L'identità storica italiana

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Marco Martini

L’identità storica italiana

Edizioni ISSUU.COM


ISTITUTO ITALIANO PER GLI STUDI STORICI “BENEDETTO CROCE” PALAZZO FILOMARINO - VIA BENEDETTO CROCE , 12 - 80134 NAPOLI A. A. 2003/04 - SEMINARIO DEL PROF. GIUSEPPE GALASSO,

L’IDENTITA’ STORICA ITALIANA Mart. 25 (h. 17,00/19,00) e merc. 26 (h. 16,00/18,00) maggio 2004. 1) Mart. 25/5/04 h. 17,00/19,00. Il tema dell’identità storica italiana è necessariamente connesso specificamente all’idea di nazione e più in generale all’idea di Europa (cfr., in proposito, G. Galasso, L’Italia come problema storiografico, cap. X; G. Galasso, Introduzione alla Storia d’Italia; G. Galasso, Introduzione a L’Italia si è desta; AA.VV., Enciclopedia del Novecento, voce “Nazione”, a cura di Romeo, 1970, e successivi aggiornamenti di G. Galasso. Sono tutti studi sull’idea di nazione). Emergono, a riguardo, due tesi diverse, tra Romeo e Galasso: per Galasso la nazione è un’idea politica di forte rilievo, paragonabile alla πολισ greca. In questo senso Galasso fa proprie le concezioni preromantiche e romantiche: il Medioevo è la fucina dalla quale escono le moderne nazioni europee. Per questo nel Romanticismo si rivaluta il Medioevo. Le grandi monarchie nazionali unitarie sono Francia, Inghilterra, Spagna, Portogallo, Polonia, Russia, Germania, Italia. In Germania il Risorgimento trova radici nel Sacro Romano Impero, mentre in Italia tali radici si ritrovano nei rapporti con la Chiesa. Ne seguono due implicazioni: a) la nazione è una realtà antica e, al tempo stesso, moderna (è una categoria che ritroviamo infatti dal Medioevo alle guerre mondiali); questo vale per l’Italia come per la Germania; b) è fondamentale, per elaborare l’idea di nazione in senso moderno, l’esperienza della Rivoluzione francese (“il Popolo è la Nazione”, come scriveva l’abate Sieyes nel suo opuscolo Che cos’è il Terzo?, anche se, nella fase iniziale, la Grande Rivoluzione ha un carattere molto municipalistico e trova il suo cuore propulsore in Parigi). Sull’importanza che l’idea di nazione ha avuto durante la Rivoluzione si veda F. Chabod, Storia dell’idea di nazione e Storia dell’idea di Europa, per il quale nella Rivoluzione francese si passa dalla “nazione sentita” alla “nazione voluta”). Per G. Falco (cfr. La polemica sul Medioevo) il Medioevo è il motore della moderna idea di nazione, e su questo concorda anche Sestan (cfr. Stato e nazione nell’alto Medioevo). Sono due studi datati, il primo è degli anni ’30, il secondo degli anni ’50, ma ancora validissimi; per Sestan l’idea di Stato si configura già negli Stati germanici dell’alto Medioevo. Tra la fine dell’Ottocento ed i primi del Novecento anche il concetto di Stato entra in crisi; oggi è pienamente in crisi, a favore di altre idee, quali quelle delle multi-etnie. Su questo si veda G. Galasso, Storia d’Europa (sugli Stati moderni e sulle monarchie in età moderna). Per Galasso, nel mondo contemporaneo, i tentativi di superare il modulo nazionale sono stati fallimentari: il modulo nazionale, tipico europeo, viene invece esportato oggi in tutto il mondo. I signori feudali, per Sestan, amministrano la giustizia, riscuotono le tasse, e pertanto sono già degli Stati: il regno di Napoli alla fine del ’200, per fare un esempio, è uno Stato. Sestan studia anche la categoria di “nazione”, un’idea già latina (natio), come si evince dall’etimologia. Tale termine passa poi nelle lingue germaniche (Volk) ed in quelle slave (zar, contrazione del latino Caesar). La nazione nasce quindi nel Medioevo, ma è un’idea “in fieri” nel senso che non esistono identità nazionali originarie, ma solo identità in formazione. Questo è il senso della tesi storiografica romantica. L’elemento che costituisce il crogiuolo della nascita dell’idea di nazione nel Medioevo si ritrova nella religiosità medievale: il crogiuolo medievale è quindi un crogiuolo religioso: la religiosità assume un valore universale, come sostiene il giovane Aldo Momigliano. Lo stesso Jacques Le Goff, storico marxista francese del Medioevo, nel suo ultimo studio, rivedendo le sue tesi precedenti, afferma le radici medievali e molto religiose e cristiane dell’Europa. Lo spirito religioso cristiano medievale però per la laicizzazione di Marsilio da Padova (cfr. Defensor pacis, 1324): lo Stato “superiorem non recognosens” è la base dello Stato moderno, che nega qualsiasi autorità superiore, anche religiosa. Il potere del re si afferma come autonomo, non riconosce più l’autorità dell’imperatore, né quella del papa. Questa categoria di laicità, che si introduce


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nel Medioevo, diventa più forte in età moderna. Le idee nazionali non sono originarie, ma formazioni storiche che si maturano in forme diverse, come già detto, in relazione ai singoli contesti storici; ad esempio, la nazione spagnola nasce come casigliana-aragonese, distinta dalla realtà portoghese, ma, ad esempio, con Filippo II, nel secondo ‘500, il Portogallo fu annesso alla Spagna e si era quindi aperta la possibilità di un’unica realtà politica, che comprendesse Spagna e Portogallo. E questo è solo un esempio. Alsazia e Lorena, per portare un altro esempio, si sono trovate di fronte a continue alternative tra Francia e Germania; nel 1848 poteva esserci una Prussica che comprendesse o escludesse l’Austria (il dibattito tra “Grandi Tedeschi” e “Piccoli Tedeschi” in seno alla Dieta di Francoforte). Altro esempio ancora è costituito dalla Gran Bretagna (Grait Britain) e dai suoi rapporti con la Scozia (il regno di Scozia è terminato nel 1704, dando origine alle proteste di vera e propria “devolution” scozzese) e l’Irlanda del Nord. L’attuale carta europea non è quindi un’idea originaria, ma il punto di approdo di un processo. Dalla metà del ‘700 alla metà del ‘900 la storiografia critica italiana ha conosciuto la sua stagione più felice, anche se oggi si parla di crisi della storiografia: tale crisi, non a caso, è parallela a quella del concetto di scienza.

2) Merc. 26/5/04 h. 16,00/18,00. Nel 476 d.C. Odoacre depone Romolo Augustolo, l’ultimo imperatore romano d’Occidente: questa data è stata convenzionalmente assunta come fine dell’Impero Romano d’Occidente, ma ciò è erroneo, perché l’elemento di romanità persiste (cfr. Romeo, Una caduta senza ruomore). Nelle province romane permangono le culture autoctone: nella Britannia romana sono forti, ad esempio, la cultura celtica e quelle degli Angli, dei Sassoni e degli Juti (abitanti della penisola dello Jutland). In Francia, con Clodoveo, nasce la monarchia franca, all’inizio del VI° sec.: si cambia anche il nome, da Gallia a Francia. In Italia, invce, non c’è un chiaro elemento di frattura con la tradizione romana. Le invasioni barbariche, la guerra tra franchi e visigoti (spagnoli) e la guerra greco-gotica sono le prime guerre europee. Solo dopo il 567-568, con l’invasione longobarda in Italia, si spezza la tradizione romana, perché i longobardi si dichiarano esplicitamente nemici dei romani e della romanità. Ne seguono quattro conseguenze: a) i longobardi, non riuscendo a conquistare tutta l’Italia (i bizantini conservano ancora tutta l’Italia meridionale, Venezia, ed inizialmente anche Lucca, Pisa e la Liguria), spezzano l’unità politica italiana, che si ritroverà solo dopo tredici secoli, nel 1861); b) tale separazione dell’Italia non fu solo politica, ma anche culturale; c) si trasformano i rapporti tra potere politico e religioso, perché “quando il dente longobardo morse la Romana Chiesa” (cfr. Dante Alighieri, Paradiso, VI, il canto dedicato all’imperatore bizantino Giustiniano), la Chiesa strinse alleanze con gli elementi di romanità ancora presenti, che potessero difenderla; d) il potere politico attribuito ai duchi longobardi, che sarà causa anche della crisi del regno longobardo, permetterà l’invasione successiva dei franchi. Solo dopo il 1100 compare, per la prima volta, nei manoscritti latini, il termine “Italia”: prima si parla di “popoli italici”, di “gens italica”. Sicilia, Sardegna e Corsica non hanno questa denominazione di “Italia”, almeno inizialmente. “Italicus” significa “abitante dell’Italia”, come dalla denominazione “longobardo” viene il termine “lombardo”, abitante della Longobardia, ossia della Lombardia. “Romanus” significa “abitante dell’Impero” e con questa denominazione si chiamavano tutti i popoli dell’Italia meridionale. Si cambiò il nome da “italico” a “italiano” perché la dizione “italico” non rispondeva più all’esigenza di un’Italia unita; anche nel linguaggio si vede la formazione di una coscienza collettiva nazionale. A questa motivazione si aggiunge, oltre al motivo della rima (“italiano” fa rima con “romano”) anche una ragione letteraria: nelle prime opere letterarie si trova l’espressione “italiano”, che ha quindi un’origine interna, e non straniera, non è perciò un’imposizione esterna. L’Italia non ha una propria epica, a differenza della Spagna (Cid campeador), della Germania (Il canto dei Nibelunghi), della Francia (Chanson de Roland e Chanson de geste). Il problema della lingua, in Italia, non è avvertito in modo forte, come invece sarà in seguito: molti rimatori, ad esempio, compongono poesie in provenzale (i “trobador”, i trovatori, dal francese antico “trobar”, che significa “cantare in versi”, quindi “poetare”). Solo nel Duecento e specificamente con Dante nasce una lingua nazionale italiana. Tale tradizione nasce tardi, in Italia, ma nasce in modo robusto, e resiste senza interruzioni fino al ‘900, se si fa eccezione per il periodo compreso tra la fine del ‘300 ed il primo ‘500, in cui si compone in latino, ma non nel latino medievale, ecclesiastico, bensì in quello aureo, cesareo e ciceroniano (nasce infatti il canone del “ciceronianesimo”, particolarmente ricco nell’epistolografia). La questione della lingua, in Italia, nasce proprio con Dante, con il De vulgari


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eloquentia ed il Convivio, in cui si propone l’adozione del toscano illustre come lingua nazionale. Il primato toscano e fiorentino in particolare non è, tra Duecento e Cinquecento, solo in letteratura, ma anche nel campo delle scienze e della finanza (la cambiale, ad esempio, fu inventata in Toscana): questi elementi toscani entrano a far parte della cultura nazionale italiana. Altro elemento che contribuisce a identificare l’identità storica italiana è l’arte: la coscienza dell’arte italiana matura fra ‘300 e ‘500, con Giotto, Cimabue, Brunelleschi, Leon Battista Alberti, Michelangelo, che operano una vera e propria rivoluzione artistica. Michelangelo in particolare è strenuo difensore dell’arte italiana contro le influenze fiamminghe. L’arte italiana ha una “concezione ideale” della vita e del mondo che è assente nell’arte fiamminga, fatta da colorismi, sfumature, nature morte, paesaggi. Vasari, nelle sue Vite, ci offre una storia dell’arte italiana e difende la specificità dell’arte italiana ancor più di Michelangelo. Anche quando l’unità politica italiana ha vacillato, è sopraggiunta in aiuto la Chiesa. L’Italia è quindi uno spazio politico, artistico, letterario, linguistico, religioso (si pensi alle radici cristiane di tutta l’Europa medievale, come già detto), culturale in ogni senso. Nel 1454, con la pace di Lodi, si cerca ancora di combattere i tentativi di disgregazione dell’unità politica italiana, dovuti essenzialmente ai desideri dei milanesi di imporre la signoria viscontea a tutta la penisola. L’unità linguistica italiana è oggi compromessa dai linguaggi settoriali, come quello informatico, che ha causato un’ingerenza della lingua inglese nei vari idiomi europei, ma tale terreno è campo di battaglia della scienza e della tecnica. Ultimo acquisto dell’identità italiana è quello della storiografia italiana, che nasce tra ‘400 e ‘500 con Guicciardini (cfr. Storia d’Italia), ma lo stesso titolo dell’opera guicciardiniana è stato conferito dai posteri e non dall’autore. La storiografia italiana ha altri padri fondatori, come Machiavelli (le Istorie fiorentine sono anche una storia d’Italia, come l’autore testualmente afferma, sostenendo che l’interdipendenza degli eventi politici tra una regione e l’altra, in Italia, è fortissima), come Francesco Vettori. La discussione sull’identità storica italiana prosegue con Croce fino ad oggi: alcuni storici sostengono che si può parlare di storia d’Italia non prima del 1861 o addirittura del 1870, anno dell’acquisizione di Roma al Regno d’Italia, ma fin dal 1796, a Milano, si era levata la voce dell’esigenza di un’Italia unita (cfr., in proposito, F. Venturi, L’Italia fuori d’Italia, in cui si presenta l’Italia vista dagli stranieri alla fine del ‘700: gli stranieri biasimavano l’arretratezza agricola ed economica della penisola italiana).

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BIBLIOGRAFIA AA.VV., Canto dei Nibelunghi; AA.VV., Chamson de geste; AA.VV. Chanson de Roland ; AA.VV. Cid campeador ; AA. VV., Enciclopedia del Novecento, voce “Nazione”, a cura di Romeo; Alighieri D., Convivio; Alighieri D., De vulgari eloquentia; Alighieri D., Paradiso, VI; Chabod F., Storia dell’idea di Europa; Chabod F., Storia dell’idea di nazione; Falco G., La polemica sul Medioevo; Galasso G., L’Italia come problema storiografico, cap. X; Galasso G., L’Italia si è desta; Galasso G., Storia d’Europa; Galasso G., Storia d’Italia, Introduzione; Guicciardini F., Storia d’Italia, Proemio; Machiavelli N., Istorie fiorentine; Marsilio da Padova, Defensor pacis; Romeo, Una caduta senza rumore; Sestan, Stato e nazione nell’alto Medioevo; Sieyes, Che cos’è il Terzo?; Vasari G., Vite; Venturi F., L’Italia fuori d’Italia.


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