Più disattenzione che mala fede dietro la diffusione di fake news La maggior parte delle persone che condivide notizie false o fuorvianti sui social media non lo fa quasi mai per faziosità o con intenzioni distruttive, ma perché si affida all’emozione e non si ferma a chiedersi se sono vere e se provengono da una fonte affidabile. A dimostrarlo è una ricerca che suggerisce anche un nuovo modo – oltre alla verifica dei fatti, che rimane fondamentale – per limitare la diffusione delle “bufale”
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di David Rand e Gordon Pennycook
Fake news e disinformazione sono una fonte di preoccupazione costante fin dalle elezioni presidenziali statunitensi del 2016. Malgrado la maggiore consapevolezza e un (apparente) interesse delle aziende di social media, il problema sembra tutt’altro che risolto. Basti pensare alla proliferazione di contenuti falsi su COVID-19, con la loro probabile influenza sulla scelta di vaccinarsi, e alla disinformazione sulle elezioni presidenziali del 2020, che ha avuto quasi certamente un ruolo cruciale Copia di 8ccb7ec56439dd59ee23cdaad523b08b
le Scienze
nell’assalto a Capitol Hill dello scorso 6 gennaio. Si è tentati di concludere che viviamo in un mondo di “post-verità”, in cui la gente è incapace di distinguere fra la finzione e i fatti, o li ignora volontariamente e condivide falsità in piena consapevolezza. Non è una questione oziosa: se fosse davvero così, le nostre democrazie sarebbero in serio pericolo, e forse l’unica opzione che avremmo sarebbe quella di accettare (e perfino sollecitare) una stretta censura delle falsità da parte dei gestori dei social media.
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