teatri e opera dei pupi

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La Sicilia in scena I teatri in Sicilia dall’età Greco-romana al Liberty e l’opera dei pupi Il Teatro Greco di Siracusa Siracusa, città e capoluogo di provincia della Sicilia, è situata nella parte sud-orientale dell'isola, sul mar Ionio. Si estende in parte sulla piccola isola dell'Ortigia, che separa le insenature del Porto Grande e del Porto Piccolo, ed è collegata con la terraferma tramite un ponte. È nota l’esistenza di un teatro a Siracusa già nella prima metà del V secolo a.C. a esso è legato il nome di Epicarmo, padre della commedia greca, vissuto a Siracusa. La città, infatti, era, con Atene e Alessandria d’Egitto, un importante centro di vita teatrale, politica e spettacolare, patria d’origine della commedia. La parola theatron deriva quasi sicuramente dal verbo theaomai che significa guardo sono spettatore . In origine questa parola indicava la massa degli spettatori e solo più tardi indicò il luogo in cui essi convenivano. Ma con il IV° sec. a.C. essa indicò l'area destinata agli spettacoli. Il teatro attuale risale al III secolo a.C. nella sua forma sarebbe sorto, com’è opinione della maggioranza degli studiosi, secondo un progetto unitario in un solo momento, e con tutta probabilità negli anni 238-215 a.C., sotto il regno di Ierone II: è uno dei massimi del mondo greco (il suo diametro è di 138,60 metri), e anche probabilmente quello a più dolce pendenza (il dislivello fra l’orchestra e il gradino più alto è di 19,10 metri). Più che costruito, può dirsi scolpito nella viva roccia tenendo conto sia della forma naturale del colle Temenite, che della possibilità di sfruttare al massimo l’acustica, in ossequio a un piano perfettamente studiato ed elaborato fino ai minimi dettagli. Capace di contenere fino a 15.000 spettatori, la cavea presentava in origine 61 ordini di gradini (di cui ne rimangono 46), suddivisi in nove settori e interrotti da un ampio ambulacro. Ai piedi della scalinata è posta l’orchestra di forma semicircolare, destinata a ospitare i cori e, affacciata su di essa, l’ampia scena, di cui rimangono limitate testimonianze. In età romana il monumento subì profondi mutamenti, allo scopo di conferirgli le caratteristiche del teatro di tipo romano, assai diverso nella sua organizzazione da quello greco, e


in un secondo tempo per renderlo atto a spettacoli circensi (ludi gladiatori, cacce alle belve, ecc.). A tale scopo, fu più tardi necessario ampliare al massimo l’orchestra per adibirla ad arena (“conistra”). Si procedette perciò a restringere il palcoscenico arretrandone la fronte. Un ulteriore ampliamento dell’orchestra di una fascia di 2,55 metri tutto intorno si ottenne riducendo in profondità i dodici gradini inferiori della cavea, eliminando la distinzione fra una parte sopraelevata destinata a sedile e una fascia retrostante per i piedi degli spettatori seduti nel gradino superiore. In questa fascia di ampliamento si innalzò una cancellata di ferro (transenna), necessaria per proteggere gli spettatori durante gli spettacoli a cui partecipavano le belve. Sul finire del III secolo o nel corso del IV, quando fu creato per i ludi circensi un edificio apposito, l’Anfiteatro, il teatro dovette essere utilizzato soprattutto per spettacoli che oggi diremmo ‘di varietà’, largamente diffusi alla fine del mondo antico. L’orchestra ebbe allora una pavimentazione di lastre marmoree policrome, della quale resta ancora il sottofondo in calcestruzzo che ne conserva in parte il disegno. Anche i gradini inferiori vennero rivestiti di lastre marmoree. Al di sopra del teatro, si trova una terrazza, scavata nella roccia, accessibile da una gradinata centrale e da una strada incassata, nota come "via dei Sepolcri", in origine la terrazza ospitava un grande portico ad L. Al centro della parete di fondo fu inquadrata una preesistente grotta-ninfeo scavata nella roccia, fiancheggiata da nicchie destinate probabilmente ad ospitare statue. All'interno il vano (9,35 x 6,35 m, alt. 4,75 m) era dotato di una vasca rivestita in cocciopesto, nella quale sgorgava l’acqua dell’antico acquedotto greco detto "del ninfeo". Da qui l'acqua si immetteva nel sistema idraulico del teatro. Rimasto in abbandono per lunghi secoli, a partire dal 1526, fu intensamente sfruttato dagli Spagnoli di Carlo V al fine di ricavarne materiale per le fortificazioni che allora si stavano erigendo intorno all’Ortigia. Scomparvero in tale occasione le vestigia, che ancora dovevano essere cospicue, dell’edificio scenico, degli analemmata e la parte superiore delle gradinate. Dopo la seconda metà del Cinquecento, il marchese di Sortino, Pietro Gaetani, riattivò a proprie spese l’antico acquedotto che portava l’acqua sulla sommità del teatro, favorendo l’insediamento di diversi mulini installati sulla cavea, arrecando gravi danni anche alle parti del teatro tagliate nella viva roccia: di questi resta ancora visibile la cosiddetta “casetta dei mugnai” che si erge sulla sommità della cavea. I mulini furono rimossi solo nella seconda metà dell’800, ma in molti punti ancora si riconoscono i solchi lasciati dal passaggio dei carri. Sul finire del Settecento riprese l'interesse per il teatro e nel secolo successivo si ebbero vere e proprie campagne di scavo, grazie all’interesse del Landolina e del Cavallari che si occuparono di liberare il monumento dalla terra che vi si era accumulata. Successivamente le indagini archeologiche proseguirono. A partire dal 1914 l’Istituto Nazionale del Dramma Antico (INDA) inaugurò nell’antico


teatro le annuali rappresentazioni di opere greche (la prima fu la tragedia Agamennone di Eschilo, curata da Ettore Romagnoli). Dal 2010 il Teatro è uno dei monumenti del Servizio Parco Archeologico di Siracusa e delle aree archeologiche dei Comuni limitrofi, organo periferico della Regione Siciliana, Assessorato Regionale dei Beni Culturali e dell'Identità Siciliana. Il teatro è quello che più manifesta il gusto e le magnificenze degli antichi Siracusani. L’insieme funzionale che siamo soliti definire teatro si compone in Grecia Antica di tre elementi fondamentali, strettamente interagenti tra di loro: koilon (o càvea), orchestra e scena. La storia del teatro greco è in primo luogo la storia del rapporto tra scena, orchestra e cavea e delle trasformazioni da esso subite nel tempo. Un dato fondamentale è l’intercambiabilità e l’adattabilità del Theatron a destinazioni diverse e cioè a essere luogo di volta in volta di spettacoli drammatici o di assemblee politiche. Il teatro, che rappresenta nel complesso uno scenario di particolare bellezza e suggestione, ospita oggi nei mesi estivi manifestazioni culturali e rappresentazioni di tragedie e commedie di autori della classicità greca e latina.

Il Teatro Sangiorgi a Catania e il Liberty "Catania, ah, Catania era bella al principio del Novecento. C’era un odore di cipria per le strade, delicato come i visetti delle donne che lo portavano… Si aggiungeva un gradevole odore di finimenti di cuoi per il gran numero di carrozze padronali, che scorrevano da un capo all’altro del corso". Così l’immaginò, Vitaliano Brancati nel racconto “Singolare avventura di Francesco Maria” (1941). Allo stesso modo ci piace immaginare Catania agli albori del ventesimo secolo, una città bella e moderna e dove le sollecitazioni del nuovo secolo fanno crescere anche la voglia di divertimento. È in una temperie storico-culturale vivace e piena di fermenti che Mario Sangiorgi, ex idraulico passato all’attività imprenditoriale – dapprima fabbrica cappelli, poi specchi, quindi spalliere per letti in ferro, pensa di creare una struttura, avveniristica nella sua concezione, di quelle che oggi saremmo portati a chiamare multimediali. L’intraprendente cavalier Sangiorgi ha visto qualcosa del genere in uno dei suoi viaggi a Parigi e gli pare che ripetere l’esperienza a Catania possa essere una buona idea. Si rivelerà una magnifica idea, visto che gli Esercizi Sangiorgi (che i catanesi continueranno a chiamare, sinteticamente, "il Sangiorgi") non solo avranno grande fortuna, ma diventeranno un luogo della memoria per l’intera città. Nel 1890, s’è aperto l’atteso teatro lirico, il Massimo. La grande novità proposta da Mario Sangiorgi sta nel fatto che la struttura offre, con il teatro estivo dove si rappresentano opere, operette e spettacoli di prosa, un salone interno di caffè concerto, un ristorante, una sala da pattinaggio, vari spazi di ritrovo e di ristorazione (fra gli anni Quaranta e Cinquanta si doterà di altri servizi, tra cui un kursaal e un "diurno", l’unico mai realizzato a Catania, per accogliere quanti arrivano dalle province vicine per acquisti e affari), e un albergo. Fin dal primo momento l’idea del cavaliere Sangiorgi si rivela vincente: un luogo posto nel centro della città, per giunta reso accogliente da architetture moderne, in uno


stile Liberty al passo coi tempi non può che essere la meta di tanti (il progetto è dell’ingegnere Salvatore Giuffrida, gli stucchi e le decorazioni del pittore napoletano Salvatore Di Gregorio). Il Sangiorgi venne inaugurato il 7 Luglio del 1900 con un’edizione de “La Bohème” di Giacomo Puccini. Nel 1907 venne coperto e divenne poi uno dei più importanti teatri di Catania. Per un cinquantennio abbondante il Sangiorgi vivrà un’intensa e meravigliosa stagione. Dai suoi palcoscenici passeranno i miti dello spettacolo leggero e i grandi del teatro. Con la crisi del varietà, sul finire degli anni Cinquanta, il Sangiorgi subisce un destino comune a molti teatri in tutt’Italia, si trasforma in cinema di quartiere, quindi, negli anni Settanta, a luci rosse. Con la decadenza ha inizio anche un processo di riscatto e di rinascita. Ci si accorge del grande valore storico che il Sangiorgi riveste per la cultura della città. Nel 1988 l’Ente autonomo Teatro Massimo Bellini conclude finalmente le trattative ed acquista gli Esercizi Sangiorgi per destinarli al progetto di riutilizzazione che oggi è una bella realtà. Il progetto di ristrutturazione è opera degli ingegneri Salvatore Boscarino e Giovanni Pennisi e degli architetti Paolo Paolini e Matteo Arena. La " parola chiave" dei quattro appassionati progettisti nel pensare il restauro dell'edificio è stata "conservazione". Sono state così salvaguardate tutte quelle parti del complesso che costituiscono testimonianza di storia, di arte, di gusto di un'epoca. Un impegno forte, quello della riapertura del “Sangiorgi”, mantenuto superando tutte le sfide poste dall'esigenza di coniugare la salvaguardia degli aspetti più significativi del teatro con le normative, sempre più severe, sulla sicurezza degli edifici pubblici. Nel dettaglio, l'edificio è stato restituito al suo pieno utilizzo per i locali al piano terra, destinati al teatro. Nel primo, secondo e terzo piano sono stati ricavati gli uffici per il “Bellini”. L’ampio locale che si affaccia sulla sala teatrale, un tempo bar e club, è stato trasformato in foyer e dedicato alla memoria del critico musicale Domenico Danzuso. Il Teatro Sangiorgi, con i suoi 477 posti, serve ad assicurare alla città un'offerta diversificata rispetto a quella del Teatro Massimo Bellini: musica contemporanea, musica da camera, operetta come pure prosa e teatro sperimentale. La nuova apertura è avvenuta il 16 novembre 2002, alla cerimonia ha partecipato il figlio del fondatore, e lui stesso ex proprietario, il commendatore Guglielmo Sangiorgi che all'epoca aveva 105 anni e la cui vita è sempre stata strettamente legata a quella del Teatro; per l'occasione fu commissionata la composizione di una Fanfara che fu eseguita per l'innaugarazione dagli Ottoni dell'Orchestra del Teatro Massimo Bellini ed ora il teatro è la seconda sala del Teatro Massimo Bellini. Utilizzata per anni come semplice sala prove dell'orchestra e data in affitto per sporadici eventi esterni, finalmente nel Novembre 2007 ritorna a splendere di luce propria; viene infatti istituita per la prima volta, una direzione artistica ad hoc per il Teatro Sangiorgi, al fine di ridare nuovamente a questo storico teatro la sua vera identità. La nomina di Direttore Artistico e la responsabilità del rilancio di questo storico teatro ricade sul M° Matteo Musumeci, giovane compositore catanese di successo che


facendo tesoro delle sue tante esperienze lavorative nei Teatri d'Opera dell'Est Europeo, trasferisce al Sangiorgi e crea progetti artistici innovativi in Italia come LiberoPalco. Il Sangiorgi così ritorna a vivere, con la rassegna Piccola Opera, riduzioni per bambini delle opere liriche; con il Teatro della Diversità, dove gli attori protagonisti sono ragazzi portatori di Handicap; con LiberoPalco che ogni venerdì aprendo le porte a giovani talenti selezionati porta in scena uno spettacolo fatto di danza musica e prosa che nasce in un giorno dall'incontro degli artisti sotto la regia estemporanea del Direttore Artistico Matteo Musumeci. Non si può non menzionare il grande successo della riapertura dopo 30 anni c.a. della storica Terrazza del Sangiorgi ex arena cinematografica, fortemente voluta da Musumeci qui la città di Catania e tanti turisti stranieri hanno trascorso i mesi di giugno e luglio 2008, tra concerti aperitivo e rassegne cinematografica dei film musicali dal 1945 al 2000. Un successo inaspettato tutto esaurito ogni appuntamento. Così il Teatro Sangiorgi ritorna ad essere quel luogo di incontro culturale nel cuore della città di Catania per i giovani che lo hanno scoperto e per i più nostalgici che lo hanno ritrovato.

Il Teatro Vittoria Colonna- Il Neoclassico Il Teatro Comunale di Vittoria è situato nella centrale Piazza del Popolo e fu intitolato alla fondatrice della città. Vittoria era figlia di Marcantonio Colonna, viceré di Sicilia nel XVI secolo. Per un accordo del fratello Ascanio sposò per procura nel 1586 Ludovico III Henriquez de Cabrera. Il marito divenne Conte di Modica nel 1596. Morto nel 1600 il consorte, Vittoria divenne Contessa di Modica in nome e per conto del figlio minorennema suo malgrado si trovò a dover fronteggiare gravi difficoltà economiche. Infatti il marito Ludovico III aveva contratto una notevole mole di debiti a causa delle spese di rappresentanza affrontate per il matrimonio di Filippo III, re di Spagna, con Margherita d'Austria nel 1599. Vittoria Colonna decise così di richiedere al re di Spagna la concessione di un privilegio regio per la fondazione di un nuovo insediamento, che le avrebbe consentito di risollevare le sorti del patrimonio familiare. La richiesta venne accolta, ed il privilegio regio, concesso dal re Filippo III il 31 dicembre 1606 a Madrid, dispose la riedificazione dell'antica Camarina. La nuova città sorse con il nome di Vittoria (oggi in provincia di Ragusa) in onore della sua fondatrice, il 24 aprile del 1607, facendovi trasferire diversi nuclei familiari per aumentare lo sfruttamento agricolo della parte occidentale della contea modicana. Vittoria Colonna si ritira in seguito in Spagna, dove muore nel 1633, e viene sepolta nella Chiesa di San Francesco di Medina de Rioseco.


La città di Vittoria ha intitolato il proprio teatro comunale (inaugurato nel 1863) alla contessa Vittoria Colonna, ed ha ottenuto nel 1990 la tumulazione delle sue spoglie in città, nella Chiesa madre di San Giovanni. Il teatro è uno straordinario gioiello di arte neoclassica, che riceve una forza espressiva ancora maggiore dalla sua particolare collocazione nel contesto architettonico-urbanistico della piazza: si trova infatti addossato alla chiesa tardo barocca di Santa Maria delle Grazie, presenta sulla facciata due ordini di colonne, una all'ingresso (dorico) e l'altra sulla loggia superiore (ionico). È possibile ammirare nei due estremi della facciata esterna due statue raffiguranti Apollo e Diana. Architetto progettista del nuovo teatro fu Giuseppe Di Bartolo Morselli da Terranova (1815- 1865), mentre direttore dei lavori fu l’ingegnere Giuseppe Mazzarella che, morto il Di Bartolo, completò il teatro, attuando delle modifiche al suo interno e ampliando inoltre, per tutta la larghezza del prospetto, la gradinata di accesso, conferendo all’equilibrata struttura neoclassica una straordinaria monumentalità. Il teatro, al suo interno, presenta una sala “a ferro di cavallo” simile nella forma e nella struttura a tante altre dell’Ottocento, esistenti nelle varie città italiane. La sala contiene una platea e quattro ordini di palchi con una capienza di circa 380 posti. Per le decorazioni furono chiamati gli artisti Corrado Leone per le statue e i medaglioni e Giuseppe Mazzone (1838-1880) per le pitture (volta, soffitto del vestibolo) con degli affreschi raffiguranti grandi compositori, Cesare Cappellani eseguì le indorature. Emanuele Zago di Comiso costruì 160 sedie in ferro. Pasquale Subba da Messina disegnò il sipario e le scenografie. Emanuele La Scala e Salvatore Benvissuto di Vittoria rifinirono a lucido e a stucco il vestibolo. Al centro del soffitto del vestibolo, ingresso del Teatro e ambiente antistante la sala teatrale, è dipinta l’Allegoria della musica, mentre negli altri due riquadri laterali troviamo decorazioni allegoriche costituite da statue, reperti archeologici, fogli musicali e poetici, attorno ai quali si svolge una danza e un’orchestrazione musicale, artistica e poetica, dell’inno alla vita e all’arte nelle diverse forme, evidenziata da figure dalla tenera età. Sulle opposte pareti laterali del boccascena sono rappresentate due figure simbolicoteatrali La Commedia e La Tragedia, mentre al centro dell’arco scenico vi è, in altorilievo, l’aquila reggente grappoli d’uva, simbolo della Città di Vittoria. Nella volta della sala teatrale, animata da decorazioni floreali, intercalate da ritratti di famosi musicisti, scrittori, poeti e commediografi italiani, vi è una rappresentazione figurativa, dalle vivaci tonalità coloristiche, di amorini festeggianti tra ghirlande di fiori e foglie, nastri ornamentali e mantovane, e di due candidi cigni che, posti su una nuvola, completano la decorazione.


Le rappresentazioni pittoriche del teatro sono rese efficaci da un brillante cromatismo, evidenziato da un particolare ed equilibrato studio luministico. Il Teatro si inaugurò il 10 Giugno 1877 con l’opera lirica La forza del destino di Giuseppe Verdi. Nel 2005 è stato dichiarato "Monumento Portatore di una cultura di Pace" da parte dell'UNESCO. Oggi il teatro è sede di continui appuntamenti come saggi, spettacoli teatrali, musical e concerti.

Il Teatro Massimo Vittorio Emanuele di Palermo Il Teatro Massimo Vittorio Emanuele di Palermo è il maggiore edificio teatrale lirico d'Italia, e uno dei più grandi d'Europa (terzo in ordine di grandezza architettonica). Ambienti di rappresentanza, sale, gallerie e scale monumentali circondano il teatro vero e proprio, che può ospitare circa 1.400 spettatori, formando un complesso architettonico di grandiose proporzioni. Storia Alla sua apertura, per monumentalità e dimensione (oltre 7.700 metri quadrati), suscitò le invidie di molti; come si può facilmente verificare leggendo i giornali italiani dell'epoca (es: L'Illustrazione Italiana del 6 giugno 1897). Perfino Re Umberto dichiarò: «Palermo aveva forse bisogno di un teatro così grande?». Di gusto neoclassico, sorge sulle aree di risulta della chiesa delle Stimmate e del monastero di San Giuliano che vennero demoliti alla fine dell’Ottocento per fare spazio alla grandiosa costruzione. La tradizione narra che una suora detta "la monachella" (l'ultima Madre Superiora del convento) si aggiri ancora per le sale del teatro. Si dice anche che chi non creda alla leggenda inciampi in un particolare gradino entrando a teatro, gradino detto appunto "gradino della suora". Il Teatro Massimo Vittorio Emanuele di Palermo aprì le porte al pubblico la sera del 16 maggio 1897, ventidue anni dopo la solenne cerimonia pubblica di posa della prima pietra. Già questa, avvenuta il 12 gennaio 1875, concludeva una vicenda travagliata, protrattasi tra mille contrasti per oltre un decennio. Il concorso internazionale per il progetto e la realizzazione del teatro era stato infatti bandito nel 1864 dall'Amministrazione Comunale di Palermo. Da lungo tempo si parlava di erigere a Palermo un nuovo grande teatro, degno del centro urbano del meridione d'Italia più grande dopo Napoli. Il concorso fu vinto da G.B. Basile, noto architetto palermitano. La sera del 30


ottobre del 1874 il Consiglio Comunale deliberò che il teatro si costruisse e che il direttore dei lavori fosse il Basile. Il 12 gennaio 1875, Palermo poté con gioia assistere alla posa della prima pietra in piazza Giuseppe Verdi. Alla cerimonia parteciparono tutte le maggiori autorità cittadine. Nel 1891 morì G.B.Filippo Basile.Non ebbe il tempo per vedere compiuta la sua opera i cui lavori furono sospesi nel 1982 per riprendere solo nel 1890. Il 16 maggio 1897, il Massimo, secondo teatro d'Europa dopo l'Opera di Parigi, inizia la sua attività di teatro lirico con il Falstaff di Verdi. La serata inaugurale ebbe un enorme successo e per tutta la stagione si ebbe il "tutto esaurito". D'altra parte, la presenza di uno sponsor d'eccezione, come Ignazio Florio, garantiva all'evento una risonanza mondana ed un rilievo internazionale. In effetti, Palermo in quegli anni, proprio grazie ai Florio, era una delle capitali europee, ed ospitava frequentemente le teste coronate di tutto il mondo. Il Teatro Massimo continuò la sua attività lirica per 77 anni sino al 1974, quando a causa di un incendio, scoppiato al cinema Statuto di Torino, venne imposto che i locali aperti al pubblico si uniformassero alle mutate norme di sicurezza. Così il Teatro venne chiuso "temporaneamente". La città si Palermo ha dovuto aspettare 23 anni per poter godere ancora del suo antico teatro riportato, oggi, al suo antico splendore. Le incertezze sulla data di apertura si protrassero fino all'ultimo, le maestranze si sottoposero a turni sfiancanti pur di consegnare il Teatro alla città. Il 12 maggio 1997, nonostante i lavori ancora in corso, il Teatro viene riaperto con enorme commozione e partecipazione dei cittadini, con un grande evento musicale di Vienna, ma non ritorna alla sua vocazione lirica. L’Ente Autonomo Teatro Massimo di Palermo opera da oltre un decennio nella paradossale condizione di “teatro senza teatro”, poiché privo della propria sede istituzionale. Eppure nello stesso periodo, fruendo della ribalta del Politeama Garibaldi, a Palermo, il Teatro ha raddoppiato la produzione di opere, balletti e concerti e duplicato il totale delle manifestazioni prodotte. La condizione di “teatro senza teatro” è stata motivo di ricerca di una nuova dimensione della produzione e dell’offerta musicale. Il teatro Massimo, infatti, negli ultimi anni ’80 si è messo in luce per una serie di iniziative finalizzate a una fruizione più larga per imprimere al teatro cittadino una propulsione nuova, per svilupparlo operativamente come teatro della Sicilia, dando modo a un pubblico più vasto e differenziato di ascoltare musica e opera come momento della vita di tutti. Il teatro resta, tuttavia, in attesa di ritrovare se stesso, attraverso la riacquisizione dell’edificio di Basile, che costituisce insieme un monumento e un punto di riferimento non sostituibile per la vita non solo cittadina. Da quattordici anni il teatro è chiuso; le


attività, è vero, si sono incrementate ma il Teatro non è, e non sarà mai se stesso senza la sua sede naturale e storica. Cupola del teatro ed esterno L'impresa di costruzioni che edificò il Teatro Massimo V. E. II di Palermo apparteneva ai due Soci - Giovanni Rutelli e Alberto Machì. I'architetto Cav. Giovanni Rutelli, di antica famiglia italiana con tradizioni anche nel settore dell'architettura fin dalla prima metà del settecento palermitano con l'architetto S.r Mario Rutelli (bisnonno di Giovanni), completò l'opera nel 1896 con la propria direzione tecnica e costruttiva (tutte le opere murarie, le quali erano in pietra da taglio, dalle fondamenta sino all'ossatura dei solai, comprese tutte le decorazioni esterne). Il Rutelli, costruttore civile ed imprenditore molto richiesto, era pure un profondo esperto sia delle antiche costruzioni grecoromane (e della relativa architettura) che della scienza stereotomica, conoscenze essenziali e preziose per poter erigere un edificio - tempio del genere e mole come il Teatro Massimo, vero monumento dall'autentico stile greco-romano, completando così il progetto dell'eclettico Basile. Da ricordare che G.B.F. Basile aveva organizzato dei corsi di formazione d'arte classica sia per l'intaglio della pietra che per la decorazione atti a formare un adeguato numero di esperti maestri preparati a dare le volute forme, e quindi a poter rifinire nei minimi dettagli richiesti tutti gl'innumerevoli blocchi di pietra viva da taglio necessari all'edificazione dell'imponente teatro, a parte le precise ed originali decorazioni esterne da apportare in seguito; per la costruzione, di maestri dell'intaglio se ne impiegarono addirittura circa centocinquanta. L’esterno del teatro, seguendo la moda neoclassica dell'attualizzazione delle architetture antiche, presenta un pronao corinzio esastilo elevato su una monumentale scalinata. Sullo scalone di accesso a sinistra si trova una scultura bronzea rappresentante una giovane donna che simboleggia “ La Lirica” nell’atto di suonare uno strumento musicale adagiata su un poderoso leone. L’aggraziata figura evidenzia il potere potente della musica che ingentilisce ed esalta lo spirito dell’uomo, il fiero e nuovo leone sembra schierarsi come custode della Lirica assicurandole una presenza nel futuro dell’uomo e del mondo. A destra invece si trova la scultura bronzea che rappresenta la tragedia, formata da un’austera figura di donna sul dorso di un superbo leone. Le maschere della “ Tragedia” che la donna stringe forte al seno rappresenta il simbolo della rappresentazione drammatica teatrale. Inoltre si trovano i busti di personaggi illustri ad esempio Vincenzo Bellini ( considerato dalla critica uno dei più grandi compositori italiani ), Giovanni Battista, Filippo Basile ( Professore di architettura e compositore), Giuseppe Verdi ( compositore operistici tra i maggiori della storia del melodramma e insuperabile drammaturgo musicale). In alto l'edificio è sovrastato da un'enorme cupola emisferica. L'ossatura della cupola è una struttura metallica reticolare che s'appoggia ad un sistema di rulli a consentirne gli spostamenti dovuti alle variazioni di temperatura.


Architettura La simmetria compositiva attorno all’asse dell’ingresso, la ripetizione costante degli elementi (colonne, finestre ad archi), la decorazione rigorosamente composta, definiscono una struttura spaziale semplice ed una volumetria chiara, armonica e geometrica, d’ispirazione greca e romana. Sul frontone della facciata si può leggere il motto "L'arte rinnova i popoli e ne rivela la vita. Vano delle scene il diletto ove non miri a preparar l'avvenire". Interno, aerazione e acustica L'interno è decorato e dipinto da Rocco Lentini, Ettore De Maria Bergler, Michele Cortegiani, Luigi Di Giovanni. La sala, a ferro di cavallo, con cinque ordini di palchi e galleria (loggione), ha circa tremila e cinquecento posti, risultando quindi il più capiente teatro lirico del nostro paese. La platea dispone di uno speciale soffitto mobile composto da grandi pannelli lignei affrescati (petali) e mossi da un meccanismo di gestione dell'apertura modulabile verso l'alto, che consente l'aerazione dell'intero ambiente. Il sistema permette al teatro di non necessitare di aerazione forzata per la ventilazione e la climatizzazione interna. Nella rotonda del mezzogiorno o sala pempeiana, la sala riservata in origine ai soli uomini, si può constatare un effetto di risonanza particolarissimo, appositamente ottenuto dall'architetto tramite una leggera asimmetria della sala, tale per cui chi si trova al centro esatto della sala ha la percezione di udire la propria voce amplificata a dismisura, mentre nel resto dell'ambiente la risonanza è enorme e tale per cui risulta impossibile comprendere dall'esterno della rotonda quanto viene detto al suo interno. Il Massimo nel cinema Nel 1990 il teatro è stato lo scenario di alcune riprese del film Il padrino - Parte III di Francis Ford Coppola, con Al Pacino, Andy Garcia e Sofia Coppola in cui il Padrino Michael Corleone si reca a Palermo per assistere al debutto del figlio nella Cavalleia rusticana di Pietro Mascagni.

L’Opera dei pupi L’Opera dei Pupi (Òpra dî Pupi in siciliano) è un tipo di teatro delle marionette queste sono appunto dette pupi (dal latino "pupus" che significa bambino). L'opra dei Pupi è un aspetto della tradizione e della cultura siciliane ed è degnamente ricordata come un


mezzo di esaltazione della rivolta del povero e della trasmissione di comportamenti spavaldi in difesa dell'onore. Anche se attualmente tale espressione artistica ha perso parte del suo fasto a causa della concorrenza di altre forme culturali d'intrattenimento come il cinema e la televisione, evento che ha portato i Pupari a chiudere alcuni teatri, e nonostante le critiche di alcuni "Dotti" che l'hanno giudicata una forma d'arte adatta semplicemente ad un pubblico poco istruito (accuse, per altro, non fondate), ancor oggi essa è un simbolo isolano ed attira tutti coloro che vogliono immergersi nel folclore locale siciliano ed è anche un degno argomento per la realizzazione di Mostre e per un Museo Permanente. Una sorta di salvaguardia di questo patrimonio artistico isolano è dato, ad esempio, dal Museo Internazionale della Marionetta presente a Palermo - esso raccoglie circa tremila pezzi tra pupi, marionette e ombre sceniche, alcune delle quali rappresentano degnamente l'Opra dei Pupi palermitana e catanese, nonché una sezione intera dedicata alle marionette provenienti dall'estremo oriente ed alcuni esempi delle marionette napoletane. Storicamente l'Opra dei Pupi come rappresentazione degli scontri medievali tra i Cavalieri e i Mori nasce attorno alla seconda metà del 1800, quando le marionette cavalleresche dalle quali i Pupi derivano incontrarono il favore del pubblico ed iniziarono a rappresentare la sete di giustizia di una classe sociale. La diffusione di tale forma espressiva, inoltre, fu agevolata dai "Cantàri", dai "Cantastorie" e dai "Contastorie", da ricordare per il merito di divulgare le avventure cavalleresche con il suo "Cuntu" (racconto). In effetti, tali artisti eseguivano a puntate le varie avventure degli eroi cavallereschi, schema che poi sarà riprodotto dall'Opra, ed è provato che già a partire dall'inizio del 1800 il loro repertorio comprendeva anche "I Reali" e una "Storia di Orlando e Rinaldo". Occorre distinguere, però, che il "Cantastorie" è l'artista-girovago che tratta il tema epico attraverso il canto mentre il "Contastorie" esegue gli stessi temi attraverso la semplice declamazione. Nell'Opra dei Pupi si ha la trasmissione di alti codici di comportamento dalle antiche origini che hanno interessato il popolo siciliano, codici come la cavalleria, il senso dell'onore, la lotta per la giustizia e la fede, gli intrecci amorosi e la brama di primeggiare. Tale forma teatrale, pur nella sua semplicità, ha permesso in un certo senso la divulgazione dell'epopea. Tra le principali tematiche trattate dall'Opra occorre ricordare che quella prevalente è la trattazione di soggetti cavallereschi. Le fonti principali per questo tema sono le Chansons de Gesteed il romanzo arturiano. Dalle Chansons de Geste deriva il Ciclo Caroligio che abbraccia un periodo storico che va dalla morte di Pipino il Breve a quella dell'Imperatore Carlo Magno. Il Ciclo di Carlo Magno prevede una sua particolare suddivisione: "La storia di Ettore e dei suoi discendenti", "I Reali di Francia da Costantino a Carlo Magno", "Storia dei Paladini di Francia", "Guido Santo e i discendenti di Carlo Magno". Questo ciclo, insieme


a "La storia dell'Imperatore Trabazio" e "Il Guerin Meschino", sono stati rappresentati in tutta la Sicilia. Un ulteriore tema presente nell'Opra siciliana è quello banditesco. Molto spesso, nelle storie narrate dai Pupi, compare il ladrone, il cattivo di turno destinato in origine ad attirarsi le antipatie del pubblico e di esser rappresentato come un personaggio sporco, dalla faccia poco aggraziata ed atto solamente alle azioni più spregevoli come rapinare i malcapitati viandanti che malauguratamente incappano nella sua strada. Dopo il 1860 la rappresentazione di tale personaggio cambia: Rinaldo, ad esempio, rappresenta il prototipo dell'uomo forte che ha il coraggio di opporsi allo schema sociale e politico costituito. In tal caso ed in un simile contesto il "bandito" assume il ruolo sociale di rivendicare giustizia. Un esempio di quanto detto è il lavoro teatrale "Rinaldo Furioso" di Vincenzo Di Maria. In tale lavoro Rinaldo rappresenta le attese egalitarie ed il desiderio di liberare le masse. Così egli intraprende una lotta contro Carlo, ma i sogni di gloria sono destinati ad infrangersi. Assistere ad uno spettacolo dei Pupi vuol dire assistere a degli eventi specifici come i Consigli e le Battaglie. I primi sono delle riunioni di più personaggi e possono avere un carattere privato o solenne. Essi constano di alcuni elementi standard come l'apertura e la chiusura. Quello solenne prevede l'ingresso dei vari guerrieri e poi quello del re o del condottiero che annunzia la battaglia che si deve intraprendere. In quello privato si ha un minor numero di personaggi ed una minor acclamazione, ma si ha sempre l'annuncio di una battaglia. I Consigli hanno anche il merito di chiarire il carattere dei personaggi, cioè se essi sono "amici" o "nemici", traditori o meno, i rapporti che intercorrono tra fra loro, i comportamenti che essi assumono ed i valori che essi rappresentano. Le "Battaglie" hanno il merito di saper coinvolgere il pubblico e rappresentano certamente il momento centrale dell'Opra dei Pupi. Esse includono, come momento culminante, la morte di alcuni personaggi. Mentre la morte dei personaggi secondari è un evento molto frequente ed essi muoiono in un discreto numero, la morte dell'eroe principale, positivo o negativo che sia, è sempre un evento eccezionale centellinato nel corso delle puntate in cui si divide la rappresentazione. La loro rappresentazione varia in base alla "Scuola" che rappresenta lo spettacolo. Così, mentre a Catania la battaglia riguarda principalmente un paio di Pupi che eseguono dei movimenti limitati, a Palermo l'azione è più movimentata e consta di due moduli diversi, lo squadrone e la battaglia. Riprendendo le fila della "Storia dei Paladini" e sempre parlando delle varie tematiche trattate nell'Opra dei Pupi, la rappresentazione consta anche di altri elementi importanti, a partire dalla messa in scena di alcuni eventi importanti come il tradimento, i rapporti tra Re e Vassalli e le varie contrapposizioni tra Bene e Male come l'opposizione lealtà-slealtà, il rispetto o meno delle regole sociali, l'opposizione classica tra Cristiani e Saraceni ed anche di alcune tematiche importanti come quelle riguardanti la sfera politica, quella amorosa, quella familiare e quella sovrannaturale. Il Pupo trovò nell'isola terreno fertile grazie a delle celebri dinastie di Pupari.


Il Puparo è l'artista-artigiano vero fulcro dell'Opra dei Pupi. Alle sue dipendenze lavorano almeno due aiutanti-apprendisti e richiede la collaborazione del fabbro-ferraio (per la realizzazione delle armature dei pupi), del pittore (per la realizzazione dell'indispensabile cartellone suddiviso in riquadri ed avente lo scopo di rappresentare gli avvenimenti principali dello spettacolo; il lavoro del pittore, inoltre, è indispensabile per decorare il teatro) e dello scrittore di dispense (dal suo lavoro il puparo trarrà i suoi copioni). Molto spesso i componenti della famiglia aiutano il Puparo nello svolgimento del suo "mestiere", come avveniva spessissimo a Palermo negli anni passati. Il termine "mestiere" appena usato sta ad indicare l'insieme degli elementi (almeno un centinaio di pupi, attrezzature varie ed almeno una ottantina di teste di ricambio che, insieme ad alcuni accessori come le armi e capi di abbigliamento, arricchiscono notevolmente il teatro stesso) che vanno a costituire il teatro. Ulteriore particolarità di questa forma teatrale è sempre stata l'estremo coinvolgimento del pubblico nelle storie narrate, evento che spesso si è tramutato in una sorta di identificazione tra spettatore ed eroe. Questo forte legame era favorito anche dallo svolgimento naturale dello stesso spettacolo: il seguire le "Storie dei Paladini", ad esempio, richiede partecipazione di alcuni mesi visto che gli spettacoli hanno tale durata. Ciò favorisce anche la nascita del senso di appartenenza ad un gruppo, una sorta di trasmissione dei saperi legata agli spettacoli effettuati visto che essi danno spunti per le conversazioni ed i commenti degli spettatori. Il pubblico spesso interviene non solo a parole, ma testimonia le proprie antipatie nei confronti di alcuni personaggi poco graditi lanciando contro di essi oggetti vari e, più in generale, attraverso i commenti dialettali che essi davano durante l'intervallo. Specialmente agli inizi, questa forma di intrattenimento era seguita in special modo da ragazzi ed uomini del ceto popolare. Il seguire con assiduità tutto il ciclo delle rappresentazioni legate alla "Storia dei Paladini" permetteva a tal pubblico di entrare in confidenza con un mondo nuovo e straordinario che diventava anche argomento di conversazione, un mondo che in tal modo è reso più umano, cioè alla portata di tutti e col quale è possibile confrontarsi. Occorre precisare che l'introduzione di alcuni elementi, come le corazze metalliche, è stata effettuata all'inizio del 1800 come peculiarità tipica dell'Opera. I vari personaggi hanno un diverso abbigliamento in base al loro ruolo. Esso prevede una "faroncina", cioè un gonnellino, e dei pantaloni alla zuava per i pagani. Nelle "Storie dei Paladini" questi ultimi hanno abiti comprendenti anche delle calze lunghe a coscia e berretti schiacciati; i Mori, invece, indossano una tunica e portano uno scudo, una lancia e un turbante. Anche la realizzazione del palcoscenico dell'Opra prevede una elaborata preparazione. Innanzitutto esso è coperto da vari teloni (una prima tela dai colori vivaci che contiene anche il simbolo della Sicilia, la Trinacria, il sipario raffigurante scene di battaglia dietro il quale si ha, poi, il pannone maestro). Alle quinte può esser applicato il "fondino", cioè il siparietto, una particolarità del teatro dei pupi palermitano. La struttura prevede, inoltre, otto quinte ed una pedana.


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