Formazione a Distanza Rottura capsulare con perdita di vitreo in corso di intervento di cataratta
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Indice dei contenuti
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Incidenza e tempistica potenziale di rottura capsulare nella chirurgia della cataratta Aldo Caporossi
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Gestione della rottura capsulare mediante viscoelastici Daniele Tognetto
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Faco con rottura capsulare: come e perchĂŠ e come completare la procedura in questa situazione Giovanni Alessio
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Infusione ed aspirazione: rottura capsulare con e senza perdita vitreale Alessandro Franchini
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Rottura/disinserzione zonulare con e senza perdita vitreale. Cosa fare? Riccardo Sciacca
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Come visualizzare il vitreo in camera anteriore Simonetta Morselli
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La vitrectomia anteriore Paolo Vinciguerra
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Impianto immediato con IOL nel solco Vincenzo Orfeo
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Masse disperse nel vitreo Giorgio Tassinari
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Impianto secondario: solco, iride o fissazione sclerale Scipione Rossi
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Aldo Caporossi
Incidenza e tempistica potenziale di rottura capsulare nella chirurgia della cataratta
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Figura 1.
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a rottura della capsula posteriore nella chirurgia della cataratta, seppur rara, rappresenta la più importante e temuta tra le complicanze intraoperatorie della facoemulsificazione. L’incidenza delle complicazioni legate alla chirurgia della cataratta è progressivamente diminuita negli ultimi tempi, grazie al miglioramento delle tecniche di facoemulsificazione, dello strumentario chirurgico, delle moderne IOLs ma soprattutto delle nuove macchine la cui fluidica appare sempre meno aggressiva1. La capsula è la membrana basale dell’epitelio lenticolare ed è la membrana basale più spessa dell’organismo2. La figura 1 evidenzia l’anatomia e gli spessori della capsula anteriore e posteriore. La capsula peri-equatoriale è la porzione più spessa (circa 21-23 µm), mentre nella zona centrale la capsula anteriore è spessa circa 14 µm mentre la capsula posteriore è estremamente sottile (2.8-4 µm) e non aumenta di spessore con l’età3. La capsula posteriore risulta però molto più elastica di quella anteriore, per cui la forza necessaria per provocare una rottura è maggiore rispetto a quella per interrompere la capsula anteriore. Per questo motivo una capsuloressi effettuata nella capsula posteriore si comporta in modo simile a quella della capsu-
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ROTTURA CAPSULARE CON PERDITA DI VITREO IN CORSO DI INTERVENTO DI CATARATTA
la anteriore ed è più resistente a rotture radiali; infatti essa difficilmente provoca una rottura a V che può estendersi fino all’equatore, in quanto i margini riescono a mantenere l’integrità. Secondo i dati della letteratura, l’incidenza di rottura intraoperatoria della capsula posteriore è variabile. Questo può dipendere dall’esperienza del chirurgo, dalle tecniche chirurgiche, dal tipo, eziologia e stadio della cataratta e da fattori di rischio legati all’occhio da operare. Per i chirurghi con buona esperienza questa complicanza va dallo 0,45 al 3,6%4, mentre è riportata un’incidenza del 6-7% per i chirurghi in training che effettuano l’intervento di cataratta in anestesia topica e senza precedente esperienza di estrazione extracapsulare della cataratta5,6. L’incidenza di rottura capsulare inoltre si riduce con l’aumento dei casi effettuati. Infatti, uno studio ha dimostrato un’incidenza del 7.5% nei primi 200 casi che si riduce a 1.5-5% nei successivi 200 casi7. La rottura della capsula posteriore è più frequente in pazienti con pupilla poco dilatata, con nucleo duro, con sindrome da pseudoesfoliazione o con diabete mellito8. Inoltre secondo un recente studio epidemiologico, in soggetti che presentano una “floppy iris syndrome” intraoperatoria, l’incidenza può arrivare fino al 7%9, mentre scende allo 0,6% se questi pazienti vengono operati da chirurghi esperti: essere inoltre a conoscenza della terapia preoperatoria con alfa-antagonisti, permette di usare appropriati accorgimenti e rendere di conseguenza la chirurgia più sicura (uso di atropina topica, retrattori iridei, uso frequente di sostanze viscoelastiche, riduzione dei parametri di flusso oculare)10. È stata riportata un’incidenza del 10% con il 3% di perdita vitreale nel caso di cataratte bianche11. Inoltre, sono più a rischio cataratte traumatiche e polari posteriori. Infatti queste ultime possono presentare una deiscenza intrinseca della capsula posteriore. Osher et al hanno riportato in questo tipo di cataratta un’incidenza di rottura capsulare del 26%12, Vasavada del 36%13, Hayashi del 7.1%14, Lee dell’11%15. Inoltre, l’incidenza di rottura della capsula posteriore è maggiore nei paesi in via di sviluppo a causa delle risorse limitate e di un trattamento ritardato, che porta a cataratte avanzate16. Il tipo di facoemulsificatore utilizzato non sembra correlarsi con un’aumentata frequenza di rottura capsulare, ma sicuramente ha la sua importanza17. Una tempestiva diagnosi e attenta valutazione così come un’adeguata gestione intra e post-operatoria può comunque garantire un ottimo recupero postoperatorio ed una buona prognosi visiva. Johansson et al hanno riportato un’acuità visiva pari o peggiore a quella preoperatoria nel 27% dei pazienti che hanno avuto una rottura capsulare durante l’intervento18. In questo senso i fattori cruciali sono la riduzione del trauma oculare, l’accurata pulizia del vitreo eventualmente prolassato in camera anteriore e la fissazione stabile della IOL. Per questo dovrebbe essere fatto ogni tentativo per conservare il supporto capsulare e permettere un impianto in camera posteriore. Concorrono ad un limitato SPECIALE LA VOCE AICCER
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Figura 2.
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recupero visivo le complicanze che si possono associare alla rottura della capsulare posteriore, come l’edema maculare cistoide, il distacco di retina e l’endoftalmite8. La rottura capsulare può verificarsi in diversi tempi chirurgici durante un intervento di cataratta. Infatti è riportata durante la capsuloressi, l’idrodissezione, la facoemulsificazione, l’infusione/aspirazione dei residui corticali e infine durante il posizionamento della IOL (Figura 2). Indispensabile sempre, ma tanto più quanto è più presente materiale cristallinico, una diagnosi immediata sul meccanismo che ha prodotto la rottura capsulare, sulla sede ed ampiezza della rottura per realizzare quelle manovre tanto più sicure, efficaci e riproducibili quanto più precoci. Le fasi più a rischio di rottura capsulare sono durante l’emulsificazione, come riportato da Mulhern19 e Osher20 e durante l’irrigazione/aspirazione, come riportato da Gimbel21 e Zheng22. Nella casistica di Gimbel et al è riportato che nel 50,6% dei casi la rottura della capsula posteriore è avvenuta durante la fase di facoemulsificazione (di questi il 90,5% ha richiesto una vitrectomia anteriore), nel 39,7% dei casi durante la fase di irrigazione/aspirazione (nel 42,4% vitrectomia anteriore), nel 7,2% dei casi durante l’inserzione ed il posizionamento della IOL (nel 50% vitrectomia anteriore) ed infine nel 2,4% durante l’idrodissezione-idrodelaminazione (nel 50% vitrectomia anteriore)1. Nel 61,5% dei casi, è stato possibile trasformare la rottura capsulare in una capsuloressi della capsula posteriore e in questi occhi è stata impiantata la IOL nel sacco. Quando invece non è stato possibile creare una capsuloressi posteriore (38,5%), nel 53,1% è stata effettuata una fissazione della IOL alla capsula anteriore laddove la capsuloressi era intatta e piccola abbastanza da catturare l’optica della IOL, nel 31,2% è stato effettuato un impianto nel solco poiché la rima della capsula anteriore non era intatta, mentre nel 15,7% la IOL è stata impiantata in camera anteriore. Solo fino a qualche anno fa, la fase di irrigazione/aspirazione era quella con maggiore incidenza di rottura della capsula posteriore e questo è cambiato grazie ai progressi ed alla qualità degli strumenti di aspirazione più usati ed alla elevata “smussezza” dei fori di aspirazione. Il comportamento da tenere in seguito ad una rottura capsulare varia a seconda della difficoltà dell’intervento, della fase in cui la capsula si rompe e dall’esperienza del chirurgo. In particolare il chirurgo deve essere consapevole che tutte le manovre intraoperatorie diventeranno più pericolose. Inoltre il chirurgo deve saper valutare le difficoltà che si sono venute a creare, e deve essere in grado di metterle in relazione con la situazione del paziente e con le proprie possibilità.
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I sintomi più importanti dell’avvenuto problema sono: approfondimento della camera anteriore, aspirazione inefficiente ed ipotonizzazione bulbare. L’attenta valutazione preoperatoria permette di ridurre i rischi intraoperatori in occhi difficili (pseudoesfoliatio, lassità zonulare, assenza di riflesso rosso, ipertono oculare, cataratta traumatica, cataratta polare posteriore, etc). È importante essere consapevoli che se nel primo occhio si è verificata una rottura capsulare durante l’intervento di cataratta, anche il secondo occhio è a rischio. In questo caso è sicuramente di aiuto una perfetta anestesia. Comunque una rottura della capsula posteriore è tanto più grave quanto più nucleo è ancora presente (fase precoce), tanto più risolvibile quando abbiamo solo la corticale da aspirare. La prima cosa da fare è ridurre o eliminare l’infusione in quanto questa, aumentando la pressione in camera anteriore per la ridotta o assente aspirazione, sarà causa di allargamento della rottura, spostamento del nucleo o pezzi di esso in camera vitrea, con tutte le conseguenze che ne derivano. La prima regola è “salvare il nucleo”, portandolo con viscoelastica in camera anteriore o comunque anteriormente alla ressi. Se una volta individuata la rottura della capsula posteriore, si riesce a “rexarla”, possiamo continuare la faco in camera anteriore con parametri addolciti. Se invece la rottura è ampia per cui non è possibile effettuare una ressi posteriore, è consigliabile convertire in extra, anche con uno scivolo di salvezza per la migrazione del nucleo o frammenti. Se la rottura avviene con nucleo assente, è più facile contenere o “rexare”, aspirare i residui sotto viscoelastica, senza irrigare e poi eseguire una vitrectomia anche per via anteriore ed impiantare la lente nel sacco o davanti la ressi.
Capsuloressi Una corretta capsuloressi è l’elemento determinante per portare a termine con successo e in sicurezza una procedura di facoemulsificazione1. Questa fase chirurgica rimane sempre una fase molto delicata e l’obiettivo del chirurgo pertanto deve essere sempre quello di mantenere la capsuloressi intatta. Le dimensioni di solito variano fra i 5 e 6 mm di diametro poiché la zona di 6 mm di diametro della cristalloide anteriore è sicuramente libera da fibre zonulari ed inoltre le più comuni IOLs presenti attualmente nel mercato possiedono un corpo ottico di 5,5-6 mm di diametro23. Per ottenere un buon controllo di una capsuloressi, il chirurgo dovrebbe sempre avere una perfetta visibilità e una camera anteriore ampia e ben riempita di viscoelastico. Più la camera anteriore è profonda, infatti, più la tensione sulle fibre zonulari si allenta e la forza vettoriale che tende a far fuggire all’esterno la ressi diviene poco rilevante rispetto a quella che il chirurgo impone conducendo la ressi stessa. In questo senso ogni volta che il chirurgo avrà problemi di conduzione della ressi non bisognerà esitare ad iniettare viscoelastico in camera anteriore. Attualmente la tecnica standard per creare una capsuloressi è senza dubbio con cistotomo e/o pinze, sotto viscoelastico24. In futuro potrà svolgere un ruolo SPECIALE LA VOCE AICCER
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Figura 3.
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importante, riducendo così ogni rischio di fuga, il laser a femtosecondi. In questo ambito di sicurezza il chirurgo deve eseguire una ressi regolare, centrata, rotonda ed a bordi regolari. La capsuloressi inizia dopo aver riempito la camera anteriore con viscoelastico, nel modo più accurato e completo possibile. Con il cistotomo, o direttamente con la pinza da capsuloressi a branche chiuse, si incide la capsula nella sua posizione centrale e si esegue una piccola incisione laterale di 1.5-2mm, sollevando verso l’alto la capsula anteriore e creando un piccolo lembo triangolare che poi afferreremo con le pinze per condurre, circolarmente, la ressi. Per effettuare una buona capsuloressi è importante un’adeguata incisione iniziale. Infatti, nel caso di un’incisione troppo grande, bisognerà iniettare nuovamente viscoelastico per detendere la zonula ed esercitare una trazione centripeta con le pinze per evitare la fuga della ressi. Inoltre subito dopo l’incisione il materiale endosacculare può ridursi e fuoriuscire dal sacco endocapsulare, facendo sì che questo tenderà ad afflosciarsi in alcuni suoi punti. È importante non esercitare alcuna pressione sul tunnel corneale con la pinza da ressi perché altrimenti aprendosi la camera anteriore il viscoelastico potrebbe fuoriuscire, abbassando così la camera stessa e creando le premesse per una fuga della ressi verso la periferia. Un altro suggerimento utile è quello di non prendere mai il margine del lembo: andando infatti ad esercitare una trazione laddove esso fa angolo con la capsula ancora sana, si rischia di creare una spinta centrifuga, capace di modificare la direzione di apertura della ressi e di portare ad avere una ressi non più circolare ma ovoidale o molto più frequentemente il flap, appena strappato, va a finire in mezzo alle fibre zonulari, rendendo poi estremamente difficile recuperare il lembo. Se la ressi tende ad avviarsi troppo verso l’esterno, è bene recuperarla subito verso il centro. È meglio una capsuloressi piccola, che potrà successivamente essere allargata, di una fuga all’esterno. La complicanza della rottura della capsula posteriore può avvenire per un prolungamento posteriore delle lacerazioni radiali della capsula anteriore. Una causa comune di rottura radiale è la perdita irrecuperabile del margine della ressi in periferia, dietro l’iride. Infatti in presenza di una discontinuità della capsuloressi, le forze meccaniche all’interno del sacco capsulare si concentrano su quest’area più debole e l’unico rimedio efficace è quello di riparare immediatamente la discontinuità. È molto rischioso, provare a tirare saldamente ed
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attivamente la falda verso il centro (Figura 3). Nel caso di una fuga della ressi e se il tentativo di modificare le forze vettoriali della lacerazione per portarla in una direzione più centrale risultasse vano, potremo adottare tre diverse strategie dopo aver approfondito il più possibile la camera anteriore con sostanza viscoelastica per attenuare la tensione capsulare. Si potrà proseguire la ressi dalla parte opposta a dove è stata iniziata, cercando se possibile di incorporare la lacerazione iniziale, oppure con micro forbici si potrà tagliare la capsula anteriore subito dopo la fuga della ressi e proseguirne una nuova o, nel caso in cui ci sia un’ottima midriasi ed un’eccellente visibilità delle fibre zonulari, si potranno tagliare alcune fibre subito dopo la zona dove si è verificata la fuga, per poi proseguire la ressi con le pinze afferrando la capsula in corrispondenza dell’ultima fibra zonulare sezionata. Un ulteriore approccio alternativo ad una capsuloressi eseguita non correttamente è trasformarla in una capsulectomia “can-opener”: è infatti più sicuro avere molteplici lacerazioni piuttosto che una sola, in quanto le forze che stimolano una fuga si possono distribuire su più punti, riducendo la probabilità che si estendano all’equatore. Nel casi di una lassità zonulare, per evitare trazioni sulle fibre zonulari è necessario utilizzare una tecnica con trazione tangenziale al profilo circolare di capsulotomia, evitando invece la trazione centripeta che risulta decisamente più traumatica per l’apparato zonulare. Inoltre è necessario eseguire piccoli segmenti di trazione tangenziale, con la ripresa frequente del flap al suo punto di inserzione sulla capsula25. Bisogna ricordare che condizioni come ipermetropia e miopia elevata, camera anteriore bassa, ipertono mal controllato, cataratte congenite comportano un aumento dell’elasticità della capsula anteriore e le spinte vitreali sono decisamente più spiccate e pertanto è maggiore la tendenza alla fuga. Sarà necessario in queste occasioni avere sempre una trazione centripeta per controbilanciare una tendenza alla fuga, avendo anche cura di non eseguire una ressi di grandi dimensioni26. È infatti buona norma, in questi casi effettuare una ressi piccola per poi ampliarla, se necessario, dopo l’impianto di IOL27. Nei pazienti con pseudoesfolizione della lente, la banda periferica evidenziabile solo dopo midriasi, è caratterizzata da striature radiali irregolari e da depositi granulari che potrebbero favorire una fuga della ressi. Il chirurgo potrebbe essere così invogliato a restringere il diametro della capsulotomia ai fini di diminuire i rischi, atteggiamento da evitare per scongiurare fenomeni postchirugici di contrazione del sacco capsulare responsabili a volte di estese dialisi zonulari con possibilità di lussazione tardive del sacco. Per eseguire la ressi in questi pazienti è preferibile utilizzare un paio di pinze idonee che garantiscano un buon controllo degli spostamenti ed una sostanza viscoelastica ad alto peso molecolare ed ad alta viscosità, che garantisca una ottima trasparenza ed una buona pseudoplasticità. Tutte queste caratteristiche faranno sì SPECIALE LA VOCE AICCER
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che nel momento in cui il chirurgo si arresta per riprendere il flap la situazione venga congelata istantaneamente. Nei pazienti affetti da sindrome da pseudoesfoliatio è stata dimostrata una diminuzione della profondità della camera anteriore determinata dalla lassità zonulare che favorisce lo spostamento in avanti della lente. Questo rappresenta un ulteriore fattore di rischio per la fuga della ressi. Infatti nel momento in cui il chirurgo procede allo spostamento del flap capsulare, la sua direzione è influenzata da due forze: la prima è quella trasmessa sul bordo esterno della ressi dalla tensione delle fibre zonulari che spinge verso l’esterno e la seconda, centripeta, è quella trasmessa dal chirurgo sul flap capsulare. La risultante tra queste due forze determinerà la direzione che prenderà la capsulotomia. Nei pazienti con spostamento in avanti del cristallino le fibre sono tese e così la trazione centrifuga esercitata è molto maggiore e maggiore è la possibilità di una fuga. Anche per questo è opportuno l’utilizzo di una sostanza viscoelastica ad alto peso molecolare che approfondendo la camera anteriore determinerà un rilasciamento delle fibre zonulari.
Idrodissezione L’idrodissezione è una fase molto importante dell’intervento di cataratta. Essa permette una facile rotazione del nucleo all’interno del sacco capsulare e aiuta la rimozione di diversi strati del cristallino eliminando la loro adesione ai tessuti circostanti. Durante l’idrodissezione, a meno che la cataratta sia molto dura e opaca, si può vedere chiaramente l’onda di fluido necessaria a separare la corteccia dal nucleo. Tale segno è indicativo di una riuscita idrodissezione. La prima cosa da fare, quindi, per essere sicuri che l’idrodissezione sia stata completata correttamente, è controllare se il nucleo gira liberamente nel sacco. Se il nucleo non è ben mobilizzato, è consigliabile non procedere alle fasi successive. La rottura della capsula posteriore durante l’idrodissezione può avvenire o per un’estensione verso l’equatore di una ressi con “locus minoris resistentiae” o per intrinseche deficienze di struttura di sacco o zonula. Nel primo caso, infatti, se già nella creazione della capsuloressi vi sono state delle lacerazioni radiali, è necessario eseguire l’idrodissezione e/o l’idrodelineazione molto delicatamente per rendere minima la distensione del sacco capsulare e di conseguenza il rischio dell’estensione della lacerazione alla capsula posteriore. Per questo motivo in presenza di una ressi aperta o di una fuga della ressi, sarà più conveniente non eseguire un’idrodissezione, ma un’idrodelineazione ed eseguire tecniche di facoemulsificazione con ridotta rotazione del nucleo. Le manovre di rotazione del nucleo nel caso di una fuga della ressi sono rischiosissime. Nel secondo caso invece, la sovra distensione del sacco capsulare può determinare o il prolasso in camera anteriore del nucleo o la rottura della capsula posteriore con il rischio della caduta del nucleo all’interno del vitreo. Infatti, durante l’idrodissezione, la capsula posteriore può rompersi o perfino scoppiare se c’è 10
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eccessivo ristagno di liquido dietro la lente. Il liquido eccedente, in particolare in una cataratta brunescente e dura, può causare il balloon della capsula posteriore invece che spargersi come onda, quindi può rompere la capsula, fenomeno definito “blocco capsulare”12. Le cause più probabili per il blocco capsulare comprendono un’iniezione troppo vigorosa, una cannula mal pulita, una capsuloressi troppo piccola, un nucleo duro, o adesioni equatoriali troppo forti che ostruiscono l’uscita del liquido iniettato. Inoltre sono a rischio occhi con lunghezza assiale elevata o con capsule posteriori fragili, come quelle dei pazienti con cataratta polare posteriore. In caso di cataratta polare posteriore sarà più prudente eseguire un’idrodelineazione o un’idrodissezione molto prudente e ridurre la rotazione del nucleo. Inoltre in cataratte ipermature la corteccia precedentemente liquefatta si può ricondensare ed aderire nuovamente alla capsula, rendendo l’idrodissezione difficile (ma non meno necessaria): è importante condurre lentamente ed attentamente questa manovra eseguendo settori multipli d’idratazione intorno alla capsulotomia28. Veder passare l’onda di liquido non significa essere riusciti ad eseguire una corretta idrodissezione. La corticale può essere aderente in periferia o alla capsula anteriore. In questo caso il nucleo non ruota o ruota con difficoltà. Un’erronea o incompleta esecuzione dell’idrodissezione può compromettere l’integrità dei legamenti zonulari. Se questi cedono, anche solo in parte, potremo avere una protrusione vitreale in camera anteriore con rischio, nel postoperatorio di edema maculare cistoide e addirittura di distacco retinico da trazione vitreale. Nella peggiore delle ipotesi si rischia la disinserzione totale del sacco o peggio ancora la perdita del sacco stesso nella cavità vitreale.
Facoemulsificazione La facoemulsificazione è una delle fasi chirurgiche più a rischio di rottura della capsula posteriore. L’obiettivo primario è quello di impedire che il nucleo sprofondi nella cavità vitreale. La quantità di vitreo perso è direttamente collegata al tempo intercorso fra la rottura della capsula posteriore ed il momento in cui il chirurgo la riconosce29. Esistono comunque alcuni elementi che fanno presumere che si sia verificata una rottura capsulare. Per cui la caduta del nucleo nella cavità vitreale può a volte essere evitata riconoscendo i segni precoci di rottura della capsula: spostamento e decentramento ingiustificato del nucleo, aumento del diametro pupillare improvviso e inspiegabile, aumento di profondità della camera anteriore con spostamento all’indietro del diaframma irido-lenticolare e infine perdita di efficienza dell’aspirazione che suggerisce l’occlusione della punta dello strumento da parte del vitreo. Quindi i frammenti del nucleo e della corticale sembrano muoversi lentamente, da soli e la rotazione del nucleo, se tentata, mostra delle limitazioni di movimento. Dopo un po’ di rotazione i frammenti tendono poi a ritornare al loro posto iniziale. SPECIALE LA VOCE AICCER
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Figura 4.
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Si possono individuare due tempi chirurgici in cui si può verificare una rottura della capsula posteriore: una fase precoce con nucleo ancora presente in camera posteriore ed una fase tardiva con il nucleo già emulsificato. Se la rottura della capsula posteriore avviene quando ancora l’intero nucleo o pezzi di esso sono nel sacco, la situazione è particolarmente difficile, soprattutto perché il chirurgo non può rendersi conto dell’entità del danno capsulare. Quasi sempre la rottura della capsula posteriore che si verifica prima della rimozione del nucleo è seguita da profusione vitreale; quando è possibile, la vitrectomia andrebbe eseguita prima di rimuovere le porzioni di nucleo; essa viene però posticipata se c’è il rischio di uno sprofondamento del nucleo nel vitreo. Nel caso in cui invece sia rimasta solo una piccola porzione del nucleo, è molto più semplice coprire la lacerazione con sostanza viscoelastica e terminare la facoemulsificazione con un ridotto rischio di caduta di frammenti nucleari nella cavità vitrea. A tal fine si può anche utilizzare un glide sheets con la funzione di pseudo capsula posteriore. Le cause che portano alla rottura della capsula posteriore durante la fase di facoemulsificazione sono: • La discontinuità della capsula anteriore e della ressi con formazione di una rottura che si estende in periferia fino al coinvolgimento della capsula posteriore sia durante la scolpitura che durante la rimozione ed aspirazione dei frammenti; • Il contatto accidentale diretto della capsula posteriore con la punta del faco durante la scolpitura dei quadranti; • La lacerazione della capsula per aspirazione durante la frammentazione dei pezzi di nucleo; • Rottura della capsula posteriore per azione diretta di strumenti di servizio durante la manipolazione dei frammenti o dell’epinucleo; • La disinserzione zonulare per debolezze intrinseche della zonula o in seguito a un traumatismo intraoperatorio. Una causa possibile che porta poi alla rottura della capsula posteriore durante la facoemulsificazione è la rottura della ressi anteriore (Figura 4). Questa può avvenire per contatto e per un uso troppo superficiale con la punta del faco durante l’utilizzo di ultrasuoni in qualsiasi momento della facoemulsificazione, sia nella fase della nucleofrattura sia durante l’aspirazione vera e propria dei frammenti nucleari. La rottura della ressi può avvenire inoltre per contatto con il chopper durante la divisione in quadranti, o con altri strumenti meccanici come spatole, uncini e
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manipolatori gestiti dalla porta di servizio. Tale rottura della ressi può non arrestarsi nella zonula ed estendersi quindi alla capsula posteriore con possibili conseguenze disastrose. A favorire l’estendersi della rottura posteriormente può essere anche la manovra di divisione in quadranti ed il cracking, così come la semplice rotazione del nucleo. La rottura della capsula posteriore può avvenire inoltre per una scultura troppo profonda del nucleo durante l’esecuzione Figura 5. dei solchi (Figura 5). Ciò si verifica più facilmente nella zona più periferica dove la capsula posteriore risale dal centro più profondo fino alla zonula. Questo evento è favorito da un valore di vuoto eccessivo e dall’uso di una punta facilmente occludibile. Un momento cruciale in cui si può avere la rottura della capsula posteriore per contatto con la punta del faco è durante l’emulsificazione dell’ultimo frammento, in quanto la capsula non è più tenuta in tensione da materiale cristallinico per cui sventola, agitata dalle variazioni di pressione e dalle turbolenze del flusso. Soprattutto se la capsula posteriore è particolarmente sottile, come per esempio nella sindrome pseudoesfoliativa, questo inconveniente risulterà ancora più probabile. Un’elevata mobilità della capsula posteriore è presente anche nella miopia elevata, e in tutti i casi di lassità zonulare. Un altro evento che può causare la rottura della capsula posteriore è il collasso della camera anteriore, cioè il suo improvviso svuotamento (Figura 6). Questo può avvenire soprattutto per un uso eccessivo di vuoto con macchine non dotate di sistema anticollasso, quando al momento della disocclusione della tip, si ha l’improvvisa e violenta aspirazione del liquido presente in camera anteriore e con esso la cattura della capsula posteriore e la sua rottura. Il collasso della camera anteriore può avvenire anche per improvviso arresto dell’infusione, o per l’inginocchiamento od ostruzione del tubo o per l’esaurimento della bottiglia di BSS. Infine anche la manipolazione dell’epinucleo può provocare la rottura capsulare, in particolare se il manipolatore/spatola non è perfettamente levigato e presenta delle irregolarità che possono verificarsi anche per un contatto accidentale con la punta del Figura 6. SPECIALE LA VOCE AICCER
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faco in una fase precedente. Una rottura notata prima dell’estrazione completa del nucleo è da gestire molto scrupolosamente per la sua potenziale gravità. Il chirurgo deve osservare costantemente la punta del faco per tutta la durata della facoemulsificazione e cercare di rimanere il più lontano possibile dall’endotelio, dalla capsula posteriore e dall’iride. Inoltre nell’utilizzo del manipolatore/spatola, ogni mossa dovrebbe essere eseguita con grande cura per non affondare attraverso i nuclei
Figura 7.
molli, o oltre la capsula posteriore. Nel dubbio di una rottura capsulare bisogna immediatamente sospendere la facoemulsificazione e con l’ausilio immediato di una sostanza viscoelastica per ispezionare l’integrità della capsula senza uscire con la punta del faco dall’occhio. Se la rottura della capsula posteriore non si è ancora estesa in periferia, potrà essere trasformata in ressi posteriore in modo da permettere un impianto più semplice della IOL nel sacco capsulare ed evitare rotture radiali della capsula. Per fare questo è necessario l’uso di una sostanza viscoelastica eseguendo la manovra con la pinza da ressi, ricordando che la capsula posteriore è più sottile ed elastica di quella anteriore30.
Irrigazione/aspirazione L’evenienza di rottura capsulare in questa fase è meno grave rispetto alla facoemulsificazione perché non saranno presenti frammenti di nucleo, per cui l’intervento potrà essere concluso senza necessità di allargare il tunnel per una conversione in extracapsulare. Lo scopo di conservare la capsula posteriore, pur rotta, risiede nella possibilità di portare a termine un impianto in camera posteriore31. Durante l’I/A delle masse corticali, è possibile causare rotture capsulari quando si cerca di rimuovere i residui a ore 12, a causa della cattiva visione provocata dal tunnel, dalla loro stessa posizione, da una ressi troppo piccola o da una idrodissezione incompleta (Figura 7). La rottura capsulare non sempre si accompagna ad una perdita di vitreo. Inoltre nel caso di una rottura capsulare durante le fasi di I/A o di pulizia capsulare, il chirurgo può ben vedere sede ed estensione della rottura. La maggior parte delle rotture sono piccole e vengono poi enormemente allargate dalle errate manovre del chirurgo. In caso di una piccola rottura della capsula posteriore, Gimbel ha proposto di eseguire una capsuloressi posteriore30. In caso di rottura capsulare durante la fase di I/A, la sostanza viscoelastica gioca un ruolo importante. Infatti essa deve poter controbilanciare una spinta vitreale positiva, pertanto dovrebbe possedere un alto peso molecolare e alta viscosità. 14
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Questo è garanzia di un’adeguata contropressione sul vitreo che dalla rottura tenderebbe altrimenti ad erniare sull’iride. La sostanza viscoelastica dovrebbe avere inoltre una buona capacità di mantenere la posizione, senza essere facilmente rimossa dall’irrigazione e aspirazione in modo tale da consentire al chirurgo di proseguire con le manovre di asportazione di nucleo e cortex residui.
Impianto e posizionamento della IOL La rottura capsulare può avvenire anche durante l’impianto della IOL. Attualmente Figura 8. vi sono in commercio numerosi modelli di IOL, per cui l’insorgenza e l’incidenza di complicanze durante l’impianto della lente intraoculare potrà variare a seconda del tipo di lente, se rigida o pieghevole, e del tipo di impianto con o senza iniettore. Tuttavia indipendentemente dal materiale e dal modello usato, l’impianto della IOL potrà recare danni al sacco capsulare nel quale viene impiantata e questi danni possono riguardare la capsula anteriore e la ressi, la capsula posteriore o la zonula. La rottura della ressi anteriore durante la manovra di impianto avviene di solito quando questa è di piccole dimensioni o per contatto con l’ansa distale, o per contatto con il piatto della lente, o nell’inserimento della seconda ansa (Figura 8). Spesso questo inconveniente accade quando la IOL è difettosa, cioè quando presenta delle irregolarità taglienti, che possono essere causate da difetti di fabbricazione o da un’eccessiva manipolazione con le pinze32. In caso di rottura della ressi, dopo l’impianto sarà necessario verificare con molta attenzione che entrambe le loops siano all’interno del sacco capsulare e posizionate lontano dalla rottura. In alcuni casi può essere consigliato praticare, dopo l’inserimento della IOL, un’altra incisione sulla ressi diametralmente opposta alla prima. La rottura della capsula posteriore invece può verificarsi anche quando il sacco capsulare è poco disteso dalla sostanza viscoelastica, per cui l’ansa distale si impiglia in una piega di essa. Si può verificare anche per manovre eccesFigura 9. SPECIALE LA VOCE AICCER
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Incidenza e tempistica potenziale di rottura capsulare nella chirurgia della cataratta
sivamente brusche e violente nell’inserimento della lente ed in particolare della seconda ansa (Figura 9). Infine, la lussazione del sacco durante l’impianto della lente può avvenire per una manovra troppo energica rispetto alla resistenza zonulare, in particolare nel caso di pazienti molto anziani o con sindrome pseudoesfoliativa o nel caso di una prolungata facoemulsificazione con difficoltosa rotazione. Anche un uso improprio dell’iniettore può causare una rottura zonulare e una lussazione del sacco capsulare. Se la lussazione zonulare non è molto estesa è consigliabile l’utilizzo di un anello di tensione capsulare. Alcuni consigli per evitare ulteriori complicanze nell’impianto della IOL sono quelli di porre molta attenzione all’iniezione della IOL nel caso in cui la rottura capsulare si trovi nella posizione opposta al tunnel, in quanto la IOL stessa può cadere attraverso la rottura nel vitreo. Inoltre se già nella manovra della capsuloressi vi siano state delle lacerazioni radiali, è opportuno ridurre il più possibile la rotazione della IOL e rimuovere lentamente la sostanza viscoelastica mentre si effettua una infusione lenta di soluzione salina bilanciata attraverso un’altra incisione d’accesso. Autore di Prof. Aldo Caporossi riferimento Dipartimento di Scienze Odontoiatriche e Oftalmologiche Università di Siena - UOC Oculistica Azienda Ospedaliera Universitaria Senese Policlinico S. Maria delle Scotte, Siena Tel. 0577 585660 • Fax 0577 586162 caporossi@unisi.it
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Daniele Tognetto
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a moderna chirurgia oftalmica del segmento anteriore si avvale in maniera imprescindibile dell’utilizzo delle sostanze viscoelastiche. La viscochirurgia, termine coniato da Balazs1,2 a cavallo degli anni ’80, rappresenta l’elezione nella chirurgia della cataratta e garantisce brillanti risultati in termini di sicurezza ed efficacia. Le sostanze viscoelastiche sono soluzioni acquose di catene molecolari polisaccaridiche con diverso peso molecolare e concentrazione. Acido ialuronico e condroitinsolfato sono le molecole più utilizzate3,4. Anche l’idrossipropilmetilcellulosa ha avuto in passato una certa diffusione5,6. Oggi il mercato propone una vasta offerta di soluzioni viscoelastiche, molto spesso diverse solo per etichetta commerciale ma molto simili in termini di proprietà chimico-fisiche. È la comprensione di queste ultime che permette al chirurgo di scegliere il prodotto più adatto per ogni tempo chirurgico per ottenere una chirurgia più semplice e sicura. A riprova del fatto che sia necessario conoscere le proprietà reologiche di queste soluzioni polimeriche, la recente terminologia anglosassone denomina le sostanze viscoelastiche come Ophthalmic Viscosurgical Devices (OVD)7,8. Infatti il termine viscoelastico definisce in maniera impropria una soluzione polimerica secondo una delle caratteristiche reologiche che in alcuni casi non è la componente principale del prodotto. Il termine reologia si riferisce alla scienza che studia la deformazione ed il flusso della materia. È noto che le principali proprietà reologiche di un OVD sono rappresentate dalla viscosità e dalla coesività9. La viscosità esprime la misura della resistenza al flusso. È sinonimo di frizione
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interna, cioè della resistenza che le molecole offrono allo scorrimento laminare reciproco ed è funzione sia del peso molecolare che della concentrazione. La coesività è invece la capacità di una sostanza di aderire a se stessa e di uscire dall’occhio come massa singola. È funzione dell’aggrovigliamento molecolare e quindi del peso molecolare e della concentrazione10. Il suo contrario è la dispersività, cioè quella proprietà che descrive la tendenza a sepimentare e a dividersi in masserelle separate. È funzione inversa del Figura 1. Surge e cattura della capsula posteriore nella facotip peso molecolare e della concentrazione. La maggior parte delle soluzioni viscoelastiche presenti sul mercato segue la regola secondo cui all’aumento del peso molecolare e della concentrazione delle molecole in soluzione si osserva un aumento della viscosità e della coesività. Al contrario soluzioni poco concentrate di molecole corte avranno una bassa viscosità ed un’alta dispersività. Viscosità, coesività e dispersività sono le tre caratteristiche sulla base delle quali è possibile classificare i diversi OVD e prevedere il loro comportamento clinico. È noto infatti che OVD pesanti e concentrati avranno un’alta viscosità e verranno utilizzati per creare e mantenere gli spazi all’interno dell’occhio. Lo svantaggio è rappresentato dall’elevata coesività di queste sostanze che determina un’immediata fuoriuscita dall’occhio sotto l’effetto di flussi anche di ridotta entità. Al contrario OVD leggeri e poco concentrati avranno un’elevata dispersività e verranno preferiti nella protezione tessutale per la loro tendenza a rimanere aderenti ai tessuti. La capacità di creare spazio è però ridotta per la bassa viscosità di queste sostanze11,12. Tuttavia negli ultimi anni si sono affacciati sul mercato nuovi OVD con caratteristiche innovative. In primo luogo la categoria di soluzioni concentrate di molecole ad altissimo peso molecolare. Questi OVD vengono denominati “pseudo dispersivi” o “viscoadattivi”13. Ciò deriva dal fatto Figura 2. Iniezione di OVD viscodispersivo per bloccare l’apertuche l’elevata viscosità di queste soluzioni ra della capsula posteriore ed impedire il passaggio di vitreo in è tale per cui la presenza di flussi di camera anteriore. SPECIALE LA VOCE AICCER
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media portata determina la frattura della catene molecolari simulando un comportamento dispersivo. Il termine viscoadattivo definisce il comportamento variabile di queste soluzioni poiché rispondono a flussi ridotti come sostanze dispersive mentre sotto l’incremento del flusso assumono un comportamento coesivo. L’altra categoria è quella delle miscele molecolari. Soluzioni miste di molecole ad alto e a basso peso molecolare configurano una categoria di OVD viscosi-dispersivi che presentano un comportamento peculiare. L’alta viscosità consente di mantenere gli spazi mentre la presenza di piccole molecole tendenti ad aderire ai tessuti garantiscono un’ottima protezione tessutale ed una globale tendenza a vincere l’effetto coesivo di massa sotto l’azione di flussi di media entità14. Queste due ultime categorie di OVD rappresentano un notevole passo in avanti nella gestione chirurgica del segmento anteriore e costituiscono un aiuto fondamentale in particolare nella gestione dei casi complicati in quanto garantiscono, se adeguatamente impiegati, un effetto assolutamente desiderabile che è la compartimentazione15,16. La compartimentazione può essere definita come la possibilità di suddividere gli spazi all’interno dell’occhio. Tale proprietà risulta molto utile e deve essere sfruttata in combinazione con la gestione dei flussi. È quindi necessario conoscere la fluidica della chirurgia in atto e in particolare, per quanto riguarda la chirurgia della cataratta, la fluidica del facoemulsificatore in uso. Nella chirurgia della cataratta la compartimentazione può essere utilmente impiegata durante manovre di routine come l’esecuzione di una capsuloressi o l’impianto della IOL17. Arshinoff nel 2002 ha proposto la variante “ultimate” della nota “soft shell technique”18. L’utilizzo di un OVD viscodispersivo consente di creare un ambiente acquoso al davanti del cristallino dove eseguire la capsuloressi. Lo stesso OVD consente di bloccare l’apertura del sacco capsulare prima dell’impianto e di effettuare lo stesso in un sacco disteso con BSS. Ciò al fine di evitare di riempire il sacco capsulare con un OVD di elevatissimo peso molecolare che potrebbe dare problemi di ipertono qualora incompletamente rimosso. Se tale tecnica non ha avuto grande diffusione per la relativa difficoltà di esecuzione, ha sicuramente avuto il merito di rendere chiara la possibilità di ottenere una compartimentazione all’interno dell’occhio19,20,21,22. La compartimentazione rappresenta un’opportunità chirurgica particolarmente vantaggiosa in particolare nella gestione dei casi complicati. La rottura capsulare costituisce uno dei momenti più critici per il chirurgo della cataratta e la possibilità di sfruttare le peculiari proprietà di alcuni OVD diventa di fondamentale importanza per risolvere in sicurezza e nel modo più appropriato una complicazione potenzialmente pericolosa nei suoi esiti. La rottura capsulare si verifica nella metà dei casi durante le manovre di facoemulsificazione ed è quasi sempre legata ai fenomeni di surge postocclusivo23,24. 20
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Altre condizioni che possono determinare la rottura della capsula posteriore durante la facoemulsificazione sono una scolpitura troppo profonda, soprattutto nella zona più periferica, oppure, nel caso di un danno del bordo della capsuloressi, una fuga posteriore favorita dalle manovre di rotazione e divisione in quadranti. Meno frequentemente la rottura capsulare si verifica durante la rimozione dei residui corticali nella fase di irrigazione/aspirazione automatizzata25,26,27. Figura 3. Utilizzo di ago cannula curva per la rimozione “a secÈ dunque frequente l’eventualità di co” dei residui corticali sotto l’incisione sfruttando l’effetto incorrere in una rottura capsulare quan- compartimentante dell’OVD do ancora parte del materiale lenticolare non sia stato rimosso. Nel caso si verifichi una rottura capsulare è importante osservare alcune regole di comportamento. 1. Innanzitutto è fondamentale rendersi conto tempestivamente della rottura e fermare immediatamente le manovre in camera anteriore. Può sembrare banale ma uno degli elementi che spesso rendono la rottura capsulare di più difficile gestione è il suo misconoscimento. Riconoscere o sospettare sollecitamente una rottura capsulare è di cruciale importanza per poter prevenire il suo allargamento, per evitare, se non sia già avvenuta, la rottura della ialoide anteriore, per ridurre la possibilità del prolasso di vitreo in camera anteriore, per evitare che eventuali frammenti lenticolari vengano lussati in camera vitrea sotto l’azione dei flussi. Oltre alla visualizzazione diretta della rottura, spesso preceduta dal surge postocclusivo, segni indiretti di rottura capsulare includono l’approfondimento improvviso e/o asimmetrico della camera anteriore, la discoria, l’impossibilità di catturare le masse lenticolari per la presenza di vitreo che occlude la punta del manipolo Figura 4. Impiego dell’ago di Charleux per l’aspirazione “a secco” dei residui corticali. L’OVD occlude l’apertura della capsula faco, una maggiore evidenza del posteriore senza creare un eccessivo aumento della pressione intraoculare. riflesso rosso. SPECIALE LA VOCE AICCER
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2. Una volta osservata la presenza di una rottura capsulare non bisogna avere fretta di concludere l’intervento. L’ansia legata all’insorgere di una complicanza spinge soprattutto il chirurgo meno esperto a cercare di completare la chirurgia il più rapidamente possibile. Ciò deriva dalla sensazione che una durata inferiore dell’intervento possa conseguire un risultato finale migliore. Inoltre nasce dal timore che il paziente possa mal tollerare un procrastinarsi del tempo chirurgico. 3. Non avventurarsi in manovre incongrue. Queste riguardano soprattutto il tentativo di recuperare i residui di cristallino. Frammenti nucleari lussati nel vitreo richiedono l’approccio mediante vitrectomia via pars plana. Tentativi di recupero con anse irrigatrici, facotip o altri strumenti, anche se proposti da diversi chirurghi, sono molto rischiosi e possono provocare complicanze retiniche od emorragiche molto severe. 4. È necessario ragionare sulla situazione che si è venuta a realizzare valutando attentamente l’entità della rottura, l’eventuale presenza di materiale lenticolare residuo da rimuovere, l’integrità della capsuloressi, la presenza di vitreo in camera anteriore. Inoltre bisogna tenere conto del tipo di anestesia in atto. Se si ritiene di poter incontrare delle difficoltà, eseguire un’anestesia peribulbare nel caso l’intervento sia stato condotto in anestesia topica può essere utile per tranquillizzare sia il paziente che il chirurgo. 5. La presenza di grosse quantità di vitreo in camera anteriore richiede la vitrectomia “a secco” senza irrigazione contemporanea. L’utilizzo di vitrectomi irriganti o di linee di irrigazione separate possono creare notevole turbolenza in camera anteriore ed in camera vitrea. Ciò può favorire l’ulteriore prolasso di vitreo attraverso il forame pupillare e causare la lussazione di eventuali frammenti di cristallino dalla camera anteriore alla camera vitrea. Inoltre si possono creare pericolose trazioni sul vitreo. Alcuni chirurghi preferiscono invece eseguire la vitrectomia con irrigazione soprattutto se bimanuale sostenendo la possibilità di mantenere una pressione positiva in camera anteriore per mantenere il vitreo dietro al piano irideo. La presenza di tralci vitreali può invece essere gestita diversamente e non necessariamente con vitrectomia. 6. È necessario rimuovere completamente i residui lenticolari sia nucleari che corticali. La loro persistenza può provocare ipertono e flogosi postoperatoria. Se i residui nucleari sono molto grossi può essere necessario utilizzare il facoemulsificatore ma solo qualora non vi sia la presenza di vitreo in camera anteriore. In alternativa può essere necessario allargare l’incisione per estrarli. Residui corticali o nucleari di piccole dimensioni vanno rimossi preferibilmente con manovre manuali “a secco”28. In alcuni casi, qualora la rottura capsulare sia molto ampia, il sacco capsulare si retrae verso la zonula intrappolando le masse corticali residue. La frequente presenza concomitante di vitreo rende molto difficile la pulizia delle masse lenticolari. Si preferisce allora asportare l’intero sacco giudicando anche inefficace la sua funzione di supporto per la IOL. 22
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7. L’impianto della IOL va effettuato solo quando sia stato eliminato il vitreo dalla camera anteriore e dopo la pulizia dei residui lenticolari. La sede d’impianto va valutata tenendo conto dell’integrità della ressi e delle dimensioni della rottura29,30. L’utilizzo di OVD nella gestione di una rottura capsulare può permettere di affrontare i punti 5, 6 e 7 mantenendo un bulbo in quiete ed eseguendo le manovre necessarie in assoluta sicurezza31,32,33,34. Figura 5. Iniezione di OVD per allargare gli spazi prima dell’imAlcuni aspetti dell’utilizzo di OVD in pianto e mantenere compartimentato il segmento anteriore questi frangenti sono sempre stati oggetto di discussione. In particolare esistono alcune perplessità che riguardano l’eventualità che l’OVD si possa confondere con il gel vitreale rendendo più difficile la sua rimozione. Inoltre esiste il timore che la rimozione di OVD, spesso impiegato in abbondanza, possa essere incompleta in questi frangenti dando origine ad indesiderati ipertoni nel postoperatorio35,36. In effetti l’incertezza di non poter rimuovere completamente l’OVD porta spesso ad utilizzare OVD dispersivi che meglio di altri possono confondersi e mescolarsi con il gel vitreale rendendone più difficoltosa la rimozione. Per utilizzare al meglio un OVD durante una rottura capsulare è necessario sfruttare l’effetto compartimentante che alcuni OVD possono offrire. In particolare, come già detto, le nuove categorie di OVD (viscoadattivi e viscodispersivi) presentano caratteristiche reologiche peculiari che ne permettono l’uso come sostanze compartimentanti. Il principio della compartimentazione sfrutta la capacità di un OVD di resistere al flusso e di poter bloccare una parte dello spazio presente all’interno dell’occhio. L’OVD deve potersi vedere in camera anteriore per poter funzionare con uno strumento fluido. In assenza di vitreo in camera anteriore l’effetto compartimentante può essere sfruttato per chiudere la rottura ed Figura 6. Impianto di IOL. impedire il prolasso del vitreo. SPECIALE LA VOCE AICCER
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L’OVD compartimentante deve essere utilizzato in piccoli boli senza causare un aumento della tensione all’interno del bulbo e senza creare differenze pressorie tra diversi compartimenti. L’OVD che chiude la rottura deve essere iniettato in quantità sufficiente a creare una barriera al passaggio del vitreo ma non eccessiva in modo da non creare tensione sul bordo della rottura e provocarne l’allargamento. Eccessive quantità di OVD compartimentante causano un rialzo della tensione intraoculare con fuoriuscita del contenuto della camera anteriore all’apertura dell’incisione. Le manovre di pulizia delle masse lenticolari devono essere effettuate “a secco” senza creare flussi eccessivi in camera anteriore28. Nell’eventualità si renda necessario utilizzare il facoemulsificatore o si desideri utilizzare l’I/A bimanuale, l’altezza della bottiglia di infusione deve essere molto bassa così come ridotti devono essere i valori di flusso e vuoto. Vanno impiegati cioè i criteri della “slow motion technique” proposta da Osher37. Ciò al fine di non vincere la forza dell’OVD compartimentante. Durante le manovre di asportazione dei residui lenticolari può essere comunque necessario ripristinare la compartimentazione iniettando boli ulteriori. Tutto deve accadere molto lentamente per mantenere un aspetto “congelato” della situazione chirurgica. Utili per la rimozione di residui corticali sono le cannule di Charleux, le cannule di Rycroft e le cannule ricurve per la rimozione delle masse sotto l’incisione. Nel caso sia presente vitreo in camera anteriore è necessario eseguire una vitrectomia “a secco”. Anche in questo caso l’OVD deve servire per compartimentare le zone libere da vitreo e deve evitare l’ulteriore prolasso di vitreo in camera anteriore. La frequenza di tagli del vitrectomo deve essere elevata per evitare trazioni eccessive sul gel vitreale. L’aspirazione non deve essere troppo elevata per non trascinare ulteriore vitreo in camera anteriore e per non vincere la forza compartimentante dell’OVD. In presenza di tralci vitreali l’OVD può essere sfruttato per mantenerli dietro il forame pupillare dopo averli liberati da eventuali impegni eseguendo con una spatola la manovra di Castroviejo38,39. Questa manovra chirurgica è particolarmente utile poiché permette di evidenziare l’impegno di tralci vitreali nelle incisioni e permette anche di sospingere i tralci vitreali in campo pupillare da dove si possono spingere posteriormente utilizzando l’OVD. Si esegue attraverso una paracentesi muovendo la spatola in direzione centripeta dalla radice iridea verso il forame pupillare. Una volta rimosso il vitreo ed asportate le masse lenticolari residue è possibile procedere con l’impianto. Ancora una volta l’effetto compartimentante dell’OVD può essere impiegato per allargare gli spazi necessari per l’impianto sia esso in camera anteriore, nel solco ciliare o nel sacco capsulare. Infine, per quanto riguarda la rimozione dell’OVD al termine della chirurgia, essa sarà tanto più agevole quanto meno OVD sarà stato utilizzato. I boli di 24
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OVD viscoadattivo sono facilmente riconoscibili poiché non sono solo direttamente visibili ma anche individuabili per la presenza di segni indiretti che derivano dall’asimmetria degli spazi in camera anteriore. I boli di OVD viscodispersivo saranno identificabili grazie al diverso indice di refrazione di queste sostanze rispetto alla BSS. L’aspirazione degli OVD sarà manuale utilizzando cannule di Charleux o automatica utilizzando un’irrigazione/aspirazione automatizzata bimanuale40,41. In conclusione per gestire una rottura capsulare sfruttando l’effetto compartimentante degli OVD è necessario seguire le seguenti regole: 1. Utilizzare OVD viscoadattivi o viscodispersivi 2. Compartimentare gli spazi in camera anteriore utilizzando piccole quantità (boli) di OVD di volta in volta senza accrescere la pressione in camera anteriore 3. Utilizzare tecniche di aspirazione manuale “a secco” dei residui lenticolari. 4. Utilizzare tecniche di vitrectomia “a secco” 5. Nel caso si decidesse di utilizzare tecniche di irrigazione/aspirazione automatizzata o di vitrectomia irrigante è necessario impiegare parametri “slow motion”. Prof. Daniele Tognetto Autore di Clinica Oculistica - Università di Trieste riferimento Tel. 040 3992517 • Fax 040 772449 tognetto@univ.trieste.it
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Gestione della rottura capsulare mediante viscoelastici
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Giovanni Alessio
Faco con rottura capsulare: come e perché e come completare la procedura in questa situazione
L
a rottura della capsula posteriore durante un intervento di facoemulsificazione della cataratta si verifica, secondo i dati della letteratura internazionale, in una percentuale tra l’ 1.9 ed il 5.2%1-3 degli interventi di cataratta senile. È quindi un evento a cui bisogna essere sempre preparati al fine di poter predisporre le giuste misure per prevenirla o per poter gestire l’urgenza. Una rottura accidentale della capsula posteriore si può verificare durante varie fasi dell’intervento: 1. l’idrodissezione 2. la faco con nucleo ancora intero 3. dopo la nucleo frattura 4. l’aspirazione delle masse 5. l’impianto 6. l’aspirazione del viscoelastico. In questa sede saranno trattati i primi tre punti.
1. Idrodissezione Durante le manovre di idrodissezione il liquido iniettato tra la capsula e la corteccia sposta nucleo e corticale in avanti. Continuando ad iniettare liquido si provoca la giustapposizione del nucleo+corticale sul bordo libero della ressi, e l’aumento pressorio causato dal liquido porterà ad una progressiva dilatazione della capsula posteriore (Figura 1) fino alla rottura della stessa con un vero e proprio meccanismo di “scoppio”. Tale problematica si chiama Capsular Block Sindrome (CBS) acuta4. Esistono delle manovre di prevenzione della CBS acuta, di cui si dovrebbe sempre tener conto. Innanzitutto è importante eseguire ressi non troppo piccole (di norma non inferiori a 5 SPECIALE LA VOCE AICCER
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Faco con rottura capsulare: come e perchè e come completare la procedura in questa situazione
millimetri), al fine di ridurre la superficie di contatto tra capsula anteriore e corticale. Bisogna infatti, tener presente che la superficie della ressi aumenta in misura direttamente proporzionale al quadrato del raggio della stessa, per cui ressi anche di poco più piccole comporterebbero una superficie di contatto molto maggiore. Inoltre, al fine di favorire il passaggio del liquido fra capsula e corticale, e quindi evitarne l’accumulo, è opportuno “massaggiare” delicatamente il nucleo nel settore opposto a quello in cui si è iniettato il liquido per la dissezione (ad es. se iniettiamo il liquido alle sei massaggiare alle dodici). Se, nonostante tutto, ci si trova comunque di fronte ad una CBS acuta, bisogna tener presente che la rottura capsulare che si verifica in corso di tale evenienza è violenta, di grandi dimensioni, in genere va da un estremo dell’equatore a quello Figura 1. diametralmente opposto, ed il nucleo viene espulso con violenza dalla capsula, precipitando in camera vitrea. Quando ciò si verifica è buona norma eseguire una iridectomia e procedere ad un intervento per via pars plana.
2. Faco con nucleo ancora intero Nelle prime fasi della facoemulsificazione, con nucleo ancora intero, ci sono dei campanelli d’allarme che devono farci sospettare una rottura capsulare. Se notiamo un’eccessiva mobilità del nucleo all’interno del sacco o una sua posizione più posteriore, dobbiamo subito pensare ad una rottura capsulare a livello dell’equatore. A questo punto è fondamentale fermarsi subito. La prima cosa da fare sarà stabilizzare la profondità della camera anteriore iniettando un viscoelastico dispersivo; bisogna stare attenti però da una parte a non riempire eccessivamente la camera perché ciò comporterebbe un’ulteriore pressione sul cristallino con conseguente aumento del diametro della rottura, dall’altra a non riempirla troppo poco, perché una quantità scarsa di viscoelastico provocherebbe un avanzamento del vitreo attraverso la rottura capsulare, con un possibile allargamento della stessa. Una volta stabilizzata la camera anteriore, è importante analizzare lucidamente la situazione. Dato che non possiamo conoscere sede e dimensioni della rottura capsulare, è più sicuro rimuovere il nucleo per intero. Si valuteranno le dimensioni del nucleo, della capsuloressi e dell’incisione corneale, quindi si procederà ad allargare la capsuloressi sino a consentire una espressione del nucleo in camera anteriore, facendo attenzione a conservarne intatto il bordo libero per disporre di un supporto sicuro per l’impianto. Quindi bisognerà eseguire una apertura di servizio in una sede lontana da quella della possibile rottura, introdurre attraverso quest’ultima una spatolina, un ago o comunque un ferro delicato con cui si potrà spostare il bordo della ressi, raggiungere l’equatore del nucleo e, ruotandolo, spostarlo in camera anteriore. A questo punto sarà necessario allargare l’incisione sino a rendere possibile l’estrazione del nucleo. È importante ricordare che, in tutte queste fasi, bisogna sempre ridare pressione in camera anteriore con viscoelastico dispersivo ogni volta che la pressione del bulbo si riduce eccessivamente. 28
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ROTTURA CAPSULARE CON PERDITA DI VITREO IN CORSO DI INTERVENTO DI CATARATTA
In alternativa all’estrazione del nucleo intero, è anche possibile rimuoverlo previa rottura dello stesso. Esistono degli appositi set di ferri per estrazione extracapsulare con microincisione che consentono di dividere il nucleo in due o più frammenti: ponendo un’ansa sotto il cristallino ed una spatolina sopra e schiacciando, si divide il cristallino in due o più frammenti Kansas vectis - Katalyst surgical inc che si possono estrarre5 in meno di quattro millimetri di incisione (Figura 2). È anche descritta un’altra tecnica: si forma un’ansa con un nylon 7/0, facendo passare il filo in una cannula, facendolo uscire dall’apertura anteriore e quindi reinfilandolo nella stessa; l’ansa così formata viene inserita nell’occhio e fatta passare intorno al nucleo e, tirando le estremità del nylon sarà possibile sezionare il nucleo. A questo punto si dovranno estrarre i Kansas Nucleus Trisector frammenti di nucleo dall’occhio. La durezza del nucleo e la strumentazione in nostro possesso ci guideranno sulle dimensioni dell’incisione da effettuare. Bisogna sempre ricordare che è presente un’interruzione della capsula per cui non si può sottoporre il bulbo a stress pressori, pena la perdita di vitreo: meglio un’apertura lievemente ampia di una un poco stretta. Si dovrà introdurre nell’apertura di servizio prima effet- Kansas Nucleus Bisector tuata l’ago della siringa contenente viscoelastico dispersivo, iniettando dolcemente mentre con Figura 2. una spatolina si apre delicatamente l’incisione: in questo modo il nucleo impegnerà l’incisione e con l’aiuto della spatolina ne potremo completare l’espulsione inducendo una lieve rotazione del nucleo. Meglio non estrarre il nucleo o i suoi frammenti con pinza in quanto, durante l’estrazione, si provoca una suzione sul vitreo con le ovvie conseguenze.
3. Dopo nucleo frattura Ultimo punto da trattare è la rottura capsulare dopo aver rotto il nucleo, quindi in presenza di uno o più frammenti di cataratta. Quando sospettiamo si sia verificata una rottura della capsula posteriore dobbiamo immediatamente sospendere l’azione del faco, sia infusione-aspirazione che ultrasuoni; ogni fluttuazione della camera, infatti, può provocare un allargamento della rottura, trasformando così un foro, od una piccola rottura, in una lacerazione più grande. È necessario stabilizzare la camera anteriore per esplorare la zona di rottura e prendersi un po’ di SPECIALE LA VOCE AICCER
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Faco con rottura capsulare: come e perchè e come completare la procedura in questa situazione
tempo per decidere come proseguire l’intervento. Si può procedere tamponando la zona di rottura con viscoelastico dispersivo per poi valutare la forma e le dimensioni della rottura stessa. Se è rotondeggiante ed a bordo continuo, senza incisioni di fuga, sarà possibile proseguire l’intervento di estrazione manuale dei frammenti. In alternativa, si potrebbe anche continuare la facoemulsificazione, ma prendendo alcuni accorgimenti, Innanzitutto bisogna separare l’infusione dall’aspirazione; infatti, non possiamo più utilizzare un sistema coassiale perché la turbolenza dei fluidi in prossimità della punta del faco provocherebbe una perdita di vitreo. Quindi si dovrà praticare un’apertura di servizio lontana dall’incisione e applicare un mantenitore di camera anteriore. Meglio ancora sarebbe procedendo come segue: entrare in camera anteriore dall’apertura di servizio con una sonda da infusione, ad esempio quella da infusione delle sonde IA di Buratto, modificare i parametri del faco riducendo l’infusione ed il flusso per non provocare turbolenze, mantenere l’infusione non lontana dalla bocca del faco in modo da ottenere un flusso di liquidi localizzato in una piccola zona; ad esempio, in presenza di un frammento di nucleo, porre la punta del faco da un lato e l’infusione dal lato opposto, in questo modo il surge, cioè il risucchio di liquidi che si verifica dopo l’aspirazione del frammento nella bocca del faco, sarà più facilmente compensato dai liquidi d’infusione e se la camera anteriore sarà ben riempita da viscoelastico dispersivo non ci saranno oscillazioni significative della profondità della stessa. Si può procedere riempiendo nuovamente la camera anteriore con viscoelastico coesivo che precederà la rimozione del frammento successivo eseguendo le stesse manovre prima descritte. Ripetere il tutto sino alla completa rimozione di tutte le masse catarattose. È importante non rimuovere più di un frammento alla volta perché altrimenti si rischia di provocare maggiori oscillazioni della camera anteriore, con conseguente allargamento della rottura capsulare e perdita di vitreo. In presenza di interruzioni del bordo della rottura capsulare, si può valutare la possibilità di trasformare la rottura in capsuloressi posteriore avendo cura di tamponare il vitreo con il viscoelastico adesivo. Se è già presente del vitreo in camera anteriore, la situazione è più complessa. Bisognerà innanzitutto stabilizzare la camera anteriore con viscoelastico, ricordando però che più mandiamo l’occhio in ipertono, più vitreo si affaccerà in avanti. È opportuno non utilizzare mai sistemi coassiali, in quanto il liquido d’infusione tenderà a versarsi in camera vitrea, con conseguente nuovo impegno di vitreo nella ferita. Separare quindi infusione e vitrectomo e ridurre la larghezza dell’incisione corneale con un punto di sutura temporaneo. Sarà utile effettuare una apertura di servizio in modo da infondere da un lato ed aspirare e tagliare da un altro; in questo modo si potrà ottenere un flusso controllabile e sarà più facile liberarsi dal vitreo. Valori indicativi a cui settare il vitrectomo sono: almeno 800 tagli al minuto, vuoto 100/150 mmHg e flusso 15/25 cc/min. È molto utile evidenziate il vitreo con triamcinolone acetonide preparato6 come per l’uso in camera vitrea. Ciò consentirà di visualizzare anche le più fini fibrille (Figura 3). Quando si usa il vitrectomo bisogna ricordare che le trazioni sul vitreo si ripercuotono sulla retina per cui è importante, tutte le volte che si decide di estrarre il vitrectomo dall’occhio, tagliare senza aspirare, al fine di liberare completamente la bocca dello strumento dal vitreo. 30
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ROTTURA CAPSULARE CON PERDITA DI VITREO IN CORSO DI INTERVENTO DI CATARATTA
Ricordarsi sempre di tamponare la rottura con viscoelastico per catturare eventuali frammenti. Proseguire l’asportazione dei frammenti con la tecnica indicata precedentemente e quindi alternare vitrectomia ed asportazione di frammenti sino al completamento. Se l’intervento si sta svolgendo in anestesia topica, instillare anestetico ogni dieci minuti, perché, come è ovvio, se il paziente avverte dolore tutto diventerà più difficile. È importante non utilizzare lidocaina intraoculare in queste situazioni, in quanto il paziente potrebbe non vedere più la Figura 3. luce e quindi muoversi, inoltre sono stati descritti casi di danni retinici da lidocaina per contatto diretto sulla retina. Un ultimo consiglio, che vale in tutti i casi di chirurgia complicata, è quello di restare calmi e tranquillizzare sempre il paziente, perché conservare la lucidità ed avere un paziente calmo e collaborante sono fattori indispensabili per portare a buon termine l’intervento.
Prof. Giovanni Alessio Autore di Clinica Oculistica Università degli Studi di Bari riferimento Dipartimento di Oftalmologia e ORL Tel. 080 5593577 g.alessio@oftalmo.uniba.it
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Alessandro Franchini
Infusione ed aspirazione: rottura capsulare con o senza perdita vitreale Il verificarsi di un foro o di una rottura capsulare durante un intervento di facoemulsificazione è oggi una evenienza estremamente rara capace però di causare a catena tutta una serie di complicanze la cui non corretta gestione può provocare serie conseguenze. Proprio la rarità di questa complicanza fa si che molti chirurghi non abbiano una sufficiente esperienza della sua gestione e possano con manovre e decisioni inconsulte, spesso dettate anche dalla emotività e dalla drammaticità del momento, provocare un aggravamento della situazione. Anche se ciascun scenario chirurgico coinvolgente una rottura della capsula posteriore è unico, vi sono tutta una serie di manovre chirurgiche che se applicate correttamente permettono all’ operatore, almeno in un certo numero di casi, di rimuovere il materiale lenticolare senza effettuare eccessive trazioni sulla retina e di risparmiare una porzione di sacco capsulare sufficiente a consentire l’impianto di una lente intraoculare. Un foro può presentarsi in tutte le varie fasi della facoemulsificazione, ma anche se si è verificato precocemente normalmente il chirurgo se ne accorge dopo la rimozione del primo quadrante. Vi sono alcuni segni che possono far supporre al chirurgo la sua presenza (BOX 1). La rottura normalmente si localizza alla estremità distale dell’asse della direzione tenuta dalla tip che può attraversare il nucleo e la corticale nel punto in cui la capsula posteriore è più vicina a quella anteriore. Cosi per un chirurgo destro la sede più frequente sono le 5 e per un chirurgo mancino le 7. Una volta che il chirurgo si è reso conto della presenza della rottura l’importante è mantenere la calma ed evitare di eseguire manovre sbagliate che possono aggravare la 32
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ROTTURA CAPSULARE CON PERDITA DI VITREO IN CORSO DI INTERVENTO DI CATARATTA
Segni della presenza di una lesione capsulare
• Complicanze durante l’esecuzione della rexi • Improvviso abbassamento della camera anteriore • Improvviso allargamento o restringimento della pupilla • Difficoltà nell’ingaggiare ed aspirare i frammenti • Improvvisa scomparsa di materiale lenticolare • Deformazione della rexi al movimento degli strumenti • Visualizzazione diretta della rottura o di fibre vitreali in camera anteriore • Aumento dello spazio tra la capsula anteriore e la faccia posteriore dell’iride • Diminuzione della followability e della holdability • Improvvisa incapacità di ruotare un nucleo che prima era perfettamente mobile BOX 1
situazione. Per esempio è fondamentale mantenere gli strumenti in camera anteriore evitando una loro rapida rimozione che comporterebbe una istantanea diminuzione di tensione che potrebbe favorire il passaggio del vitreo attraverso la rottura ed anche spingerlo ad uscire dalla incisione. In questi pazienti la fluidica ed anche la meccanica di un intervento convenzionale di facoemulsificazione possono provocare un ulteriore allargamento della rottura con il rischio sia di lussazione della lente o di frammenti di essa in camera vitrea, sia di prolasso vitreale in camera anteriore. È quindi necessario ricorrere a metodiche chirurgiche che consentano allo stesso tempo di avere un ottimo controllo e stabilità della camera anteriore anche lavorando con parametri di fluidica molto bassi, e di ridurre al minimo le eventuali sollecitazioni meccaniche. Certamente lavorare con una camera chiusa e stabile rappresenta un fattore molto importante, poiché gli spostamenti avanti indietro del diaframma irido-lenticolare tendono a trasmettere sollecitazioni al corpo vitreo. Si tratta del concetto di “IMMOBILE CATARACT SURGERY” che comporta tutta una serie di accorgimenti e precauzioni che tendono a minimizzare gli sbalzi pressori che si verificano durante l’intervento. È stato infatti dimostrato che durante un intervento di faco tradizionale soprattutto durante la rimozione del nucleo e l’impianto della lente si possono raggiungere in camera anteriore pressioni anche superiori ai 100 mmHG. È stato anche dimostrato che tali pressioni possono rapidamente scendere nel giro di pochi secondi (per esempio al momento della rimozione degli strumenti dalla camera anteriore) determinando rapide fluttuazioni dell’ordine anche di 80-100 mmHg. Abbassare la bottiglia di infusione utilizzando dei valori di flow-rate e vacuum proporzionatamente ridotti rende tutta la facoemulsificazione più lenta e sicura. È ovvio quindi che le moderne tecniche di microincisione sia microcoassiale che bimanuale presentano dei vantaggi in quanto ci permettono di effettuare una slowmotion phaco consentendoci di lavorare con settaggi di fluidica più bassi. SPECIALE LA VOCE AICCER
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Infusione ed aspirazione: rottura capsulare con o senza perdita vitreale
Gestione della fluidica Un’alta corrente di fluidi all’interno della camera anteriore può influenzare in maniera negativa la situazione. Pertanto in presenza di un foro o di una rottura capsulare il primo obbiettivo sarà quello di determinare una riduzione dei livelli di fluidica abbassando la altezza della bottiglia ed i valori di flow-rate e vacuum. Un elevato settaggio del vacuum potrà causare un elevato surge al momento della rottura dell’occlusione con la conseguenza di una elevata instabilità della camera anteriore che potrà destabilizzare una situazione già di per sé complicata, causando la possibilità di un prolasso vitreale o di un passaggio di frammenti del cristallino in camera vitrea. Inoltre un elevato flusso di aspirazione potrà determinare la cattura di materiale vitreale all’interno della tip che condurrà a ulteriori complicanze. Molto importante quindi, soprattutto in questi pazienti, prevenire il surge post occlusivo. In questo senso le case produttrici di facoemulsificatori hanno studiato diverse e più o meno sofisticate strategie. Certamente il risultato ottimale sarebbe quello di poter lavorare con alti valori di vacuum sfruttandone tutti i vantaggi e al tempo stesso minimizzandone tutti gli svantaggi. Una strategia semplice è quella di aumentare il flusso di irrigazione, semplicemente alzando la bottiglia od in modo più sofisticato utilizzando sistemi diversi di irrigazione forzata, ma come abbiamo visto, si tratta di una soluzione non percorribile in caso di rottura capsulare. I più moderni facoemulsificatori sono dotati di software di ultima generazione capaci di riconoscere l’occlusione, in modo tale da ridurre il valore del vacuum nel giro di pochi microsecondi prima dell’avvento della disocclusione. AMO nel Sovereign WhiteStar Signature presenta un sistema denominato CASE in cui una serie di microprocessori testano il valore di vacuum e di flow 50 volte al secondo. Nel momento in cui si verifica la occlusione il computer si accorge della diminuzione del flow ed istantaneamente rallenta la pompa in modo tale da ridurre il vacuum ed evitare il surge. Bausch + Lomb, nei faco Millenium e Stellaris, presenta la possibilità di programmare il pedale per separare il vacuum ed il flow dal power (Dual Linear). In questo modo il vacuum può essere abbassato prima della mobilizzazione e dell’iniziale emulsificazione di un frammento occludente cosicché il surge viene minimizzato. Alcon, nella piattaforma Infinity, oltre ad un sistema di controllo simile a quello di AMO presenta un tip denominato ABS (Aspiration Bypass System) in cui nell’asta dell’ago è presente un foro do 0.175 mm di diametro. Durante l’occlusione il foro fornisce una costante via alternativa per il flow. Questo determina un crollo del surge al momento della rottura dell’occlusione. Un altro approccio nella prevenzione del surge ormai presente in tutte le macchine si basa sul controllo esercitato dai tubi di aspirazione. Infatti la resistenza totale di un sistema alla fuoriuscita di liquido è regolato dalla parte più stretta del lume del siste34
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ROTTURA CAPSULARE CON PERDITA DI VITREO IN CORSO DI INTERVENTO DI CATARATTA
ma stesso. Quando eseguiamo la aspirazione della corticale il diametro del foro di aspirazione è di circa 0.3 mm, e nonostante gli alti settaggi, non abbiamo mai surge. Tutte le ditte produttrici facoemulsificatori hanno sviluppato tubi e cassette dal lume ridotto per gli alti Figura 1. Cruise Control Design vacuum, capaci di resistere al collasso1. Con lo stesso concetto sono state proposte tip dal lume ridotto. Tuttavia l’utilizzo delle microtip (20 gauge) ha da una parte ridotto il surge ma dall’altre ha determinato una riduzione della holdability. Per ovviare a questo problema sono state sviluppate delle tip (Alcon) cosiddette flare, dove ad una bocca di aspirazione più larga corrisponde un lume ridotto. L’eccessiva riduzione del lume favorisce però il cosidetto clogging, cioè l’occlusione della via d’aspirazione da parte di frammenti nucleari, evenienza che si verifica soprattutto in presenza di nuclei duri. Per cercare di sfruttare tutti i vantaggi del lume ridotto senza allo stesso tempo avere una riduzione della holdability ed un rischio di clogging la STAAR Surgical (Monrovia CA) ha sviluppato un device, chiamato Cruise Control, che è costituito da un tubicino utilizzabile con tutti i facoemulsificatori e da applicare tra il manipolo ed il tubo di aspirazione2. Il Cruise presenta un diametro minimo di 0.3 mm che previene il surge ed una camera dotata di un filtro che trattiene i frammenti nucleari, evitando il clogging (Figura 1). Per quanto riguarda l’irrigazione, l’utilizzo di un’irrigazione controllata sia da un punto di vista quantitativo che di direzione è importante anche per evitare la cosiddetta fluid misdirection sindrome. Questa sindrome può verificarsi sia in presenza di foro capsulare con ialoide integra che in presenza di un prolasso vitreale. Nel primo caso il fluido si può incuneare posteriormente tra ialoide e capsula posteriore determinando una spinta in avanti che porterà ad uno spostamento del diaframma iridolenticolare con rischio di un improvviso abbassamento od appiattimento della camera anteriore e aumento della tensione endoculare Figura 2. Fluid misdirection sindrome: riduzione della profondità (Figura 2). Nel caso di ialoide interrotta della camera anteriore SPECIALE LA VOCE AICCER
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Infusione ed aspirazione: rottura capsulare con o senza perdita vitreale
il fluido penetrerà in camera posteriore dove l’idratazione vitreale tenderà a perpetuare il prolasso del vitreo (Figura 3). Un discorso a parte merita la scelta della pompa da utilizzare in questi pazienti. Molto evidenti sono infatti le differenze di funzionamento tra una pompa peristaltica ed una venturi anche se oggi i moderni facoemulsificatori presentano sistemi di controllo e modulazione che massimizzano i pregi di ciascuna minimizzandone i difetti. Assistiamo quindi alla presenza di pompe peristaltiche con Figura 3. Fluid misdirection sindrome: Prolasso vitreale effetti Venturi e viceversa. Il problema della scelta della pompa da utilizzare in caso di rottura capsulare è tanto più importante oggi dal momento che sono presenti in commercio macchine capaci di passare da una pompa all’altra durante l’intervento direttamente “on the fly”, senza la necessità di resettare la macchina o cambiare la cassetta. Utilizzando una pompa peristaltica (Figura 4), affinché si crei il vuoto, è necessaria l’occlusione della linea di aspirazione, in quanto se non c è occlusione i fluidi vengono aspirati in quantità minima e non si crea il vuoto. Il flusso ed il vuoto possono essere regolati separatamente l’uno dall’altro e regolando il flusso si può agire sulla velocità in cui il livello di vacuum desiderato viene raggiunto. Pertanto si tratta di una pompa che garantisce un ottimo controllo della fluidica mantenendo un’ottima stabilità della camera anteriore e garantendo ad occlusione avvenuta una ottima holdability. La pompa Venturi (Figura 5) che sfrutta l’effetto Venturi è capace di generare il vuoto istantaneamente rendendolo disponibile per il chirurgo appena viene esercitata la pressione sul pedale. Si tratta quindi di una pompa molto veloce e reattiva che anche in assenza di occlusione garantisce un’ottima holdability e followability. Si ha la sensazione con la tip disposta al centro della camera anteriore che i frammenti si dispongano in linea per essere aspirati3. Appare quindi evidente che in presenza del rischio che eccessivi e rapidi movimenti di fluidi in camera anteriore possano determinare la rimozione Figura 4. Pompa Peristaltica della sostanza viscoelastica con impe36
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ROTTURA CAPSULARE CON PERDITA DI VITREO IN CORSO DI INTERVENTO DI CATARATTA
gno del vitreo all’interno della bocca di aspirazione, una pompa peristaltica garantisca maggiori margini di sicurezza e di controllo. Infatti utilizzando questa pompa il chirurgo può scegliere la rapidità con cui ogni movimento di fluidi in camera anteriore avviene e quindi avere un controllo assoluto su tutto quello che accade (BOX 2). Altro aspetto molto importante per un’ottimizzazione della fluidica in questi pazienti è la scelta della tecnica chirurgica. Certamente la tecnica bimanuale grazie al fatto di avere l’irrigazione separata Figura 5. Pompa Venturi dall’aspirazione presenta alcuni vantaggi riguardo alla fluidica nei confronti della coassiale, sia che si tratti della tecnica standard che di microcoassiale. Tali vantaggi sono particolarmente importanti in caso di rottura capsulare. Infatti il lavorare attraverso due microincisioni a perfetta tenuta garantisce una ottima stabilità della camera anteriore. Inoltre in un manipolo coassiale il fatto di avere l’irrigazione dalla stessa parte dell’aspirazione fa si che una parte del flusso irrigante venga aspirato immediatamente dopo essere uscito dalla tip diminuendo di fatto la stabilità della camera anteriore (Figura 6). Nel manipolo coassiale l’irrigazione collocata vicino alla bocca del faco contribuisce ad aumentare le forze di repulsione che disturbano la cattura dei frammenti ed il loro ancoraggio (Figura 7). Possiamo quindi affermare che avere l’irrigazione separata dalla aspirazione, migliora la followability e la holdability particolarmente difficili da ottenere in questi pazienti in cui è necessario abbassare tutti i parametri della fluidica4,5,6,7 (Figura 8). Caratteristiche della pompa peristaltica e della pompa Venturi
Pompa peristaltica Vuoto presente solo al momento dell’occlusione
Pompa Venturi Vuoto presente anche in assenza di occlusione
Vuoto e flusso possono essere regolati separatamente
La velocità di risalita del vuoto è istantanea
Ottima holdability solo ad occlusione avvenuta
Ottima holdability
Followability dipendente dal flusso Garantisce un ottimo controllo
Ottima followability Garantisce una ottima efficienza
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Infusione ed aspirazione: rottura capsulare con o senza perdita vitreale
Figura 6. Fluidica della tecnica bimanuale
Figura 7. Fluidica della tecnica microcoassiale
Un altro vantaggio relativo al fatto di avere un manipolo dedicato alla sola irrigazione è quello di utilizzare il flow proprio come uno strumento. È così possibile, specialmente utilizzando irrigating choppers ad apertura frontale, dirigere i frammenti verso la bocca aspirante, anche nel caso in cui siano rimasti bloccati nell’angolo o al disotto del tunnel e dare stabilità, nel caso in cui sia necessario, al sacco capsulare8. La possibilità di direzionare l’irrigazione ci consente anche di evitare la rimozione della sostanza viscoelastica collocata al disopra della rottura, evitando la caduta di frammenti nucleari nel vitreo e la tanto temuta idratazione del vitreo (fluid misdirection sindrome) (BOX 3) (Figure 9 e 10).
Ultrasuoni Una configurazione che consenta una rapida rimozione dei frammenti, una volta ingaggiati, anche nel caso frequente di una loro considerevole densità, è fondamentale. Tuttavia l’uso di un basso settaggio di flow rate e vacuum tende a ridurre la holdability impedendo di fatto l’utilizzo di alti poteri di ultrasuoni. Infatti la elongazione della punta (stroke lenght) che si verifica utilizzando i classici ultrasuoni longitudinaVantaggi della tecnica bimanuale in presenza di rottura della capsula posteriore
1. Incremento della holdability 2. Incremento della followability 3. Minor chatter in camera anteriore 4. Minore consumo di BSS 5. Minore movimento di fluidi in camera anteriore 6. Maggiore stabilità della camera anteriore 7. Maggiore facilità nel raggiungere tutte le aree della camera anteriore 8. Maggiore possibilità di lavorare lontano dalla rottura capsulare BOX 3
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ROTTURA CAPSULARE CON PERDITA DI VITREO IN CORSO DI INTERVENTO DI CATARATTA
li, impattando i frammenti tende ad allontanarli mentre essi sono magneticamente attratti da elevati valori di aspirazione. Un’occlusione pressoché costante infatti riduce le turbolenze in camera anteriore garantendo una maggiore ritenzione della sostanza viscoelastica e protezione dell’endotelio. Soprattutto in caso di rottura capsulare la presenza costante di un viscoelastico Figura 8. La B-MICS presenta vantaggi in termini di fluididispersivo al disopra del vitreo ca e consente di lavorare lontano dalla rottura capsulare garantisce al chirurgo di lavorare in sicurezza mantenendosi sempre ad una certa distanza dalle fibre vitreali9,10. Lo stroke in realtà crea 4 componenti di potenza: 1. La cosiddetta onda acustica che impartisce un movimento oscillatorio al nucleo determinando una prima rottura dei legami intermolecolari iniziando di fatto la facoemulsificazione; 2. L’impatto meccanico, il cosiddetto effetto JackHammer, che è dovuto all’accelerazione della tip in avanti ed al susseguente impatto con il nucleo alla velocità di 72 km/h con una frequenza variabile a seconda delle macchine tra 28000 e 50000 Hz; 3. L’onda di fluido – È la stessa forza dovuta al movimento in avanti della tip che scaglia insieme il fluido e particelle di nucleo a 72 km/h venendo a creare il cosiddetto chattering cosi pericoloso per l’endotelio; 4. La cavitazione – È la componente che produce più energia. Come la tip viene spinta in avanti il liquido viene spinto in avanti e come la tip torna indietro il fluido non la segue venendosi a creare una zona a bassa pressione. Si forma cosi la bolla di cavitazione che al ciclo successivo viene compressa. La bolla non implode subito ma dopo più cicli poiché ad ogni ciclo la quantità di gas che entra durante la fase di retrazione è maggiore di quella che esce durante la fase di movimento in avanti. Tutto ciò fino a raggiungere la cosiddetta resonant size,o dimensione di risonanza in cui la bolla implode rilasciando energia. La quantità di energia rilasciata è spaventosa, vengono raggiunte temperature e pressioni altissime tanto che viene da chiedersi come mai l’occhio non esplode. Questo accade perchè tutto avviene in uno spazio microscopico in meno di un microsecondo11,12,13. Tutti questi fenomeni creano una forza di repulsione alla punta del tip con una perdita della holdability e della followability. Dal momento che la potenza di un faco è determinata dal prodotto della frequenza e dalla ampiezza dello stroke l’utilizzo di macchine e programmi che privilegiano la prima alla seconda garantiscono una migliore tenuta14,15. SPECIALE LA VOCE AICCER
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Infusione ed aspirazione: rottura capsulare con o senza perdita vitreale
Recentemente l’introduzione da parte di Alcon prima16,17 e di AMO poi dei nuovi manipoli ultrasonici che sostituiscono od affiancano al classico movimento longitudinale della punta un movimento torsionale o trasversale ha consentito di avere una diminuzione della forza repulsiva anche ad alte potenze. La diminuzione della frequenza di questi manipoli e l’effetto spazzola del movimento della punta che sostituisce l’impatto diretto, consentono un buon mantenimento dell’occlusione anche in condizioni limite di fluidica.
Come comportarsi in presenza di una rottura capsulare senza perdita di vitreo Una volta che il chirurgo si è reso conto della presenza di una rottura o di un foro della capsula posteriore è fondamentale mantenere la calma e non rimuovere immediatamente gli strumenti dalla camera anteriore per evitare improvvisi sbalzi della pressione intraoculare che possono determinare un’erniazione del vitreo attraverso la rottura. È necessario, come prima cosa, bloccare la aspirazione ed abbassare la pressione riducendo l’altezza della bottiglia. Il vitreo è una sostanza che si muove con difficoltà ad eccezione di quando è idratato e di quando avendo una via di uscita viene sottoposto ad un brusco cambiamento di pressione. Una volta abbassati tutti i parametri il faco può essere rimosso senza che vi sia un ulteriore movimento vitreale. Se il vitreo non è prolassato ed il nucleo è ancora ben sorretto all’interno del sacco capsulare può essere presa in considerazione l’ipotesi di continuare la facoemulsificazione, specialmente nel caso in cui si tratti di un nucleo non particolarmente duro o grande o siano rimasti solo frammenti di esso. La strategia sarà quella di rimuovere tutti i frammenti senza determinare ulteriori movimenti vitreali. La prima cosa da fare è resettare i parametri della fluidica adattandoli alla nuova situazione che si è venuta a creare.Un flow-rate inferiore a 20 ml/min, un’altezza della bottiglia inferiore a 50 cm, un vacuum inferiore a 200 mmHg, sono fondamentali per poter gestire in sicurezza una situazione di questo tipo (BOX 4)18.
Figura 9. Tecnica microcoassiale
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Figura 10. Tecnica bimanuale
ROTTURA CAPSULARE CON PERDITA DI VITREO IN CORSO DI INTERVENTO DI CATARATTA
Parametri della fluidica in caso di rottura capsulare
Flow-rate
< 20 ml/min
Altezza della bottiglia
< 50 cm
Vacuum
< 200 mmHg
BOX 4
Utilizzando la porta di servizio viene introdotta una sostanza viscoelastica fino a coprire la rottura. Un viscoelastico dispersivo è da preferire in questo caso ad uno coesivo per la sua capacità di resistere meglio alla aspirazione ed alla possibilità di essere rimosso dalla camera anteriore con una leggera pressione alla incisione9. Lo scopo è quello di isolare la zona della rottura in modo da eseguire la faco in una area della camera anteriore il più lontano possibile da essa. Aiutandosi con un secondo strumento è necessario isolare i frammenti nucleari allontanandoli dalla sede della rottura per poter essere rimossi. Viene quindi iniziata la facoemulsificazione adattando i parametri del faco alla nuova situazione della fluidica che si è creata, abbassando quindi l’intensità degli ultrasuoni per garantire una sufficiente holdability garantendo però una rapida rimozione dei frammenti. Via via che i volumi vengono rimossi vengono sostituiti con un flusso irrigante minimo o addirittura aperto solo a momenti o nei casi più complessi con nuova immissione di sostanza viscoelastica19. Come già detto una tecnica bimanuale presenta in questa fase enormi vantaggi legati sia alla fluidica che consente una riduzione del flusso e del chatter, sia alla possibilità di direzionare il flusso dove voluto. Una volta asportati i frammenti del nucleo, i residui corticali vengono rimossi sempre lavorando con bassi parametri, cercando di inserire la bocca di aspirazione direttamente nella corteccia. Ciò consente un’immediata occlusione della bocca di aspirazione, impedendo di fatto al vitreo di entrare in essa. Anche in questo momento chirurgico utilizzare un’aspirazione separata dall’irrigazione presenta molti vantaggi se comparato ad una tecnica coassiale. Infatti lavorare attraverso due microincisioni a perfetta tenuta e con la bocca irrigante lontana dall’aspirazione diminuisce il consumo di BSS e le fluttuazioni in camera anteriore consentendo di posizionare le cannule lontano dalla rottura20,21. Inoltre la possibilità di interscambiare la posizione dei manipoli facilità l’accesso all’area del sacco posta sotto all’incisione e l’assenza dello sleeve consente una maggiore penetrazione della cannula di aspirazione fino alla estrema periferia22. Nel caso in cui la rottura capsulare venga ben visualizzata durante la facoemulsificazione o durante le rimozione della corticale può essere utile convertirla in una capsulorexi posteriore. La resistenza di una capsulorexi curvilinea continua, previene allargamenti della rottura e può consentire anche in questi pazienti un agevole impianto nel sacco capsulare21,22. SPECIALE LA VOCE AICCER
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Infusione ed aspirazione: rottura capsulare con o senza perdita vitreale
Alla fine dell’intervento è necessario procedere delicatamente alla rimozione di quanto più viscoelastico è possibile. Anche in questo momento l’avere utilizzato un viscoelastico adattivo presenta dei vantaggi dal momento che una sua non completa asportazione non determinerà eccessivi e prolungati aumenti della tensione endooculare per le ridotte dimensioni della catene ed il più basso peso molecolare10.
Come comportarsi in presenza di perdita di vitreo La comparsa di vitreo in camera anteriore durante la facoemulsificazione complica notevolmente la situazione e necessità di una diversa gestione della chirurgia. Un celebre aforisma recita: “I never lose vitreous: I always know where I have put it” “Io non perdo mai il vitreo: io so sempre dove l’ho messo” Tutto questo da un’idea molto chiara di cosa è importante fare per tenere sotto controllo ogni ulteriore fase dell’intervento. Nel caso di passaggio dell’intero nucleo o di grossi frammenti dello stesso in camera vitrea è necessario procedere alla loro rimozione con le tecniche descritte nello specifico capitolo di questa pubblicazione. Nel caso di una grossa rottura capsulare con perdita di vitreo e presenza ancora in camera anteriore dell’intero nucleo o di una grossa parte di esso, soprattutto se si tratta, come spesso accade, di un nucleo brunescente ed è presente un rischio immediato di passaggio di esso in camera vitrea, è necessario convertire l’intervento allargando l’incisione, eseguendo se necessario delle epifisiotomie della rexi, favorendo la fuoriuscita del materiale lenticolare con ansa o uncini. Nel caso in cui la fuoriuscita di vitreo si sia verificata verso la fine dell’intervento e siamo in presenza solo di piccoli frammenti nucleari o di frammenti più grandi ma di consistenza relativa,o di sola corticale, l’intervento può essere portato a termine in sicurezza e con ottimi risultati funzionali stando come sempre particolarmente attenti alla fluidica. In caso di presenza di vitreo in camera anteriore è necessario eseguire una vitrectomia. Anche in questo caso in considerazione dei flussi che si vengono a creare una vitrectomia bilaterale a due porte è da preferire in quanto più controllabile ed efficacie. L’approccio coassiale è potenzialmente più pericoloso e può con maggiore facilità condurre ad un allargamento della rottura capsulare. La linea di infusione viene connessa con una cannula da infusione di 21 gauge ed inserita attraverso una porta di servizio. Il livello di infusione viene abbassato fino ad un valore tale da far si che il liquido di infusione serva semplicemente a mantenere il volume via via che il materiale lenticolare e vitreale viene rimosso. Per mantenere in ogni istante controllato il rapporto tra la quantità di materiale immesso ed aspirato sarebbe opportuno evitare di inserire il vitrectomo attraverso il tunnel e servirsi di una seconda porta di servizio. Nel caso poi che il tunnel del faco non sia a perfetta tenuta è opportuno suturarlo per mantenere costante il bilancio idrico. 42
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ROTTURA CAPSULARE CON PERDITA DI VITREO IN CORSO DI INTERVENTO DI CATARATTA
Come comportarsi in presenza di grave rischio di caduta del nucleo o di frammenti di esso nel vitreo
• Bloccare l’aspirazione rimanendo con gli strumenti all’interno dell’occhio • Abbassare l’altezza della bottiglia per diminuire la pressione endoculare • Iniettare della sostanza viscoelastica dietro il nucleo o i frammenti di esso • Sorreggere il nucleo e/o i frammenti con un manipolatore o una cannula • Cercare di impalare la lente con un ago • Allargare l’incisione ad almeno 10 mm • Aprire la ressi con una o più epifisiotomie • Cercare di portare il nucleo in camera anteriore servendosi di uncini o cannule • Inserire un’ansa dietro al nucleo per favorirne l’espressione dalla camera anteriore • Vitrectomia anteriore BOX 5
Quali sono i parametri di fluidica più idonei da utilizzare in questa fase ? Per la rimozione del vitreo è bene utilizzare un cutting rate di 500-1500 tagli al minuto ed un vacuum settato tra 50 e 100 mmHg. Invece per rimuovere eventuali residui nucleari il numero dei tagli va ridotto mentre il vacuum viene con estrema attenzione aumentato gradualmente.
Conclusioni Dal momento che la gestione di un evento avverso in generale, ma soprattutto di una rottura della capsula posteriore deve essere rapida e codificata, è necessario che sia il chirurgo che la sua equipe siano pronti a questa eventualità. È importante per il chirurgo avere ben chiari gli scenari che si possono presentare preparandosi ad affrontarli anche soltanto con una simulazione mentale. È anche fondamentale essere pronti da un punto di vista strumentale. Per esempio avere una memoria del nostro facoemulsificatore presettata sui parametri di fluidica necessari in queste circostanze può evitare aggiustamenti in corsa da parte del nostro personale di sala resi spesso caotici e difficoltosi dalla tensione del momento. Inoltre è utile avere un kit sterile dove sono raccolti tutti i ferri chirurgici che possono essere utili in queste circostanze (per esempio è molto importante avere una scatola già sterilizzata con tutto ciò che è necessario per la conversione in ECCE (forbici corneali,ansa etc.), evitando disperate ricerche dell’ultimo minuto.
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Infusione ed aspirazione: rottura capsulare con o senza perdita vitreale
Autore di Dott. Alessandro Franchini riferimento Dipartimento di Scienze Chirurgiche Oto-Neuro-Oftalmologiche Università degli Studi di Firenze Tel. 055 411765 • Fax 055 4377749 alessandrofranchini@yahoo.it afranchini@unifi.it
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Riccardo Sciacca
Rottura/disinserzione zonulare con e senza perdita vitreale. Cosa fare?
L
a dialisi / rottura della zonula rappresenta una rara complicanza della chirurgia della cataratta. Una disinserzione zonulare intraoperatoria può presentarsi in pazienti con una preesistente fragilità zonulare, condizione questa che può essere determinata da molteplici fattori:
• Traumi contusivi (talvolta anche di modesta entità) e/o perforanti • Età avanzata • Miopia patologica • Pseudoexfoliatio lentis • Cataratta ipermatura • Pregressa vitrectomia via pars plana • Prolungata presenza di olio di silicone in camera vitrea1-8. All’osservazione dell’oftalmologo potranno giungere casi di franca disinserzione zonulare con un nucleo già evidentemente sublussato come, ad esempio, in conseguenza di forti traumi contusivi o in caso di pazienti affetti da sindromi sistemiche associate a compromissione zonulare (sindrome di Marfan, sindrome di WeilMarchesani, omocistinuria)4,8. Tra le cause di dialisi zonulare va naturalmente considerata l’ipotesi di un’errata manovra chirurgica come una fuga della capsuloressi, l’“intrappolamento” della capsula nella bocca del faco, o un’eccessiva pressione esercitata sulla zonula durante le varie fasi chirurgiche (rotazione del nucleo dopo idrodissezione, scolpitura del nucleo) (Figure 1 e 2). SPECIALE LA VOCE AICCER
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Rottura/disinserzione zonulare con e senza perdita vitreale. Cosa fare?
Figura 1. Fuga della capsuloressi
Figura 2. Disinserzione zonulare conseguente a fuga della ressi
Frequentemente, all’esame obiettivo preoperatorio, non sono riscontrabili faco- e/o iridodonesi ed anche in midriasi massimale il cristallino può non presentare alcun segno di dislocazione. Le forme in cui la lesione zonulare è circoscritta (< 90°), infatti, sono generalmente misconosciute anche ad un attento esame alla lampada a fessura ed i pazienti in tali casi non lamentano alcuna sintomatologia. In soggetti con cataratta traumatica in cui non vi siano segni obiettivi di dislocazione o instabilità del cristallino può risultare utile l’esecuzione di un esame UBM per ottenere una diagnosi preoperatoria di rottura zonulare, anche circoscritta, in modo tale da valutare l’approccio chirurgico più appropriato9. In questi casi di fragilità della zonula o dialisi circoscritta intraoperatoriamente si potrà evidenziare già nelle primissime fasi dell’intervento (capsuloressi, idrodissezione) una microfacodonesi che deve mettere il chirurgo in guardia su quelle che potranno essere le conseguenze di manovre eccessivamente energiche su un cristallino che presenta un supporto zonulare non ottimale6. Una disinserzione zonulare intraoperatoria può, infatti, se non correttamente gestita, generare una serie di complicazioni tra cui: perdita di vitreo, rottura della capsula posteriore e lussazione di materiale lenticolare o della stessa IOL in camera vitrea. Una pronta individuazione della dialisi capsulare è infatti essenziale per prevenire un incremento della disinserzione stessa o una concomitante rottura capsulare. Segni precoci di un indebolimento capsulare sono un anomalo incremento della profondità della camera anteriore (dopo riempimento con sostanze viscoelastiche o in seguito all’introduzione del facoemulsificatore in camera anteriore con conseguente irrigazione), facodonesi, decentramento del cristallino o della IOL al termine dell’intervento. Nelle forme in cui la compromissione delle fibre zonulari è maggiore, invece, lo spostamento del cristallino è il più delle volte documentabile all’esame obiettivo del bulbo e il suo decentramento si rende responsabile di sintomatologia caratteristica rappresentata da calo visivo stabile o intermittente e diplopia monoculare (nei casi di 46
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ROTTURA CAPSULARE CON PERDITA DI VITREO IN CORSO DI INTERVENTO DI CATARATTA
importante dislocazione rispetto all’asse ottico). In questi pazienti risulta fondamentale un’attenta programmazione chirurgica al fine di ottenere la miglior conservazione possibile del supporto capsulare e dunque un risultato ottimale dal punto di vista anatomico e funzionale.
Tecnica chirurgica La facoemulsificazione si è imposta ormai da più di un ventennio come la tecnica di elezione nella chirurgia della cataratta. Il suo utilizzo si è esteso negli anni anche a situazioni più complesse come gli interventi per cataratta con concomitanti disinserzioni zonulari. Priorità del chirurgo è naturalmente quella di preservare il supporto capsulare in modo tale da consentire l’impianto di una IOL ben centrata in camera posteriore. Disinserzione < 90° Delle dialisi zonulari circoscritte (estensione < 90°) possono essere gestite come dei normali interventi di facoemulsificazione ponendo particolare attenzione a non stressare la zonula durante la varie manovre chirurgiche ed impiantando un anello di tensione capsulare prima di procedere con la facoemulsificazione del nucleo. Particolare attenzione andrà posta innanzitutto nelle prime fasi dell’intervento, iniziando una delicata rotazione del nucleo solo dopo avere ottenuto una buona idrodissezione. Una rotazione non supportata da una buona delaminazione del complesso nucleo/corticale/capsula non farà altro che incrementare la dialisi della zonula22. Dopo aver ruotato il nucleo è opportuno introdurre una sostanza viscoelastica al di sotto del bordo della capsuloressi per allontanare quest’ultima dal nucleo del cristallino favorendo in tal modo l’introduzione dell’anello di tensione capsulare. L’anello di tensione capsulare è un dispositivo in polimetilmetacrilato (PMMA) il cui utilizzo è stato per la prima volta descritto da Hara nel 1991. Originariamente pensato per essere inserito dopo asportazione della cataratta e stabilizzare il sacco capsulare migliorando inserimento e la stabilizzazione della IOL, si è dimostrato in seguito molto efficace nel migliorare la gestione intraoperatoria della facoemulsificazione del cristallino sublussato. L’utilizzo dell’anello, infatti, stabilizzando il sacco capsulare ne previene in collasso determinando inoltre una riduzione dei rischi di prolasso di vitreo in camera anteriore e di decentramento post-operatorio della IOL impiantata10-17. Esistono anelli con diverso diametro (da 11 a 13 mm); per facilitarne il posizionamento la gran Figura 3. Introduzione di anello di tensione capsulare in un parte degli anelli di tensione capsulare in com- caso di cataratta ipermatura sublussata SPECIALE LA VOCE AICCER
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Rottura/disinserzione zonulare con e senza perdita vitreale. Cosa fare?
Figura 4. Disinserzione post-traumatica di iride e zonula
Figura 5. Introduzione di anello di tensione capsulare iniettabile
mercio presenta degli occhielli alle due estremità, vi sono anche modelli che presentano un ulteriore foro di posizionamento al centro della convessità (Figura 3). Va inoltre segnalata la presenza in commercio di anelli precaricati con iniettore a stantuffo. Negli anni sono state sviluppate numerose varianti di anelli di tensione capsulare come il modello proposto da Cionni dotato di occhielli simili a quelli presenti nelle loop delle IOL per fissazione sclerale con lo scopo di fornire supporto sclerale senza compromettere l’integrità del sacco capsulare in pazienti che presentano una significativa compromissione zonulare. Prima dell’inserimento dell’anello di Cionni nel sacco capsulare una sutura ad ansa in Prolene 10/0 viene passata all’interno dell’occhiello. Dopo l’inserimento dell’anello nel sacco l’ago viene passato ab interno a livello dell’equatore del sacco e fissato alla sclera nella porzione in cui la compromissione zonulare è maggiore8, 14, 18. Una volta stabilizzato il sacco con l’anello di tensione capsulare si procederà con la facoemulsificazione utilizzando naturalmente bassi valori di infusione (flow rate <20cc/min con altezza della bottiglia <50cm) per evitare che un brusco incremento della pressione in camera anteriore possa contribuire ad indebolire ulteriormente la zonula ed evitando di traumatizzare la porzione di sacco disinserita durante la nucleofrattura e la successiva aspirazione delle masse nucleari e della corticale.
Disinserzione di 90° - 180° Qualora la compromissione zonulare sia compresa tra 90° e 180° può risultare utile agganciare il bordo della capsuloressi con degli uncini retrattori iridei. Questa procedura stabilizza ulteriormente il sacco capsulare limitandone inoltre il movimento anteroposteriore20-23. In tali casi si rende spesso utile l’ancoraggio dell’anello di tensione capsulare alla sclera come descritto nel precedente paragrafo. In presenza di disinserzioni così estese aumenta la probabilità di avere un prolasso di 48
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ROTTURA CAPSULARE CON PERDITA DI VITREO IN CORSO DI INTERVENTO DI CATARATTA
Figura 6. Facoaspirazione bimanuale
Figura 7. Evidente l’anello di tensione capsulare attraverso la disinserzione iridea
vitreo in camera anteriore, situazione questa che rende necessaria un’accurata vitrectomia anteriore. La vitrectomia va eseguita a secco o con valori di flow rate molto ridotti, l’irrigazione infatti determina un passaggio di fluidi ad alta velocità in camera vitrea con conseguente ulteriore passaggio di vitreo in camera anteriore. Talvolta vi è la necessità di contenere il vitreo, in questi casi può essere utile ricorrere ad una sostanza viscoelastica a bassa coesività interna, così da poter meglio assorbire la spinta vitreale. Un viscoelastico altamente coesivo rischia infatti di essere spostato in blocco dal vitreo. Anche al termine della vitrectomia anteriore può essere iniettato dell’altro viscoelastico in corrispondenza della dialisi zonulare così da respingere in camera vitrea eventuale vitreo colliquato che potrebbe ripresentarsi in camera anteriore nelle fasi conclusive dell’intervento24.
Disinserzione di 180° - 270° Tali gravi compromissioni dell’integrità zonulare non possono essere gestite con un intervento di facoemulsificazione, le opzioni chirurgiche in questo caso prevedono una lensectomia via pars plana o, in alternativa, un estrazione intracapsulare del cristallino. L’impianto di IOL potrà essere effettuato con metodica a sospensione sclerale o a fissazione iridea contestualmente o in due distinti tempi chirurgici rispetto all’asportazione del cristallino24, 25. In caso di vitrectomia via pars plana le possibili complicanze sono rappresentate dalla dispersione di residui lenticolari in camera vitrea e dalla
Figura 8. Esito finale della chirurgia
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Rottura/disinserzione zonulare con e senza perdita vitreale. Cosa fare?
possibile formazione di rotture retiniche con eventuale insorgenza di distacco di retina. Nel caso di dislocazione di frammenti nucleari nel vitreo è dunque opportuno non tentare manovre chirurgiche azzardate e programmare in un secondo momento una chirurgia dedicata in modo tale da non correre il rischio di creare rotture retiniche iatrogene con possibile distacco di retina. Altre complicanze postoperatorie in caso di perdita di materiale lenticolare nel vitreo sono rappresentate da: edema corneale, ipertono, uveiti26, 27. In conclusione possiamo affermare che, in caso di compromissione zonulare lievemoderata (< 180°) le moderne tecniche di chirurgia mini-invasiva associate all’utilizzo di dispositivi, quali l’anello di tensione capsulare o gli uncini retrattori iridei, nella mano di un chirurgo esperto possono garantire in una buona percentuale dei casi la conservazione del supporto capsulare con buoni risultati anatomo-funzionali. Le forme di severa disinserzione prevederanno invece una chirurgia più invasiva ed in ogni caso prudente onde evitare complicanze ben più gravi della semplice perdita del supporto capsulare quali il distacco di retina.
Autore di Dott. Riccardo Sciacca riferimento A.S.P. Catania - Unità Operativa complessa di oculistica Acireale - Paternò (CT) Tel. 095 538874 riccardosciacca57@tiscali.it
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Simonetta Morselli
Come visualizzare il vitreo in camera anteriore Introduzione L’eventualità di dover porre attenzione e di dover trattare la perdita di vitreo in camera anteriore durante la chirurgia della cataratta è un'eventualità molto rara. Grazie all’avvento della micro incisione e di nuova strumentazione per la chirurgia della cataratta la rottura capsulare si verifica in una percentuale che varia da un max di 3,7 all’1,2 % min secondo uno studio europeo1. Più frequente invece può essere necessario trattare la perdita di vitreo in camera anteriore nei casi di cataratta traumatica, lussata o con pseudoesfoliatio lentis. Metodo La visualizzazione del vitreo in camera anteriore durante la chirurgia della cataratta a volte può non essere subito evidente, soprattutto se si verifica all’inizio della rimozione del nucleo o durante la scolpitura o la fase di frammentazione iniziale del nucleo con tecnica chop, poiché può essere confuso con la presenza di materiale viscoelastico o può non essere visibile per la presenza di masse idratate in camera anteriore. In questi casi quindi non appena il chirurgo si “rende conto” di questo tipo di complicanza normalmente ferma la progressione standard dell’intervento e comincia ad affrontare la complicanza. La gestione della complicanza non può mai essere standardizzata poiché ogni tipo di complicanza è diversa dall’altra e con un “po’ di fantasia” si può affrontare e risolvere al meglio la complicanza. Forse il metodo più semplice per visualizzare il vitreo in camera anteriore è l’utilizzo del Triamcinolone che iniettato in camera anteriore colora solo il vitreo presente in essa. Ovviamente però è necessario liberare la camera il più possibile dai residui 52
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ROTTURA CAPSULARE CON PERDITA DI VITREO IN CORSO DI INTERVENTO DI CATARATTA
Figura 1. Rottura capsulare
Figura 2. Prolasso di fibre vitreali catturate dall’aspirazione
nucleari. Nel caso di presenza di molti residui nucleari la visualizzazione e l’asportazione dei residui nucleari e capsulari può risultare molto difficoltosa. Dopo aver asportato tutti i residui nucleari e capsulari, si può iniettare il triamcinolone e con il vitrectomo a secco o con infusione separata non coassiale di BSS a boccia bassa rivolgendo il flusso verso l’endotelio corneale, si procede all’asportazione di tutti i residui vitreali colorati con il triamcinolone. La gestione della complicanza può richiedere anche molto tempo e un supplemento di anestesia topica e intraoculare. Nei pazienti “steroid responders “ l’uso del triamcinolone può provocare complicanze post operatorie di ipertono oculare, per questo motivo sono stati studiati nuovi coloranti vitreali da camera anteriore come l’estriolo che evita questi effetti collaterali e colora comunque bene le fibrille vitreali presenti in camera anteriore. L’utilizzo dell’estriolo per la colorazione del vitreo è comunque solo stato impiegato in modelli animali2. Un altro metodo di visualizzazione del vitreo in camera anteriore è l’uso del triphan blue, il colorante utilizzato per la colorazione della capsula anteriore del cristallino, il quale colora le fibrille di vitreo debolmente ma tende anche a colorare l’endotelio e tutti gli altri tessuti con cui viene in contatto. Questo fatto determina una difficoltà di visualizzazione di tutta la procedura chirurgica, pertanto è un metodo che non viene utilizzato di frequente. L’utilizzo dell’iniezione di una bolla d’aria in camera anteriore può aiutare a visualizzare le residue fibrille vitreali presenti in camera anteriore. La bolla d’aria prende una forma completamente tonda in caso di assenza di vitreo in camera anteriore. Se la bolla appare ovalizzata, Figura 3. Vitrectomia anteriore SPECIALE LA VOCE AICCER
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Come visualizzare il vitreo in camera anteriore
questo indica che vi sono residui vitreali in camera anteriore. Per l’asportazione del vitreo residuo è utile inserire il vitrectomo in camera anteriore in corrispondenza della deformazione della bolla e attivare il taglio con l’aspirazione in quella sede. L’iniezione di una seconda bolla d’aria identificherà eventuali altri residui vitreali. Questo metodo è molto economico e veloce ma non è selettivo per le fibrille vitreali del corpo vitreo, poiché la bolla d’aria si deforma anche in presenza di eventuali residui di materiale viscoelastico. Un altro metodo di visualizzazione può essere l’utilizzo di una fonte di luce da segmento posteriore a fibre ottiche, ove essa sia disponibile, introdotta attraverso l’incisione di servizio oppure semplicemente appoggiando la fonte luminosa esternamente in sede corneale paralimbare con la luce principale del microscopio spenta. In tal modo è possibile visualizzare le fibrille vitreali tangenzialmente e così aspirare e tagliare le fibrille vitreali con l’uso del vitrectomo dall’incisione principale. Questo metodo è molto vantaggioso e preciso, ma potrebbe essere costoso e spesso non disponibile in tutte le sale operatorie. In conclusione la metodica migliore e meno complicata dal punto di vista gestionale pare essere rappresentata dalla visualizzazione del gel vitreale con triamcinolone anche se la complicanza dell’ipertono postoperatorio non è affatto escludibile. In pazienti già affetti da ipertono o glaucoma l’opzione chirurgica potrebbe essere invece l’utilizzo delle fibre ottiche come sopra descritto. Nella pratica quotidiana spesso si tende invece, forse per velocizzare l’atto operatorio, a controllare la presenza o meno di residuo gel vitreale con bolla d’aria e nel dubbio a portare l’estremità del vitrectomo appena sotto il piano del sacco capsulare centralmente prolungando pazientemente il tempo della vitrectomia stessa. Un’idea potrebbe essere l’utilizzo in futuro di una viscoelastica coesiva colorata (di giallo?) che non si leghi al gel vitreale e permetta così l’isolamento del vitreo nella camera anteriore e la sua asportazione con maggior precisione.
Autore di Dott.ssa Simonetta Morselli riferimento Direttore Struttura complessa di Oculistica Ospedale San Bassiano Bassano del Grappa (VI) Tel. 0424 888429 simonetta.morselli@gmail.com
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Paolo Vinciguerra
La vitrectomia anteriore
L
a gestione del prolasso vitreale in camera anteriore (CA) è una complicanza di difficile gestione durante l'intervento di facoemulsificazione a causa dell’aderenza che il vitreo contrae con le strutture anteriori e posteriori1, 2. Le catene di glicosaminoglicani ed acido ialuronico formano fibrille di piccolo diametro che, fortemente idratate, conferiscono al vitreo una consistenza gelatinosa capace di imbrigliare residui lenticolari e capsulari3, 4. È dunque necessario un adeguato approccio con strumentario dedicato ed assistito da una cromo-vitrectomia allo scopo di liberare le strutture anteriori dal gel vitreale e minimizzare le trazioni indotte dall'evento iatrogeno sulle strutture retiniche. L'incidenza di rottura intraoperatoria capsulare posteriore varia ampiamente in letteratura. I dati pubblicati in letteratura nell'ultimo decennio stimano l'incidenza di questa complicanza 0,45-3,6%5-7.
1. Equilibrio pressorio La rottura della capsula posteriore crea una diretta comunicazione tra la camera anteriore e la camera vitrea con conseguente pressione della colonna del fluido d'infusione sul corpo vitreo. Allo scopo di minimizzare il prolasso vitreale verso le strutture anteriori bisogna, appena riconosciuta la rottura capsulare, mantenere una pressione positiva d’infusione in camera anteriore1, 8. A tale scopo è consigliato di mantenere il manipolo faco in camera anteriore in funzione di irrigazione continua, abbassare leggermente la pressione di infusione in modo da non generare eccessive turbolenze di fluidi atte a dislocare residui lenticolari in camera vitrea, non creare una pressione negativa con manovre di aspirazione o fragmentazione. È consigliato creare possibilmente una pressione positiva in CA con una linea di infusione separata prima di proSPECIALE LA VOCE AICCER
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La vitrectomia anteriore
cedere all'estrazione del manipolo faco5, 9. La pressione negativa indotta da una impulsiva rimozione del manipolo o da una aspirazione attiva, può amplificare la fuoriuscita di vitreo allargando la rottura capsulare ed aumentando le trazioni sulla base vitreale. Stabilizzata la IOP, la prima manovra necessaria, prima dell’introduzione del vitrectomo in camera anteriore, è la riduzione del vitreo prolassato attraverso gli accessi corneali. Tale manovra deve essere eseguita con un secondo strumento ad accesso dalle paracentesi di servizio ed in assenza di infusione attiva9.
2. Vitrectomia anteriore ad accesso corneale La rimozione del vitreo richiede la presenza di un’aspirazione in grado di attirare il gel vitreale nella bocca del vitrectomo e di una porta in grado di tagliare il vitreo. Il vitreo è dunque asportato in singoli frammenti e la quantità di vitreo rimossa per ogni singolo ciclo di taglio è direttamente proporzionale all’aspirazione ed inversamente proporzionale alla velocità di taglio. L'infusione di fluido in CA ha lo scopo di mantenere un adeguato equilibrio pressorio durante le manovre di aspirazione indotta dalla vitrectomia anteriore. L'infusione può essere coassiale al vitrectomo o ad accesso anteriore separato10. La vitrectomia ad infusione coassiale ha il vantaggio di gestire l'equilibrio dei fluidi e l'asportazione del vitreo attraverso un solo strumento inserito nell'accesso principale corneale e dunque più familiare ad un chirurgo del segmento anteriore. Il grosso limite dell'infusione coassiale è la maggiore idratazione delle fibrille vitreali. Infatti il vitrectomo verrà progressivamente spostato dal diaframma pupillare verso la porzione anteriore della camera vitrea. A questa manovra segue l'infusione continua di fluido nel corpo vitreo che determina un allontanamento delle fibrille dalla bocca del vitrectomo ed allo stesso tempo una iper-idratazione del corpo vitreo che tenderà ad allargare la rottura capsulare ed ad aumentare il prolasso vitreale in CA. La linea di infusione può essere separata dal vitrectomo ed introdotta in camera anteriore attraverso un CA manteiner o un cannula separata di irrigazione. La vitrectomia anteriore, eseguita con una linea di infusione anteriore separata, ha il vantaggio di modulare separatamente l'aspirazione ed il taglio del vitrectomo dalla infusione di fluido. La rimozione delle fibrille vitreali è ottimizzata da una infusione capace di mantenere una pressione intraoculare costante senza ostacolare la fluidica del vitreo in uscita attraverso il vitrectomo. Durante tutte le manovre è opportuno ricreare un sistema chiuso. Figura 1. Vitrectomia anteriore ad accesso corneale con infusione anteriore separata non coassiale. Il vitrectomo senza irrigazione coassiale avrà un 56
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ROTTURA CAPSULARE CON PERDITA DI VITREO IN CORSO DI INTERVENTO DI CATARATTA
diametro inferiore a quello del manipolo faco. Di conseguenza il vitrectomo introdotto dall’accesso corneale principale lascerà spazio alla fuoriuscita di vitreo favorita dalla pressione positiva generata dalla linea di infusione. È dunque consigliata una tecnica bimanuale attraverso due paracentesi di servizio: una cannula di infusione da un lato ed il vitrectomo dall’altra (Figura 1). In caso di leakage vitreale dall’ingresso principale, è consigliato una sutura corneale del tun- Figura 2. Pulizia bimanuale dei tralci vitreali postenel corneale per evitare prolasso riori. La linea di infusione rimane a localizzazione anteriore e garantisce una pressione costante dall’alvitreale durante le manovre. to verso il basso (dislocamento del vitreo verso il poDunque la linea di infusione rimane lo posteriore) mentre il vitrectomo raggiunge la pora localizzazione anteriore e garanti- zione anteriore della cavità vitreale. Il vitrectomo sce una pressione costante dall’al- viene dunque spostato perifericamente ed orientato con la bocca verso la base vitreale. to verso il basso (dislocamento del vitreo verso il polo posteriore) mentre il vitrectomo verrà introdotto in camera anteriore e successivamente in camera posteriore fino a raggiungere la porzione anteriore della cavità vitreale. Il vitrectomo viene dunque spostato perifericamente ed orientato con la bocca verso la base vitreale (Figura 2). In questa manovra è possibile aiutarsi con una lieve indentazione sclerale esterna. Il limite di una vitrectomia ad infusione non coassiale, è l'esecuzione di una paracentesi di servizio, atta ad introdurre l'infusione, ed un approccio bimanuale. La vitrectomia anteriore può essere anche eseguita tramite un approccio posteriore via pars plana. Tale approccio è da preferirsi in casi di dubbia dislocazione di residui lenticolari in camera vitrea. In tal caso basterà introdurre un AC manteiner in camera anteriore ed eseguire solo due accessi pars plana. Il vantaggio è l’esplorazione diretta delle strutture retiniche e degli eventuali danni iatrogeni, con una completa pulizia della base vitreale. Un ulteriore accorgimento al termine della vitrectomia è il modellamento della forma del residuo capsulare anteriore allo scopo di minimizzare la formazione di sinechie posteriori irido-capsulari (per la presenza di lembi liberi capsulari anteriori) e fornire un adeguato supporto per un impianto secondario (Figura 3).
3. Parametri di impostazione Critica è l’impostazione di parametri adeguati al fine di minimizzare l’effetto trazionale e l’eventuale danno iatrogeno indotto dalla trazione. SPECIALE LA VOCE AICCER
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La vitrectomia anteriore
Per i vitrectomi pneumatici 20gauge la trazione vitreoretinica aumenta di 4,96 dynes (7,90 dynes per i vitrectomi elettrici) per ogni aumento di 100 mmHg di vuoto, mentre diminuisce di 3.41 dynes per un aumento di 500 cpm. Per i vitrectomi pneumatici 25-gauge la trazione vitreoretinica aumenta di 3.40 dynes per ogni aumento di 100 mmHg di vuoto, mentre diminuisce di 5.71 dynes per un aumento di 500 cpm11,12. I parametri da impostare riguardaFigura 3. Modellamento della forma del residuo capno la velocità di taglio, la pressione sulare anteriore. Rifinitura del lembo liberi capsulari anteriori per evitare la formazione di sinechie podi infusione ed il vuoto/aspirazione. steriori irido-capsulari e fornire un adeguato supL’utilizzo di un vitrectomo da chiporto per un impianto secondario. rurgia del segmento posteriore ha importanti vantaggi rispetto al vitrectomo anteriore. La velocità di taglio degli attuali vitrectomi posteriori raggiungere i 5000 tagli al minuto (cpm). Un’alta velocità di taglio genera una diminuzione della trazione che l’itero corpo vitreo esercita sulle strutture circostanti mantenendo allo stesso tempo un flusso laminare costante non trattivo del gel vitreale. Un’alta velocità di taglio corrisponde ad un più alto controllo della fluidica in uscita della colonna di fluido, ma allo stesso modo aumenta i tempi chirurgici di rimozione del gel vitreale. Una fine regolazione della fluidica del flusso in uscita è inoltre ottimizzata dalla regolazione del duty cycle che garantisce una modulazione del ciclo di lavoro del vitrectomo. La velocità di flusso all'interno del vitrectomo è inversamente proporzionale alla quarta potenza del raggio, influendo quindi significativamente sulla dinamica della vitrectomia. Bisogna inoltre ricordare che in ogni fluido reale sono presenti diversi effetti dissipative, di cui la viscosità ne è il principale responsabile. La viscosità del vitreo aspirato sarà modificata dal diametro attraverso cui il fluido viscoso scorre. Ad un diametro inferiore della sonda corrisponde un effetto trazionale inferiore e tempi chirurgici superiori per vitrectomia (a parità di valori di tagli, duty cycle e aspirazione). Una ottima applicazione della vitrectomia 25 gauge13 è la gestione delle complicanze anteriori: in particolare è interessante notare che il flow rate dei nuovi sistemi 25-gauge plus in presenza di acqua è 7.8 ml/min con una frequenza di taglio di 5000 cpm, un duty cycle del 50% ed un vuoto di 650 mmHg. L’ottimizzazione di tali parametri permette dunque di effettuare una vitrectomia rapida a circa 8 ml/min con una trazione minima dovuta al piccolo diametro della sonda e soprattutto con una frequenza di taglio molto alta11, 12. 58
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In caso si faccia uso di un vitrectomo anteriore è consigliato dunque impostare un taglio ad alta frequenza (superiore a 800/min). I meccanismi di taglio dei vitrectomi sono attualmente sviluppati su due principi diversi: "elettrico" e "pneumatico”. Il sistema elettrico ha un duty cycle costante su cui sono regolabili tassi diversi di taglio. I nuovi vitrectomi presentano un taglio pneumatico che utilizza aria pressurizzata sia in apertura che in chiusura con ciclo di modulazione del duty cycle indipendente dalla velocità di taglio13. In un sistema chiuso il controllo automatico della pressione di infusione permette indirettamente di stabilizzare tutti i flussi dei fluidi intraoculari in uscita14. In caso di sistemi di infusione a caduta è consigliato mantenere una IOP leggermente al di sopra dei valori fisiologici in modo da compensare le fasi di aspirazione (20-26 mmHg). È possibile infine regolare il limite di flusso di aspirazione (0-20 cc/min) indipendentemente dal livello di vuoto. Utile nelle fasi di occlusione della bocca del vitrectomo in cui viene modulato il vuoto per restituire poi massimo controllo a bocca non occlusa.
4. Cromo-vitrectomia La cromovitrectomia e un adiuvante alla visualizzazione di strutture oculari semitrasparenti. Il triamcinolone (TA) è un corticosteroide ben noto per proprietà antiinfiammatorie, tale da giustificare il suo impiego in patologie vascolari essudative e infiammatorie15. Studi recenti dimostrano che questo steroide insolubile in acqua, è utile alla visualizzazione delle fibre di collagene vitreali. Questa proprietà è fortemente legata alla natura insolubile dei cristalli di TA che si integrano nella matrice di collagene. Il prolasso vitreale può essere foriero di complicanze post-operatorie quali edema corneale, glaucoma secondario, vitreite, edema maculare cistoide e distacco di retina indotte da residue trazioni da impegno vitreale. L'incidenza di tali complicanze può essere ridotta con una rimozione meticolosa del vitreo dalla camera anteriore16. La localizzazione del vitreo e la sua rimozione completa è difficile da definire data la trasparenza delle fibrille di collagene vitreale. Burk nel 2003 per primo descrisse l'uso di TA nella gestione delle complicanze della chirurgia della cataratta17. La preparazione prevede il passaggio attraverso un filtro di 5 microns per separare le particelle di TA dal veicolo. Il vantaggio della visualizzazione della matrice di collagene permette di evitare manovre che aumentano la trazione vitreale, di finalizzare la vitrectomia anteriore in termini di efficacia e di tempo, di inibire le vie di biosintesi di acido arachidonico al fine di inibire l’infiammazione e di stabilizzare la barriera ematoretinica interna18. Infine, al termine della procedura chirurgica, può essere iniettata aria in CA tramite paracentesi corneale allo scopo di valutare la presenza di residue trazioni o aderenze. La tensione superficiale generata dall’interfaccia aria-fluido (circa 70 mN/m) permette di avere una bolla d’aria omogenea in grado di identificare segni indiretti trattivi da correggere19. Una bolla d’aria non omogenea è indice di presenza di vitreo in camera anteriore o di persistente impegno vitreale nelle paracentesi. Inoltre l’aria riesce ad evitare il dislocamento anteriore del vitreo o IOL nel primo periodo post-operatorio. SPECIALE LA VOCE AICCER
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La vitrectomia anteriore
Autore di Dott. Paolo Vinciguerra riferimento UnitĂ Operativa di Oculistica Istituto Clinico Humanitas Rozzano (MI) paolo.vinciguerra@humanitas.it
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Vincenzo Orfeo
Impianto immediato con IOL nel solco
I
l chirurgo che ha avuto una rottura capsulare con perdita più o meno evidente di vitreo è sempre riluttante ad abbandonare il campo lasciando a metà il suo lavoro, chiudendo l’intervento senza impiantare. Psicologicamente può essere vissuto come una sconfitta anche se in molte situazioni questa sarebbe la scelta più giusta. Chi fa anche chirurgia vitreo-retinica sa bene che l’accanimento può indurre notevoli danni alla retina. Però esistono alcune situazioni dove, dopo aver ben valutato i rischi e controllato lo stato del vitreo, si può pensare di impiantare la IOL nel solco e concludere così l’intervento con successo. Il primo elemento da considerare nella decisione di impiantare una IOL nel solco è la presenza di una capsuloressi anteriore circolare continua, con diametro sufficiente a garantire il supporto della IOL. Nel caso in cui la ressi anteriore sia integra e sia stata ben costruita come diametro, leggermente inferiore al piatto della IOL, e sia ben centrata rispetto al forame pupillare, è indicata la cattura capsulare della IOL, dove le anse sono nel solco ed il piatto viene fatto scapolare sotto la ressi anteriore. Questa circostanza è ideale per il fissaggio della IOL, la quale resterà centrata indipendentemente dal diametro delle anse e dal diametro del piatto della IOL. Nel caso in cui questa evenienza non sia realizzabile per la presenza di una ressi decentrata, per la contemporanea presenza di una rottura capsulare anteriore oppure di una fuga, la IOL deve necessariamente essere impiantata completamente nel solco. Per poter effettuare un impianto nel solco sono necessari un buon supporto capsulare ed una zonula integra perché la IOL possa avere una buona stabilità e dipendere solo dal solco per la fissazione. SPECIALE LA VOCE AICCER
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In questa circostanza ci sono due priorità: il corretto centraggio della IOL e la biocompatibilità uveale. Le IOL monopezzo acriliche non sono adatte all’impianto nel solco capsulare, poiché sono troppo piccole come diametro totale delle anse, sono troppo spesse e troppo “morbide”; per queste caratteristiche perdono facilmente la corretta angolazione. Ovviamente sono anche controindicate le IOL con le aptiche piane (a biscotto). In questa circostanza, come anche per la cattura capsulare, bisogna sceFigura 1. IOL tre pezzi gliere IOL tre pezzi. Le IOL da sacco tre pezzi (Figura 1), ovvero con piatto di 6 mm e diametro delle anse di 13 mm sono idonee anche per un impianto nel solco capsulare, senza rischiare un decentramento. Solo in alcune circostanze, quali ad esempio occhi particolarmente miopi o di grandi dimensioni, è preferibile utilizzare delle IOL con diametro di 6.5 mm e con diametro delle anse che sia almeno di 13.5 mm o di 14 mm. Le IOL da scegliere devono essere in materiale acrilico e non in silicone. Questo per due principali motivazioni: • la prima è immediata, cioè l’apertura di una IOL al silicone ha una cinetica “esplosiva” e questo potrebbe compromettere una situazione delicata come può essere quella di una rottura capsulare; • la seconda motivazione negativa è che, nel caso di un distacco di retina, la presenza di una IOL al silicone comprometterebbe un tamponamento vitreale con olio di silicone, per la formazione di un’interfaccia tra le due superfici.
Scelta del potere della IOL Nel caso di un impianto nel solco con cattura capsulare, non si modifica la ELP (effective lens position), ovvero la posizione ideale della IOL programmata dal sistema di calcolo per cui non è necessario variare la nostra costante A. Nel caso in cui invece l’impianto sia effettuato completamente nel solco capsulare, bisogna considerare che la lente sarà anteriorizzata rispetto alla sua posizione effettiva (ELP). In questo caso bisogna quindi ridurre il potere della IOL perché l’anteriorizzazione induce una miopizzazione. L’entità della correzione varia in funzione delle dimensioni dell’occhio e del potere della lente che avremmo dovuto impiantare. Per poteri compresi tra le +15.0 e le +23.0 D è necessario ridurre il potere della IOL 62
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da sacco di 1.0D. Per IOL con potere inferiore alle +15.0 D è sufficiente ridurre il potere della IOL di 0.5 D. Per poteri superiori alle +23.0 D bisogna invece ridurre il potere della lente di 1.5D. Nei casi in cui vi siano dubbi sulla stabilità della lente impiantata nel solco, può rendersi necessaria una fissazione iridea mono o bilaterale, eseguendo un cappio attorno alle anse con filo di prolene 10/0. Per eseguire la fissazione iridea di Figura 2. Rottura capsulare un’ansa si dovrà indurre una relativa miosi, portare il piatto al di sopra dell’iride lasciando le anse sotto l’iride in modo che sia evidente il loro profilo così da consentire un sicuro passaggio dell’ago lungo con una sutura in prolene 10/0. Però c’è da considerare che quando le manovre si fanno lunghe e laboriose è preferibile rimandare l’impianto ad un secondo momento perché tali manovre possono aumentare il rischio di complicazioni.
Tecnica chirurgica In caso di rottura della capsula posteriore, ad eccezione del caso in cui la rottura posteriore possa essere convertita in una capsuloressi posteriore circolare continua, senza fuoriuscita importante di vitreo, è controindicato l’impianto della IOL nel sacco capsulare non integro; l’impianto, se possibile, può solo essere effettuato nel solco capsulare. Prima dell’impianto della IOL è necessario assicurare la migliore pulizia possibile del sacco capsulare, rimuovendo tutti i frammenti corticali. Nel caso in cui questi vengano lasciati in situ, si idrateranno e potranno arrecare disturbo alla visione se presenti in campo pupillare. La procedura di pulizia del sacco capsulare deve essere effettuata con aspiratore manuale (siringa) collegata ad ago curvo da idrodissezione (Figura 2). Nella procedura di aspirazione bisogna porre particolare attenzione a Figura 3. Vitrectomia anteriore SPECIALE LA VOCE AICCER
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non aspirare filamenti vitreali che possono esercitare trazione sulla retina con complicanze molto severe. Nel caso in cui sia presente una discreta quantità di vitreo, si rende necessaria una vitrectomia anteriore, che inizialmente può essere condotta anche a secco sotto viscoelastico per evitare di idratare eccessivamente il vitreo se la fuoriuscita è minima. Altrimenti separando le vie d’irrigazione ed aspirazione si procederà alla vitrectomia ponendosi centralmente sotto il forame pupillare con Figura 4. Iniezione IOL lo scopo di attrarre il vitreo verso il centro dell’occhio (Figura 3). Non è indicato andare a “cercare” il vitreo in camera anteriore. Anche in questa procedura bisogna procedere con molta cautela modulando attentamente i parametri del vitrectomo ed in particolar modo la frequenza di taglio e l’aspirazione. Una volta rimosso il vitreo prolassato in camera anteriore, il chirurgo deve inserire un C.A. manteiner con boccia bassa per assicurare una minima quantità di BSS che mantenga la camera anteriore oppure iniettare viscoelastico in camera anteriore e nel solco ciliare prima di impiantare la IOL. Quale visco utilizzare? Se coesivo la parte del visco che resta sopra la IOL sarà facilmente aspirata mentre quella al di sotto no. Se adesivo potrebbe essere lasciato nell’occhio, ma provoca comunque ipertono. Lo scopo del viscoelastico svolge una duplice funzione. In prima istanza nel sacco capsulare ha il ruolo di mantenere ben arretrato il vitreo ed evitare che possa fuoriuscire dalla rottura capsulare e ritornare in camera anteriore; inoltre iniettato nel solco ciliare, ha il ruolo di creare spazio per l’impianto della IOL. Quando si impianta una IOL nel solco ciliare, è buona norma accertarsi che tutte e due le anse siano piazzate nel solco. Nel caso in cui una sia Figura 5. Iniezione IOL 2a fase nel solco e la seconda nel sacco cap64
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sulare, il rischio è quello di un decentramento della IOL. L’inserimento della IOL nell’occhio può avvenire secondo due procedure. La prima prevede l’iniezione della IOL, rigorosamente acrilica tre pezzi, in camera anteriore sopra il piano irideo (Figura 4). Una volta introdotta l’ansa distale ed il piatto ottico, si lascia scorrere l’ansa prossimale anch’essa sopra il piano irideo. A questo punto con un uncino di Sinskey lungo si cattura l’ansa distale e la si inarca fino a posizionarla sotto l’iride, Figura 6. Posizionamento IOL facendola poi delicatamente riaprire sotto l’iride e sopra la capsula anteriore. Con una pinza di McPherson, quindi si procede ad eseguire la stessa manovra per l’ansa prossimale, inarcandola fino a scapolare il bordo irideo e posizionandola poi sopra la ressi anteriore. Nel caso in cui, invece, ci sia una buona visualizzazione della capsula anteriore e ci sia una buona midriasi, si può iniettare l’ansa distale ed il piatto della IOL sotto l’iride, direttamente sopra la capsula anteriore (Figura 5), completando poi il posizionamento della seconda ansa facendola ruotare con un uncino di Sinskey agganciato alla giunzione tra piatto e ansa (Figura 6). Ove possibile questa seconda tecnica è preferibile ed è più semplice da eseguire. Se la ressi capsulare anteriore è ben centrata e di diametro lievemente inferiore al piatto della IOL, è possibile eseguire la cattura capsulare. Una volta posizionata la IOL nel solco per intero, il piatto va fatto scapolare sotto la ressi esercitando una modesta pressione circa a 90 gradi di distanza dalla giunzione piatto-anse (Figura 7). Dopo aver eseguito questa manovra, si noterà la deformazione della ressi che da circolare diventerà ovale, con i poli in corrispondenza delle giunzioni tra piatto della IOL e anse (Figura 8). Questa manovra consente di posizionare la IOL senza il rischio che si Figura 7. Cattura capsulare SPECIALE LA VOCE AICCER
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Figura 8. IOL catturata
decentri, e senza badare al diametro delle anse in funzione del diametro del solco, in quanto sarà il piatto capsulare a determinare il corretto posizionamento della lente. Inoltre con questa manovra si evita il collabimento della capsula posteriore con la capsula anteriore che favorisce e facilita la comparsa di fibrosi. Infine, si eviterà la formazione del pigmento irideo sulla superficie della lente come spesso accade negli impianti nel solco, perché il piatto capsulare è mantenuto indietro e il bordo della lente è coperto dalla capsula anteriore.
Anse nel sacco e cattura capsulare dell’ottica nella ressi anteriore Questa modalità di impianto della IOL può essere considerata una cattura inversa, nel caso in cui la rottura della capsula posteriore avvenga dopo che il chirurgo abbia impiantato la IOL nel sacco. Se durante le procedure di impianto della IOL nel sacco capsulare si verifica una improvvisa rottura della capsula posteriore, (per esempio nella fase di aspirazione del viscoelastico dietro la IOL) che rende incerta la stabilità della lente nel sacco stesso, è possibile far scapolare il piatto della lente sopra la ressi anteriore. Questa procedura “minimal stress” consente, di assicurare la lente alla capsula anteriore ed evitare complicanze di dislocazione della stessa nel vitreo.
Figura 9. Sutura
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Conclusioni: • è buona norma in caso di rottura capsulare con fuoriuscita di vitreo, rimandare l’impianto ad un secondo intervento • quando l’impianto contemporaneo è fattibile bisogna eseguire una vitrectomia anteriore e nell’area retroiridea così da non lasciare filamenti vitreali in c.a. o peggio, attorno alla IOL o bloccati nelle aperture corneali
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• è necessario avere un buon supporto cioè una ressi anteriore integra o quasi del tutto integra • è indispensabile usare una IOL 3 pezzi e possibilmente eseguire una cattura capsulare con anse nel solco e piatto sotto la ressi anteriore • indurre miosi con acetilcolina • asportare senza approfondire troppo la camera anteriore, la maggiore quantità possibile di viscoelastico • suturare con Nylon 10/0 l’accesso principale (Figura 9).
Dott. Vincenzo Orfeo Autore di U.O. di Oculistica riferimento Clinica Mediterranea, Napoli Tel. 081 7611251 • Fax 081 7259777 oculistica@clinicamediterranea.it
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Giorgio Tassinari
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L
a dislocazione di frammenti di lente nella cavità vitreale in corso di chirurgia della cataratta è una complicanza rara ma potenzialmente grave. Si stima che l’incidenza di tale complicanza sia compresa tra lo 0,1% e l’1,5% nella curva di apprendimento di un chirurgo1,2. Per es. in un ospedale indiano in cui operano sia specializzandi che chirurghi esperti, l’incidenza complessiva di caduta del nucleo è stata pari allo 0.8% . Uno studio sulle complicanze della facoemulsificazione tra gli specializzandi del terzo anno della New Jersey Medical School ha rilevato che l’incidenza di rottura della capsula posteriore è pari al 6.7%, di perdita di vitreo al 5.4% e di caduta nel vitreo di materiale catarattoso all’1.0%4. I fattori che aumentano il rischio di caduta di masse catarattose nel vitreo comprendono scarsa midriasi, nuclei duri, cataratte traumatiche, occhi infossati e movimenti del paziente durante la chirurgia5,6,7. Altre condizioni come pseudoesfoliatio, traumi oculari e sindrome di Marfan aumentano il rischio di deiscenza zonulare e dislocazione vitreale anche dell’intera lente8.
Chirurgia della cataratta La rottura capsulare, la deiscenza zonulare e la caduta di frammenti di lente nel vitreo possono verificarsi in ogni fase della chirurgia della cataratta, ma avvengono più frequentemente durante la facoemulsificazione o l’aspirazione delle masse corticali9,10,11,12. Grandi rotture capsulari possono far seguito all’estensione di piccole lacerazioni o di fori creati in precedenza. Durante le fasi di cracking o durante una prolungata manipolazione di nuclei duri, queste aperture possono estendersi drammaticamente e la caduta nel vitreo di masse lenticolari può verificarsi rapidamente. 68
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Negli occhi che hanno sviluppato una cataratta successivamente a un trauma, il chirurgo dovrebbe fare attenzione a fori silenti della capsula posteriore che possono estendersi durante l’idrodissezione. Il riconoscimento precoce della rottura capsulare insieme alla prevenzione del collasso della camera anteriore possono impedire l’estensione della rottura, il movimento anteriore del vitreo e la dislocazione posteriore del cristallino. Il primo segnale del problema è spesso rappresentato dall’approfondimento della camera anteriore e dallo spostamento posteriore del nucleo. Per impedire la migrazione anteriore del vitreo e la dislocazione posteriore del cristallino dovrebbe essere iniettato viscoelastico e posizionato un secondo strumento dietro alla lente. I frammenti lenticolari residui devono essere delicatamente emulsificati o rimossi con conversione a estrazione extracapsulare. Quando invece il vitreo si è già infiltrato attorno alle masse catarattose o nella ferita chirurgica, una vitrectomia anteriore deve essere eseguita precedentemente alla rimozione delle masse lenticolari residue, per evitare una trazione sulla base del vitreo e un aumento del rischio di distacco di retina. Se si verifica una caduta posteriore di masse catarattose, la tentazione di inseguirle o rimuoverle con la sonda faco o altri strumenti o manovre differenti dalla vitrectomia via pars plana (VVPP) dovrebbe essere evitata poiché vi sono rischi significativi di danneggiare l’occhio provocando edema e scompenso corneale, trazione della base vitreale, strappi retinici, distacchi di retina o emorragie vitreali. La prima decisione da prendere è se procedere alla VVPP durante lo stesso intervento, ammesso che lo stesso chirurgo della cataratta sia, o sia disponibile nelle vicinanze, un esperto di tecniche vitreoretiniche. L’intervento sarà concluso con vitrectomia anteriore e rimozione dei frammenti corticali dalla camera anteriore; impianto di IOL anteriore o posteriore nel caso in cui la situazione consenta un adeguato supporto e stabilità della lente - evitando IOL di silicone per l’aumentato rischio di distacco di retina ed eventuale necessità di scambio fluido-aria-olio di silicone per la sua riparazione-; sutura stagna della ferita chirurgica, per evitare leakage dalla ferita anche durante l’eventuale successiva VVPP. I frammenti di cristallino ritenuti possono portare a infiammazione intraoculare, ipertono, edema corneale, edema maculare cistoide e distacco di retina13,14.
Decorso post-operatorio Mentre frammenti corticali possono essere riassorbiti entro 3 mesi, frammenti nucleari possono essere rinvenuti persino 2 anni dopo l’intervento di cataratta; a parità di dimensioni, il materiale nucleare tende ad essere peggio tollerato del materiale corticale ; ciononostante, il lento ridursi del materiale nucleare può causare un’infiammazione controllabile, mentre abbondante materiale corticale può causare una severa infiammazione vitreale simile ad un’endoftalmite. In genere l’infiammazione risulta proporzionale al volume del materiale dislocato e alla velocità di SPECIALE LA VOCE AICCER
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liberazione di proteine dalle masse catarattose, tanto che la caduta dell’intero cristallino con capsula integra rappresenta una scarsa minaccia di infiammazione immediata. L’aumento di pressione intraoculare, presente in più del 50% degli occhi con frammenti lenticolari ritenuti nel vitreo prima di essere sottoposti a VVPP18,19,20,21 è dovuto all’aumento della resistenza al deflusso dell’umore acqueo, determinato sia dalle proteine ad alto peso molecolare liberate dalle masse catarattose, sia dalle cellule infiammatorie. L’infiammazione cronica può portare alla formazione di sinechie anteriori e ad un glaucoma cronico ad angolo chiuso. Un certo grado di edema corneale è stato riportato nel 33-85% dei casi; può essere dovuto alle manipolazioni effettuate durante la chirurgia della cataratta, all’infiammazione intraoculare, e talvolta alla presenza di frammenti lenticolari in camera anteriore, causanti un danno endoteliale diretto. L’incidenza di distacco di retina varia dallo 0 al 18% nelle diverse casistiche23,24,25 anche se rotture retiniche isolate sono più frequenti26.
Trattamento Il trattamento farmacologico dell’infiammazione intraoculare e dell’ipertono è iniziato subito dopo l’intervento complicato di cataratta, con corticosteroidi topici ed eventualmente sistemici, cicloplegici ed ipotonizzanti. La chirurgia vitreale è spesso indicata per rimuovere il materiale lenticolare ritenuto, ma il momento migliore per eseguire la vitrectomia è ancora dibattuto e varia in base alle caratteristiche di ciascun caso. Indicazioni della VVPP Le indicazioni per la vitrectomia includono riduzione dell’acuità visiva correlata all’edema maculare cistoide, all’infiammazione, all’opacizzazione o all’emorragia vitreale, persistenza di elevata pressione intraoculare, presenza di frammenti lenticolari visivamente sintomatici, uveite persistente o distacco retinico. Anche se la vitrectomia precoce (< 3 settimane) sembra associata a migliori risultati visivi, questa chirurgia presenta un rischio intrinseco di complicanze ulteriori27. Alcuni autori sconsigliano la VVPP negli occhi con frammenti lenticolari di piccole dimensioni (<5-10% del volume del cristallino), lieve infiammazione vitreale e lieve ipertono28,29,30. È stato dimostrato31 che un trattamento solo medico della ritenzione di frammenti lenticolari porta ad un’acuità visiva nel lungo termine sovrapponibile a quella ottenuta dopo vitrectomia, almeno nei casi che non mostrano una riduzione visiva o un’infiammazione o un ipertono resistenti alla terapia medica nelle prime due settimane post-op. Ciononostante, una fluttuazione della vista e la visione di corpi mobili rappresentano manifestazioni comunemente riferite dai pazienti non sottoposti a vitrectomia. Quindi, la vitrectomia è indicata nei casi in cui si prevede –esempio per abbondanza del materiale lenticolare caduto nel vitreo- o si osserva un’infiammazione o un 70
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ipertono resistenti alla terapia medica e nei pazienti che richiedono una riabilitazione visiva più rapida e qualitativamente migliore. L’osservazione è invece indicata, considerando i rischi della vitrectomia, quando l’infiammazione e la pressione sono controllabili conservativamente e il paziente accetta un recupero visivo più lento e meno confortevole.
Figura 1.
Timing della VVPP Vi è scarsa evidenza che la VVPP eseguita lo stesso giorno della chirurgia della cataratta porti a risultati visivi migliori rispetto alla chirurgia eseguita precocemente32. Secondo alcuni autori la vitrectomia eseguita nello stesso giorno della chirurgia della cataratta o precocemente (<1-2 settimane) può portare a risultati visivi migliori33,34,35,36, rispetto ad una chirurgia posticipata (>1-2 settimane) mentre secondo altri37 non vi sono differenze statisticamente significative. Vari studi ampi non hanno trovato una correlazione statisticamente significativa tra il timing della VVPP e l’incidenza di glaucoma cronico o dei risultati visivi a lungo termine38,39,40,41. In genere si raccomanda di eseguire la VVPP entro 2 settimane42 ma in alcuni casi posticipare la VVPP è preferibile per consentire una riduzione dell’opacità corneale e dell’infiammazione oculare. Tecnica della VVPP Preoperatoriamente deve essere eseguito un esame del fondo per identificare il numero e la localizzazione della masse catarattose e per evidenziare ogni rottura retinica. Nei pazienti con emorragia vitreale o vitreite è indicata una ecografia B Scan per valutare lo stato della retina. L’approccio standard usato dai chirurghi vitreoretinici per la gestione delle masse catarattose disperse nel vitreo è la vitrectomia via pars plana a tre porte43,44,45,46,47. Sono posizionati la cannula per l’infusione, il vitrectomo e l’endoilluminazione. Se necessario, il vitrectomo è utilizzato sia attraverso la pars plana che tramite l’approccio limbare per rimuovere tutto il vitreo ed il residuo materiale lenticolare dalla ferita corneale e dalla camera anteriore. Prima viene eseguita la rimozione del nucleo vitreale, poi del materiale catarattoso corticale dietro all’iride e circondante la IOL, ponendo attenzione a non destabilizzarla. Successivamente viene pulito il vitreo rimanente con i detriti catarattosi associati. Per evitare un’eccessiva trazione vitreale, il vitreo che circonda ogni frammento di lente deve essere rimosso prima di ingaggiare gli stessi frammenti (Figura 2). Le masse nucleari sulla superficie retiniSPECIALE LA VOCE AICCER
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Figura 2.
ca, dopo essere stati liberate dal vitreo, vengono aspirate con il phacofragmatome e sollevati al centro della cavità vitreale, dove vengono emulsificati. Devono essere utilizzati livelli bassi di ultrasuoni per evitare lesioni retiniche causate dai frammenti nucleari duri spinti verso la retina dalla punta del phacofragmatome. La sommità dell’endoilluminatore può essere utilizzata per tenere i frammenti nucleari vicini alla punta del phacofragmatome o per schiacciare il materiale lenticolare dentro il vitrectomo. Dopo una completa lensectomia e vitrectomia, viene eseguita una depressione sclerale per identificare eventuali rotture retiniche periferiche o residui di lente intrappolati nel vitreo periferico. Il perfluorocarbonato liquido (PFCLs) può essere utile per rimuovere i frammenti di lente dislocati posteriormente e per minimizzare le lesioni retiniche durante la facoemulsificazione posteriore. Dopo una completa vitrectomia e liberazione dei frammenti di lente dal vitreo, il PFCL è iniettato sul nervo ottico. L’alto peso specifico di questo liquido muove la massa lenticolare dalla superficie retinica al centro della cavità vitreale dove può essere aspirata o emulsificata in sicurezza. Il PFCL viene poi scambiato con gas espandibile o olio di silicone. I problemi associati all’uso del PFCL includono la tendenza dei frammenti a raccogliersi alla periferia dell’interfaccia PFCL-soluzione salina bilanciata e la formazione di schiuma del PFCL durante la facoframmentazione, che può impedire la visualizzazione. Alcuni chirurghi vitreoretinici usano il PFCL in tutti i casi di dispersione di masse catarattose nel vitreo, mentre altri riservano la sua applicazione a casi specifici come presenza di nuclei molto duri o coesistenza di distacco di retina.
Figura 3.
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Risultati Dopo VVPP vi è una riduzione della PIO e un miglioramento dell’AV nella maggior parte di casi, ma l’incidenza di glaucoma cronico dopo vitrectomia è compresa tra 0 e 31%48 e solo una percentuale compresa tra il 42 e il 71% ottiene una AV finale pari o maggiore a 5/1049,50,51,52,53,54. L’edema maculare cistoide rappresenta la causa principale di riduzione dell’acuità visiva. Il risultato visivo degli occhi sottoposti a VVPP per caduta di materiale catarattoso nel vitreo è in continuo miglioramento: per il raggiungimento di un’AV pari o superiore a 5/10, si è passati da una percentuale pari
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al 42% a fine anni ‘70 a una percentuale di 67-71% nel 2007-0856,57. I miglioramenti possono essere attribuiti alla migliore gestione sia dell’intervento iniziale di cataratta, sia del successivo intervento di VVPP. La moderazione o astensione del chirurgo della cataratta nei tentativi di recuperare la masse catarattose cadute nel vitreo e un’appropriata gestione intraoperatoria e postoperatoria possono consentire buoni risultati visivi anche in seguito a questa complicanza della chirurgia della cataratta.
Dott. Giorgio Tassinari Ospedale Maggiore • Bologna Tel. 051 6478962 giorgio.tassinari@ausl.bologna.it
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Masse disperse nel vitreo
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Scipione Rossi
Impianto secondario: solco, iride o fissazione sclerale Introduzione L’approccio intraoculare alla correzione dell’afachia post-chirurgica conosce diverse strategie, la cui scelta dipende dalle condizioni anatomo-funzionali dell’occhio. Il primo elemento anatomico da considerare è la presenza di un “adeguato supporto capsulare” e di conseguenza la possibilità di effettuare un impianto nel solco ciliare1. In caso contrario l’impianto può realizzarsi in camera anteriore oppure in camera posteriore fissando la lente all’iride2-4 o alla sclera tramite “suture” 5. Recentemente sono state messe a punto tecniche di fissazione intrasclerale “senza suture” che assicurano le aptiche della IOL in tunnel intrasclerali dedicati6,7 o nel letto di flaps sclerali usando colla di fibrina8. L’obiettivo è quello di ridurre i tempi chirurgici,eliminare le difficili procedure di confezionamento delle suture e delle loro complicanze ed allo stesso tempo realizzare un posizionamento anatomico ed ottico ideale ossia il centraggio retro pupillare dell’ottica. Valutazione preoperatoria La visita preoperatoria mirata alla progettazione di un impianto secondario in un paziente afachico prevede: un’accurata anamnesi generale mirata a comprendere se il paziente presenta patologie del connettivo per escludere a priori una fissazione sclerale; un’anamnesi oculare per avere notizie sul numero e sul tipo di interventi subiti (facoemulsificazione complicata con rottura capsulare, vitrectomia anteriore, posteriore ecc); una visita oculistica completa che comprenda, oltre gli steps standard, in particolare: 76
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ROTTURA CAPSULARE CON PERDITA DI VITREO IN CORSO DI INTERVENTO DI CATARATTA
• la conta endoteliale; • la gonioscopia; • la biometria ottica modalità “afachia”; • la biomicroscopia ultrasonografica ad alta risoluzione (UBM) per valutare in caso di scarsa midriasi la presenza di residui capsulari. L’esecuzione dell’UBM in un bulbo afachico dovrebbe essere eseguito come esame di routine perche ci permette di studiare • anatomia dell’angolo irido-ciliare; • presenza di sinechie tra iride e capsula residua che potrebbero ostacolare l’inserzione delle aptiche di una IOL da camera posteriore.
Impianto secondario in assenza di supporto capsulare Impianto nel solco
L’impianto secondario di una PC IOL nel solco è la strategia di scelta in occhi con adeguato supporto capsulare9,10. La valutazione preoperatoria è necessaria per l’accertamento dei residui capsulari periferici. Per fornire un supporto affidabile di una IOL occorrono 6 ore di residuo capsulare periferico ampio, di cui almeno la metà situate nel quadrante inferiore. La condizione più favorevole è la conservazione della capsulo ressi anteriore; in questo caso le aptiche della IOL vengono posizionate nel solco ciliare, mentre l’ottica viene catturata al davanti della capsuloressi anteriore, questa manovra garantisce un ottimo centraggio e stabilità11-13. La tecnica chirurgica prevede 2 aspetti importanti: la scelta del tipo di IOL ed il posizionamento simmetrico delle due aptiche nel solco1. • La “IOL da solco” è una IOL da camera posteriore standard, 3-pezzi, con diametro dell’ottica di 6- 6,5 mm, lunghezza assiale 13,5 mm, con aptiche lunghe, sottili , flessibili, con bordi arrotondati ed angolazione posteriore di 5°. Una IOL da camera posteriore monopezzo presenta aptiche spesse, rigide, con bordi squadrati dannosi per le delicate strutture uveali (Figura 1). • Il corretto posizionamento delle aptiche nel solco è la principale difficoltà di questa tecnica (Figura 2). Si stima che nel 42% dei casi di impianti nel solco le aptiche non si trovano nella corretta posizione14. Il mal posizionamento delle aptiche ha importanti implicazioni cliniche. Nel caso in cui una delle due aptiche sia al davanti del solco ciliare l’iride periferica subirà una spinta anteriore con chiusura d’angolo per circa 2 h ed un contatto tra il bordo dell’ottica e superficie posteriore dell’ iride (irite, dispersione pigmento) diversamente se il posizionamento è posteriore al solco l’aptica può incarcerasi nel Figura 1. IOL monopezzo: bordi squadrati della giunzione corpo ciliare attivando fenomeni infiammatori ottica-aptica SPECIALE LA VOCE AICCER
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Impianto secondario: solco, iride o fissazione sclerale
cronici ed emorragici (Figura 3). Dal punto di vista refrattivo il mal posizionamento delle aptiche determinerà15: • shift miopico (decentramento simmetrico anteriore dell’ottica); • shift ipermetropico (decentramento simmetrico posteriore dell’ottica); • aberrazione comatica (decentramento asimmetrico o tilting dell’ottica). Figura 2. Immagine UBM: posizionamento simmetrico delle aptiche nel solco: uguale distanza tra il bordo dell’ottica e la superficie posteriore dell’iride (Vasavada et al., 2010)
Impianto capsulare in assenza di supporto capsulare 1) Impianto in camera anteriore
L’impianto secondario di una IOL da camera anteriore (AC IOL) è una tecnica che ha grande popolarità; d’altra parte la sua scelta è ristretta a casi selezionati sulla base di un’accurata valutazione preoperatoria. I parametri da considerare per la possibilità di effettuare un impianto di una AC IOL sono: • la funzionalità dell’endotelio corneale: pachimetria <540 micron; • la profondità della camera anteriore: ≥ 3 mm; • il diametro orizzontale corneale >10,5mm; • l’integrità del tessuto irideo almeno pari 270°; • il diametro pupillare: < 6 mm. L’impianto in camera anteriore avviene mediante IOL “ad appoggio angolare” oppure ad “enclavazione iridea”. L’impianto di una AC IOL ad appoggio angolare è tecnicamente più semplice; ma il continuo contatto tra le aptiche con la radice dell’iride e con il trabecolato comporta una serie di complicanze; infiammazione cronica, aumento IOP, emorragie (Uveite, Glaucoma, Ipoema: UGH Syndrome). Diversi studi hanno trovato un aumento della IOP dopo impianto secondario di una AC IOL angolare16,17. Il secondo tipo di AC IOL, pur richiedendo maggiore abilità chirurgica, è gravato da minori complicanze. La fissazione delle aptiche a “chela di granchio” avviene nell’iride medio periferica (Figura 4) lontana dalle delicate strutture angolari. Un altro vantaggio è che nell’iride medio-periferica i vasi sanguigni sono piccoli, incapsulati, con decorso radiale pertanto con un minor rischio di emorragie. Figura 3. Immagine UBM: aptica incarcerata nel corpo ciliare (Vasavada et al., 2010) La “enclavazione” è il momento più critico 78
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Figura 4. Immagine UBM: Enclacazione di un aptica nell’iride medio–periferica
Figura 5. Cattura della loop con una sutura in polypropilene 10.0 (da Stutzman e Stark, 2003)
di tutta la tecnica chirurgica soprattutto in caso di un’iride afachica che ha una consistenza più rigida spesso friabile rispetto a quella fachica. Dal 197018 ad oggi19-22, le IOL ad enclavazione iridea hanno dimostrato la loro efficacia e sicurezza nella correzione dell’afachia. 2) Tecnica a “fissazione iridea”
Nel 1976, Malcom McCannel23 è stato il primo a descrivere una tecnica a fissazione iridea di una lente intraoculare da camera posteriore (PC IOL) sub lussata. McCannel ebbe l’idea di suturare le anse di una PC IOL sub lussata all’iride attraverso un filo in polypropilene 10.0, durante una cheratoplastica perforante. Soltanto nel 2003 Stutzman2 e Condon3 hanno descritto il modo di eseguire queste suture di fissazione “a bulbo chiuso” sia in casi di un riposizionamento di una IOL sub lussata sia in caso di un impianto secondario. Per questo tipo di impianto è necessario un buon trofismo dell’iride ed una normale dinamicità pupillare. La tecnica richiede un’elevata abilità chirurgica in particolare nelle seguenti fasi: 1. posizionamento retro irideo delle aptiche con “cattura pupillare” dell’ottica della PC IOL; 2. “cattura dell’ansa” con le suture di McCannel (Figura 5); 3. confezionamento del “nodo scorsoio di Siepser”24. La tecnica a fissazione iridea consente il centraggio retro pupillare di una PC IOL. Il centraggio retro pupillare è un riposizionamento corretto dal punto di vista anatomico e funzionale. Infatti, la posizione finale si approssima a quella originaria (sacco capsulare) con tutti i vantaggi di un impianto in camera posteriore. La fissazione delle anse flessibili all’iride determina un incurvamento posteriore del complesso apticoottico della IOL, facendo allontanare di fatto la parte ottica dalla superficie posteriore iridea e riducendo l’attrito da contatto e la dispersione di pigmento(4a). Dal punto di SPECIALE LA VOCE AICCER
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Impianto secondario: solco, iride o fissazione sclerale
vista refrattivo, questo fenomeno rende l’effetto ottico simile alla situazione iniziale evitando la riduzione del potere dovuta all’anteriorizzazione della IOL25. Un altro vantaggio della tecnica è la stabilità delle suture che, rispetto alla fissazione sclerale, ove anche il semplice ammiccamento può creare uno stress meccanico con possibile erosione, non subiscono sollecitazioni e danneggiamenti. È quindi un posizionamento stabile nel tempo26 con un minimo rischio di dislocazione27 e di endoftalmiti causate dalla presenza delle suture sclerali stesse28. D’altro canto, come è stato detto, l’iride periferica rappresenta un sistema di sospensione ideale grazie alla sua atonia , elasticità ed il suo tipo di vascolarizzazione. Infine, un recente studio di analisi attraverso la biomicroscopia ultrasonica (UBM), condotto da Mura et al. (2010)29, ha dimostrato che il punto di sutura è l’unico Figura 6. Nel punto di fissazione della sutura iride-aptica c’è un inginocchiamento del pro- punto in cui aptica e iride posteriore sono a contatto con filo irideo. Non ci sono altri contatti tra ottica minimo rischio di dispersione pigmentaria (Figura 6). della IOL, aptiche e superficie post dell’iride Uno studio eseguito da Guttman nel 200930 ha eviden(Mura et al., 2010) ziato un tasso di complicanze post-operatorie che varia dall’1 all’8% (follow-up medio di 8 mesi). In 144 occhi operati, l’8% presentava un aumento transitorio della IOP, l’1% un edema maculare cistoide, l’1% una cheratopatia bollosa, l’1% emorragia iridea ed il 7% una ridislocazione. L’infiammazione cronica dell’iride è un’altra possibile complicanza che si verifica in due casi: per un’erronea localizzazione delle suture nella parte mobile dell’iride oppure per una eccessiva tensione delle suture31. L’irido dialisi, è un evento raro, che si può verificare per una manipolazione erronea della radice dell’iride32. 3) Tecnica a fissazione sclerale “con suture”
Figura 7. Sclerotomia nel solco ciliare (cs) evidenziata da cannula da 25 G (cp= processi ciliari), (da Gabor et al., 2007)
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La tecnica a fissazione sclerale è stata introdotta da Malbran alla fine degli anni 80 per l’impianto in pazienti precedentemente sottoposti ad estrazione intracapsulare di cristallino33. L’impianto a fissazione sclerale prevede l’ancoraggio delle loop della IOL alla sclera, al di sotto di 2 sportellini base limbus creati ad ore 3 ed ore 9, con l’ausilo di fili di sutura in polipropilene (non riassorbibili) 10/0 ad ansa o doppiamente armati con un lungo ago retto o curvo. La funzione degli sportellini è consentire la sepoltura del nodo di fissazione. I vantaggi di questo tipo di impianto derivano da posizionamento della lente in camera posteriore riducendo,
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in tal modo, il rischio di un impianto in camera anteriore (progressiva deplezione delle cellule endoteliali, sinechie con deformazione pupillare, ipertono, stati flogistici cronici). Sono disponibili diversi tipi di IOL a fissazione sclerale, la peculiarità sono gli occhielli alle estremità delle loop. Negli ultimi anni sono state immesse sul mercato lentine da fissazione sclerale pieghevoli che permettono un taglio corneale meno ampio rispetto a quelle in PMMA34. Le metodiche di esecuzione delle tecniche di fissazio8. Preparazione del tunnel sclerale (st) a ne sclerale sono numerosissime ed ogni chirurgo Figura 1,5- 2,0 mm dal limbus iniziando dalla sclerotende a personalizzarle. tomia (freccia) usando una cannula da 24 gauLa fase chirurgica che richiede la maggiore abilità tecni- ge (can), (da Gabor et al., 2007). ca è la realizzazione di suture “simmetriche ” tra le due aptiche ossia con • uguale localizzazione (solco ciliare) • uguale tensione in questo modo viene assicurato un buon centraggio retro pupillare dell’ottica. La procedura presenta una serie di complicanze intra-operatorie e post-operatorie legate alle suture. Il passaggio trans-sclerale dell’ago eseguito approssimativamente a livello del solco ciliare comporta un elevato rischio di emorragie intraoculari. Numerosi studi hanno riportato che il rischio di dislocazione della PC IOL per rottura o degradazione delle suture35,36 e di endoftalmiti per infezioni delle suture sono statisticamente significativi37,38. 4) Tecnica a fissazione sclerale “senza suture”
L’impianto a fissazione sclerale “senza suture” si realizza attraverso due strategie: • tunnel sclerali; • colla di fibrina
f Figura 9. L’aptica prossimale è trascinata attraverso le sclerotomie (frecce) usando pinze da 25 gauge (f).
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Impianto secondario: solco, iride o fissazione sclerale
Figura 10. A) Posizionamento delle aptiche nel tunnel sclerale e di diametro appropriato a quello delle aptiche per evitare torsioni e garantire un buon centraggio. B) Fotografia di fine impianto: centraggio retro pupillare della PC IOL (da Gabor et al., 2007)
La creazione di “tunnel intrasclerali” per fissare le aptiche di una PC IOL è una tecnica che combina il controllo di un sistema a “bulbo chiuso” con la stabilità assiale della PC IOL6,7,38. Analizziamo le fasi dell’intervento: 1. esecuzione di due sclerotomie a 1,5 -2 mm dal limbus, poste a 180° l’una dall’altra, utilizzando una lama da 25 gauge (Figura 7); 2. preparazione di due tunnel sclerali con una cannula da 24 gauge a partire dalla sclerotomia ed estendendosi in senso orario per 4 mm a circa il 50% dello spessore sclerale; 3. introduzione con iniettore di una PC IOL standard 3 pezzi, in acrilico, attraverso un’incisione in cornea chiara (2,75 mm); 4. stabilizzazione delle aptiche: in un primo momento l’aptica prossimale viene lasciata all’esterno mentre l’estremità dell’aptica distale viene afferrata con una micro pinza da 25 –gauge verso la sclerotomia (Figura 9) e trascinata nel tunnel (Fig.10A). Dopo aver posizionato l’aptica distale, quella prossimale viene trascinata in camera anteriore, l’estremità è afferrata con pinza di 25 G e introdotta nel secondo tunnel. Dopo aver assicurato le aptiche, la IOL risulta posizionata in sede retro pupillare (Figura 10B) ed il corretto centraggio della PC IOL viene ottenuto attraverso piccoli aggiustamenti della porzione intrasclerale delle aptiche. Il tessuto intrasclerale rappresenta un sito anatomico favorevole perché è avascolare e con scarsa tendenza all’infiammazione (Figure 11 e 12). Un altro modo per fissare le aptiche nel tessuto sclerale prevede l’impiego di “colla di fibrina”. È una colla biologica che contiene fibrinogeno umano (20mg/0,5 mL), trombina (250 IU/0,5mL), soluzione di aprotinina (1500KIU in 0,5 mL); ha una triplice azione: • adesiva; • emostatica; • stimolante la rigenerazione tissutale. 82
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Figura 11. Immagine alla lampada a fessura della posizione del tunnel sclerale a 3 mesi dall’intervento. L’aptica della IOL è incarcerata completamente (freccia) nel tunnel sclerale (Gabor et al., 2010)
Figura 12. L’immagine UBM mostra il tunnel sclerale con l’aptica al suo interno dopo 6 settimane l’intervento. Nessun segno di leakage o infiammazione (Gabor et al., 2010)
La colla di fibrina in oftalmologia ha trovato diversi campi di applicazione: chiusura congiuntivale dopo chirurgia dello pterigio, dello strabismo, chiusura di perforazioni corneali, di descemetoceli, chiusura della bozza congiuntivale dopo trabeculectomia39. Recentemente Agarwal (2008)8 ha utilizzato la “colla di fibrina” per fissare le aptiche di una PC IOL nella sclera. Analizziamo in breve le fasi dell’intervento: 1. sportelli sclerari base limbus localizzati nel settore infero-temporale e supero - nasale a 180° l’uno dall’altro (Figura 13); 2. sclerotomie con lama da 23 –gauge: la sclerotomia inferiore viene posizionata vicino al margine inferiore dello flap sclerale infero-temporale, quella superiore vicino al margine superiore del flap supero-nasale;
Figura 13. Flap sclerali base limbus 2,5 mm X 3,0 mm a circa 1,5 mm dal limbus (da Agarwal et al., 2008)
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3. introduzione PC IOL standard previa creazione tunnel in cornea chiara di 2,75 mm; 4. esternalizzazione delle aptiche: l’estremità dell’aptica distale viene afferrata, con una pinza da 25 G, ed esternalizzata attraverso la sclerotomia al di sotto del flap supero-nasale seguendo la sua curvatura ed infine posizionata sul letto del flap sclerale (Figura 14). È consigliato sottominare nel tessuto sclerale le estremità delle due aptiche; 5. esternalizzazione dell’aptica prossimale attraverso la sclerotomia del flap infero-temporale e suo posizionamento sul letto del flap; Figura 14. Esternalizzazione delle aptica prossimale 6. applicazione della colla di fibrina tramite appodella IOL con pinza (f) da 25 G attraverso la sclerotosito sistema di rilascio sotto i flaps; mia sotto il flap infero-temporale 7. tamponamento dello sportellino sclerale per 20 secondi. La perfetta adesione del flap sclerale è osservata sin dal primo giorno post-operatorio e si completa definitivamente a 6 settimane (Figura15).
Conclusioni La correzione chirurgica dell’afachia si avvale di diverse strategie la cui efficacia e sicurezza è stata suffragata da numerosissimi studi; ma non è stata mai affermata la superiorità di una tecnica rispetto all’altra19,21,25. Il motivo dipende dal fatto che la scelta tecnica è strettamente correlata alla condizione clinica preoperatoria ma anche dalla capacità del chirurgo ad eseguirla. Di fatto possiamo affermare che un impianto secondario “ideale” è quello che garantisce il massimo risultato funzionale con il minimo tasso di complicanze. Queste due condizioni si verificano in caso di un impianto secondario con il più basso grado di pseudofacodonesi. Sebbene manchino risultati a lungo termine, l’impiego della chirurgia “senza suture” nella realizzazione degli impianti secondari a fissazione sclerale sembrerebbe rappresentare la tecnica ideale per i seguenti motivi: • localizzazione dell’impianto in sede retropupillare; • fissazione delle aptiche in sede intrasclerale; • stabilizzazione assiale dell’ottica; Figura 15. Immagini del flap sclerale con le aptiche “incollate” OCT • minimo tasso di complicanze; il giorno dopo (sopra) e dopo 6 settimane (sotto) (Agarwal., 2008). • facilità di esecuzione. 84
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ROTTURA CAPSULARE CON PERDITA DI VITREO IN CORSO DI INTERVENTO DI CATARATTA
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Dott. Scipione Rossi UOC Microchirurgia Oculare Ospedale San Carlo - IDI, Roma Tel. 06 396706390 s.rossi@idi.it
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