Marco Martini
Lineamenti di estetica Edizioni ISSUU.COM
PROGR.~
L D E:::-:tTICA
1. La Grecia classica. 1. Introduzione: che cos'è l'estetica? 2. Platone e la condanna dell'arte imitativa; 3. Aristotele e la rivalutazione dell' arte; 4. La concezione estetica nell'età ellenistica o 'alessandrina': Epicureismo e Stoicismo. II. Cristianesimo e Medioevo. l. Agostino: la funzione didascalico-religiosa dell' arte; 2. Tommaso e l'interpretazione del ''bello'' come "buono" ed "utile". III. Dal Rinascimento a Kant. l. Rinascimento e Barocco; 2. 11 "Settecento riformatore" e la nascita dell'estetica moderna con Baumgarten; 3. Vico e l'arte poetica; 4. Kant: i canoni del "bello" e del "sublime" nella Critica del giudizio e l'avvento del Romanticismo. IV. Il Romanticismo e la crisi dell' estetica ottocentesca. 1. Le "tre anime" del Romanticismo; 2. Schiller e l' "anima bella"; 3. Schelling: l'arte è "l'organo dell' Assoluto"; 4. Hegel: l'arte come un "momento" nell'idea; 5. Kierkegaard: l'esteta (il "don Giovanni") e la "rivincita del Singolo"; 6. Schopenhauer: l'arte come tentativo fallimentare di fuga dal dolore; 7. Nietzsche: "l' arte è vita". V. L'estetica contemporanea. \ 1. Frammentazione di correnti e "giochi di specchi" nell'estetica contemporanea; 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8.
Croce; La sociologia dell' arte; La psicologia dell'arte; La religione dell' arte; Il "ritorno all'estetica"; Il contributo italiano all'estetica contemporanea; Conclusioni e direzioni aperte: "Fine dell'Estetica"
o ''Estetica della Fine?
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INTRODUZIONE:
CHE COS'E' L'ESTETICA?
L'estetica è la riflessione filosofica sul prodotto artistico (non è storia dell'arte, né storia della critica d'arte) e per arte non intendiamo solo le arti figurative, ma anche poesia, recitazione, canto, musica, eccetera. Riguardando anche il lavoro degli artisti, l'estetica non è oggetto di studio solo da parte del filosofo, ma anche per gli studiosi d'arte, anche se non hanno una specifica preparazione filosofica. Il ruolo degli artisti era già profondamente dibattuto nella cultura classica e tale discussione continua nel Medioevo e nel Rinascimento, ma l'estetica nascerà ufficialmente solo nel 1750 con l'opera Aesthetica di Baurngarten. Secondo altri studiosi l'autonomia dell'arte si raggiunge tuttavia solo nel 1790, con la pubblicazione della Critica del 'giudizio di Kant, che attribuisce al giudizio sull'arte un duplice valore, soggettivo ed oggettivo, e quindi universale. L'estetica contemporanea ha fatto un'ulteriore conquista: ha dimostrato possibili due approcci alla materia, il primo teoretico, e quindi speculativo, riferito alla conoscenza, il secondo storico, come storia dell'estetica. Questo secondo approccio richiede allo studioso la capacità di "ritagliare un filone" all'interno della storia filosofica. Un'ultima conquista dell'estetica è stata quella di "conquistarsi" un proprio vocabolario, una propria terminologia specifica, come è richiesto ad ogni disciplina che voglia essere autonoma.
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J Platone: la condanna dell'arte imitativa e la funzione pedagogica del mito. o
Il p~o filosofo ad offrire una riflessione critica sull' arte fu Platone (VO TV eco a. C.): le sue considerazioni influenzeranno la storia de li'estetica, e quindi una parte del pensiero filosofico occidentale, fino al Romanticismo, e questo è un fatto davvero singolare. Prima di affrontare la concezione estetica del filosofo occorre mettere in luce i due punti nodali del suo pensiero: l) la metafisica e 2)la politica. Per quanto concerne la metafisica Platone sostiene che vi siano due piani dell'esistenza, uno terreno, temporale, cadùco, soggetto quindi a corruzione e a mutamento, l'altro immateriale, spirituale, eterno, metafisico. La realtà sensibile è collocata nel mondo in cui viviamo, mentre quella metaempirica ha sede nell'Iperuranio o mondo delle Idee, un mondo sopra i cieli in cui sono presenti tutti i modelli delle cose che noi conosciamo sensibilmente. Ad esempio, noi vediamo il cavallo terreno, che per Platone. è la copia di un modello ideale, perfetto di cavallo che vive nell'Iperuranio, e questo per tutte le cose (tranne che per realtà infime, come i capelli, le unghie, gli escrementi, che non hanno archetipi). Tutto ciò che esiste sulla terra non è altro, quindi, che la copia, l'imitazione materiale, imperfetta e finita di modelli ideali, perfetti, eterni che trovano luogo nel mondo delle Idee. Le copie terrene, prosegue ancora Platone, "partecipano" dell 'Idea o modello, nel senso che ne sono la copia: noi, ad esempio, chiamiamo "cane" ogni animale che partecipi dell'idea di cane, che abbia cioè le caratteristiche fondamentali del cane. Dall'analisi metafisica si deduce quella politica, espressa da Platone nella Repubblica: dobbiamo ricercare nel mondo terreno quella forma di governo più vicina possibile alla perfezione. Egli sostiene la necessità di un governo retto da filosofi che garantisca, al suo interno, il totale comunismo, compresa la comunanza di mogli e figli. Parlare di comunismo in Platone può però essere fuorviante: il comunismo platonico non ha niente a che fare con le odierne forme politiche di comunismo, ma significa solo "gestione comune di ogni bene". Il fatto che il comunismo predicato da Platone non possa essere ricondotto alle odierne concezioni politiche è dimostrato dal fatto che il Platone politico, nella storia del pensiero filosofico, è stato punto di riferimento tanto per la sinistra marxista quanto per la destra conservatrice. Il comunismo serve, secondo Platone, per eliminare il più possibile l'egoismo e gli interessi privati che caratterizzano ciascun uomo e far sì che gli uomini s'interessino più del buon funzionamento dello Stato che degli interessi personali e familiari. In questo senso il comunismo platonico è veramente radicale: persino i bambini dovevano essere strappati alle madri appena nati e educati in comunità e cresciuti tutti insieme. Platone ha così delineato i fini superiori dell'uomo: dal punto di vista teoretico cercare di conoscere le Idee, ed in modo particolare l'Idea di Bene, che è la più alta ed è la causa di tutte le altre; dal punto di vista pratico realizzare questa società perfetta, in cui si ha tutto in comune e ci si interessa solo del bene dello Stato. Il compito morale dell'uomo è quindi quello di aspirare sempre al Bene, al continuo perfezionamento interiore e nelle proprie azioni etiche. All'interno di questo sistema filosofico si può comprendere come mai Platone abbia elaborato un giudizio negativo dell'arte. Le ragioni di un tale giudizio sono infatti due, una legata alla metafisica, l'altra alla politica. Dal punto di vista conoscitivo l'arte allontana l'uomo dalla verità in quanto è una copia di una copia, l'imitazione di un'imitazione: una statua è può essere, ad esernpio, la rappresentazione di un uomo, che a sua volta è una copia dell'Idea di uomo. Se è difficile cogliere la verità partendo dalla realtà, è ancora più difficile ricercare tale verità partendo dalla copia di una realtà. L'opera d'arte è una riproduzione ulteriormente imperfetta in quanto maggiormente distante dal modello originario. Gli artisti, invitando il pubblico a contemplare le loro opere, hanno arrecato un grave danno all'umanità, anche se inconsapevolmente, quello di allontanarli sempre più dalla contemplazione delle forme perfette dell'Iperuranio per concentrali sulla contemplazione di copie di copie. Tra le arti, in modo particolare Platone condanna come doppie imitazioni pittura e scultura, ma anche la poesia: nella Repubblica (un complesso di lO libri, scritti in forma dr..logica come tutte le opere del filosofo) critica fortemente il poeta, che, quando compone, è un in asato è
4 fuori di sé. Nel X? libro della Repubblica (598 c) in particolare Platone critica le sdolcinate musiche orientali, che distraggono l'uomo dalla contemplazione; la teoria musicale, per il suo aspetto matematico, è invece accettata da Platone (si pensi all'importanza attribuita dal filosofo alla matematica nel Timeo). Il mit6 si salva invece dalle condanne platoniche, in quanto non è una "copia di una copia" e non azzarda dimostrazioni: lungi dal descrivere il mondo sensibile, il mito è un racconto non dimostrativo riferito ai supremi problemi filosofici. Le arti tradizionali sono analogamente condannate da Platone perché allontanano l'uomo dal progetto politico di realizzare uno Stato in cui tutti vivono ricercando il bene dello Stato stesso, come si è detto. Per evitare di ricadere nell'egoismo bisogna eliminare qualsiasi emozione e qualsiasi passione, che sono l'attività più bassa della ragione umana (quella più alta è invece la ricerca della verità, come si è visto): la poesia e la tragedia non fanno altro che suscitare emozioni ignorando l'equilibrio, l'ordine, la misura, che sono invece caratteristiche fondamentali di virtù politica; quando si devono infatti prendere decisioni fondamentali per la polis, ci vuole il massimo dell'equilibrio, e non ci si può quindi abbandonare ai sensi. Si consideri infine che quando Platone condanna l'arte non condanna anche il "bello", in quanto il bello non è riferito all'arte, ma alla metafisica, alle Idee: il bello è la manifestazione evidente delle Idee, cioè dei valori ed è pertanto la più facile via d'accesso a tali valori (cfr. Fedro, 250 e). L'arte era quindi disgiunta dal bello ed era definita "poetica" cioè arte produttiva (cfr. Sofista, 265 a).
L' "amore platonico". La bellezza non è collegata all'arte, ma all'eros ( "e(>5), all'amore, all'Idea di Bellezza, alla Bellezza in sé. Per il greco il Bello coincide con il Bene, e quindi l'Amore conduce all' Assoluto. L'analisi platonica di Amore è splendida: Amore non è né divino, né umano, né mortale, né immortale, né sapiente, né ignorante, né maschio, né femmina: è "filo-sofo", cioè aspira alla sapienza, costantemente la cerca, come fa l'amante. Il vero amore è desiderio del bello, del bene, della sapienza, de lI' Assoluto. L'amore fisico è il grado più basso dell'amore; poi c'è il grado degli amanti del bene, delle pure scienze, della giustizia; infine c'è l'Idea folgorante del bello in sé, dell'assoluto. Nel Fedro Platone approfondisce il tema dell'amore collegandolo alla dottrina della reminiscenza: l'anima, nella sua vita originaria, ha visto il mondo delle Idee, poi è precipitata nei corpi, ma faticosamente si ricorda le Idee, in particolare quella di Bellezza, che è la più evidente: osservando la bellezza nelle cose empiriche (dell'esperienza o empirìa = empeiria), l anima s'infiamma del desiderio di raggiungerla: l' "Amore platonico" è quindi "nostalgia dell' Assoluto".
Aristotele e la rivalutazione dell'arte. La poetica come scienza pratica. Aristotele (nato a Stagira, in Tracia, e per questo detto "lo stagirita", nel 384-383 a. c., e morto a Calcide, sempre in Tracia, nel 322 a. C. ) insieme a Platone è l'altro pilastro del pensiero antico: figura dagli interessi enciclopedici, a differenza di Platone ha esaminato separatamente le varie discipline all'interno del suo sistema filosofico, e questo ha reso possibile una trattazione della sua concezione estetica senza far necessariamente riferimento alla globalità della sua filosofia. Anche per Aristotele, come per Platone, l'arte è essenzialmente imitazione: la tragedia, la forma teatrale più nobile per lo stagirita, è imitazione di persone ed eventi superiori al comune, la commedia è imitazione di persone e fatti inferiori alla norma; la commedia, all'interno dei generi teatrali, era infatti ritenuta meno nobile da Aristotele rispetto alla tragedia, perché l'argomento serio era considerato più nobile di quello leggero. Anche la poesia, per Aristotele è un'imitazione. Nel cap. 6 del l° libro della Poetica, Aristotele afferma che adesso, ossia nel l° libro, parlerà della tragedia, mentre l'arte del comico, ossia la commedia, sarà trattata "in seguito". Non essendo mai pervenutoci il Il? libro dell' opera, ciò ha rappresentato e rappresenta un punto oscuro dell' intero corpus aristotelico: Aristotele ha scritto veramente un libro dedicato alla commedia? E' andato perduto? Se è andato perduto, per quali motivi e quando? Alcuni successori di Aristotele negano che il filosofo abbia mai scritto questo libro, altri si avventurarono fino a ricostruirne il contenuto. E' comunque strano che Aristotele annunci un'opera senza scriverla, anche se questo non è l'unico mistero del pensiero di Aristotele e non è l'unico mistero della letteratura greca. Anche nella letteratura italìana troviamo spesso autori che non mantengono quanto promesso (Alessandro Manzoni non scrive 12 Inni Sacri per celebrare tutte le festività principali della Chiesa, come aveva annunciato, ma soltanto 5, come Luigi Pirandello, per fare un altro esempio, non scrive 365 Novelle per un anno, come promesso, ma molte meno). Il mistero del IlO libro della Poetica ha <lato origine all'affascinante intreccio narrativo de Il nome della rosa di Umberto Eco. Aristotele, a differenza di Platone, esalta l'arte come imitazione della natura (per Platone era la "copia di una copia" e per questo lontanissima dal mondo delle idee), in quanto l'arte è un'imitazione creativa, poiché l'artista non si limita a copiare, ma rielabora sempre personalmente, anche quando s'ispira fortemente a ciò che vede in natura. L'arte è inoltre catarsi, non dalle passioni, ma come piacere estetico. Nel l° libro della Poetica Aristotele esalta in particolare l'arte tragica, il mito dell'eroe greco (si notano anche qui i nessi tra poetica e politica). Aristotele determina con precisione i canoni estetici, cioè le caratteristiche che una tragedia deve possedere per potersi considerare artisticamente valida. La tragedia deve avere un carattere unitario, deve cioè possedere tre unità: di tempo (deve svolgersi nell'arco della medesima giornata), di luogo (deve svolgersi in un solo spazio, senza cambiamenti di scena) e di azione (deve possedere un unico filo conduttore, senza intrecci collaterali o filoni di trama paralleli, deve avere quindi solo la "fabula" e non l' "intreccio"). Solo se possiede queste tre caratteristiche una tragedia può essere utilizzata, dai fruitori, come mezzo d'elevazione spirituale e morale. La tragedia non deve riguardare il vero, perché di esso si occupa la storia, ma il verosimile, per illustrare una situazione che abbia possibilità di realizzarsi.
Sempre nella Poetica Aristotele parla della struttura ideale che un poema deve avere e distingue quattro parti essenziali ed ulteriormente indivisibili in cui esso va articolato nella sua preparazione. Il primo elemento da considerare è il mito (j.J.;wDo\), ossia il tema centrale da narrare. Il secondo fattore è l' etica ( E;~~, cioè il ritratto morale e psicologico dei personaggi. Il terzo canone è quello della dianoetica (o ux v o uxs. vale a dire l'impianto culturale del poema, ossia tutti quei fatti che l'autore deve conoscere per ambientare la storia che ha deciso di raccontare. L'ultimo criterio riguarda il lessico (À EX L .» con cui affrontare la trattazione, ossia il linguaggio da adottare per comunicare con il pubblico cui si prevede sia destinato il poema. Come si evince da quanto affermato, l'aspetto morale permea la poetica aristotelica, che si può quindi definire una "scienza pratica".
, Come si può notare, questi canoni aristotelici risultano essere molto generici, e proprio per questo hanno resistito all'usura dei secoli e risultano applicabili anche alle forme d'arte contemporanee. Come abbiamo visto, Platone condannava l'arte perché, tra gli altri motivi, suscitava passioni: Aristotele non è d'accordo. perché anche gli episodi passionali e violenti liberano l'anima dalle tensioni accumulate ed hanno quindi un effetto catartico (purificatore). Un'azione violenta, distruttrice o autodistruttrice, per Platone suggeriva allo spettatore di imitarla, per Aristotele, al contrario, liberava uno spettatore, potenzialmente violento, dalla voglia di compiere atti violenti: scaricate infatti le proprie emozioni attraverso l'arte, non si sente più il bisogno di scaricarle nella realtà. Abbiamo detto inizialmente che per Aristotele, come per Platone, l'arte è imitazione, e non è quindi la realtà ad imitare l'arte, ma l'arte ad imitare la realtà. E non è neanche vero, per Aristotele, che un politico, turbato da una tragedia, non sia sereno per prendere decisioni inerenti il bene della città: tutt'altro, quel politico sarà meglio disposto, nel proprio animo, ad operare per il bene proprio dopo aver fruito del prodotto artistico. In conclusione, in Aristotele 'il ribaltamento rispetto alle posizioni platoniche sull'arte è netto ed evidente: entrambi partono dalla medesima constatazione sul fatto che l'arte è imitazione, ma approdano a soluzioni opposte. Per Aristotele l'arte non è infatti più una realtà negativa. Si tenga infine presente che i precisi canoni estetici elaborati da Aristotele avranno una grossa fortuna nei secoli successivi, in particolare nel Medioevo, anche se tale precettistica ritarderà l'accettazione dell'arte come disciplina autonoma e fine a sé stessa, ossia libera da vincoli morali di ogni tipo.
L'ESTETICA EPICUREA E L'ESTETICA STOICA. Tra la condanna platonica dell'arte e la rivalutazione aristotelica possiamo intravedere una terza via, offerta dagli epicurei e dagli stoici, anche se con soluzioni decisamente opposte. Il fondatore dell'epicureismo fu Epicuro (Ivo/Illo sec. a. C.), vissuto nell'ultimo periodo della storia greca, il periodo ellenistico o 'alessandrino' (così chiamato perché dominato dalla figura di Alessandro il Macedone, detto anche Alessandro il 'Grande'). Attualmente con il termine "epicureo" s'intende quella persona o quell'atteggiamento dedito ad una vita di ozio e piacere; questa definizione è però errata, perché gli epicurei non ricercavano il piacere sfrenato, ma il piacere necessario, calcolato razionalmente. Il vero piacere consiste quindi nella moderazione, nell' equilibrio, nel condurre una vita saggia. In ogni caso, la ricerca del piacere, anche di quello moderato, implica la cessazione del dolore: l'arte per gli epicurei rappresenta una ulteriore possibilità di svago, finalizzata a lenire i dispiaceri. Questa è .quindi la funzione che gli epicurei attribuiscono all'arte, anche se appare sicuramente riduttiva rispetto alle riflessioni platoniche ed aristoteliche; l'arte, per gli epicurei, non ha alcun altro valore morale, né positivo, né negativo, l'unica funzione è la riduzione del dolore, l'esperienza estetica è quindi 'quasi fine a sé stessa'. Il fondatore della corrente stoica fu Zenone di Cizio (Ivo/IIlo sec. a. C.): lo stoico, tradizionalmente, è colui che dimostra di avere una grande forza d'animo, che resiste con encomiabile caparbietà alle avversità e al dolore. Il fine della vita umana non è quindi la ricerca della cessazione del dolore, come per gli epicurei, ma, al totale contrario, la ricerca della virtù: l'arte per lo stoicismo è perciò un mezzo per perseguire la perfetta virtù morale. A differenza degli epicurei, l'arte ha pertanto, per gli stoici, solo un fine etico. Lo stoicismo, come corrente filosofica, sarà ripreso in età romana imperiale, dal l° al IlIO sec. d. C.
L'estetica di Aurelio Agostino (N°N° secolo): "impara dall'arte".
Il Medioevo è un periodo dominato dalla religione: la stessa filosofia viene "riassorbita" dalla fede o condannata quando non è assolutamente possibile ricondurla alla teologia. Anche l'arte subisce lo stesso destino di "ancilla theologiae" ed abbandona il suo cammino verso l'indipendenza per mettersi al servizio della Chiesa. L'arte medievale è strepitosamente fiorente nelle sue realizzazioni pratiche (si pensi alle chiese romaniche ed alle cattedrali gotiche del medioevo) e gli artisti del medioevo erano spesso alieni dall'esaltare il proprio nome (a differenza di quelli moderni), si accontentavano dell'anonimato e non desideravano altra ricompensa che quella divina. Ad esempio, la cappella palatina di Aquisgrana fu costruita da un grande artista come Odo di Metz, che è però misconosciuto. In questo senso gli artisti medievali ci appaiono lontani sia dai predecessori classici che dai moderni che li seguirono. Questa concezione di artista fu inaugurata dal cristianesimo e si colloca perfettamente in linea con la cultura medievale, che ribalta tutti i valori terreni, indirizzandoli verso un' fine ultraterreno: niente ha valore, se non la conquista della beatitudine eterna e la ricerca della salvezza. La concezione estetica di Agostino, in particolare, trae origine dalla sua riflessione sul peccato: è peccato tutto ciò che provoca piacere. In ambito artistico una simile concezione frenò violentemente il cammino dell'arte verso l'emancipazione. E' evidente l'impronta platonica in Agostino: come Platone, anche Agostino condanna l'arte che suscita emozioni gratuite ed accetta solo l'espressione artistica che favorisce l'elevazione spirituale a Dio. All'arte Agostino concede una certa dignità solo se questa è finalizzata a lodare il Signore. Letteratura e poesia sono considerate arti pagane e per questo respinte, anche se Agostino le amava profondamente: il giudizio di Agostino è infatti particolarmente sofferto perché trattasi di uomo di grande cultura (esaltò la perfezione linguistica dell' Eneide, di Virgilio, ad esempio). Pur apprezzando grandemente le rappresentazioni teatrali, Agostino le rifiutava sul piano spirituale, perché nell'arte drammatica il dolore è solo una finzione, e non un' esperienza, sia per gli attori che per gli spettatori. Un'opera d'arte vera e propria è rappresentata, per Agostino, dalle Scritture nella loro globalità, e non per la ricchezza poetica con cui sono state redatte, ma per il loro contenuto salvifico, dalle miniature alle lodi cantate (è nota, del resto, la grande passione di Agostino per il canto). Come la meravigliosa cattedrale gotica non deve affascinare per la perfezione delle sue guglie, ma limitarsi a favorire, con la sua bellezza, la preghiera, così il canto non deve piacere per la voce del cantore, ma solo per la lode. La concezione estetica di Agostino ha contribuito al lungo asservimento delI'arte alla teologia ed ha ridotto la fonte d'ispirazione artistica all'ambito religioso. Per molti secoli l'arte, per non essere svalutata, dovrà essere posta al servizio della teologia e gran parte della responsabilità di ciò è di Agostino.
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Un'ampia parte della Summa Theologiae è dedicata al problema estetico. La definizione dell'arte offerta da Tommaso è molto chiara e semplice: l'arte è il modo ragionevole di fare alcuni lavori. La caratteristica fondamentale dell'arte è dunque la ragione, e non soltanto il fare: il creare secondo le norme della ragione può dare origine all'opera d'arte. L'opera d'arte è quindi una creazione razionale, ma anche un qualsiasi "imbrattatore" di immonde tele procede secondo una sua razionalità. Ecco che la semplice creazione razionale non può, da sola, essere sufficiente per creare un'opera d'arte, che deve essere anche bella: si pone quindi il problema di cosa sia il bello, e Tommaso risponde che "il bello è ciò che piace alla vista", ma per "vista" Tommaso non intende soltanto uno dei cinque sensi esterni, bensì un sentimento interiore, che solo Dio può infondere, perché Dio è il creatore dell'idea di bellezza. L'opera d'arte implica quindi una collaborazione tra l'artista e Dio, perché Dio fa sì che la bellezza esista: l'artista plasma la materia (momento pratico) in una forma che è bella, che piace e che colpisce i sensi esterni ed il sentimento interiore, e che diventa quindi una forma di conoscenza, perché nella forma è presente l'intervento divino, il raggio della luce divina, che al tempo stesso è verità (momento teoretico). Questo rivela il doppio carattere dell'arte, pratico e teoretico, ed evidenzia l'influsso del pensiero aristotelico: "materia" e "forma" corrispondono a "potenza" ed "atto". L'opera d'arte, in Tommaso, deve essere anche utile: per "utile" Tommaso intende ciò che è "buono". Utilità non è infatti utilitarismo, ma sinonimo di bontà, e l'opera d'arte deve quindi ispirare azioni e sentimenti buoni. La creazione artistica ha quindi anche un valore morale e pedagogico. Sul piano formale, l'opera d'arte dev'essere anche perfetta, e cioè portata a termine in ogni sua parte. Ma l'opera d'arte realizza la sua funzione (che abbiamo visto essere religiosa, pedagogica, morale) soltanto se piace, cioè se viene contemplata dagli uomini: una creazione artistica fine a sé stessa, che aderisca astrattamente ai canoni della bellezza, per Tommaso non ha senso, proprio perché l'arte deve ispirare nell'uomo buoni sentimenti e buone azioni, e tale bontà è un raggio della conoscenza divina, come si è visto: poiché, infatti, la bellezza presente nell'arte è manifestazione di Dio, la contemplazione estetica è un momento privilegiato di elevazione verso l'Assoluto. Si nota, in Tommaso, un certo progresso rispetto alla concezione estetica medievale: si rivaluta tutta l'arte, e non solo l'arte sacra, quella, cioè, applicata solo a soggetti religiosi. Qualsiasi opera d'arte, se veramente bella (e quindi utile nel senso di buona, come si è detto), proviene da Dio e rimanda a Dio: la missione dell'artista è quindi fortemente pedagogica, perché mette in contatto gli uomini con la Bellezza, che è una diretta emanazione di Dio.
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OPERA D'ARTE = CREAZIONE RAZIO TALEBELLA> (fare) 4(ragione)
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\ / V PRATICA
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+ TEORETICA
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( E~· O E TER!TO (SENTIMENTO INTERIORE Il (raggio della Il conoscenza \ / divina) V UTILE = BUONA (in senso pedagogico ed etico-religioso)
MATERIA + FORMA + (Conoscenza Divina) (artista)
Il Il \ /
V Uomo <= Artista => Dio (missione pedagogica dell'artista) => a) completezza dell'opera d'arte; => b) l'opera d'arte dev'essere contemplata dagli uomini perché nella sua parte formale è un raggio della conoscenza divina; => c) conseguente rivalutazione di tutta l'arte, non solo di quella sacra, perché in ogni creazione estetica è presente la collaborazione tra l'artista e Dio.
L'estetica nell' Umanesimo e nel Rinascimento: Leon Battista Alberti e Leonardo da mcI. Nel periodo umanistico-rinascimentale assistiamo ad una grande produzione artistica, ma ad una parallela crisi dell'estetica: ciò trova motivazione nel fatto che, rispetto al Medioevo, si allenta la pressione religiosa, l'artista può quindi godere della propria fama senza l'ossessione del peccato, e questo porta ad un incremento produttivo, ma si indebolisce, parallelamente, la riflessione sull'arte. Mancano infatti filosofi e pensatori che hanno espressi le loro idee in materia di estetica. Ora non è più peccato rimanere estasiati nella contemplazione di un arazzo percepito come piacevole ai sensi, e non interessa se ciò possa o no avvicinare a Dio. Nelle creazioni artistiche del Rinascimento si mette in atto, in pratica, quella libertà creatrice che sarà teorizzata solo nel Settecento: nel Settecento si potrà parlare di nascita dell'estetica moderna anche sul piano teorico quindi, ma tale genesi è riscontrabile già, nelle realizzazioni pratiche, nel '400 e nel '500. L'arte perde quella necessaria funzione pedagogico-morale che aveva nel Medioevo per "essere piacevole ai sensi" e passa dunque dal "docere" al "delectare": si afferma per la prima volta il fatto che il momento creativo può (non deve obbligatoriamente, però) essere anche fine a sé stesso. Anche nei contenuti, durante il Rinascimento si indeboliscono quelli religiosi e si accentuano quelli laici, tesi ad esaltare le gesta degli eroi, e non più a celebrare soltanto la Madonna o i santi: si attribuisce quindi maggiore importanza alla tecnica, che nel Medioevo era invece considerata come secondaria e propedeutica all'ispirazione religiosa (anche se con Tommaso d'Aquino si era già registrato un certo progresso rispetto alla concezione estetica agostiniana, perché veniva rivalutata tutta l'arte, e non solo quella sacra, perché in qualsiasi creazione artistica era presente la "forma", il "raggio" della conoscenza divina). Tra i grandi artisti del periodo si ricordi Leon Battista Alberti (1404-72), figura veramente poliedrica: fu infatti architetto, musicista, filosofo, pedagogista, matematico. Tra le sue opere si ricordino i due trattati Sull'architettura e Sulla pittura e lo scritto pedagogico Sulla famiglia. Alberti si libera dalle investigazioni teologico-metafisiche del Medioevo per rivalutare soltanto l'esperienza, perché l'uomo può avere certezza "solo di quello che accade sotto i suoi occhi": la contemplazione senza l'azione non ha senso e l'uomo dev'essere quindi attivo costruttore della città. L'uomo, affermava l'Alberti, "non è fatto per marcire giacendo, ma per stare facendo". Nelle arti in particolare l'architetto ha rilevato la grande importanza del concetto di "ordine" e di proporzione fra le parti: l'arte riproduce e ricrea quell'ordine fra le parti che sussiste nella realtà delle cose, è quindi specchio del reale. Matteo Palmieri (1406-75) fu filosofo politico, pedagogo e studioso di estetica e ribadì la fecondità dell' opera umana e della Città rinascimentale. Un genio come Leonardo da Vinci, infine, ci fa comprendere come diversa sia la figura dell'intellettuale in genere e dell'artista in modo particolare, nel Rinascimento: l'artista rinascimentale è poliedrico e versatile in ogni campo del sapere, quello medievale era invece specializzato in uno specifico settore (si pensi a Giotto). Leonardo fu grandissimo artista e pensatore in senso universale: egli rappresenta quindi in modo emblematico l'uomo del Rinascimento. Se in lui le caratteristiche della scienza moderna non sono ancora pienamente sviluppate, è però innegabile che alcuni di questi caratteri sembrino delinearsi almeno a livello embrionale e talvolta già in maniera abbastanza chiara. In Leonardo (1452-1519) è fortissima la convinzione di indagare la natura: il pensiero matematico è capace di scandagliare efficacemente le forze e le leggi immanenti ai fenomeni naturali, e l'uomo, in quest'opera, è legittimato da Dio. La conoscenza umana ha per Leonardo due fonti: l)l'esperimento fisico e 2)la ragione matematica. Ogni teoria, per essere valida, dev'essere confermata dall'esperienza. Valorizzando esperienza e ragione, Leonardo anticipa la moderna scienza galileiana e newtoniana. Nato a Vinci, nel Valdarno, frequentò le prime scuole a Firenze ed entrò nella bottega del Verrocchio. l suoi interessi furono molteplici: anatomia, botanica, geologia, meccanica, architettura, ingegneria, pittura, letteratura, filosofia, studiò il volo degli uccelli per vedere se era applicabile all'uomo e descrisse lo schema del cannocchiale (scoperto in seguito dai navigatori fiamminghi e perfezionato da Galileo). Lavorò
2. intensamente a Milano per Ludovico il Moro ivi compo e il noto cenacolo e proprio a . filano scrisse vari Trattati (noti il Trattato della pittura e soprattutto il Codice Atlantico, in cui studio la durata della percezione visiva, ottica e prospetti ca). Nei suoi Trattati si serviva spesso di una scrittura "inversa") cioè da destra a sinistra, leggibile bene solo allo specchio: la spiegazione più facile consiste nel fatto che egli era mancino, ma in realtà questo bizzarro modo di scrittura corrispondeva al suo carattere schivo e solitario, teso a difendersi da curiosità indiscrete. Soggiornò a Mantova, Firenze, Venezia, Roma, lavorò per Cesare Borgia (figlio del papa Alessandro VI Borgia). A Firenze compose anche la "Gioconda". Morì durante l'ultimo soggiorno, in Francia, alla corte del re Francesco I. Per Leonardo l'uomo domina la natura e può scoprirne le leggi: nella lotta tra l'uomo, avido di conoscere, e la natura, attaccata ai suoi segreti, consiste quindi per Leonardo il senso più profondo dell'Umanesimo. Fu autore anche dei Pensieri, opera a carattere filosoficomorale, in cui si esaltano lo studio, l'operosità, la matematica, considerata l'unica scienza, e si ribadisce il concetto di "attimo fuggente", proprio di altri umanisti (Lorenzo il Magnifico, Agnolo Poliziano ). Dai Pensieri: " II. Chi poco pensa molto erra ". " X. Tristo è quel discepolo che non avanza il maestro ". " XII. Siccome una giornata bene spesa dà lieto dormire, così una vita bene usata dà lieto morire ". " XV. L'acqua che tocchi de' fiumi è l'ultima di quella che andò e la prima di quella che viene" (si ribadisce qui il concetto del "carpe diem", ed è questo uno dei pensieri più celebri). " XVII. Nessuna certezza è dove non si po' applicare una delle scienze matematiche " (la matematica è l'unico regno della giustizia e della verità, l'unica scienza che ci permetta la conoscenza della verità. Per questo è necessario abituarsi a pensare ed a ragionare in termini scientifici).
L'ESTETICA NEL SEICENTO. Il Seicento è comunemente noto come un periodo di povertà artisnca, anche a causa dell'incubazione politica in cui vive la penisola italiana, posta sotto l'arrogante dominio dei barocchi costumi spagnoli. Ciò è solo parzialmente vero: le produzioni barocche sono infatti opere comunque notevoli. Sul piano della riflessione filosofica, tuttavia, mentre prolificano filosofi della scienza (come Bacone, Galileo, Newton, Cartesio) e della politica (come Locke ed Hobbes), sono molto deboli i pensieri sull'estetica. Si deve però rilevare che filosofi della scienza quali Bacone e Cartesio, pur non avendo mai trattato, nelle loro opere, questioni specifiche di estetica, tenteranno di classificare l'arte come una delle tante scienze, e questo aiuterà il secolo successivo a sancire definitivamente là nascita dell'estetica moderna come una scienza, una disciplina a sé stante e ricca di una sua dignità. L'ESTETICA NEL SETTECENTO E BAUMGARTEN. Nel Settecento viene coniato il termine "estetica". Si ribadisce, in questo secolo, innanzitutto che la funzione dell'arte può essere benissimo solo quella di dilettare, senza per questo rischiare di essere sminuita nella sua dignità. Si cerca, in secondo luogo, di stabilire i canoni estetici. Il primo canone è quello del buongusto: ha buongusto un'opera d'arte che risente della tradizione dei classici, che ha alle spalle, quindi, una solida base culturale. Si consideri che nella seconda metà del Settecento si afferma sempre più, anche in letteratura, il Neoclassicismo, un movimento tendente a valorizzare la classicità greco-latina. Un secondo canone è quello della fantasia: l'artista deve anche saper creare, plasmare, modellare senza tenere presente necessariamente un modello. Il terzo criterio è quello del sentimento, che riceverà maggiore impulso nel secolo successivo, l'Ottocento romantico: questi canoni si integrano, perché per sentimento si intende non il "sentimentalismo", bensì la capacità di "commuovere" nel senso etimologico del termine, ossia di "muovere insieme, muovere con", di agitare, scatenare l'estro, il "furore artistico", e quindi la fantasia: FANT ASIA <=> SENTIMENTO Il quarto ed ultimo canone è quello del meraviglioso: il vero artista deve dare particolare risalto alle gesta ed ai sentimenti che tratta, deve mettere in rilievo la maestosità di quanto produce, in modo da suscitare la sensibilità dello spettatore, e questo vale per le arti figurative come per la recitazione teatrale, come per la produzione poetica. Va infine ricordato un filosofo napoletano del Settecento che ha dedicato ampia parte della sua riflessione all'arte: Gian Battista Vico, che ha avuto il grande merito di proclamare l'autonomia della poesia rispetto alle altre conoscenze umane; Vico abbandona il principio del buongusto, per cui un'opera d'arte doveva essere una rielaborazione delle opere classiche. L'arte nasce spontaneamente in qualsiasi persona dotata di spirito nobile, a prescindere dal suo retroterra culturale; l'arte è essenzialmente fantasia e sentimento, ed in quanto tale è un'esigenza primaria dell'anima umana, che nasce prima del pensiero, prima del momento razionale. La fantasia è dunque precedente e indipendente rispetto alla ragione: la parola, i pensieri razionali .sono solo necessità, servono cioè alla fantasia per esprimere e comunicare agli altri i propri stati d'animo. Con questo riconoscimento da parte di Vico, l'estetica ha una sua dignità quasi completa: l'estetica nasce ufficialmente nel 1750, con la pubblicazione della celebre opera Aesthetica di A G. Baumgarten; lo stesso Baumgarten, quindici anni prima, nel 1735, aveva dato alla luce un altro studio, le Riflessioni sul testo poetico, in cui aveva attribuito al termine "estetica" il significato di "gusto", inteso come capacità di determinare i canoni artistici in un prodotto manifatturiero. E' nata ufficialmente l'estetica come disciplina autonoma e con criteri ben determinati.
--~ GIAMBATTISTA VICO E LA FONDAZIONE DELL'ESTETICA
STORICISTlCA.
1.Vita ed opere Nato a Napoli nel 1688, Giambattista Vico fu inizialmente seguace delle dottrine razionalistiche di Cartesio, ma in seguito se ne distaccò con sdegno per scoprire un "sapere nuovo". Rimase isolato dalla cultura pre-illuministica del suo tempo e fu infatti riscoperto solo nel primo Novecento da Benedetto Croce, che ne rivalutò l'originalità e la fecondità del pensiero, sostenendo che senza il contributo vichiano non si sarebbe potuta sviluppare la filosofia romantica di Hegel. Studiò grammatica, retorica, filosofia, diritto romano, civile, canonico. Per ragioni economiche, per 9 anni fece il precettore nel Cilento; in seguito insegnò retorica all'Università di Napoli. Tra le sue principali opere si ricordino le 6 "Orazioni Inaugurali" (importanti per le critiche rivolte a Cartesio), tra cui il De nostri temporis, studiorum rafione (è la sesta ed ultima delle 'Orazioni', la più importante dal punto di vista pedagogico, del 1708), il De antiquissima italorum sapienlia (1710), l'Autobiografia (pubblicata postuma) e soprattutto i Principi di una Scienza Nuova intorno alla comune natura delle nazioni ( 3 edizioni, 1725, 1730, 1744). Morì nel 1744, dopo aver dato un enorme contributo alla filosofia della storia, all'estetica moderna, alla pedagogia ed alla metafisica storicistica. Tuttavia Vico rimase isolato dalla cultura razionalistica del suo tempo, anche per l'oscurità testuale della sua principale opera, la 'Scienza Nuova '. 2. L'estetica come filosofia della storia. Vico distingue tre età nella storia: quella degli Dèi, quella degli eroi e quella degli uomini. La prima è caratterizzata dalla religione animista: Dio è identificato con i fenomeni della natura e la conoscenza umana è affidata ai sensi: Vico chiama "bestioni" questi primi uomini preistorici. Il linguaggio è quello gestuale. La seconda età, quella degli eroi, è caratterizzata dal predominio della fantasia e dal diritto eroico, basato sulla forza: gli uomini cominciano ad organizzarsi in tribù. Il linguaggio è quello geroglifico. La terza fase è quella degli uomini, in cui "la ragione è tutta spiegata" ed il linguaggio è quello cantato (inni). Nella Scienza Nuova Vico, dando un contributo all'estetica moderna, valorizza la poesia, la fantasia, i miti ed il linguaggio, che non è legato alle rigide ed astratte regole logiche, ma che è invece un organo vivente, in continua evoluzione, che segue il cammino dell'umanità. La lingua cantata, lirica, quella della terza fase del cammino dell'umanità, l'età degli uomini, precede la prosa: la poesia precede la prosa come la fantasia precede la ragione. Vico si pronuncia esplicitamente anche sull' estetica, dimostrandosi parzialmente vicino alle posizioni di Platone: l'arte dev' essere produzione libera, originale e spontanea e non deve limitarsi a copiare o rielaborare dei modelli, perché in tale modo allontana dalla verità. Vico esalta pertanto la scultura antica, priva di esempi artistici, e biasima quella attuale, che è una copia peggiore, mentre valorizza la nostra pittura, che, per forza di cose (non essendoci pervenuti grandi capolavori pittorici dall'antichità), è libera. Polemicamente e paradossalmente Vico afferma che bisognerebbe distruggere scultura ed architettura antiche per avere buone opere d'arte! Vico ha avuto il grande merito di proclamare l'autonomia della poesia rispetto alle altre forme di conoscenza umana; il filosofo napoletano rifiuta il principio del "buongusto" che sarà teorizzato da A. G. Baumgarten nel 1750 nell'opera Aesthelica, per cui l'arte doveva essere una rielaborazione delle opere classiche e doveva dimostrare il solido bagaglio culturale posseduto dall'artista. L'arte nasce spontaneamente in qualsiasi persona di spirito nobile, a prescindere dal suo retroterra culturale; l'arte è essenzialmente fantasia e sentimento ed in quanto tale rappresenta un'esigenza primaria dell'anima umana, che nasce prima di pensiero, prima del momento razionale. La fantasia è dunque indipendente e precedente rispetto alla ragione: la parola, i pensieri razionali sono solo necessità, servono cioè alla fantasia per esprimere e comunicare agli altri i propri stati d'animo.
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G. B. VICO, PRINCIPI DI UNA SCIENZA NUOVA INTORNO ALLA COMUNE NATURA DELLE NAZIONI (1744). "Degnità": "XXXVI -,La fantasia tanto è più robusta quanto è più debole il raziocinio". "XXXVII. Il più sublime lavoro della poesia è alle cose insensate dare senso e ragione, ed è proprietà de'fanciulli di prender cose inanimate tra mani e, trastullandosi, favellarvi come se fussero, quelle, persone vive". ''L. Ne' fanciulli è vigorosissima la memoria; quindi vivida all'eccesso la fantasia (. ..). Questa degnità è 'I principio dell'evidenza dell'immagini poetiche che dovette formare il primo mondo fanciullo". ''LIII. Gli uomini prima sentono senz'avvertire, dappoi avvertiscono commosso, finalmente riflettono con mente pura ( ...)".
con animo perturbato
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Immanuel Kant (1724-1804): La Critica de! giudi::io ed il problema estetico .:.
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Nella Critica del giudizio (1790), ultima delle tre grandi "Critiche" kantiane, il filosofo si pone il problema estetico: si consideri che il termine "estetica" è qui inteso da Kant nel moderno senso di "dottrina dell'arte" e non in quello etimologico di "dottrina della sensibilità", come invece nell'Estetica Trascendentale. Simili considerazioni si trovano anticipate in una breve opera del 1764, le Osservazioni sul sentimento del bello e del sublime, uno scritto di difficile lettura, come la stessa Critica del giudizio e la Critica della Ragion Pura; la Critica della Ragion Pratica è sicuramente, fra le tre "Critiche", la più accessibile. Quest'opera studia due tipi di giudizio: l)il giudizio determinante ed 2)il giudizio riflettente; questo secondo si articola in A)giudizio estetico ed in B)giudizio teleolozico. l)Il giudizio determinante si fonda su un concetto universale già dato, come una legge universale o una categoria del pensiero, sullaquale agisce l'intelletto. 2)Il giudizio riflettente non si fonda invece su una legge universale, ma su un oggetto specifico. I giudizi riflettenti sono, per Kant, due: A)il giudizio estetico ed B)il giudizio teleologico. Il giudizio estetico ha per oggetto lo studio del bello, inteso da Kant non come piacere soggettivo, ma come piacere oggettivo ed universale, disinteressato, senza scopi. Esso si occupa del bello, che può essere libero, e cioè appreso dall'uomo senza la presenza di alcun concetto (come un arabesco o una musica senza parole), e aderente, appreso dall'uomo con riferimento ad un particolare concetto (si pensi alla bellezza di un palazzo o di un animale). Importante è la dottrina kantiana del sublime, in cui estetica e morale si trovano fuse; il sublime è un'idea che anticipa già il Romanticismo, è ciò che supera il bello perché trascina i sensi e le passioni; il sublime non è nelle cose, ma nell'uomo. Nel sentimento del sublime l'animo umano è sospinto ad abbandonare la sensibilità ed a occuparsi di idee che contengono una finalità superiore. Kant distingue in proposito il sublime dinamico, che è la contemplazione di ciò che è "assolutamente potente" ed imponente (si pensi ai terremoti, ai vulcani, per esempio), è lo stupore umano di fronte alla grandezza della natura, ed il sublime matematico, che è lo stupore umano di fronte a ciò che è "assolutamente grande" (come il cielo o l" oceano, ad esempio). Nel giudizio teleologico (finalistico), il secondo dei giudizi riflettenti, Kant studia la natura non in senso meccanicistico, illuminista quindi, ma come diretta verso un fine superiore (teleologia = studio del fine, dello scopo, dal greco telo = fine o scopo), che non è intrinseco alla natura, né proviene dagli organismi viventi, ma è dovuto ad una mente divina ordinatrice. Tale finalismo è per Kant la rivelazione dell'intima consonanza dell'uomo con la natura, consonanza inspiegabile se il mondo fenomenico della natura non fosse l'emergere di una realtà noumenica più profonda. Si consideri, per la Critica del giudizio, la seguente mappa concettuale riepilogativa: I.GIUDIZIO DETERMINANTE I~LIBERO II.GIUDIZIO RIFLETTENTE: A)ESTETICO
I = = > BELLO I I I~
ADERENTE
I I
I I~ DINAMICO I = = > SUB LIME I I
B)TELEOLOGICO (Natura ~~
I~ MATEMATICO
Uomo)
Kant illuminista e romantico.
AI termine della filosofia cntica kantiana, possiamo considerare Kant come illuminista e romantico: il filosofo si dimostra infatti illuminista nella Critica della Ragion Pura (1781), per i suoi interessi scientifici e teoretici verso la matematica e la fisica; nella Critica della Ragion Pratica (1788), malgrado la sua concezione morale risulti impregnata ancora di elementi illuministici, le massime dell'imperativo categorico risultano già indirizzate verso il Romanticismo; nella Critica del giudizio (1790), infine, emergono gli interessi kantiani già in chiave prevalentemente romantica, come si nota dalle considerazioni sul bello e sul sublime e dall'emergere di una più profonda realtà noumenica, che pone il grande mistero della natura. Possiamo quindi affermare che Kant è inizialmente illuminista, ma gradualmente si orienta verso il Romanticismo, e che le tre "Critiche" segnano questa progressiva evoluzione del pensiero kantiano. Quest'ultima "Critica" sarà infatti una delle opere kantiane più studiate dai romantici: le filosofie del Romanticismo prenderanno il loro avvio da Kant, ma in Kant stesso troveranno motivi e spunti per andare "oltre Kant". Secondo il noto filosofo della storia Benedetto Croce (cfr. B. Croce, Alfieri protoromantico) il punto di riferimento letterario della filosofia kantiana è l'eroe tragico di Vittorio Alfieri, come emerge dalle sue tragedie: in Mirra, la fanciulla si uccide solo alla fine del suo travaglio interiore, dopo aver confessato i suoi turpi sentimenti di amore sensuale al proprio padre, in Saul, il vecchio re d'Israele si uccide prima dell'arrivo dell'esercito nemico dei Filistei, ossessionato da sé stesso, sfiduciato nello stesso Abner, suo primo ministro e genero. L'eroe alfieriano è un eroe tragico perché lotta da solo, contro sé stesso, è scisso nel suo interno, nella sua coscienza di soggetto, nel suo io empirico: per questo ripercorre, in sede letteraria, lo stesso itinerario compiuto dal soggetto in Kant, un soggetto che non arriva mai a conoscere completamente l'oggetto, limitato dal noumeno. Nonostante, infatti, le tensioni protoromantiche del secondo Kant (come si evince dalla Critica della Ragion Pratica e dalla Critica del giudizio), il soggetto rimane irretito dentro sé stesso, perché anche la ragione è impotente nella completa conoscenza, il "cielo stellato" rimane "sopra di me". Il rapporto conoscitivo del soggetto con l'oggetto, il mondo esterno, il non-io, la realtà, sarà ultimato, come si è detto, solo da Hegel, il massimo esponente dell'Idealismo, la corrente filosofica corrispondente al Romanticismo in letteratura. In sede letteraria, al tempo stesso, l'eroe alfieriano non lotta contro un polo esterno, ma contro sé stesso: l'eroe alfieriano è quindi un eroe che anticipa soltanto l'eroe romantico, quello che combatte le guerre d'indipendenza contro l'Impero Asburgico, esaltato, non a caso, da Manzoni in una celeberrima ode civile quale "Marzo 1821". Si può quindi sostenere che come Kant, in filosofia, anticipa Hegel, come il Criticismo pone le premesse per l'Idealismo, così in letteratura Foscolo anticipa Manzoni, il Neoclassicismo ed il Preromanticismo "aprono le porte" al sentimento Romantico, l'Illuminismo anticipa il Risorgimento, nel quale il soggetto, in questo caso l'eroe, lotta e quindi si rapporta completamente con l'oggetto, ovvero il mondo esterno.
18 TRA CRITICISMO E IDEALISMO: L'ESTETICA DI SCHILLER. Friedrich Schiller (1759/1805) fu poeta, drammaturgo e filosofo, amico di Goethe e docente di storia a lena. Nell'opera Sul/a grazia e la dignità (1793) propone l'ideale dell'anima bella, capace di compiere azioni morali (tale ideale sarà ripreso da Hegel negli Scritti teologici giovanili e nella Fenomenologia dello Spirito, a lena). Il bello coincide quìndi con il buono, l'estetica trova per Schiller il suo fine ultimo nell'etica. L'etica kantiana, fondata sul dovere, appare a Schiller troppo limitativa, incapace di realizzare l'armonia nell'uomo. Nelle Lettere sull educazione estetica (1795) emerge la problematica pedagogica e politica di Schiller: unificare l'istinto sensibile e l'istinto razionale umani, per rendere possibile l'armonia e la costruzione di uno Stato etico. L'arte ed il gusto hanno proprio la funzione di educare l'uomo alla libertà. Non si può tuttavia definire Schiller un idealista: l'unificazione tra istinto e ragione, che per Schiller è armonia, per gli idealisti sarà invece principio ontologico: Seguaci di Schiller nell'idealismo saranno i fratelli Schlegel (fondatori della rivista "Athenaeum", in cui si idealizzano la Grecia ed il mondo classico come modelli ideale di bellezza, armonia e purificazione), Friedrich Holderlin (divinizzò la Natura), Schleiermacher, Friedrich Schelling (il celebre filosofo fondatore dell'idealismo estetico), Johann Wolfgang von Goethe (il maggiore poeta tedesco ed uno dei principali "Sturmer", autore del Faust e de / dolori del giovane Werther, al quale s'ispirò Ugo Foscolo nella stesura de Le ultime lettere di Jacopo Ortis, in cui aggiunse, alla sola tematica amorosa presente nel Werther, anche quella politica. Goethe considerò la Natura come "un organismo tutto vivo, fin nei minimi particolari") ed il poeta Novalis. Categorie romantiche dominanti furono il sogno, la fantasia, il mistero, riprese dalla letteratura medievale e gotica inglese e fatte proprie dai "poeti laghisti" quali SamueI Taylor Coleridge, Wordsworth, Byron, Shelley, Keats. Di Wordsworth e Coleridge si ricordino le Lyrical ballads, e di Coleridge "The ballad ofthe ancient mariner". Il problema dell' Assoluto, inteso come identità di soggetto ed oggetto, infinito e finito, diventa centrale nei pensiero romantico ed abbraccia ogni settore: dalla natura alla storia, dall'arte alla religione.
LA CONCEZIONE ESTETICA NEL ROMANTICISMO 1. Introduzione. Platone aveva affermato che l'arte allontana dalla verità: quest'idea, che fu in seguito abbandonata, ritorna comunque prima del Romanticismo. La verità, fin dal Settecento, viene ricercata con la filosofia, la religione (dove la verità è addirittura rivelata), lo sviluppo tecnologico (sono dell'Illuminismo infatti i primi "robot"). Nel '700 l'arte, liberatasi dalla funzione di "ancilla theologiae" che le era stata attribuita nel Medioevo, ha conquistato una propria autonomia ed una propria dignità, ma è rimasta, fino a Kant, un'esperienza soggettiva che non poteva quindi pretendere la stessa dignità delle altre discipline. Alla fine del '700, con Kant, l'esperienza estetica acquista un doppio valore, soggettivo, ma anche oggettivo, universale: un'opera d'arte può dirsi oggettivamente bella se risponde a determinati criteri. Nel Romanticismo anche l'arte diventa infine rivelatrice di verità. Ma cos'è stato inteso per verità nel corso dei secoli? Durante il 'paganesimo politeista la verità risiedeva essenzialmente nel mito, nelle leggende che ci trasmettevano usi, costumi e culture dei popoli, mentre con l'avvento delle grandi religioni monoteistiche (islarnismo, giudaismo, cristianesimo) la verità consiste nella parola di Dio e dei suoi profeti. In seguito, alla religione si affianca uno strumento razionale, la filosofia, che nell'epoca del Positivismo diventa filosofia della scienza. Infine, alle soglie dell'età contemporanea, i tre fronti che si contendevano il monopolio della verità (religione, filosofia, scienza), rinunciano alle loro pretese "assolutistiche" per tendere sempre più a compromessi, a ricercare punti d'incontro. Il grande merito dell'estetica contemporanea è stato quello di affiancare l'arte alla triade religione-filosofia-scienza. Matura pienamente l'estetica contemporanea come disciplina autonoma e fertile: l'arte non è più al servizio della teologia, come nel Medioevo, o della scienza, come nell'Illuminismo, ma acquista un proprio valore come momento di elevazione dello spirito: sia il pittore che lo scienziato rispondono entrambi ad esigenze insopprimibili dell'animo umano, ed il pittore non è più un "perditempo" rispetto allo scienziato. II messaggio artistico, di conseguenza, va storicamente contestualizzato: questo significa che un quadro va letto "oltre la tela", oltre l'aspetto esteriore, tenendo presente la vita, i dati biografici ed anagrafici dell'artista, la sua provenienza geografica ed il suo livello culturale. Per esempio, Guernica di Picasso non è la sola rappresentazione oggettiva della guerra, ma dietro quella tela c'è "l'uomo Picasso", con la sua formazione culturale e le sue origini; un altro artista, vissuto in un contesto storico, politico e geografico diverso avrebbe offerto sicuramente una rappresentazione differente dello stesso tema della guerra. Dall'Ottocento in avanti l'estetica conoscerà un grandissimo sviluppo, con correnti molto differenziate, e questo merito va attribuito al Romanticismo. 2. Le "tre anime" del Romanticismo. Il Romanticismo, prima di essere un movimento letterario ed artistico del primo' 800 che rivaluta il sentimento e la fantasia contro l'imperante razionalismo illuministico della fine del '700, è un atteggiamento dello spirito. In questo contesto, di rivalutazione di tutto ciò che è "irrazionale", arte, religione e filosofia si fondono insieme: l'arte ha spesso come soggetti temi religiosi e la filosofia approfondisce tematiche religiose. Talvolta l'artista è, o tenta di essere, anche filosofo. Inoltre, l'abbandono della fede incondizionata nella ragione, nella scienza per privilegiare i sentimenti, le emozioni, la fantasia, i sogni, le intuizioni è caratteristica anche deIl'arte, e non solo della letteratura e della filosofia. La Bellezza non va più soltanto raggiunta e rappresentata: quest'obiettivo era già stato realizzato dall'estetica classica. Nel Romanticismo il Genio deve trovare in sé stesso gli elementi per creare un prodotto artistico, dev'essere egli stesso fonte, origine di bellezza. La riflessione sull'arte avrà, nel Romanticismo, tre anime: quella A) religiosa, quella ID nichilista e quella C) moralista.
A) Secondo la tendenza religiosa, l'arte è uno strumento con cui Dio comunica agli uomini: è uno mezzo comunque inferiore alla Natura, perché della natura è creatore Dio stesso, mentre del prodotto artistico sono creatori altri uomini. E' questa la posizione di poeti come Novalis: per Novalis l'arte è "qualcosa di magico", perché permette all'uomo di passare dal finito all'infinito, di avvicinarsi all' Assoluto, che è Dio. L'arte è quindi un'esperienza ascetica e mistica, che mette in contatto l'uomo con Dio. B) Secondo "l'anima nichilista", il cui massimo rappresentante è Schlegel, l'arte è il luogo in cui l'Assoluto si storicizza, diventa sensibilmente conoscibile. L'arte arricchisce l'animo umano come la lettura di una poesia: in questo senso la contemplazione di un quadro e la lettura di una poesia sono momenti ugualmente validi di arricchimento interiore. In proposito, Schlegel parla di ironia: l'ironia romantica è quell'atteggiamento con il quale l'artista contempla, distaccato, la sua stessa opera, sentendosene comunque superiore, perché conscio del fatto che l'origine di un prodotto artistico, l' Arte in sé; l'Assoluto (in questo caso l'artista stesso), è comunque sempre superiore al prodotto. L'ironia consiste nel fatto che tale Assoluto si è materializzato. L'atteggiamento ironico porta al nichilismo: il nichilismo è il disincanto, lo scoramento dovuto al fatto che non si riuscirà mai ad avere una comprensione totale dell' Assoluto. Lo spirito, sorgente dell'opera d'arte, è infinito, assoluto, e per questo l'opera d'arte è sempre finita (il termine "nichilismo" deriva dal latino "nihil", che significa "nulla, niente", nel senso, in questo caso, di disillusione e scoramento). C) La linea moralista è rappresentata da Schiller e Goethe, che riprendono il concetto kantiano di sublime: per loro l'estetica tende a convergere con l'etica, con la morale intesa come "educazione alla libertà" per l'umanità. Per Goethe in particolare l'origine dell'arte è nella natura: l'uomo, con la produzione artistica, non si limita però a copiare semplicemente la natura, ma diventa uno strumento della natura stessa, che, tramite l'artista e la sua tecnica, arricchisce l'umanità di manifestazioni sensibili, visibili e tangibili quindi, dell' Assoluto.
FRIEDRICH SCHELLING E L'IDEALISMO ESTETICO.
1. Vita ed opere. Friedrich Wilhelm Joseph Schelling (1775-1804) nacque a Leonberg, studiò filosofia e teologia al seminario di Tubinga, ove strinse amicizia con Holderlin ed Hegel. A .soli 24 anni, appena un anno dopo la laurea, ottiene la cattedra di filosofia teoretica all'università di lena, succedendo a Fichte, che, accusato di ateismo, dovette dimettersi. Del 1800 è la sua principale opera, il Sistema dell'idealismo trascendentale. Tra i suoi allievi si ricordi il danese Soren Kierkegaard, precursore dell' esistenzial ismo. 2. La filosofia della Natura. Dopo un inizio fichtiano (a 23 anni era stato assistente di Fichte a lena), Schelling si distacca da Fichte, che aveva contrapposto, in modo lacerante, lo e Non-io: la Natura, per Schelling, non è riassorbibile nel Non-io, come per Fichte. La Natura non si può inglobare nella sfera del Non-io perché è un organismo vivente, è prodotta da un'intelligenza inconscia, che è lo spirito: la Natura è pertanto lo Spirito Visibile e lo Spirito è la Natura Invisibile. 3. L'Idealismo estetico. Il Soggetto, dopo essersi autoposto (come aveva affermato Fichte "L'Io pone sé stesso"), 1)pone inconsciamente il Non-io, che è l'attività Pratica, reale, concreta, morale dell' lo; 2)in un secondo momento diventa cosciente di tale produzione, ed è questa l'attività Teoretica, speculativa, conoscitiva dell' lo; 3)in una successiva terza fase l'Io astrae da queste due attività e si pone come spontaneità pura. Nei primi due momenti (1.PRATICO => REALE => NATURA; 2.TEORETICO => IDEALE => SPIRITO) non si coglie l'Assoluto, inteso come identità di attività Pratica e Teoretica, di Oggetto e Soggetto, di Non-io e di lo, di Natura e Spirito: l'Assoluto si coglie solo nell' Arte. L'Arte è quindi l'organo dell'Assoluto, identità di Ideale e Reale, Spirito e Natura, lo e Non-Io, Teoretica e Pratica. L'artista è un genio guidato da un'intuizione profonda, inconcepibile sia per l'Io teoretico che per l'Io pratico, e l'Assoluto è quindi un'intuizione possibile solo per l'artista. Per questo l'idealismo schellinghiano è definito "Idealismo Estetico". 4. La "filosofia dell'identità" e la grande aporia del sistema schellinghiano. L'Assoluto è quindi la perfetta coincidenza degli opposti e niente è fuori dell' Assoluto: l'Assoluto, inteso come Arte, è quindi identità di Soggetto ed Oggetto, lo e Non-io, attività Conscia ed Inconscia, attività Teoretica e Pratica, Spirito e Natura. Il mondo empirico, tuttavia, non è perfetto: esso nasce da una progressiva differenziazione proveniente dall'Assoluto. Ecco che Schelling si trova di fronte a un dualismo insanabile: 1)da un lato l'Assoluto, l'Arte, la perfetta identità, 2)dall'altro il mondo empirico, temporale, nella sua caducità, imperfezione, storicità (anche la storia nasce, come il mondo empirico, da una progressiva differenziazione dell'Assoluto: per Schelling "la storia è un dramma del quale Dio è l'autore e l'uomo attore"). Questo dualismo non può essere risolto dalle filosofie idealistiche dell'identità: non lo aveva risolto Fichte, non lo sana Schelling. Solo Hegel sarà capace di risolvere questo problema.
Schelling, Conclusione del Sistema dell'idealismo trascendentale, parole chiave. Se l'intuizione estetica non è se la non intellettuale divenuta obiettiva, s'intende di per sé che l'arte sia l'unico vero ed eterno organo e documento insieme della filosofia, il quale sempre e con novità incessante attesta quel che la filosofia non può rappresentare esternamente, cioè l'inconscio nell'operare e nel produrre, e la sua originaria attività col cosciente. Appunto perciò l'arte è per il filosofo quanto vi ha di più alto, perché essa gli apre quasi il santuario, dove in eterna ed originaria unione arde come in una fiamma quello che nella natura e nella storia è separato, e quello che nella vita e nell'azione, come nel pensiero, deve fuggire sé eternamente. La veduta, che artificiosamente si fa della natura il filosofo, è per l'arte l'originaria e naturale.
23 SCHELLINQ: MAPPA CONCETTUALE Filosofia della natura:
Non-Io =/= Natura Natura ~-7
Spirito
Spirito (= Natura invisibile)
Il \
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V
Natura (= Spirito visibile) Idealismo estetico:
1)10=10
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2) lo -7 Non - io (inconsciamente) =attività pratica 3) lo -7 Non - io (consciamente)= attività teoretica 4) lo = spontaneità pura -7 ARTE (= Artista)
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V
+ Reale + Natura + Pratica + Oggetto + Non - lo + Inconscio
Ideale Spirito Teoretica Soggetto lo Conscio
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V ASSOLUTO ~ ARTE--/-7 MONDO EMPIRICO ASSOLUTO <-/- Filosofia . '.~
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LA FILOSOFIA DELL'IDENTITÀ
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14 HEGEL: L'ARTE COME UN "MOMENTO" NELL'IDEA. Georg Wilhelm Friedrich Hegel (1770-1831) è un pensatore fondamentale nella storia della filosofia occidentale: la complessità del suo sistema comprende tutti gli ambiti dell'esistenza umana. L'intera storia è per Hegel lo sviluppo dialettico dei vari momenti dell'Idea, che è l'Assoluto, l'identità di soggetto ed oggetto. Uno dei momenti dell'Idea è l'arte. Trattando la questione dell'estetica in Hegel, bisogna essere consapevoli che essa riguarda solo un momento del suo pensiero e che è difficilmente separabile dal resto del suo impianto filosofico. I momenti dell'Idea sono per Hegel tre: una tesi, a cui si oppone un'antitesi, e la sintesi finale, dovuta al rapporto dialettico tra i primi due. Per Hegel, l'intera storia umana non è altro che il progressivo sviluppo dell'Idea attraverso le suddette fasi dialettiche: analizzando infatti la storia, ci renderemo conto di come ogni pensiero (tesi) venga elaborato da quelli precedenti e di come, appena formulato, trovi subito un altro pensiero che lo contraddice (antitesi). La tensione (dialettica) tra i due pensieri porterà alla nascita di un terzo (sintesi). La Storia umana nella sua complessità è anche chiamata da Hegel Ragione, Spirito, Assoluto. . L'arte è per Hegel la tesi di una triade costituita anche da religione (antitesi) e filosofia (sintesi). Come avevano affermato i romantici, anche Hegel afferma che l'arte sia la manifestazione sensibile dell'Assoluto (la religione, che è l'antitesi dell'arte, segna il passaggio dalla contemplazione estetica all'adesione fideistica). Tuttavia Hegel "supera" i romantici a lui precedenti sostenendo che affinché l'Assoluto sia rappresentabile deve poter essere passibile di rappresentazione, non deve cioè tendere all'astrattezza, ma alla concretezza. Hegel afferma, in base alla sua concezione dialettica, che c'è stato un momento storico in cui le rappresentazioni artistiche non c'erano, un momento in cui si sono manifestate ed un momento in cui sono scomparse. Anche nel periodo in cui non ci sono state rappresentazioni artistiche dell' Assoluto ci sono comunque state forme artistiche. l) Il primo tentativo, fallimentare, di rappresentare l'Assoluto con l'arte si è avuto con le popolazioni precedenti alla Grecia classica. Questi popoli anelavano all'Assoluto, ma non riuscivano a rappresentarlo per due motivi: a) non avevano chiaro cosa l'Assoluto fosse, b) non avevano la capacità tecnica di plasmare la materia in modo da rappresentare l'Assoluto. Questo periodo non è perciò caratterizzato dalla rappresentazione, ma dalla ricerca di piegare la materia alle esigenze degli artisti. E' questa l'arte simbolica, tipica delle popolazioni orientali, in cui ci si sforza di rappresentare l'Assoluto, di penetrare l'esistenza, ma non ci si riesce: il risultato è l'uso dei simboli, in cui si cerca di rappresentare significati astratti (ad esempio il leone rappresenta la forza, la colomba la pace, e così via). L'espressione tipica dell'arte simbolica è per Hegel l'architettura, in cui ci si vuole avvicinare allo spirito costruendo i templi di Dio e preparando la successiva forma artistica. 2) Il periodo successivo all'arte orientale è quello dell'arte della Grecia classica: qui l'Assoluto trova la sua più idonea rappresentazione grazie all'armonia ed all'equilibrio, visibili perfettamente nelle sculture rappresentanti la figura umana ( si pensi al discobolo di Mirone, alla Venere di Milo). L'espressione tipica dell'arte classica è per Hegel infatti la scultura, in cui gli eroi e gli Dèi vengono rappresentati. 3) Il periodo successivo è quello dell' arte romantica o cristiana: qui la rappresentazione dell'Assoluto scompare per un ritorno del simbolismo, che non è però un passo indietro, ma un progresso, perché si è consapevoli del fatto, a differenza dei popoli orientali, che l'Assoluto è Spirito (il Dio cristiano), e non è rappresentabile fisicamente: la bellezza non è quella corporea dell'arte classica, ma quella spirituale. Le espressioni tipiche dell'arte romantica sono tre: pittura, musica e poesia. Queste ultime due sono le più nobili, perché più vicine allo Spirito e "trapassano la prosa del pensiero". Analizzando questa diagnosi hegeliana, è da notare come per Hegel prima dei greci non ci sarebbe stata scultura e prima dei romantici non ci sarebbero state pittura, musica e poesia: le considerazioni hegeliane non vanno però prese in senso letterale ed assoluto, ed è comunque vero che, anche se c'è stata poesia prima del Romanticismo, essa aveva un valore eminentemente letterario, mentre è con i romantici che diventa manifestazione dell' Assoluto. Allo stesso modo, architettura e scultura hanno
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continuato ad esistere anche dopo la Grecia classica, ma è solo in Grecia che hanno avuto il ruolo privilegiato di essere rivelatrici di verità. L'arte orientale ricercava la rappresentazione dell' Assoluto senza raggiungerla, l'arte classica la raggiungeva, l'arte romantica la oltrepassava: sta per iniziare il momento della religione e per morire quello dell'arte (Hegel parla esplicitamente di "morte dell'arte"), in cui 1'Assoluto non viene più rappresentato, ma gli si offiirà devozione. Ma quale arte "muore" per Hegel? Muore l'arte come manifestazione dell' Assoluto, restano le 'singole arti' come espressioni individuali dei singoli artisti: l'arte non potrà quindi più avere, per Hegel, un valore oggettivo ed Assoluto, ma soggettivo ed immanente. Rimane grandioso il tentativo hegeliano di collegare arte e storia: anche dalla concezione estetica si comprende come Hegel fosse un intellettuale consapevole del tempo in cui visse. Si consideri la seguente mappa concettuale: CONCEZIONE DELLA STORIA
D I A L E T T I
C A
orientale I_ classica TESI = = = > SOGGETTO = = = = = = = = = = = = = = = > AR TEI_ romantica ANTITESI= > OGGETTO= = = = = = = = = = = = = = = = > RELIGIONE SINTESI = =>ASSOLUTO (SOGGETTO + OGGETTO) = > FILOSOFIA
L'Estetica di Soren Kierkegaard: la rivincita dell'individuo come "Singolo".
Uno dei più attivi contestatori di Hegel fu il danese Soren Kierkegaard (1813-55, tra le sue opere si ricordino Aut-Aut e Diario di un seduttore) che si oppose violentemente all'Idealismo in nome del valore esistenziale del singolo: nel primo Ottocento possiamo quindi già vedere il precursore dell 'Esistenzialismo contemporaneo, che nel Novecento prenderà infatti il nome di "Kierkegaard Renaissance". Secondo Kierkegaard il sistema hegeliano fagocita l'individuo, il singolo uomo, che non è più un soggetto capace di autodetenninarsi, di scegliere il proprio futuro, di autodetenninarsi. Se tutta l'umanità è infatti "incanalata" nel processo dialettico, l'individuo non può essere libero nelle sue scelte, né è libero di condurre uno stile di vita diverso dagli 'altri. Vivere significa per Kierkegaard avere la possibilità di scegliere tra vari modelli di vita che ci si presentano. I modelli fondamentali di vita che ci si 'presentano per Kierkegaard sono tre: sono tre tipologie di vita assolutamente separate ed incornunicanti, tra loro non c'è alcun nesso dialettico, ma c'è invece un abisso e solo la nostra scelta ci pone in uno di essi, nel senso che una scelta esclude l'altra. Il primo modello di vita è quello estetico, caratterizzato dall'assenza di scelta e dalla ricerca occasionale del piacere, dal continuo lasciarsi vivere: ciò che soddisfa l'esteta è la continua insoddisfazione perché l'esteta, appena realizza una soddisfazione, immediatamente se ne distacca per cercare nuovi piaceri, ma questi piaceri sono tutti transitori, non si giunge mai ad una realizzazione definitiva. Il modello ideale di esteta è per Kierkegaard il seduttore, personificato nella figura del don Giovanni. Il seduttore kierkegaardiano non ha un desiderio di conquista programmato: appena sedotta una fanciulla, l'abbandona in cerca di nuove superficiali esperienze. L'esteta non desidera il matrimonio perché non vuole impegni, non progetta il futuro, ma cerca solo l'immediatezza, l'immediato piacere, l' "hic et nunc" (il "qui e l'ora"), l' "istante", secondo il noto motto latino del "carpe diem" ("cogli l'attimo"). Afferma in proposito Kierkegaard che se all'esteta regalassero una bacchetta magica per soddisfare tutti i piaceri, una volta passato da un'esperienza ad un'altra, userebbe la bacchetta "per pulirsi la pipa". La vita dell'esteta è una vita senza punti fissi di riferimento, una vita di non programmate soddisfazioni che smettono di interessare non appena raggiunte. Questo atteggiamento può essere, per Kierkegaard, consapevole o inconsapevole, da parte dell'esteta, ma è più frequente l'inconsapevolezza. La vita estetica per Kierkegaard approda però necessariamente soltanto alla disperazione, appena l'esteta si rende conto dell'inconsistenza delle proprie azioni, vacue, inautentiche e prive di progetti e basate sul nulla. La consapevolezza di ciò produce nell'esteta anche un atteggiamento malinconico: la malinconia, successiva alla disperazione, è dovuta al consapevolezza di sapere che nessuna meraviglia e nessuna ricchezza del mondo potrà mai renderlo felice. Ma grazie alla malinconia l'esteta sa che una minima sensazione, come un tramonto, una parola affettuosa, la vista di un cucciolo, può procurargli una gioia immensa. Tuttavia questa ricerca di piccoli e sempre immediati piaceri è estenuante e logora lo spirito, che cerca una via d'uscita per liberarsi dall'angoscia esistenziale: l'unica via d'uscita è un "salto", una "scelta radicale" che conduce agli altri stadi della vita, come quello etico e quello religioso, che sono, per Kierkegaard, gli altri due possibili modelli di vita. Kierkegaard ha avuto il merito di proiettare con forza dirompente l'estetica nella vita quotidiana: con le sue riflessioni il filosofo danese ha impresso una forte impronta esistenziale alla disciplina dell'estetica, che finora è stata invece strettamente legata all'arte ed agli artisti. L'estetica, come possibile scelta di uno stile di vita, diventa quindi parte integrante della vita di ognuno.
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19 KIERKEGAARD: MAPPA CO .•TCETIUALE SINGOLO = VITA = POSSIBILITA' DI SCELTA = LIBERTA' => ANGOSCIA
Il Il Il \ I
V
.
A) Stadio Estetico (es.: don Giovanni) => Disperazione
Il Il Il
ANGOSCIA
\ I V B) Stadio Etico (es.: buon marito) => Noia
Il Il .11
ANGOSCIA
~ Rifiuto di Dio = malattia mortale ("un eterno morire senza morire")
\ I
V C) Stadio RELIGIOSO (es. : Abramo) => "Salto Mortale" nell'Ignoto ( = Assoluto) = Il = forma autentica dell'esistenza finita, \ I cioè della vita EticaIReIigione => Fede come scandalo e paradosso
AR THUR SCHOPENHAUER (1788-1860): L"ARTE COME ""FUGADAL DOLORE". La vita umana, nel mondo terreno, che il filosofo definisce "mondo come rappresentazione", oscilla tra la noia e il dolore, e la stessa storia umana è lasciata al caso: Schopenhauer si scaglia contro l'ottimismo storicistico degli illuministi e dei romantici quali Hegel, fiduciosi nei progressi apportati dalla ragione. Le conquiste umane nel mondo della rappresentazione sono per Schopenhauer momentanee e causa di solo dolore: come un dolore viene superato, si piomba nella nora
Ci si può liberare dalla noia e dal dolore inizialmente mediante l'arte: nella contemplazione estetica l'uomo si dimentica del mondo della rappresentazione, ma l'arte è una via provvisoria di liberazione, perché sempre legata al mondo fenomenico, anche se l'artista si pone come "puro occhio contemplante", in quanto l'arte è libera, è conoscenza disinteressata; a differenza della scienza e delle altre forme di conoscenza, l'arte contempla le pure forme senza desideri da appagare. L'arte offre quindi un'oasi di serenità tra il dolore e la noia, in quanto, "tuffandoci nell' arte" si dimenticano le necessità che si avevano prima e che ci hanno causato noia o dolore. L'arte, per Schopenhauer, non è universalmente valida, ma presenta al suo interno una gerarchia: il grado più basso dell'arte è l'architettura, perché ha un'utilità pratica e "oggettivizza" la materia inorganica. Su un piano più elevato il filosofo colloca scultura e pittura, perché possono "oggettivare" sia realtà inorganiche che organiche. Superiore ad esse è però la poesia, perché canta i sentimenti umani, ma il vertice dell'arte è costituito dalla tragedia, che è l'oggettivazione più alta della Volontà, è "lo specchio della vita": la tragedia rappresenta infatti la scissione interna alla Volontà, dovuta al contrasto tra il desiderio di vivere e la realtà della morte. Al di fuori di questa scala gerarchica, Schopenhauer pone la musica, la forma artistica sublime assoluta, perché la musica è la rappresentazione stessa della Volontà, è l'espressione, la manifestazione, la rivelazione della Volontà assoluta senza bisogno di mediazioni con la realtà fenomenica. Con la musica, per uscire dal mondo della rappresentazione, non c'è bisogno di cercare la Volontà, questo principio Unico ed irrazionale, perché la Volontà "viene suonata". Ma l'arte, in tutte le sue forme, resta comunque legata al mondo della rappresentazione ed è quindi una via provvisoria di liberazione dal dolore e dalla noia. Un altro tentativo, sempre provvisorio, per superare noia e dolore è offerto dall'etica, ma anche questo è sempre legato al mondo fenomenico; la unica via definitiva di liberazione è offerta dall'ascesi, sia quella orientale che quella praticata dai primi cristiani.
')0 SCHOPENHAUER: MAPPA CONCETTUALE i. Inni Vedici ii. Upanishad iii. Platone iv. Kant
~ "Velo di Maja" /Intima Essenza delle cose 7 "Velo di Maja" /Intima Essenza delle cose 7 Mondo sensibile/Iperuranio 7 Fenomeno I Noumeno ( + spazio, tempo, Il Il causalità) \" I
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\ Il I
V
V
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mondo fenomenico della rappresentazione ,Noiaf-Vita umana-è-Dolore
IVI lE I ILI
Intima Essenza delle cose
101 VOLONTA'
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Arte I(via provvisoria)
I
17
Etica----------I(via provvisoria) 17 Ascesi Nolontà 1 (via definitiva)
IDI II I
IMI IAI IYI I AI 7 Orientale e Cristiana ~
FRIEDRICHNIETZSCHE:
-"L"ARTE E" VITA"
Influenzato inizialmente dalla concezione pessimistica della vita di Schopenhauer e del grande musicista Richard Wagner, dai quali in seguito se ne distaccherà, ne La nascita della tragedia (1872) Nietzsche (1844-]900) ribalta i valori del mondo classico, greco e rivaluta le prime filosofie naturalistiche dei "presocratici" sulle filosofie sistematiche, corrotte ed asservite ad un sistema, quali quelle di Socrate, Platone, Aristotele. Rivaluta il mito di Dioniso, passionale, primitivo, ferino, bestiale, istintivo, sensuale, su quello di Apollo, perfetto, classico, greco, olimpico, entrato nel culto ufficiale della polis. Nella visione tragica della vita si ritrova un'umanità in pieno accordo con la natura, mentre la tragedia di Euripide, come le filosofie di Socrate, Platone, Aristotele, con presunzione sillogistica e razionale portarono alla decadenza lo spirito dionisiaco. Con Euripide è quindi morta la tragedia, mentre la pienezza dello spirito classico era stata per Nietzsche interpretata da Eschilo e Sofocle hanno cantato la tragica vitalità dell'uomo attaccato alla vita ed a quei valori naturali non ancora corrotti dal cristianesimo. Il pessimismo di Nietzsche non è quello dei vinti, ma quello legato ad una visione tragica della vita. Ne La gaia scienza Nietzsche si scaglia contro il cristianesimo, che ha "sbandierato l'etica degli schiavi", dei vinti (la religione cristiana, appunto), che è quella che purtroppo ha trionfato nel mondo occidentale. Bisogna abbattere la morale cristiana, quella degli schiavi, per far trionfare "l'etica dei padroni", quella dionisiaca, che nella sua ferinità è bella, aristocratica, nobile. Ne L'Anticristo Nietzsche maledice il cristianesimo, che ha esaltato ciò che è nocivo all'uomo: Cristo, con le sue parole, ha solo caricato l'umanità di catene. Il cristianesimo è per questo la religione dei deboli e degli schiavi, fondata sulla compassione, contro gli istinti di una vita intensa. Nietzsche non risparmia la propria ironia al Dio cristiano, che conduce a morte se stesso e comanda agli uomini di amarsi in nome di quel Dio che è morto. Inoltre Nietzsche accusa di ipocrisia il cristianesimo e parafrasando il vangelo di Luca scrive "Chi si umilia, vuoI essere innalzato". In questo senso per Nietzsche l'arte è la forma più alta di espressione umana: la musica, la scultura, la commedia e la tragedia recuperano quello spirito dionisiaco primitivo che è andato perduto con l'avvento del cristianesimo. Lo spirito dionisiaco trova sublime realizzazione nella musica. L'arte smaschera i falsi valori per risvegliare quegli impulsi vitali propri dell'uomo e non di Dio, quegli impulsi umani che l'ipocrita morale cristiana ha invece inibito per secoli .
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31 Benedetto Croce: l'estetica
come attività teoretica dello S irito.
Nel Breviario di estetica (incluso nei Nuovi saggi di estetica, 1920) Croce (1866-1952) sostiene che tutti sanno cos'è l'arte o almeno ne hanno una va a idea in uanto altrimenti non si orrebbero questa domanda; Croce dà qui, inoltre, una prima definizione di "arte" come "sentimento lirico". Nell'Estetica come scienza dell'espressione e linguistica generale (1902, l'opera è nota anche come 'Grande Estetica' ) Croce afferma che tale "sentimento lirico" è "conoscenza intuitiva" ed è una cate oria erfettamente autonoma e irriducibile alle altre tre cate orie dello S mto lo 'ca economia, etica). Più precisamente, Croce sostiene che l'arte è una forma d'espressione individuale: l'espressione nasce naturalmente dall'intuizione, è uno spontaneo prodotto dell'intuizione, perché prima si intuisce e poi si esprime. Il nesso tra intuizione ed espressione è una "sintesi a priori estetica"; Croce usa questa terminologia kantiana perché nell'arte non c'è differenza tra forma e contenuto, che costituiscono perciò tale sintesi; scrive infatti Croce che "il sentimento senza l'immagine è cieco, e l'immagine senza il sentimento è vuota" (cfr. Breviario di estetica, in Nuovi saggi di estetica, 1920), il sentimento è uindi il "contenuto" dell'imma ine che costituisce il "contenente", il 'ricettacolo'. Mediante il sentimento, l'arte acquista non un valore articolare ma universale cosmico in uanto il sentimento artistico ci consente di ardare l'universo con la luce dell'intuizione (cfr. Il carattere di totalità della efipressione artistica, in Nuovi saggi di estetica): "il singolo palpita della vita del tutto, e il tutto è nella vita del singolo". Scrive ancora il filosofo che "In ogni accento di poeta, in ogni creatura della sua fantasia, c'è tutto l'umano destino, tutte le speranze, le illusioni, i dolori e le gioie, le grandezze e le miserie umane, il dramma intero del reale, che diviene e cresce in perpetuo su se stesso, soffrendo e gioendo". Per Croce è quindi impossibile non riuscire ad esprimere ciò che s'intuisce: tanto s'intuisce ed altrettanto si esprime. L'intuizione non è una prerogativa dei grandi artisti o dei geni, ma è comune a tutti gli uomini; la differenza tra uomini comuni e geni è solo quantitativa e non qualitativa, l'artista intuisce' di più' rispetto all'uomo comune. Ognuno di noi è quindi un piccolo poeta, un piccolo musicista, un piccolo artista che non sa creare, ma che ricrea, in quantità minore rispetto al gemo. Croce nega inoltre la distinzione tra generi letterari (comico, drammatico, epico, lirico, eccetera), in quanto l'arte non conosce questi confini, che sono invece propri dell'intelletto: la separazione in generi letterari è per Croce un'intrusione della categoria della logica in quella dell'estetica (Croce fa qui propria, come si comprende, una tesi romantica, di estrazione manzoniana). Anche il linguaggio, inteso come espressione, è arte, è una forma artistica, e le distinzioni grammaticali del linguaggio costituiscono una nuova intrusione della logica nell'estetica. Il Bello, sostiene in seguito l'estetologo, appartiene solo allo Spirito, e la bellezza fisica non esiste, è solo il risultato di una tecnica artistica, e le "tecniche artistiche" appartengono ali' attività pratica, !lQ!1 a quella estetica. L'artista, per Croce, 'scompare', in quanto non è altro che la sua arte: Dante e Shakespeare sono "la loro opera poetica", "il poeta è nient'altro che la sua poesia". Questo lo si comprende solo tenendo presente la tesi idealistica, secondo cui ad agire non è l'uomo, ma è lo Spirito attraverso l'uomo; l'uomo, l'artista, è quindi solo un mezzo, ed in questo consiste quindi la spiritualità dell'arte, l'arte intesa come attività dello Spirito. Si consideri la seguente mappa concettuale:
ARTE = SENTIMENTO LIRICO INDIVIDUALE = > INTUIZIONE < = = > ESPRESSIONE
Il Il Il Il
(presente in tutta l'umanità, in quantità maggiore o minore, ma non solo nei geni) \
Il Il Il Il /
FORMA
V < = = > CONTENUTO
Il Il \
/
\
V
11 Il /
\
V
/
V
IMMAGINE <
==> Il Il
SENTIMENTO
\ / V SINTESI A PRIORI ESTETICA
Il Il \ / V VALORE UNIVERSALE DELL' ARTE = > = > UNO < = = > TUTTO; SPIRITO = ARTE =>ARTE =/= ARTISTA => =>SPIRlTO => artista => ARTE; ARTE =/= GENERI LETTERARI (LOGICA); ARTE => LINGUAGGIO (ESPRESSIONE); ARTE =/= GRAMMATICA (LOGICA).
ASPETTI E PROBLEMI DELL'ESTETICA CONTEMPORANEA. l. Introduzione. Dall'Ottocento in avanti l'estetica conosce una grandissima fioritura perché non è più limitata ad essere un settore della filosofia, ma conquista un proprio spazio come disciplina autonoma. Questo non accadeva con Platone, Aristotele, nel medioevo e nel Rinascimento, ma inizia a profilarsi solo nel 1750 quando Baumgarten nell'opera Aesthetica detta i canoni della materia. L'opera di Baurngarten è proseguita da Kant nella Critica del giudizio: l'arte assume un valore non più soggettivo, ma oggettivo. Ma solo nel Romanticismo l'artista è veramente libero, come si è visto, di seguire la sua ispirazione, anche se una certa libertà l'aveva già conquistata nel Rinascimento. In ogni caso l'estetica contemporanea si caratterizza molto di più per la presenza di correnti di pensiero che non di singolo filosofi isolati. 2. La sociologia dell'arte. Verso la fine del XIX secolo Hippolyte Taine (1828-1893) e Jean-Marie Guyau (1854-1888) sostennero che l'estetica dovesse seguire gli stessi principi delle scienze, e quindi dovesse limitarsi a constatare e spiegare, senza giudicare, condannando o lodando: si nota l'influsso del clima positivistico, in cui la fiducia nella scienza è quasi incondizionata. L'estetica diventa una scienza paragonabile quindi alla botanica o alle scienze esatte; in questo contesto di scientificità dell'arte diventa importante il contesto storico in cui l'artista si trova ad operare. Taine in modo particolare ha ideato questo metodo scientifico per l'estetica, fornendo così una "sociologia dell'arte" (siamo in clima positivistico, in cui nasce infatti anche la sociologia come scienza). Il metodo scientifico di Taine prevede tre fasi: a) dobbiamo ricercare le caratteristiche simili tra l'opera di un artista e le altre opere della stessa mano; b) dobbiamo ricercare le caratteristiche simili tra i' artista ed altri artisti della medesima corrente, perché l'artista non è isolato, ma appartiene ad una particolare corrente; c) dobbiamo ricercare le caratteristiche simili tra la corrente a cui appartiene l'artista ed il contesto storico e politico in cui si trovano. Ad esempio, per studiare la "Gioconda" si deve ricercare ciò che è comune con altre opere di Leonardo, ciò che è comune con artisti che afferiscono alla sua scuola, ciò che è comune con il tempo in cui è vissuto Leonardo: non è quindi possibile per Taine, studiare un'opera d'arte isolandola dal contesto in cui è stata concepita e realizzata. 3. La psicologia dell'arte. Nei contesto del Positivismo è nata anche una psicologia dell'arte, il cui massimo rappresentante è Sigrnund Freud (1856-1939), il padre della psicoanalisi, ovvero della psicologia dell'inconscio: per Freud è innegabile che l'arte eserciti un fascino, sia questa musica o arte figurata. Freud si chiede quale possa essere il motivo di tale fascino sul pubblico e quale possa essere il motivo ispiratore per l'artista. Per Freud, in ognuno di noi c'è un potenziale artista: anche un bambino, in un certo senso, quando gioca è un artista perché crea un mondo di sua invenzione. Sia l'artista che il bambino giocano con la fantasia, attingono alla loro fantasia, sia l'uno che l'altro sanno di non poter incidere sulla realtà, ma, nonostante questa consapevolezza, compiono il loro gioco con assoluta serietà. L'artista è un uomo adulto che continua a giocare mediante l'arte, nonostante la società abbia relegato il gioco ai soli bambini. Anche l'adulto che non è artista "continua a giocare", o mediante i propri hobby o "sognando ad occhi aperti", ma nasconde questi suoi giochi alla società, perché sa che la società adulta e seria li respingerebbe. L'artista può invece giocare con la sua arte liberamente perché il prodotto artistico diventa patrimonio comune e non ha quindi bisogno di nascondersi, a differenza dell'uomo comune.
4. La religione dell'arte. In opposizione alle tesi positivistiche si levò la voce di John Ruskin (1819-1900), per il quale l'arte doveva imitare la natura, che, a sua volta, era opera di Dio: l'arte è quindi concepita in funzione della rivelazione della verità suprema, che è Dio. Si nota, in questa posizione religiosa, una sintesi tra le tendenze medievali e quelle romantiche. Qualsiasi manifestazione artistica è per Ruskin manifestazione della fede: in base a quest'idea vede, ad esempio, nella decadenza del gotico la decadenza dell'aspetto spirituale della civiltà. L'arte dev'essere quindi al servizio della religione e della morale e non è ammessa l'idea dell' "arte per l'arte", dell'amore per il bello in quanto tale. Le teorie di Ruskin hanno un fine utopistico: Ruskin credeva in una società più umana e spirituale, e per questo criticò come alienante la nascente "società delle macchine", ovvero l'industrializzazione dell'età positivistica. Le idee di Ruskin avranno un certo peso nell'Inghilterra del '900, ma il suo rifiuto per la società industriale testimonia un'utopia rivolta al passato e destinata ad essere perdente al confronto di un'altra utopia, quella marxista, rivolta al futuro. 5. "Giochi di specchi" nell'arte contemporanea: Bloch, Lukàcs, Adorno. Nel Novecento l'estetica si confronta con il marxismo: tale confronto produrrà la cosiddetta "avanguardia storica" dell'arte, rappresentata dall'espressionismo, dal futurismo, dal dadaismo, dal surrealismo e da tutte quelle correnti che spezzano il legame con la tradizione. Ernst Bloch (1885-1977), cristiano e marxista utopico al tempo stesso, fu uno strenuo difensore dell'espressionismo: per Bloch l'avanguardia espressionista contiene, seppure nascosti, i segni di una futura realizzazione dell'umanità e della società, più giusta. L'arte parla quindi della condizione umana, sia pure in modo criptato (definì infatti l'arte come "specchio della terra"). Il filosofo ungherese Gyorgy Lukàcs (1885-1971), marxista non religioso, è un grande esperto di estetica: riprende la tesi dell'arte come specchio della realtà e studia in modo particolare la tragedia, perché proprio nell'arte tragica l'uomo evidenzia le proprie difficoltà esistenziali e si trova, come in uno specchio, faccia a faccia con se stesso e può osservare la sua vera natura e la sua vera condizione. Per Lukàcs infatti la natura umana si rispecchia in tre ambiti: quello della vita, che è individuale, e quello delle scienze e della filosofia, che è universale e che riguarda quelle conoscenze intellettuali valide per tutti e quello de Il' arte, che è un elemento particolare legato a quella specifica opera d'arte, ma valido per tutti. L'esempio proposto da Lukàcs è quello di Shylock, il protagonista de Il mercante di Venezia di William Shakespeare: Shylock è una figura specifica, una creazione artistica shakespeareana, ma al tempo stesso incarna tutti i caratteri tipici dell'avido commerciante ebreo; nel suo cinico attaccamento al denaro mostra infatti delle caratteristiche eterne e riscontrabili altrove. Successivamente Lukàcs ripudierà questa interessante visione dell'arte per aderire in modo più ortodosso al marxismo, sostenendo che l'arte è la manifestazione delle strutture sociali. Il filosofo marxista tedesco Theodor Wisengrund Adorno (1903-69), uno dei fondatori della "Scuola di Francoforte", riprende le tesi di Lukàcs, anche se le sottopone ad un rigido esame critico. ~stiene che l'arte, a differenza della storia e della scienza, ha un carattere libero, dovuto alla libertà dell'artista, e per questo non ne ha il medesimo rigore, anche se porta alla luce dei processi sociali. Dall'Illuminismo in avanti, con il Positivismo e poi nel '900, l'uomo per Adorno si è progressivamente allontanato dall'arte per avvicinarsi alla scienza: la ragione ha trionfato sul sentimento, e quindi anche sull'arte. Adorno ricorre al mito di Ulisse tentato dal1e sirene: l'uomo contemporaneo è Ulisse, che si fa legare alI' albero maestro della propria nave per impedire alla sua volontà di seguire il magico mondo dell'arte, rappresentato dal soave canto delle sirene. L'uomo, pur sentendosi attratto dall'arte, preferisce seguire la strada del progresso scientifico. L'arte è quindi la nostalgia per un mondo idilliaco irrimediabilmente perduto. Adorno mantiene poi una visione elitaria dell'arte, che è comprensibile a pochi eletti e non può essere fruita dalla massa, che è priva di sensibilità estetica e di capacità di analisi critica: questo lo porterà a tenere in scarsa considerazione la nascente cinematografia. In conclusione l'arte è "uno specchio" sia per Lukacs che per Adorno, ma mentre per il primo è uno specchio reale, "intero", per Adorno è invece uno
"specchio incrinato", infranto dalla necessità del progresso, è uno specchio che deforma la realtà, pur manifestandola. 6. John Dewey: il "ritorno" all'estetica. Il pedagogista americano John Dewey (1859-1952) ha offerto un notevole contributo anche all'estetica: in tendenza controcorrente ha cercato di definire il campo d'azione di questa materia, negando ad essa un valore universale che non le competerebbe. Per Dewey l'opera d'arte è infatti sempre un'esperienza particolare ed ha quindi un carattere peculiare e non universale. 7. Il contributo italiano: Pareyson e Croce. Anche l'Italia annovera grandi figure nella storia dell'estetica, con Benedetto Croce (1866-1952), Luigi Pareyson (1918-1991), Anceschi, Banfi, Galvano Della Volpe, Umberto Eco, Gianni Vattimo. Per Pareyson, come per Croce, intuizione ed espressione sono intimamente collegate, ma ciò che rende possibile la definizione di "opera d'arte" è il secondo momento, quello espressivo, creativo, e non quello intuitivo, che è limitato solo all'artista e non coinvolge il pubblico. Si può parlare di estetica anche nel momento intuitivo solo se l'artista, mentre esprimeva, intuiva, solo cioè se espressione ed intuizione coincidono. Nel vero artista, afferma Pareyson, i due momenti coincidono e l'opera d'arte non viene quindi "pensata prima a tavolino" e poi realizzata, ma pensiero ed azione sono un tutt'uno nel senso che si implicano vicendevolmente. Non si possono quindi determinare a priori le regole dell'arte e dell'estetica perché non si può definire artistico un progetto, un pensiero, un'idea, ma solo il risultato, il prodotto. L'opera d'arte riuscita, attuata, per Pareyson è un arricchimento spirituale per l'artista, una crescita formativa della persona dell'artista quindi, ma anche la sede privilegiata della verità, la quale si può però cogliere solo attraverso un' interpretazione dell' opera d'arte stessa: questa teoria dell' interpretazione è l'ermeneutica. Benedetto Croce ha avuto un peso mai tanto incisivo nella cultura italiana che merita una trattazione a parte. 8. "Conclusioni": "fine dell'estetica" o "estetica della fine"? Da Vico, Baumgarten e da Kant in avanti, come si è detto, l'estetica ha guadagnato un proprio spazio ed una propria dignità, indipendente sempre più dalla filosofia rispetto alle precedenti tradizioni classica (con Platone ed Aristotele), medievale (con Agostino e Tommaso) e Rinascimentale (con Leonardo da Vinci e Leon Battista Alberti), ma, rapportandosi con altre discipline, quali l'ermeneutica e l'epistemologia, si è in parte frammentata e per questo si assiste oggi ad un certo declino de Il'estetica. Tre filosofi si sono interrogati su questa crisi dell'estetica contemporanea: Martin Heidegger (18891976), Hans Georg Gadamer (1900-2001), Jacques Derrida (nato nel 1930). Heidegger sostiene che tutta la filosofia occidentale, da Platone in avanti, ha cercato di spiegare l'essere, ma invano, perché l'essere trascende ogni spiegazione per sua natura, è inconoscibile. Non si può neanche "discutere" l'essere (Heidegger riprende la problematica di Parmenide e di Platone nel Parmenide). La società contemporanea industrializzata ha dimenticato l'essere: siamo ora infatti nell'età dell' "oblio dell'essere". Non si può spiegare l'essere con la filosofia razionale, lo si può solo cogliere con l'arte, che usa un linguaggio particolare, quello dell'allegoria e del simbolo. L'arte è al tempo stesso rivelazione di verità (sull'essere), nascondi mento di verità grazie al suo particolare linguaggio allegorico e simbolico ed espressione del proprio tempo storico. La verità nell'opera d'arte quindi si storicizza e proprio per questo si manifesta e si nasconde al tempo stesso: la verità ha infatti per Heidegger una dimensione metafisica che non può manifestarsi se non anche celandosi contemporaneamente. Solo in questo modo l'arte soccorre l'uomo nelle sue angosciose domande esistenziali sulla vita e sulla morte: l'arte rivela le verità più profonde della condizione umana e pertanto parla all 'uomo di sé stesso. Si nota come la concezione estetica di Heidegger risenta della sua filosofia esistenzialista (Heidegger sostiene che l'uomo fa dei progetti nel mondo, e si trova di fronte ad una serie di scelte, ma spesso si dimentica di non poter scegliere di non morire e pertanto dimenticarsi della morte significa vivere in maniera inautentica, mentre solo colui che assume la morte come "possibilità-base" de Il' esistenza vive autenticamente).
Gadamer riprende la tesi heideggeriana sull'arte come rivelatrice di verità: l'estetica è quindi per Gadamer una disciplina teoretica e l'arte è strettamente legata a materie quali la filosofia e le scienze. L'arte non è mai un'imitazione, perché nasce dall'ispirazione originale e creativa degli artisti, anche quando attinge ad un modello (Gadamer nega qui la tesi platonica sull'arte come mera copia): non esisterebbe infatti, afferma Gadamer, il gioco del calcio senza partite di calcio. L'opera d'arte è un arricchimento per l'essere e per l'artista stesso, in quanto è superiore e trascende lo stesso artista, che viene quindi superato dalla sua stessa ispirazione, che si traduce poi in opera. Su queste affermazioni s'innesta il pensiero conclusivo di Derrida, per il quale un prodotto artistico dice sempre qualcosa di nuovo, aumenta la verità, e non è mai una semplice e passiva riproduzione. La sua attenzione si concentra sul testo scritt~eriprende il mito platonico di Theuth sul linguaggio: il faraone egiziano Thamus rifiuta l'offerta cful dio Theuth che gli sta donando la scrittura. Allo stesso modo per Derrida tutta la filosofia occidentale è basata quasi esclusivamente sulla parola, diretta interprete del pensiero, e rifiuta il testo scritto, come Thamus ha rifiutato il dono della scrittura. La parola manifesta immediatamente il pensiero mentre la scrittura interpone la mediazione grafica alla libera espressione del pensiero. Il tentativo di Derrida sarà quello di superare questa concezione logocentrica proponendo un ritorno all'analisi dei testi scritti prima di essere interpretati oralmente. Derrida ha così delineato il nuovo compito de Il' estetica, che non è più quello di giudicare l'arte, ma di "decostruire" l'arte, di "smontarla" ed in modo particolare l'arte letteraria, partendo dal puro significato del testo. Con questi ultimi filosofi e con Derrida in particolare l'estetica si è sicuramente complicata, come è naturale per una disciplina che si è arricchita di teorie nel corso dei secoli: all'inizio della storia dell'estetica si è cercato di costruire i significati dell' arte, di comprendere in quale modo l'opera potesse essere strumento di conoscenza dell' Assoluto, con Derrida si arriva al risultato opposto, alla "destrutturazione" dell'opera d'arte. Dopo questo duplice ed inverso percorso di costruzione e distruzione sembra che si sia arrivati alla fine dell'estetica, ma non è così: la storia dell'estetica non è finita, si trova solo davanti ad una svolta epocale, che la vede camminare parallelamente al crepuscolo della filosofia annunciato da Gianni Vattimo ne Il pensiero debole (in cui sostiene che la filosofia di oggi non è più in grado di pronunciarsi su problemi di carattere universale, ma deve limitarsi ad esprimere il suo punto di vista particolare sui singoli fatti storici contingenti). Probabilmente l'estetica seguirà due direttive distinte, ma collegate: l) da un lato continuerà la linea storica tradizionale, ormai vecchia di 25 secoli (nel VOsecolo a. C. Platone è infatti il primo filosofo che si pronuncia esplicitamente sul rapporto tra arte e verità), intendendo l'arte come fonte rivelatrice di verità; 2) dall'altro assisteremo ad un ulteriore smembramento dell'estetica, già iniziato al momento in cui ha voluto rendersi autonoma sia dalla filosofia che dalla storia dell'arte per porsi come "riflessione filosofica sull'arte"; in questa seconda direzione l'estetica "partorirà" nuove sezioni che non potrà più racchiudere nel suo interno e che saranno destinate ad assumere una crescente autonomia, come l'ermeneutica, la semiologia, l'epistemologia, la psicologia, la sociologia, la critica specializzata (letteraria, musicale, cinematografica, eccetera), la storia delle singole arti. Tutte queste discipline e forse ancor altre non ancora "canonizzate" sono pronte per una vita autonoma che inizia ora., ma sono tutte accomunate dal medesimo punto di partenza: ricercare la verità mediante l'opera d'arte. Questo punto di partenza di queste nuove discipline è il punto di approdo raggiunto ed offerto dalla storia dell'estetica nei suoi 25 secoli di riflessioni, è quindi il risultato della prima direttiva di cui si è parlato. Ma questi sono e restano tutti problemi aperti: in verità non si può quindi trarre alcuna "conclusione" definitiva, si possono solo tracciare delle possibili linee di sviluppo. Bibliografia fondamentale: - Calogero G., Lezioni difilosofia, 111.Estetica, Einaudi, Torino, 1960; - Ferrero A., Arte e filosofia. Breve storia dell 'estetica ad uso delle Accademie di Belle Arti, SEI, Torino, 1999.
INDICE
38 GENERALE
L'ET A' CLASSICA Programma di estetica Introduzione: che cos'è l'estetica Platone: la condanna dell'arte imitativa e la funzione pedagogica del mito L' "amore platonico" Aristotele e la rivalutazione dell'arte. La poetica come scienza pratica L'estetica epicurea e l'estetica stoica IL MEDIOEVO L'estetica di Aurelio Agostino (IVo/vo secolo): "impara dall'arte" L'estetica di Tommaso d'Aquino (XIIIO secolo) Mappa concettuale sull'estetica di Tommaso d'Aquino
p. l p. 2 p. 3
p.4 p. 5 p. 7
p. p.
8 9
p.IO
UMANESIMO E RINASCIMENTO L'estetica nell'Umanesimo e nel Rinascimento: Leon Battista Alberti e Leonardo da Vincip.l1 Lettura dai Pensieri di Leonardo da Vinci: II, X, XII, XV, XVII p.12 L'ETA' MODERNA L'estetica nel Seicento L'estetica nel Settecento e Baumgarten Giambattista Vico e la fondazione dell'estetica storicistica G. B. Vico, Principi di una scienza nuova intorno alla comune natura delle nazioni (1744). "Degnità" XXXVI, XXXVIl, L, LUI Immanuel Kant (1724-1804): la Critica del giudizio ed il problema estetico Mappa concettuale sulla Critica del giudizio Kant illuminista e romantico
p.13 p.13 p.14 p.15 p.16 p.16 p.17
OTTOCENTO E NOVECENTO Tra Criticismo e Idealismo: l'estetica di Schiller p.18 La concezione estetica nel Romanticismo p.19 Friedrich Schelling e l'idealismo estetico p.21 Lettura della Conclusione del Sistema dell 'idealismo trascendentale di Schelling p.22 F. Schelling: mappa concettuale sulla filosofia della natura, l'idealismo estetico e la filosofia dell'identità p.23 Hegel: l'arte come un "momento" nell'Idea p.24 Mappa concettuale sull'estetica hegeliana p.25 L'estetica di Soren Kierkegaard: la rivincita dell'individuo come "Singolo" p.26 S. Kierkegaard, da Aut-Aut, "lo stadio estetico" (lettura) p.27 Kierkegaard: mappa concettuale p.28 Arthur Schopenhauer (1788-1860): l'arte come "fuga dal dolore" p.29 A. Schopenhauer: mappa concettuale p.30 Friedrich Nietzsche: "l'arte è vita" p.31 Benedetto Croce: l'estetica come attività teoretica dello Spirito p.32 Mappa concettuale sull'estetica crociana p.33 Aspetti e problemi dell'estetica contemporanea p.34 Bibliografia p.37 lndice generale p.38