Gamification. Come il branding può utilizzare il gioco a scopo strategico.

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GAMIFICATION

Come il branding può utilizzare il gioco a scopo strategico.


Tesi di Laurea in Design della comunicazione Anno accademico 2016-2017 Gruppo di progetto De Berardinis Francesca Moscheni Marco Polvara Federica Trinca Tornidor Vanessa Villa Luca Relatore Francesco E. Guida

Stampato nell’agosto 2017.


“Il vero segreto della vita è essere completamente impegnato con quello che si sta facendo qui e ora. E invece di chiamarlo lavoro, rendersi conto che è un gioco.” Alan W. Watt


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INDICE

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Introduzione

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Dal gioco alla gamification

9 11 13 16 17

Origini, contesti, funzioni Gli elementi costitutivi del gioco Il mondo dei videogiochi Chi sono i giocatori

2 Paradigmi della gamification

Processo di stimolo e principi-chiave Le leve che muovono i comportamenti Perché usare la gamification

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Per una strategia di gamification

Come le brand fanno gamification Rischi Meaningful vs Meaningless Customer, customer, customer... Campi d’applicazione Gamification tra presente e futuro

4 Scriball

23 25 27 33 34 37 40 41 43 44 47 51

La penna a sfera Briefing aziendale Artefatti comunicativi Macchina comunicativa

53 57 60 64

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Casi studio

77 79 85 89 93 99

Jay-Z, Decoded, 2010 McDonald’s, Till training, 2014 FourDesire, Plant Nanny, 2013 oPower, 2007 U.S. Navy, project Architethuis, 2015 Bibliografia e sitografia

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INTRODUZIONE L’argomento trattato nel mio approfondimento di tesi è la gamification, o ludicizzazione. Il motivo che ha dettato la scelta di questo tema, a me prcedentemente ignoto, è da ritrovarsi in questa riflessione: alla fine del laboratorio di Sintesi Finale mi sono reso conto che nel progettare la brand Scriball con il mio gruppo, abbiamo adottato alcune logiche assimilabili a quelle alla base della gamification. La mia ricerca, duncque, si è svolta grazie all’aiuto, principalmente, di due testi, e soprattutto della rete. Essndo la gamification molto giovane non vanta, allo stato attuale, di molti testi sull’argomento, specialmente italiani. Il mio interesse è nato una volta che mi sono reso conto delle dimensioni che questo strumento ha assunto in campi quali le app, il branding, piuttosto che l’istruzione e il marketing. Infatti, parallelamente ai Big Data, ambito col quale ha spesso a che fare, questo global trend sta già cambiando il nostro modo di rapportarci con le brand e con i servizi, ad esempio. Mentre il progetto di Scriball si sviluppava abbiamo adottato, quasi senza accorgercene, un approccio che utilizzava la chiave ludica nella comunicazione. Di conseguenza questo lavoro di approfondimento, assieme al laboratorio di Sintesi stesso, è stato un’occasione ulteriore per riflettere e imparare sul progetto della comunicazione visiva, e per apprendere progettando un’ampia comunicazione su più canali di una brand creata ex novo. Inoltre dover partire a creare la brand da un oggetto di design anonimo ci ha consentito e “costretto” a pensare in modo libero e flessibile, per dare forma ad una comunicazione attuale nel tempo e nello spazio.

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Dal gioco alla gamification


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DAL GIOCO ALLA GAMIFICATION Origini, contesti, funzioni La Gamification, o ludicizzazione, è “l’utilizzo di elementi mutuati dai giochi e dalle tecniche di game design in contesti esterni ai giochi.”1 Il dibattito sull’origine del nome è diviso tra chi lo attribuisce a Jesse Schell, che pur non citando mai esplicitamente la parola “Gamification” di fatto teorizza e definisce per la prima volta questo fenomeno, descrivendo come il gaming è destinato sempre più a uscire dai confini tradizionali della console o del PC per entrare in ogni momento della vita umana, e chi attribuisce la genesi del termine a Nick Pelling, un programmatore informatico inglese e sviluppatore di giochi che lo ha coniato nel 2002. Anche se è stata definita e studiata solo negli ultimi anni, molte delle sue meccaniche sono in uso dalla fine del ‘800. Infatti è documentato che già nel 1860 vi fosse l’usanza a Boston di regalare al cliente una unità di merce ogni volta che ne acquistava dieci unità. Nel 1930 con la società S&H viene introdotto il concetto di “raccolta punti” tramite acquisti, allora chiamati “green stamps” che potevano poi essere convertiti in regali da scegliere dal catalogo dell’azienda. In questi primissimi esempi il fattore “gioco” è ancora molto vago ma si possono già intuire alcune meccaniche fondamentali: fidelizzare il cliente ricompensandolo per i compiti che porta a termine. Tra le prime compagnie a sfruttare questo sistema c’è stata la American Airlines che nel 1980, attraverso il programma “Frequent Flyer”, ricompensava i propri clienti a seconda di quante miglia percorrevano ogni anno con una card che non solo permetteva di accedere a più servizi esclusivi, ma veniva sostituita a ogni promozione con una di colore e materiale sempre più pregiato. Ma i campi in cui la gamification è stata applicata sono numerosi e anche molto diversi tra loro. Un esempio

1. Deterding, Sebastian, et al. “From game design elements to gamefulness: defining gamification.” Proceedings of the 15th international academic MindTrek conference: Envisioning future media environments. ACM, 2011.

I green stamps sono la prima raccolta a punti ideata per fidelizzare il cliente ricompensandolo per gli acquisti che ha effettuato. Sopra quelli della Sperry & Hutchinson company. A sinistra è pubblicizzato il libro per collezionare i punti: ne servono 1200 per essere premiati.

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2. Giuliano, Luca. I padroni della menzogna: il gioco delle identità e dei mondi virtuali. Vol. 31. Meltemi Editore srl, 1997.

attuale è il sistema Nike+ che vede la sinergia tra la propria attrezzatura fisica per fare footing e un profilo virtuale su internet che tiene traccia dei propri progressi. L’utente è in grado di porre degli obiettivi personali per migliorare i propri tempi di corsa o la distanza da percorrere. Questo sistema è personalizzabile con un avatar che rispecchierà l’andamento dell’utente. Interessante in questo caso è vedere come l’utente s’immedesimi molto facilmente con il proprio avatar e, insieme con una classifica dei propri contatti e ad un sistema di avanzamento a livelli dei propri progressi, sia sempre

Nike + è un sistema che tiene traccia dei progressi degli utenti permettendo loro di migliorarei propri tempi e distanze di corsa.

più motivato a migliorare i propri tempi di corsa. È quindi chiaro come la finalità principale della Gamification sia ingaggiare e motivare le persone a raggiungere determinati obiettivi. Gamification, insomma, è indirizzare le persone verso un maggior grado di coinvolgimento – e, perché no, di divertimento – nelle attività quotidiane, tramite il codice del gioco. In inglese “to play” significa sia recitare una parte che suonare uno strumento. “Game” è invece gioco organizzato. La differenza tra i due concetti è marcata dalle nozioni di regola, struttura, schema.2 Il potere del gioco e i benefici di questa pratica erano elementi già noti in passato. Il gioco rappresenta, infatti, una sorta di “universale culturale”, diffuso presso tutte le popolazioni sin da tempi antichi; è uno strumento cognitivo prevalentemente autodiretto, in cui il soggetto è protagonista attivo, ed è proprio questo fattore che massimizza l’efficacia dell’apprendimento. Nelle esperienze di gioco, la competizione stimola a vari livelli il rilascio di adrenalina, cioè dell’ormone che da sempre prepara il corpo all’alternativa “fight or flight” rispetto a ogni possibile situazione e avversario.

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Il fascino di punti e classifiche, in altri termini, viene da lontano. Queste osservazioni suggeriscono che, nel progettare un intervento di gamification, il piacere competitivo vada preso in seria considerazione quale fattore motivante primario dell’ingaggio e della partecipazione, ma vada altresì calibrato con grande sensibilità e precisione al fine di coinvolgere nell’iniziativa il massimo numero di partecipanti possibile. Ma della strategia per creare un progetto di gamification parlerò più approfonditamente più avanti nel libro. “Antropologicamente, vittoria e sconfitta si riconducono alle situazioni vitali primarie da cui, per un tempo lunghissimo della storia umana, è dipesa la sopravvivenza.” Alberto Maestri

Gli elementi costitutivi del gioco Jane McGonigal, game designer americana che ha scritto molto sul funzionamento dei giochi dichiara: “quando li si spoglia di tutte le differenze di genere e delle complessità tecnologiche, tutti i giochi hanno in comune quattro tratti definitori: un obiettivo, delle regole, un sistema di feedback e la volontarietà della partecipazione.”3

3. McGonigal, Jane. La realtà in gioco. Apogeo Editore, 2011. 4. Prensky, Marc. “Digital game-based learning.” Computers in Entertainment (CIE) 1.1 (2003): 21-21.

―> dopamina ―> ossitocina ―> serotonina ―> endorfina

L’obiettivo è ciò che dà una direzione al gioco: lo orienta, chiarisce lo scopo, fissa un traguardo, ne costituisce il senso stesso. L’importanza degli obiettivi è essenziale se considerati rispetto alla peculiarità della natura umana: l’uomo è una specie goal-oriented, ossia orientata allo scopo. Siamo capaci di immaginare uno stato futuro ed elaborare strategie per raggiungerlo, e nel fare ciò spesso troviamo interesse e piacere.4 “Un buon gioco, infatti, è un duro lavoro, al contrario di quanto molti (non giocatori) potrebbero pensare. Un buon gioco è come una gara di 100 metri: ti sfianca e ti lascia per terra soddisfatto del traguardo che hai raggiunto ma con in testa già la voglia di pensare a come batterai quel tempo per raggiungere il traguardo successivo.” Vincenzo Petruzzi

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5. Huizinga, Johan. “Homo ludens, trad.” Einaudi, Torino (2002). 6. Lo storico olandese Johan Huizinga nacque nel 1872 a Groninga, dove si laureò in lettere. Si interessò alla filologia comparata e poi alla storia, concentrandosi anche sulle fonti letterarie e artistiche, attento a cogliere soprattutto la condizione umana espressa nella realtà culturale e spirituale di un’epoca. Lavorò come insegnante di storia in una scuola media di Haarlem e poi come libero docente di storia della civiltà e letteratura dell’Indonesia all’università di Amsterdam, professore ordinario di storia a Groninga e a Leida. A causa della sua opposizione al nazismo fu imprigionato nel 1943 e confinato come ostaggio a de Steeg presso Arnhem, dove morí nel febbraio 1945. Tra le sue opere più famose citiamo: La crisi della civiltà; Erasmo; La civiltà olandese del Seicento, Homo ludens; Le immagini della storia; Il problema del Rinascimento; Autunno del Medioevo. 7. In sociologia, di individuo o di gruppo privo di autonoma capacità di elaborazione e le cui scelte comportamentali sono a tutti i livelli influenzate o condizionate dall’esterno, spec. attraverso i mass media.

Prima edizione olandese di “Homo ludens”, 1938. A fianco ritratto di Johan Huizinga, 1872-1945.

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Le regole danno una forma al gioco e chiariscono ai giocatori quali sono i modi “leciti” per raggiungere l’obiettivo. Come afferma Huizinga6, le regole “determinano ciò che varrà dentro quel mondo temporaneo delimitato dal gioco stesso5”, quindi tracciano i confini dell’attività ludica garantendo che tutti i giocatori siano uguali di fronte al gioco. Le regole rappresentano i vincoli in grado di rendere il gioco “sfidante”, ossia avvincente, interessante, stimolante. Ogni giocatore ha inoltre bisogno di sapere quando ha raggiunto il suo obiettivo o quanto è vicino al suo raggiungimento: per questo ogni gioco è dotato di un sistema di feedback che è fondamentale perché fornisce la motivazione per continuare a giocare. Il feedback ci consente di misurare l’impatto diretto del nostro impegno e può presentarsi in varie forme: una classifica, un punteggio, una barra di avanzamento, ecc. Ultimo, sebbene forse il più importante, è l’elemento della volontarietà. Il giocatore “sceglie” di giocare: si tratta di un atto spontaneo che risponde a una logica pull e, proprio perché non è eterodiretto7 è in grado di coinvolgere pienamente e consapevolmente il giocatore. “Ogni gioco è anzitutto e soprattutto un atto libero. Il gioco comandato non è più gioco.” Johan Huizinga


Alcune delle altre leve alla base della pratica ludica sono rappresentate dalla competizione, unita all’autoespressione. Gli strumenti con cui i giochi riescono a soddisfare questi bisogni vanno sotto il nome di game mechanics, o meccaniche di gioco, cioè tecniche trasversali e ricorrenti adoperate nella costruzione di giochi; le più rappresentative sono le seguenti, come evidenziato da Gabe Zichermann8: - Punti/crediti: costituiscono la ricompensa immediata per le azioni del giocatore e, contemporaneamente, ne denotano la bravura e l’esperienza. - Livelli: rappresentano un sistema per introdurre obiettivi progressivi da raggiungere (agendo così sulla motivazione del giocatore) garantendo l’accesso a nuovi contenuti e possibilità inedite.

8. Gabe Zichermann è il più importante esperto e publico speaker del mondo in materia di gamification, user engagement e design comportamentale. Il suo libro, Gamification by Design 2 (2015), aggiorna la guida di riferimento definitiva sull’utilizzo della meccanica di gioco in contesti non di gioco. Zichermann è anche autore di Gamification Revolution (McGraw Hill, 2013), Gamification by Design (2011) e Game-Based Marketing (2010), nonché fondatore e redattore principale della pubblicazione primaria del settore Gamification.co. Inoltre, Gabe ha co-progettato la piattaforma di live-event gamification livecube (livecube. co) e co-fondato l’agenzia di consulenza strategica strategia Dopamine (dopa.mn) dove lavora con marchi leader per guidare l’impegno dei clienti e dei dipendenti.

- Badge/achievement: ovvero “medaglie” o “riconoscimenti”. I badge sanciscono il raggiungimento di un traguardo, incrementano la componente sfidante del gioco e caratterizzano il profilo del giocatore. - Classifiche: sono un metodo per suddividere e ordinare le performance degli utenti e (consentendo di confrontare le proprie capacità con quelle degli altri) sono in grado di accendere lo spirito di competizione di ognuno, favorendo l’interesse e facendo aumentare il tempo trascorso all’interno del gioco. - Sfide/missioni: si tratta di ostacoli che il giocatore deve superare per guadagnare punti, badge e avanzare di livello. - Beni virtuali: rappresentano qualcosa che ha valore per il giocatore all’interno del mondo virtuale del gioco e che è possibile guadagnare giocando e (in determinati casi) acquistare in cambio di denaro reale.

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9. forbes.com, articolo del 2012 di John Gaudiosi dal titolo “New Reports Forecast Global Video Game Industry Will Reach $82 Billion By 2017”.

È importante sottolineare che questi elementi non devono essere necessariamente tutti inclusi affinché una strategia di gamification funzioni. Per creare coinvolgimento, occorre individuare e utilizzare la combinazione di elementi di gioco più adatta per ogni specifico caso. In secondo luogo, le dinamiche sono gli aspetti più astratti del gioco che come tali non entrano direttamente in un sistema gamificato ma servono ad impostarlo. Comprendono: - Vincoli e limitazioni - Emozioni (curiosità, competitività, ecc.) - Sviluppi narrativi (storyline) - Progressione (di chi gioca) - Relazioni (interazioni sociali) In ultimo, le componenti sono le forme più specifiche che possono prendere le dinamiche e le meccaniche di gioco. Comprendono: - Conquiste, risultati - Avatar - Boss Fight (sfide più ardue al culmine di un livello) - Collezioni (di oggetti o badge) - Combattimenti (battaglie specifiche) - Sblocco di contenuti - Doni - Leaderboard (classifiche) - Ricerche (missioni con obiettivi e premi specifici) - Social Graph (social network dei giocatori) - Team

Il mondo dei videogiochi La forma più diffusa del gioco oggi è il videogioco, un nuovo modo di giocare sfruttando le possibilità del digitale. Negli ultimi tre-quattro decenni l’industria dei videogame si è sviluppata fino a diventare gigantesca, superando per dimensioni di fatturato sia il cinema sia la musica. Continua a crescere a ritmo sostenuto. Secondo Forbes le vendite totali di videogame, pari a 67 miliardi di dollari nel 2012, hanno raggiunto 82 miliardi nel 2017.9 “Collettivamente, il pianeta oggi investe più di tre miliardi di ore alla settimana nel gioco.” Jane McGonigal, 2011 Ruzzle: schermate rispettivamente di scelta dello sfidante, di gioco e dei risultati.

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Chi sono i giocatori

“La pratica videoludica è diventata ricorrente e polverizzata ed è

riuscita a inserirsi all’interno

della nostra quotidianità,

anche in una pausa caffè o durante gli spostamenti sui mezzi pubblici. Prova ne è il successo di titoli come Ruzzle, il celebre casual game lanciato dalla Mag Interactive nel marzo 2012 e scaricato da oltre 50

milioni di persone.”

“La pratica videoludica si è diffusa presso tutte le età.” “Il 48% dei gamer è di sesso femminile.” “Internet e il multiplayer hanno consentito a milioni di appassionati di videogiochi di potersi sfidare o di collaborare

sfidarsi a distanza online.”

e

“Oggi il 62% dei gamer giocano con altre persone sia in presenza che a distanza.” “La Wii è una delle più grandi scommesse vinte dalla Nintendo che è riuscita per la prima volta ad allargare il bacino d’utenza dei videogiocatori puntando sulla semplicità

d’uso, spostando questa attività dal buio della cameretta al salotto di casa.”

“Chiunque abbia uno smartphone ed un App store oggi si

trova in mano non più un telefono ma una piattaforma

per il gaming dal semplice utilizzo.”

“Si va sempre più allargando all’interno della società una generazione fatta di digital natives.” 17




10. Zichermann, Gabe, and Christopher Cunningham. Gamification by design: Implementing game mechanics in web and mobile apps, O’Reilly Media, 2011.

Dati recenti ci mostrano come, soprattutto grazie alla diffusione degli smartphone e del mercato delle app, nel mondo del gaming si stanno annullando le differenze di età (i giocatori sono sempre più adulti), e di genere (aumenta sensibilmente la percentuale di donne). La pratica ludica cessa di essere un’esperienza immersiva e solitaria ma diventa ubiqua (si gioca ovunque e in ogni momento) e sociale. Non è più quindi una fuga dalla realtà, ma si interseca con la realtà stessa. Di seguito sono illustrate le caratteristiche dei gamer al giorno d’oggi. I digital natives hanno imparato sin da piccoli a manipolare e sfruttare le tecnologie per soddisfare i propri bisogni, mentre gli altri, su quel terreno, si trovano in una situazione di svantaggio cognitivo, da cui spesso nascono i pregiudizi come quelli che hanno da sempre caratterizzato il rapporto tra adulti e videogiochi. Dal 2015 i nativi digitali rappresentano la maggioranza della popolazione attiva degli Stati Uniti e fra non molto costituiranno la futura classe dirigente del pianeta. Zichermann e Cunningham10 nel 2011 identificano quattro “identikit” di player: - Explorer: ama esplorare il mondo per imparare conoscenze nuove e realtà sconosciute, riportandole successivamente all’interno della propria community di origine. L’obiettivo diventa vivere un viaggio trasformativo, un’esperienza arricchente e di grande valore. - Achiever: vuole raggiungere il risultato finale del gioco (game-related goal), vincere a tutti i costi indipendentemente dal contesto e/o dalle altre persone coinvolte. Progettare sistemi gamificati orientati esclusivamente a questa seconda tipologia di profilo è molto complesso e rischioso, in quanto presuppone la possibilità da parte di tutti i partecipanti di potere risultare vincitori con le stesse probabilità. - Socializer: gioca non tanto per vincere quanto piuttosto per conoscere nuovi individui, beneficiando delle interazioni sociali. A sua volta, il gioco diventa il contesto dove (e il pretesto per) fare incontri. La maggior parte dei giocatori sono caratterizzati da questo profilo.

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- Killer: rappresenta una bassa percentuale rispetto all’intera popolazione dei gamer. Così come l’Achiever, il Killer ama vincere e imporsi; oltre a questo, però, egli punta ad assistere alla sconfitta degli altri player. Oggi la maggior parte degli utenti è già in possesso delle piattaforme (PC e smartphone) ed esiste una gamma vastissima di giochi che (per la versione base) non richiedono alcun investimento. È il modello “free to play” che ha abbassato la barriera all’accesso, anche se la diffusione dei micropagamenti (relativi per esempio alla monetizzazione dei beni virtuali o all’acquisto delle versioni premium) rende spesso “invisibili” i costi di gioco. Non dimentichiamo che la maggior parte dei momenti di gioco nella vita delle persone si sono significativamente evoluti in questi anni, specie per via della diffusione delle console, di internet e del mobile. Da una parte abbiamo aumentato le occasioni di intrattenimento, frazionando di parecchio il tempo dedicato a ciascuna, dall’altra abbiamo aggiunto l’esperienza mobile che moltiplica i momenti di partecipazione a giochi di ogni tipo. Ancora, si è alzato il livello qualitativo necessario per coinvolgere le persone, concetto su cui le aziende oggi devono concentrarsi per avere successo nel mercato.

11. Con la definizione di social game si intendono quei giochi che puntano alla condivisione di dati o di risultati, senza richiedere una vera e propria interconnessione nelle fasi di gioco, stimolando la “competizione” in modo sempre rigorosamente amichevole (esempi sono Candy Crush, Bubble saga, ecc). Le potenzialità di questo fenomeno hanno spinto le società di produzione e gestione dei vari giochi, proposti sempre più massicciamente sui social network, verso la creazione di game caratterizzati da una partecipazione attiva del gioco, con la creazione di gruppi o fazioni.

Un altro fenomeno, quello dei social game11, cioè i giochi che sfruttano i social network, è la prova di come gli utenti, se messi di fronte a una sfida che li vede in competizione con persone che conoscono, possono diventare molto competitivi e modificare le proprie abitudini. Un punto di forza della gamification risiede nella capacità di creare comportamenti competitivi all’interno di comunità virtuali. Infatti Seth Priebatsch, fondatore di SCVNGR25, piattaforma utilizzata come strumento di orientamento per i nuovi studenti nei campus universitari, sostiene che se si vuole costruire quello che lui chiama uno “strato ludico” sul mondo, lo si deve costruire sullo strato sociale ovvero sulle connessioni create dai social network come Facebook.

I cinque videogiochi più venduti di sempre: nell’ordine Tetris (1984), Minecraft (2011), GTA V (2013), Wii sports (2009), Super Mario Bros (1985).

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Paradigmi della gamification


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PARADIGMI DELLA GAMIFICATION Processo di stimolo e principi-chiave La gamification ha delle analogie con la teoria dei nudge (che potremmo tradurre con “pungoli”) ovvero elementi che modificano l’architettura delle scelte contribuendo a orientare i comportamenti individuali. Si definisce quindi nudge “ogni aspetto nell’architettura delle scelte che altera il comportamento delle persone in modo prevedibile, senza proibire la scelta di altre opzioni e senza cambiare in maniera significativa i loro incentivi economici”12. L’obiettivo di questo approccio (diffuso nel campo dell’economia comportamentale e della filosofia politica), definito anche “spinta gentile” da Richard Thaler e Cass Sustein13 (2008), è migliorare il benessere delle persone cercando di orientare le loro decisioni, pur preservando la libertà di scelta. Studiando il processo stimolo-risposta, Skinner14 scoprì il “condizionamento operante” ossia che la frequenza di un comportamento aumenta se ricompensata e diminuisce se punita. Ciò spiega come, attraverso un meccanismo di ricompense e punizioni (chiamate “rinforzi” positivi e negativi), il gioco sia in grado di incidere profondamente sul nostro comportamento. Il condizionamento operante agisce tanto sugli animali quanto sugli umani con una differenza (non trascurabile): negli uomini la frequenza di risposte migliora se viene spiegato il programma di rinforzo a cui si è sottoposti. Ecco perché nei giochi le regole e il sistema di feedback rendono sempre chiaro ed evidente sin da subito come si vince e come si perde.

12. Leonard, Thomas C. “Richard H. Thaler, Cass R. Sunstein, Nudge: Improving decisions about health, wealth, and happiness.” Constitutional Political Economy 19.4 (2008): 356-360. 13_.Richard H. Thaler, nato il 12 settembre 1945, è un economista americano, professore di scienze e economia del comportamento all’Università di Chicago,teorico nella finanza comportamentale. Cass Robert Sunstein, nato il 21 settembre 1954, è uno studioso giuridico americano, in particolare nei settori del diritto costituzionale, del diritto amministrativo, del diritto ambientale e del diritto e dell’economia comportamentale, amministratore dell’ufficio della Casa Bianca Degli affari informativi e regolamentari nell’amministrazione Obama dal 2009 al 2012. 14. Burrhus Frederic Skinner è stato uno psicologo americano altamente influente. Scrittore, inventore, sostenitore di riforme sociali e poeta Duolingo è un’app gratuita che trasforma lo studio di una lingua in un gioco. Si possono sfidare gli amici e ad ogni unità superata si guadagnano punti (lingot) utilizzabili per acquistare accessori e bonus.

Evidenze neuroscientifiche hanno dimostrato che la pratica del gioco interessa direttamente alcuni istinti umani primari come il bisogno di autoespressione, la volontà di porsi nuove sfide e di superarle, consentendo più di qualsiasi altra di creare coinvolgimento, motivazione, fedeltà e dunque di raggiungere obiettivi che con altri strumenti è difficile ottenere.

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Il rapporto tra gioco e mente umana è approfondito nell’opera di Yu-Kai Chou, un pioniere della gamification che sin dal 2003 studia questo fenomeno. Il suo lavoro si concentra in particolare sull’identificazione e analisi dei cosiddetti core drive, ossia i principi-chiave della gamification, che egli riunisce in un framework denominato “Octalysis” (perché composto da otto elementi): - emisfero destro, irrazionale: senso epico; auto-espressione; relazionalità; imprevedibilità; - emisfero sinistro, razionale: progresso; possesso; scarsità; paura della perdita. Tutte le leve che strutturano il framework “Octalysis” agiscono sul nostro cervello influenzando in maniera decisiva i nostri comportamenti, poiché in grado di incidere: - sull’emisfero destro: la parte più “irrazionale”, istintiva e impulsiva, a cui afferiscono le emozioni e tramite la quale si esprime l’individualità e una visione creativa e d’insieme; - sull’emisfero sinistro: la parte più riflessiva che valuta tutti i dati in nostro possesso in modo razionale, analitico e obiettivo, orientando le scelte nel modo “migliore” possibile.

emisfero sinistro

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emisfero destro


Nello specifico, proseguendo nella sua analisi, YuKai Chou sottolinea che progresso, possesso, scarsità e paura della perdita sono chiaramente leve di tipo razionale perché riguardano molto più la logica e il calcolo e rappresentano motivazioni estrinseche, cioè che nascono dal desiderio di ottenere o non perdere qualcosa. Autoespressione, senso epico, relazionalità e imprevedibilità afferiscono invece alla sfera irrazionale ed emotiva e rappresentano motivazioni intrinseche riguardanti la nostra dimensione interiore, e non l’ottenimento di qualcosa.

Le leve che muovono i comportamenti Motivazione La gamification ingaggia gli individui attivando e integrando leve motivazionali di varia tipologia e natura. Indipendentemente dalla dimensione di studio con cui il tema viene approcciato, la principale classificazione della motivazione ne prevede la differenziazione in due gruppi: intrinseca ed estrinseca (Werbach e Hunter, 2012).

Yu-kai è stato uno dei primi pionieri della Gamification, ha iniziato nel 2003 a lavorare in questa industria. È il creatore del framework Octalysis e l’autore di Actionable Gamification: Beyond Points, Badges, and Leaderboards.

Esempio: presupponiamo che un individuo non abbia voglia di vedere l’ultimo film di Adam Sandler. Gli psicologi lo chiamano essere “demotivati”. Non è necessariamente un comportamento critico nei confronti del film. Altrettante persone pagano invece 15 $ per andare a guardarlo. Perché questi ultimi ci vanno? Naturalmente per motivi diversi, ma la differenza principale è tra coloro che vogliono guardare Adam Sandler e coloro che percepiscono di dovere farlo.

L’esempio appena proposto anticipa qualche prima caratteristica: la motivazione intrinseca ha origine “all’interno” del singolo individuo, piuttosto che generarsi nel mondo circostante. Deriva da una situazione di curiosità, coinvolgimento genuino e voglia di incrementare le proprie competenze. Le persone si impegnano in una specifica attività in quanto la trovano stimolante, gratificante e pienamente

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15. cfr. Reiss e Havercamp, 1998; Havercamp e Reiss, 2003 16. cfr. Nicholson, 2009; Pink, 2009; Zichermann e Cunningham, 2011, Deloitte University Press, 2012

soddisfacente. Esse vogliono farla. Gli utenti sono mossi da motivazioni di tipo intrinseco differenti e soggettivi. Alcuni studi15 hanno identificato 16 principali desideri di fondo: potere, curiosità, independenza, status, contatto sociale, rivalsa, onore, idealismo, esercizio fisico, relazioni amorose, famiglia, ordine, nutrizione, accettazione, tranquillità, risparmio.

Al contrario della tipologia precedente, la motivazione estrinseca è invece generata il più delle volte da fattori esogeni ed “esterni” rispetto all’utente come il desiderio di ricchezza economica, la volontà di ricevere un riconoscimento o la voglia di evitare situazioni spiacevoli. Il driver di fondo non è tanto il voler fare qualcosa, quanto la percezione di doverla fare. Analizzando la distinzione tra motivazione intrinseca ed estrinseca da una prospettiva più trasversale, il contributo di alcune principali scuole di pensiero e la riproposizione di false credenze legate al tema della gamification, offrono ulteriori spunti preziosi e pratici16: - la gamification non motiva solo i giocatori professionisti: attraverso la definizione di un corretto percorso di formazione e diffusione dell’importanza della cultura ludica, qualunque tipologia di utente può essere correttamente stimolata e motivata a partecipare, concorrendo al raggiungimento degli obiettivi di business prefissati; - la sola ricompensa economica non basta per motivare le persone a completare attività complesse e/o che richiedono creatività e pensiero laterale, arrivando in alcuni casi a produrre effetti contrari rispetto alle attese; - per le persone troppo competitive (caratterizzate dai profili psicologici dell’Achiever e del Killer) la gamification può generare un “effetto boomerang”. Esse tendono ad essere competitive anche quando non ce n’è bisogno, o addirittura nel momento in cui il contesto disincentiva ad esserlo. Tali individui percepiscono inoltre eventuali collaboratori e partner come soggetti da battere o superare, diventando incapaci di generare valore dalle interazioni socio-professionali;

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- i motivatori intrinseci non portano a un maggiore successo rispetto alle leve estrinseche. La loro efficacia dipende da tanti fattori diversi come il tipo di esperienza progettata, il profilo dell’audience o l’abilità progettuale del game designer;

17-18. Zichermann, Gabe, and Christopher Cunningham. Gamification by design: Implementing game mechanics in web and mobile apps. O’Reilly Media, 2011.

- sostituire motivatori intrinseci con leve estrinseche non è affatto semplice, né indenne da conseguenze anche paradossali17. Le ricerche suggeriscono che quando un bambino che suona il piano per il solo piacere di farlo viene introdotto all’interno di un gioco competitivo, il suo comportamento può subire diversi cambiamenti. Non esiste una tipologia di motivazione migliore dell’altra. Al contrario, le esperienze professionali dimostrano che la gamification funziona meglio quando è progettata per allineare e integrare motivazioni intrinseche e variabili estrinseche. Dobbiamo impegnarci a raggiungere tale integrazione quando possibile. Inoltre, come avrò modo di riprendere e approfondire nel prossimo capitolo, il design dell’esperienza gamificata va eseguito rispettando le specificità dei profili dei singoli individui.18 È infatti necessario accettare i giocatori e le loro condizioni motivazionali così come sono. Divertimento La gamification coinvolge in modo diretto e positivo le persone, rendendole protagoniste di un’esperienza vivida e immersiva. Il divertimento è un concetto complesso, in quanto definito da almeno due caratteristiche peculiari fortemente integrate tra loro: multi-dimensionalità e soggettività. In primis, esistono diverse sfumature di divertimento. Per citare un esempio generico, il divertimento che proviamo quando parliamo con una persona particolarmente brillante è diverso da quello esperito mentre giochiamo a un videogame. Nel 2004 Nicole Lazzaro, CEO di XEODesign, ha guidato una ricerca su un campione di 45 persone equamente divise tra hardcore gamers, casual gamers e non-gamers. I dati sono stati raccolti in formati differenti: registrazioni video, risposte a questionari e segnali verbali/non verbali trasmessi dai partecipanti in modo più o meno volontario. Un totale di oltre 2000 stimoli analizzati,

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grazie ai quali il gruppo di ricerca ha organizzato le sfumature dei diversi soggetti in quattro principali profili connessi ad altrettanti livelli di divertimento: hard fun, easy fun, altered state fun, social fun. Questi profili sono così classificabili:

Le “quattro chiavi del divertimento” secondo il modello XEODesign.

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- Hard fun: per qualcuno, giocare equivale a superare gli ostacoli e raggiungere l’obiettivo finale. La sfida è progettata per focalizzare l’attenzione e ricompensare il giocatore, generando stati alterni di frustrazione e trionfo personale. Alcuni giochi integrano scelte strategiche e sfide avvincenti, permettendo di bilanciare la difficoltà del percorso con le competenze individuali.


- Easy fun: altre persone danno maggiore importanza alla sola gioia di partecipare all’attività ludica. È stimolata la curiosità del giocatore, la sua voglia di scoprire qualcosa di nuovo attraverso esperienze ambigue, incomplete, ricche di dettagli da conoscere e stimoli da esperire. Vengono generate forti sensazioni di meraviglia, soggezione e mistero, ampliate dalla percezione di essere i protagonisti di un’avventura che apre le porte a nuovi mondi.

19. La “teoria del benessere” è stata elaborata nel 2011 da Martin Saligman, psicologo statunitense conosciuto principalmente per la sua psicologia positiva ed il modello PERMA.

- Altered state fun: non sempre è l’esperienza in sé ad essere valutata come qualcosa di valore. Anche la sola percezione di sentirsi all’interno di uno specifico contesto diventa importante per alcuni individui. Il gioco diventa terapia, le sue dinamiche sono capaci di cambiare lo stato personale del partecipante. Per questa terza tipologia di divertimento, il focus si sposta sul modo in cui gli aspetti esteriori dell’esperienza creano emozioni interne alle persone. Esse si chiarificano, si sentono meglio con se stesse, scoprono nuove dimensioni intime e profonde. - Social fun: l’ultima tipologia di divertimento deriva dalla “semplice” occasione di interagire con altri individui dentro e fuori l’esperienza di gioco. La dimensione sociale è preponderante, e spinge qualcuno a partecipare a qualcosa di soggettivo e raramente uniformato tra le persone. Ciò che risulta divertente a qualcuno, per altri può esserlo molto meno. Al fine di veicolare un’esperienza gamificata capace di divertire l’audience, occorre individuare i driver concettuali di fondo che permettono di guidarne il buon design. Felicità Il fine ultimo – e più nobile – della gamification è la capacità di aumentare il livello di soddisfazione e di felicità dell’audience. Uno studio statunitense ha proposto la “Teoria del Benessere” (Well-being)19, la quale afferma che lo stesso benessere è un costrutto caratterizzato da cinque elementi, alcuni dei quali ripresi dal modello precedente della teoria della felicità: emozioni positive (positive emotions), coinvolgimento (engagement), relazioni sociali (relationships), senso (meaning), realizzazone (accomplishment/achievement):

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20. Il modello PERMA si compone di: - POSITIVE EMOTIONS provare gioia, piacere, sicurezza ecc... - ENGAGEMENT/FLOW essere coscientemente coinvolti nelle nostre attività - RELATIONSHIPS interazioni con gli altri piacevoli e di sostegno - MEANING creare una narrazione significativa - ACCOMPLISHMENT portare a termine obiettivi e seguire dei valori di base.

- Emozioni positive: la percezione di emozioni positive come la gratitudine e la curiosità aumenta in modo considerevole la soddisfazione per quanto fatto e – in generale – per la vita. Rispetto alla Teoria della Felicità, la felicità e la soddisfazione per la propria vita passano dall’essere i cardini del framework al venire elencati come “semplici” emozioni esperibili dalle persone. - Coinvolgimento: l’engagement rappresenta il coinvolgimento verso ciò che si sta facendo e gli obiettivi finali da raggiungere. Alla base risiede una visione attiva della vita, che deve essere vissuta in pieno e non semplicemente subita nei suoi diversi accadimenti. Così come le emozioni positive, anche il coinvolgimento viene misurato in modo soggettivo dal singolo individuo. - Relazioni sociali: l’uomo è un animale sociale, incapace di vivere nella solitudine. Non è un caso che internet, nato inizialmente per motivi di formazione è diventata un asset centrale e assolutamente fondamentale, a tutto vantaggio di chi la controlla. Le persone che instaurano relazioni genuine e sincere sono più felici degli individui che vivono nella solitudine. - Senso: la percezione che la vita ha un senso è un altro fattore importante per produrre una carica emotiva ed emozionale capace di durare nel tempo. Per esempio, gesti di altruismo e beneficenza producono effetti molto positivi, in quanto indicatori del grande sforzo compiuto. - Realizzazione: la consapevolezza di avere raggiunto un (piccolo o grande) traguardo nella vita è fonte di stimolo, ottimismo e determinazione. Insieme, gli elementi elencati e brevemente descritti compongono il Modello PERMA20, acronimo delle 5 dimensioni elencate, e permettono agli individui di raggiungere e mantenere nel tempo uno stato ottimale e prospero.

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Perché usare la gamification Quale è la logica per cui una pratica basata sul gioco e sulle dinamiche ludiche viene presa tanto in considerazione nel mondo del business e del management aziendale? Se realtà di dimensioni globali come Nike, American Express, Starbucks, McDonald’s, Coca-Cola, Microsoft, Samsung hanno avviato (e stanno tutt’ora gestendo) progetti complessi attraverso la gamification, evidentemente non si tratta di un fenomeno superficiale: alcune delle organizzazioni appena elencate considerano la stessa gamification come una vera e propria strategia di business. Credo che le possibili ragioni possano essere riassunte in una risposta che – pur nel limite della sua generalità – più di tutte appare inclusiva e completa: perché, a valle di una corretta progettazione, di un game balancing equilibrato e di un’efficace implementazione operativa, la gamification funziona. Essa è diventata una leva fondamentale per incanalare le energie creative e la voglia di gioco dell’audience, generando valore in termini di risonanza del brand, customer engagement ed employee retention, word-of-mouth, dinamiche di open innovation. La gamification permette di allineare obiettivi giocosi e organizzativi “oltrepassando” le componenti sociali e umane più razionali, attraverso modalità interattive e – spesso – a fronte di una riduzione dei costi e degli sforzi rispetto ad altre soluzioni alternative. Implementarla diventa una sfida non facile, che stressa molte aziende a spingersi oltre le routine organizzative quotidiane. In effetti, i progetti di gamification efficaci prevedono la perfetta integrazione tra le logiche di business e manageriali e i flussi di pensiero laterale stimolati dagli esperti di game design. La gamification di successo prevede due tipologie di abilità. Richiede una conoscenza del game design, e una comprensione delle tecniche di business. Poche organizzazion sono competenti su entrambi i fronti. Alla gamification bisogna pensare non tanto come a qualcosa che si sostituisce alla corretta gestione organizzativa, ma piuttosto a una leva moltiplicatrice dei benefici generati dal buon management. Occorre tuttavia ribadire che la gamification non è una tecnologia ma una metodologia e per questo, aldilà degli strumenti, si fonda su modelli in grado di cambiare l’esperienza di fruizione di un soggetto al punto da incidere profondamente sulle sue motivazioni e, di conseguenza sui suoi comportamenti.

esperienza dive rtente esperienza divertente di di apprendimento apprendimento connessioni sociali feedback immediato cambiamento dei comportamenti attrazione di nuove reclute

GIOCHI DA TAVOLO

> per un cambiamento nel lungo periodo nell’organizzazione > per formazione e branding > visualizzazione di una struttura o processo > rivelare capacità di leadership

APPLICAZIONI > per un cambiamento nel breve periodo nell’organizzazione > per miglioramento processi > per creare emozione nel lavoro di normale amministrazione > fornire ricompense o incentivare una prestazione migliore

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Strategie di gamification


clienti

gamification target

impiegati

produttività lavoro miglioramento delle abilità e performance efficienza delle risorse crescita dell’engagement spinta all’innovazione

piacere/divertimento cambiamenti comportamentali crescita della motivazione conservazione delle risorse umane

fedeltà alla brand

miglioramento abilità e performance

sostegno/riferimento alla brand

comprensione del cliente

piacere/divertimento

massimizzazione delle entrate crescita dell’engagement

tangibile

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sostegno alla società

costruzione delle relazioni influenza sui comportamenti esperienze immersive

gamification value

intangibile


STRATEGIE DI GAMIFICATION Come le brand fanno gamification Per creare coinvolgimento, occorre sviluppare esperienze di gioco coerenti e significative, utilizzando la combinazione di elementi di gioco più adatta agli obiettivi che si vogliono perseguire. Se la strategia si riduce a inserire solamente punti o badge, senza un’idea precisa, si ottiene un risultato scadente, di poco successo e con scarso valore per l’utente quindi con un’alta tendenza all’abbandono. Attraverso la gamification, la nostra azienda può instaurare un contatto diretto con i propri stakeholder, siano essi clienti (esterni) o dipendenti (interni). Tramite l’implementazione di dinamiche ludiche, possiamo remunerare la loro partecipazione, incentivarne la loyalty e trasformarli in veri e propri “ambasciatori” del nostro brand. Vari studiosi nel campo della gamification hanno proposto alcune strategie da applicare quando si sviluppa un progetto gamificato. Seguono le più rilevanti. Werbach e Hunter (2012) Un progetto di gamification, come un buon design deve soprattutto avere cura di: - Definire gli obiettivi di business dell’intervento (quali risultati concreti ci si propone di ottenere). - Delineare i comportamenti attesi del target (i tipi di comportamento che il progetto vuol stimolare, e i modi di misurarli). - Descrivere i giocatori (le loro tipologie e le loro motivazioni).

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- Ideare cicli di attività (le sequenze in stadi progressivi dell’esperienza). - Non dimenticare il divertimento! (fattore cruciale per indurre le persone ad aderire al progetto volontariamente) - Mettere in campo gli strumenti appropriati (le meccaniche e i componenti di gioco più adatti alla specifica iniziativa).

Werbach e Hunter rivelano come il pensiero del gioco - affrontando i problemi come un game designer - possa motivare dipendenti e clienti e creare esperienze coinvolgenti che possano trasformare una attività.

Ecco che i due studiosi hanno definito un framework interessante e utile denominato Basic Gamification Checklist. Basato su alcuni elementi della psicologia umana come la motivazione, l’interesse e il comportamento delle persone, esso prende in considerazione quattro macro-dimensioni – motivazione, scelte rilevanti, struttura, conflitti potenziali – e pone altrettante domande indispensabili per guidare il game designer nelle proprie attività. - Motivazione: quali sono i driver utili a stimolare gli individui a partecipare alla gamification? Esistono tre principali cluster di attività per cui la motivazione dei partecipanti diventa fondamentale: lavoro creativo, task semplici e cambiamenti comportamentali. In primis, gli esercizi più creativi rappresentano un elevato valore aggiunto per l’azienda e per il vantaggio competitivo organizzativo. Essi dipendono fortemente dalla leva motivazionale dei singoli, e la gamification può diventare strategica al fine di personalizzare l’esperienza vissuta. Secondariamente, i task semplici e banali richiedono l’aderenza a procedure e routine pre-definite: se progettata in modo adeguato, la gamification è la chiave per arricchire di senso tali attività. Infine, alcune volte le persone comprendono l’importanza di qualcosa, senza però trovare tempi e modi per metterla in pratica. La sfida diventa quella di incrementare la frequenza di tali comportamenti virtuosi. - Scelte rilevanti: le attività da svolgere nel sistema di gamification sono sufficientemente interessanti? È importante che queste permettano alle persone in gioco di avere il giusto livello di libertà di azione, evitando qualunque percorso “pre-confezionato”. - Struttura: i comportamenti desiderati possono essere facilitati e stimolati attraverso regole progettuali ed

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algoritmi ad hoc? Definire un adeguato cruscotto di analytics permette un migliore monitoraggio e una misurazione più approfondita delle dinamiche interne al progetto di gamification. I dati rilevati verranno utilizzati per tarare meglio il sistema sugli utenti e sulle loro necessità, ottimizzando nel tempo il funzionamento. - Conflitti potenziali: se implementato, il progetto di gamification entrerebbe in conflitto con strutture motivazionali pre-esistenti? Prima di iniziare il disegno della gamification è importante analizzare il sistema motivazionale già esistente, nell’obiettivo di non creare conflittualità inutili – o addirittura dannose. Al contrario, le nuove leve premianti dovranno essere implementate in modo congruente e allineato rispetto ai rewarding in essere. Sebastian Deterding Il modello di Deterding prevede tre leve: - Meaning: per funzionare, le applicazioni gamificate devono collegarsi a qualcosa che ha un significato per l’utente o far parte di una storia che le renda significative. - Mastery: l’esperienza di essere competente, capace di realizzare qualcosa, è al cuore di ciò che rende un gioco divertente e coinvolgente. - Autonomy: la possibilità di sentirsi liberi, con qualcosa con cui giocare in uno spazio autonomo, è un altro fattore cruciale per un’esperienza di successo. Ad esempio, continuano ad essere proposti format visti e rivisti del tipo “scatta una foto con il nostro prodotto e le migliori potrebbero vincere”, con l’unico effetto di generare risultati marginali e mantenere il brand nel territorio dell’autoreferenzialità e della retorica pubblicitaria più tradizionale ormai vetusta. Se l’azienda sbaglia il modo di porsi nei social media, non adeguandosi al relativo ambiente bidirezionale e relazionale, non solo verrà ignorata, ma il rischio è quello di generare sentimenti e opinioni ostili proposti pubblicamente, con un effetto dannoso che intacca la reputazione e la fiducia, elementi questi molto più preziosi rispetto ad un budget pubblicitario.

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Rischi Alcuni dei rischi e degli errori più comuni secondo Werbach e Hunter (2012) sono i seguenti: - Pointsification: il modo più diffuso con cui si rischia di perdere il potenziale della gamification consiste nell’impostare programmi basati troppo su punti, badge e classifiche e non abbastanza sull’attrattiva dell’esperienza. I sistemi di punteggio sono importanti, ma se le iniziative gamificate partono e finiscono con essi è probabile che non arrivino lontano. Il motivo è che punti e classifiche implicano sfide che possono comportare tempo e sforzi, ma non sono in sé interessanti e non riescono a mantenere l’interesse dei partecipanti molto a lungo. Essi vanno visti come fattori motivanti estrinseci, ma bisogna sempre pensare che le vere motivazioni derivano da esperienze intrinsecamente gradevoli e soprattutto dal divertimento. In altre parole il semplice atto di svolgere particolari compiti per ottenere punti o badge “esclusivi” non offre alcuna interazione ludica al giocatore, che invece vuole comportarsi e pensare in funzione delle scelte che deve compiere, secondo regole di causa ed effetto all’interno delle quali la ricompensa primaria è rappresentata dall’atto stesso di giocare.

stato di ansia

flo w

livello di sfida

- Aspetti legali: se non ben controllati, i progetti di gamification possono incorrere in varie problematiche di natura legale. Tra esse, ad esempio, quelle inerenti al rispetto dei diritti del lavoro o ai vincoli dell’attività pubblicitaria. In generale si possono risolvere queste problematiche attraverso i Termini di servizio, che devono essere attentamente vagliati per evitare possibili complicazioni.

stato di noia

livello di abilità

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- Privacy: i programmi di gamification tendono a raccogliere grandi quantità di dati relativi ai vostri giocatori. Ogni attività inerente al gioco può essere tracciata, e queste informazioni possono essere incrociate con altri dati riguardanti l’età, l’indirizzo e la storia delle transazioni dei vostri utenti. La raccolta di dati però deve essere svolta in pieno rispetto delle norme di tutela della privacy che vigono nei vari Paesi. - Proprietà intellettuale: il sistema di gamification può implicare tutte e quattro le forme della proprietà intellettuale: copyright, trademark, brevetti e segreti


commerciali. È importante da un lato proteggere il proprio progetto e il suo valore, dall’altro stare attenti a non violare la proprietà intellettuale di altri. Ad esempio, non è lecito copiare un sistema di badge da un altro programma gamificato, a meno che non si sia ottenuta un’autorizzazione. - Lotterie e gioco d’azzardo: vi sono molte leggi che regolano le lotterie, i giochi d’azzardo, i concorsi. Ognuno di questi ambiti è regolato in grado significativo, ma in modi differenti. Le leggi relative possono entrare in campo se le iniziative di gamification offrono premi di apprezzabile valore monetario. Occorre pertanto tenerne conto verificando in quale regolamentazione ricade il progetto.

> Introduzione di una leaderboard per misurare la produttività dei camerieri dipendenti del resort.

- Pratiche ingannevoli: giochi che tendono a ingannare gli utenti possono rientrare fra i casi di frode commerciale. Ad esempio, secondo gli autori, un sistema gamificato che induca gli utenti a scegliere carte di credito a interessi più alti solo per ricevere delle ricompense virtuali non finanziarie risulterebbe problematico.

Meaningful vs Meaningless Uno dei rischi più pericolosi per i game designer è infatti l’aderenza alla prospettiva organizzativa (organization-centered design), a causa della quale il progetto di gamification viene pensato e disegnato in funzione dei soli benefici e degli interessi del committente. Il risultato finale consiste spesso in un semplice sistema di punti e livelli, i quali offrono la possibilità di ricevere ricompense senza tenere conto degli output positivi più ampi generati dalla gamification sull’utente coinvolto. Un ulteriore elemento di pericolo è una variante di quello appena citato. Si tratta dell’orientamento alle meccaniche (mechanism-centered design), secondo cui le logiche ludiche sono integrate nel sistema gamificato senza tenere però conto delle sue idiosincrasie e specificità. Il risultato estremo (ma nella pratica non così remoto) vede il game designer applicare una metodologia standardizzata, indipendentemente dal progetto gestito. Gli orientamenti all’organizzazione e alle meccaniche portano entrambi al design di Meaningless gamification, provocando il fallimento dell’intera iniziativa. Al contrario, aderire a un approccio fortemente incentrato

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21. Nicholson, Scott. “A user-centered theoretical framework for meaningful gamification.” Games+ Learning+ Society 8.1 (2012): 223-230.

sulle specificità e sui bisogni dell’audience crea un paradosso virtuoso per l’azienda o la marca. La positività e la rilevanza dell’esperienza vissuta dalle persone coinvolte stimola infatti le stesse al coinvolgimento e all’azione verso le attività richieste dal progetto di gamification: ciò permette nel lungo termine un perfetto (ri)allineamento tra obiettivi personali e organizzativi. Senza lo human-focused design, creare sistemi di gamification efficaci diventa una sfida molto complessa. Al contrario, una progettazione tarata sulle esigenze dei giocatori permette di progettare Meaningful gamification, consistente nell’integrazione di elementi di user-centered design all’interno di contesti non ludici.21 Occorre essere idonei per proporre un’iniziativa di gamification perché il coinvolgimento va guadagnato con una proposizione coerente, concentrata non solo sugli obiettivi di chi la propone, ma anche sulle motivazioni profonde e concrete di chi si desidera interessare. La parola chiave è coinvolgimento, elemento cruciale nell’attuale relazione tra ogni azienda ed i suoi stakeholder. Nel 2014 McKinsey ha chiesto ad un campione di manager di tutto il mondo quali fossero i principali obiettivi digital delle loro aziende e “Digital engagement for customers” è emersa come la priorità strategica più importante, superando “Digital innovation of products, operating model, or business model” e “Big data and advanced analytics”. Da segnalare che la quarta priorità è risultata essere “Digital engagement of employees, suppliers, or business partners”, a confermare che la rilevanza del coinvolgimento riguarda sia i consumatori che la struttura interna all’organizzazione. E come vedremo nell’ultimo capitolo, i progetti di gamification sono uno strumento estremamente efficace e flessibile per generare il coinvolgimento attivo e appassionato di clienti e di collaboratori. La caratteristica di potenziale auto-diffusione dei progetti di gamification, trova poi un ruolo chiave nelle attuali strategie di comunicazione delle organizzazioni le quali combattono ogni giorno la cosiddetta “guerra dell’attenzione”. Alcuni progetti hanno un successo maggiore proprio se la componente promozionale è limitata e il messaggio è invece trasmesso col passaparola. Il risultato non è solo quello di comunicare le iniziative in modo più spontaneo e coinvolgente, ma anche di potersi permettere un

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minore “costo media”, inerente l’acquisto di spazi pubblicitari. Nel contempo, va considerato che la diffusione di iniziative attraverso i loro destinatari può richiedere tempi più lunghi per raggiungere gli obiettivi di visibilità desiderati ed ha un elemento di incertezza. In generale, è molto importante che un progetto gamificato sia in grado di identificare il livello di competenza dell’utente e gli dia dei feedback immediati. Le prove devono essere di difficoltà di poco superiore al livello di partenza dell’utente per dargli soddisfazione nel momento in cui riesce a superarle, senza mortificarlo quando non ci riesce. Man mano che il livello di competenza aumenta, anche gli stadi di apprendimento possono e devono accrescere il grado di difficoltà. Si dice che “giocare fa tornare bambini”. Ma quando il gioco è applicato a contesti di non gioco e diventa gamification (specialmente in progetti legati al business), deve invece esaltare il ruolo delle persone. Quindi non divertimento fine a se stesso, ma coinvolgimento e interazione, ponendo gli individui al centro dell’attenzione e mettendoli in condizioni di tirare fuori da se stessi elementi positivi e costruttivi: passione, gioia, impegno, generosità, gioco di squadra. Certo, i progetti di gamification hanno anche alla base la stimolazione della competizione, la quale fisiologicamente lascia emergere anche derive di protagonismo e arrivismo. Ma ciò è ormai un elemento naturale della “Age of the Customer”.

Customer, customer, customer… È ormai ampiamente acclarato che i business model moderni devono mettere al centro dell’attenzione i consumatori. Ancor meglio: il focus è sulle persone, interne ed esterne all’azienda. Forrester la definisce “customer obsession” dimostrando con una ricerca che le organizzazioni che hanno maggiormente investito in customer experience nel periodo 2007-2012 hanno migliorato mediamente la loro quotazione in borsa del +43%, mentre le aziende meno concentrante sul consumatore hanno registrato una diminuzione del -34% circa del loro valore.

mercati

C’è davvero bisogno di aziende divertenti, che facciano business col sorriso, più umane, più naturali nella relazione con i consumatori così come con i collabo-

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ratori interni. Potremmo osare e parlare di Corporate Happiness Responsibility, affinché le aziende riconoscano l’importanza del fattore felicità e del loro ruolo nei confronti degli stakeholder e della collettività attigua all’organizzazione e si adoperino per trovare occasioni per intrattenerli, guadagnando il coinvolgimento e la fedeltà di clienti e collaboratori.

Campi d’applicazione Abbiamo definito la gamification come un “sostrato”, un livello che si può applicare trasversalmente a qualsiasi campo. Multinazionali, Organizzazioni, Istituzioni, Università hanno già scelto di investire nella gamification in diversi ambiti: - formazione; - marketing; - salute e benessere; - ecosostenibilità; - turismo e cultura; - recruitment; - trasporti; - non profit. Applicare la gamification a settori come la formazione, il marketing o le risorse umane significa innanzitutto capire che i nostri interlocutori, prima ancora di essere discenti, potenziali acquirenti o dipendenti di un’azienda, sono giocatori. In generale, si può dire che nessuna attività di gamification, per quanto serie siano le sue finalità, possa fare a meno di elementi di gioco. Per di più nuove applicazioni nascono a ritmi sostenuti di giorno in giorno dimostrandoci come le potenzialità di questo approccio siano infinite.

serious game

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2005


Istruzione Il significato della conoscenza oggi si è spostato dall’essere capaci di ricordare e ripetere le informazioni a essere capaci di trovarle, valutarle e utilizzarle in modo convincente al momento giusto e nel contesto giusto. L’istruzione nella prima parte del XX secolo tendeva a focalizzarsi nell’acquisizione di capacità di base e conoscenze di contenuto, come leggere, scrivere, fare di conto… Molti esperti credono che il successo nel XXI secolo dipenda invece da un’istruzione che sviluppi competenze di livello più alto, come la capacità di pensare, risolvere problemi complessi o interagire criticamente attraverso il linguaggio e i media. Studio e divertimento sono spesso visti come contraddittori. Anche se a volte lo studio può essere competitivo, non è facile che si creino le situazioni per cui esso riesce a diventare un piacere. Ma questa prospettiva è forse un po’ datata e non tiene conto del fatto che molto dipende da come si studia – e si gioca. Che il gioco possa avere con lo studio un rapporto assai più fecondo di quel che si pensa abitualmente è un concetto alla base di una scuola molto particolare, cui merita fare un breve cenno. La scuola si chiama Institute of Play e ha sede a New York, dove è stata fondata col contributo di The Bill and Melinda Gates Foundation. La sua missione (insolita per una scuola) è quella di far uso della funzione di motivazione e coinvolgimento del gioco per rendere ottimale l’esperienza di apprendimento. Come dice una delle frasi chiave del sito www.instituteofplay.org, “We design experiences that make learning irresistible.” Un messaggio piuttosto rivoluzionario per i sistemi tradizionali di istruzione, in cui l’esperienza primaria che si lega all’apprendimento è la noia. Ma cosa giustifica questo approccio sul piano pedagogico?

gamifcation

2011

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22-23. Karl William Kapp (Königsberg, 27 ottobre 1910 – Dubrovnik, 10 aprile 1976[1]) è stato un economista tedesco, tra i maggiori fondatori dell’economia ecologica e uno dei più importanti economisti istituzionali del XX secolo. 24. Romano, G. “Mass Effect. Interattività Ludica e Narrativa, Videogame, Advergame, Gamification.” Social Organization (2014).

GAMIFICATION TRADIZIONALE

Esperienza guidata dal gameplay Punti, badge, classifiche, livelli, feedback, ricompense, riconoscimenti

La semplice considerazione che “La sfida della formazione, nella nostra epoca, non si limita più a riuscire a trasmettere le conoscenze ma riguarda la capacità di coinvolgere i discenti, di stimolare i loro interessi e di catturare la loro attenzione.” Campo militare Il secondo esempio riguarda l’esercito degli Stati Uniti, che da tempo fa uso di giochi e ha gamificato la strategia militare, la preparazione per la guerra e il training tattico. Le organizzazioni militari in giro per il mondo, afferma Karl Kapp22, hanno capito che, quando si tratta di vita e di morte, la formazione su scenari basati su giochi ha un’influenza importante su chi apprende. Ma l’ultimo sviluppo riguarda l’uso di giochi per risolvere problemi militari. In particolare, l’esercito americano sta cercando di generare nuove idee su come affrontare i pirati somali con l’uso di giochi multiplayer massivi. L’iniziativa implica la creazione di un ambiente di gioco, e fare poi crowdsourcing di problemi militari tra i civili. La soluzione dei problemi, in altri termini, viene delegata all’intelligenza collettiva degli utenti in rete. Lo scopo è quello di trovare soluzioni innovative osservando quello che i giocatori fanno nell’ambiente di gioco proposto23. L’utilità di una componente narrativa in questo tipo di applicazioni è indubbia: ha un ruolo centrale perchè l’apprendimento funzioni. I principali fattori di convergenza tra giochi digitali e storytelling sono stati studiati da Giuseppe Romano24:

Esperienza sociale guidata dall’intuizione Social media, community, animazioni, altri elementi dal web 2.0, analisi di Big Data (per ricavare intuizioni degli utenti e misurare l’indice ROI e testare ipotesi)

- Un videogioco ci propone di raccogliere una sfida e di immergerci in una storia. Qui alla narrazione non si assiste più soltanto, bensì la si interpreta dal di dentro. - Nel videogioco l’“io narrante” coincide con quello del giocatore, e questo incentiva sempre l’immedesimazione. - “Entrare in gioco” significa abbandonare la realtà abituale e introdursi in un mondo diverso. - La prima legge dell’immedesimazione è la sospensione dell’incredulità. Se una storia è ben narrata siamo disposti a crederle, pur sapendo che non è vera. - Lo storytelling sembra essere legato alla qualità del movimento consentito nell’ambiente del gioco, quello

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che nel linguaggio dei videogame è denominato gameplay. - Gameplay è il modo in cui al giocatore viene consentito di riconoscere e seguire il filo complessivo del gioco, coniugando in prima persona le regole e la fiction che il videogioco gli propone. È storytelling interattivo. - Il “viaggio dell’eroe” è, nei videogiochi, narrazione in soggettiva governata dall’impegno per muoversi nel “mondo straordinario” del gioco attraverso il proprio player-character. Recruiting Impiegando la gamification nelle procedure di recruiting, si possono introdurre metodologie di selezione alternative e più adatte a una generazione di digital natives che si appresta a diventare la nuova forza lavoro del pianeta. I giochi possono rivelare molto sulle reali capacità e aspirazioni dei candidati in modo più oggettivo e meno arbitrario di un colloquio o di un curriculum vitae, dimostrando così che gioco e lavoro non rappresentano una dicotomia ma possono diventare un binomio vincente.

Gamification tra presente e futuro Il dibattito sulla gamification negli ultimi anni è stato molto ricco anche se spesso si è caratterizzato per una polarizzazione dei giudizi intorno a due posizioni: da un lato c’è chi la considera una sorta di “espediente divertente” e dall’altro c’è chi invece è convinto si tratti di qualcosa che può realmente incidere sulla vita e cambiarla in meglio. Allo stato attuale di questa nuova pratica strategico-identitaria occorre sottolineare, però che la gamification non è una panacea, che può essere adoperata indistintamente in ogni contesto per rendere vincente un prodotto o un servizio. Nemmeno esiste una formula collaudata, ma applicazioni potenzialmente infinite con forme anche molto differenti tra loro e, in gran parte, ancora da scoprire. Ciò che è certo è che per avere successo con la gamification, le organizzazioni devono avvicinarsi agli individui per raggiungere una consapevolezza più profonda dei loro ruoli, dei loro comportamenti e delle loro motivazioni.

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Esperienza personalizzata e contestuale Industry-standard, framework basati sul comportamento, modelli mentali, neuroscienze, economia comportamentale, analisi Big Data (per la personalizzazione)

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Oggi siamo in uno stadio evolutivo della gamification molto differente rispetto: - ai progetti più tradizionali, dove spesso gli utenti erano (e sono tutt’ora) “coinvolti” esclusivamente con semplici sistemi di leaderboard, livelli, ricompense finali; - all’attuale fase definita di “Gamification 2.0”, in cui i media digitali, le tecniche di marketing ed i principi di usabilità stanno dando vita ad alcune (prime) esperienze di personalizzazione, in funzione di un’analisi più approfondita dello user journey. Tuttavia la prospettiva futura della gamification ha già un nome: Gamification 3.0. Per citare le maggiori applicazioni: big data, insights comportamentali, strumenti psicologici e neuro-scientifici che rilevano e identificano il comportamento e le emozioni delle persone, permettendo l’assegnazione di uno specifico ruolo e di un ambiente di gioco adeguato. La definizione è della società di servizi e consulenza internazionale Cognizant, la quale ha anche definito il modello strategico “Gamification 3.0” per fare design gamificato. È caratterizzato da quattro livelli strettamente integrati tra loro: - Activity tracking: tutte le attività dei giocatore devono essere tracciate e monitorate. Questa diventa la base dell’intero progetto. - Personality types: esistono diversi modi di raggruppare gli utenti in funzione delle loro personalità. Alcuni tra i principali elementi da tenere in considerazione sono il loro comportamento all’interno dell’ambiente gamificato, i tratti psicologici, le leve motivazionali, i risultati raggiunti. - Big data analytics: soprattutto per i progetti di gamification che hanno come obiettivo un cambiamento importante e profondo delle persone, l’analisi degli stessi individui è fondamentale. Diventa necessario raccogliere quanti più dati possibile, sia dentro che fuori i perimetri del progetto di gamification.

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- Behavioral framework: in parallelo rispetto alle altre azioni, è molto importante comprendere le emozioni, le motivazioni e il mindset degli individui. Ciò permette di identificare subito le ragioni di certi fenomeni (come l’inefficacia di una comunicazione), permettendo un intervento reattivo e puntuale. Se considerati separatamente, i quattro pilastri progettuali presentano alcune limitazioni. Al contrario, un approccio sinergico e integrato permette di ottenere grandi benefici definendo un sistema di gamification 3.0 innovativo, inclusivo e sostenibile.

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1 Alle persone piace divertirsi. Esperienze positive aumentano l’engagement.

Punti, badge e premi fanno da motore e accresccono il numero di utenti e le visite.

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Contenuti come le classifiche e gli inviti conducono gli utenti a reclutare dalla loro rete personale di amici.

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Gli utenti creano un profilo o fanno il log in, rendendo facile tracciare le loro azioni e ottimizzare le intuizioni data-driven.

La gamification è un ottimo modo per creare un'user eperience unica.

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Scriball

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SCRIBALL La penna a sfera L’oggetto alla base del nostro lavoro è la Penna a sfera. Uno strumento di uso comune, indispensabile, fedele compagno tramandato di generazione in generazione che racchiude secoli di evoluzione in pochi grammi di plastica e inchiostro. Uno strumento piccolo, semplice, dato così per scontato che spesso quasi ce ne dimentichiamo. Eppure la penna fa parte di noi. Essa rappresenta un potente mezzo di comunicazione, un oggetto capace di lasciare impressa una traccia indelebile, un segno grafico-calligrafico che riflette la nostra personalità. Storia ed evoluzione La storia di questo piccolo ma grande oggetto risale a tempi assai remoti. Fin dall’antichità l’uomo ha utilizzato steli di piante per stendere l’inchiostro su papiri e pergamene o steli metallici per incidere su tavolette di cera. Il passaggio successivo nella storia della penna è avvenuto quando comincia l’utilizzo delle penne di uccello, da cui il nome tramandato fino ai giorni nostri. Con l’introduzione dei primi pennini metallici, rigidi e poco flessibili, la storia di tale strumento entra a far parte dell’età moderna. Il primo brevetto di una penna a sfera viene rilasciato nell’anno 1888 a un conciatore di pelli di nome John J. Loud, che stava tentando di costruire uno strumento in grado di scrivere sui suoi prodotti in pelle. La vera e propria svolta nell’evoluzione della penna è però da attribuirsi a László József Bíró, giornalista di Budapest che si dilettava nella pittura. Fu sua l’idea di creare una penna a sua immagine e somiglianza. Nell’osservare alcuni bambini che giocavano con le biglie per strada, ebbe un’intuizione semplice ma

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geniale: creare uno strumento che rilasciasse inchiostro attraverso lo scorrere di una sfera. Le palline, infatti, avevano lasciato dietro di loro una scia di fango fluida dopo aver attraversato una pozzanghera. Insieme al fratello Gregory, Bíró presentò il brevetto nel 1938, ma a causa della sua scarsa esperienza di gestione imprenditoriale, fu costretto a cedere la sua invenzione a Marcel Bich, barone italiano naturalizzato francese, che intendeva creare uno strumento di scrittura pratico ed economico. Bich riuscì ad abbattere i costi e ad avviare la sua produzione in serie, acquisendo uno sfolgorante successo a livello mondiale. Trasformata in una penna leggera e pratica, definita “miracolosa e fantastica, in grado di scrivere per due anni senza ricarica”, la Bic sbarcò in un grande magazzino di New York il 29 ottobre 1945, al prezzo di 12,50 dollari e la vendita ammontò a 10.000 pezzi in un solo giorno. Ambiti di utilizzo Campo cinematografico Come aveva affermato Edward Bulwer-Lytton, spesso “la penna è più potente della spada” e alcune scene della filmografia lo dimostrano. Un semplice strumento come la penna a sfera, infatti, può essere inteso come sinonimo di Status Symbol e come mezzo per mostrare il proprio potere. In una scena del film Johnny English, ad esempio, la penna viene utilizzata come tranquillante contro un segretario del capo dal protagonista. In Red Eye, Rachel McAdams interpreta un direttore d’albergo intrappolato in un complotto e per assassinare un terrorista utilizza proprio una penna come arma. In A beautiful mind, invece, il protagonista, affetto da schizofrenia, viene presentato dai colleghi di Princeton tramite delle penne. In questo caso, la penna è utilizzata come simbolo di rispetto nei confronti del genio matematico. In una celebre scena del film The Wolf of Wallstreet, Leonardo DiCaprio chiede ai suoi agenti in borsa di vendere una penna, mostrando come la realtà sia spesso più difficile di quanto si pensi. In Liar Liar, il figlio del protagonista, interpretato da Jim Carrey, mostra come non si possa mentire su una penna. O ancora, il film 2001: Odissea nello spazio si apre proprio con una penna che fluttua in assenza di gravità.

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Campo artistico Quello cinematografico non è il solo mondo in cui la penna viene adoperata. In campo artistico, infatti, la penna a sfera è utilizzata per realizzare opere d’arte, al pari del carboncino, della vernice e della matita. La penna, con la sua caratteristica di essere permanente, incancellabile, non permette errori e lascia un’impronta autentica ed indelebile, con un tratto pulito e fine. L’idea di utilizzare penne a sfera non è del tutto nuova. In realtà, gli artisti hanno usato penne a sfera non appena sono apparse sul mercato, e non solo per schizzi fini a se stessi. L’artista italiano Alberto Giacometti, ad esempio, utilizzava la penna a sfera nelle sue opere, sotto forma di figure quasi scarabocchiate per evidenziare la fluidità insita nella penna a sfera. Anche l’artista nigeriano Toyin Odutola è conosciuto principalmente per i suoi ritratti e autoritratti realizzati esclusivamente a inchiostro della penna nera. Un altro famoso artista che fece uso della penna a sfera fu Andy Warhol, che utilizzava la biro per creare figure e ritratti in stile naïf, creando un certo scalpore nel trasformare l’ordinario in straordinario. Il Lee è il personaggio più conosciuto per il suo lavoro pioneristico con la penna a sfera, cominciato più di 30 anni fa e che continua ancora oggi. Il Lee offe una grande ampiezza di approcci e mezzi mentre indaga sulla linea e sulla forma nei suoi lavori, con l’intento di creare un universo coeso e insieme in espansione in tutte le direzioni. La cosiddetta “Doodling Art” è dunque divenuta un vero e proprio stile per molti artisti, che hanno sperimentato la capacità della penna sfera per esprimere le proprie idee e trasferirle in immagine con rigorosa energia grafica. Usi non convenzionali Che sia di vetro, ceramica e lacca, proprio come la prima Biro, o di plastica usa e getta, come la realizzò Bic, o ancora di polistirolo, con tubetto di polipropilene o polietilene, con la punta in acciaio inox o carburo di tungsteno, come la troviamo oggi, la penna a sfera nella vita quotidiana rimane un oggetto versatile, che affianca al tradizionale impiego scrittorio una vasta gamma di utilizzi alternativi.

Paddle8: SBL-060, opera a biro di Il Lee.

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La penna a sfera viene dunque impiegata: - Nel gioco, per la costruzione di piccoli oggetti o come forma di giocoleria: penspinning è l’arte della manipolazione coordinata di uno strumento di scrittura, per ottenere effetti spettacolari e piacevoli chiamati “trick”; - Per uso “medico”: la penna a sfera può essere utilizzata per salvare una vita, come strumento di autodifesa o come strumento di messa a fuoco nell’oculistica; - Per il salvataggio: fu proprio una penna a sfera a salvare l’Apollo 11, in quanto tale strumento riattivò l’interruttore che avrebbe dovuto azionare il motore della risalita e che in precedenza era stato danneggiato: - Come strumento anti-stress; - Per creare uno chignon; - Come puntatore; - Per grattarsi; - Come punzone; - Come strumento appuntito per aprire pacchetti; - Per pulire piccoli spazi o schiacciare piccoli pulsanti; - Per annodarsi i pantaloni secondo l’usanza indiana; - Per arricciare nastri; - Come cerbottana; - Come bacchetta per “suonare”; - Come una graffetta: il tappo della penna può essere usato per chiudere pacchetti e per tenere insieme blocchi di carta; - Per marcare la piega di un foglio di carta; - Per creare cerchi perfetti (impiego di due penne); - Come unità di misura.

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Briefing aziendale Oggi più che mai, nell’era tecnologica dominata dagli smarphones, dai tasti e dai fogli elettronici che hanno preso il posto di carta e penna, rendendo la grafia piatta, uniforme e impersonale, la biro rimane lo strumento che più ricorda l’essere umano. La penna a sfera è tuttora sinonimo di indipendenza, di libertà di espressione, come mezzo di estensione del pensiero. Questi sono i concetti che l’azienda, nata nel 2015, ha deciso di fare propri. Una start-up produttrice di penne a sfera sorta a Budapest, cuore pulsante dell’Ungheria e patria della biro, che poggia su solide radici risalenti al suo fondatore: László József Bíró. Il Signor Jorge Bíró, pronipote argentino di László József Bíró e proprietario dell’azienda ungherese, vuole guardare al futuro, mantenendo ben salde le proprie radici. Ripartendo dall’esperienza passata e con l’intenzione di rivendicare il nome del nonno, Jorge Bíró ha deciso di rilanciarsi sul mercato, impedendo che gli sforzi del proprio antenato vadano vanificati.

László József Bíró.

Concept La penna a sfera è un oggetto semplice. È uno strumento di comunicazione e, più in generale, di espressione libera: si usa per scrivere, disegnare, scarabocchiare. Oggi gli strumenti digitali stanno soppiantando quelli analogici, tanto che spesso disimpariamo l’uso di questi ultimi. La penna a sfera rimane tuttavia un oggetto democratico, che chiunque conosce dovrebbe sfruttare per comunicare, in quanto consente la più immediata espressione spontanea. Scriball nasce dalla volontà di restituire all’originale penna ungherese di Laszlo Bíró i connotati che sta perdendo, in qualità di mezzo di espressione creativa, alternativa e unica.

Marcel Bich.

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Perché Scriball? Scriball, ink your way. Il termine “Scriball” nasce dall’unione di “scribble”, col significato di scarabocchiare e “ball”, in quanto la brand incorpora valori quali l’espressione libera e analogica. “Ink your way” rappresenta il payoff, col significato di lasciare alle persone, punto cardine della marca, la possibilità di esprimere liberamente il proprio segno, divertendosi e restando fuori dagli schemi. Esso incorpora brand vision e mission: la marca vede “un mondo dove tutti possano esprimersi liberamente con una biro”, e ha la missione di mettere “una biro in ogni mano”. Il sistema dei segni è caratterizzato da un logotipo poco canonico, caratterizzato da un lettering totalmente affidato alla calligrafia, unica e diversa da ogni altra. Tale scelta è stata fatta per enfatizzare quanto la brand promuova un segno spontaneo ed è stato creato un font coerente ad hoc per la riconoscibilità delle comunicazioni scritte della marca.


Mood aziendale La start-up vuole distinguersi portando avanti i propri valori e assume un carattere irriverente, esuberante poiché mossa da un forte desiderio di riscatto. L’azienda pone l’accento su una penna a sfera che, oltre a svolgere i suoi consueti compiti, quali scrivere e disegnare, può trasformarsi e diventare uno strumento giocoso e coinvolgente, che mira a dare forma al divertimento e a scenari ironici. Attraverso una comunicazione allegra e frizzante, l’obiettivo è così quello di utilizzare immagini di forte impatto visivo. I colori, che rendono Scriball riconoscibile, sono toni forti di azzurro, magenta, arancione e giallo: queste nouances rispecchiano il tono di voce scelto. Tali colori sono accesi, vivaci e luminosi e sono associati a specifiche illustrazioni, fondamentali per la marca. I soggetti Scriball sviluppa la sua comunicazione a partire dal cliente, in particolare quattro sono gli utenti target. A ogni soggetto corrisponde un mondo, una storia che lo caratterizza. La giraffa, tra i protagonisti della brand, esprime la giocosità tipica dell’infanzia. Essa viene inserita nel contesto della savana insieme ad altri animali e a segni grafici “primitivi” a penna. Il secondo soggetto, il mascara, è stato pensato per essere associato all’universo femminile: un mondo spiritoso e di carattere. Al cacciavite viene invece associata una connotazione maschile, che viene esaltata in tono divertente insieme ad altri strumenti simili. L’ultimo protagonista è l’ombrello, a rappresentare personalità più introverse.

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Artefatti comunicativi Scriball è una marca divertente e frizzante e con lo stesso intento vuole arrivare agli occhi della gente con l’estetica. Gli artefatti comunicativi sono alla base della brand e ognuno di essi è pensato per essere coerente e in linea con il mood aziendale. Packaging Le scatole, con la loro forma, colore e vivacità, stimolano la creatività, proponendo un immaginario fatto di tratti spontanei e giocosi. Essi contengono una sola penna, lasciata intravedere da un ritaglio in plastica trasparente e inserita in modo tale da interagire con l’illustrazione che la circonda. Le scatole singole sono inoltre pensate per poter essere appese. Oltre a realizzare dei packs contenenti un singolo strumento è stata realizzata una versione più grande per contenere più penne, che ha anche funzione di dispenser da ufficio o espositore da cartolibreria. I disegni a mano fanno da filo conduttore e colori e texture si intrecciano per enfatizzare il carattere ironico della brand.

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Stampati I biglietti da visita riprendono le tonalità proprie della marca, e il volantino, contente la linea di prodotti Scriball, è il linea con lo stile della brand. Si è pensato di realizzare una brochure pieghevole con l’intento di coinvolgere l’utente, infatti nel volantino ci sono spazi per annotazioni o disegni. Affissioni e social media Scriball punta a una strategia comunicativa digital, basata sull’uso sia nel sito che nei social, di illustrazioni e dei quattro colori base. Le immagini per i supporti digitali mantengono un carattere irriverente e completano la spiccata personalità di marca. La start-up ungherese si propone anche su canali tradizionali tramite una campagna di affissione per il lancio che prevede manifesti di grandi dimensioni e super-grafiche per un oggetto piccolo ma di estrema centralità.

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Il sito web La strategia comunicativa si propone anche di creare una community di creativi armati di penna. Di fondamentale importanza per la nostra marca è quindi il sito web, realizzato in HTML, CSS e Javascript. È un sito semplice, con una homepage e quattro sezioni dal carattere informativo, di vendita, di exhibition, e la sezione dedicata alla raccolta di pattern tematici creati dagli utenti, mediante un contest finalizzato alla creazione di un pack in edizione speciale. Tale sezione è stata creata con l’aiuto di una libreria di jQuery che ha permesso di creare un disegno a mano libera sullo schermo.

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Macchina comunicativa Comprendere quale fosse il modo migliore di restituire agli utenti una esperienza che parlasse in modo approfondito e trasversale della brand Scriball e del suo prodotto è stata una sfida tanto interessante quanto ardua; si è ragionato su alcuni fattori che abbiamo reputato centrali: il gioco, il divertimento e la meccanica della penna a sfera. L’obiettivo strategico della macchina comunicativa è così definito: ripresentare mediante una riproposizione di un gioco classico come il flipper (che si presta all’utilizzo di una sfera inchiostrata) una versione macroscopica del funzionamento della penna a sfera. La finalità è anche quella di creare una piccola esperienza che faccia sì che la brand faccia parlare/ricordare di sé. Il gioco è una pratica molto diffusa nel campo dell’educazione, diversi studi scientifici ne hanno validato gli effetti positivi sull’apprendimento, quindi sono state incrociate le due necessità, la meccanica dello strumento e il gioco, per generare una esperienza ingaggiante e che proponesse una sfida. Definiti i punti “cardine” dell’installazione e di conseguenza gli obiettivi (ludico ed informativo) abbiamo stilato una lista di giochi o attività ludiche in genere che comprendessero l’uso di una sfera per raggiungere gli scopi del gioco, ma nella fattispecie attività dove alla sfera si potesse far lasciare una traccia. Con l’intento, quindi, di valorizzare il tratto d’inchiostro rilasciato dalla penna a sfera e di restituire anche nell’installazione il mood divertente e giocoso di Scriball, si è deciso di realizzare un flipper, gioco universalmente conosciuto e che ha segnato un’epoca, proprio come la penna. Il flipper invita sempre alla sfida. Queste sono le motivazioni che hanno reso possibile che l’esperienza degli utenti riscontrasse una risposta positiva, generando engagement per la facilità del funzionamento del gioco, senza necessità di istruzioni e quindi user-friendly, caratteristica ulteriore in comune con la penna a sfera. La differenza del flipper Scriball da ogni altro esemplare è che la pallina, prima dell’inizio della partita viene inchiostrata, quindi durante il gioco traccia linee sul foglio di carta posto sul piano inclinato del flipper. Sul foglio, che viene sostituito alla fine della partita, si genera un artwork astratto, imprevedibile, unico, come la grafìa di ognuno.

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Realizzazione Il primo passo è stato capire come poter effettivamente realizzare le leve sulle quali far rimbalzare la pallina, in modo da testare le dinamiche di gioco e i meccanismi di funzionamento del pinball. Abbiamo quindi prototipato tali leve in modo totalmente artigianale, partendo da delle assi di legno che abbiamo tagliato sulla base delle nostre esigenze. Nel secondo step ci siamo dedicati allo studio del peso della sfera, della sua dinamica sul piano di gioco e dell’inchiostraggio. Dopo vari tentativi e svariate prove, siamo riusciti a trovare l’inchiostro piĂš idoneo: un inchiostro abbastanza denso da poter essere applicato al canale di passaggio della pallina e capace di restare impresso sulla sfera per un tempo di gioco sufficiente.

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Il potere dell’analogico Il Flipper è un gioco dinamico che coinvolge appieno il giocatore per pochi secondi, il quale può dimostrare le proprie abilità a qualsiasi età, attraverso un’esperienza interattiva sempre imprevedibile e stimolante perché pone sempre un record da battere. Si è deciso di realizzare un pinball completamente analogico per rispecchiare ed esaltare al meglio le caratteristiche della penna a sfera che, proprio come il flipper di Scriball, permette di lasciare un segno personale e sempre diverso. È stato posto l’accento sull’aspetto analogico della macchina per mettere in evidenza il fattore ingegneristico e per valorizzare il piacere della materia a scapito dei tanti simulatori che oggi esistono. Il flipper è stato realizzato a dimensioni reali, ovvero fedeli ai flipper/Pinball degli anni ‘70 (120x56x105 cm, ai quali si aggiungono in testa 60 cm di pannello contenente lo schermo), perfettamente riconoscibile e accessibile a tutti dal primo utilizzo, in grado di ricostruire del tutto l’esperienza di gioco reale.

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Tecnologie applicate Per creare un’esperienza più avvincente si è deciso che fosse misurata a distanza la lunghezza del tratto lasciato dalla pallina, grazie all’integrazione di una webcam e un computer. La webcam sfrutta le funzionalità della libreria Open CV in ambiente Java. La suddetta libreria ha consentito di applicare due tecniche specifiche per identificare gli spostamenti della pallina: la prima, quella della background subtraction, consente di identificare gli oggetti in movimento mettendo a confronto i frame successivi dell’input video, definendo così i cambiamenti tra gli uni e gli altri. La seconda tecnica incrociata a quella appena illustrata è la color detection, che identifica gli oggetti in base ai colori specificati nel main code. Una volta resa possibile l’identificazione degli spostamenti della pallina si è creata una matrice dove ad ogni pixel è stata associata una unità di misura reale (del campo di gioco), la somma dei pixel convertita in unità metriche dà la distanza percorsa da ogni pallina.

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Sopra: dettaglio del meccanismo per lanciare la pallina. Sotto: Scriball flipper.

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Sopra a sinistra: vista del piano di gioco dopo alcune partite. Sopra a destra: le 2 fasi di sostituzione del foglio. Sotto: momento di gioco alla mostra.

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Spazio espositivo Lo spazio espositivo fieristico è progettato coerentemente con la filosofia di marca e ed è pensato per valorizzare la macchina comunicativa e gli artefatti progettati ivi esposti. L’installazione si dispone come una circonferenza (dal diametro di 3m), così da richiamare l’idea della sfera e del gioco e vuole essere una riproposizione della storia della penna dal punto di vista ingegneristico, in versione macroscopica. Lo spazio è delimitato da quattro pannelli esterni (1,10x2,20 m) lungo la circonferenza che lasciano quattro varchi aperti (quello frontale è più ampio, 1,80x2,50 m), così da permettere agli utenti di osservare l’interno e di giocare con facilità. I tre varchi minori sono punti d’accesso sufficientemente ampi per poter guardare dal retro l’interno dell’installazione. La grafica esterna dei pannelli riprende i colori e i soggetti Scriball, mentre la grafica dell’interno è caratterizzata da una trama di schizzi d’inchiostro incrociati.

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Gioco Protagonista dell’installazione è la sfera che traccia scie d’inchiostro sul flipper, posizionato al centro della scena. L’utente potrà immergersi in un’esperienza in cui sperimenterà il potenziale espressivo della penna a sfera sotto forma di macchina comunicativa, in piena sincronia con il concept del payoff: “ink your way”. Infatti dopo ogni partita le tracce della sfera che si generano sul foglio diverranno una vera e propria opera sempre differente. Gli utenti avranno la possibilità di sfidarsi a chi percorre la distanza maggiore mantenendo la pallina in gioco, grazie al calcolo in tempo reale della distanza percorsa. I fogli vengono sostituiti ogni volta che l’artwork si reputa completo e appesi sul retro del pannello centrale.

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L’apporto del gioco nel progetto del Laboratorio di Sintesi Finale Sulla base delle nuove conoscenze di gamification ho cercato di far luce su quanta efficacia abbia effettivamente avuto l’uso del gioco nella macchina comunicativa di Scriball, ossia un flipper. Quest’ultimo è il supporto dove si crea l’esperienza vera, di contatto, tra la brand e l’utente finale. Il suo obiettivo è quindi, a livello strategico, ingaggiare l’utente, far divertire, ma incentivare anche la loyalty. La macchina è effettivamente una rivisitazione di un gioco considerabile come un classico, molto diffuso nelle sue più svariate versioni elettroniche negli anni ‘70, ma con origini ancor più remote: il flipper. Lo abbiamo scelto perchè ci assicurava, per la sua fama di gioco divertente, da sempre user-friendly. Il boom dei videogiochi “arcade” negli anni ‘80 ha causato un notevole calo di diffusione e produzione, ma nonostante ciò c’è stato un ritorno negli anni ‘90 con meccanica ed elettronica ancora più elaborate, fino ad arrivare ad oggi dove è ancora in vita, ma l’industria di settore crea soprattutto “edizioni speciali” tributo oppure dei simulatori sofware giocabili da pc, che però non restituiscono un’esperienza al livello degli anni d’oro. Così, la versione che abbiamo progettato e realizzato per Scriball si basa su una rivisitazione completamente completamente analogica, se escludiamo la webcam che fa parte del sistema dei punti e non intacca il gameplay. Sul campo da gioco abbiamo deciso di posizionare solo degli slingshot con (fasce elastiche) e delle rampe metalliche; è stato lasciato molto spazio “vuoto” affinchè si generi sul folgio sottostante un artwork casuale ricco di linee che formano disegni, parzialmente imprevedibili e differenti ogniqualvolta si faccia una nuova partita. Si sarebbe potuto pensare ad un sistema flessibile che consentisse il posizionamento delle slingshot in modo che i rimbalzi della pallina fossero differenti da quelli che abbiamo predisposto: si sarebbero potuti così generare delle mappe di ostacoli personalizzabili che avrebbero a loro volta generato motivi differenti sulla carta.

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Nel gioco originale il divertimento è assicurato, e la motivazione a giocare è garantita, in quanto il sistema per guadagnare punti prevede che vengano colpiti numerosi e differenti target, o si venga ostacolati dai più disparati ostacoli che sono costituiti da parti meccanico-elettroniche quali bumper, target, spinner, rollover, buchi, switches, porte, stopper, magneti... La semplicità della versione di Scriball, invece, prevede un sistema differente di misurazione della prestazione: la distanza percorsa dalla sfera inchiostrata. Questo comporta che, per i fini strategici della brand, la nostra versione del gioco abbia avuto un riscontro positivo (apprezzato nella sede della mostra “What if” e anche quando il flipper è stato lasciato incustodito all’entrata del campus). Ecco ribaditi gli obiettivi strategici che comunque possiamo dire di aver raggiunto con la nostra versione: -

far vivere un’esperienza che raccontasse la brand; far divertire; remunerare la partecipazione; incentivare la loyalty; accrescere l’engagement.

È altresì certo che la scarsa quantità di ostacoli, ed un campo di gioco finalizzato più alla creazione di un disegno sul foglio che ad essere un campo pieno di ostacoli dove cercare di fare più punti possibile, rendono l’esperienza efficace per raccontare i valori e lo spirito giocoso ed analogico della brand, a scapito di una giocabilità perfetta come nei flipper normali che per la maggior parte sono progettati per essere usati a gettoni, e quindi che nascono per generare guadagno, sfruttando la leaderboard per spingere a giocare per battere il record più alto.

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Risultati

Sotto quattro momenti catturati mentre il flipper è rimasto incustodito di fronte all’entrata della Scuola del Design.

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I risultati hanno confermato l’efficacia della macchina rispetto agli obiettivi strategici stabiliti in fase di concept. Nel corso di un test etnografico svolto nel campus Bovisa, che è consistito nel lasciare il flipper (incustodito) in un luogo di passaggio, esso ha attratto l’attenzione di molti, ha divertito e si è spiegato da solo, senza l’intervento di nessuno. Le riprese nascoste dei passanti testimoniano l’efficacia dello strumento di comunicazione e il raggiungimento degli obiettivi strategici, tanto è che successivamente gli stessi utenti che avevo giocato riconoscevano e ricordavano la brand semplicemente dalla palette cromatica, elemento di fondamentale importanza nella strategia di differenziazione della marca. Un secondo test si è svolto all’evento “What if” dove sono state esposte tutte le macchine comunicative realizzate durante il Laboratorio di Sintesi Finale, è stato riscontrata anche qui una risposta positiva agli effetti desiderati dalla strategia.


A destra quattro momenti di gioco catturati durante l’esposizione “What if”, Milano, 4 marzo 2017.

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Casi studio

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JAY-Z, DECODED, 2010 Un esempio complesso, ma di particolare interesse in quanto si pone sul confine tra Gamification e ARG (Alternate Reality Game), includendo un’importante componente di Storytelling, è quello relativo all’uscita del libro autobiografico di Jay-Z, “Decoded”. Icona della cultura pop, rapper, artista hip-hop e imprenditore, Jay-Z è famoso tanto per la sua musica quanto per i suoi testi, non sempre di facile lettura e spesso basati su racconti altamente personali e su riferimenti alla vita di strada.

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Il libro è stato lanciato nel 2010 con il supporto dell’agenzia newyorkese Droga5 e la collaborazione di Bing, il motore di ricerca di Microsoft. Come? Partendo dall’assunto che i fan di Jay-Z sarebbero stati avidi di avere i commenti dell’artista sulle sue liriche, in cui le parole si piegano al ritmo della musica e hanno a volte significati nascosti, il lancio è stato impostato come sfida collettiva: ovvero come esperienza di ricerca multi-piattaforma e gioco interattivo, atto a dare ai fan il modo di decodificare la vita e l’opera di Jay- Z, nonché di individuare i luoghi fisici che l’hanno ispirata. Jay-Z con Droga5 hanno trasformato la lettura in un gioco per adulti: la gamification era pensata per accrescere le vendite del libro, ma aveva anche l’intento di portare nuovi utenti a Bing che in quell’anno seguiva Google e Yahoo come motore di ricerca, all’11%. Non volendo fare affidamento su una strategia di marketing tradizionale, Jay-Z, Droga5 e Bing sono stati precursori della gamification con questo progetto. L’idea è stata quella di stampare 300 diverse pagine del libro stesso in luoghi reali, sui più disparati supporti, e nei luoghi più insoliti o più mainstream dove l’artista stesso aveva vissuto gli episodi raccontati nel libro, promuovendo una sorta di caccia al tesoro online e per strada. Infatti l’esperienza lanciata da Bing sfrutta delle mappe 3D interattive dove gli utenti potevano cercare per le vie di New York, Los Angeles, New Orleans, Miami e Londra, dei pezzi del libro da poi collezionare e ricomporre possibilmente per intero per vincere premi tra cui copie autografate del libro o un viaggio a Las Vegas comprensivo di concerto di Jay-Z. L’esperienza immersiva online utilizza molti lati di Bing, incluso Bing Maps e Bing Entertainment, per dare ai fan pieno accesso alle storie dietro alle canzoni di Jay-Z. Lo scopo quindi era che il libro venisse così decodificato (decoded). Questa esperienza di gioco interattiva genererà un valore uguale al doppio della cifra investita, e aumenterà la quota di mercato di Bing al valore più alto dal lancio nel 2009, acquisendo peraltro una fascia di utenti giovani. Al tempo la soluzione ha accresciuto notevolmente l’engagement perché è stato un social media game che ha incuriosito i fan proprio per il rilascio anticipato dei contenuti del libro ed è riuscito anche a spingere alla lettura altre fasce del target costituite da non-lettori ma individui comunque interessati.

Sopra: molti sono i negozi e locali coinvolti nel progetto di gamification. La selezione dei supporti non è mai casuale.

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Di questo caso, colpisce la maniera assai sofisticata in cui la dimensione narrativa interseca il processo di Gamification, costruendo la motivazione a giocare in un’operazione da un lato artefatta, dall’altro profondamente radicata nella vita, nelle parole e nelle storie autentiche di questo artista. Ecco i risutati in numeri: - 11 minuti di engagement medio del giocatore per visita; - 1 mln di fan in più per Jay-z su Facebook; - Bing diventa parte della “pop-culture conversation” e cresce dell’11,7% perché un numero enorme di testate giornalistiche, artisti, e brand che hanno preso parte al progetto ne parlano; - Bing entra tra i 10 siti più visitati di sempre.25

25. Fonte: Bing & Msn marleting analytics.

Sotto: dal sito, grazie alle mappe di Bing, è possibile esplorare le città interessate per cercare le pagine nascoste tra i palazzi e le vie, e collezionarle per completare il libro.

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Sopra: Jay-Z ha gamificato perfino il fondo di una piscina... A sinistra: ...e l’interno di una giacca Gucci in edizione limitata.

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MCDONALD’S,TILL TRAINING, 2014 Un caso di successo della Gamification applicata nel segmento della formazione aziendale è stato realizzato nel 2014 da McDonald’s. I corsi di formazione/aggiornamento sono solitamente uno dei segmenti più disengaging nella sfera lavorativa, corsi percepiti come noiosi che spesso lasciano poco. Eppure è bastato riprogettare queste esperienze per renderle più appetibili e partecipative raggiungendo ben 2 obiettivi: abbassare i costi di erogazione (no sedute in aula, libri di testo) e veicolare in modo migliore i contenuti. In quest’ultimo scorcio di 2014, McDonald’s ha utilizzato un approccio gamification-based per velocizzare e favorire la comprensione del nuovo sistema di cassa, implementandolo in oltre 1300 punti vendita sparsi per il mondo. La realizzazione del progetto è stata affidata all’agenzia Kineo con ottimi risultati.

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Till Training Game è il primo progetto di e-learning gamification di McDonald. I risultati dopo un anno di implementazione: - 145.000 pagine visitate dal portale, di fatto il portale di training più utilizzato di tutti i tempi in McDonald (pur non essendo obbligatorio per i dipendenti); - l’85% dei dipendenti l’ha utilizzato; - riduzione di 7.9 secondi sul tempo medio di evasione di un cliente; - aumento di spesa medio di 15 penny ad utente, equivalenti a 18.000 sterline per punto vendita. In totale il vantaggio annuo in UK è stato di 23.7 milioni di sterline Mark Reilly, Corporate Training Manager, ha espresso parole chiare sul progetto: “Questo gioco è stato inserito silenziosamente sul portale accessibile solo dal nostro personale senza alcun tipo di pubblicità o raccomandazione da parte dei direttori dei punti vendita. Il personale l’ha trovato, giocato, rigiocato e condiviso. Il punto di forza del progetto risiede nella sfida fresca e originale che proponiamo incentivando i nostri lavoratori a provare e sperimentare per avere successo, che è ciò che dovrebbero fare i learning tools come questo. Dal punto di vista aziendale abbiamo riscontrato significativi miglioramenti nell’esperienza lato utente, nelle vendite e nelle metriche di fatturato. Sicuramente dall’UK questo progetto sarà allargato in altre nazioni europee e lavoraremo su nuovi prodotti game-based”.

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Molti i principi del game design implementati in Till Training Game. Come evidenzia l’immagine, il layer di gioco si incastra a sinistra nella schermata che visualizza normalmente il cassiere. Si evincono elementi di gamification come il punteggio acquisito ed il livello raggiunto. È stata inserita anche la meccanica della pressione temporale ed una serie di missioni per tenere vivo l’engagement. Ovviamente non manca una parte di statistiche che scatena senso di competizione. - “Perfection”: espleta l’ordine 100% correttamente; - “3 on the bounce”: prendi 3 ordini corretti consecutivi; - “Beat the clock”: termina il gioco nel tempo assegnato; - “Happy camper”: mantieni la barra di soddisfazione del cliente alta.

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FOURDESIRE, PLANT NANNY, 2013 Idratarsi e consumare almeno due litri d’acqua al giorno non è solo uno dei tanti consigli che si trovano navigando su internet e nei quali si incappa durante i periodi caldi dell’anno: è un aspetto fondamentale per l’equilibro del nostro corpo. Uno scarso consumo di acqua può portare a frequenti emicranie, ma anche a stanchezza, dolori muscolari, oltre che a problemi di digestione. Insomma bere è fondamentale per mantenere sano il nostro organismo, ma ricordarsi di farlo non sempre è immediato. Per questo nasce Plant Nanny, l’app che invoglia a bere e che fa della gamification l’aspetto principale della sua missione.

L’evoluzione della pianta segue più stadi, ed è possibile solo se si mantiene l’idratazione, proprio come in natura.

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Plant Nanny è un’app pensata sia per iOS che per Android, che permette di misurare il nostro consumo di acqua e berne la giusta quantità giornaliera. Dopo aver indicato all’app il peso e il livello di attività fisica, si deve scegliere una pianta virtuale da accudire: siamo di fronte a un gioco che sfrutta la metafora della cura di una pianta che, così come il nostro corpo, ha bisogno di idratarsi. Il sistema, inoltre, calcolerà anche la quantità necessaria di acqua ogni giorno: se, per esempio, pesate 76 chili e la vostra attività fisica è orientata sull’essere sedentari, Plant Nanny vi farà sapere che per voi sarà necessario bere almeno due litri e mezzo di acqua al giorno. Per gli amanti della botanica, l’offerta di piante è abbastanza variegata: si va dal Pothos del Pacifico, la pianta di default, fino al Dandelion dell’Eurasia, chiaramente tutte disegnate in stile cartoon, per restare in linea con l’aspetto giocoso dell’app. L’obiettivo è quello di prendersi cura della pianta annaffiandola costantemente: ogni volta che berrete, quindi, dovrete selezionare nell’app il relativo volume di acqua ingerito e versarlo all’interno del vaso. La pianta, così, avrà il necessario apporto di acqua dalla sua, inoltre si possono anche impostare dei preset di quantità, così da non dover ogni volta misurare precisamente quanti ml di acqua state bevendo. Le dimensioni previste sono dieci, dalle bottigliette che potete trovare presso i distributori automatici fino al classico bicchiere di vetro, passando anche dalle borracce: così facendo si evita anche quella che per alcuni potrebbe diventare una perdita di tempo, ossia la misurazione dell’acqua bevuta. Al termine della giornata, inoltre, Plant Nanny farà sapere se si ha effettivamente bevuto il quantitativo suggerito e guiderà bevuta dopo bevuta al raggiungimento dell’obiettivo prefissato.

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Oltre a questo Plant Nanny si preoccuperà anche di indicare la strada corretta da seguire attraverso un sistema di achievements: i primi due si sbloccano senza difficoltà, perché basterà bere il vostro primo bicchiere d’acqua e completare il tutorial, ma tutti quelli che verranno dopo – quasi cinquanta – richiederanno di portare a termine azioni anche sul lungo periodo, così da spingere al non abbandono dell’app. Bere abbastanza acqua per tre giorni consecutivi, arrivare ad avere tre tulipani nel vostro giardino portando almeno due di essi a essere rigogliosi e ricchi di acqua, ma anche condividere almeno 50 foto della vostra pianta sono alcuni degli obiettivi da raggiungere. D’altronde il modo più facile per far conoscere un’app, in questi casi, è quella di far girare il proprio marchio sui social: premendo sull’icona della macchina fotografica, quindi, c’è la possibilità di scattare una foto alla pianta e condividerla su Facebook e Twitter, così da incuriosire gli amici. Se l’attività è portata avanti in maniera regolare, la pianta inizierà a crescere e diventare sempre più rigogliosa, così come ne avrà beneficio il corpo. In ogni momento si può decidere di cambiare la pianta, accedendo allo store integrato. Ovviamente anche in tal caso entra in gioco l’aspetto delle microtransazioni, là dove la moneta virtuale sarà quella dei semi, utili per sbloccare alcune caratteristiche aggiuntive delle piante. In alternativa i semi possono esser sbloccati anche guardando dei video pubblicitari. Va da sé che Plant Nanny va presa per quello che è il suo scopo principale, ossia tracciare il consumo di acqua e fornire uno storico delle attività recenti, arrivando ad attivare un “drinking reminder” interamente da personalizzare. Sarà fondamentale cogliere l’approccio giocoso dell’app, così da non doversi trovare dinanzi a un mero misuratore di acqua ingerita, ma a una pianta che va accudita e della quale si dovrà prendersi cura, proprio come va fattocon l’organismo.

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OPOWER (start-up), 2007 Ci sono svariate attività che spesso possono risultare faticose: la vita scolastica e lavorativa, la raccolta differenziata, il prendersi cura di noi stessi attraverso una corretta alimentazione, o ancora partecipare ad una raccolta fondi da parte di enti no profit. A queste ed altre situazioni la gamification sta offrendo tecniche e teorie attinte ampiamente da quella straordinaria industria dell’engagement che sono i videogiochi, e elementi presi dalla psicologia, scienze comportamentali e neuromarketing. Uno dei settori mass-market su cui più bisognerebbe incidere è sicuramente quello del risparmio energetico tra le mura domestiche. Spesso non ottimizziamo i nostri consumi dimenticandoci in stand-by elettrodomestici, non installando le migliori fonti di luci o dimenticando di manutenere gli impianti. Tutto questo ha un costo per noi a livello economico, per la collettività a livello ambientale e per le aziende di settore che non possono rendere più efficienti le linee per via di questi sprechi. Per un’azienda come Enel, questo comporta la costruzione di nuove centrali, nuove tubature, nuovi accordi con i fornitori con relativi costi ingenti. Sono già alte le cifre spese ogni anno in campagne di sensibilizzazione dai grandi colossi del settore elettrico, eppure il messaggio fatica a raggiungere l’audience per una serie di ragioni, tra le quali sicuramente la mancanza di engagement ed una visione poco customer-centrica. A sinistra: così si presenta il sito del team di OPOWER che cura la user experience. “La nostra missione è fare design come se il mondo ne dipendesse.”

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Esiste inoltre l’applicazioneOpower Thermostat che è un modo divertente, semplice e facile da usare per controllare l’utilizzo di energia domestica da qualsiasi parte, in qualsiasi momento, utilizzando uno smartphone Android. Fornisce diverse visualizzazioni dei dati.

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Provando a mischiare le carte in tavola, sempre più corporation stanno facendo propria la disciplina della Gamification per ripensare radicalmente il rapporto con i propri utenti creando esperienze più coinvolgenti, emozionanti, di sfida, narrativamente intriganti e che ci premino per i nostri sforzi. Un report rilasciato a Gennaio 2014 da IDC Energy Insights dal nome “Business Strategy: The Role of Gamification in Utilities’ Consumer Engagement” affermava che le aziende del ramo utilities avrebbero speso in tools, apps e servizi di gamification circa 13.5 milioni di dollari nel 2014 con un aumento del budget a 65 milioni nel 2016. Sempre IDC Energy Insights si aspettava che dal 2016 il 60% dei rivenditori di energia mondiali avrebbero utilizzato almeno una applicazione gamificata. In questo contesto sono nate sin dal 2012 interessanti start-up che sfruttano al meglio alcune tecniche tipiche dei videogiochi per informare e rendere più “smart” l’utente elettrico. Tra di queste sicuramente spicca l’americana oPower, la cui piattaforma è adottata da oltre 90 aziende elettriche mondiali arrivando nelle case di 60 milioni di individui dopo l’acquisizione nel 2016 da parte di Oracle. Registrandosi alla social-app si viene catapultati in un vero e proprio tool di gamification che, partendo dall’analisi dei propri consumi, inizia a stilare classifiche di virtuosità elettrica. In ogni istante è possibile sapere quanto si sta consumando e quanto consumano i propri parenti ed amici scatenando delle gare di risparmio. Il tutto è farcito da frequenti consigli sul risparmio energetico e dall’aggiunta di gruppi all’interno dei quali collaborare per raggiungere obiettivi di risparmio collettivo. Immaginiamoci un intero condominio che collabora per risparmiare luce sulle parti comuni al fine di risparmiare e ottenere riconoscimenti. In origine l’app funzionava così: il processo di registrazione passa attraverso quattro passi: - formulario con domande sulla propria abitazione: grandezza, tipologia di impianto, presenza di piscina, numero di residenti ecc... - inserimento del proprio operatore energetico, ed ecco che “magicamente” i propri dati elettrici diventano di pubblico accesso. Questa infrastruttura tecnologica è stata incentivata dal governo americano e prende il nome di “Green Button”, gestito da un’organizzazione cross-operatore. Così facendo il sistema ha accesso anche allo storico delle bollette dando vita ad un comodo sistema di visualizzazione - infine è possibile invitare i propri amici nel gioco, classico ma sempre ottimo strumento per viralizzare l’iniziativa soprattutto in un contesto come questo in


cui sfidare un parente può portare ad una vittoria per ambo le parti. La componente di analytics e Big Data è sicuramente fondamentale nel creare senso di sfida e competizione. Come gli psicologi hanno dimostrato, l’essere umano è portato ad imitare dei comportamenti altrui. Se gli viene detto che altri consumano meno energia perché utilizzano degli accorgimenti, egli sarà spinto ad emulare. A sinistra: Home page del sito internet. La call to action nel secondo screen recita: “Risparmia energia con i tuoi amici”.

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Una app sociale ha proprio questo straordinario potere: rendere collettiva l’esperienza tirando fuori dalla sua solitudine il consumatore che altrimenti difficilmente prenderebbe in considerazione le istruzioni inviate tramite una brochure. Accanto a questo istinto base, al fine di guidare i comportamenti gli sviluppatori hanno implementato un paio di altre meccaniche interessanti volte ad aumentare l’engagement. In ogni momento è sempre attiva una “Challenge” che il sistema sottopone a tutti gli iscritti all’app. Solitamente essa ha una durata temporale stabilita e chiede a singoli o gruppi di raggiungere determinati risultati di risparmio energetico promettendo in cambio non solo gloria ma anche premi con voucher per acquisti, ricariche sulla carta di credito o risparmi in bolletta. Alcune aziende hanno inoltre attivato sfide riservate ai loro clienti. Il risultato di questo tool di gamification? Il consumo di energia tra i suoi utilizzatori è diminuito del 2.5% con oltre 3 miliardi di kwh salvati come mostra il counter in bella mostra sul sito internet. L’azienda è riuscita a creare una situazione vincente per tutti, traendone 10 dollari a customer e divenendo ben presto autosostenibile dopo i finanziamenti ottenuti tra il 2007 ed il 2009. Il Consiglio americano per l’Economia dell’efficienza energetica ha concluso in un rapporto del giugno 2010 che i programmi di customer-feedback, come Opower, potrebbero aumentare la sicurezza energetica, aiutare l’ambiente e far risparmiare denaro ai consumatori. Secondo lo studio, “il feedback sta dimostrando un primo passo importante nel coinvolgere e responsabilizzare i consumatori a gestire le loro risorse energetiche”.

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A sinistra: L’app si basa molto sulla competizione con l’efficienza delle altre famiglie e stila una classifica dei consumi da cui deriveranno eventuali achievements.

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U.S. NAVY, project ARCHITEUTHIS, 2015 Il Progetto Architeuthis è il primo Alternate Reality Game (ARG) mai lanciato da un ramo delle Forze Armate Usa. Nel 2015 Navy aveva una missione: individuare dei candidati ideali per il settore della crittologia. Il target è quindi molto ridotto, difficile da trovare, ancora più difficile da reclutare, e rappresenta meno del 0,0004% della popolazione statunitense.Alla Navy hanno così capito che invece di uscire e cercare di trovare gli individui del target, la soluzione più semplice sarebbe quella di attrarli verso di sè. E i giocatori di ARG hanno tutto ciò che la Navy Cryptology cerca: un’alta intelligenza, una motivazione, una logica, creatività, curiosità e tenacia.

Sotto: La call to action sul sito recita: “Sai pensare come un crittologo?”

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Il progetto Architeuthis si basa sulla storia di un ente misterioso che rapisce l’ingegnere di un progetto segreto per la costruzione di armi. Maria - il coraggioso crittologo della marina - nel corso dei successivi 18 giorni invia messaggi codificati, codici cifrati, pittogrammi e altro con indizi integrati. Ogni puzzle risolto apre la porta per il prossimo puzzle. I giocatori continuano a sbloccarli finché non tracciano la base segreta del nemico, affinché la Marina possa inviare una squadra di salvataggio. Il lancio è avvenuto tramite la pagina Facebook della Cryptology Navy senza sponsorizzazioni pagate da parte dei media. Eppure ha attirato migliaia di giocatori straordinari. La pagina di Cryptology Facebook ha guadagnato il 25% di seguaci durante la vita del gioco. Cosa più importante, la Marina ha raggiunto il suo impegnativo obiettivo di reclutamento di crittologi. Il progetto Architeuthis è un ottimo esempio di smart micro-targeting: identificato il tipo di persone che la marina cercava, è stato progettato un modo inaspettato e coinvolgente per attirarle. La U.S. Navy non stava semplicemente cercando qualcuno da reclutare, il crittologo non è un lavoro che chiunque può fare: anche molto addestramento non è sufficiente per formare queste figure, ma serve qualcuno che abbia il set di abilità richieste innato. Se la maggior parte della pubblicità può essere vista come una spada a due mani, si può dire che la Marina avesse bisogno di un bisturi in questo caso. L’azione promossa puntava a coinvolgere e fare impegnare i partecipanti nel gioco crittografico, e di conseguenza, con la reale crittografia lavorando con la Marina.

A destra: Il lancio dell’indovinello è avvenuto tramite la pagine Facebook, utilizzata come canale principale insieme a Twitter.

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L’ARG ha portato i candidati ideali alla Marina, ovvero il tipo esatto di menti che potrebbero eccellere nel campo della crittologia. Ma la Marina non è l’unico datore di lavoro che cerca questi candidati, anche NSA, CIA, FBI, DEA e altri rami militari, università e privati del settore, in costante concorrenza.

Sotto: gli screenshot testimoniano come tra i partecipanti siano nate collaborazioni e scambi di

Dato il budget limitato, e l’assenza di supporto dei media, la proposta ha sfruttatoi canali Facebook, Twitter e Instagram, oltre al sito Navy.com. I rompicapi sono stati diffusi su Facebook e gli indizi via Twitter. Ogni puzzle ha sbloccava un indizio per il puzzle successivo, mantenendo i giocatori interessati per la durata di 21 giorni. Le difficili sfide del puzzle in molti casi richiedevano il lavoro di squadra per essere risolti. I giocatori hanno aperto così le proprie piattaforme alla collaborazione: hanno creato forum, gruppi Facebook, hashtag di Twitter e altro per facilitare il lavoro in team. Alcuni gruppi hanno anche comunicato in modo cifrato affinché il “nemico” venisse a conoscenza dei risultati ottenuti. Il risultato, premiato con l’award di migliore gamification 2015 di Shorty Awards, è stato quello di rottura dei codici dell’engagement per condurre con successo un micro recruitment, individuando figure adatte per l’azienda e facendo capire a molti giocatori che quella della crittologia poteva essere la loro strada.

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BIBLIOGRAFIA - Deterding S. et al. From game design elements to gamefulness: defining gamification, ACM, 2011. - Giuliano L. I padroni della menzogna: il gioco delle identità e dei mondi virtuali, Meltemi Editore srl, 1997. - Huizinga J. Homo ludens, Einaudi, Torino, 2002. - Maestri A. Polsinelli P. Sassoon J. Giochi da prendere sul serio. Gamification, storytelling e game design per progetti innovativi. Franco Angeli Editore, Milano, 2015. - McGonigal J. La realtà in gioco, Apogeo Editore, 2011. - Petruzzi V. Il potere della Gamification, Franco Angeli Editore, Milano, 2015. - Prensky M. Digital game-based learning, McGraw-Hill, 2001. - Zichermann G, Cunningham C. Gamification by design: Implementing game mechanics in web and mobile apps, O’Reilly Media, 2011.

SITOGRAFIA - forbes.com - gameifications.com - gamification.it - ted.com - xeodesign.com - yukhaichou.com - wikipedia.org - enterprise-gamification.com

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