - Cambiamenti nella produzione e centralità della performance
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2.2 - Fruizione della musica jazz
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2.3 - Fruizione della popular music
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Capitolo 3 - Miles Davis e Kind of Blue: tra cultura alta e bassa
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Conclusioni
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Reference list
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Bibliografia
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Introduzione Il presente saggio tratta il tema del rapporto tra opera d’arte e sua esecuzione, e deriva dal mio personale interesse a comprendere come si è evoluta la fruizione dei due generi di musica portanti nella cultura mondiale del Novecento: il jazz e la popular music. È proprio il live che contraddistingue da sempre la musica per il suo carattere di opera d’arte immateriale e fortemente legata al momento. Ho quindi tentato di studiare l’evoluzione della composizione e dell’esecuzione della musica, analizzando i principali sviluppi dei due filoni musicali che considero i più rappresentativi di due modi opposti di concepire la musica, soprattutto dal punto di vista della sua esecuzione dal vivo. La visione generale fa riferimento al quadro estetico proposto da Walter Benjamin, e al disegno che dà Ted Gioia su come la musica jazz si inserisce nella cultura contemporanea rapportandosi con la popular music e distaccandosene, a periodi alterni. In coda ho collocato un caso studio riguardante i cambiamenti rilevanti nel rapporto del jazz con la cultura, in riferimento alla influente figura di Miles Davis e del suo “Kind of Blue”.
Capitolo 1 - L’opera d’arte riproducibile La possibilità di riprodurre il suono su supporto fisico ha rivoluzionato la musica nel corso del XX secolo. Walter Benjamin nel 1935, a 46 anni dall’invenzione del disco fonografico a 78 giri da parte di Emile Berliner, spiega nel suo saggio “L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica” come questa sia cambiata da quel momento. Benjamin afferma che l’opera d’arte è soggetta a nuove condizioni di produzione. Introducendo la possibilità di “riprodurre l’originale in situazioni che all’originale stesso non sono accessibili […] gli permette di andare incontro al fruitore, nella forma della fotografia oppure del disco.” (Benjamin, 1936, p.9). La riproducibilità quindi conferisce all’arte un nuovo carattere: l’ubiquità. Il fattore che viene messo in discussione è l’autenticità dell’opera d’arte, che si attribuisce all’elemento del qui ed ora. Infatti Benjamin sottolinea come “Anche nel caso di una riproduzione altamente perfezionata, manca un elemento: l’hic et nunc dell’opera d’arte la sua esistenza unica e irripetibile nel luogo in cui si trova” (Benjamin, 1936, p.8) Questo concetto costituisce la quintessenza di tutto ciò che può essere tramandato. “Le circostanze in mezzo alle quali il prodotto della riproduzione tecnica può venirsi a trovare possono lasciare intatta la consistenza intrinseca dell’opera d’arte - ma in ogni modo determinano la svalutazione del suo hic et nunc.” (Benjamin, 1936, p.9) quindi la svalutazione dell’opera stessa, che perde autenticità. Il principale cambiamento è dato dal medium su cui si diffonde, che permette alla musica di avere luogo ovunque.
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I rivolgimenti sociali che hanno trovato espressione a causa del cambiamento di modalità con cui si percepisce la musica sono molteplici. Così viene superato il concetto di unicità dell’opera mediante la ricezione della sua riproduzione: “Ogni giorno si fa valere in modo sempre più incontestabile l’esigenza a impossessarsi dell’oggetto da una distanza il più possibile ravvicinata” (Benjamin, 1936, p.9). Ma l’unicità è un evento irripetibile, a carattere celebrativo, e la musica ha sempre vissuto in contesti magici e religiosi dove il rituale aveva una fondamentale rilevanza a livello sociale. La produzione artistica è sempre cominciata con figurazioni al servizio del culto, e quindi il valore culturale dell’opera finora era primario rispetto al suo valore espositivo. Da questo momento storico si perde la dimensione rituale che tradizionalmente conferiva l’aura all’opera d’arte in quanto “La riproducibilità tecnica dell’opera d’arte emancipa per la prima volta nella storia del mondo quest’ultima dalla sua esistenza parassitaria nell’ambito del rituale. L’opera d’arte riprodotta diventa in misura sempre maggiore la riproduzione di un’opera d’arte predisposta alla riproducibilità.” (Benjamin, 1936, p.14) Ora l’opera d’arte riprodotta può prescindere dal suo autore-esecutore, ossia dalla sua componente interpretativa. Diventa così un oggetto a sé stante, potendo prescindere dall’esecuzione dal vivo. La nuova modalità di ascolto incoraggia il pubblico a trattarla come uno degli elementi della vita quotidiana, che può essere dato per scontato. L’arte, dunque, si svaluta, e cambia il suo rapporto con il pubblico. Il significato sociale diminuisce di conseguenza, e anche l’atteggiamento della critica e quello del pubblico divergono. Il gusto del rivivere l’ascolto di un’opera si connette nel pubblico con l’atteggiamento di un “giudice competente”, quindi il consumo di musica suscitato dai medium come il grammofono e la radio fa si che “Ci troviamo di fronte a una audience che consuma in modo distratto e sproporzionato rispetto all’incremento della popolazione e quindi al naturale aumento di musicisti di talento.” (Benjamin, 1935, p.45). Per questi motivi l’arte cambierà radicalmente ruolo nella società.
Capitolo 2 - Musica dal vivo e società 2.1 - Cambiamenti nella produzione e centralità della performance Alla luce dei fondamentali cambiamenti apportati dalla riproducibilità della musica, si modifica anche la modalità di produzione della stessa. Nel rapporto tra composizione ed esecuzione pubblica dal vivo, l’importanza vira verso quest’ultima, e mette l’accento sull’origine performativa della musica. Il mondo musicale subisce nuove importanti implicazioni per quanto concerne l’atto artistico del fare musica. Questo dibattito ha rilevanza in quanto l’esecuzione della musica ha un significato prevalentemente sociale, costituisce cioè un fattore di socializzazione, perché l’atto musicale è un evento unico, limitato nello spazio e nel tempo, e come tale fa sentire CMN 6100.1 - Cultural Ideas Essay
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l’individuo integrato in un gruppo sociale, in una comunità. Di conseguenza la condizione affinché una canzone viva è il fatto che venga suonata dal vivo. Non a caso da questo momento la musica inizia a relazionarsi con la nascente industria musicale, il cui modello commerciale di sfruttamento della musica comprende la gestione delle entrate derivanti dal diritto d’autore per la vendita di dischi, e dai diritti connessi al diritto d’autore per l’esecuzione dell’opera in pubblico. Questo modello di business delle opere musicali si sviluppa e ramifica a partire da New York, dove dalla fine del XIX secolo Tin Pan Alley getta le basi per la nascita della moderna industria discografica, che dagli anni ’30 interessa il jazz nella sua forma più ballabile, rappresentata dallo swing delle big band. Originario di New Orleans come fusione di musica africana ed europea, il jazz ha avuto un ruolo significativo in più ampi cambiamenti culturali del Novecento, e la sua influenza sulla popular culture è proseguita molto tempo dopo. Le figure del compositore e del performer subiscono un forte influsso tecnologico. In questo contesto si profila anche una nuova figura, quella del produttore, strettamente legata alla nascita della popular music. Il dibattito sul confine tra la musica che è composta tramite un processo progettuale, come nel caso della popular music, e quella creata con spontaneità sul momento, come nel caso del jazz, è il frutto di nuovi diversi modi di concepire la musica.
2.2 - Fruizione della musica jazz Nei vari momenti della storia del jazz diversi media hanno dominato, rendendo questa musica ascoltabile al grande pubblico, e ne hanno modellato la ricezione e la comprensione. Perciò questo genere ha subìto, seppure con modalità diverse dalla popular music, la svalutazione che descrive Walter Benjamin come conseguenza del suo carattere ubiquo, ma ha anche potuto giovare negli anni ’20 delle nuove possibilità tecnologiche messe a disposizione dall’industria. Infatti ciò ha permesso alla musica improvvisata di mettere radici e crescere con i musicisti che “poterono seguire i reciproci sviluppi e addirittura influenzarsi senza essersi mai incontrati.” (Gioia, 1988, p.86) grazie ai dischi, i quali “furono spesso i sostituti del conservatorio. Il più delle volte erano l’unico modo per assimilare la tradizione.” (Gioia, 1988, p.87) Il jazz è il primo genere promosso e sfruttato dall’industria per la sua forza ritmica che costituiva un elemento inedito nella popular music. L’esistenza dell’industria discografica era necessaria affinché il jazz si sviluppasse, ma questa era progettata verso un mercato fatto di grandi numeri. Ne è conseguito, perciò, che per i primi quarant’anni di diffusione della tecnologia del disco, essendo la durata totale prevista per facciata limitata a circa tre minuti, solo certi tipi di brani potevano essere incisi per intero: si poteva cantare una canzone, o limitarsi a due dischi singoli con un brano per facciata, ma non era pensabile riflettere, ad esempio, l’eccitazione generata sul palco da una jam session, che poteva durare mezz’ora e anche più. Infatti negli anni ’20 e ’30, che costituiscono la cosiddetta “età del jazz”, e coincidono con il primo momento di grande espansione e popolarità di CMN 6100.1 - Cultural Ideas Essay
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questa musica, la stessa diventa swing, ovvero una forma ballabile che si diffonde in molti strati della società, eseguito dalle big band. Fino agli anni ‘40 anni le fonti primarie erano la radio, i dischi, e le orchestre da ballo. La continua evoluzione di questo genere, in parallelo con l’intervento di varie invenzioni tecnologiche, come l’invenzione del formato del Long Playing, ha portato le registrazioni ad essere le principali fonti d’informazione all’inizio del XXI secolo. Queste costituiscono effettivamente la documentazione storica che forma la letteratura del genere perché, al contrario di quanto accade per la musica classica, per buona parte del jazz non ci sono partiture da poter esaminare. Nonostante ciò i dischi non arrivano ad avvicinarsi all’esperienza dell’ascolto dal vivo. Sta di fatto che il jazz è particolarmente affetto dall’essere limitato al puro ascolto, in quanto l’approccio viscerale, corporeo dipende interamente dall’interazione dei musicisti tra di loro e con il pubblico. Infatti, la musica jazz, le cui origini sono databili attorno ai primi anni del Novecento, è per sua intrinseca natura ed origine un genere sbilanciato verso l’essere una performing art. Le jam session, che nel gergo del jazz sono riunioni (in forma di evento informale, pubblico o privato) di musicisti che, senza arrangiamenti o orchestrazioni preventive, si avvicendano in improvvisazioni sulle armonie di un tema prestabilito, non seguivano un metodo progettuale nella creazione della musica, bensì questa era il frutto, appunto, dell’improvvisazione dei musicisti. “L’idea che la cerebralità interferisca con il processo artistico si adatta perfettamente alle esigenze spontanee dell’improvvisazione.” (Gioia, 1988, p.84) Questo fa capire come, fin dalle origini, composizione e esecuzione non sono distinte, ma sono forme che convivono nell’esecuzione dal vivo, e nelle necessità espressive dei musicisti jazz. “In nessuna altra area creativa vi è così poca distanza tra l’artista e la sua opera.” (Gioia, 1988, p.110) Si può definire l’improvvisazione come parte del processo compositivo alla base dell’atteggiamento dei musicisti jazz nei confronti della musica. La performance improvvisata è altresì un atto collettivo legato al momento in cui si suona insieme, interagendo con gli altri musicisti nel cosiddetto interplay, ed in cui l’errore e l’imperfezione sono parte integrante dell’estetica musicale stessa. Da quando il grande Louis Armstrong negli anni ’20 porta l'assolo improvvisato ad assurgere a opera d’arte, l’enfasi di questa musica è attribuita proprio alle parti solistiche. L’elemento umano è posto in prima linea. A seguire si consolida la visione per cui “Il musicista jazz era creatore e interprete, solista e accompagnatore, artista e intrattenitore.” (Gioia, 1988, p.23) In questo senso il contributo di Armstrong è lampante, in quanto con le sue doti di cantante e intrattenitore, e grazie alla sua versatilità ha contribuito anche a rendere popolare il jazz tramite il “culto della personalità”. L’improvvisazione non è solamente un requisito musicale, ma uno stato dell'essere, una condizione spirituale che ha il significato della libertà per i musicisti jazz. È evidente che questa garantisce una sorpresa per l’ascoltatore, che non sente due volte la stessa CMN 6100.1 - Cultural Ideas Essay
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musica. L’ascolto dal vivo di musica jazz è un’esperienza completamente diversa dall’ascolto di una registrazione che nel tempo è sempre uguale. Per questo “Il jazz resta ‘fuori luogo’ all’interno di una cultura che pone un’enfasi tanto spropositata sull’oggetto fisico dell’arte” (Gioia, 1988, p. 136) Si deduce che è l’ascoltatore di jazz a doversi adattare all’artista che ha di fronte al momento della performance. L’affermazione “Uno strumentista viene valutato quasi esclusivamente in base alla sua abilità di solista.” (Gioia, 1988, p.70) fa capire come approcciarsi al jazz: ogni volta che la musica viene suonata si sta assistendo alla creazione di un’opera d’arte unica, non esistono due brani jazz suonati identicamente e la “forza artistica libera dalle restrizioni del richiamo di massa.” (Gioia, 1988, p. 13) che il jazz costituisce nelle sue molteplici trasformazioni durante il Novecento sta proprio nella modalità di creazione (e quindi di fruizione) strettamente legata al momento in cui viene creata.
2.3 - Fruizione della popular music La popular music nasce come “opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica”. È dunque concepita per essere incisa e riprodotta, ma anche eseguita per un pubblico vasto, individuato a priori. Questa è infatti più sbilanciata verso l’essere prima di tutto una recording art: i primi tecnici di studio registravano in maniera asettica, cioè riproducendo quanto più possibile la realtà dello studio di registrazione, quindi del luogo in cui effettivamente si suonava. Un esempio è il caso di Frank Sinatra, il quale nonostante sia considerato un cantante popolare fa innegabilmente parte della tradizione jazzistica. È stato infatti messo in luce come anche il jazz abbia un rapporto simbiotico con la popular music, ma l’elemento di imprevedibilità che lo caratterizza è anche il principale elemento che lo distingue dalla forma canzone, predominante nella popular music. Le case discografiche, responsabili della volontà di rendere le canzoni fruibili dalle masse, hanno contribuito fortemente al cambiamento di ruolo dell’arte, cui fa riferimento Benjamin, perché quest’ultima dev’essere presente in varie forme e luoghi contemporaneamente per raggiungere il pubblico cui è destinata. Si pensa cioè primariamente a dare peso al fruitore finale. L’origine della popular music, secondo la definizione sociologica, è attribuita alla nascita dell’industria dell’intrattenimento che ha il sopravvento in contemporanea all’introduzione del mezzo televisivo. Questo assunto sposa una visione per la quale la popular music vede il suo carattere consumistico esprimersi appieno a partire dagli anni ’50, quando Elvis Presley e i pionieri del rock’n’roll gettano le fondamenta della performance pop come la intendiamo oggi: un rito in cui non la musica, non la canzone, ma il performer è al centro dell’attenzione, con la sua presenza scenica e la sua personalità. Contemporaneamente smette di essere un’intenzione della popular music il risultare realistica a livello sonoro nel momento della riproduzione elettroacustica mediata. Questo cambiamento deriva anche dall'introduzione della tecnica della sovraincisione e dall’incremento dell’importanza del ruolo del compositore-produttore, che è ben preciso, e non meno importante di quello del CMN 6100.1 - Cultural Ideas Essay
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performer. Questo percorso di compartecipazione di più figure nella progettazione di un output comune con scopi ben precisi (come ad esempio il pubblico dei giovani, da quel momento definiti teenager) ci accompagna fino alla situazione odierna nella quale la produzione è parte integrante della scrittura e vicecersa, in via definitiva. Ne consegue che l’opera d’arte prodotta quando assistiamo ad un’esecuzione dal vivo è ben separata dall’artista. La popular music utilizza le canzoni, e la loro forma, caratterizzata da ripetizione, per creare delle aspettative nell’ascoltatore. D’altra parte questo è evidente nel fatto che gli spettatori di un concerto pop al momento del concerto hanno già maturato delle aspettative nei confronti della performance. Mediamente l’ascolto del brano riprodotto su supporto è il primo modo con cui si conosce una nuova canzone popolare, ed infatti ci si aspetta che ci sia aderenza tra quanto è stato inciso su supporto e quanto accade sul palco. Esistono convenzioni retoriche attraverso le quali una performance pop risulta credibile agli occhi del pubblico. Queste si basano sul fatto che l’evento accada in diretta e possa quindi recare delle sbavature, e sull’interazione “obbligatoria” con il pubblico, utile al performer per verificare e mantenere il contatto. “Nella performance pop il performer è conscio del proprio ruolo e della distanza che lo separa dal pubblico.” (Sibilla, 2003, p.184) Anche il pubblico stesso è consapevole di star assistendo ad una messa in scena drammatica, di una recita tout court, dove le canzoni si coordinano con la corporeità dell’interprete e della scena. Non a caso il verbo inglese “to play” si traduce sia come “suonare”, sia con il significato di “riprodurre”, “recitare” e “interpretare”. Il concerto pop è quindi un evento narrativo: è costruito per permettere allo spettatore di “leggere” in modo appropriato la performance in quanto rappresentazione drammatica. Questo è il principale elemento di distinzione dalla performance jazz. La creazione di una scena, ovvero la scenografia in cui avviene la drammatizzazione della musica, diviene un elemento particolarmente importante. I codici spaziali che regolano il luogo di svolgimento del concerto rimandano a un universo simbolico specifico, così come il posizionamento degli attori fa parte di codici in larga parte mutuati da quelli del teatro. Da questo punto di vista la performance pop si avvicina sempre di più al linguaggio visivo. Anche in termini di durata esistono delle convenzioni: un concerto pop ha una durata media che varia dai sessanta ai centoventi minuti a seconda del repertorio che l’artista è in grado di proporre. Questi codici temporali riguardano la messa in sequenza dei vari segmenti della scaletta al fine di rendere l’esperienza complessiva coesa e coerente. Nel caso della popular music, sostanzialmente, anche per quanto riguarda la fruizione dal vivo, si progetta un’esperienza di ascolto ben definita per il pubblico. Ogni esecuzione è fatta per ottenere un effetto comunicativo preciso, e spesso la performance stessa finisce per essere registrata e incisa su supporto per essere distribuita e venduta, specialmente nel caso delle performance mediali. CMN 6100.1 - Cultural Ideas Essay
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Capitolo 3 - Miles Davis e Kind of Blue: tra cultura alta e bassa Negli anni ’50, in seguito al dramma della Seconda Guerra Mondiale, la cultura affrontava una crisi di status della conoscenza in tutta la società occidentale. La rivoluzione nel jazz porta il nome del bebop, definito anche come “jazz moderno”, che segna la frattura definitiva con la popular music. Quest’ultima negli anni ’50 e ’60 raggiunge un rango estetico tale per cui riesce ad inglobare alta e bassa cultura, che per la prima volta si mescolano nello scenario del postmodernismo: i giovani dei ceti bassi si interessano alle avanguardie artistiche. Ecco che il bebop si stacca dal jazz precedente: questo tipo di jazz vuole essere arte colta, e alla base sta un’idea di progresso continuo nella musica. Miles Davis, trombettista che adottò un’ampia varietà di direzioni musicali in una carriera di cinque decenni che lo tenne in prima linea in molti importanti sviluppi stilistici nel jazz, vuole contribuire al risorgimento del jazz come arte colta che sta avvenendo con il bebop. Di fatti questo è il primo movimento jazz cui aderisce nel suo periodo di formazione, incidendo dischi a partire dal 1944. I bebopper come Davis per la prima volta dimostrano che il jazzista ha acquisito consapevolezza del proprio ruolo artistico, e non hanno paura di sperimentare, pur consapevoli che il forte accento posto sull’interplay consentiva di mantenere una libertà espressiva totale, ma significava anche essere imprevedibili al massimo, e quindi necessariamente più difficili da comprendere dal grande pubblico. Il rifiuto dei quattro quarti e quindi della ballabilità e spettacolarità sono la dimostrazione della volontà di costituire una élite, e distaccarsi definitivamente dalla volgarizzazione derivante dalle forme che stava assumendo la popular music, avvicinandosi alla cultura alta. Si evidenzia il rifiuto della disumanizzazione data dalla musica di sottofondo, già diffusa negli uffici e nei supermercati, come modalità di fruizione distratta che si è radicata già dalla fine degli anni ’30, e che costituisce anche per Davis un segno di cambiamento in negativo della sensibilità estetica. La mancanza di comprensione del contenuto musicale del bebop è radicata nell’assenza di “senso architettonico di ordine ed equilibrio che distingue le arti costruite con più calma.” (Gioia, 1988, p.123) Così facendo, il bebop lascia effettivamente il grande pubblico che ascolta nella distrazione, ma sembra non riuscire a conquistare la cultura alta. In compenso riesce comunque ad attrarre un pubblico colto grazie alla complessità ed espressività: “La performance jazz, forse più di ogni altro tipo di evento musicale, consente al pubblico di confrontarsi con l’atto creativo.” (Gioia, 1988, p.136) In questo contesto l’album “Kind of Blue” (Davis, 1959) viene pubblicato il 17 agosto 1959, ed è prodotto da Teo Macero e Irving Townsend per la label Columbia Records di New York. Ad oggi è considerato all’unanimità una pietra miliare. Questo disco è composto da improvvisazioni, con tutti i musicisti a performare insieme nello studio di registrazione, e prodotto con la 11 CMN 6100.1 - Cultural Ideas Essay
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volontà di limitare l’intervento umano nella registrazione. Nonostante i bebopper tendessero all’eccesso di varietà, sfavorendo la decodificazione di questa complessità da parte dell’ascoltatore (da qui il termine “hard bop”), con Kind of Blue l’approccio di Davis, che dall’utilizzo di scale tonali passa a quelle modali, consente l’affidamento all’improvvisazione in maniera praticamente totale. I musicisti di altissimo livello che compartecipano (tra cui John Coltrane e Bill Evans) formano un sestetto, e i cinque brani in cui si divide l’album sono differenti parti di improvvisazioni dove ognuno di questi si basa solamente su un canovaccio basato su un set di scale musicali. L’influenza di questo lavoro, che riesce ad esser perfettamente equilibrato nonostante non sia basato su una composizione premeditata, ha influenzato indiscutibilmente la popular music ad ogni livello fino ai giorni nostri. In seguito alla frattura che lo stesso bebop provoca nell’ambiente del jazz, la scomparsa di un linguaggio comune porta ad un’enorme diversificazione: “L’era postmoderna nel jazz ha visto così una proliferazione di scuole e stili che non ha precedenti nella storia della musica.” (Gioia, 1988, p.100) Per contro verranno a mancare modelli condivisi per definire con certezza la “buona salute” del jazz. Dagli anni ’60 e ’70, fino al jazz contemporaneo, non si ritroverà più la stessa volontà di perseguire ideali di perfezione, ma una continuità nella volontà di catturare l’energia e la vitalità del momento della creazione dell’opera d’arte.
Conclusioni Benjamin crede che l’arte nelle sue forme nuove di intrattenimento di massa possa creare un nuovo tipo di spettatore critico in grado di interpretare e giudicare. Questo atteggiamento, però, non sembra si sia radicato in termini ampi. La ragione è da ritrovarsi nel fatto che la “catena di montaggio” delle opere culturali come la musica ha abbassato il valore del prodotto finito distruggendone l’unicità. La società, soprattutto nella fascia giovanile, ammira le celebrità onnipresenti sui media, la cui visibilità frequente fa si che si generino dei seguaci i quali, però, senza alcun impegno migrano da un modello ad un altro, senza affezionarsene. Ne consegue che le performance che mettono l’accento sul valore culturale dell’arte sono rare, a favore del valore estetico, al punto che talvolta alcune forme odierne sono purgate dell’elemento umano quando sul palco vengono solamente riprodotte delle registrazioni. Anche il jazz ha subìto le svalutazioni derivanti dalla prosperità dell’ascolto diffuso alle masse, ma in maniera anomala. Rappresenta, all’interno della sfera dell’arte colta e di quella popolare, l’unica musica che ha saputo sfidare gli elementi della cultura mainstream imposta dall’industria musicale. Ma mentre si assiste alla riduzione della musica a luogo comune, il jazz continua a privilegiare la performance a discapito della creazione di un’opera d’arte che funzioni in autonomia, nel tentativo di progredire verso una connessione immediata tra concepimento e espressione musicale. Ad oggi il jazz rischia di CMN 6100.1 - Cultural Ideas Essay
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cadere preda dell’offuscamento del rapporto essenziale fra artista e pubblico, ma gli elementi fondativi di quest’arte emotiva e intellettuale continuano ad essere in grado di instillare i germi in grado di aprire nuove strade alla musica.
Reference List
- Benjamin, W. (1966) L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica. Arte e -
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Bibliografia
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società di massa. trad. it. di Enrico Filippini. Torino: Einaudi Davis, M. (1990) Miles. L’autobiografia di un mito del jazz. trad. it. di Marco Del Freo. Milano: RCS Rizzoli Libri Davis, M. (1959). Kind of Blue. [LP] New York: Columbia. Disponibile al link: https:// spoti.fi/2CdzYmO [Visitato il 10 Marzo 2019]. Fayenz, F. (1996) - La musica jazz. Milano: Il saggiatore Gioia, T. (2007) - L’arte imperfetta. Il jazz e la cultura contemporanea. trad. it. di Fabio Paracchini. Milano: excelsior 1881 Harwell Celenza, A. (2018) - Jazz all’italiana. Da New Orleans all’Italia fascista e a Sinatra. trad. it. di Anna Maria Paci. Roma: Carocci Polillo, A. (1975) - Jazz. La vicenda e i protagonisti della musica afro-americana. Milano: Arnoldo Mondadori Editore
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