Marco Martini QUESTIONI DI STORIOGRAFIA LETTERARIA E PROBLEMI DI PERIODIZZAZIONE DELLA LETTERATURA ITALIANA
EDIZIONI ISSUU.COM
-ANNO ACCADEMICO 1998/99-
-UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI FIRENZE-
-FACOLTA’ DI “LETTERE E FILOSOFIA”-
-DIPARTIMENTO DI “ITALIANISTICA”-
CORSO DI PERFEZIONAMENTO IN “ITALIANISTICA” :
QUESTIONI DI STORIOGRAFIA LETTERARIA E PROBLEMI DI PERIODIZZAZIONE DELLA LETTERATURA ITALIANA
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DIRETTORE DEL CORSO DI PERFEZIONAMENTO: CHIAR. MO PROF. ENRICO GHIDETTI. SEDE DELLE LEZIONI: AULA N° 1 DEL DIPARTIMENTO DI ITALIANISTICA, P.ZZA SAVONAROLA, 1, 50100, FIRENZE, TEL. 055/5032497. TOTALE DELLE ORE DI LEZIONE: 40 ORE. DURATA DELLE LEZIONI: DA MERC. 27 GENNAIO 1999 A GIOV. 15 APRILE 1999. DURATA DEL CORSO DI PERFEZIONAMENTO: 1 A. A. LA FREQUENZA E’ RIGIDAMENTE OBBLIGATORIA PER ALMENO 2/3 DEL CORSO. N° 20 GIORNATE DI STUDIO IN TOTALE. N° 10 SEMINARI DI 4 ORE L’UNO; OGNI SEMINARIO E’, A SUA VOLTA, ARTICOLATO IN DUE LEZIONI, DI 2 ORE OGNUNA, TENUTE IN 2 GIORNI CONSECUTIVI. QUOTA DI ISCRIZIONE: £. 500.000. GLI INSEGNAMENTI IMPARTITI, TUTTI A CARATTERE SEMINARIALE, SONO 5: 1)LETTERATURA ITALIANA, 2)LETTERATURA TEATRALE ITALIANA, 3)LETTERATURA ITALIANA MODERNA E CONTEMPORANEA, 4)STORIA DELLA CRITICA E DELLA STORIOGRAFIA LETTERARIA, 5)STILISTICA E METRICA. I RELATORI SONO TUTTI DOCENTI (PROFESSORI ORDINARI O ASSOCIATI) E RICERCATORI DEL DIPARTIMENTO DI “ITALIANISTICA” DELLA FACOLTA’ DI “LETTERE E FILOSOFIA” DELL’UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI FIRENZE. MATERIE: 1)LETTERATURA ITALIANA: 20 ORE (PROFF. BRUSCAGLI, TURCHI, GHIDETTI, TELLINI, DOTT. MARCHI); 2)LETTERATURA TEATRALE ITALIANA: 8 ORE (DOTT.SSA LUCIANI, PROF. BRUNI). 3)LETTERATURA ITALIANA MODERNA E CONTEMPORANEA: 4 ORE (PROF.SSA NOZZOLI); 4)STORIA DELLA CRITICA E DELLA STORIOGRAFIA LETTERARIA: 4 ORE (DOTT. BIONDI); 5)STILISTICA E METRICA : 4 ORE (DOTT.SSA AUDISIO). N.B: IL CORSO, A NUMERO CHIUSO (MINIMO 20 PARTECIPANTI, MASSIMO 50, LA SELEZIONE VIENE EFFETTUATA MEDIANTE CONCORSO PER SOLI TITOLI, DA ALLEGARE AL “CURRICULUM VITAE”), HA CARATTERE STRETTAMENTE MONOGRAFICO E SEMINARIALE ED E’ RIVOLTO A LAUREATI ED INSEGNANTI CHE INTENDANO APPROFONDIRE ALCUNE QUESTIONI LETTERARIE DI STORIA, STORIOGRAFIA, CRITICA, GENERI E METRICA DAL RINASCIMENTO AGLI ANNI ’50 DEL NOVECENTO, CON ESCUSIONE DEL SEICENTO, SECOLO CHE NON VIENE CONSIDERATO NEL CORSO. NELLA PRESENTAZIONE DI AMPI QUADRI LETTERARI SARANNO INSERITE ANALISI DI TESTI IN VERSI ED IN PROSA, DEBITAMENTE COMMENTATE. DOPO IL TERMINE DELLE LEZIONI, CON UNO DEI RELATORI (DOCENTI O RICERCATORI), E’ PREVISTA LA PRESENTAZIONE DI UNA TESI DI PERFEZIONAMENTO. LA SCADENZA PER QUANTO CONCERNE LA PRESENTAZIONE DELLA TESI (LUN. 31/05/1999) E’ RIGIDAMENTE IMPROROGABILE: NON SONO AMMESSI “PERFEZIONANDI FUORI CORSO”. L’ARGOMENTO DELLA TESI DEV’ESSERE NECESSARIAMENTE CONCORDATO CON UNO DEI CONFERENZIERI ENTRO VEN. 30 APRILE 1999. IN SEGUITO ALLA PRESENTAZIONE DI TALE TESI VIENE RILASCIATO IL “DIPLOMA DI PERFEZIONAMENTO IN ITALIANISTICA”, VALIDO COME TITOLO CULTURALE ATUTTI GLI EFFETTI DI LEGGE, SIA PER L’INSEGNAMENTO CHE PER LA RICERCA E LA CARRIERA UNIVERSITARIA. AI FINI DEI TRASFERIMENTI E DELLE GRADUATORIE INTERNE D’ISTITUTO I CORSI DI PERFZIONAMENTO SONO VALUTABILI 1 (UNO)
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PUNTO PER OGNI CORSO E DEVONO NECESSARIAMENTE RIGUARDARE LE MATERIE COMPRESE NELLA CLASSE DI CONCORSO DI INSEGNAMENTO (DI RUOLO). P.S. AGLI INSEGNANTI PARTECIPANTI AL CORSO SONO CONCESSE N° 150 ORE DI CONGEDO RETRIBUITO AL 100/100 PER MOTIVI DI STUDIO, PREVIA INFORMAZIONE, DA PARTE DELL’INTERESSATO, ALL’AMMINISTRAZIONE DALLA QUALE IL MEDESIMO DIPENDE E CON CERTIFICAZIONE, DA PARTE DEL RELATORE, DELL’AVVENUTA PARTECIPAZIONE ALLA LEZIONE. DISPENSE A CURA DEL PERFEZIONANDO DOTT. MARCO MARTINI
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ORARIO: PER TUTTE LE LEZIONI L’ORARIO PREVISTO E’ DALLE ORE 17,00 ALLE ORE 19,00.
CALENDARIO DELLE LEZIONI ED ARGOMENTI DEI 10 SEMINARI
-1) PROF. RICCARDO BRUSCAGLI, MERC. 27 GENNAIO E GIOV. 28 GENNAIO, LA QUESTIONE STORIOGRAFICA DEL RINASCIMENTO ITALIANO. (PROFESSORE ORDINARIO, LETTERATURA ITALIANA). -2) PROF. SSA ROBERTA TURCHI, MERC.3 FEBBRAIO E GIOV. 4 FEBBRAIO, PROBLEMI DI PERIODIZZAZIONE DEL ‘700 LETTERARIO. (PROFESSORE ASSOCIATO, LETTERATURA ITALIANA). -3) DOTT. SSA PAOLA LUCIANI, MERC.10 FEBBRAIO E GIOV. 11 FEBBRAIO, GENERI LETTERARI NEL ‘700: TEATRO E ROMANZO. (RICERCATRICE, LETTERATURA TEATRALE ITALIANA, RICERCATRICE). -4) PROF. ARNALDO BRUNI, MART. 16 FEBBRAIO E MERC. 17 FEBBRAIO, FRA NEOCLASSICISMO E ROMANTICISMO. (PROFESSORE ASSOCIATO, LETTERATURA TEATRELE ITALIANA). -5) PROF. ENRICO GHIDETTI, MERC. 24 FEBBRAIO E GIOV. 25 FEBBRAIO, LA STORIA LETTERARIA PRIMA DI DE SANCTIS. (PROFESSORE ORDINARIO, LETTERATURA ITALIANA). -6) PROF. GINO TELLINI, MERC. 3 MARZO E GIOV. 4 MARZO, INTRECCI DI VOCI NEL ROMANZO ITALIANO DELL’ ‘800 E DEL ‘900. (PROFESSORE ORDINARIO, LETTERATURA ITALIANA). -7) PROF. SSA ANNA NOZZOLI, MERC. 17 MARZO E GIOV. 18 MARZO, ANTOLOGIE DI POESIA DEL ‘900 ITALIANO. (PROFESSORE ASSOCIATO, LETTERATURA ITALIANA MODERNA E CONTEMPORANEA). -8) DOTT. MARINO BIONDI, MERC. 24 E GIOV. 25 MARZO, “SONDAGGI LETTERARI” SUGLI SPAZI ED I CONFINI DELLA NARRATIVA CONTEMPORANEA. (RICERCATORE, STORIA DELLA CRITICA E DELLA STORIOGRAFIA LETTERARIA). -9) DOTT. SSA FELICITA AUDISIO, MERC. 7 E GIOV. 8 APRILE, QUESTIONI DI METRICA TRA OTTO E NOVECENTO. (RICERCATRICE, STILISTICA E METRICA). -10) DOTT. MARCO MARCHI, MERC. 14 E GIOV. 15 APRILE, L’ERMETISMO, LA POESIA NEOREALISTA ED IL POST-ERMETISMO (RICERCATORE, LETTERATURA ITALIANA).
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CONTENUTI: DISPENSE DEL CORSO 1) LA QUESTIONE STORIOGRAFICA DEL RINASCIMENTO ITALIANO PROF. RICCARDO BRUSCAGLI (DOCENTE ORDINARIO DI “LETTERATURA ITALIANA”). MERC. 27 GENNAIO. Il problema della periodizzazione è già vivo in Vasari, che vede nella caduta di Roma il crollo dell’arte classica. Il Rinascimento, nell’arte, è inaugurato da Vasari; il Rinascimento, come confini, ha l’Umanesimo nel ‘400 e l’età barocca nel ‘600. L’umanista è cosciente della frattura con il Medioevo. Leonardo Bruni rivaluta il latino dell’età aurea di Roma, quello di Cesare e Cicerone. Le anticipazioni dell’Umanesimo artistico inteso come resurrezione dell’antico sono già presenti in Giotto, che nel Duecento inizia a studiare la prospettiva, ed in Cimabue, nel Medioevo. In letteratura la frattura con il Medioevo è invece portata da Petrarca (1304/74); la cesura con il Medioevo è quindi biunivoca, perché tra l’arte e la letteratura si verifica la sfasatura di un secolo. L’augumento, ossia la continuazione dell’arte si verifica nel ‘400 e la perfezione dell’arte nel ‘500. Questa sfasatura tra arte e letteratura, per quanto concerne la periodizzazione, è un grande problema storiografico. Vasari vuole costruire il moderno con una linea di continuità tra antico, augumento del ‘400 e perfezione del ‘500, perfezionamento che “aprirà le porte” a Michelangelo. Lo schema ascensionale vasariano non funziona nella letteratura, che presenta un quadro molto più problematico di fratture e continuità. Adottando il diagramma vasariano, ad esempio, non si comprende la questione della lingua in Ariosto, Tasso, Bembo, dibattuta tra profilo latino e profilo volgare. In Petrarca due binari camminano paralleli: quello volgare del Canzoniere e quello antico, latino. Sarebbe quindi un grave errore schematizzare il Rinascimento letterario, che presenta aspetti problematici e diversificati, in Italia ed all’estero: negli Stati Uniti ed in Inghilterra la storia letteraria inizia con Dante, in Germania il Rinascimento si verifica con un secolo di ritardo rispetto all’Italia e solo nel Nord, perché la Germania è dilaniata, in questo periodo, da guerre continue. In tedesco, infatti, non esiste il termine Rinascimento, ma si usa quello francese di ‘Renaissance’. Nel Novum Organum Bacone vede il nuovo in tre scoperte: la polvere da sparo, la bussola e l’invenzione dei caratteri stampati di Gutemberg. ‘Early modern age’, ovvero ‘prima modernità’ è un nuovo termine per indicare l’inizio del Rinascimento, inteso come inizio del moderno. Gli illuministi vedono nel Rinascimento l’inizio di un periodo anticlericale e laico, che ha come perni Bacone e Galileo; il Rinascimento è “puntato” quindi non sulla letteratura, ma sulla filosofia della scienza. Ogni periodizzazione, infatti, tiene conto del punto di vista di chi periodizza. In questo senso viene interpretata la figura di Laura del Petrarca: è un elemento visto come “disturbo” del Medioevo mistico e trascendente. Vasoli e Garin condividono questa tesi. Molti aspetti mistici e trascendenti sono invece presenti nell’Umanesimo (basta visitare Palazzo Schifanoja a Ferrara). Molti sono anche, ovviamente, gli aspetti di immanenza presenti nel Medioevo. D’Alembert è l’esempio di un illuminista che interpreta il Rinascimento come rigenerazione, contrapposta al Medioevo oscuro (“tempi infelici”), a sua volta successivo ad un periodo aureo, quello classico. Marsilio Ficino studia il concetto di rigenerazione come ripresa dell’antico e sostiene, in proposito, che tale categoria non è disgiunta da quella di “generazione”. Condorcet vide l’inizio del Rinascimento in Bacone, Cartesio e Galileo: il “nuovo” è visto quindi in prospettiva razionalistica, come metodo di studio (con Bacone), nuove scoperte (con Galileo), metodo per la ricerca della verità, che è quella matematica (con Cartesio). In questo filone illuminista si intrecciano due categorie: l’erudizione, che studia l’antico, e l’audacia, che mira al nuovo. La civiltà del Rinascimento di Burckhardt presenta tutti questi aspetti problematici e studia i concetti di individualismo, cosmopolitismo ed universalismo (inteso in senso, ovviamente, diverso dall’accezione medievale) perché definisce, in direzione sostanzialmente illuministica, il Rinascimento in base a queste tre “idee chiave”. La Divina Commedia di Dante presenta già, per Burckhardt, un aspetto di individualismo, a livello psicologico, anticipatore dell’Umanesimo e non sarebbe quindi un’opera identificativa del Medioevo. Il cosmopolitismo è per Burckhardt
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un’espansione dell’individualismo ed è quindi ad esso collegato. L’universalismo è fortemente presente nel Medioevo perché il sapere è più limitato, ma l’intellettuale medievale studia uno specifico settore della cultura (filosofia, poesia, scultura, pittura), mentre l’intellettuale del Rinascimento è un genio poliedrico; Burckhardt vede tale genialità poliedrica già presente in Dante. La cultura straniera è invece affascinata dalla figura di Leonardo da Vinci, vero uomo del Rinascimento anche per Burckhardt. GIOV. 28 GENNAIO. Francesco De Sanctis, nella sua celebre quanto “pericolosa” Storia della letteratura italiana insiste sul concetto di storia nel senso di “continuità”, di hegeliana memoria. L’interpretazione desanctisiana del Rinascimento italiano è fortemente condizionata dalla concezione hegeliana di dialettica dello spirito, in senso “narrativo” e storicistico. Oggi, con i progressi della filologia e dell’analisi testuale sono emersi i limiti dell’interpretazione di De Sanctis. Nel cap. XI° della sua opera De Sanctis parla del Rinascimento, mentre i capp. IX° e X° erano dedicati rispettivamente al Decameron di Boccaccio ed alla novellistica di Franco Sacchetti. Nel cap. XI° parla specificatamente delle Stanze per la giostra del Magnifico Giuliano di Angelo Poliziano. La scoperta del mondo classico, per De Sanctis, coincide con l’indifferenza etica del letterato, che appare disinteressato ai problemi della morale: in questo negativo giudizio consiste la tesi di De Sanctis sul Rinascimento. L’ambiente cortigiano è estraneo ai problemi del popolo (“plebe infinita”). E’ un giudizio, quello di De Sanctis, decisamente anticortigiano: la corte è un ambiente moralmente negativo, superficiale, estraneo al popolo. De Sanctis, in questa interpretazione, si mostra erede, nel 1870, di un Risorgimento che credeva di avere il proprio motore nel popolo. In seguito si negherà anche tale tesi, idealizzatrice di un “Risorgimento popolare”. De Sanctis disprezza, di conseguenza, anche la letteratura rinascimentale come letteratura di pura forma, priva di veri contenuti morali e di sentimento; è una letteratura borghese in cui il sublime è assente. Si scriveva letteratura, per De Sanctis, come si andava alle feste carnacialesche. Per questo motivo non si sviluppa, in Italia, un vero teatro drammatico, a differenza dell’Inghilterra di Shakespeare, della Francia di Molière, della Spagna di Pedro Calderon de la Barca (autore di La vita è sogno). Ad Ariosto, De Sanctis predilige Teofilo Folengo per la sua maccheronica ironia sul mondo cavalleresco (cfr. Maccaronee). Il mondo ariostesco è per De Sanctis un mondo senza etica, senza religione, senza serietà, ma solo indifferente. Per Ariosto la vita è soltanto un divertimento borghese e misero e la fantasia dell’ Orlando Furioso ne è una prova. De Sanctis usa uno stile affascinante, con il quale si rivolge direttamente al lettore. L’arte intesa come diletto ed esercitazione formale è l’unico dato del Furioso. Ariosto è per De Sanctis un uomo che “non sa conquistare la libertà, né soffrire la servitù” e la sua lotta contro il mecenatismo si risolve in “stizzose battute” sul cardinale Ippolito d’Este, che si rifiuta di seguire a Buda, in Ungheria. Tale negativo giudizio De Sanctis, padre della storiografia letteraria italiana, lo riserva anche su tutto il mondo cavalleresco. Questa tesi ha in De Sanctis precise reminiscenze hegeliane, riscontrabili nella figura della Fenomenologia dello Spirito “Il cavaliere della virtù ed il corso del mondo”, storicamente collocata nel mondo moderno e cavalleresco. L’interpretazione desanctisiana del Rinascimento è, nel complesso, negativa e comica, di una comicità distruttiva. Machiavelli acquista una luce migliore, agli occhi di De Sanctis, rispetto ad Ariosto, perché esprime la coscienza di una crisi, quella politica, anche se tale consapevolezza rimane astratta. La Mandragola per De Sanctis non è una commedia, ma solo la testimonianza della degenerazione morale del proprio tempo, appunto il Rinascimento. La degenerazione è presente in Machiavelli ed in Pietro Aretino, che chiude, per De Sanctis, questo secolo di degenerazione in perfetta coerenza. Giosuè Carducci presenta un’interpretazione storiografica del Rinascimento antitetica a quella di De Sanctis, perché Carducci crede nella presenza del popolo nel Rinascimento. L’operazione di De Sanctis è per Carducci arbitraria. Carducci si scaglia non solo contro l’interpretazione desanctisiana del Rinascimento, ma contro tutta la sua Storia della letteratura italiana. Non è possibile, per Carducci, censurare un secolo perché in quel secolo l’Italia non si è politicamente e civilmente
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formata come Stato nazionale unitario, a differenza degli altri Paesi europei (Francia, Inghilterra, Spagna, Portogallo, Polonia, Russia). Si noti che Carducci scrive “discorsi” sulla letteratura, ma non una storia letteraria, per quanto sia Carducci che De Sanctis provenissero dalla medesima matrice risorgimentale. Didatticamente e scolasticamente è sicuramente più utilizzabile la critica carducciana che non la storia letteraria desanctisiana. De Sanctis è molto duro verso molti letterati perché la storia letteraria non procede verso la direzione che lui vorrebbe: i “civilisti”, come Carducci sostiene in una lettera scritta all’età di 29 anni, quando è già docente all’Università di Bologna, nel 1864, sono costretti ad essere “esclusivi” verso la letteratura che non risponde ai loro canoni di “civiltà”. L’Orlando Furioso di Ariosto e la Gerusalemme liberata di Tasso sono per Carducci esempi di poesia elettissima, che solo un civilista come De Sanctis può considerare un’esercitazione formale di “arte per l’arte”. La storiografia italiana nasce come ideologica, legata a pregiudizi che comportano, necessariamente, conseguenti censure. Lanfranco Caretti, maestro di Bruscagli, rivaluta invece Ariosto e Tasso (cfr. L. Caretti, Ariosto e Tasso). Il Rinascimento italiano è latino e volgare ed entrambe le tradizioni s’incrociano positivamente nella corte papale di Leone X° e nella letteratura di Pietro Bembo; questo Rinascimento non finisce nel ‘500, ma prosegue nel secolo successivo. La storia della letteratura, in Italia, è fortemente connessa con la geografia della letteratura, come i recenti studi pubblicati dalla casa editrice “Einaudi” hanno affermato. La letteratura rinascimentale italiana, sul piano geografico, è prodotta dalla tensione tra policentrismo politico e ricerca di un’unica lingua nazionale. In Francia la lingua e la letteratura francesi sono imposte dal monarca, in Italia il toscano è usato liberamente da chi vuole usarlo e non è imposto dall’alto (cfr. C. Dionisotti, Geografia e storia della letteratura italiana). Nel ‘600, scrittori decisamente antispagnoli come Boccalini ripropongono il problema rinascimentale dell’unità nazionale. In conclusione, il bilancio critico sul Rinascimento è un problema aperto, come sono problemi aperti quelli della periodizzazione del Rinascimento stesso, della sua storia e dei suoi confini cronologici. Per Dionisotti, il Rinascimento è quindi un’epoca di fondazione della lingua italiana, e questa sembra la tesi più obiettiva, tra quella di De Sanctis e quella di Carducci. Il classicismo rinascimentale prosegue una tradizione latina che durerà fino al Romanticismo, vero momento storico di frattura con la classicità e con l’antico. Bibliografia consigliata: - Ciliberto C., Il Rinascimento, storia di un dibattito, Firenze, La Nuova Italia; - De Sanctis F., Storia della letteratura italiana, Torriana (Fo), Orsa Maggiore, 1988, 2 voll; - Dionisotti C., Geografia e storia della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 1967; - Pondam A., Introduzione al Rinascimento, Roma, Bulzoni, 1994. 2) PROBLEMI DI PERIODIZZAZIONE DEL ‘700 LETTERARIO PROF. SSA ROBERTA TURCHI (DOCENTE ASSOCIATO DI “LETTERATURA ITALIANA”)MERC. 3 FEBBRAIO. E’ difficile distinguere l’aspetto storico da quello letterario, nella periodizzazione del ‘700. Non è possibile, ad esempio, studiare Pietro Verri o Cesare Beccaria senza tenere conto del fatto che sono stati funzionari dell’impero asburgico. Franco Venturi è uno dei massimi studiosi di questo secolo. E’ erroneo identificare il ‘700 con il secolo dei lumi. I testi fondamentali per avvicinarsi al ‘700, in ordine cronologico di pubblicazione, sono i sgg.: Le opere di Cesare Beccaria, Il caffè, entrambi a cura di Sergio Romagnoli, Il ‘700 riformatore di Venturi (I° volume, Da Muratori a Vico), Gli illuministi settentrionali, Parini e l’Illuminismo lombardo, entrambi a cura di Sergio Romagnoli, Mondo e teatro nelle commedie di Carlo Goldoni. Un pregiudizio di tipo puristico dall’’800 fino a metà del ‘900 escludeva gli autori del ‘700 perché troppo ricchi di gallicismi. Il ‘700 vive in una duplice tensione: una europea, l’altra legata alla realtà dei singoli Stati italiani; si parla infatti di un ‘700 lombardo, toscano, piemontese, napoletano. Questo è ribadito da C. Dionisotti (Geografia e
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storia della letteratura italiana, Einaudi, Torino, 1967). Nel ‘700, inoltre, c’è una maggiore richiesta di lettura, maturano il rapporto tra intellettuali e potere e la circolazione delle idee e della cultura, tramite le riviste e le Accademie: si pensi alle riviste che circolano durante la Rivoluzione francese, a Voltaire (Il secolo di Luigi XIV°) ed a Vittorio Alfieri (Del principe e delle lettere), in cui si fa presente come il rapporto tra potere e cultura sia ancora difficile nel ‘700, perché il mecenatismo non è morto, in quanto il diritto di stampa non c’è ancora ed autori come Goldoni, per pubblicare, hanno bisogno dei signori. Nel ‘700 c’è comunque una maggiore richiesta di lettura e nascono, di conseguenza, inediti canali di comunicazione, che coinvolgono nuovi soggetti, come le donne: Elisabetta Caminer, nel Veneto del ‘700, traduce testi teatrali. Dal punto di vista della periodizzazione, il secolo si può scandire in tre momenti: 1)come il ‘700 si pone verso il secolo immediatamente precedente, il ‘600, e confronti del primo ‘700; 2)come l’Ottocento ha considerato il Settecento; 3)come il Novecento ha discusso il ‘700. 1)Si può partire dal Trattato della perfetta poesia italiana (1796) e dai Primi disegni della repubblica letteraria (1704), entrambi testi di Ludovico Antonio Muratori, dalla Frusta letteraria (1763) del Baretti, dal Discorso sopra le vicende della letteratura (1763) di De Mina e dalle Osservazioni sulla tortura (1768-70) di Pietro Verri. Muratori, nel Trattato della perfetta poesia italiana sostiene che il grande secolo è il ‘500, esalta il metodo linguistico del Bembo ed il Petrarca. Il ‘600 è un periodo oscuro. Nel 1698 si fonda l’Arcadia, che viene rivalutata da Muratori in contrapposizione al “sonno” del ‘600. L’Arcadia è concepita come restaurazione del buon gusto e serve a Muratori per respingere le polemiche francesi sulla letteratura italiana del ‘600. Nei Primi disegni della repubblica letteraria (1704) la posizione di Muratori sull’Arcadia e sulle Accademie è più diversificata e l’autore propone di riformare le Accademie, che dovrebbero dedicarsi a studi eruditi piuttosto che a “superficiali” poesie d’amore. Il primo ‘700 è identificato, grazie alla critica crociana, con l’Arcadia, ma nel 1711 si verifica la scissura dell’Accademia dell’Arcadia, con l’abbandono del Gravina. Baretti, nella Frusta letteraria (1763) stronca l’Arcadia, definita una “fanciullaggine di corbellerie”. Crescimbeni e Zappi vengono stroncati anch’essi come “zuccherosi” autori di una “poesia eunuca”. Nel 1763, con la pubblicazione de Il Giorno, esattamente de Il Mattino di Giuseppe Parini, afferma De Sanctis, si verifica una svolta fondamentale nel ‘700. Nel Discorso sopra le vicende della letteratura (1763) del De Mina, l’Arcadia viene rivalutata come “luminosa officina letteraria”. Pietro Verri, nelle Osservazioni sulla tortura ricostruisce il “processo agli untori”, che sarà oggetto delle pagine manzoniane de I Promessi Sposi sulla peste e della Storia della colonna infame, in cui Manzoni ribalta il giudizio verriano sul Seicento. Gli untori, mediante la tortura, dovevano confessare colpe mai commesse per peccati inesistenti: Verri affronta il problema della giustizia criticando duramente il ‘600, la pratica della tortura, i roghi delle streghe nel Medioevo e nel Cinquecento. La storia viene letta da Verri come un’alternanza di luci e di ombre ed il ‘600 viene stroncato. Il ‘700, da un punto di vista concettuale, “nasce” nel 1698, con la fondazione dell’Arcadia, conosce una cesura nel 1763, con la pubblicazione de Il Giorno del Parini e finisce nel primo ‘800, come sostiene Timpanaro in Classicismo e Illuminismo nell’Ottocento. 2)Nel primo Ottocento continuano gli influssi illuministici del ‘700 e proseguono le discussioni sulla periodizzazione del ‘700. Francesco Ambrosoli, nel 1830 pubblica un manuale di storia letteraria italiana in cui la periodizzazione scolastica è molto presente; nell’Ottocento si tende fortemente a periodizzare. Ambrosoli, in nome del purismo, censura gli illuministi, solo menzionati e non antologizzati. I manuali del ‘700 e del primo ‘800 non conoscono una storia letteraria narrata, ma per biografie; le prime storie letterarie narrate sono quelle di Emiliani Giudici (Storia delle belle lettere), di Luigi Settembrini (Lezioni di letteratura italiana), di Francesco De Sanctis (Storia della letteratura
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italiana). Emiliani Giudici parla di “epoche” e Luigi Settembrini di “periodi”. Emiliani Giudici critica il ‘700 come secolo corrotto, come periodo di donne incipriate, parrucche e merletti: è una visione tipicamente ottocentesca e risorgimentale. Sull’interpretazione di Emiliani Giudici influì la storia letteraria di Sismondi, ginevrino, ma abitante a Pescia, che, come i francesi suoi contemporanei, critica il ‘700 italiano. Gravina, Apostolo Zeno, Muratori, Maffei promossero l’erudizione e tramite questa rinnovarono la letteratura, secondo Emiliani Giudici, e per questo li rivaluta, mentre Goldoni (si ricordi che Pamela, nel 1750, in una data, cioè, che “spacca” il secolo, è la prima commedia goldoniana senza maschere, in cui il commediografo veneziano tende a portare l’uomo e l’umanità sul palcoscenico), pur avendo riformato la commedia, rimase estraneo alla politica rivoluzionaria. Parini ed Alfieri vengono esaltati da Emiliani Giudici: Parini per la poesia civile ed Alfieri come anticipatore delle lotte romantiche e risorgimentali; la visione di Emiliani Giudici influirà su De Sanctis e sull’interpretazione crociana di Alfieri (cfr. B. Croce, Alfieri protoromantico). Settembrini critica il ‘600 negativamente, definito “gesuitismo della letteratura italiana”: interpreta la storia letteraria come antitesi tra Stato e Chiesa. Il ‘700 viene invece rivalutato come età della scienza, contrapposta alla mediocrità precedente (si esalta lo scienziato Lagrange): questo secolo termina, per Settembrini, con la rivoluzione giacobina, considerata prima fase del Risorgimento, che si conclude con l’unità d’Italia nel 1861. De Sanctis tiene conto delle ‘Lezioni’ del Settembrini e nella rivista “La Nuova Antologia” (1869) sostiene che la storia letteraria intesa come sintesi deve avere come base una ricerca erudita e monografica. Tale indicazione metodologica desanctisiana non viene però rispettata pienamente, perché De Sanctis sente l’esigenza di scrivere una storia letteraria, una sintesi cioè, idonea alla formazione delle future classi dirigenti. Nella sua storia letteraria De Sanctis evita una periodizzazione per secoli per prediligere una periodizzazione per autori e categorie. Rivaluta il ‘700 come momento in cui la verità è monopolio di tutti, e non di pochi, come affermavano Filangieri e Voltaire (cfr. Voltaire, Enciclopedia e Dizionario filosofico alla voce “Gente di lettere”). Del ‘600, tuttavia, salva la prosa scientifica galileiana, l’Accademia dei Lincei, l’Accademia del Cimento, sulle orme di Tiraboschi, aspramente criticato da Ugo Foscolo nella sua Orazione inaugurale. De Sanctis lega tale rinnovamento scientifico del ‘600 all’Illuminismo di fine ‘700. GIOV. 4 FEBBRAIO. De Sanctis rivaluta Bruno, Campanella, Paolo Sarpi, Galileo nella letteratura del ‘600. In tale rivalutazione De Sanctis tiene presente anche la provenienza geografica dei letterati in questione. In Campanella vede il rappresentante della cultura meridionale, in Galileo quello della cultura toscana. Questi pensatori, per De Sanctis, hanno gettato i ponti verso la nuova scienza dei filosofi francesi del ‘700. La rinascita culturale, per De Sanctis, non si ha nell’Arcadia, fortemente criticata, ma nell’erudizione del primo ‘700, rappresentata da Muratori e Vico; Muratori, proprio come cultore di studi eruditi, è stato criticato da Foscolo, che lo definì, con un ossimoro, “genio freddo”. Vico viene rivalutato da De Sanctis, ma come pensatore isolato nel suo tempo. Infatti Vico non viene apprezzato nel secolo in cui vive. Gli scritti letterari e politici di Mario Pagano, napoletano della fine del ‘700, risentono dell’influsso vichiano. De Sanctis apre il capitolo sulla nuova scienza settecentesca con un giudizio su Metastasio, rappresentato negativamente come “uomo senza poesia”. Goldoni viene invece rivalutato come “il Galileo della nuova letteratura”; De Sanctis collega l’osservazione goldoniana del mondo reale a quella galileiana dei fenomeni naturali. Tuttavia De Sanctis vede in Goldoni una certa superficialità, che è invece fortunatamente assente in Parini ed in Alfieri; quest’ultimo viene rappresentato come “l’uomo nuovo”, anticipatore del Risorgimento civile e politico, acerrimo nemico della tirannide in campo morale e tendente alla perfezione nella sua arte tragica. De Sanctis pubblica la su Storia della letteratura italiana dal 1870 al 1872: in quegli anni Carducci pubblica I poeti erotici del secolo XVIII° (1868) e La lirica classica nella seconda metà del secolo XVIII° (1872), in cui avverte la necessità di iniziare a parlare positivamente dell’Arcadia, ferocemente avversata da Baretti. Carducci si avvicina ai poeti del ‘700 in una duplice veste: quella di poeta e quella di critico. I poeti del ‘700 si erano, per Carducci,
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positivamente impegnati nella riproduzione della metrica classica, come la strofa saffica. Frugoni e Crudeli sono due poeti rivalutati da Carducci come positivi anticipatori del Neoclassicismo di fine ‘700. Nella seconda metà del ‘700 si discute sull’endecasillabo sciolto per trovare una forma di poesia meno musicale; Saverio Bettinelli interviene in questa discussione, che porterà all’affermazione della lirica neoclassica. Allievo del Carducci all’Università di Bologna fu Ernesto Masi, autore di testi teatrali sul ‘700. In questa discussione si devono tenere presenti i nessi ed i contrasti tra filologia, ossia produzione di testi, e critica, e quindi interpretazione dei testi medesimi. 3)Nel 1945 Croce pubblica L’Arcadia e la poesia del ‘700: l’Arcadia è per Croce la manifestazione del razionalismo europeo del secolo; Croce estende così l’influenza arcadica a tutto il ‘700. Mazzamuto, nel 1954, nel suo manuale di storia letteraria, riduce il ‘700 a Metastasio, Goldoni, Parini, Alfieri: tale riduzione tiene conto della lezione crociana. Sulla medesima linea si pone il contributo di Mario Fubini nel 1949 (cfr. M. Fubini, Arcadia e Illuminismo); sostiene, in proposito, che “Parini è il frutto migliore dell’Umanesimo arcadico”. Tale interpretazione coincide infatti con quella crociana. Fubini, inoltre, proprio ne Il Giorno vede i motivi illuministici pariniani, riscontrabili sul tema dell’uguaglianza. Tra Arcadia ed Illuminismo non c’è frattura, ma continuità, secondo Fubini: l’unica differenza si può vedere nel maggiore tono polemico degli illuministi. Su quest’ultima affermazione del Fubini dissente Turchi, che considera maggiore la frattura tra Arcadia ed Illuminismo. Petronio, nella sua storia letteraria, subisce solo parzialmente l’influsso del Fubini. Nel 1948 Walter Binni pubblica a Napoli il Preromanticismo italiano. Von Tieghen nel 1929 aveva pubblicato Il Preromanticismo. Come si vede, la periodizzazione novecentesca del ‘700 è più complessa ed intricata rispetto a quella dell’Ottocento. Binni, nella sua opera, vuole fare chiarezza sulla critica del secondo ‘700 mediante la comparazione della letteratura italiana con le letterature europee. Anche C. Dionisotti in Geografia e storia della letteratura italiana sostiene che la letteratura italiana vive in continua simbiosi con quella europea, contrariamente alla tesi desanctisiana, che legge il Settecento in chiave nazionalistica di rinnovamento civile. Binni, per affermare la categoria di “Preromanticismo” mette a confronto l’inizio de Il Giorno pariniano e la prima pagina de Le ultime lettere di Jacopo Ortis di Foscolo: in entrambi i testi si assiste ad una descrizione naturalistica, ma tale descrizione è oggettiva in Parini, mentre in Foscolo la natura partecipa all’inquietudine del protagonista, Jacopo. Binni usa la categoria di “Preromanticismo” per distinguere proprio il Neoclassicimo pariniano dalle nuove idee foscoliane. Petronio non trova legittima l’operazione del Binni, che legge l’Illuminismo come unica esaltazione della ragione, con gli occhi, quindi, dei romantici e delle interpretazioni successive. Petronio non vede nell’Illuminismo solo la ragione, ma anche la componente passionale, anche se giustifica i romantici, che nell’Illuminismo trovarono il loro bersaglio polemico; tuttavia Petronio, senza polemizzare con i romantici, polemizza indirettamente con Binni. La lettura dell’Illuminismo da parte di Petronio è approdata ad oggi e secondo tale lettura, come Diderot stesso affermava, l’Illuminismo è un fenomeno complesso, non riassumibile nel mito della ragione e nella polemica contro il “passatismo”; Voltaire, in Candido, contrappone infatti al presente anche l’importanza del passato, testimoniata dal terremoto di Lisbona. Anche ne Il caffè, pubblicato nel 1760, sono presenti articoli di Pietro Verri che rappresentano queste due facce dell’Illuminismo. Nella collana edita dalla casa editrice Ricciardi, Storia e testi della letteratura italiana, ben cinque volumi sono dedicati all’Illuminismo italiano, distinto per regioni nei vari ‘illuminismi’ locali. L’Illuminismo veneziano di Goldoni è infatti meno polemico di quello milanese di Cesare Beccaria (cfr. Dei delitti e delle pene) e dei fratelli Pietro ed Alessandro Verri. Tale tesi è ribadita da C. Dionisotti in Geografia e storia della letteratura italiana. L’attuale lettura che i manuali di storia letteraria danno dell’Illuminismo risulta proprio basata su tali interpretazioni. Su queste problematiche si veda lo studio di Renato Pasta “L’Illuminismo”, in Storia moderna, casa editrice Donzelli, 1988, II° volume. Pasta è docente di “Storia degli antichi Stati italiani” presso il
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Dipartimento di “Storia” della Facoltà di “Lettere e Filosofia” dell’Università degli Studi di Firenze. Ha studiato con attenzione la circolazione delle idee nei vari Stati regionali italiani. 3) GENERI LETTERARI NEL ‘700: TEATRO E ROMANZO DOTT. SSA PAOLA LUCIANI (RICERCATRICE DI “LETTERATURA TEATRALE ITALIANA”)MERC. 10 FEBBRAIO. La periodizzazione è un concetto storiografico, mentre il genere rimanda ad un ambito retorico: periodizzazione e genere sono due categorie antitetiche, ma connesse. Nel ‘700 nasce la storiografia moderna e i due generi letterari fondamentali sono teatro e romanzo. La periodizzazione implica un concetto diacronico, storico, lineare. E’ la storiografia ottocentesca che ha fagocitato il genere letterario nell’ambito storico. Nel III° libro della Repubblica di Platone si trova, storicamente, la prima definizione di ‘genere letterario’, relativamente alla poesia di Omero. Questa è la prima riflessione sulla teoria della letteratura in Occidente. Tale riflessione fu codificata in seguito nella Poetica di Aristotele, relativamente alla tragedia, alla commedia, alla poesia epica ed a quella lirica. All’inizio del ‘700 si cerca già di collegare il ‘genere’ alla ‘storia’. Gian Vincenzo gravina, napoletano, giurista, attivo a Roma, fu maestro di Metastasio e ne grecizzò il nome (si chiamava Pietro Trapassi). Nel 1708 scrive La ragion poetica, in due libri, nel 1715 scrive La tragedia, in cui parla del genere tragico. Ne La ragion poetica, Gravina dichiara che ogni opera è preceduta da regole, a sua volta anticipate dalla ragione, chiara ed analitica. Omero, Eschilo, Sofocle, Euripide sono i grandi autori, per Gravina, del teatro greco. Nel 1711 Gravina abbandona l’Arcadia: Gravina è quindi un personaggio importante nella letteratura settecentesca. Crescimbeni scrive la Historia della volgar poesia: fu un’opera divulgatissima, in cui si oppone a Gravina sulla questione arcadica, in quanto non condivide la posizione scissionista del Gravina. Esalta Petrarca, il petrarchismo, il sonetto. E’ la storia di un genere letterario, quello della poesia volgare, trattato all’interno della storia lettararia italiana. Le tre edizioni (1698, 1714, 1731) presentano modifiche ed aggiunte successive. Crescimbeni, dei “poeti volgari” studia “maniera” (metodo), “poesia” (testo), “scuola” di appartenenza, meriti e demeriti apportati alla storia della letteratura da Petrarca a Crescimbeni stesso. I parametri valutativo (critico), comparativo ed evolutivo usati da Crescimbeni sono del tutto inediti. Scipione Maffei, veronese, uomo di teatro, scrisse Il teatro italiano (1723): è un’antologia di testi per la scena attinenti alla tradizione teatrale italiana del ‘500 e del ‘600, con lo scopo di riscattare il teatro italiano dalle accuse dei francesi, che consideravano il teatro italiano di questi secoli ridotto alla sola commedia dell’arte ed alla buffoneria. L’opera del Maffei va letta in quest’ottica di difesa. Esalta, ad esempio, il Re Torrismondo del Tasso. Tale intento di difesa è testimoniato dal carteggio tra Maffei e Muratori, avvenuto nel 1710. Maffei rivaluta anche il teatro barocco del ‘600 in Italia. La storia letteraria per generi, come quella di Asor Rosa, parte da una premessa polemica nei confronti dell’approccio storicistico di De Sanctis. Nelle ultime storie letterarie si assiste invece ad un recupero dell’aspetto sintetico. I due poli (genere e storia), anche se in contraddizione, come si è visto, sono strettamente connessi. La storia letteraria per generi emerge nella manualistica degli anni ’70 del Novecento. Tali due poli hanno alle spalle due autori: De Sanctis per quanto riguarda la storia, Carducci per ciò che concerne i generi. Il ‘700 si può periodizzare nelle sgg. tre fasi: 1)l’Arcadia; 2)i “lumi”; 3)la svolta dei ‘lumi’ verso il sentimento romantico. Il terzo punto include anche i primi due decenni dell’Ottocento, in quanto è attinente alla crisi dei lumi, a partire dal 1770. Tale periodo è anche definito “preromanticismo”.
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1)L’Accademia dell’Arcadia è istituzionalmente ancora viva. E’ fondamentale riformare la poesia lirica e la poesia tragica, minacciata dal teatro in musica. Gravina, Crescimbeni, Maffei e Muratori si inseriscono in questo contesto. Muratori nel 1706 pubblica il Trattato della perfetta poesia italiana, in cui sostiene che il “buon gusto” si forma solo con la conoscenza dei classici. La poesia arcadica ha una funzione conoscitiva, razionale, educativa, contro la poesia del ‘600, lirica, puramente formale, sonora e non morale; la poesia dev’essere “soda”, afferma Muratori con il suo caratteristico stile mirante alla concretezza contenutistica. La poesia deve quindi camminare in sintonia con la filosofia morale. La poesia deve nutrirsi di filosofia anche secondo gravina, poiché senza filosofia non c’è poesia, in armonia con Cicerone ed i classici latini e greci. Suono,canto, musica, orecchi sono i nemici della poesia; la poesia deve avere un’istanza civile contro “l’arte per l’arte”, la poesia per gioco e diletto. Anche l’intento del gravina è antifrancese; la prosa graviniana è tuttavia più fedele al “ductus” latino e meno “concreta” di quella muratoriana. Muratori insiste sulla necessità di “particolareggiare”, ossia di precisare i sentimenti e gli stati d’animo (cfr. Trattato della perfetta poesia italiana, in 4 libri). Nel IV° libro, ai capp. 4, 5, 6, 7, Muratori si scaglia contro l’opera in musica, poiché la musica, nel ‘600, ha soggiogato la parola, il testo. La “molle musica” del ‘600 non è la musica delle tragedie antiche, una musica alta, tutta subordinata a commentare il testo, ma è una musica effemminata e solo dannosa per la letteratura. La riforma teatrale va operata contro il “mostro” della musica, che sta fagocitando tutti gli altri generi letterari. Il poeta tragico deve conoscere le passioni e non accettare il dominio della musica. Mito, favola, etica, linguaggio, vista, pensiero sono, per Aristotele, le sei parti della tragedia: il poeta tragico deve concentrarsi, per Muratori, sull’etica. Muratori, con tono eccitato, afferma che “bisogna assalire l’anima dell’uditore”. Si nota anche come Muratori tenga presente il pubblico, che dev’essere commosso; la tragedia esce quindi dagli schemi libreschi, come afferma nel 7° capitolo della sua opera. Alfieri scriverà le proprie tragedie seguendo la lezione muratoriana sul pubblico: le “sedie” del teatro devono essere “occupate”. Gravina, nel 1712, scrive cinque tragedie pubblicate sotto il titolo complessivo di Tragedie cinque, in cui insiste sul nesso sapienza filosofica e letteratura tragica. Il linguaggio graviniano in queste tragedie è faticosissimo, quasi illeggibile, e tali tragedie, costituite da un’alternanza di endecasillabi e settenari, non ebbero alcun successo. Pier Jacopo Martello scrive tragedie amorose, bibliche, sacre ed ha maggiore successo del Gravina grazie al linguaggio, più comprensibile. Martello opera nell’area bolognese e padana, mentre Gravina lavorava a Roma. Molti autori di tragedie, in questo periodo, operano nell’area bolognese e padana. Nel 1713 Scipione Maffei pubblica la Merope, che ebbe immenso successo e fu studiata anche da filosofi come Voltaire e Lessing. Il tema dominante della Merope è l’amore materno, con il quale si “assale l’animo” dell’uditore. La Merope di Maffei sbaraglia i francesi e si distacca dalle ‘Meropi’ del ‘500. Nel 1714 Pier Iacopo Martello pubblica L’impostore, con successo: è questo un periodo di vastissima produzione di tragedie. Anche Alfieri scrive la Merope, in cui riporta la figura di Merope dagli affetti alla regalità. Antonio Conti è un altro tragediografo del periodo. GIOV. 11 FEBBRAIO. 2)Nel periodo dei ‘lumi’ (1750/70 circa) il tema della riforma invade anche il teatro comico, che ha una funzione civile, politica, morale ed educativa, ed il romanzo. Si assiste al trionfo del teatro tragico di Alfieri. Nel romanzo si ricordi Piazza. Non tutti concordano sul concetto di ‘lumi’ come progresso ineluttabile. La poesia tragica, ad eccezione di Alfieri, non conosce grandi nomi nel periodo 1750/70. La commedia rimane invece sulla scena con Goldoni, capace di trascinare il pubblico con la comicità. Goldoni, nelle sue commedie, investe tutte le classi sociali. La commedia goldoniana è difesa da Pietro Verri ne Il caffè. La cultura illuministica mostra quindi forte attenzione per la commedia. Diderot, fondatore dell’Enciclopedia, in Dialoghi sul figlio naturale
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(1757) e in Della poesia drammatica (1758) ribadisce la centralità del teatro come scuola di pedagogia e moralità. E’ questo un concetto tipico del teatro francese. La commedia diventa scuola di virtù ed il teatro non è più specchio del mondo, come nel ‘600. Goldoni conosce la cultura francese del tempo ed anticipa molte considerazioni di Diderot sul teatro. Al ‘riso’ si sostituisce il ‘sentimento’ della serietà della vita. Difendere la commedia, nel “secolo dei lumi” significava quindi anche difendere il progresso. Questa categoria di ‘comicità seria’ è tipica di Goldoni, nonostante l’opposizione di Baretti ne La frusta letteraria, in cui accusa Goldoni di essere basso ed immorale, ben lontano dai comici francesi. Pietro Verri, nel 5° foglio de Il caffè difende invece Goldoni dalle accuse del Baretti: l’arte goldoniana è autentica moralità presentata in veste sensibile. Una tematica centrale, infatti, del teatro dei lumi, è quella della famiglia, dell’amore verso i genitori e del rispetto. Nel 1758 Diderot scrive, in proposito, Il padre di famiglia. Il vizio viene punito e la moralità viene ricompensata. Lo stesso Voltaire scrive a Goldoni una lettera di elogio, che Goldoni pubblica nella introduzione alla Pamela maritata. Voltaire dichiara che Goldoni è il “vero dipintore della natura umana”, il riformatore della commedia. In Goldoni si elimina infatti il “canovaccio” o “scenario” per portare l’uomo e l’umanità sulla scena, senza maschere; il testo viene scritto interamente e vengono meno le battute frizzanti, comiche ed originali, ma lasciate all’improvvisazione, tipiche della commedia dell’arte tra ‘500 e ‘600. Non a caso La Mandragola di Machiavelli è considerata l’opera migliore del ‘500, che risulta, in Italia, un secolo piuttosto povero in campo teatrale, a differenza della Francia di Moliere e dell’Inghilterra di William Shakespeare. L’abate Chiari, nel 1764, ha smesso di scrivere per il teatro e scrive solo romanzi: è finita la polemica tra “chiaristi” e “goldoniani”, che aveva diviso il pubblico, e trionfa Goldoni. Venezia è “tutta” goldoniana e questo suscita le ire del Baretti ne La frusta letteraria. Baretti critica Pamela come serva furba ed immorale che vuole sposare il figlio della propria padrona morta solo per volgari motivi economici; Pamela è quindi un vistoso esempio di immoralità e non di virtù. Baretti è comunque un critico sottilissimo e si sforza di cogliere le contraddizioni del testo goldoniano. Pamela è una stratega abilissima che usa l’arma della virtù. Nel ‘700, con i lumi, si tenga presente, la donna acquista una posizione di importanza, precedentemente negata. Pamela (1750) contiene gli elementi preparatori del futuro “dramma borghese”, in quanto si colloca tra “comicità” e “serietà”. Tale tendenza si collega all’istanza razionalistica dei lumi. Nel 1753 si afferma convenzionalmente il romanzo con La filosofessa italiana di Pietro Chiari: siamo “alle porte della svolta dei lumi” verso il sentimento romantico. Tra il 1702 ed il 1708 ci sono ben quattro edizioni de Le avventure di Telemaco; nel 1704 si traducono, a Venezia, Le mille e una notte dal francese (si introduce il gusto orientale in Occidente). Nel 1726 escono in Inghilterra I viaggi di Gulliver di Jonathan Swift, tradotti in italiano, sempre a Venezia, nel 1729. Venezia, insieme a Napoli, è in questo periodo la capitale dell’editoria. Nel 1743 esce la prima traduzione italiana dei Memoires di Prevot, autore amatissimo del giovane Alfieri. Tutta la prima metà del secolo consuma il romanzo in traduzioni, che cattura soprattutto il nuovo pubblico femminile ed incrementa il mercato librario, che diventa più vivace; tale vivacità di richiesta è documentata dalle numerose edizioni di una medesima opera. Cambiano anche i lettori: leggono le donne ed i ceti medi, coloro che non possono leggere i petrarchisti del ‘500 ed i classici latini. La grande produzione presenta tuttavia anche un effetto negativo: un certo abbassamento della qualità dei testi in circolazione. Chiari approfitta di questo anche perché, con la crisi del mecenatismo, è un autore che vive grazie alla propria penna. Scrive tantissimi romanzi, di facile accesso, che contribuiscono allo svecchiamento della nostra letteratura. Marianna (1753) è un romanzo del Chiari che esalta la donna, divenuta eroina. Unitamente all’affermazione della figura femminile si combatte anche il privilegio economico-sociale, nobiliare. Chiari fu comunque accusato di vendere la propria penna al denaro, di essere, quindi, un mercenario. Bettinelli critica questa grande produzione di romanzi come esempio di mediocrità: scrivere è dunque diventato un contratto, un mestiere, non una passione, secondo Bettinelli. I romanzi del
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Chiari contribuiscono comunque a diffondere le idee dei lumi: nei suoi romanzi si notano infatti gli influssi dei ‘Discorsi’ di Jean-Jacques Rousseau. I viaggi di Enrico Wanton alle terre incognite australi ed ai regni delle scimmie e dei cinocefali, di Zaccaria Seriman, in due edizioni (1749, 1764), sulle orme di Swift (cfr. I viaggi di Gulliver) seppure con un linguaggio molto ostico, innesta contenuti saggistici morali su un tema d’avventura, soprattutto nella seconda parte del romanzo. E’ questo un modello di romanzo serio, in questo periodo. Francesco Saverio Quadrio, in Della storia e della ragione di ogni poesia (1749) sostiene la legittimità del romanzo, genere antichissimo, genere da incoraggiare, soprattutto presso i giovani, perché il romanzo elimina la “polvere” degli insegnamenti scolastici e libera le passioni. Pier Daniel Hue, nel Trattato dell’origine dei romanzi (1670) anticipa le posizioni di Quadrio. 3)Nel periodo della svolta dei lumi, ossia della crisi dei lumi, dal 1770 in avanti, si anticipano gli elementi romantici. Si affermano correnti mistiche, si afferma la massoneria. E’ un momento di esplosione del “non razionale” fino ad ora covato. Il teatro continua la sua funzione educativa e morale, goldoniana, con Albergati Capacelli ed Alberto Nota, ma è privo di slancio. Si afferma il melodramma con Alessandro Pepoli e De Gamerra, che sono gli autori più rappresentati dagli anni ’70 alla fine del secolo. Solo con Vittorio Alfieri il teatro conosce però il ripristino del tragico: svolta dei lumi significa crisi, tragedia, nel senso alfieriano. Con Alfieri avventure rivivono le tre unità aristoteliche del teatro greco (tempo, luogo, azione). Il romanzo conosce un momento di brillantezza con Alessandro Verri, fratello di Pietro. Nel teatro, al gusto francese di Moliere, si sostituisce Shakespeare, che Alessandro Verri traduce; scrive romanzi come Le notti romane e Le avventure di Saffo; in quest’ultimo, riprendendo la figura di Saffo, poetessa greca, indaga il sentimento come componente umana non razionale. In questo contesto di fine secolo assume valore il romanzo di Verri. Da questo punto si muoverà il Romanticismo, ossia la luce verso il “buio”, inteso come “sentimento”, zona legittima della coscienza. Bibliografia: -Platone, La Repubblica, l. III°, 376, 392, 393 e 394. -Aristotele, La Poetica, 1447 a, b; 1448 a, b; 1449 a, b; 1450 a, b. -G. Gravina, Della ragion poetica, in Scritti critici e teorici, a cura di A. Quondam, Bari, Laterza, 1973, pp. 198-199. -S. Maffei, Istoria del teatro e difesa di esso, in De’ teatri antichi e moderni e altri scritti teatrali, a cura di L. Sannia Nowé, Modena, Mucchi, 1988, pp. 27-30. -L. A. Muratori, Della perfetta poesia italiana, a cura di A. Ruschioni, Milano, Marzorati, 1971, vol. II°, l. III°, capp. IV°-VI°, pp. 567-603. -P. Verri, “La commedia”, in “Il Caffè (1764-1766)”, a cura di G. Francioni e S. Romagnoli, Torino, Bollati Boringhieri, 1993, pp. 50-56. -G. Baretti, “Pamela fanciulla”, in “La frusta letteraria”, a cura di L. Piccioni, Bari, Laterza, 1932, vol. II°, pp. 29-41. -C. Goldoni, L’Autore a chi legge, in Pamela fanciulla. Pamela maritata, a cura di I. Crotti, Venezia, Marsilio, 1995, pp. 77-79. -Z. Seriman, I viaggi di Enrico Wanton, in Romanzieri del Settecento, a cura di F. Portinari, Torino, Utet, 1988. -A. Verri, Le avventure di Saffo, in Romanzieri del Settecento, a cura di F. Portinari, Torino, Utet, 1988.
4) FRA NEOCLASSICISMO E ROMANTICISMO -
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PROF. ARNALDO BRUNI (DOCENTE ASSOCIATO DI “LETTERATURA TEATRALE ITALIANA”)MART. 16 FEBBRAIO. Neoclassicismo e Romanticismo non sono due correnti letterarie in contrasto: si è parlato di Neoclassicismo nel Secondo Impero di Napoleone III° di Francia con Carducci, con la rivista romana “La Ronda”, con la dittatura nazista. Erroneamente, i manuali scolastici presentano le due correnti come reciprocamente in antitesi, come sostengono Roberto Cardini in Neoclassicismo: per la storia del termine e della categoria, in Lettere italiane, fasc. III°, pp. 365/402 e Ferruccio Ulivi alla voce “Neoclassicismo” del Dizionario critico della letteratura italiana, a cura di Vittorio Branca. Per Ulivi, il termine “Neoclassicismo” risale a Finzi, che usa il termine nella sua storia letteraria, per Cardini, il termine risale all’ode “La vita rustica” di Giuseppe Parini. Alla fine dello Ottocento, il termine si ritrova nel giornale “Fanfulla della Domenica”. Andrea Chenier definisce il Neoclassicismo come “versi antichi per poeti nuovi”. In particolare, Carducci usa questo termine nel 1881 e nel maggio del 1882. Neoclassicismo e Romanticismo, come tanti ‘ismi’, non sono, per Arnaldo Bruni, due correnti “l’un contro l’altra armata”; il contrasto riguarda, per Bruni, solo l’ambito polemico, ma non concettuale. De Sanctis, nella sua Storia della letteratura italiana, esaltò il Romanticismo come “nuova poesia” e le opere di Foscolo, Leopardi e Manzoni non si sarebbero concretizzate senza una figura come Vincenzo Monti. Il Neoclassicismo non è una corrente solo letteraria, ma anche pittorica: si pensi a Jean Louis David, che opera a Roma, in funzione del culto della ‘romanità’; Roma è il centro, quindi, del Neoclassicismo ed a Roma si recano archeologi come il tedesco Giovanni Gioacchino Winckelmann e filosofi come Lessing, per i quali qualsiasi approccio alla ‘modernità’ non può prescindere dall’antico. Winckelmann, in Il bello nell’arte. Scritti sull’arte antica, dai Pensieri sull’imitazione dell’arte greca (1755) parla della celebre statua greca “Laocoonte” ed afferma che tale statua rappresenta per noi la “regola perfetta dell’arte”. La nuova cultura dev’essere imitazione dell’antico: questa per Winckelmann è la regola cardinale dell’arte. Lessing, nella Drammaturgia amburghese (1768) definisce la Poetica di Aristotele come una riflessione le cui regole sono “infallibili al pari degli elementi di Euclide”. Hugh Honoux, in Il Neoclassicismo, Einaudi, Torino, 1968 (tradotto nel 1980, oggi esaurito) afferma che il Neoclassicismo, pur nella sua opera di recupero del passato, ha una valenza innovativa potentissima con l’Illuminismo: basti pensare a Rousseau ed alle rivoluzioni americana e francese. Nell’Illuminismo nascono le rivoluzioni moderne. La rivoluzione francese volle creare un modello di società classicamente perfetto. Napoleone Bonaparte fa del Neoclassicismo lo ‘stile Impero’. In ambito storico, la disfatta napoleonica a Waterloo (1815) segna la fine del Neoclassicismo. Sul piano letterario, Carducci vide l’inizio del Neoclassicismo in due odi di Monti, “La prosopopea di Pericle” e “La bellezza dell’universo”. Il Neoclassicismo si colloca nella Roma papalina di Pio VI°, per Monti paragonata all’Atene periclea, il periodo di massimo splendore politico, economico e culturale di Atene (cfr. V. Monti, “La prosopopea di Pericle” ai vv. 2/8, di tendenza arcadica: “ Nell’inclita famiglia D’Atene un dì non ultimo 4 Splendor e maraviglia, A riveder io Pericle Ritorno il ciel latino Trionfator de’ barbari, 8 Del tempo e del destino ”). Monti annulla la tendenza cronologica tra le due epoche.
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Ai vv. 51, 53, 57, 67/73, 83/84, 94, 97/99, il poeta ripercorre tutta la storia greca ed ai vv. 121/134 parla delle guerre del Peloponneso, della fine dell’Ellenismo e dell’avvento dell’età romana: “ Di Periandro e Antistene “ (v.51). “ Qui mira a uscir Biante “ (v.54). “ Là sollevarsi d’Eschine “ (v.57). “ Io della man di Fidia 68 Lavoro e dell’ingegno? Qui la fedele Aspasia, Consorte a me diletta, Donna del cor di Pericle, 72 Al fianco suo m’aspetta Fra mille volti argolici “. “ Per cui di Samo e Carnia 84 Ruppi l’orgoglio e l’armi? “. “ Di tanti eroi le immagini 88 Che furo elléni un giorno? “. “
La bella età di Pericle “ (v. 95).
“ Eppur d’Atene i portici, I templi e l’ardue mura Non mai più belli apparvero “ (v.98). “
Il cielo arrise: Industria Corse le vie d’Atene, E n’ebbe Sparta invidia 124 Dalle propinque arene. Ma che giovò? Dimentici Della mia patria i numi,
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Di Roma alfin prescelsero Gli altari ed i costumi. Grecia fu vinta, e videsi Di Grecia la ruina Render superba e splendida La povertà latina. Pianser deserte e squallide Allor le spiagge achive, “.
Per Monti, la Roma di papa Braschi, Pio VI°, è la continuazione dell’Atene periclea. Ugo Foscolo, rispetto a Monti, rappresenta un “Neoclassicismo progressista”, come si nota nell’ode “All’amica risanata” (1802/03), dedicata ad Antonietta Fagnani Arese, ammalatasi nell’inverno 1802/03. Nella str. I, Foscolo usa una perifrasi per indicare Lucifero, sulle orme di Virgilio e di Tasso; dal punto di vista metrico, si tratta di una sestina, con rima alternata nei primi 4 versi e con rima baciata ai vv.5/6. Al v. 5 si nota una dieresi.
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“ Qual dagli antri marini L’astro più caro a Venere Co’ rugiadosi crini Fra le fuggenti tenebre Apparve, e il suo viaggio Orna col lume dell’eterno raggio “. Ai vv. 25/54 si ha la divinizzazione della donna: “ E i candidi coturni E gli amuleti recano, Onde a’ cori notturni Te, Dea, mirando obliano I garzoni e le danze, 30 Te principio d’affanni e di speranze: O quando l’arpa adorni E co’ novelli numeri E co’ molli contorni Delle forme che facile Bisso seconda, e intanto 36 Fra il basso sospirar vola il tuo canto Più periglioso; o quando Balli disegni, e l’agile Corpo all’aure fidando, Ignoti vezzi sfuggono Dai manti, e dal negletto 42 Velo scomposto sul sommosso petto. All’agitarti, lente Cascan le trecce, nitide Per ambrosia recente, Mal fide all’aureo pettine E alla rosea ghirlanda 48 Che or con l’alma salute April ti manda. Così ancelle d’Amore A te d’intorno volano Invidiate l’Ore. Meste le Grazie mirino Chi la beltà fugace 54 Ti membra, e il giorno dell’eterna pace. Ai vv.55/66 Antonietta viene paragonata a Diana Artemide, la dea della caccia: Mortal guidatrice D’oceanine vergini, La parrasia pendice Tenea la casta Artemide
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E fea terror di cervi 60 Lungi fischiar d’arco cidonio i nervi. Lei predicò la fama Olimpia prole; pavido Diva il mondo la chiama, E le sacrò l’esilio Soglio, ed il certo telo, 66 E i monti, e il carro della luna in cielo “. Ai vv. 91/96 emergono motivi autobiografici che si ritrovano nel sonetto “Né più mai toccherò le sacre sponde”, poiché Foscolo è nato in Grecia (a Zante), patria della poesia: “ Ond’io, pien del nativo Aer sacro, su l’itala Grave cetra derivo Per te le corde eolie, E avrai divina i voti 96 Fra gl’inni miei delle insubri nepoti “. In quest’ode, Foscolo ricerca la classicità nella contemporaneità, come si vede dal titolo “All’amica risanata”; la donna è immortalata grazie al canto eterno del poeta. Classicità e contemporaneità sono quindi le due dinamiche del Neoclassicismo, entrambe contenute in quest’ode foscoliana. Nel 1807 Foscolo pubblica il carme de I Sepolcri, contemporanei alla traduzione foscoliana dell’Iliade. I Sepolcri si concludono con la celebrazione di Ettore, vinto, ma difensore della patria, in antitesi a Napoleone, vincitore, ma traditore delle speranze dei patrioti italiani con la cessione di Venezia all’Austria, in cambio del Belgio, che diventava francese, come ratificato dal Trattato di Campoformio (1797). Elena è il “motore immobile” dell’Iliade attorno al quale lottano achei e troiani, come Lucia è il “motore immobile” de I Promessi Sposi di Manzoni: nel Romanticismo tornano quindi vecchi “topoi” inseriti su contenuti nuovi. MERC. 17 FEBBRAIO. Cfr. R. Cardini - M. Rigogliosi, Neoclassicismo linguistico, Bulzoni: si tratta di un breve studio che focalizza le riflessioni neoclassiche sulla lingua. I dati caratterizzanti del Neoclassicismo si possono sintetizzare nei sgg.: 1)il principio di imitazione; 2)l’esaltazione della mitologia; 3)il riuso citazionistico della lingua della tradizione (si pensi al confronto tra Elena e Lucia, rispettivamente nell’Iliade e ne I Promessi Sposi). I primi due dei suddetti elementi vengono scardinati dal Romanticismo, che invece si appropria del terzo. Nel 1810 viene pubblicata l’Iliade montiana, riedita nel 1812, revisionata e adottata nei licei del tempo. Nel 1809-10 si avvia una vera e propria diaspora nella scuola neoclassica, con Monti e Foscolo, relativamente alla traduzione. Monti traduce dal latino, perché ignora il greco, a differenza di Foscolo, e questi lo definisce “gran traduttor de’ traduttor d’Omero”; l’Iliade montiana è comunque originalissima, a differenza di quella foscoliana, più scolastica, anche se fedele al testo greco. Nel 1815 Manzoni pubblica i primi quattro Inni sacri, segnando la svolta romantica al sentimento religioso, nello stesso anno della caduta napoleonica a Waterloo.
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Nella lettera che Foscolo invia alla famiglia, residente a Venezia, da Milano, il 31 marzo 1815, emerge l’animo romantico, liberale, antiaustriaco, che preferisce l’esilio all’asservimento della propria letteratura ai potenti. Cfr. la parte centrale della lettera, che supera il dato autobiografico: “(...) L’onore mio, e la mia coscienza, mi vietano di dare un giuramento che il presente governa domanda per obbligarmi a servire nella milizia, dalle quale le mie occupazioni e l’età mia e i miei interessi m’hanno tolta ogni vocazione. Inoltre tradirei la nobiltà incontaminata fino ad ora del mio carattere col giurare cose che non potrei attenere, e con vendermi a qualunque governo. Io per me mi sono inteso di servire l’Italia, né, come scrittore, ho voluto parer partigiano di Tedeschi, o Francesi, o di qualunque altra nazione: mio fratello fa il militare, e dovendo professar quel mestiere ha fatto bene a giurare; ma io professo letteratura, che è arte liberalissima e indipendente, e quando è venale non val più nulla. Se dunque, mia cara madre, io m’esilio e mi avventuro come profugo alla Fortuna ed al Cielo, tu non puoi né devi né vorrai querelartene; perché tu stessa mi hai ispirati e radicati col latte questi generosi sentimenti, e mi hai più volte raccomandato di sostenerli, e li sosterrei, con la morte. Non son figlio disleale e snaturato se t’abbandono; perché vivendoti più lontano, ti sarò sempre più vicino col cuore e con tutti i pensieri, e come in tutte le circostanze della mia diversa fortuna, io fui sempre eguale nell’aiutarti così continuerò, Madre mia, finché avrò vita e memoria: e la mia santa intenzione, e la tua benedizione mi assisteranno. E poi, se potessi scriver tutto, vedresti che il temporeggiare timidamente a pigliare questo partito non mi gioverebbe che per pochissimo tempo ancora: e la presente mia risoluzione siccome è onesta oggi, così sarà utile e necessaria per l’avvenire (...)”. Madame de Stael, nel l816 ne “Sulla maniera e la utilità delle Traduzioni” apre la polemica classico-romantica sul tema delle traduzioni ed attacca il principio neoclassico di imitazione, criticato da Platone, ma accettato da Aristotele e rimasto in vigore fino al Neoclassicismo. La traduzione è fondamentale perché non si possono conoscere tutte le lingue, antiche e moderne. Il francese ed il tedesco sono lingue poco adatte per essere tradotte, per povertà di metrica, a differenza dell’italiano, la lingua in cui Monti, per Madame de Stael, ha reso egregiamente Omero. Madame de Stael riconosce a Monti il merito della traduzione migliore (anche se dal latino), ma sostiene che gli italiani devono conoscere le letterature d’oltralpe. Shakespeare fu tradotto benissimo da Schlegel in tedesco. Grazie a Shakespeare, per Madame de Stael, il dramma ha preso il posto dell’epica classica. Accusa l’erudizione delle “antiche ceneri” in cui “razzola” il Neoclassicismo, mentre rivaluta il dramma nella sua valenza pedagogica. L’opera d’arte, per i romantici, è sempre un’esperienza individuale, come aveva affermato anche Kant nella Critica del giudizio. Nella ricerca storica e religiosa manzoniana si esclude il principio di imitazione. Il termine “romantico” veniva usato nell’ Inghilterra del ‘600 come “fantastico”, nel ‘700 come “attraente”, nella Francia settecentesca il termine viene inteso come “pittoresco”. Anche Rousseau usa questo termine, come Foscolo nel suo epistolario, che insieme a quello di Petrarca e di Machiavelli costituisce uno dei maggiori epistolari della letteratura italiana. Sul Romanticismo, si segnala la seguente bibliografia di base: M. Puppo, voce “Romanticismo” in Dizionario critico della letteratura italiana, a cura di Vittorio Branca; E. Raimondi, Romanticismo italiano e Romanticismo europeo, Milano, B. Mondadori, 1997, 2 voll.; Behler, Romanticismo: Schlegel, Novalis, Van der Reader, Firenze, La Nuova Italia, 1997. Il programma della rivista “Il Conciliatore” di Federico Confalonieri riassume il clima culturale milanese del tempo. Il periodare è ampio, ben lontano da quello del Baretti o de “Il caffè”. All’inizio del programma si sottolinea l’importanza del ‘giornale’ come mezzo di espressione e di comunicazione degli intellettuali, ma anche come strumento di diffusione della cultura popolare; con il ‘giornale’, rispetto al ‘libro’, si allarga il pubblico. Il ‘giornale’ viene quindi presentato come strumento nuovo. Emerge la necessità di rivolgersi ad un pubblico europeo. Nuove materie, come il commercio e l’economia, entrano a far parte degli articoli di giornale, come già ne “Il caffè”. Alla
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fine del programma si esalta il teatro di Alfieri e di Schiller, in piena sintonia con quanto affermato da Madame de Stael nell’articolo “Sulla maniera e la utilità delle Traduzioni”, pubblicato nel primo numero della rivista “La biblioteca italiana”. Manzoni, quando pubblicherà Il conte di Carmagnola (1820) troverà ne “Il Conciliatore”, il terreno preparatorio, come Manzoni stesso afferma nella prefazione alla tragedia. Manzoni condanna il principio di imitazione e le unità aristoteliche di tempo, luogo ed azione, definite “principi arbitrari”. Tali errori partono dal presupposto, altrettanto erroneo, che lo spettatore faccia parte del dramma e debba esservi inserito per un’intera giornata (dall’alba all’alba, come affermava Aristotele nella Poetica). I medesimi errori Manzoni riscontra nei principi di luogo e di azione. Manzoni, sempre nella prefazione a Il conte di Carmagnola, si distacca dal coro greco: per Manzoni il coro è una zona personale dell’autore, in cui può commentare i fatti presentati sulla scena, è il “cantuccio” del poeta. Per i greci la funzione del coro è invece intrinseca al dramma, fa parte della tragedia. Manzoni chiude questa prefazione sostenendo che invenzione e realtà storica non possono coesistere, poiché porterebbero al fallimento dell’opera d’arte: è questa una ‘dichiarazione di Romanticismo’ nella quale il poeta difende il “vero storico” e quindi gli “avvenimenti reali”. Il problema del rapporto tra Neoclassicismo e Romanticismo non è esaurito, ma prosegue sia in senso diacronico che sincronico: nel 1820 Monti scrive il Sermone sulla mitologia, che non viene quindi abbandonata, ma rinasce con Carducci, Pascoli (nelle poesie latine Carmina, con le quali vince un concorso di poesia latina ad Amsterdam), D’Annunzio, Pasolini. 5) LA STORIA LETTERARIA PRIMA DI DE SANCTIS PROF. ENRICO GHIDETTI (DOCENTE ORDINARIO DI “LETTERATURA ITALIANA”). MERC. 24 FEBBRAIO. La storia letteraria è un genere letterario (cfr. G. Getto, Storia delle storie letterarie, 1942, 1946, nuova edizione riveduta nel 1969, edizione Sansoni, Firenze) che nasce con la modernità. Tra il 1303 ed il 1305 Dante scrive il De vulgari eloquentia, considerato una ‘preistoria della storia letteraria’, nei capitoli che vanno dalla ‘Magna Curia’ a Cino da Pistoia. Altro modello di ‘preistoria letteraria’ è rappresentato da Boccaccio, negli scritti compresi tra il 1350 ed il 1360, De genealogis ( è una raccolta di favole mitologiche reinterpretate dall’autore) nei libri XIV° e XV°, in cui difende la poesia dalle accuse di teologi e giuristi. Boccaccio sostiene la non contraddittorietà tra la teologia cristiana e l’invenzione letteraria. Nel ‘400 il clima umanistico si concentra sulle biografie, per dare risalto all’operare umano. Abbondano biografie di letterati, come quella di Sicco Polentone, De illustribus scriptoribus latinae linguae, nel primo ‘400. Tali ‘gallerie’ anticipano la ‘modernità’. E’ una storia, quella di Polentone, della lingua latina per biografie. Nel 1476 Lorenzo il Magnifico invia una raccolta di Rime a Ferdinando d’Aragona, in cui elogia la lingua volgare. Nel 1525 Pietro Bembo scrive le Prose della volgar lingua, un’opera che apre il ‘500. Un poeta che trattò di poesia erotica e sentimentale fu Mario Equicola nel De natura et amore, sempre del 1525. Con Ortensio Lando (cfr. La sferza di scrittori antichi e moderni) si considerano autori che vanno da Omero ad Ariosto con spirito polemico. Un libro che modifica tali ricerche biografiche in senso erudito è Le librerie di Anton Francesco Doni (1550 e 1551 sono le date delle due ‘librerie’ del Doni). Con Doni si passa dalla biografia all’erudizione, in piena metà del ‘500. Le Vite del Vasari (1550) si collocano in questo contesto e non hanno termini di paragone. Girolamo Ruscelli scrive L’indice degli uomini illustri, che parla di Dante (al quale dedica solo due righe) come di Caligola. Paolo Giovio scrive l’Elogio canorum virorum (1546). Francesco Patrizi scrive Della poetica, in cui discute il concetto di poetica come storia di un genere letterario, fondamento della teoria della letteratura, disciplina che nasce nel ‘500. Nel ‘600 si assiste ad un progressivo passaggio dall’erudizione alla ricerca di un organico disegno di storia letteraria. E’ spiccatissima la tendenza al regionalismo ed all’accademismo. Gian Vittorio
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Rossi, nel ‘600, scrive una biografia di 300 autori. Battista Guarini scrive il Compendio della poesia tragicomica nel 1603 e segna il superamento della ‘galleria’ di autori per seguire la storia di un genere. Solo con l’Arcadia e con Giovan Mario Crescimbeni, petrarchesco, si segna però il decisivo passaggio ad un genere (cfr. Storia della volgar poesia, del 1698, e Della bellezza della volgar poesia, del 1700). Nella storia della poesia si abbandonano gli aspetti eruditi, ‘collezionistici’ e retorici delle ‘gallerie’ biografiche. Crescimbeni è attento alla cronologia ed alla documentazione antologica, affinché il lettore possa essere cosciente (“possa giudicare anch’esso”) il giudizio dello storico della letteratura. Crescimbeni parla anche di Francesco d’Assisi, di Federico II° di Svevia, di Filippo Neri, perché il suo scopo è anche quello di ampliare il concetto di letteratura oltre la poesia. Gian Vincenzo Gravina, grande avversario di Crescimbeni, scrive Della ragion poetica nel 1708 ed insiste sulla qualità fantastica della poesia; rivaluta la poesia dantesca, che in questo periodo non conosce una fase felice, nella critica letteraria. Anche Ludovico Antonio Muratori intervenne sulla poesia e nel 1706 pubblica Della perfetta poesia italiana: ha il proposito di riformare la poesia alla luce della tradizione classica, dopo le degenerazioni del ‘600. Il negativo giudizio sulla lirica del ‘600 arriva fino a De Sanctis, passando per Muratori, Leopardi, Manzoni. Muratori distingue il vero, che vale per l’intelletto, dal verosimile, che vale per la fantasia; introduce il concetto di verosimile, che sarà ripreso da Vico e da Manzoni. Giacinto Gimma scrive L’idea della storia dell’Italia letteraria (1723): Gimma non considera solo la poesia, ma anche i vari generi della prosa, introducendo così un nuovo concetto di storia letteraria, che supera i vincoli della lirica. E’ un ampliamento della storia della letteratura, intesa come storia della cultura, in senso più ampio. E’ un’idea che rimane fino ai giorni nostri. Cambiano, di conseguenza, i parametri della storiografia. Francesco Saverio Quadrio, valtellinese morto a Milano nel 1765, scrive un Trattato della poesia italiana e Della storia e della ragione d’ ogni poesia, più importante (1739/52), costituita da 7 volumi in 5 tomi. E’ un’opera di carattere enciclopedico nell’ambito dell’erudizione settecentesca. Per Quadrio la letteratura italiana è figlia di quello greco-latina, idea che arriverà fino a Giordani ed a Leopardi. Carlo De Mina, alla fine del ‘700, scrive il Discorso sopra le vicende di ogni letteratura (1760) ed il Saggio sopra la letteratura italiana (1762), libera la letteratura dalla precettistica, vede la storia come l’alternanza di periodi di splendore e di decadenza. Usa per primo l’espressione “Belle lettere”. La letteratura ha un rapporto, per De Mina, con la politica, la geografia, il clima; è, quella di De Mina, una sorta di storia filosofica della letteratura. Parini scrive i Principi delle belle lettere, ovvero i contenuti delle sue lezioni a Brera; l’opera fu pubblicata postuma nel 1804 (come l’ultima parte de Il Giorno). E’ importante, per Parini, seguire il canone classicistico. Girolamo Tiraboschi, bergamasco morto a Mantova, è il fondatore, nel secondo Settecento, della moderna storiografia italiana, con la sua monumentale opera, in 9 tomi, la Storia della letteratura italiana, composta dal 1772 al 1782. Sostiene la funzione patriottica della letteratura italiana, grazie alla quale la letteratura italiana ha il primato su quelle europee. L’idea della ‘galleria’ biografica è totalmente superata: dichiara di voler scrivere “la storia della letteratura italiana, non la storia dei letterati italiani”. Contribuì, inoltre, ad allargare il concetto di letteratura a quello di cultura. Nella letteratura entrano tutte le scienze. Tiraboschi ha anche il merito di introdurre il concetto di periodizzazione per secoli (cfr. C. Dionisotti, Geografia e storia della letteratura italiana, Einaudi, Torino, 1967). Tiraboschi rimane un modello nella storia letteraria, anche per la miniera di notizie che offre la sua monumentale opera; il suo linguaggio è di esemplare chiarezza. E’ uno studio dal quale non si può prescindere per fare delle ricerche sulla letteratura italiana prima del 1750. Il modello di Tiraboschi entra in crisi con Foscolo e con la storiografia romantica (cfr. le Lezioni di eloquenza e l’Orazione inaugurale di Ugo Foscolo) di carattere storicistico. Per Foscolo, Tiraboschi è più filologo che storico e manca di un’analisi profonda sui concetti di mutamento della storia
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letteraria. Per Foscolo, la letteratura del Tiraboschi, fortemente criticata, è “un archivio” che si può utilizzare come ausilio per scrivere una storia letteraria. Nel 1804-13 Giovanni Battista Corniani bresciano, scrive i Secoli della letteratura italiana dopo il Risorgimento: è una riflessione sulla letteratura italiana dal 1000 al 1750; il concetto di ‘Risorgimento’ è inteso, ovviamente, in senso culturale, e non riferito alla storia politica italiana. Fu un testo che ebbe fortuna nelle scuole del tempo. Insiste sull’aspetto biografico, nuovamente, ed è ancora oggi utile per conoscere autori poco noti. Camillo Ugoni scrive la Letteratura italiana nella seconda metà del secolo XVIII° (1820-22), in cui rielabora l’opera di Corniani, dando più importanza alla linearità storico-letteraria che non alla biografia. Ticozzi e Predari, insieme ad Ugoni, rielaborano quindi l’opera di Corniani e la proseguono. Predari scrive tra il 1854 ed il 1856. Il “gran ramo” della letteratura latina, per Corniani, fu spezzato dai Barbari invasori, ma ne nacque un altro, nell’ XI° secolo, con i rigogliosi comuni italiani. In questo senso Corniani giustifica la sua scelta di partire dal 1000, nella sua trattazione. Francesco Torti scrive il Prospetto del Parnaso italiano (1806-12), in cui distingue i grandi autori dagli imitatori. Giuseppe Maffei scrive una Storia della letteratura italiana (1825, prima edizione) con l’intento di fare affascinare gli stranieri alla nostra letteratura; fu un’opera che ebbe fortuna nelle scuole del tempo. GIOV. 25 FEBBRAIO. Le storie letterarie francesi del primo Ottocento sono per generi, non per autori. Si curano parafrasi dei testi in versi e riassunti di quelli in prosa. Prestano attenzione al ciclo carolingio, all’ Orlando Innamorato del Boiardo, all’ Orlando Furioso dell’Ariosto. Francesco Saverio Salfi, nell’ Ottocento, in Italia, s’inserisce in questo contesto. I Promessi Sposi, pubblicati da Manzoni per la prima volta nel 1827, furono stampati in tutta Italia, tranne che in Lombardia, ove il testo era censurato dal governo asburgico; a Firenze la ‘ventisettana’ conosce due edizioni, di due case editrici differenti. Dal 1840 al 1842 il romanzo uscì a dispense, non ebbe successo nell’immediato, anche se arricchito dalla Storia della colonna infame, perché il pubblico aveva già riconosciuto la grandezza della ‘ventisettana’ e non acquistò la ‘quarantana’. Lo stesso De Sanctis, nelle sue lezioni, cita sempre l’edizione del 1827. Massimo Bontempelli sostiene che il ‘900 inizia già con Verga, nel secondo Ottocento. Salfi scrive il Saggio storico sulla letteratura italiana, esalta Ariosto come il più grande poeta italiano e presta attenzione al ‘700, a Parini, ai fratelli Verri, alla disputa classico-romantica nel primo ‘800, auspicando una conciliazione tra le due correnti in nome della ‘bellezza’. Manzoni, nelle Osservazioni sulla morale cattolica contesta le accuse di Sismondì alla Chiesa; Sismondi è uno storico liberale ed anticlericale che considera la Chiesa come responsabile principale della decadenza italiana (cfr, La letteratura nel mezzogiorno d’Europa). E’ fortemente presente, in Sismondi, l’idea di ‘nazione’ in senso romantico. Lo storicismo romantico italiano, già in Foscolo, risente dell’influsso vichiano. Lo stesso estetismo foscoliano arriverà, da un lato, al Decadentismo (cfr. Le Grazie), mentre dall’altro è legato alla questione patriottica. Paolo Emiliani Giudici scrive la Storia delle belle lettere in Italia (1844), che ebbe grandissima fortuna e la Storia della letteratura italiana (1855), che è un leggero rifacimento della prima opera. Scrive anche un piacevole romanzo, Beppe Arpia. Emiliani Giudici fu il primo dei siciliani che si recò a Firenze, capitale della cultura e della lingua italiana, seguito da Capuana e da Verga. Per ‘belle lettere’ l’autore intende la storia dei documenti più insigni; in questo senso Emiliani Giudici distingue la ‘storia delle belle lettere’ dalla ‘storia della letteratura’. Le parti più valide della sua opera sono quelle relative agli ampi quadri piuttosto che quelle sugli autori; risente, in proposito, dell’influenza dell’idealismo tedesco circa l’importanza che viene data all’ ‘idea’. Emiliani Giudici interpreta la letteratura all’insegna della prevalenza di una delle due categorie di ghibellinismo e guelfismo, e vede i ‘risvegli’ nel ghibellinismo ed i ‘sonni’ nel guelfismo. De Sanctis, nella sua Storia della letteratura italiana, affronta il rapporto tra forma e contenuto, sostenendo che la storia letteraria è una ‘forma’ sulla quale si inseriscono i ‘contenuti’: l’opera
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d’arte, nella concezione estetica desanctisiana, è quindi la sintesi tra forma e contenuto. Per evidenti ragioni cronologiche, Emiliani Giudici dedica scarsa attenzione a Leopardi ed a Manzoni (anche perché non ne può conoscere ancora tutte le opere), Nella Storia delle belle lettere, Emiliani Giudici, nell’introduzione, propone l’istituzione di “Facoltà di Belle Lettere”. Distingue la storia letteraria in “epoche” e non in “secoli”, partizione ripresa da Ferroni nel secondo ‘900. Cesare Cantù scrive una Storia della letteratura italiana e la gigantesca Storia universale, in 35 volumi, ristampata in 56 volumi. La Storia della letteratura italiana di Cantù conclude un ‘trittico’ iniziato con la Storia della letteratura greca e proseguito con la Storia della letteratura latina. Cantù è un cattolico intransigente che non mostra interesse neanche per la discussione storiografica a lui contemporanea. E’ un moralista pedantesco che spesso demolisce gli autori che tratta. E’ tuttavia vivace negli aneddoti narrati, soprattutto nella parte relativa alla Controriforma cattolica. La sua opera è comunque appesantita dalla cappa del moralismo, per quanto intrisa di spiritualismo romantico. E’ una ‘storia senza problemi’, dogmatica e sovente lapidaria nei giudizi, come nel caso di Machiavelli, di cui non cita neanche il Principe (che fu infatti messo all’indice appena pubblicato, nel 1513), ma si limita a citare i Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio e le Historie fiorentine. E’ grave questo se si considera che Cantù scrisse la sua opera affinché venisse adottata nelle scuole. Non riporta alcun dato biografico di Foscolo e si limita a citare i Sepolcri, senza spiegare il carme. Critica aspramente Leopardi, politicamente disimpegnato, che si sarebbe scagliato contro un mondo a lui ignoto e che sarebbe stato solo un “raccoglitore di materiali”; quest’ultimo giudizio risulta decisamente erroneo. Settembrini scrive le Lezioni di letteratura italiana (1866-72); patriota del Risorgimento, fu imprigionato e perseguitato; fu collega di De Sanctis a Napoli; Settembrini insegna “letteratura italiana”, mentre De Sanctis è docente di “letteratura italiana comparata”. E’ un profondo conoscitore dei testi della letteratura italiana e nella sua opera si avverte fortemente il suo spirito patriottico. Si accosta direttamente ai testi, come nel caso di Metastasio. E’ anticlericale e la sua interpretazione è quindi simile a quella di Sismondi ed antitetica a quella di Cantù: la Chiesa cattolica è per Settembrini responsabile, nella storia, dei vari momenti di decadenza dell’arte. Il buio Medioevo trova un ‘risveglio’ solo nel pagano Umanesimo. Soltanto la letteratura fatta sui testi, per Settembrini, è “viva”, e questa sua diretta vicinanza ai testi è un pregio che gli va oggettivamente riconosciuto. E’ anche uno dei maggiori rappresentanti della letteratura italiana del Risorgimento, di impronta ghibellina. De I Promessi Sposi critica l’impianto clericale: tutti gli ecclesiastici sarebbero per Manzoni, secondo Settembrini, “buoni”, tranne don Abbondio. L’opera i Settembrini suscitò forti polemiche tra gli allievi di De Sanctis, che attaccarono Settembrini. De Sanctis, in Settembrini e i suoi critici (in Saggi critici, Roma-Bari, Laterza) interviene sulla questione e, dopo un’iniziale difesa di Settembrini, lo critica, perché avrebbe intravisto la chiave di interpretazione della letteratura italiana nella lotta tra papato ed impero; accusa quindi Settembrini di parzialità e di aver una visione semplicistica della storia letteraria. Settembrini è per De Sanctis più un patriota polemista e partigiano radicale che uno storico della letteratura. Per De Sanctis, in una storia letteraria il lavoro dell’analisi deve precedere quello della sintesi e la storia della letteratura deve tenere molto presenti le poetiche degli autori. 6) INTRECCI DI VOCI NEL ROMANZO ITALIANO DELL’ 800 E DEL ‘900 PROF. GINO TELLINI (DOCENTE ORDINARIO DI “LETTERATURA ITALIANA”). MERC. 3 MARZO. Cfr. G. Tellini, Il romanzo italiano dell’Ottocento e del Novecento, Milano, B. Mondadori, 1998, in cui si parla più delle linee di tendenza della letteratura che non dei singoli autori; anche la bibliografia è per ‘sezioni tematiche’ e non per autori (il romanzo d’avventura, poliziesco, rosa, horror, la narrativa campagnola, i romanzi per l’infanzia, la letteratura femminile, natalizia, ecc.). Gabriele D’Annunzio, nella lettera a Michetti del 1894, introduttiva a Il trionfo della morte, parla dell’ideale modello di prosa moderna, libera dai vincoli della favola e concentrata sulla vita umana,
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posta al centro dell’universo; la prosa moderna dev’essere, inoltre, musicale nello stile. Federico Tozzi riprende da D’Annunzio il concetto dell’eliminazione della favola (cfr. articolo di Tozzi “Come leggo io” del 1919). Stesso tema è presente nei protagonisti dei romanzi del ‘900, quali Vitangelo Moscarda (in Uno, nessuno e centomila di Luigi Pirandello). Tuttavia D’Annunzio si dimostra ancora ‘ottocentesco’ ponendo l’uomo “al centro della vita universa”; il personaggio dei romanzi del ‘900 è un uomo esistenzialmente in crisi, come Emilio Brentani ed Alfonso Nitti nei rispettivi romanzi di Italo Svevo Senilità e Una vita. Inoltre, la lingua di Pirandello e Svevo è ben lontana da quella sonora, dannunziana. Anche dal punto di vista linguistico D’Annunzio risulta ancora legato alla narrativa ottocentesca. L’uomo comune è quello di Piero Jahier nel romanzo omonimo e quello di Emilio Gadda, è l’uomo del ‘900, è “un groviglio di indecifrate da lui medesimo nevrosi”, come sostiene Gadda, non è il superuomo vitalistico dannunziano, né il ‘subuomo’ verghiano, il ‘vinto’. D’Annunzio non ‘apre’ quindi il Novecento inteso come ‘secolo della modernità’, né lo apre un ‘cavaliere dello spirito’ spiritualista e mistico come Fogazzaro. Apre invece questo secolo lo scrittore che indaga con linguaggio comune le zone oscure della coscienza. E’ quello che avviene con Pirandello, Svevo, Tozzi, Enrico Pea, tutti scrittori antieloquenti, che non ricercano il consenso del pubblico. La prosa di questi autori ignora l’estetismo ed il commercio del libro. Rimangono infatti, questi autori, nella fase iniziale della loro produzione, sconosciuti, perché fino agli anni ’30 domina il dannunzianesimo. Nel 1914, a dieci anni dalla pubblicazione de Il fu Mattia Pascal, Pirandello è ignorato dal pubblico, come è documentato dalle Lettere di Serra. Anche Pea è circondato dall’indifferenza. I centri dell’editoria sono la Roma dannunziana e la Milano e la Firenze futuriste. I protagonisti dei romanzi del ‘900 inteso come ‘secolo della modernità’ sono modesti bibliotecari, come Mattia Pascal di Pirandello o impiegati come Emilio Brentani ed Alfonso Nitti di Svevo. L’ ‘io’ è protagonista, ma non più l’io patriota della narrativa risorgimentale ed ottocentesca; non è un io sicuro di sé, ma incerto e contraddittorio nella vita pratica e problematico nella coscienza. Si vuole scavare nella “nudità arida” della vita, come afferma Pirandello nel Saggio sull’umorismo. Il ‘900 è infatti il secolo della nascita della psicoanalisi freudiana, ben presente negli “atti mancati” e nei “buoni propositi” di Zeno Cosini, protagonista de La coscienza di Zeno di Italo Svevo. E’ un io impotente, già ampiamente soddisfatto se riesce ad avere una consapevolezza di sé e delle proprie inquietudini. Come afferma Tozzi, “l’anima è un gran pozzo e non tutte le funi sono riuscite a tirare su l’acqua”, perché l’ io non si conosce mai completamente. Significativa è quindi la metafora tozziana del pozzo, in stretta connessione con la nuova psicologia sperimentale che Tozzi conosceva. Pirandello, nell’ Ave Maria di Bobbio (dalle Novelle per un anno, Giunti, Firenze, 1997, 3 voll.) riprende l’immagine della coscienza come “pozzo senza fondo”, in cui l’acqua non si può vedere. Anche Eugenio Montale negli Ossi di seppia tiene presente la metafora del pozzo ed il tentativo umano di prendere l’acqua con una “carrucola” che “cigolava”. La narrativa novecentesca è sbilanciata quindi sulla verticalità, e non più sull’orizzontale, come quella ottocentesca. Tozzi, in Con gli occhi chiusi conclude il romanzo in quattro modi diversi per far capire al lettore che la conclusione non è importante, a differenza del romanzo dell’Ottocento. E’ un romanzo ambientato a Firenze; protagonisti sono Piero e Ghisola. La conclusione non è importante, perché l’esistenza non si può ‘de-finire’ ed il soggetto non ha una percezione organica della realtà. Più che conclusioni e risposte, sono quindi importanti i dettagli. Mediante il dubbio si accresce la comprensione della vita. Non è una visione, quella del ‘900, antipositivista, come quella dannunziana e dei ‘cavalieri dello spirito’ come Fogazzaro, ma postpositivista: non si combattono le pretese della scienza, con Pirandello, Svevo, Tozzi e Pea, ma si ha una nuova visione, psicologica, e quindi postpositivistica. In questo contesto si dissolve l’unità della persona, come dimostra Vitangelo Moscarda in Uno, nessuno e centomila di Pirandello. La ragione è consapevole dei propri limiti. Pirandello tira giù la maschera ai propri personaggi come Svevo li vede “camminare con il teschio scoperchiato” (cfr. I. Svevo, Scritti su Joyce). Il narratore, di conseguenza, si rapporta con cattiveria ai suoi personaggi (cfr. F. Tozzi, Bestie e Tre croci). E’ una cattiveria rappresentativa: i personaggi sono visti in modo
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animalesco (cfr. Tozzi, Bestie), come il becchino di Siena, Braciola, “dal colore della sua terra, grasso, come fosse pieno di vermi” (cfr. Federico Tozzi, Con gli occhi chiusi). Lo zoomorfismo araldico è tramontato, nel ‘900: non più cigni ed aquile, ma pipistrelli, ragni (cfr. Ch. Baudelaire, “Spleen” da I fiori del male), vermi e topi (cfr. Tozzi, Con gli occhi chiusi). Sigmund Freud, nella Introduzione alla psicoanalisi condanna la “megalomania dell’uomo”: i nuovi narratori, in questo senso, trovano nessi con questa tesi freudiana. Molte sono infatti le testimonianze dei vari scrittori su Freud. Non si crede più nella terapia, nella guarigione, perché la malattia è un dato di fatto (cfr. la novella La mosca di Pirandello, in cui si denuncia l’impotenza della medicina). Nel ‘900 la crisi delle certezze scompiglia anche gli organigrammi della medicina e ne denuncia le impotenze; la patologia diventa ineliminabile caratteristica della vita, come la follia. Si convive con la malattia e la follia. Tale concetto è già vivo in ambiente scapigliato. La malattia diventa metafora della trasgressione, dell’inquietudine, delle incertezze e della libertà di coscienza. La malattia non ha più un significato completamente distruttore e demoniaco, come in Mastro don Gesualdo di Giovanni verga; Gesualdo muore infatti di tumore. In Pirandello il tema della morte e del cancro assume “un nome dolcissimo”, “epitelioma” (cfr. Luigi Pirandello, L’uomo dal fiore in bocca): il protagonista è un uomo sereno e disperato al tempo stesso, che porta “la morte addosso” e che quindi convive con la morte. Tema connesso a quello della malattia mortale è il suicidio, unico strumento di lotta possibile contro la solitudine per Alfonso Nitti in Una vita e per Amalia in Senilità di Svevo. Non si muore più per amore e per la patria, come Jacopo Ortis di Ugo Foscolo (cfr. U. Foscolo, Ultime lettere di Jacopo Ortis). Non è più il suicidio alfieriano di tipo eroico (cfr. V. Alfieri, Saul e Mirra). Il suicidio diventa un irrilevante fatto di cronaca (cfr. la novella Niente di Pirandello, dalle Novelle per un anno). GIOV. 4 MARZO. L’importanza del ‘dettaglio’ è legata alla poetica vociana del ‘frammento’ (cfr. la rivista fiorentina “La Voce”, del primo ‘900). Con gli occhi chiusi di Tozzi è un compendio di dettagli. Con il frammento si certifica la fine del romanzo ottocentesco (cfr. Boine, Un ignoto, 1912), come Boine, Sbarbaro e Clemente Rebora hanno attestato; il frammento è un “bagliore”, un “segmento”, una “scheggia” che non rimanda alla totalità, ma è in sé assolutizzato, a differenza del segmento ottocentesco di Tommaseo. Tale frammento è “un momento creativo dell’istante”, come afferma Onofri nell’articolo “Tendenze”. Il frammento è presente anche ne La coscienza di Zeno di Svevo, per quanto Svevo non abbia avuto rapporti con “La Voce”. Il frammento è presente in Gadda, che parla di un “romanzo non finito”, in Pasolini, Pavese, Vittorini, Landolfi, negli scrittori degli anni ’30. L’idea del frammento è viva anche in Pirandello (cfr. Quaderni di Serafino Gubbio operatore), in Massimo Bontempelli, Italo Calvino, Moravia, nei manifesti futuristi di Filippo Tommaso Marinetti, che esaltano il montaggio cinematografico come espressione del frammento. Il montaggio del film viene infatti visto come sintesi compositiva, come una ‘summa’ di dettagli, da parte dei romanzieri. Goffredo Parise ne Il ragazzo morto si inserisce in questo contesto. Anche Leonardo Sciascia esalta il linguaggio delle immagini (cfr. C’era una volta il cinema). Il cinema, per Pasolini, ha una “originale qualità onirica e visionaria”. Il narratore non è più onnisciente, nel ‘900, né indifferente, ma è un “navigatore senza bussola”, come afferma Bufalino. E’ comunque un errore semplificare o adombrare il romanzo ottocentesco per scoprire quello del ‘900. I rapporti del ‘900 con la tradizione ottocentesca sono importanti: si pensi al Saggio sull’umorismo di Pirandello, che richiama all’umorismo dell’Ottocento. Pirandello legge I Promessi Sposi e rilegge, in questa chiave umoristica, la figura di don Abbondio. La prosa umoristica ottocentesca sarà ripresa da Pirandello, che riprende anche concetti di De Sanctis, che parla della contraddizione tra “il ridere ed il piangere contemporaneamente”. Pirandello trasferisce l’ironia ottocentesca nelle pieghe dell’ io dei suoi personaggi. Pirandello ha studiato anche Verga, sul quale ha scritto un importante saggio nel 1920 (cfr. Pirandello, Discorso di Catania). Di Verga, ovviamente, Pirandello non riprende l’ironia, ma l’intreccio, essenziale ne I Malavoglia. Pirandello vede in Verga “un sofferente e tragico contemporaneo”. Anche Svevo studia Mastro don Gesualdo
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nelle pagine de “L’Indipendente”. Svevo studia anche Manzoni, si pente di non averlo amato in gioventù ed accusa di questo Carducci, antimanzoniano, perché Svevo si era formato alla scuola di Carducci. Anche Tozzi rivaluta la modernità verghiana in “Giovanni Verga e noi”, un articolo apparso sul “Messaggero della domenica” del 1918. Tozzi considera un “romanzo particolarmente originale” anche le Operette morali di Leopardi. Palazzeschi vive nelle avanguardie futuriste, ma s’interessa dell’Ottocento, di Giusti e di Pinocchio di Collodi. Nel ventennio tra le due guerre mondiali il romanzo ha vita difficile, a causa della rivista romana “La Ronda”, che ha un’impronta decisamente antinarrativa per propugnare invece la “bella pagina”. Per il romanzo, la via d’uscita da questa fase critica è offerta dalla cultura europea; in questo contesto agiscono riviste quali “L’antologia americana” di Vittorini, “Il Convegno” (1920-39) a Milano, “Il Novecento” di Bontempelli, “Solaria” a Firenze, “La cultura” a Roma, alla quale collabora attivamente Pavese. Grazie a queste riviste si conoscono autori come Mann, Kafka, Proust, Joyce. Fra gli anni ’30 e ’40 si fonda il romanzo moderno del Novecento grazie a queste riviste, che hanno superato la “bella pagina” de “La Ronda”. Pesci Rossi di Emilio Cecchi è un romanzo nato in quest’ottica. L’internazionalismo immesso dalle riviste contribuì a svecchiare la provinciale letteratura italiana, che tuttavia continua a tenere viva la memoria del passato, come dimostrano Piero Gobetti ed il giovane Sapegno. Piero Gobetti, liberale antifascista, è anche editore. Gadda riprende I Promessi Sposi circa il “guazzabuglio” di sentimenti che è il cuore umano per il suo “pasticciaccio” di via Merulana, pur accusando Manzoni di ipocrisia; il “guazzabuglio” manzoniano è relativo alle, per Manzoni, in parte sincere lacrime di commozione del padre di Gertrude quando la figlia prende il velo, dopo la costrizione paterna. Il romanzo del ‘900 ricerca il proprio senso morale in quello ottocentesco. Inoltre, il ‘900 dell’ ‘800 riprende l’intreccio, come afferma Bontempelli nella rivista “Il Novecento”. Si scopre Pinocchio di Collodi all’insegna del “realismo magico” di Massimo Bontempelli (cfr. M. Bontempelli, La scacchiera di fronte allo specchio). Si vede ne Le confessioni di un italiano di Ippolito Nievo il primo romanzo moderno, contrapposto a I Promessi Sposi, ancora inserito nel clima culturale ottocentesco. Il mondi di Nievo è infatti inquieto e misterioso, come il ‘900. Brancati si è laureato nel 1929 a Catania su De Roberto, legge Verga e non in chiave strapaesana, malgrado Brancati avesse scritto sulla rivista di regime “Il Tevere”. Bontempelli riscopre i Canti di Leopardi in L’uomo solo. La vita di leopardi, nel ‘900, è vista come “un’amarissima odissea”, un’avventura. Si può quindi trattare Leopardi con la “confidenza” con cui ci si rapporta ad un contemporaneo. Emilio Cecchi rivaluta Verga come importante autore per la letteratura del ‘900 italiano e condanna invece le traduzioni di Hemingway e l’importazione della cultura americana in Italia. Pavese stesso adduce la ripresa della letteratura americana ad un momento di crisi di quella italiana, che deve invece far tesoro del proprio passato. Anche Bilenchi e Carlo Cassola rivalutano Verga. Manzoni viene invece stroncato da Alberto Moravia. Negli anni ’80 rinasce il romanzo storico con Umberto Eco (cfr. Il nome della rosa). Rivalutando il Novecento si fa quindi luce anche sul romanzo ottocentesco. 7) ANTOLOGIE DI POESIA DEL ‘900 ITALIANO PROF. SSA ANNA NOZZOLI (DOCENTE ASSOCIATO DI “LETTERATURA ITALIANA MODERNA E CONTEMPORANEA”). MERC. 17 MARZO. La scelta antologica, in qualsiasi periodo, presuppone un problema di periodizzazione, di critica, di storiografia e di selezione dei testi. Il problema della periodizzazione è particolarmente importante quando si affronta il Novecento e soprattutto il genere della lirica. Sorge innanzitutto la questione di quando nasce la poesia del ‘900. Molte sono le antologie del ‘900 e si possono dividere in due categorie: le antologie complessive di tutto il secolo e quelle di tendenza, quelle tematiche e quelle circoscritte ad una particolare stagione lirica del ‘900. Per antologie di tendenza si intendono le “antologie militanti”, come quelle dei futuristi o della neoavanguardia (movimento nato nel 1963), politicamente impegnate. Le antologie tematiche sono quelle dedicate a particolari aspetti della
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poesia (quella satirica, quella religiosa, quella femminile e quella femminista del post 1968). Le antologie scolastiche sono numerosissime e rappresentano un capitolo a sé stante; le più significative sono quelle relative non solo all’ambito scolastico, ma riferite al contesto generale della lirica novecentesca. Importanti le riviste “Allegoria”, “Alfabeta” (una rivista multidisciplinare attinente a letteratura, cinema, musica, arte, filosofia, linguistica, che oggi non si stampa più) e “Belfagor”, oltre al “Giornale critico della letteratura italiana”, di crociana memoria. I manuali scolastici più recenti e più validi sono quelli di C. Segre - C. Martignoni, Testi nella storia. La letteratura italiana dalle origini al Novecento, B. Mondadori, Milano, 1992, in 4 voll. (il 4° volume è dedicato al Novecento) e di R. Ceserani - L. De Federicis, Il materiale e l’immaginario. Laboratorio di analisi dei testi e di lavoro critico, Torino, Loescher, in 10 voll. (il vol. VIII°, tomo 2 ed il vol. IX° riguardano il ‘900). L’antologia risale alla classicità e non è quindi un’invenzione novecentesca, anche se l’antologia riscuote un forte impulso nel ‘900, come intento di antologizzare nel senso di periodizzare ed interpretare. Le antologie di tendenza, ovvero quelle impegnate, sono quelle che meno si prestano al discorso della periodizzazione, proprio in quanto antologie militanti; tra queste si ricordi quella di Papini e Pancrazi, impegnati nella rivista fiorentina “La Voce”, insieme a Prezzolini, Piero Jahier, Ardengo Soffici, Giuseppe De Robertis. De Robertis trasformerà “La Voce” da rivista militante di destra a strumento specificamente letterario. Pancrazi ebbe, nei confronti del ‘900, un atteggiamento di diffidenza, perché il “secolo d’oro” della nostra letteratura è per Pancrazi l’Ottocento, a differenza di Papini, che rivaluta invece il ‘900. Anche dal carteggio Papini-Prezzolini si evince la scarsa considerazione che Pancrazi ha del secolo in cui vive. Pancrazi studia Lucini, Panzini, Baldini, Serra, Corazzini, Scipio Slataper, il crepuscolare Marino Moretti. Pancrazi studia, nell’antologia Poeti d’oggi (1900-1920), poeti, ma anche narratori, come Federico Tozzi e Grazia Deledda; la prosa studiata è comunque prevalentemente lirica. Tale indistinzione tra generi letterari (poesia e prosa) subisce l’influsso neoidealistico crociano. Tantissimi sono i ‘poemi in prosa’ nel primo ‘900, come quelli di Boine. La poesia in prosa riguarda temi concernenti la grande guerra. La ‘poesia in versi’ inizia invece con Riccardo Bacchelli, con i Canti orfici di Dino Campana, con Clemente Rebora, Sbarbaro, Montale, Ungaretti, Quasimodo, Saba. Gian Pietro Lucini è importante perché introduce in Italia la discussione sul verso libero. Nelle prime antologie del ‘900 i testi non sono commentati e non presentano note, come quello dello stesso Mengaldo; fanno eccezione le antologie di Sanguineti e Contini. Sugli autori sono presenti solo stringatissime note biografiche introduttive ai testi scelti. In Montale (cfr. Ossi di seppia) l’influsso del simbolismo francese di Baudelaire, Mallarmè, Verlaine, Rimbaud e di simbolisti minori è molto forte. Nell’intervista del 1946 Montale dichiara di aver letto i simbolisti, inizialmente, solo mediante le antologie. Papini e Pancrazi, in Poeti d’oggi (1900-1920) escludono Pascoli e D’Annunzio dalla poesia novecentesca e si pronunciano quindi esplicitamente sulla collocazione di questi due grandi poeti del ‘900; fanno iniziare la poesia del ‘900 con la prima edizione delle poesie di Govoni, nel 1903. Pascoli e D’Annunzio sono invece inseriti nel ‘900 da Pier Paolo Pasolini (che rivaluta soprattutto Pascoli come poeta del ‘900), Mengaldo, Giovanni Getto, Folco Portinari, Bàrberi Squarotti, Guglielminetti, Elio Gioanola (cfr. La letteratura del ‘900 in Italia, Torino, Sei), Spagnoletti, Gianfranco Contini, Romano Luperini, Franco Fortini, Falqui, Salvatore Guglielmino (cfr. Guida al Novecento, Principato, Milano). Falqui ed Elio Vittorini redigono Scrittori nuovi, ma è uno studio importante più per la ‘prosa d’arte’ che per la poesia lirica. Luciano Anceschi, in Lirici nuovi (1942) stabilisce invece il canone della poesia del ‘900. Anceschi, in seguito, confluirà nella neoavanguardia. In Lirici nuovi inserisce solo testi poetici e non opera più alcuna commistione tra poesia e prosa. Fin dall’introduzione alla sua opera, Anceschi separa nettamente la poesia dalla prosa. Per Anceschi, inoltre, la lirica nuova del ‘900 presenta una connotazione unitaria, omogenea, e non c’è quindi spazio per l’eterogeneità: tale linea unitaria è per
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Anceschi riscontrabile nel filone orfico-simbolista inaugurato da Dino Campana, da Le occasioni di Montale, da Ungaretti, dai poeti ermetici o “poeti puri”. La poesia prosastica delle neoavanguardie del primo ‘900 non viene invece considerata poesia. Sanguineti interpreterà Campana, invece, come grande poeta espressionista. Questo dimostra come la poesia del ‘900 sia, nel suo interno, diversa e contraddittoria, profondamente articolata e diversificata. Anceschi definisce Montale poeta “pre-ermetico” e tale definizione avrà molto influsso, anche se non sempre felice, sulla manualistica scolastica del ‘900 ed anche sulle antologie non scolastiche ed anzi, di un certo rilievo. GIOV. 18 MARZO. Un ‘post-moderno’ è Vittorio Sereni, recuperato da Anceschi, che studia anche Saba, Gozzano ed il primo ‘900. Franco Fortini è un poeta partigiano, non considerato da Anceschi. Anceschi fonderà “Il Verri”, destinata a diventare la rivista della neoavanguardia. Giacinto Spagnoletti è un altro critico, autore di tre antologie della poesia italiana contemporanea. L’approccio di Spagnoletti è di tipo eclettico e nella sua opera studia anche Giorgio Caproni. Un tratto innovativo delle antologie di Spagnoletti consiste nell’autopresentazione degli stessi autori antologizzati (cfr. Antologia della poesia italiana contemporanea, Firenze, Vallecchi, 1946, Antologia della poesia italiana (1909-1949), Parma, Guanda, 1950, Poeti del Novecento, Milano, Mondadori, 1952, seconda edizione riveduta ed ampliata, 1973). Gli anni ’50 e ’60 sono gli anni dello sperimentalismo e delle neoavanguardie: i poeti modificano profondamente il loro modo di fare poesia; questa svolta si avverte in Montale, in Xenia e Satura, ma ancora prima in certe poesie de La bufera. In Xenia e Satura si nota come Montale scriva in una “poesia prosastica” (sono poesie dedicate alla moglie morta). Vittorio Sereni è un altro poeta che ha notevolmente modificato la propria linea lirica nel 1965, con Strumenti umani: entrano temi nuovi, come quello dell’Italia post-industriale. Sul piano stilistico, la sua lirica assume un ritmo quasi narrativo. Lo stesso accade a Mario Luzi in Nel magma (1963). Franco Contini scrive antologie scolastiche e non solo; per lui i due grandi giganti del ‘900 sono Gadda e Montale. Ungaretti viene letto da Contini come un ‘poeta puro’, un ‘poeta simbolista’. Contino fu amico e profondo conoscitore di Montale, che considera un poeta ermetico. Caproni e Zanzotto, due grandi poeti della neoavanguardia, non vengono considerati da Contini. Sanguineti si distacca dall’interpretazione di Anceschi e Contini e ricerca nei poeti del ‘900i precursori o della linea orfico-simbolista o della neoavanguardia. Rilegge quindi il ‘900 alla luce di queste due linee interpretative: il primo ‘900è quindi, per Sanguineti, anticipatore di tali linee del secondo ‘900. Gian Pietro Lucini, poeta ed autore de Il verso libero, acerrimo nemico di Antonio Fogazzaro, viene considerato da Sanguineti come l’iniziatore della nuova poesia; vengono rivalutati anche Govoni, Palazzeschi, Gozzano, i futuristi, Ardengo Soffici, Dino Campana. Per Sanguineti, Campana è un poeta nuovo, è un poeta espressionista. Saba, Ungaretti, Cardarelli e Montale sono per Sanguineti espressione di una linea di poesia orfica da rifiutare per sostituire invece la nuova poesia sperimentale. Pavese, Pasolini e Pagliarini, tre poeti molto diversi tra loro, sono invece accostati da Sanguineti come poeti sperimentali del secondo dopoguerra. In seguito, Sanguineti e Pasolini entreranno in polemica sulla visione del mondo. Da tutto questo si evince come il ‘900 sia un secolo assai frastagliato, come affermano Mengaldo e Fortini. Andrea Zanzotto, Vittorio Sereni e Mario Luzi sono i tre maggiori esponenti della tradizione postmontaliana, tra gli anni ’70 e gli anni ’80, e dimostrano come tutto il secolo non sia riassumibile alla luce del simbolismo. Fortini ne Le poesie italiane di questi anni appare come poeta militante. Mengaldo scrive Poeti italiani del Novecento (Milano, Mondadori, 1978), in cui conferisce importanza alle singole voci dei poeti; per questo la sua antologia non è divisa in periodi. Importanti le introduzioni ad ogni poeta, che hanno il valore di brevi saggi. Mengaldo distingue l’ermetismo meridionalistico di Quasimodo e Getto dall’ermetismo fiorentino di Parronchi e del primo Luzi. Quasimodo è oggi quasi dimenticato, mentre fu celeberrimo come traduttore dei lirici greci. Ungaretti, come ermetico, si riallaccia al classicismo petrarchesco, mentre Montale è più vicino a
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Dante. Molta importanza viene data da Mengaldo alle traduzioni ed alle voci dialettali, come quella friulana di Pier paolo Pasolini. Importante l’antologia di Elio Gioanola (Poesia italiana del Novecento), più valida del suo manuale, secondo Nozzoli. La Poesia italiana del Novecento (1995) di Krumm e Rossi ed i Poeti italiani del secondo Novecento. 1945-1995 (1996) di Cucchi e Giovanardi sono due antologie complessive della poesia del ‘900. Si può concludere affermando che nella poesia contemporanea è accaduto ciò che si è verificato nel romanzo dagli anni ’70 ad oggi: una crisi, un disorientamento, la mancanza di un nuovo tono poetico. 8) “SONDAGGI LETTERARI” SUGLI SPAZI ED I CONFINI DELLA NARRATIVA CONTEMPORANEA. DOTT. MARINO BIONDI (RICERCATORE DI “STORIA DELLA CRITICA E DELLA STORIOGRAFIA LETTERARIA”). MERC. 24 MARZO. Non si può parlare di storiografia del ‘900, poiché il tempo necessario per la maturazione critica è troppo breve. A Gesualdo Bufalino sono dedicate le ultime 30 pagine del testo di Tellini (Il romanzo italiano dell’Ottocento e del Novecento, B. Mondadori, Milano, 1988): Bufalino si pone sulla linea di confine, all’interno del ‘900, tra i ‘vecchi’ ed i ‘nuovi’ (le avanguardie del “Gruppo ‘63”). Umberto Eco è stato tra i fondatori del “Gruppo ‘63”, ma poi ne è uscito. Al Congresso di Palermo del 1965 il Gruppo ’63 ha negato la possibilità di un romanzo nel ‘900; fa eccezione Eco, che con Il nome della rosa ha scritto un romanzo; il suo secondo romanzo, Il pendolo di Focault, è invece più un saggio che un romanzo, un saggio sul romanzo in cui si affermano quali devono essere le caratteristiche del romanzo contemporaneo. E’ questa anche la tesi di Remo Ceserani, docente di “Letteratura comparata” presso la Facoltà di “Lettere e Filosofia” dell’Università degli Studi di Bologna ed autore de Il materiale e l’immaginario. Laboratorio di analisi dei testi e di lavoro critico, Torino, Loescher, insieme a Lidia De Federicis, docente di italiano in un liceo classico torinese. Il romanzo del ‘900 è una totalità infranta su cui è possibile elaborare una serie di combinazioni. Per lo scrittore albanese Cadaret (trasferitosi a Parigi, scrive in francese) alla scrittura si sono sostituite moltissime ‘scritture’ e questo è un dato negativo, contrariamente a quanto afferma Umberto Eco, che è invece un ‘democratico delle scritture’. Iesciua, scrittore israeliano, si occupa del rapporto tra narrativa ed etica. Piersanti sostiene che nel ‘900 l’intimismo ha avuto un effetto negativo, in quanto fenomeno generazionale: gli scrittori hanno perso di vista la realtà per una ‘sindrome autobiografica’. Per Sandra Garavini, scrittrice fiorentina e docente universitaria, si può però guardare la realtà anche osservando l’intimità, la soggettività. Il romanzo, per Garavini, è comunque uno strumento fondamentale di conoscenza. Sono, tutti i suesposti, problemi di sociologia letteraria, che, in quanto tali, sono aperti alla ricerca e non risolti. Non c’è un nesso tra il crescente mercato librario ed il valore dei testi in commercio, anche se Eco, come già affermato, esalta il fatto che tutti scrivano, anche per diletto e gioco, quindi per attività ludica, dal punto di vista semantico, in quanto Eco è semiologo. Per Eco è importante, quindi, il “segno linguistico”, ossia qualsiasi linguaggio, indipendentemente dal criterio valutativo. Nel tradizionale romanzo dell’Ottocento e del primo Novecento il romanzo doveva essere infarcito di citazioni e rimandi, come fa Balzac, che cita anche la novellistica orientale, come si vede ne La pelle di Zigrino: l’aspetto orientaleggiante è fuso con la dimensione parigina dell’Ottocento. Proust cita anche Saint-Simon, Balzac e la memorialistica. Il romanzo di Eco è lontanissimo, in proposito, da quelli di Honoré de Balzac e di Proust, come si vede ne Il pendolo di Focault, con il
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quale il saggio erudito appare ormai superato, come è superata la scrittura critico-storica. Eco distingue due tipi di lettore: quello semantico, interessato al significato dei termini ed alla trama, e quello critico, sicuramente più elevato del primo, perché è egli stesso scrittore. Eco è docente al D.A.M.S. (“Dipartimento Arti, Musica, Spettacolo”) della Facoltà di “Lettere e Filosofia” dell’Università degli Studi di Bologna ed è considerato quasi universalmente “il Croce del postmoderno”, sicuramente uno dei più grandi romanzieri del secondo Novecento, per alcuni il più grande. I due tipi di lettore costituiscono per Eco una ‘doppia codifica’. Il lettore critico ricostruisce il romanzo, per Eco, con il metodo dei percorsi intertestuali. Tale metodo è per Eco superiore a quello storico: Eco è un antistorico e nega l’esistenza di una gerarchia di valori per affermare la letteratura come gioco e diletto. Il nome della rosa si può leggere, infatti, con un doppio livello di lettura: il lettore critico, a differenza di quello semantico, scopre, nella sua lettura, le criptocitazioni, ossia le fonti ed i richiami non citati esplicitamente dall’autore. E’ questo, per Eco, un sofisticatissimo gioco combinatorio di letteratura comparata. Il superuomo di massa (1963) di Eco è un romanzo di letteratura popolare, genere che Eco conosce benissimo. L’egualitarismo è un cardine della letteratura americana, e non a caso Eco è lo scrittore italiano più noto in America. Nella letteratura americana sono importanti l’orizzontalità e la laicità, in base alle quali è fondamentale l’ ‘allargamento letterario’, per cui analizzare un testo dantesco o di un autore misconosciuto ha lo stesso valore. Un autore come Dante pensava che Dio garantisse il senso della poesia: è questa una visione verticale, assente nella narrativa contemporanea, che per sua natura è laica e spesso atea, in cui la visione è invece, come si è detto, orizzontale. Il pendolo di Focault è dedicato a Leon Focault, fisico francese, inventore del pendolo, e non a Michel Focault, autore del noto Saggio sulla follia. Ne L’isola del giorno dopo (1994), Eco, per certi critici, avrebbe ripreso Verne, autore al quale Eco ha dichiarato di non aver mai pensato: questo è un problema di ‘criptocitazioni’, ovvero di ‘citazioni nascoste’, fonti non citate dall’autore perché dall’autore non sono state neanche coscientemente considerate. E’ questo il metodo del ‘lettore critico’, come già affermato. Lo scrittore irlandese John Benville, collaboratore de “Il corriere della sera”, autore de La notte di Keplero (edizioni Guanda), afferma che la scienza, ad altissimi livelli, non è cultura, in quanto non è comunicabile, e quindi non è cultura umana, in quanto non è linguaggio, non è comunicazione; è questa una frattura gravissima tra scienza e cultura nella quale si inserisce, per Biondi, purtroppo, anche il fisico Carlo Rubbia, premio Nobel. La letteratura invece non necessita di una mediazione di linguaggio, come la scienza; in qualsiasi forma, la letteratura rimane comunicabile. Questo è un difetto della scienza contemporanea, e non della scienza precedente; si pensi a Galileo, che era un grande scienziato, ma anche uno scrittore che si sforzava di comunicare. Il linguaggio scientifico è freddo ed impersonale e quindi inumano. La scienza è comunque importante per i contributi che fornisce alla letteratura: è il caso di Gadda, ingegnere ed allievo del “Politecnico” di Milano; il suo romanzo è frutto della confluenza di due poli, quello scientifico ed esatto da un lato e quello del disordine della vita umana dall’altro (cfr. Quer pasticciaccio brutto de via Merulana). La letteratura ha il pregio di captare i vari ‘linguaggi settoriali’. Flaubert, nell’Ottocento, ci mette in guardia anche verso il pericolo di eccessivo scetticismo. Il punto debole del narratore contemporaneo consiste nella carenza di cultura: l’intimismo è legittimo solo se fornito di buone basi culturali. GIOV. 25 MARZO. Cadaret si occupa del rapporto tra etica e letteratura ed ha osservato che dalla tragedia greca del VI° e del V° secolo a.C. proviene tutta la nostra letteratura. Pietro Pancrazi, Giuseppe De Robertis, Emilio Cecchi, Giuseppe Antonio Borgese e Geno Pampaloni hanno dominato la critica letteraria fino agli anni ’60. Nell’estate 1929 Moravia pubblica Gli indifferenti, romanzo che segna il risveglio della narrativa italiana del ‘900.
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L’attuale mancanza di una critica letteraria nei giornali ha consentito una immensa produzione di pubblicazioni, ma dal valore discutibile. La critica letteraria sui giornali e le riviste è stata importante perché ha dato delle linee precise, come ha affermato Borgese. Nel 1902 è apparsa la prima pagina di critica letteraria su un giornale, “Il corriere della sera”. Gadda si è posto, per primo, il problema di conciliare scienza e letteratura; è un autore che si è quindi posto il problema del rapporto con la realtà, questione ricorrente anche nell’Ottocento. La realtà del ‘900 è assai più ‘sfuggente’ di quella, sociale, dell’Ottocento. Calvino è un altro autore che ha affrontato il problema del rapporto con la realtà, grazie alla sua permanenza a Parigi. Sono due autori, Gadda (cfr. Le belle lettere, Garzanti, Milano) e Calvino (cfr. Lezioni americane) che escono dall’intimismo per affrontare l’esterno: è un’operazione, per Biondi, eroica. Tale operazione non è comprensibile se slegata dall’opera del romanziere francese Perec (cfr. La vita: istruzioni per l’uso), in cui descrive gli angoli delle strade di Parigi, i “Caffè”, la gente di uno squallido condominio. E’ uno scrittore ‘innamorato della realtà’ e corrisposto. Da notare che l’opera di Perec è in sé conclusa e non lascia soluzioni aporetiche, come Kafka, Proust, Joyce, Musil. Perec è un romanziere, quindi, della realtà e della totalità. La tecnica narrativa di Perec è data dall’elenco, dalla catalogazione (si elencano e si descrivono minuziosamente tutti gli oggetti di una stanza, ad esempio): non si preoccupa di annoiare il lettore, poiché è il lettore, per Perec, che deve adeguarsi al gusto dello scrittore, e non viceversa. La descrizione dei singoli oggetti è quasi maniacale, in Perec. La mentalità di Perec è collezionistica: vuol fare entrare la realtà nel libro, cercando di superare le ‘resistenze’ del reale. La realtà ha un suo linguaggio, che il letterato accetta perché il linguaggio della realtà è immodificabile. La realtà ha un suo ‘blocco linguistico’, una propria ‘massa idiomatica’ (il romanesco, ad esempio, per Carlo Emilio Gadda in Quer pasticciaccio brutto de via Merulana). Le ‘masse idiomatiche’ sono numerosissime. Perec intende la categoria di ‘mania’ in senso greco, come necessità di descrizioni precise. Tale mania perechiana è presente anche in Gadda. In Gadda sono tantissime le masse idiomatiche dei personaggi: c’è il linguaggio del prete, della prostituta, del poliziotto, del maestro, del ladro, eccetera. Ognuno ha il proprio linguaggio nel proprio ambiente. Si assiste, all’interno del romanzo, quindi, ad una pluralità di registri linguistici. Gadda è nemico acerrimo della retorica, anche se è ossessionato dall’idea della guerra e dalla morte dei soldati, lui che è sopravvissuto in battaglia, a differenza del fratello, che invece vi è morto. Gadda ha la grandiosa capacità di calarsi in qualsiasi realtà, in quella del dolore (cfr. La cognizione del dolore) come in quella della donna. Bibliografia essenziale: F. Orlando, Gli oggetti desueti nelle immagini della letteratura, Torino, Einaudi, 1993 (Orlando è docente di letteratura francese all’Università degli Studi di Pisa); G. Steiner, Vere presenze, Milano, garzanti, 1992 (è uscito in lingua inglese nel 1989). Steiner è uno dei più grandi critici mondiali delle letterature inglese, francese, tedesca, che tratta in lingua originale, è un ebreo, profondo conoscitore dei testi biblici e classici, è un critico enciclopedico). Steiner biasima la sterminata critica accademica, molto spesso improduttiva; la critica è valida quando è ermeneutica e filologia, al fine di chiarire oscurità testuali. Valorizza i grandi critici, come Eliot e Benjamin, o lo stesso Dante, che critica Virgilio escludendolo dal Paradiso poiché non battezzato; per la mentalità medievale è questa una cesura insanabile e Dante dimostra un’abilità critica fortissima. H. Steiner, Nessuna passione spenta. Saggi: 1978-1996, Milano, Garzanti, 1997. 9) QUESTIONI DI METRICA TRA OTTO E NOVECENTO. DOTT. SSA FELICITA AUDISIO (RICERCATRICE DI “STILISTICA E METRICA”). MERC. 7 APRILE. Franco Contini, nel capitolo “Innovazioni metriche italiane tra Otto e Novecento” (in F. Contini, Varianti e altra linguistica, Torino, Einaudi) sostiene che la libertà rivendicata dalla letteratura tra i due suddetti secoli è anche una libertà metrica: la metrica (misurazione della poesia in senso
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orizzontale e verticale, ossia nel computo delle sillabe che costituiscono un verso e nel computo dei versi che compongono una stanza o strofa, ossia un raggruppamento di versi all’interno della poesia e nel computo delle stanze o strofe che costituiscono una poesia) non è un accessorio della letteratura, ma è una “forma” strettamente connessa al “contenuto” ed è essenziale per l’analisi dei testi. La stilistica è il complesso dei precetti necessari per esprimersi con chiarezza: così fu definita fin dall’antichità greca. Il termine “prosodia”, dal greco, significa “pronuncia del suono” e riguarda l’acutezza, la gravità, l’intensità e la durata del suono vocale. Carducci, Pascoli e D’Annunzio sperimentano metri classici. Le “parole in libertà” del futurismo, Proust, Ungaretti e Montale segnano una seconda rivoluzione metrica. In Myricae di Pascoli troviamo sonetti (poesia di 14 vv., 2 quartine o stanze di 4 vv. e 2 terzine o stanze di 3 vv., di schema metrico ABAB o ABBA, rima alternata o incrociata nelle quartine, probabilmente inventata dal poeta siciliano Jacopo da Lentini nella prima metà del XIII° secolo) e madrigali (poesia amorosa e bucolica al tempo stesso), ma a livello ritmico Pascoli è un grande sperimentatore. Carducci pubblica le Odi barbare nel 1877 e D’Annunzio pubblica Primo vere nel 1879, in cui rielabora i metri carducciani. L’abilità di sperimentare forme metriche richiede “orecchio” ed è questo il caso di D’Annunzio, fin da giovane. Anche la poetica vociana del frammento s’inserisce nella metrica. Le proposte metriche di Marinetti consistono nella violenta distruzione della sintassi. Nel Bombardamento di Adrianopoli emerge l’aspetto grafico, ma si notano anche settenari (versi di sette sillabe) ed enjambement (mancata corrispondenza della pausa metrica con quella sintattica, ossia della fine del verso con quella del periodo, fu usata dai poeti per esprimere l’inquietudine del proprio animo) in un testo che non si può definire né prosa, né poesia. L’unico contributo del futurismo alla metrica consiste quindi nella totale distruzione della sintassi. I Canti orfici di Dino Campana rappresentano un esempio di “poesia in prosa”, come i versi di Cardarelli, Riccardo Bacchelli (il noto autore de Il mulino del Po), Jahier (che subisce l’influsso di Walt Whitmann), Clemente Rebora (cfr. Frammenti lirici), Boine (cfr. Frantumi). Campana risente l’influenza di Rimbaud (cfr. Illuminazioni). In Boine si nota soprattutto un uso particolare della punteggiatura: le sue prose sono frammenti lirici. Rebora riprende, nei Frammenti lirici, il Dante stilnovista: i suoi versi, polimetri (poesia caratterizzata dall’avvicendarsi di metri differenti), sono applicati alla tragedia della guerra. Nella sua polimetria annovera settenari, ottosillabi (versi di otto sillabe) e decasillabi (versi di dieci sillabe), nonché rime del tutto irregolari, che creano un ritmo verticale, mentre il ritmo orizzontale, che ha dominato la lirica italiana dalla scuola poetica siciliana all’Ottocento, non esiste più. In Campana (cfr. Canti Orfici) si notano influssi wagneriani, che hanno una funzione di raccordo verticale. Usa senari (versi di sei sillabe), novenari (versi di nove sillabe), decasillabi. La metrica barbara, con il frammento vociano di Campana, è ormai definitivamente tramontata. Nel frammento vociano la prosa risulta inficiata dal verso e viceversa: si assiste quindi ad una reciproca contaminazione tra poesia e prosa. Ungaretti scrive “versicoli” frantumati (cfr. “Natale”), come anche Montale. Nel Sentimento del tempo, Ungaretti cercherà di ricostruire l’endecasillabo (verso di undici sillabe) di origine petrarchesca e leopardiana, modelli classici della lirica italiana. La metrica italiana conosce tre metodi: 1)il metodo prosodico, con cui si cerca di restituire alla lingua italiana un metro latino, ma tale sperimento è fallimentare, perché ripropone il metodo della quantità in una metrica che è basata invece sul sillabismo (computo del numero delle sillabe), e non sulla lunghezza. Tale metro su usato per la prima volta da Leon Battista Alberti nel Certame coronario, una gara di poesia in volgare istituita con lo scopo di dimostrare, in pieno Umanesimo, la superiorità della lingua volgare su quella latina e che non raggiunse però questo scopo. 2)Il metodo accentuativo propone un compromesso tra quantità e sillabe che mantenga l’accento tonico (quello che dà il tono alla parola) con uno schema regolare, anche se monotono. Tale metodo ebbe fortuna anche in Germania, tra Sette ed Ottocento. Goethe e Schiller seguono questo metodo,
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come i poeti romantici inglesi dell’Ottocento. Nel 1739 tale metodo fu proposto dal valtellinese Francesco Saverio Quadrio, ma non ebbe seguito, mentre fu adottato da Pascoli. 3)Il metodo sillabico prescinde totalmente dai due metodi precedenti per accettare un settenario ed un novenario. Questo metodo fu adottato da Carducci (cfr. Juvenilia, Levia Gravia, Giambi ed epòdi, Odi Barbare) perché consente di chiudere l’esametro, metro della poesia classica, costituito da 5 dattili (tre sillabe, di cui la prima lunga e le altre due brevi), ed uno spondeo (due sillabe lunghe __ ) o un trocheo (una sillaba lunga __ ed una breve). E’ un metodo nuovo, tipicamente romanzo, che consente di riprodurre i metri antichi senza contaminazioni, né sintesi. Le Odi barbare di Carducci sono ricche, anche se “barbare”, affermò Carducci con ironica autocritica, perché “tali sarebbero suonate agli orecchi dei greci e dei latini”. Carducci non usa l’endecasillabo e sostiene che la libertà metrica è legittimata dalla libertà dei contenuti. GIOV. 8 APRILE. Nel sonetto “Né più mai toccherò le sacre sponde”, Foscolo usa l’esametro puro. Il novenario consente a Carducci di chiudere l’esametro perché presenta una medesima struttura ritmica. I puristi della lirica ed i critici si scandalizzarono al momento in cui apparve la poesia in prosa del frammento vociano. In Carducci è frequente l’uso dell’enjambement. Nel 1881 Carducci scrive “Nevicata” (dalle Odi barbare), in pentametri (metro classico formato da cinque piedi), con una cesura che presenta un chiaro ossitono (parola che ha l’accento sulla vocale dell’ultima sillaba). Esempio, da “Nevicata”: “spiriti reduci son, / guardano e chiamano a me”. Nonostante il suo sperimentalismo metrico, Carducci, come sostiene Croce, è ancora un poeta legato all’Ottocento: recupera infatti il passato recente (medievale) o classico. Pascoli, allievo del Carducci, succederà a Carducci nella cattedra di “Letteratura italiana” all’Università di Bologna, ma si distaccherà fortemente dal maestro, sia nella metrica che nei contenuti, e criticherà Carducci, malgrado ne avesse riconosciuta la grandezza. Anche nelle traduzioni Pascoli prende le distanze da Carducci, anche se il “Pascoli maggiore” è quello di Myricae e dei Canti di Castevecchio. Pascoli, nella metrica, è precisissimo, anche nel rispetto della sinalefe (pronuncia, in una sola sillaba, di due vocaboli o dittonghi di cui una sia finale di parola e l’altra iniziale della parola successiva): il ritmo pascoliano è “tutto interno” e lo si può comprendere solo con una serrata analisi testuale, mentre quello dannunziano è “tutto esterno” e portatore di suoni. Solo nella prosa si possono notare reciproche influenze tra Pascoli e D’Annunzio. In Odi e inni, Pascoli unisce la metrica sillabica a quella classica, pindarica. Le rime pascoliane sono perfette, come si vede nei Poemi conviviali e nei Carmina, complesso di poesie latine con cui Pascoli ha vinto un concorso di poesia latina ad Amsterdam. La metrica novecentesca, a differenza di quella ottocentesca e pascoliana, è molto irregolare. Pascoli alterna rime (identità di suoni finali in due o più parole) ed assonanze (rime imperfette, uguali solo nelle vocali o nelle lettere successive alla vocale accentata) ed una i metri classici, quali sonetti, madrigali, ballate (poesie accompagnate alla danza, frequenti nella lirica italiana medievale ed umanistico-rinascimentale). Frequente è in Pascoli l’uso dell’onomatopea (verso che imita un suono, come “gre gre”, “fru fru”, “don don”, “chiù”). 10) L’ERMETISMO, LA POESIA NEOREALISTA ED IL POST-ERMETISMO DOTT. MARCO MARCHI (RICERCATORE DI “LETTERATURA ITALIANA”). MERC. 14 APRILE. L’Ermetismo è una corrente poetica del ‘900 difficilmente definibile; alcuni prosatori possono comunque considerarsi ermetici, come Mario Luzi. Alfonso gatto è uno dei massimi poeti ermetici e nel 1968 definisce gli ermetici come “societas di uomini soli che si trovano ad operare insieme”. Il primo critico della poesia ermetica fu Francesco Flora: nel 1934 pubblica La poesia ermetica e definisce l’Ermetismo genericamente ed in forma riduttiva come poesia analogica ed oscura. Flora
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proviene dalla scuola crociana. Flora considera oscura anche la raccolta di Ungaretti L’Allegria, che invece si sforza di comunicare con i lettori, come tutto il primo Ungaretti. Flora definisce “ermetisti” i poeti ermetici. Tutta la poesia ermetica è da Flora connotata come oscura. La poesia ermetica è preceduta, negli anni ‘20/’30, dalla “poesia pura”, che non va confusa con l’Ermetismo. La poesia pura di Paul Valery è “intraducibile”, non raccontabile e poco parafrasabile. Anceschi evidenzia due linee della poesia pura, che ‘escono’ entrambe da Baudelaire: la prima costituita da Baudelaire-Mallarmé-Valery, la seconda tracciata da Baudelaire-Rimbaud-Surrealismo. La prima ha un intento estetico, mentre la seconda presenta, con Rimbaud, i caratteri propri dell’Esistenzialismo. Il problema dell’Esistenzialismo è infatti stato posto dai ‘poeti maledetti’ francesi ( o ‘simbolisti’). La più recente interpretazione sull’Ermetismo è quella di Iacobbi, che non considera Montale come poeta ermetico, ma come pre-ermetico. Sono ermetici, per Iacobbi e per Marchi, i poeti che fra il ’35 ed il ’45 gravitano intorno all’ambiente fiorentino, quali Luzi, Gatto, Piero Bigongiari (pistoiese), Quasimodo (siciliano, intermedio tra la poesia pura e l’Ermetismo), Sinisgalli e De Libero. Tra i critici è doveroso ricordare Carlo Bo ed Oreste Macrì. Bigongiari definisce l’Ermetismo come una sorta di avanguardia non codificata. Non si può parlare di avanguardia, per Marchi, se non sussistono le due seguenti condizioni: 1) il campo d’indagine dev’essere molto vasto (come il Futurismo, che non si limita alla letteratura, ma sconfina nella musica e dà addirittura il meglio di sé nelle arti figurative); 2) l’aspetto distruttivo nei confronti del passato (nota è in proposito la polemica futurista contro il ‘passatismo’, come emerge nel Manifesto del 1909 di Filippo Tommaso Marinetti). Queste due condizioni non appartengono all’Ermetismo, che per Marchi non si può quindi considerare un’avanguardia, a differenza di quanto sostiene Bigongiari. L’Ermetismo ha un raggio d’azione molto limitato e non rompe con la tradizione, non è ‘iconoclasta’ come il Futurismo, per Marchi. Gatto, e con lui concorda Marchi, definisce l’Ermetismo come una “societas generazionale” che fra il ’35 ed il ’45 si trovò ad operare insieme. E’ questa, per Marchi, l’interpretazione più valida. E’ presente, nell’Ermetismo, una componente etico-religiosa: è il caso di Mario Luzi, sostiene Marchi, allievo di Giorgio Luti, esperto del ‘900 poetico. L’Ermetismo rifiuta comunque la letteratura come descrizione di costumi comuni per concentrarsi sull’uomo. E’ questa una coeva definizione di Carlo Bo. Per Luzi l’Ermetismo si connota anche come movimento antifascista, come si vede dalla lingua adottata, che si distacca dai codici ufficiali di regime (cfr. M. Marchi, Invito alla lettura di Mario Luzi, Mursia, Milano). Le fonti dell’Ermetismo sono molto varie: dalle riflessioni filosofiche di Agostino e Blaise Pascal al Romanticismo, dall’orfismo di Campana all’Esistenzialismo francese contemporaneo. Il poeta ermetico si proietta verso una vita ‘virtuale’: è un atteggiamento di catarsi espressiva quasi misticoreligiosa, che risente dell’iperuranio platonico. La poesia ermetica non pretende di celebrare odi o inni. GIOV. 15 APRILE. Giovanni Papini esprime giudizi negativi sulla nascente poesia ermetica. Nel 1947 Benedetto Croce si pronuncia sull’Ermetismo con toni non sempre positivi; sicuramente sono migliori i giudizi di Giuseppe De Robertis, che individuano in Ungaretti un poeta di rilievo. Il Neorealismo condanna l’Ermetismo come letteratura disimpegnata; nel dopoguerra si sente il bisogno di una poesia, infatti, vicina alle istanze sociali. Il dibattito sui problemi sociali, nel secondo dopoguerra mondiale, è molto forte, anche se non è sempre condotto con il necessario rigore scientifico. Lo storicismo di Russo condanna l’Ermetismo come “un’autarchia senza fondamento”, ovvero come una contraddizione in termini. Anche il giovane Franco Fortini polemizza con gli ermetici. Per Carlo Bo l’avventura ermetica muore nel 1947.
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Pier Paolo Pasolini esordisce come poeta ermetico e simbolista; in seguito s’inserirà in un contesto più comunicativo e maggiormente impegnato nei confronti della realtà. Salvatore Quasimodo, poeta colto e traduttore siciliano dei lirici greci, collega l’Ermetismo al postErmetismo. La poesia di Quasimodo “Alle fronde dei salici” viene considerata la prima voce poetica della Resistenza italiana, sicuramente più povera di produzione letteraria rispetto a quella francese. Alfonso Gatto, nel 1949, con la raccolta Il capo sulla neve, si avvicina a questa linea di poesia impegnata. Quasimodo e Gatto danno anche quindi un’impronta razionale e talvolta retorica, quasi da salmo ripetitivo, da ritornello, all’Ermetismo, prima considerato come un movimento con forti componenti irrazionalistiche. La poesia di Cesare Pavese è una sorta di ‘poesia-racconto’. Il ritmo ripetitivo e salmodico è presente anche nella poesia spagnola di Federico Garcìa Lorca. La produzione di Pasolini dal 1942 al 1956 (cfr. Ceneri di Gramsci, 1949) passa da una produzione di tipo petrarchesco, secondo le interpretazioni di Contini e Luzi, ad una crescente ricerca di contatto con la realtà storica, anche se nel 1949 venne espulso dal partito comunista italiano e Pasolini si trasferì a Roma con la madre. Il suo contatto con la storia è parallelo alle sue tragedie familiari, come l’assassinio del fratello, avvenuto per mano di una banda partigiana e non dei fascisti, come invece una certa distorta storiografia di sinistra ha voluto far credere. La figura materna, in Pasolini, ha sempre un peso molto forte. Sarà però soltanto la scoperta di Marx a far passare Pasolini dalla poesia alla narrativa, anche se Pasolini dimostra la sua adesione al Neorealismo nella poesia stessa. A Pasolini ed a Luzi seguirà l’esperienza dello sperimentalismo delle neoavanguardie. Il dibattito sull’Ermetismo, sulla poesia neorealista ed il post-Ermetismo negli anni ’50 ha investito la funzione di tutta la letteratura del ‘900: le nuove forme di poesia sperimentale non devono dimenticare di appartenere alla letteratura ed alla storia italiane. Compito della poesia novecentesca è quello di porre dubbi quando si affermano certezze dogmatiche: è questa anche la tesi di Mario Luzi. Bibliografia di base: P.P. Pasolini, Passione e ideologia, Milano, Garzanti; M. Luzi, Nel magma (raccolta di poesie), Milano, Garzanti; D. Valli, Storia degli ermetici, Brescia, La Scuola.
BIBLIOGRAFIA FONDAMENTALE DEL CORSO: -De Sanctis F., Storia della letteratura italiana, Torriana (FO), Orsa Maggiore, 2 voll., 1988; -Dionisotti C., Geografia e storia della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 1967; -Tellini G., Il romanzo italiano dell’Ottocento e del Novecento, Milano, B. Mondadori, 1988.
TOTALE ORE DEL CORSO FREQUENTATE: 40/40 (QUARANTA SU QUARANTA).