HASANKEYF waiting life progetto di un ďŹ lm documentario produzione Hagam regia Mauro Colombo
Verso Hasankeyf Circa un anno fa una volontaria di un’associazione di cooperazione internazionale ci ha raccontato del lavoro svolto ad Hasankeyf di aiuto e sostegno della popolazione locale e delle conseguenze del progetto della costruzione di una diga sul fiume Tigri. Ilisu, così il nome della diga, provocherebbe l’inondazione del paese e di tutta la zona costringendo più di 55.000 persone ad abbandonare i propri villaggi. In quel momento abbiamo registrato la notizia del nuovo progetto in questa parte remota della Turchia semplicemente come l’ennesimo disastro annunciato, forse ormai abituati a leggere notizie di progetti di infrastrutture ciclopiche in ogni parte del mondo, dalla Cina al Sud America, dall’Africa all’India con il risultato di un impatto ambientale devastante. È stato esattamente un anno dopo che, durante un viaggio in Turchia, ci siamo trovati nella zona del Kurdistan turco. Un nome sulla cartina ci è risultato famigliare e ci ha rievocato immediatamente alla memoria quell’incontro di tempo prima. La forte curiosità ci ha spinti così fino sulle sponde del Tigri dove sorge Hasankeyf. Siamo arrivati al mattino dopo qualche ora di viaggio da Mardin con una giornata di sole: la sorpresa di fronte alla bellezza ed al fascino di questo villaggio ci ha colti quasi impreparati. La vallata con le sue pareti di roccia strapiombanti, i resti delle antiche civiltà, le voci dei bambini che giocavano nell’acqua, una vita semplice e lenta, sembrava riportarci all’idea di Mesopotamia che ci siamo fatti durante i nostri primi anni di scuola, quando sentivamo parlare del Tigri e dell’Eufrate, degli assiri e dei babilonesi. Eravamo partiti con l’intenzione di fare solo fotografie, ma quando ci siamo trovati in questa valle la piccola camera digitale che avevamo con noi si è rivelata preziosa: abbiamo iniziato a riprendere le situazioni di quel giorno, abbiamo parlato con gli abitanti del luogo della vita di Hasankeyf, dei suoi problemi, del progetto della diga e di tutto ciò che è legato a quel progetto. La sensazione che abbiamo ricevuto è stata quella di una sospensione nel tempo, di un’attesa quasi impotente di fronte ad una scelta che non dipende da chi vive ad Hasankeyf. È un’attesa che sembra il precipitato di tutte le difficoltà di una vita povera e dura, in un luogo dove mancano lavoro e prospettive anche perché la sua probabile scomparsa impedisce persino di immaginare un futuro. È nata così, quasi subito, l’idea di realizzare un film documentario che penetri questa attesa portando in luce un conflitto dove la storia si scontra con la modernità, gli interessi nazionali con quelli locali, l’esigenza di crescita personale con la preservazione delle proprie radici. Hasankeyf, un piccolo villaggio, nella Turchia sud orientale. Hagam - 2008
Sullo sfondo Hasankeyf è un villaggio curdo nel triangolo compreso tra Diyarbakir, Batman e Mardin, nella Turchia sud orientale; è un museo all’aperto di 12mila anni, arroccato sulle sponde rocciose del Tigri. Qui è la Mesopotamia degli assiri e dei bizantini, il luogo dove le culture dell’Asia centrale e dell’Iran si incrociavano con quelle europee. Le sovrapposizioni di civiltà e culture dell’intera regione si mostrano nelle tracce di antichissimi insediamenti umani, con le centinaia di grotte, nell’elegante minareto della moschea El-Rizk e, sulla riva opposta, le tombe monumentali, una cupola su cui sono visibili le tessere di ceramica azzurra che ricordano la vicina arte persiana. Oggi tra le vestigia di Hasankeyf vivono pastori e agricoltori curdi, ma anche artigiani, venditori di souvenir, e qualche ristoratore, di fronte ad una vista mozzafiato. Nel 1954 il governo turco ha iniziato ad elaborare il progetto di una diga, Ilisu, che una volta completata sommergerebbe Hasankeyf sotto 30 metri d’acqua. La diga Ilisu fa parte del progetto Gap, Progetto Idrico per l’Anatolia Sud-Orientale, che prevede la costruzione di dighe e centrali idroelettriche lungo l’alto corso del Tigri e dell’Eufrate. Dal 1980 alcune dighe sono già state costruite e 320 villaggi evacuati, molto spesso con metodi discutibili. La mancanza di finanziamenti ha però fatto slittare l’inizio dei lavori di Ilisu fino a quando, nel 1999, la società svizzera Sulzer AG si è detta interessata a finanziare il progetto. Ad essa si sono aggiunte negli anni seguenti società tedesche, austriache e italiane. Oggi il governo turco sembra aver ripreso il progetto, sostenendo di voler terminare i lavori della diga entro il 2014. Ilisu sarà la seconda diga del paese, con una capacità di circa 10 kmu00B3 e una superficie di 313 kmu00B2, sommergerà 6mila ettari di terre arabili e il bacino idrico che si formerà inonderà una valle lunga 136 km, con una produzione di 3833 Gwh l’anno per 300 milioni di dollari di ricavi. Il rovescio della medaglia è ovviamente drammatico: oltre 289 siti d’inestimabile valore archeologico verranno spazzati via e più di 200 insediamenti umani saranno sommersi, costringendo 55mila persone allo sradicamento, alla perdita del lavoro, delle case o al trasferimento forzato in altre zone del paese, esposte all’esclusione sociale e all’emarginazione. Inoltre Ilisu nascerà a soli 65 km dal confine con la Siria e l’Iraq, dove il controllo delle acque del fiume da parte della Turchia avrà particolari ripercussioni su equilibri geo-politici già delicati e sulle popolazioni civili. Hagam - 2008
Il documentario Oggi ad Hasankeyf abitano 5000 persone, per la maggior parte di origine curda. Il corso d’acqua sembra segnare il ritmo di un’esistenza appesa a un filo. Il Tigri scorre in questa valle fatta di strapiombi di roccia alti 200 metri da cui si domina tutta la bellezza di una terra che ci riporta agli albori della civiltà. Proprio su queste alture, sopra il villaggio, ci sono i resti di una città medioevale scavata interamente nella roccia. Più sopra, valli solitarie si inerpicano su alture rocciose. Sotto, tutto intorno e perfino sulle rive del Tigri, grotte artificiali lasciano immaginare un numero impressionante di abitanti di epoche passate. La diga Ilisu in progetto, una volta completata, sommergerebbe il villaggio sotto 30 metri d’acqua. Ma ad Hasankeyf tutto continua come se nulla dovesse accadere. I bambini giocano nell’acqua, i più grandi portano al pascolo capre e mucche, mentre le ragazze al fiume lavano i panni, i piccoli ristoranti attendono i pochi turisti che durante l’estate raggiungono Hasankeyf. La sera, quando fa caldo, gli anziani si trovano fuori dai due bar a giocare a carte o a backgammon mentre la televisione trasmette qualche film americano. Non c’è lavoro ad Hasankeyf. Le prospettive di vita sono limitate alla povera realtà del villaggio. Nessuno vuole investire in un turismo che potrebbe diventare florido, se solo il paese tra qualche anno ci fosse ancora. Mentre altrove si decidono le sorti di questo luogo, dei suoi abitanti e del suo patrimonio storico-archeologico, mentre le uniche ragioni apparentemente prese in considerazioni riguardano l’economia ed il potenziale sviluppo del territorio, un’intera comunità vive in un limbo, con solo brandelli di notizie sul suo destino. Entrando con discrezione in questa comunità, HASANKEYF – WAITING LIFE cercherà di calare nella quotidianità un conflitto più grande, dove la storia si scontra con la modernità, gli interessi nazionali con quelli locali, l’esigenza di crescita personale con la preservazione delle proprie radici. Hagam - 2008
Quale racconto HASANKEYF – WAITING LIFE non è un reportage, vuole essere la fotografia di una realtà in cui la sospensione nel tempo diventa l’unico protagonista capace di restituire un’obiettività sopra le parti. Un paese che sembra idilliaco si trasforma in un quadro contraddittorio fatto di idee e di sentimenti contrastanti che nascono dal senso di incertezza di fronte alle scelte possibili che un progetto economico potrebbe imporre a breve termine. Il maestro delle elementari sembra quasi non preoccuparsi della diga perché, in fondo, è dal 1954 che ne parlano. Per lui sono più importanti per ora i gravi disagi psicologici dei tanti bambini del paese che vivono in uno stato di povertà e di mancanza di appoggio famigliare: “otto figli a famiglia, sono troppi” ci dice, mentre li guardiamo giocare lasciandosi trasportare dalla corrente del fiume. Ed è proprio sul fiume che Hasankeyf sembra trarre la sua energia vitale. Tutto si svolge sulle sue sponde come, in fondo, è stato per millenni: le donne chiacchierano mentre immergono i panni in acqua strofinandoli su un sasso, dei ragazzi lanciano le reti per pescare i pesci che entro breve saranno serviti sulle piccole palafitte-ristorante dall’altra parte della sponda che accolgono i pochi turisti di un’estate torrida. “Purtroppo i turisti non sono una risorsa vera e propria”, è un ragazzo di 17 anni dagli occhi svegli il figlio del proprietario dell’unico hotel di Hasankeyf. Poche stanze con vista fiume, fin troppo poche per il periodo estivo ma nessuno vuole costruire alloggi in più: chi vuole investire in un paese che forse entro poco non ci sarà più? Hagam - 2008
“Si è molto bello qui, ma non c’è lavoro ed è noioso. Forse vado ad Istanbul a studiare o all’estero se trovo i soldi”. Le aspettative sono poche e la fuga è comprensibile. Ma il suono dello scorrere dell’acqua, che sembra riecheggiare in questa larga vallata, ti culla in una sensazione di atemporalità e ti sembra di capire molto bene chi da qui non se ne vorrebbe mai andare. Come il fiume, anche il tempo scorre e le prime ruspe si muovono e le voci si diffondono. Il nostro maestro dovrà aggiungere incertezza su incertezza o potrà concentrarsi sul suo prezioso lavoro? Chi avrà il desiderio di guadagnarci qualcosa per abbandonare il paese per un lavoro in città? Ma ci saranno soldi poi? Il governo ripagherà lo scambio? Chi lotterà fino alla fine per il paese di suo padre, di suo nonno e del nonno di suo nonno? Sembrano le domande che echeggiano nell’aria assieme al suono del fiume. “Noi siamo curdi e i curdi sono duri” ci dicono due ragazzi che si fermano a chiacchierare con noi sul ponte all’ora del tramonto. Hasankeyf è un paese in attesa delle decisioni di qualcun altro: uno stallo che emerge attraverso le parole, le atmosfere, gli ambienti, i sentimenti, le impressioni, i suoni. Per raccontare questo quadro complesso si deve entrare nella vita di Hasankeyf e dei suoi abitanti, seguendone l’attività di tutti i giorni e cercando di cogliere come il senso di impotenza generato da decisioni calate dall’alto si ripercuota sulla loro esistenza quotidiana. Un’iscrizione sovrasta l’ingresso della turbe di Zeynel Bey, una delle meraviglie di Hasankeyf: “Questa è la tomba di Zeynel. Che Allah non gli faccia mancare la terra”. Le speranze che Zeynel possa riposare nella stessa terra che suo padre scelse per lui più di 600 anni fa sono ormai legate al progetto della diga. In questa preghiera si concentra l’atavico legame di questa gente e di chi l’ha preceduta con la sua terra e con il suo fiume. Un fiume che rappresenta la Storia, ed è allo stesso tempo ciò che che potrà cancellare per sempre la Storia sotto la sua mole d’acqua. E con la Storia scomparirebbe anche un modo di vivere che si è tramandato per millenni. Scomparirebbero le storie, scomparirebbe Hasankeyf. Hagam - 2008
HASANKEYF waiting life progetto di un ďŹ lm documentario
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