MANIFESTI E SCRITTE MURALI NELLE CONTESTAZIONI DI FINE ANNI ‘60
Questo percorso sul mutamento della grafica nei manifesti e nelle scritte sui muri in ambito politico alla fine degli anni ’60 tenta di essere il più possibile oggettiva, e prende in considerazione le condizioni dinamiche di inserimento in un contesto urbanistico-fisico e sociale in cui ha atto il fenomeno.
La tesi che sostengo è che, nonostante la sua secolarità, questo linguaggio continua ad avere, anche se i termini e i rapporti sono notevolmente mutati, una funzione primaria nella comunicazione visiva urbana, resistendo alle nuove forme di comunicazione.
Struttura muraria verticale, con funzione portante o divisoria.
Il massiccio uso che i giovani del ’68 fecero del manifesto come strumento di comunicazione di massa ne determinò la rinascita. Le evoluzioni nel linguaggio grafico partite dall’attitudine spontanea dei movimenti giovanili nella comunicazione in campo politico avvennero anche nel mondo più mainstream della pubblicità commerciale. Nell’attivismo politico fu soprattutto la stampa serigrafica a trovare una particolare diffusione:
i suoi limitati costi e la semplicità dei materiali e procedimenti ne incoraggiarono in fretta l’impiego tra collettivi e organismi politici. Gli strumenti utilizzati si ritrovano quindi nella propaganda tradizionale, con mezzi come volantini, manifesti, riviste e quotidiani, ma anche nello sfruttamento di nuovi mezzi originali e innovativi come dazibao, murales, graffiti, audiovisivi e poco dopo anche la radio.
Corteo di manifestanti nel Maggio parigino del 1968 che mostra manifesti, striscionie bandiere.
Che manca di rispetto nei confronti di chi o di quanto è ritenuto degno di ossequio o di venerazione; insolente, irriguardoso.
Di atteggiamento o comportamento che, ritenendo in crisi i fondamentali principi dell’età moderna, tende al superamento di questi modelli formali moderni, pure essendo incline al recupero dei valori del passato.
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Nelle foto a fianco le frasi sopracitate in sui muri di Parigi, e alcuni stralci dal panorama globale: dazibao in cina, e manifesti da Cuba.
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Studenti e giovani operai si guardarono spesso reciprocamente oltre frontiera, specialmente in quei Paesi che sembravano vivere un grande fermento sociale e politico come USA, Francia, Germania, Gran Bretagna, dove la protesta giovanile stava elaborando originali forme di comunicazione e di controinformazione. Una forma di protesta che emerge in questo periodo sono le scritte murali po-
litiche. Durante le rivolte studentesche, slogan dirompenti erano scritti in tutta la città sui muri, così come su scale, automobili, ringhiere, transenne, palizzate. “Proibito proibire” e “Siate realisti: chiedete l’impossibile” erano alcune tra le espressioni più diffuse e poetiche in Francia. Era difficile ignorarle in quanto s’imponevano alla vista nei posti più bizzarri. Scritti a mano, dipinti con lo spray, gli slogan era-
no disordinati, e la qualità approssimativa dei loro caratteri evocava fretta, impeto, velocità: caratteristiche che in genere fanno risuonare un campanello di allarme nel nostro cervello e ci rendono più vigili. La scritta murale si costituisva così a medium comunicativo immediato, innovativo, come intuizione e scoperta di una possibile alternativa aformale della comunicazione, utilizzabile sia in pro-
spettiva individualistica e solitaria, sia in senso affermativo collettivo, molto sfruttato in questi anni per comunicare in maniera alternativa ai codici istituzionalizzati, mettendo le radici di quello che sarà qualche anno più tardi, inizialmente negli Stati Uniti, il movimento del graffiti writing, che avrà però caratteristiche e motivazioni differenti. In alcuni casi, movimenti e partiti riprodussero direttamente illustrazioni di autori americani, altro punto di riferimento, in quanto luogo dove già c’era del fermento giovanile in termini di culture alternative. Anche nella Cuba rivoluzionaria, una delle culture fonte di suggestioni per la grafica italiana, la comunicazione americana fu ispiratrice di elaborazioni originali molto lontane dal linguaggio commerciale e consumistico dalle quali muovevano. Lo stesso si può dire per le influenze provenienti da altri Paesi dell’America Latina e dell’Asia come il Chile di Salvador Allende o la repubblica popolare cinese. In questa sperimentazione vennero spesso recuperate anche le avanguardie artistiche d’inizio secolo e particolarmente alcuni autori come J. Heartfield o G. Grosz, cari per la loro espressività sovversiva e anticonformista. 5
Per quanto riguarda la produzione di manifesti, i collettivi studenteschi di facoltà e scuole occupate e giovani operai che stavano animando i conflitti di fabbrica, furono spinti istintivamente a rivoluzionare convenzioni e strutture grafiche in risposta alla necessità di marcare il distacco dal lessico e dall’iconografica della generazione precedente, sentiti lontani e inadeguati, appartenenti a un tempo vecchio e fallimentare, quello della Guerra Fredda e della paura del conflitto atomico ma soprattutto del politically correct, del conformismo alle regole dei poteri esistenti. I manifesti rivoluzionari hanno un compito di propaganda più diffici-
le dei classici manifesti elettorali, perché devono rompere l’influenza dei simboli dominanti. Alla fine degli anni ’60, quindi, anche in Italia si infransero convenzioni e usanze e germogliarono le prime sperimentazioni. Durante la settimana del Maggio parigino, con il Paese fermo per lo sciopero generale e le strade della capitale segnate dagli immensi cortei operai e dagli scontri tra i giovani manifestanti del Quartiere Latino e le Compagnie repubblicane di sicurezza, furono gli allievi delle scuole di belle arti a progettare, discutere e stampare migliaia di manifesti ogni giorno, attachinati poi sui muri della metropoli. L’attività dei giovani artisti
Esempi di manifesti emblematici francesi. A fianco alcune delle situazioni di ripresa del repertorio immaginifico diffuso in diversi manifesti provenienti da Italia e Francia.
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dell’Atelier Populair, un luogo d’incontro occupato, prendeva forma nelle fumose assemblee studentesche, durante le quali si decideva a quali notizie o dichiarazioni rispondere, con quali parole d’ordine e disegni: venivano provati manifesti ritenuti più incisivi e se ne avviava la stampa nella serigrafia allestita all’interno della scuola. Comunque l’impatto che potevano avere i manifesti, non era in grado di competere con la pervasività e la potenza di stampa, radio e televisione. Proprio la consapevolezza di questo limite spinse gli attivisti alla ricerca di un linguaggio differente, fondato su registri alternativi e distanti rispetto a quelli dell’argomentazione ragionevole, moderata e rispettosa dello status quo. La modalità comunicativa usata si basava sulla combinazione essenziale di immagini e parole, privilegiando messaggi di rottura che, attraverso
stili e segni popolari, sconfinavano spesso nella provocazione verbale e visiva. Era utilizzato, per esempio, il ribaltamento di senso di termini, simboli e modi di dire del linguaggio dominante per mostrarne incoerenze e contraddizioni, per provocare cortocircuiti logici, per far emergere concetti e significati alternativi. Questo linguaggio era caratterizzato dall’aggressività perché fatto di espressioni violente, ironiche o surreali. Il carattere spontaneo, rivoluzionario, di rottura con i sistemi anche grafici esistenti, degli artefatti si ritrova nell’uso della tipografia a mano, l’impaginazione che non segue un layout rigoroso bensì dispone spesso gli elementi in maniera dinamica e non meticolosamente organizzata, elementi dati dall’attitudine doit-yourself e dell’autoproduzione voluta dai protagonisti di questo cambiamento.
Nella pagina a fianco un’altra sitazione di ripresa del repertorio immaginifico diffuso in diversi manifesti provenienti da Italia e Francia. Al centro e a sinistra alcune delle scritte e manifesti strappati o coperti rappresentano il clima di lotta politica di quegli anni in Italia.
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In Italia nelle università occupate e nelle fabbriche in lotta, copie di quelle affiches cominciarono ad arrivare fin da subito, tramite i viaggi che alcuni studenti facevano Oltralpe per vedere coi loro occhi la rivoluzione in corso. Ben presto, dunque, diverse riviste e volumi italiani riportarono questo materiale, insieme alle fotografie, agli slogan e ai graffiti del Maggio parigino, cosicché divenne un modello concreto da imitare nelle immagini e in particolare nelle parole d’ordine. La grafica era depotenziata rispetto all’originale, ma nonostante l’alterazione, diversi manifesti prodotti in Italia diedero il segno di quanto la rivoluzione grafica dell’Atelier Populaire riuscì a condizionare l’immaginario degli attivisti di partito. Il compito di tradurre la linea politica del partito in campagne di comunicazione era affidato alle sezioni “stampa e propaganda”. Questi uffici dovevano lavorare a un doppio livello: produrre e distribuire materiale per tutto il territorio nazionale e dare indicazioni di massima agli organismi periferici per una produzione autonoma. In diverse città lo stesso messaggio veniva riprodotto simultaneamente, ma siccome ogni federazione impaginava autonomamente il manifesto, nella gran parte dei 10
casi veniva completamente meno l’idea di uniformità grafica. In questa attività i responsabili di partito incontrarono talvolta il lavoro dei professionisti della pubblicità e delle arti visive. L’intera sinistra italiana, in particolare la sinistra rivoluzionaria assunse il modello francese a riferimento identitario. In Italia i manifesti acquisiscono alcuni connotati diffusi anche all’estero tra cui l’uso di illustrazioni naïf, simboli, il colore rosso dell’estrema sinistra contrapposto al nero dell’estrema destra, la velata ingannevolezza dei messaggi politici comunicati, in un clima per certi versi contraddittorio, in cui alcune immagini ricorrenti erano sfruttate da fazioni diverse per veicolare un messaggio opposto. Così, la produzione di manifesti segnava uno strappo rispetto alla comunicazione tradizionale, prendendo spunto dalla città e dai giovani, ma, contemporaneamente, tendeva ad adagiarsi su linguaggi e immagini ereditati dal passato. L’operaio, da figura caratterizzata da compostezza e forza, diviene “operaio-massa”, cioè figura che lotta scendendo in piazza. Ciò dà vita a nuove simbologie quali il megafono: si assiste ad un rinnovamento dell’iconografia. Questo meccanismo coinvolse quasi tut-
ti i partiti, fatta eccezione per il Pri, che nel 1962 aveva affidato la propria comunicazione alla grafica razionalistica di Michele Spera, che prediligeva forme realistiche e non astratte, equilibrate e non eccessive. Lavorando alla nuova immagine del Pri, vi aveva introdotto elementi grafici innovativi rispetto al panorama italiano. Le forme razionaliste, i contrasti cromatici, le texture realizzate con lettere e disegni e le costruzioni geometriche riprese dall’optical art, avevano dato vita a una propaganda ricercata e colta, ispirata ai movimenti artistici contemporanei. L’esperienza del Partito Repubblicano fu presa a modello da quello socialista
che, dopo alcuni tentativi di rinnovamento, tra il 1970 e il 1972, nella primavera del ’73, decise di affidare un paio di manifesti a un giovane designer, Ettore Vitale, allora politicamente vicino alla nuova sinistra. Come Spera, anche Vitale si basò sui principi della comunicazione commerciale, abbandonò i canoni realisti e applicò la strategia dell’immagine coordinata. Altro esempio sono alcune grafiche di Jacovitti per la Dc, o di Albe Steiner per il Pci. In tutti questi casi, l’illustratore, il fumettista, il pittore o il grafico che pensava un manifesto era anche un militante, che di quel partito o movimento condivideva idealità e battaglie, ma questi
Sopra a sinistra: “Lotta continua / Quotidiano nazionale è in edicola”, Lc, disegno di Roberto Zamarin, 1973, litografia offset, 100x70cm. A destra “Con i comunisti / Libertà, Pci, grafica di Albe Steiner, s.d. 1966, litografia offset, 100x70cm.
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Sotto “Un fumetto di Democrazia proletaria..., Circoli la Comune, Grafica Effetti, Milano, 1975, litografia offset, 100x70cm. Al centro: Jacovitti per la Dc, sotto Michele Spera per il Pri e Ettore Vitale per il Partito Socialista Italiano.
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interventi occasionali, mai si spinsero sul territorio di una generale ridefinizione dell’immagine e della comunicazione del partito. Un diverso caso fu la Comune di Milano, che promosse l’occupazione delle case sfitte e il voto a democrazia proletaria con un collage di differenti fumetti, tra cui Corto Maltese di Hugo Pratt. Questo diffuso impiego di nuove tecniche grafiche, come il fotomontaggio, il disegno satirico, e l’assemblaggio di immagini e scritte irregolari, investì in parte anche il Pci, nonostante il suo attaccamento alla propaganda realista. Nel circolo parallelo dell’arte, area affine a quella del design, si muovevano in questi anni
degli artisti sperimentatori: gli appartenenti al tardo astrattismo e al Nouveau Realisme, che sperimentarono con strumenti altresì semplici, immediati, poveri, un nuovo linguaggio che recupera la realtà nella più ampia autonomia espressiva di immagine oggettuale. Attraverso l’utilizzazione di materiali caratteristici della tecnologia moderna, dall’oggetto di serie, nuovo o usato, ai rottami di ferro, ai tubi compressi, ai manifesti lacerati, ai pigmenti colorati e alle vernici fluorescenti, questi artisti operavano il tentativo di integrare l’opera d’arte nell’universo standardizzato creato dall’era industriale.
Sotto in quest’ordine: dettaglio da un’opera di Jacques Villeglé, dettaglio da un’opera di Mimmo Rotella, rappresentanti del Nouveau Realisme.
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Nel contesto della fine degli anni ’60 emerge come il manifesto, così come le scritte murali, abbiano ritrovato nuova vita. Questo accadde perché il manifesto nello specifico era uno dei più tradizionali mezzi di propaganda della politica, per la sua economicità, facilità di realizzazione e per la sua capacità d’impatto comunicativo, grazie alla preminenza del linguaggio iconico su quello testuale, e alla sua visibilità immediata nei luoghi pubblici. Così, nel dirompente periodo preso in analisi, causa anche l’intreccio con il patrimonio culturale precedente, le nuove soluzioni grafiche proposte innescheranno una evoluzione nella comunicazione politica: in questi anni si ridefiniranno narrazioni ed immaginari, si svecchierà il modo di comunicare la politica. Fin dalla preistoria le prime immagini, intese come segni, simboli e disegni, hanno dato voce ai popoli e, pur essendo ancora gros-
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solane, nel loro disordine e nella loro spontaneità, hanno comunicato un messaggio, richiamando l’attenzione degli altri individui. Oggi i segni e i disegni murali sono parte integrante del tessuto urbano, accompagnano il nostro quotidiano; sono percepite in modo diretto, sono ben identificabili. Questa “grafica” spesso costituisce memoria storica di una cultura, resistente al tempo. Ormai queste manifestazioni sono studiate, collocate storiograficamente e riconosciute come appartenenti a tutti gli effetti al design, che le sfrutta in svariati ambiti e applicazioni. La loro valenza grafica non è cambiata perché ha intrinseca la forza spontanea di denuncia con una radice proveniente dal basso che porta alla luce il pensiero di uno strato fondante della società: i simboli diretti, di facile lettura ancora oggi oltrepassano le barriere sociali perché trasparenti e immediati.
I muri del lungo ‘68. Manifesti e comunicazione politica in Italia W. Gambetta Roma DeriveApprodi 2014 Le scritte murali a Roma G. Cutilli, R. Filippi, R. Petrucci Roma Beniamino Carucci Editore 1974 Le immagini sono attinte dal sopracitato libro di W. Gambetta, da 100 idee che hanno rivoluzionato il graphic design di H. Steven e V. Véronique, 2012, e dal web (wikipedia, sapere.it, ilfattoquotidiano...) Immagine in copertina presa da The Faith of Graffiti, libro di N. Mailer con fotografie di J. Naar, 1974.
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