Vico e la metafisica storicistica

Page 1

EDIZIONI ISSUU.COM


GIAMBATTISTA VICO E LA FONDAZIONE DELLA METAFISICA STORICISTICA.

1.Vita ed opere Nato a Napoli nel 1688, Giambattista Vico fu inizialmente seguace delle dottrine razionalistiche di Cartesio, ma in seguito se ne distaccò con sdegno per scoprire un “sapere nuovo”. Rimase isolato dalla cultura pre-illuministica del suo tempo e fu infatti riscoperto solo nel primo Novecento da Benedetto Croce, che ne rivalutò l’originalità e la fecondità del pensiero, sostenendo che senza il contributo vichiano non si sarebbe potuta sviluppare la filosofia romantica di Hegel. Studiò grammatica, retorica, filosofia, diritto romano, civile, canonico. Per ragioni economiche, per 9 anni fece il precettore nel Cilento; in seguito insegnò retorica all’Università di Napoli. Tra le sue principali opere si ricordino le 6 “Orazioni Inaugurali” (importanti per le critiche rivolte a Cartesio), tra cui il De nostri temporis studiorum ratione (è la sesta ed ultima delle ‘Orazioni’, la più importante dal punto di vista pedagogico, del 1708), il De antiquissima italorum sapientia (1710), l’Autobiografia (pubblicata postuma) e soprattutto i Principi di una Scienza Nuova intorno alla comune natura delle nazioni ( 3 edizioni, 1725, 1730, 1744). Morì nel 1744, dopo aver dato un enorme contributo alla filosofia della storia, all’estetica moderna, alla pedagogia ed alla metafisica storicistica. Tuttavia Vico rimase isolato dalla cultura razionalistica del suo tempo, anche per l’oscurità testuale della sua principale opera, la ‘Scienza Nuova’. 2. I limiti del metodo cartesiano. Vico sostiene inizialmente che una scienza, per essere considerata tale, deve essere conoscibile nelle cause più profonde, fino alle radici: conoscere significa quindi “scire per causas”, cioè “conoscere attraverso le cause”. Il criterio cartesiano di “idee chiare e distinte” non è per Vico applicabile alla conoscenza del mondo fisico, cioè alla fisica, perché del mondo fisico non è autore l’uomo, ma solo Dio: l’universo non è pertanto “un libro scritto in termini matematici”, come affermava Galileo e l’intento umano di spiegare le cause ultime del mondo è pura presunzione. La fisica non è quindi scienza, nel senso di conoscenza. Di conseguenza Vico critica anche il “cogito, ergo sum” cartesiano, in quanto l’uomo può solo attestare la propria esistenza, ma non ma non la scienza, la conoscenza dell’esistenza fisica. Gli assiomi della matematica sono invece dimostrabili, perché è l’uomo che crea la matematica, ma non sono applicabili al mondo fisico perché mancano di controllo fattuale proprio perché il mondo fisico, come si è detto, non è creazione umana. La matematica è quindi una pseudoscienza, una falsa scienza, un “castello di carte”, una scienza fittizia, in quanto è una pura invenzione umana vera solo nell’ambito dei propri assiomi, delle proprie invenzioni, ma inapplicabile alla realtà. Inoltre, nota Vico, il metodo matematico cartesiano esclude il “verosimile”, ciò che “sorge a metà tra il vero ed il falso”, e lo tratta come “falso”, in quanto non è “vero”; ma proprio nel verosimile, afferma Vico, consiste l’essenza umana, consistono la morale, i sentimenti, la fantasia, la poesia, l’arte, la storia, l’eloquenza, concetti che non sono riassorbibili immediatamente nelle sfere del “vero” o del “falso”. 3. La coincidenza del “Vero” con il “Fatto” e la scoperta della Storia come Scienza Nuova. Per Vico è vero solo ciò che si può dimostrare con i fatti, ciò che si può fare e rifare: il “vero” coincide quindi con il “fatto”, “verum et factum convertuntur”. L’uomo conosce la matematica, come si è detto, perché ne è l’autore, ma non conosce la fisica, perché del mondo fisico è autore solo Dio e non l’uomo. Dio è infatti la prima verità, perché è il primo creatore e “facitore”. Oltre alla matematica, che è una scienza fittizia, che l’uomo però conosce in quanto crea, l’uomo è padrone e signore di un’altra scienza, la storia, che conosce “per causas” in quanto ne è il protagonista. Come Dio, infatti, conosce il mondo naturale perché l’ha fatto, così l’uomo conosce il


2

mondo storico perché l’ha fatto: la Storia è quindi per Vico l’unica vera scienza umana, ed è questa la “Scienza Nuova” che il filosofo ha scoperto. 4. Filosofia e Filologia: “Vero” e “Fatto”. Critico, come si è visto, nei confronti di filosofie astratte di tipo cartesiano, Vico afferma che filosofia e filologia non sono separabili: la filosofia, con le idee, illumina i fatti storici, e la filologia, con i fatti (favole, miti, leggende, istituzioni religiose e civili), offre il contenuto alla filosofia. Il nesso tra filosofia e filologia è quello tra teoria e pratica, ideale e reale, astratto e concreto, è la coincidenza, quindi, tra il “Vero” ed il “Fatto”. 5. La filosofia della storia, l’estetica, la teoria dei “corsi” e “ricorsi” storici e l’ “eterogenesi dei fini”. Vico distingue tre età nella storia: quella degli Dèi, quella degli eroi e quella degli uomini. La prima è caratterizzata dalla religione animista: Dio è identificato con i fenomeni della natura e la conoscenza umana è affidata ai sensi: Vico chiama “bestioni” questi primi uomini preistorici. Il linguaggio è quello gestuale. La seconda età, quella degli eroi, è caratterizzata dal predominio della fantasia e dal diritto eroico, basato sulla forza: gli uomini cominciano ad organizzarsi in tribù. Il linguaggio è quello geroglifico. La terza fase è quella degli uomini, in cui “la ragione è tutta spiegata” ed il linguaggio è quello cantato (inni). Nella Scienza Nuova Vico, dando un contributo all’estetica moderna, valorizza la poesia, la fantasia, i miti ed il linguaggio, che non è legato alle rigide ed astratte regole logiche, ma che è invece un organo vivente, in continua evoluzione, che segue il cammino dell’umanità. La lingua cantata, lirica, quella della terza fase del cammino dell’umanità, l’età degli uomini, precede la prosa: la poesia precede la prosa come la fantasia precede la ragione. Vico si pronuncia esplicitamente anche sull’estetica, dimostrandosi parzialmente vicino alle posizioni di Platone: l’arte dev’essere produzione libera, originale e spontanea e non deve limitarsi a copiare o rielaborare dei modelli, perché in tale modo allontana dalla verità. Vico esalta pertanto la scultura antica, priva di esempi artistici, e biasima quella attuale, che è una copia peggiore, mentre valorizza la nostra pittura, che, per forza di cose (non essendoci pervenuti grandi capolavori pittorici dall’antichità), è libera. Polemicamente e paradossalmente Vico afferma che bisognerebbe distruggere scultura ed architettura antiche per avere buone opere d’arte! Della storia, come si è più volte detto, è autore l’uomo, ma le tre fasi della storia non le ha create l’uomo, bensì Dio: è questa la “storia ideale eterna delle nazioni”, un progetto divino universale, un sostrato sotto il quale scorrono le storie delle singole nazioni e dei singoli popoli. La storia non è quindi direzionata dal caso o dall’uomo, ma dalla Provvidenza divina. E’ questa una tesi che sarà fatta propria, nel Romanticismo italiano, da Alessandro Manzoni ne I Promessi Sposi. La Provvidenza divina è quindi il filo conduttore tra il tempo e l’eterno, tra l’uomo e Dio: la Provvidenza è quindi il senso della storia. Tuttavia la Provvidenza non toglie all’uomo le proprie responsabilità nei corsi storici: quando l’umanità, infatti, compiuto un “corso storico” dai sensi alla ragione è “accecata” dalla ragione astratta si verifica una caduta che Vico chiama “ricorso storico”. La storia umana non segue quindi necessariamente un progresso positivo: la ragione e l’orgoglio umani possono causare indebolimenti e cadute, ma anche in questi casi è sempre presente la Provvidenza, che invita l’uomo a risollevarsi ed a riprendere la strada nel disegno della “storia ideale eterna delle nazioni”. Ad esempio, la civiltà romana, dopo aver compiuto un “corso” che l’ha condotta dalla monarchia, alla repubblica ed all’impero, ha subìto una caduta, un “ricorso” con le invasioni barbariche, ma l’aiuto divino le ha consentito di intraprendere un nuovo corso, caratterizzato dal feudalesimo, dall’età comunale e dalle signorie. E’ questa una visione ciclica, triadica e dialettica della storia che avrà un enorme peso nella filosofia romantica tedesca di Hegel: in questo senso acquista valore la rivalutazione del pensiero vichiano operata da Croce nel primo Novecento. La Provvidenza divina garantisce anche l’eterogenesi dei fini, in base alla quale l’agire umano nella storia produce, talvolta più di quello che si propone, supera gli scopi previsti: Dio è quindi garante


3

del progresso umano, anche di quelle invenzioni e scoperte che l’uomo non ha inizialmente progettato (eterogenesi = altra causa, nascita, genesi, degli scopi). G. B. VICO, DE NOSTRI TEMPORIS STUDIORUM RATIONE ( SUL METODO DEGLI STUDI DEL NOSTRO TEMPO ).L’opera, del 1708, si articola in 15 capitoli (il 15° funge da conclusione). E’ la sesta ed ultima delle Orazioni inaugurali. 1) Il filosofo cita inizialmente Bacone, che s’interessò di scienza senza essere scienziato (era uomo di legge accusato di peculato): fu caro al Vico, che ne ammirò la vastità del piano di ricerca scientifica, notando però un certo eccesso: a livello pratico, infatti, non v’era molto di realizzabile in tale piano. Partendo, da uomo di fede, dall’idea che ogni cosa che l’uomo può conoscere è finita ed imperfetta come l’uomo, Vico, immaginando di rivolgersi ad un pubblico giovane, enuncia le proprietà dei metodi di studio degli antichi e dei suoi contemporanei, evidenziando strumenti, sussidi e fine dell’articolazione dell’ideale metodo di studio. Lo strumento è l’elemento fondamentale (nell’anatomia, ad esempio, il microscopio), il sussidio è complementare, affiancato allo strumento, ed il fine è determinato dal corso degli studi. L’università, ad esempio, è un sussidio. Ma il fine di tutti i corsi di studio dovrebbe essere uno solo: la verità. Lo strumento fondamentale ed universale è per Vico il metodo. Non è scopo di Vico notare i difetti dei due metodi (antico e moderno), ma associarne i pregi; da un paragone, il metodo moderno è per Vico più ricco e valido di quello antico, anche se entrambi i metodi possiedono elementi positivi e carenze. 2) Il dubbio, la critica, ci danno certezza di essere (riprende da Cartesio); l’ analisi risolve con metodo scientifico qualsiasi problema (Vico riconosce all’applicazione algebra-geometria una grande utilità); ecco il vantaggio dei moderni nei vari tipi di studio: chimica, anatomia, astronomia; grazie alla scienza ed al suo progredire, abbiamo sussidi che gli antichi non avevano, quali laboratori e telescopi. 3) Quali sono gli svantaggi della nuova critica ? Il verosimile sorge a metà tra vero e falso, ma la critica deve scartarlo come il falso. Dal verosimile sorge il senso comune, regola dell’eloquenza: ecco come la critica nuoce all’eloquenza. Vico si preoccupa ora per l’educazione del fanciullo, le cui facoltà maggiormente sviluppate sono la memoria e la fantasia; la critica (intesa sempre in senso cartesiano; per il momento infatti Vico si limita a considerare il pensiero di Cartesio, senza criticarlo, né lodarlo) non deve nuocere neanche a pittura, poesia, legge, oratoria, a tutto ciò che non è scienza. Per evitare tali inconvenienti, gli antichi educavano i fanciulli solo alla geometria, fondata sull’intuizione (facoltà congeniale ai fanciulli) delle figure nello spazio (ambiente scoperto dai fanciulli) e sulla costruzione (appoggiandosi all’idea di costruire, tipica del fanciullo). Oggi, inoltre, si celebra la critica a svantaggio della topica, passo primo per arrivare alla critica: la differenza tra critica e topica è quella tra giudizio e invenzione. Parlando dell’oratoria, Vico afferma che essa deve toccare i luoghi (tòpos), gli argomenti delle opinioni del pubblico: per questo Cicerone fu degno oratore nel Senato e nel popolo romano. Cicerone affermò di essere stato tale grazie alla topica. Si nota, dagli esempi storici, che la critica respinge il verosimile come il falso; la topica scambia spesso il falso per vero; sia critica che topica non sono quindi giuste. E’ bene abituare i fanciulli a studiare tutte le scienze e a difendere tesi diverse. 4) Il metodo geometrico nella fisica: la fisica esiste perché esistono la matematica e la geometria. Dimostriamo la geometria perché la facciamo noi (costruendo, quindi, un mondo fittizio), ma non possiamo dimostrare la fisica, perché non siamo noi gli autori del mondo fisico, ma Dio. Dobbiamo quindi studiare la fisica come filosofi, per ragionare, sostiene Vico, ma non come gli antichi, per contendersi con Dio la conoscenza dell’Universo ! La fisica nuoce inoltre all’oratoria. 5) L’analisi nella meccanica: l’analisi attua un lavoro di produzione su note equazioni iniziali, ma non inventa, mentre nell’antichità vi furono inventori chiusi nella geometria costruttiva, come


4

Archimede. Cartesio non ha inventato nulla. Gli orologi e le cupole apparvero prima che si conoscesse l’analisi matematica. E’ lecito dubitare se serva più l’analisi o la geometria alla meccanica ed è certo che bisogna rivolgersi attentamente e con prudenza all’analisi. 6) La medicina: Vico difende la medicina antica e condanna l’intrusione della matematica cartesiana in questo campo. E’ impossibile determinare, per Vico, le cause dei fenomeni patologici: meglio la cura empirica che il sillogismo. Le malattie del corpo corrispondono a quelle dell’anima. Cartesio non scopre niente di nuovo, ma dimostra sempre le stesse tesi. 7) Dottrina morale ed eloquenza: trascuriamo la morale per l’eccessiva attenzione verso la scienza. Ci si apparta anche dalla vita pubblica, sociopolitica. La scienza, inoltre, non tiene conto della prudenza. Errano coloro che trasportano il metodo di giudizio della scienza nella prudenza, perché la scienza è disciplina esatta, mentre la morale umana non si fonda su fredda ragione, ma su capriccio e fortuna. Vico esalta ancora l’eloquenza come arte. 8) La poesia: è dono di Dio (principio platonico). La critica nuoce alla poesia, recando nocumento alla memoria ed alla fantasia. I poeti, come i filosofi, cercano la verità. La fisica meccanica suggerisce nuove locuzioni alla poesia, e vi giova. Nei Principi di una scienza nuova intorno alla comune natura delle nazioni, Vico cambierà radicalmente idea. Si tenga però presente che il concetto che il poeta cerca la verità sarà ripreso nel secolo successivo in letteratura da Alessandro Manzoni circa il “vero poetico”. 9) La teologia: Vico difende la morale e la dogmatica cristiane con i suoi riti. Fissa poi il dissidio tra mondo pagano e cristiano: dissidio non di fede, ma liturgico, rituale. Nota che la religione cristiana si è affermata con pace ed amore, a differenza di altre, più violente nei metodi. Nel secolo successivo, Hegel ribalterà, negli Scritti teologici giovanili, tale tesi vichiana. 10) Il manuale: nuoce alla prudenza, perché troppo riduttivo nei concetti, e la prudenza è la base di molti argomenti. Il manuale è quindi un sussidio che nuoce alla prudenza: dobbiamo ritornare all’unità della filosofia. 11) La giurisprudenza: i Greci identificavano la filosofia del diritto con la dottrina dello Stato, e la giurisprudenza era una dottrina orale. Presso i Romani, il diritto fu scritto su tavole ed era la conoscenza di tutte le cose, divine ed umane. Il diritto romano si articolava in sacro, pubblico e privato. Il giureconsulto, nota Vico, doveva conoscerli tutti e tre: fu l’espediente dei patrizi per avere il potere nei comizi (o assemblee). I patrizi ed i pontefici erano gli unici a conoscerli, così che furono i custodi della legge, che sotto Adriano fu scritta in cifre, per celarne i segreti al popolo. 12) L’arte: l’arte perfetta ebbe come modello solo la natura (in senso platonico), ideale ed esemplare; l’ottimo esemplare, come esempio, nuoce quindi all’arte. Vico esalta la scultura antica, priva di esempi artistici, e biasima quella attuale, che è una copia peggiore, mentre valorizza la nostra pittura, che, per forza di cose (non essendoci pervenuti grandi capolavori pittorici dall’antichità), è libera. Bisognerebbe quindi distruggere scultura ed architettura antiche per avere buone opere moderne ! (Si nota la drastica soluzione proposta da Vico). 13) Caratteri tipografici: mancavano agli antichi, giovano ai moderni. Con la tipografia si stampano però anche libri inutili, mentre nel giovamento della trascrizione amanuense si copiavano i soli testi meritevoli. Vico conclude da umanista: leggiamo gli antichi, che ci guideranno nella scelta del moderni. 14) Le Università degli Studi: i Romani collocavano la sapienza, come abbiamo visto, nel diritto, i Greci nella filosofia. Avevano quindi poco bisogno di tali sussidi. Oggi ne abbiamo bisogno perché è andata perduta la saggezza posseduta solo dagli antichi ! Inoltre l’istruzione è mal costituita e distorta e non ci fornisce alcun sistema: ci serviamo di epicurei in fisica, di cartesiani in metafisica, eccetera. 15) Conclusione. In qualità di docente di retorica Vico dichiara di aver cercato, mediante il costante confronto con gli antichi, di suggerire come scansare certi inconvenienti e trarre i vantaggi, affrontando separatamente i vari problemi. Vico si rimette al giudizio del dotto lettore e da tale


5

giudizio non dissentirà. Potrà essere giudicato più o meno superbo, ma non è l’intento di Vico passare per sommo scrittore o acuto filosofo. Anzi, ringrazierà quel lettore che noterà gli errori della sua opera e ringrazierà anche quel lettore che avrà avuto il solo intento di cercare tali errori. Si noti che il presente opuscolo ha anche un indubbio valore pedagogico, oltre a costituire un interessantissimo contributo alla storia dell’estetica.


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.