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LETTERATURA INTERNAZIONALE

a cura di Vincenzo Orfeo in collaborazione con Pasquale Napolitano, Mariapaola Giordano e Claudio Xompero

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Ghosh AK, Thammasudjarit R, Jongkhajornpong P, Attia J, Thakkinstian A. Deep Learning for Discrimination Between Fungal Keratitis and Bacterial Keratitis: DeepKeratitis. Cornea. 2022 May 1;41(5):616-622. doi: 10.1097/ICO.0000000000002830. PMID: 34581296; PMCID: PMC8969839.

L’intelligenza artificiale simula i processi cognitivi umani, il deep learning è una tipologia di intelligenza artificiale che impara a svolgere un compito e migliora automaticamente le proprie prestazioni nel corso del tempo. Il termine “deep” indica la complessità di strati di cui è composta la rete neurale (la sequenza di funzioni) che si interpone tra un input, come ad esempio l’immagine del segmento anteriore affetto da cheratite, ed un output, la probabilità che quella cheratite sia di eziologia batterica o fungina. Le sue applicazioni in medicina hanno prodotto numerosi strumenti utili nello screening e nel supporto alla diagnosi, in particolare in assistenza agli oftalmologi che si avvalgono quotidianamente di tecnologie avanzate nell’esaminare il paziente. L’intelligenza artificiale applicata all’interpretazione di scansioni OCT o ad immagini del fondo oculare è stata ampiamente approfondita in numerose pubblicazioni a partire dal 2016, la sua applicazione all’esame obiettivo del segmento anteriore è ancora in gran parte da esplorare. Lo studio “Deep Learning for Discrimination Between Fungal Keratitis and Bacterial Keratitis: DeepKeratitis” pubblicato sulla rivista Cornea, valuta le performance di un prototipo di deep learning chiamato DeepKeratitis, nel distinguere, a partire da un’immagine del segmento anteriore affetto da ulcera corneale, l’eziologia batterica o fungina della stessa. La cheratite microbica è un’urgenza in ambito oculistico che necessita di un intervento tempestivo per evitare le complicanze, quali perforazione corneale e perdita della vista. Il gold standard per la diagnosi è la coltura di tessuto corneale. L’esame obiettivo condotto da un oculista esperto può generalmente dare un buon orientamento sull’eziologia della cheratite, ma gli studi condotti al riguardo identificano una probabilità di errore di circa il 30%. L’algoritmo di intelligenza artificiale sviluppato viene incontro a tale difficoltà, richiedendo all’oftalmologo di scattare una fotografia del segmento anteriore del paziente affetto da cheratite e attraverso Deepkeratitis ricevere una risposta sulla probabilità che si tratti di una cheratite batterica o fungina. Deepkeratitis deriva dal training dell’intelligenza artificiale a partire da 2167 immagini di 194 pazienti con cheratite batterica (1159) e fungina (673). Le immagini specifiche sono state utilizzate in 3 fasi: l’80% nel training dell’intelligenza artificiale, perché imparasse a svolgere quella funzione, il 10% nella sua fase di validazione e un ulteriore 10% per testarne le capacità. Sono stati effettuati test nel valutare la capacità di DeepKeratitis di discriminare fotografie del segmento anteriore rappresentanti cheratiti batteriche o fungine e le sue performances, mostrate nell’ultima riga della tabella 1, lo identificano come un valido e rapido strumento di supporto per una diagnosi provvisoria, in attesa di risultati laboratoristici e colturali. Attualmente risulta uno strumento molto limitato poiché può solo porre diagnosi differenziale tra cheratite batterica e fungina, ma ulteriori sforzi in questa direzione potrebbero fornire uno strumento completo per la diagnosi delle cheratiti.

Kahook MY, Serle JB, Mah FS, Kim T, Raizman MB, Heah T, Ramirez-Davis N, Kopczynski CC, Usner DW, Novack GD; ROCKET-2 Study Group. Long-term Safety and Ocular Hypotensive Efficacy Evaluation of Netarsudil Ophthalmic Solution: Rho Kinase Elevated IOP Treatment Trial (ROCKET-2). Am J Ophthalmol. 2019 Apr;200:130-137. doi: 10.1016/j.ajo.2019.01.003. Epub 2019 Jan 15. PMID: 30653957.

Il glaucoma è la principale causa di cecità irreversibile, che affligge circa 60 milioni di persone nel mondo. Una nuova classe di farmaci, gli inibitori di Rho Kinasi (ROCK) sono stati introdotti nel trattamento del glaucoma ad angolo aperto e dell’ipertensione oculare. Il loro meccanismo di azione si esplica inducendo un incremento del deflusso dell’umor acqueo trabecolare, riducendo la contrazione cellulare guidata dall’actomiosina e riducendo la sintesi di proteine di matrice extracellulare. Il Netarsudil è un potente inibitore ROCK ed ha anche un’azione inibitoria sul trasporto della norepinefrina, approvato per uso clinico nel Dicembre 2017 dalla FDA. Nei modelli pre-clinici, è stato dimostrato come la sua azione ipotonizzante oculare agisca in modo triplice: aumentando l’outflow trabecolare, riducendo la sintesi di umor acqueo e riducendo la pressione venosa episclerale. Nei successivi studi clinici è stato evidenziato come una soluzione oftalmica di Netarsudil 0.02%, in unica somministrazione giornaliera, induca una riduzione della pressione intraoculare (IOP), dimostrando un’efficacia pari al Latanoprost. Lo studio qui presentato ha valutato i risultati terapeutici a lungo termine (12 mesi) del Netarsudil. L’analisi è stata condotta in doppio cieco, randomizzata e multicentrica, comparando il Netarsudil 0.02% prescritto una o due volte al giorno, con il Timololo 0.5%, prescritto due volte al giorno. La popolazione arruolata constava di 756 pazienti, con età media di 60 anni. Il primo outcome è stata la valutazione della IOP nelle diverse popolazioni e rispetto ai valori assunti al baseline. Il follow-up a tre mesi aveva già dimostrato la non inferiorità rispetto al timololo. La misurazione della IOP a 12 mesi eseguita alle 8 del mattino rientrava nel range di 17.9-18.8 mmHg per il Netarsudil in mono somministrazione, 17.2-18.0 mmHg per la doppia somministrazione giornaliera ed era di 17.5-17.9 mmHg per il timololo in doppia instillazione. Tali dati confermano la persistenza dell’effetto ipotonizzante del Netarsudil. Gli eventi avversi nei pazienti trattati erano principalmente non gravi e di lieve intensità per la mono somministrazione, mentre si sono rivelati di intensità moderata per la duplice instillazione giornaliera. L’incidenza era dell’83% per il Netarsudil 1 volta/die, 88% per il Netarsudil 2 volte/die ed il 49% per il Timololo. L’evento avverso più frequente era l’iperemia congiuntivale, seguito da cornea verticillata ed emorragia congiuntivale. Ulteriori effetti avversi che si sono riscontrati con un’incidenza maggiore al 3% sono dolore nel sito di instillazione, visione offuscata, iperlacrimazione, riduzione dell’acuità visiva, prurito ed eritema palpebrale. La densità cellulare endoteliale presentava valori simili in tutti i gruppi di pazienti. In considerazione degli effetti sistemici, il timololo ha dimostrato una riduzione significativa della frequenza car-

diaca media, mentre nessun cambiamento è stato indotto dal Netarsudil. In conclusione, tale studio conferma l’efficacia degli inibitori ROCK nella terapia del glaucoma ad angolo aperto, confermando la persistenza dell’effetto ipotonizzante anche a distanza di 12 mesi dall’inizio del trattamento. Gli effetti dinamici sull’umor acqueo indotti da questi nuovi farmaci suggeriscono la loro utilità nel trattamento di prima linea del glaucoma ad angolo aperto.

Bonzano C, Di Zazzo A, Barabino S, Coco G, Traverso CE. Collagen Cross-Linking in the Management of Microbial Keratitis. Ocul Immunol Inflamm. 2019;27(3):507-512. doi:10.1080/0927 3948.2017.1414856. Epub 2018 Jan 8. PMID: 29308960.

Le cheratiti microbiche sono un’importante causa di cecità nel mondo. Condizioni quali uso di lenti a contatto, patologie della superficie oculare, occhio secco e cheratopatia bollosa possono favorire l’ingresso di patogeni, batteri, virus, funghi o parassiti come l’Acanthamoeba. In caso di cheratiti batteriche, la terapia su basa sull’uso topico e talvolta sistemico di farmaci antibiotici. Tuttavia, casi non responsivi al trattamento possono progredire fino alla perforazione corneale, che richiederà una cheratoplastica penetrante o lamellare. Tali procedure chirurgiche sono tecnicamente complesse, soprattutto in un contesto infiammatorio. Spesso è necessario eseguire trapianti di grande diametro, ma il rischio di rigetto può raggiungere il valore del 50% a 2 anni in casi di occhi infiammati. Al contrario, il rischio si riduce se la cheratoplastica viene eseguita a distanza di un anno dalla risoluzione dell’infezione. In aggiunta a tali problematiche, vi è un concomitante aumento di patogeni resistenti alle comuni terapie, pertanto è necessario un nuovo approccio alle cheratiti infettive. Il cross-linking è un metodo basato sull’attivazione della riboflavina (Vit B2), un cromoforo, da parte di una luce UV alla lunghezza d’onda di 370nm. Tale tecnica è ampliamente adoperata per il trattamento del cheratocono e di ectasie corneali. Il cross-linking induce un aumento della rigidità corneale, mediante la formazione di nuovi legami chimici tra le fibre collagene stromali. Ciò è responsabile di un arresto nella progressione delle ectasie corneali, talvolta inducendo anche un miglioramento dell’acuità visiva. Numerosi studi hanno dimostrato le proprietà antimicrobiche dell’attivazione della riboflavina, date dalla capacità di intercalarsi all’interno delle basi di DNA e RNA. Una volta attivata dall’irradiazione UV, la riboflavina ossida la guanina degli acidi nucleici, interferendo con la replicazione microbica. Inoltre, la riboflavina attivata induce la formazione di specie reattive dell’ossigeno, che possono sopprimere la proliferazione microbica. Infine, anche la stessa irradiazione con UVA può esplicare un effetto antimicrobico. Per tali ragioni, negli ultimi anni, il cross-linking è stato proposto per il trattamento delle cheratiti batteriche. Lo scopo della review qui proposta è quello di presentare le ultime ricerche in merito al cross-linking applicato alle diverse eziologie di cheratiti infettive.

Cross-linking per le cheratiti batteriche

La maggior parte delle cheratiti batteriche è sensibile ai fluorochinoloni di quarta generazione o ad antibiotici fortificati quali vancomicina e ceftazidime. Tuttavia, alcuni casi mostrano resistenza, con conseguenze devastanti quali ulcerazione, colliquazione corneale e perforazione. L’uso del cross-linking si è dimostrato utile in quanto vi è una riduzione del fenomeno di colliquazione, aumentando la resistenza della matrice corneale all’azione enzimatica digestiva. Gli effetti biochimici del cross-linking inducono cambiamenti della struttura terziaria del collagene. Ciò limita l’accesso degli enzimi proteolitici al loro sito di clivaggio, mediante ingombro sterico e, pertanto, riduce la diffusione di patogeni e di tossine all’interno del tessuto corneale. La riboflavina, inoltre, ha mostrato anche un effetto promotore sulla cicatrizzazione, inibendo la sintesi di citochine infiammatorie e riducendo il reclutamento di cellule immunitarie nel sito di attivazione. La sua azione si esplica anche riducendo la risposta nocicettiva corneale, favorendo la riepitelizzazione e minimizzando la risposta neovascolare. Sia l’effetto antimicrobico che l’aumentata resistenza all’azione proteolitica giocano un ruolo importante nella riduzione della severità delle ulcere corneali. Il primo studio prospettico del 2012 ha provato la sicurezza dell’intervento, tuttavia esso si è dimostrato più efficace nei casi di cheratiti batteriche coinvolgenti lo stroma anteriore o nelle cheratiti infettive superficiali. Successivi studi sono stati condotti al fine di valutare la terapia del cross-linking combinata alla terapia medica rispetto alla sola terapia medica e nessuna differenza è stata rilevata in termini di tempi di guarigione o di outcome visivo, tuttavia la terapia combinata riduceva il tasso di complicanze tardive, quali perforazioni o infezioni ricorrenti. Un successivo studio ha evidenziato una più rapida guarigione dei difetti epiteliali e degli infiltrati stromali nei pazienti trattati con cross-linking e ciò ha reso possibile evitare interventi di cheratoplastica.

Cross-linking per le cheratiti fungine

Le cheratiti fungine rappresentano tutt’oggi una sfida diagnostica e terapeutica. I funghi infettano la cornea e penetrano in camera anteriore mediante la membrana di Descemet, implicando complicanze severe, quali descemetocele, perforazione, endoftalmite e cecità. Le terapie attuali restano non ottimali, per una penetrazione incompleta dei farmaci anti-fungini. Le indagini in vitro sull’efficacia del cross-linking sono risultate deludenti, probabilmente perché le membrane fungine sono impermeabili alla riboflavina. Tuttavia, gli studi in vitro potrebbero non corrispondere a quanto avviene durante l’infezione clinica. Un meccanismo possibile in vivo è che il cross-linking crei un ambiente ostile alla sopravvivenza fungina, inducendo apoptosi dei cheratociti. Studi precedenti hanno dimostrato l’efficacia del cross-linking in cheratiti fungine nel 50% dei pazienti trattati. Una migliore risposta si è osservata in pazienti con infiltrati corneali superficiali, in quanto il cross-linking agisce fino ad una profondità di circa 300 µm, rendendo minore l’efficacia nelle infezioni profonde. In conclusione, nonostante l’efficacia terapeutica del crosslinking sia inferiore nelle infezioni fungine, considerato l’elevato tasso di complicanze che queste inducono, potrebbe essere utile applicarlo negli stadi precoci, come adiuvante dell’amfotericina B o di altri antimicotici, in quanto la riboflavina può penetrare le cellule mediante canali transmembrana indotti dall’interazione tra i polieni antifungini e gli steroli di membrana. Tuttavia, ulteriori studi sono necessari per definire l’uso di tale metodica nelle cheratiti fungine.

Cross-linking per le cheratiti da Acanthamoeba

Le cheratiti da Acanthamoeba sono estremamente dolorose e rappresentano una grave minaccia per la visione. Vi è una maggiore incidenza nei portatori di lenti a contatto, tuttavia qualsiasi abrasione espone al rischio infettivo. Lo stadio cistico dell’Acanthamoeba è il più difficile da trattare, in quanto i parassiti possono sopravvivere in tale forma permanendo all’interno del tessuto corneale. I protocolli di trattamento sono basati sull’uso di biguanidi, diamidine o voriconazolo. Tuttavia, questi sono inefficaci per le cisti resistenti ed un trapianto penetrante non è indicato con infezione attiva. Il cross-linking è stato adoperato come adiuvante nei casi resistenti ed è stata ottenuta una risposta favorevole. Tuttavia, non sono stati eseguiti prelievi tissutali e non è ancora chiaro a quale profondità stromale l’Acanthamoeba può essere eliminata, pertanto, anche in questo caso, ulteriori studi dovranno essere condotti per attestare l’efficacia del trattamento.

Hatch KM, Ling JJ, Wiley WF, Cason J, Ciralsky JB, Nehls SM, McCabe CM, Donnenfeld ED, Thompson V. Diagnosis and management of postrefractive surgery ectasia. J Cataract Refract Surg. 2022 Apr 1;48(4):487-499. doi: 10.1097/j. jcrs.0000000000000808. PMID: 34486581.

L’insorgenza di ectasia corneale dopo chirurgia refrattiva è una complicanza grave, pericolosa per la vista, caratterizzata da progressivo incurvamento corneale, aumento della miopia, astigmatismo irregolare e riduzione del visus. L’ectasia può manifestarsi dopo le seguenti procedure: laser cheratomileusi in situ (LASIK), cheratectomia fotorefrattiva (PRK), estrazione lenticolare a piccola incisione (SMILE), cheratotomia radiale (RK) e cheratotomia arcuata (AK). Si ritiene che la condizione sia il risultato dell’alterazione della superficie corneale e dello stroma anteriore negli occhi con sottostanti anomalie biomeccaniche intralamellari e interfibrillari dovute al laser ad eccimeri. L’ectasia dopo la chirurgia refrattiva può verificarsi una settimana dopo la correzione della visione laser o può essere ritardata anche di alcuni anni. La reale incidenza dell’ectasia dopo correzione laser della vista è sconosciuta, tuttavia alcuni studi mostrano tassi di prevalenza

compresi tra 0,02% e 0,6%. Successive indagini hanno evidenziato alcuni fattori di rischio significativi come miopia elevata, forme fruste di cheratocono ed un insufficiente letto stromale residuo (RSB). Pattern topografici, RSB, età, spessore corneale centrale (CCT) ed equivalenti sferici rifrattivi medi preoperatori conferiscono un punteggio di rischio da 0 a 4 su un punteggio totale che può essere suddiviso in basso, moderato e alto. Altri fattori di rischio includono sfregamento degli occhi, storia familiare di cheratocono, instabilità refrattiva, acuità visiva a distanza corretta (CDVA) inferiore a 20/20 preoperatoriamente e sesso maschile. Come noto, gli individui di età inferiore ai 22 anni sono automaticamente considerati un rischio moderato nonostante la bassa incidenza di ectasia in questo gruppo. I ricercatori hanno esaminato altri approcci e delineato vari algoritmi di intelligenza artificiale per definire ulteriormente soglie significative per assistere i chirurghi nell’eseguire la chirurgia refrattiva, tra cui l’ablazione tissutale percentuale (PTA) di Santhiago et al. ([PTA = (FT + AD) /CCT] dove FT = spessore del lembo, AD = profondità di ablazione (AD) e CCT = CCT preoperatoria). L’ectasia può verificarsi dopo LASIK, PRK e SMILE. Nel rapporto di Randleman, tra i casi segnalati di ectasia il 96% si è verificato dopo LASIK, mentre solo il 4% era dopo PRK. È noto che le lamelle stromali anteriori contribuiscono a una maggiore resistenza alla trazione e rigidità delle fibre di collagene, quindi la biomeccanica e le tecniche svolgono un ruolo significativo nel rischio di ectasia. L’età rappresenta sicuramente un fattore di rischio intrinseco. Secondo l’Ectasia Risk Score i pazienti di età compresa tra 18 e 21 anni hanno il più alto rischio (3 punti), seguiti da quelli di età compresa tra 22 e 25 anni (2 punti), poi quelli di età compresa tra 26 e 29 anni (1 punto) ed infine quelli di età >30 anni (zero punti). La Central Corneal Thickness (CCT) sembra essere un fattore di rischio per lo sviluppo post-rifrattivo di ectasia. È noto che il cheratocono produce un assottigliamento corneale; tuttavia la maggior parte dei casi presenta già segni della malattia topograficamente. Forme fruste o subcliniche di cheratocono dovrebbero essere studiate e valutate topograficamente al fine di evitare l’insorgenza di ectasia in cornee già biomeccanicamente deboli. Lo Spessore del Flap (FT) sembra avere un impatto sull’integrità biomeccanica della cornea ed è una variabile nel calcolo di RSB e PTA. Con l’aumento di FT, sembra esserci una diminuzione nell’isteresi corneale (CH) e nel fattore di resistenza corneale (CRF), che sono due marker di biomeccanica corneale. La miopia elevata è stata citata come un fattore di rischio da studi in passato. Gli equivalenti sferici rifrattivi medi compresi tra 8 e 10 diottrie (D), 10 e 12 D, 12 e 14 D e maggiori di 14 D sono dati rispettivamente 1, 2, 3 e 4 punti dell’Ectasia Risk Score System. È opportuno sottolineare che in alcuni casi si può prendere in considerazione una zona ottica più piccola; la riduzione della zona ottica consente una minore rimozione di tessuto corneale e quindi un PTA più piccolo. Vale la pena però ricordare che, con zone ottiche più piccole, possono essere indotti significativi livelli di aberrazione sferica postoperatoria. In conclusione, l’ectasia corneale è una delle complicanze più temute della chirurgia refrattiva. Dall’introduzione della correzione laser della visione, molto è stato appreso sulla stratificazione del rischio e su come prevenire l’insorgenza di ectasia postrefrattiva. Fattori di rischio specifici includono età, spessore corneale, grado di errore di rifrazione, alterazioni topografiche corneali, incluso astigmatismo irregolare, PTA e RSB. Questi dati specifici devono sempre essere esaminati attentamente durante lo screening preoperatorio. L’identificazione di biomarcatori potrebbe essere un punto di svolta per la valutazione del rischio e potrebbe aiutare a riconoscere i pazienti a maggior rischio di ectasia. In alcuni casi i pazienti con ectasia postrefrattiva richiedono l’utilizzo di ausili visivi come occhiali, lenti a contatto morbide, lenti corneali RGP e lenti sclerali per ottenere la migliore correzione visiva. Il cross linking corneale (CXL) è l’unico trattamento che fermi la progressione dell’ectasia postrefrattiva. Altre opzioni chirurgiche e alternative includono TG-PRK, ICRS, cheratoplastica lamellare o cheratoplastica penetrante. In definitiva, un attento screening preoperatorio e la scelta di trattamenti più sicuri ed efficaci per i pazienti costituiscono probabilmente il compito più importante del chirurgo refrattivo.

Janani L, Tanha K, Najafi F, Jadidi K, Nejat F, Hashemian SJ, Dehghani M, Sadeghi M. Efficacy of complete rings (MyoRing) in treatment of Keratoconus: a systematic review and meta-analysis. Int Ophthalmol. 2019 Dec;39(12):2929-2946. doi: 10.1007/s10792-019-01121-9. Epub 2019 Jun 1. PMID: 31154563.

Lo scopo della meta-analisi qui proposta è quello di determinare l’efficacia del MyoRing come metodo innovativo nel trattamento del cheratocono. Il cheratocono è una patologia ad eziologia idiopatica, progressiva e non infiammatoria nella quale lo stroma corneale va incontro ad un assottigliamento e la cornea assume una morfologia conica. La sua prevalenza è 1/2000, con un’incidenza che va da 1/600 a 1/420 persone; ha una predilezione per il sesso maschile. Con la progressione dell’allungamento e dell’assottigliamento corneale, il cheratocono induce un astigmatismo irregolare, miopia e cicatrici corneali. Sebbene quasi tutti i casi siano bilaterali, l’andamento è asimmetrico nei due occhi. Il cheratocono gradualmente induce una significativa riduzione dell’acuità visiva e bassa sensibilità al contrasto, non correggibili con l’ausilio di lenti correttive. Vi sono numerosi trattamenti per il cheratocono, selezionati sulla base della severità della patologia e delle condizioni del paziente. Negli stadi iniziali, l’uso di lenti correttive è la scelta più appropriata, mentre nei casi intermedi l’uso di lenti a contatto è da preferirsi. Nelle forme più avanzate, la cheratoplastica è il trattamento di scelta. Nel tempo, diverse opzioni sono state valutate per ovviare all’invasività dell’intervento di cheratoplastica, quali il cross-linking, laser (cheratotomia fotorefrattiva e LASIK) o l’uso combinato di questi. Negli ultimi anni, una tecnica alternativa è l’uso di anelli inseriti all’interno della cornea. Due tipologie di anelli sono state proposte: anelli segmentati e anelli completi. I primi sono da preferirsi per la loro capacità di rinforzare la struttura corneale nel cheratocono di grado intermedio,

ma non vi sono prove di efficacia nelle forme più avanzate. Myoring è un anello completo di 360°, con diametro di 5-6 mm e spessore di 200-400 µm, che ha il vantaggio di poter essere adoperato anche nei casi più avanzati di cheratocono. La superfice anteriore è convessa, quella posteriore concava, con un raggio di curvatura di 8.0 mm. L’uso di anelli completi fu proposto come tecnica refrattiva per minimizzare gli errori sferocilindrici, equilibrando la curvatura centrale della cornea e riducendo le aberrazioni di grado elevato modificando la superficie corneale. Nel 2008, tale trattamento è stato migliorato, introducendo la tecnica CISIS, che implica il posizionamento di un anello completo e flessibile in una tasca corneale stromale, creata mediante Femtosecond oppure un microcheratomo PocketMaker. Precedenti studi hanno dimostrato come l’outcome visivo non è influenzato dalla tecnica chirurgica adoperata. La meta-analisi qui riportata ha analizzato 21 studi quantitativi che includevano gruppi di pazienti con cheratocono di grado medio-avanzato, sottoposti all’intervento di applicazione del MyoRing, raggiungendo una quota di 736 occhi e di 694 pazienti. Il primo outcome dell’analisi è stato valutare l’acuità visiva per distanza non corretta (UDVA) e l’acuità visiva corretta (CDVA) dopo 3,6 e 20 mesi dopo l’impianto del MyoRing. Sia la UDVA che la CDVA dimostravano un cambiamento statisticamente significativo sia a 3 mesi che a 6 mesi successivi all’impianto. Per identificare motivi di eterogeneità, le popolazioni sono state suddivise in base alla tecnica chirurgica adoperata (Femtosecond o PocketMaker), sebbene le due strategie non hanno dimostrato influenza sull’outcome. Un secondo outcome è stato la valutazione del Kmax attraverso la topografia corneale, il quale ha dimostrato una riduzione a 3 e 6 mesi in seguito all’impianto del MyoRing. Inoltre, la valutazione ha incluso anche l’equivalente sferico post intervento, il quale ha dimostrato un cambiamento significativo a 3 mesi, 6 mesi 12 mesi ed oltre, nonostante l’eterogeneità a 6 mesi di follow-up fosse significativa. Taluni degli studi analizzati riportano anche la COMA index post operatorio, tuttavia sono stati osservati dei bias per tali dati. Solo uno studio ha riportato le aberrazioni di ordine maggiore come oggetto di studio e si è dimostrato un miglioramento notevole a 6 e 12 mesi dall’intervento, senza evidenza di bias. Dallo studio riportato, si evidenzia come il MyoRing sia uno strumento efficace nel prevenire la progressione del cheratocono, inducendo un appiattimento corneale ed un nuovo equilibrio biomeccanico. Le complicanze ad esso correlate sono davvero rare, quali estrusione, infezioni o perforazioni, pertanto è considerato uno strumento molto sicuro. I principali effetti avversi sono da attribuirsi alla comparsa di aloni e bagliori, che tendono a ridursi nel tempo. Tuttavia, nonostante i risultati positivi di tale meta-analisi, per ulteriore conferma, saranno necessari nuovi studi con casistiche più ampie.

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