Marco Martini
Nazionalismo e nazionalismi
EDIZIONI ISSUU.COM
- A.
S. ED A. A. 1998/99 -
CONVEGNO E CORSO NAZIONALE DI AGGIORNAMENTO DI STORIA PER INSEGNANTI DI ISTITUTI DI ISTRUZIONE SECONDARIA DI SECONDO GRADO SUL TEMA
“ NAZIONALISMO E NAZIONALISMI “, ORGANIZZATO DAL C. I. D. I. (CENTRO DI INIZIATIVA DEMOCRATICA DEGLI INSEGNANTI) VERSILIA DI F. TE DEI MARMI (LU) NEI GG. VEN. 11 (h. 15/20 e h. 21,30/23,30), SAB. 12 (h. 9/13 e h. 15/20), DOM. 13 (h. 9/13) DICEMBRE 1998 PRESSO IL CENTRO CONGRESSI “VERSILIA HOLIDAYS” DI F.TE DEI MARMI PER LA DURATA COMPLESSIVA DI h. 20 (VENTI), AUTORIZZATO CON D.M. 26/6/98, PROT. N° 4718 DEL 3/7/98, SECONDO LE INDICAZIONI DI CUI ALL’ART. 7 DELLA DIRETTIVA 395/96, CFR. ART. 28 DEL C.C.N.L., COMMA 7 PUNTO “D” E COMMA 11. CONFERENZIERI ED ARGOMENTI DEI SEMINARI DELLE GIORNATE DI STUDIO: “Presentazione” di Paolo Viola (Università di Palermo, coordinatore scientifico del Corso); 1)“Prima delle nazioni”, Piero Corrao (Università di Palermo). 2)“Formazione dei caratteri nazionali”, Marcello Verga (Università di Firenze). 3)“Nazionalismo, identità, fraternità”, Paolo Viola (Università di Palermo). 4)“Il nazionalismo e la sinistra”, Sergio Luzzatto (Università di Macerata). 5)“Il nazionalismo e la destra”, Salvatore Lupo (Università di Catania). 6)“Nazionalismo e terrorismo”, Michele Battini (Scuola Normale Superiore di Pisa). 7)“Nazionalismo ed etnia”, Alfonso Maurizio Iacono (Università di Pisa). 8)“Nazionalismo e letteratura”, Pietro Cataldi (Università di Siena). 9)“Nazionalismo economico”, Valerio Di Chiara (Università di Parma).
Coordinatrice organizzativa del Corso: Prof.ssa Valeria Nicodemi.
Dispense dattiloscritte a cura del Prof. Marco Martini.
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-ATTI DEL CONVEGNOINTRODUZIONE DEL PROF. PAOLO VIOLA (DOCENTE ORDINARIO DI “STORIA MODERNA” PRESSO LA FACOLTA’ DI “SCIENZE POLITICHE” DELL’ UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PALERMO) SUI LAVORI DELLE GIORNATE DI STUDIO. Il tema “Nazionalismo e Nazionalismi” è un tema classico della storia novecentesca, riaperto dalla caduta dell’Unione Sovietica. E’ un grande problema della storia della fine dell’Ottocento e del primo Novecento. Resta aperta la questione sul fatto se il “Nazionalismo” può dirsi concluso oppure no. 1)RELAZIONE DEL PROF. PIERO CORRAO (DOCENTE DI “STORIA DELL’EUROPA MEDIEVALE” PRESSO LA FACOLTA’ DI “LETTERE E FILOSOFIA” DELL’UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PALERMO): “ PRIMA DELLE NAZIONI ”. Le città comunali italiane non pongono il problema di “essere nazioni”; pongono invece il problema di “dominio”. Per Sestan, il problema di “essere nazioni” si pone con le monarchie di Francia ed Inghilterra, ai tempi, rispettivamente, di Carlo Magno e degli Ottoni, e quindi ben cinque secoli prima della guerra dei cent’anni e della formazione degli Stati nazionali unitari. Per la storiografia cattolica più recente si po’ parlare, prima del ‘400, di una presenza latente del concetto di “nazione”. Nel Medioevo si individuano tre nuclei relativi all’idea di nazione: a)il nazionalismo germanico nell’Alto Medioevo; b)la negazione della presenza di differenti nazionalismi nell’età medievale; c)la nascita delle monarchie nazionali unitarie nel Basso Medioevo. Prendendo in esame il primo punto, attinente al nazionalismo germanico nell’Alto Medioevo, è opportuno notare che i Germani, in questo periodo, si consideravano un popolo eletto, un popolo scelto: questa forte tradizione di “stirpe tedesca” si tramanda nei secoli; i ducati tedeschi sono l’unione di stirpi. La fusione nel mondo romano modifica l’identità di queste stirpi germaniche in modo radicale, con la formazione delle monarchie romano-barbariche, verificatasi proprio agli albori del Medioevo. E’ il caso dei Sassoni. Le identità dei ducati di Franconia e Sassonia sono riorganizzazioni territoriali operate dall’aristocrazia franca immigrata in Franconia ed in Sassonia. Romanità pagana e cristianità sono i due sostrati essenziali di questi popoli. Fiumi d’inchiostro sono stati scritti sul problema della prevalenza o dell’incontro di una delle due componenti (germanica e cristiana) nella cultura di questi popoli. Nel campo del diritto si assiste ad una convergenza dei due elementi, alla formazione di un diritto comune contro gli “iura propria” di ogni singolo popolo. Trattando il secondo problema, quello della negazione di differenti nazionalismi nel Medioevo, è doveroso notare che Carlo Magno s’intitola “Rex Francorum et Longobardorum”, riassumendo in sé due popoli, due culture, due lingue e due legislazioni. In questo contesto i Franchi si autodefinirono “Franchi occidentali” e chiamarono i longobardi “Franchi orientali”, tendendo così a negare l’identità di un popolo. Analizzando la terza questione, relativa alla nascita delle monarchie nazionali unitarie nel Basso Medioevo, si deve innanzitutto precisare che in questo periodo l’universalismo cristiano è già in frantumi; si sono già verificati lo scisma avignonese ed il ritorno alla nazionalità italiana, con il definitivo trasferimento a Roma della sede pontificia. Impero e Papato, le due istituzioni universalistiche altomedievali sono ormai tramontate, mentre sono sorte le nuove realtà politiche particolaristiche: feudi, comuni e signorie cittadine. Il re di Francia Filippo IV°, detto “il Bello”, e Marsilio da Padova con il Defensor pacis hanno già posto, nel tardo Medioevo, le premesse teoriche della nascita del concetto di Stato. La guerra dei 100 anni, in seguito, vede il reciproco annullamento bellico di due popoli, quello inglese e quello francese, che, rinunciando entrambi alle pretese imperialistiche ed universalistiche di dominio l’uno sull’altro, si costituiscono come Stati nazionali unitari che riconoscono come capo un monarca assoluto, un re. Non si parla ancora, ovviamente, di monarchia costituzionale: se ne parlerà in Inghilterra solo nella seconda metà del
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Seicento, dopo la “Glorious Revolution” del 1688. Alla Francia ed all’Inghilterra seguiranno altri Stati nazionali unitari: la Spagna, con il matrimonio tra Isabella di Castiglia e Ferdinando d’Aragona, del 1469, che vede l’unificazione delle due grandi regioni spagnole, Castiglia ed Aragona, il Portogallo con le “Ordinanze Alfonsine” emanate dal re Alfonso, la Polonia con la dinastia degli Jagelloni, la Russia con Ivan IV°, detto “Il Terribile”, che riesce ad unificare i vari territori russi come “Zar di tutte le Russie”. L’Italia si costituirà come Stato nazionale unitario solo il 17 marzo 1861, come regno incompleto. La nascita dello Stato è il superamento dell’universalismo medievale, che trova tracce già nel pensiero dantesco; in Dante è assente l’idea di Stato, anche se nel III° libro del De Monarchia e nel VI° canto del Paradiso distingue i due poteri, spirituale, spettante al Papa, e temporale, attribuito all’Imperatore; tale distinzione dei “due Soli”, delle due guide morali e politiche dell’umanità, nella metà dell’Ottocento trapasserà nella teoria cavouriana di “Libera Chiesa in libero Stato”. Nonostante questi aspetti di “modernità” del pensiero politico dantesco non si può parlare, in Dante, come già detto, di presenza del concetto di Stato. I primi parlamenti, all’inizio dell’età moderna, sono specchi delle diverse comunità, delle diverse città con il re al centro. I primi Stati sono quindi costituiti dalle dinastie. Negli studi italiani di medievistica ci si concentra tuttavia sui comuni e non sugli Stati, che occupano cronologicamente una posizione marginale, in quanto nascono alla fine del Medioevo. 2)RELAZIONE DEL PROF. MARCELLO VERGA (DOCENTE ALL’UNIVRSITA’ DEGLI STUDI DI FIRENZE): “ FORMAZIONE DEI CARATTERI NAZIONALI ”. Attualmente esistono “caratteri nazionali”, come hanno attestato il “CENSIS” ed altri Istituti di Ricerca. Il carattere nazionale nasce in età moderna ed è un “gioco di specchi” tra ciò che un popolo vuole essere e ciò che gli altri popoli pensano di esso. E’, questo, un interessante aspetto psicologico e sociologico messo in risalto dai “comparatisti”, ossia dagli studiosi di storia e letteratura comparate. Teofrasto, filosofo del IV° secolo a.C., Giacomo Leopardi negli anni ’20 e Gambino nel Novecento hanno studiato il concetto di “carattere” a livello individuale; da Teofrasto, lo studio del carattere della persona, dopo la mediazione cristiana, ritorna in età moderna nei Pensieri di Montaigne. Lo storico latino Tacito nell’opera La Germania passa dallo studio del carattere individuale a quello di un popolo, quello germanico. Lo studio specialistico dello studio del carattere di un popolo si ha tuttavia solo a partire dal ‘500: con la rottura religiosa provocata dalla Riforma protestante si iniziano a studiare i caratteri delle popolazioni settentrionali. Perfino Erasmo da Rotterdam studia il carattere degli italiani indicandolo come quello di un popolo “poco valoroso” sul piano militare. I riformatori tedeschi considerano anche gli italiani un popolo poco tollerante sul terreno religioso. Geografi, moralisti, diplomatici ed ambasciatori (particolarmente quelli veneti e quelli veneziani), tra Cinquecento e Settecento, nelle loro relazioni riflettono sui caratteri dei popoli; questo studio si afferma nella diaristica, ovvero nella letteratura dei viaggiatori del Seicento e del Settecento. Il termine decadenza nel senso di oscurantismo spagnolo e pontificio compare alla fine del ‘600 con riferimenti negativi all’Italia, che, a causa di questo oscurantismo, ha perso la propria identità nazionale. E’ questa anche la tesi di Antonio Gramsci nei Quaderni dal carcere. Nel ‘600 contribuiscono a definire il carattere degli italiani anche le raccolte di proverbi. Gli inglesi del ‘700 spiegano le differenze tra i popoli in base al clima, in senso, cioè, deterministico, mentre altri pensano che i caratteri dei popoli siano differenziati dai sistemi politici, dai valori morali e dalle idee, come sostiene Montesquieu nel libro XIX° de Lo spirito delle leggi. Aspetti a)geografici e b)politico-giuridici sono quindi gli elementi costitutivi della fisionomia culturale di un popolo. Il processo di costruzione di una identità nazionale è difficilmente controllabile e nasce grazie ad una complessa molteciplità di elementi. Nel ‘700 si cerca, con Voltaire, Montesquieu, Rousseau di definire il carattere di Europa; l’Europa nasce ad Occidente, ma ad Oriente, dove finisce? Questo è il grande problema di studi etnici che si pongono gli intellettuali illuministici alla fine del ‘700. In questo senso, Rousseau è molto più nazionalista rispetto a Voltaire, decisamente cosmopolita;
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Rousseau vuole studiare i caratteri di un determinato popolo in quanto abitante di uno specifico territorio, mentre Voltaire ricerca il “cittadino del mondo”, come emerge nel suo Dizionario filosofico. L’idea di nazionalità alimenta tutto l’Ottocento, in cui ci si chiede, a partire da Leopardi fino a Federico Chabod (cfr. L’idea di nazione), che senso abbia parlare di nazione in una realtà politica divisa e differenziata. Altri storici, come Ruggero Romano, concordano sul fatto che sia la cucina uno degli elementi trainanti del concetto di “italianità”. 3)RELAZIONE DEL PROF. PAOLO VIOLA (DOCENTE ORDINARIO DI “STORIA MODERNA” PRESSO LA FACOLTA’ DI “SCIENZE POLITICHE” DELL’UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PALERMO): “ NAZIONALISMO, IDENTITA’, FRATERNITA’ “. Nazionalismo democratico e nazionalismo autoritario sono i due aspetti del nazionalismo ottocentesco, che riguardano il rapporto tra Stato e nazione. Il nazionalismo democratico è quello rivoluzionario e trova radici nella Rivoluzione francese. Con la Rivoluzione francese nasce una terza idea di nazione, dopo quella trecentesca (dinastica) e dopo quella secentesca (riferita al carattere). “Libertà, uguaglianza e fraternità” è una triade nata nel 1793 nel Comune di Parigi e consolidata nel 1848, con la Seconda Repubblica. Questa triade è oggi considerata il “carattere” della “Nazione francese”. Il termine fraternità è assente all’inizio della Rivoluzione francese, nella quale compaiono solo i termini di “libertà” ed “uguaglianza”; la rivoluzione è la libertà. Il concetto rivoluzionario di “fraternità” va inoltre tenuto sempre ben distinto da quello cristiano di “fratellanza”. “Libertà” ed “uguaglianza” costituiscono un dualismo che spacca la Rivoluzione e la Francia e che porterà anche alla guerra civile vandeana, che è una guerra civile “annunciata” per sconfiggere la rivoluzione dell’uguaglianza. La libertà, utilizzata dalla controrivoluzione vandeana, vuole sconfiggere la rivoluzione dell’uguaglianza. Le repubbliche giacobine, napoleoniche (Cisalpina, Cispadana, Partenopea, Ligure e Romana) sono anche chiamate “repubbliche sorelle”: in questo contesto si consolida il concetto di fraternità come indivisibilità ed unità. La Nazione francese è il Terzo Stato (come dichiara l’abate Sieyès nel suo opuscolo Che cos’è il Terzo?), che lavora e produce libertà; la nazione, in seguito, si definisce come una specie di “cittadella assediata dagli austroprussiani e dai controrivoluzionari” e non più come Terzo Stato. Questo, in occasione della guerra esterna, che, in realtà, è una guerra offensiva, ma che i francesi credono difensiva. I francesi si chiedono, di conseguenza, se i popoli nemici sono quindi nazioni, e rispondono di no, perché le nazioni sono quelle che hanno una costituzione, come la Francia e la Svizzera; la Francia è la “Grande Nazione”, mentre Austria e Prussia sono popoli barbari. A questa idea rivoluzionaria di nazione si contrappone un’altra idea di nazione, quella autoritaria e controrivoluzionaria, rappresentata in modo eclatante da Spagna e Russia. E’ un dualismo che fa appello alla religione (si parla di “Santa Russia”) ed alle tradizioni di un popolo. Durante la Restaurazione il cancelliere austriaco Von Metternich definisce l’Italia, in modo offensivo, come “un’espressione geografica”. Nel 1848 rinasce l’idea di nazione, con la Seconda e breve repubblica francese, durata dal febbraio all’aprile 1848: il termine “fraternità” è ormai entrato nella triade francese come polo sintetico e mediatore tra l’affascinante “libertà” e la tremenda “uguaglianza”. La “fraternità” è quindi l’elemento unificatore. Tuttavia si distinguono due “fraternità”, intorno al 1848, quella degli operai, che è la fraternità degli oppressi contro gli oppressori, e quella dei cattolici democratici, molto forti nel 1848, che auspicano una pacifica convivenza. Tre sono quindi i concetti di fraternità: come polo mediatore tra libertà ed uguaglianza, in senso operaistico ed in accezione cristiana. Nel 1871 abbiamo “l’ultimo atto” della Rivoluzione francese, la Comune di Parigi, l’atto più tragico, che spacca una comunità cittadina e che in pochi giorni miete tantissime vittime. Le “Rivoluzioni francesi” si chiudono definitivamente con la Terza repubblica del 1871 o Comune di Parigi. La rivoluzione è terminata, ma la dialettica interna alla triade continua. La Rivoluzione del 1789, buona, e quella del Terrore, del 1793, si trovano unite nel primo centenario della Rivoluzione nella riscoperta della figura di Danton, rappresentato positivamente dalla storiografia liberale di fine
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Ottocento e dal revisionismo di Michelet, che voleva un 1789 senza un 1793. Pochi anni dopo il primo centenario, la Rivoluzione francese è percepita positivamente, come un “blocco unico”, come sostiene Clemanceau: “La Rivoluzione francese è un blocco”, è la rivoluzione della fraternità, e continua nella guerra contro i tedeschi per le a lungo dibattute Alsazia e Lorena. Nel Novecento, le due rivoluzioni, quella “buona” e quella “cattiva”, rispettivamente del 1789 e del 1793, cioè della “Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino” e del “Tribunale rivoluzionario”, ritornano come preludio della rivoluzione socialista. Questo ha effetti nella Cina di Sun Yat-Sen del 1905; egli dichiara che i tre princìpi del popolo sono la nazione, la democrazia, il socialismo, ovvero la libertà, l’uguaglianza e la loro sintesi. Mao-Tse-Tung, nel 1949, afferma che “La rivoluzione non si interrompe” e che è “una e trina” (cfr. Pensieri). Solo in Europa la rivoluzione è internazionale, ma nel resto del mondo e nel “Terzo mondo”, ad esempio, la rivoluzione è rivoluzione nazionale di singoli popoli. Questa era anche la tesi mazziniana di “Unità e Popolo”. La rivoluzione socialista del ‘900 mostra quindi aspetti di continuità e di eredità con la Rivoluzione francese; Furet, lo storico revisionista della Rivoluzione francese (cfr. Critica della Rivoluzione francese) considera chiusa la Rivoluzione francese nel primo Novecento. 4)RELAZIONE DEL PROF. SERGIO LUZZATTO (DOCENTE ASSOCIATO DI “STORIA MODERNA” PRESSO LA FACOLTA’ DI “LETTERE E FILOSOFIA” DELL’UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MACERATA): “ IL NAZIONALISMO E LA SINISTRA”. La Rivoluzione francese è già un esempio di nazionalismo rivoluzionario: si parla infatti di “guerra rivoluzionaria” contro l’Austria e la Prussia. Nel secondo Ottocento italiano, Francesco Crispi rappresenta un esempio eclatante di associazione tra Sinistra storica e nazionalismo, inteso in senso imperialistico. Il giovane Mussolini, neutralista e socialista, ribalta in seguito le sue posizioni e trascina parte della sinistra sul fronte interventista. Il nazionalismo mussoliniano è già un esempio di “ribaltone”. Cesare Battisti è un altro appassionato nazionalista amico di Mussolini, ma intende il nazionalismo come nazione uguale e libera. Anche Salvemini si allinea in questo contesto. Nella prima guerra mondiale esiste un nazionalismo interventista e si parla ancora di “guerra rivoluzionaria”, come durante la Rivoluzione francese. Numerosi sono quindi, nella storia, gli esempi di connubio tra sinistra e nazionalismo. L’esperienza di Fiume, nella “grande guerra”, è un altro esempio di nazionalismo e massimalismo. Gabriele D’Annunzio organizza la “Lega di Fiume” intesa come un’ “antisocietà delle Nazioni”, concepita quindi come nazionalismo contrapposto all’internazionalismo. L’esempio sionista, dopo quello della Rivoluzione francese e quello fiumano della prima guerra mondiale è un terzo esempio di matrimonio tra sinistra e nazionalismo; attualmente la sinistra si dimentica troppo spesso di avere convissuto con il nazionalismo, come è invece dimostrato dagli eventi storici. 5)RELAZIONE DEL PROF. SALVATORE LUPO (DOCENTE ALL’UNIVERSITA’ DI CATANIA): “ IL NAZIONALISMO E LA DESTRA “. Norberto Bobbio, nel suo opuscolo Destra e Sinistra, ha posto il problema di come oggi sia difficile definire queste due posizioni politiche. La nazione è composta da cittadini, non da classi; la nazione è la cittadinanza politica e fonda lo Stato, che garantisce i diritti alla nazione, cioè ai cittadini. In Italia, Pasquale Villari, dopo la terza guerra d’indipendenza, attribuisce la colpa (cfr. Di chi la colpa? O sia la pace e la guerra) alla presenza ristretta di un ceto di intellettuali ed alla massiccia presenza di analfabeti. E’ questa una carenza di nazionalismo perché la nazione è il popolo ed il popolo va educato e disciplinato con l’istruzione. Lo storico medievista Volpe, in Italia in cammino (1928), descrive l’itinerario di formazione di una nazione che culmina nel fascismo. E’ questo un
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esempio di connubio tra nazionalismo e destra. Spesso la destra è associata al concetto di “nazionalismo”, connotato negativamente da sinistra. Non si può parlare, secondo Federico Chabod, di due distinti nazionalismi, uno “buono” ed uno “cattivo”, il nazionalismo è “buono e cattivo nel tempo”. Il colonialismo, ma anche il genocidio dei negri è un esempio di nazionalismo. Per la Francia della fine dell’Ottocento le terre colonizzate, come l’Algeria, entrano a far parte della nazione, ma questo è un caso eccezionale, del tutto francese. In alcuni casi, nell’Europa Orientale, la nazionalità corrisponde alla classe sociale; ad esempio, gli ucraini sono contadini. Vi sono classi di oppressi e classi di oppressori; proprio nell’Europa Orientale si svilupperà il nazionalismo di sinistra. Il nazionalismo di destra esalta la guerra come rigenerazione fisica, mentre per i nazionalisti di estrema sinistra anche nella prima guerra mondiale, chi non è adatto a fare la guerra non è adatto alla lotta di classe. Ardengo Soffici, pittore nazionalista e futuro intellettuale fascista, scrive a Mussolini condannando aspramente i neutralisti. Nel 1919 molti esponenti della sinistra passano alla destra squadrista perché lo squadrismo non esiste nel tessuto culturale della sinistra, come sostenne Giorgio Amendola. Farinacci, capo dello squadrismo, era un socialista riformista, neutralista fin dal 1915. Il nazionalismo di destra, negli anni ’30, confluirà nel razzismo di estrema destra, subordinato agli interessi della Germania. 6)RELAZIONE DEL PROF. MICHELE BATTINI (DOCENTE DI “STORIA CONTEMPORANEA” PRESSO LA FACOLTA’ DI “LETTERE E FILOSOFIA” DELLA “SCUOLA NORMALE SUPERIORE” DI PISA): “ NAZIONALISMO E TERRORISMO “. Alcune forma di etnonazionalismo hanno condotto a pratiche violente di terrorismo, come sostengono Federico Chabod (cfr. L’idea di nazione), Huizinga (cfr. Sviluppo e forme della coscienza nazionale in Europa) e Kohn (cfr. L’idea di nazionalismo nel suo sviluppo storico): questa è la principale bibliografia sul rapporto tra nazionalismo e terrorismo, in base alla quale distinguiamo cronologicamente tre fasi di rapporto tra “nazionalismo” e “terrorismo”. 1)Dalla Rivoluzione francese al 1830 si costruisce l’idea di nazione nell’Europa Orientale ed in quella Centrale. L’impero ottomano ha inglobato la Turchia e la Serbia; l’impero austroungarico ha inglobato gli Stati di Ungheria e Cecoslovacchia; la Russia ha inglobato le province Baltiche e la Finlandia. 2)Dal 1848 al 1870 nascono veri e propri movimenti politici organizzati, come afferma Sestan nel suo studio sul parlamento di Francoforte, diviso tra i due partiti dei “Piccoli tedeschi” e dei “Grandi Tedeschi”. 3)Dal 1870 al 1914 il nazionalismo conosce la sua fase crescente connessa con gli aspetti bellicistici della “grande guerra”; emergono, in proposito, i diritti delle minoranze ed il principio di autodeterminazione dei popoli. In questi anni il nazionalismo pone le basi per il terrorismo, inizialmente di tipo xenofobo, appoggiato anche da alcuni scienziati, come l’inglese Chamberlain, biologo antisemita. Dopo la pace di Versailles, al termine della prima guerra mondiale, si sfaldano gli imperi e nascono gli Stati: crolla l’impero austroungarico e nascono gli Stati di Austria, Ungheria e Cecoslovacchia e cade l’impero ottomano, con la successiva formazione degli Stati di Turchia e Yugoslavia. Si riafferma pertanto, in questo contesto, il principio di autodeterminazione dei popoli. Dopo il 1945 il mondo viene diviso in due blocchi, ma all’interno dell’Europa comunista si reprimono le minoranze etniche delle province Baltiche e della Finlandia nell’Unione Sovietica e le etnie zingare in Ungheria. Lo strumento del terrore fu usato in queste tre fasi, in modo particolare nella seconda, in quella mazziniana, come metodo di lotta dei patrioti contro i soldati austriaci.
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Nel Novecento, l’attentato dei terroristi irlandesi a Margareth Tatcher è un esempio eclatante di nesso tra nazionalismo e terrorismo. In questo quadro si inserisce anche, ovviamente, il macroscopico esempio della guerra civile yugoslava tra serbi e croati. 7)RELAZIONE DEL PROF. ALFONSO MAURIZIO IACONO (DOCENTE DI “STORIA DELLA FILOSOFIA CONTEMPORANEA “ PRESSO LA FACOLTA’ DI “LETTERE E FILOSOFIA” DELL’UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PISA): “ NAZIONALISMO ED ETNIA”. Esiste una sola razza, la razza umana, mentre esistono diverse etnie. L’etnia ha un significato essenzialmente linguistico e culturale, e non biologico. La nozione di “razza” si colloca tra i due concetti di “nazione” ed “etnia”; razza, nazione ed etnia sono nozioni di storia contemporanea di carattere economico perché si formano all’interno di una forte concorrenza economica tra Stati e popolo. Le etnie sono sistemi di protezione all’interno del mercato del lavoro. Kant sottolinea l’entusiasmo dei popoli europei verso la Rivoluzione francese, manifestazione di acquisita ed irreversibile affermazione del principio di autodeterminazione dei popoli e quindi delle etnie. Marx stesso, nella conclusione del Manifesto del partito comunista, afferma “Proletari di tutto il mondo, unitevi!” proprio per proiettare l’etnia sul piano economico della lotta di classe; i proletari, come classe sociale, costituiscono un’etnia. L’etnia si costituisce quindi come organizzazione di difesa economica contro altre etnie. L’identità si definisce pertanto come identità di un popolo contro un altro; la definizione di “identità” è quindi “antitetica” per sua natura, concetto che, estremizzato, coincide con il modello hobbesiano del “bellum omnium contra omnes” e dell’ ”homo homini lupus” (cfr. Thomas Hobbes, Leviathan e De cive). 8)RELAZIONE DEL PROF. PIETRO CATALDI (DOCENTE DI “LETTERATURA ITALIANA CONTEMPORANEA” PRESSO LA FACOLTA’ DI “LETTERE E FILOSOFIA” DELL’UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI SIENA): “ NAZIONALISMO E LETTERATURA “. Umberto Saba e Giuseppe Ungaretti sono i due poeti del ‘900 nei quali si possono intravedere tracce di nazionalismo e di italianità. Nell’Ottocento, nella canzone civile “All’Italia” di Giacomo Leopardi emerge un nazionalismo bellicoso che esalta le armi. Nelle opere più “deteriori” di D’Annunzio è ben presente la volontà di affermare un’Italia colonizzatrice. In Leopardi, l’idea di nazione rimane estranea, tuttavia, alla realtà vissuta, anche se è presente la volontà di liberare l’Italia. In D’Annunzio il nazionalismo è dominio, colonizzazione di un popolo su un altro, e non desiderio di libertà. Nella letteratura italiana dell’Ottocento e del Novecento si intravedono almeno due fasi essenziali del nazionalismo: quella della libertà e della tutela di un’identità nazionale, presente in Foscolo (cfr. il carme de I Sepolcri), in Leopardi (cfr. “All’Italia” e, ironicamente, Paralipomeni della Batracomiomachia), in Manzoni (Adelchi, I Promessi Sposi, l’ode civile “Marzo 1821”) ed in Carducci, e quella del colonialismo, presente in Verga, D’Annunzio, Pirandello, Soffici, Marinetti. Il mondo moderno ha visto la nascita di valori civili, ma sotto la luce pietosa della ragione, che ha privato di significato tali valori; il mondo della ragione è quindi distruttore, cinico e spietato, a differenza dell’età antica, fondata sull’illusione della felicità. Esempio eclatante, per Leopardi, è la Francia illuministica, che ha distrutto, con la ragione, i valori dell’amore, del desiderio, dell’onore, della virtù e della gloria, e questo si è verificato anche in Italia (cfr. Zibaldone), e per questo l’Italia non è una nazione. Per questo l’uomo moderno, per Leopardi, è condannato a tornare all’origine, alla barbarie, alla “guerra di tutti contro tutti”. Il nazionalismo italiano, nella storia letteraria, ha una sequenza episodica, riscontrabile nella letteratura del Risorgimento, in Corradini, Papini, nelle riviste novecentesche. Si può invece parlare di “nazionalismo letterario” nelle forme più che nella storia, forme quali il “purismo”, ossia la difesa della lingua contro tendenze rivoluzionarie novecentesche, come l’introduzione della psicanalisi nella letteratura. In questo senso si può stabilire l’atto di nascita del nazionalismo letterario italiano nelle Prose della volgar lingua del 1525 di Pietro Bembo.
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Forme attuali di nazionalismo linguistico si riscontrano nelle “chiusure psicologiche portate dai ”razzismi dialettali”, riscontrabili nel rapporto tra Nord e Sud d’Italia. Anche Manzoni dichiara che il toscano con cui scrive I Promessi Sposi è per lui una lingua straniera, a differenza del milanese e addirittura dl francese. In Vincenzo Monti, quasi contemporaneo del Manzoni, si usa invece una lingua totalmente artificiale, “letteraria”, “asettica”: dirà “capei” o “crine” al posto di “capelli” e “pié” al posto di “piede”; tuttavia Monti, come anche altri intellettuali del periodo, vive questa artificialità in modo del tutto spontaneo e naturale. Nel Novecento, la tutela della nazione come tutela linguistica è molto forte e trova un solido punto di riferimento nella rivista romana “La Ronda”, che torna a difendere la purezza linguistica ed il “bello” stile; l’età dello sperimentalismo linguistico di Marinetti e di scrittori fiorentini vociani, che facevano entrare storia e politica nella letteratura, è finito. Il nazionalismo linguistico, si ricordi infine, ha conosciuto anche forme di provincialismo con “Strapaese” e “Stracittà”, come sottolinea Elio Gioanola (cfr. Storia letteraria del Novecento in Italia). 9)RELAZIONE DEL PROF. VALERIO DI CHIARA (DOCENTE DI “ECONOMIA POLITICA” PRESSO L’UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PARMA): ” NAZIONALISMO ECONOMICO ”. Nel ‘400 e nel ‘500 si è convinti che la sicurezza degli stati provenga dalla ricchezza; in questo contesto prende lentamente avvio l’industrializzazione. Questa è l’espressione mercantilistica della prima età moderna. Il benessere e l’oro sono le condizioni della sicurezza. Per Adam Smith e l’economia classica la ricchezza proviene dal lavoro. Il pensiero mercantilistico e protezionistico è un’espressione del nazionalismo, in quanto ogni Stato diventa autarchico e ci si convince che è utile produrre più di quanto si consuma e che l’eccesso di produzione costituisce la ricchezza della nazione; dal punto di vista liberista, invece, l’eccesso di produzione è utile in quanto consente una maggiore importazione e questo è, per il pensiero liberista, un notevole vantaggio, anche perché produce stimoli verso nuove produzioni, stimoli dovuti al confronto con sistemi economici di altri Stati. Questo è, per i liberisti, il positivo risultato dello scambio. E’ fondamentale, per i liberisti, aumentare la produttività dei servizi e non i salari degli operai o i posti di lavoro come “operazioni fine a loro stesse”. La concorrenza e lo stimolo sono le molle, invece, dell’incremento dei posti di lavoro e dei salari e, di conseguenza, dell’aumento della ricchezza delle nazioni (cfr. Adam Smith, Saggio sulle cause e la natura della ricchezza delle nazioni). L’oro, per i protezionisti, consente ad uno Stato di avere ciò che vuole anche in termini di scambio. In seguito il dollaro diventa “moneta internazionale di scambio” in quanto unica moneta costantemente in attivo. Successivamente il dollaro conosce alterni momenti di crisi, sui quali Francia ed Inghilterra, preoccupate, si interrogano. Ogni Stato ha aumentato il proprio debito pubblico e questo incide sull’inflazione e sul cambio, che diventa sempre più instabile; anche il dollaro risente di questa instabilità. Ciò porterà ad un necessario accordo tra le politiche macroeconomiche: questa è la politica della globalizzazione che, in un certo senso, porta alla morte degli Stati, che non sono più dei “microcosmi autonomi”, sul piano economico, ma diventano interdipendenti per quanto concerne la politica dei redditi e delle imposte, e trovano convergenza nel sistema economico cosiddetto “misto”. I redditi medio-bassi vengono colpiti, le imposte vengono alzate e si parla di “futuri Stati dei poveri”. Colbert, ai tempi di Luigi XIV°, affermava che “bisogna spennare l’oca senza che questa starnazzi”, ovvero spremere il popolo senza che questo si lamenti, ma, ai tempi del “Re Sole”, “l’oca non poteva volare”, ossia non emigrava, mentre attualmente “l’oca vola”, quindi le popolazioni emigrano. Questa è dunque la causa fondamentale dell’emigrazione del ‘900 e della dissoluzione di certi aspetti etnici e quindi nazionali.
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BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO: Alighieri D., De Monarchia, l. III° e, dalla Divina Commedia, Paradiso, canto VI°; Bembo P., Prose della volgar lingua; Bobbio N., Destra e Sinistra; Chabod F., L’idea di nazione; Foscolo U., I Sepolcri; Furet F., Critica della rivoluzione francese; Gioanola E., Storia letteraria del Novecento in Italia; Gramsci A., Quaderni dal carcere; Hiuzinga, Sviluppo e forme della coscienza nazionale in Europa; Hobbes Th., De cive e Leviathan; Kohn, L’idea di nazionalismo nel suo sviluppo storico; Leopardi G., dalle Canzoni Civili, “All’Italia”, Paralipomeni della Batracomiomachia e Zibaldone. Manzoni A., Adelchi, I Promessi Sposi, dalle Odi civili, “Marzo 1821”; Mao-Tse-Tung, Pensieri; Marx K., Manifesto del partito comunista; Marsilio da Padova, Defensor pacis; Montaigne, Pensieri; Montesquieu, Lo spirito delle leggi, l. XII°; Smith A., Saggio sulle cause e la natura della ricchezza delle nazioni; Tacito, La Germania; Villari P., Di chi la colpa? O sia la pace e la guerra; Volpe, Italia in cammino. Voltarie, Dizionario filosofico.