Il Lungo Inverno dell' Anima - Grace Freeman

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Ai vivi si devono dei riguardi, ai morti si deve soltanto la veritĂ . Voltaire

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Non lascio che neanche un singolo fantasma del ricordo svanisca con le nuvole, ed è la mia perenne consapevolezza del passato che causa a volte il mio dolore. Ma se dovessi scegliere tra gioia e dolore, non scambierei i dolori del mio cuore con le gioie del mondo intero. KAHLIL GIBRAN

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CAPITOLO 1 La primavera si stava affacciando prepotentemente, dopo un lungo e rigidissimo inverno, pieno di gelo e di neve. Una settimana di vento aveva spazzato il cielo, la cui limpidezza turchese faceva quasi male agli occhi. Il parco era silenzioso, quella mattina: niente ragazzi che giocavano a pallone, niente urla di bambini che giocavano su scivoli ed altalene, niente chiacchiericcio di mamme e babysitter, niente scoppiettii di marmitte di motorini, niente. Solo il cinguettio degli uccellini che si affrettavano per trovare qualcosa da mangiare tra i ciuffi d’erba tenera appena spuntata, e per fare il nido che presto avrebbe accolto le uova delle prime covate. C’era pace. Ma la pace era solo esterna. Gregory Macqueen sedeva sulla panchina davanti al laghetto artificiale: si voleva concedere una mattina di riflessione e di ricordi. Ricordi! Ce ne sono di ricordi in sessant’anni di vita, ma gli unici belli che gli si affacciavano alla mente erano quelli degli ultimi dieci anni, gli anni in cui poteva dire di essere vissuto veramente, interiormente felice, nonostante si affacciassero ripetutamente i fantasmi dell’uomo che era stato in precedenza. Oggi sentiva un gran peso sul cuore: era uscito di casa alle sette, baciando Meredith come tutte le mattine, la solita Meredith già in piena attività nonostante l’ora. 4


Sorrise: spesso le diceva che per fermarla bisognava metterla in coma farmacologico, aveva sempre mille cose da fare, inventava mille lavori, sapeva fare e riparare qualunque cosa e, nonostante passasse tutti i pomeriggi a dare lezioni private di lingue, la casa era uno specchio, la cesta del bucato sempre vuota e quella dello stiro raramente rimaneva piena per più di qualche giorno…e che cuoca! Naturalmente aveva anche qualche bel difetto… una insana ipocondria, un’inguaribile fiducia nel genere umano (tanto da prendere delle cantonate mortali) e un modo a volte un po’ troppo sanguigno di rispondere se non la prendevi nel momento giusto. Chissà quante volte si vedeva costretto a dirle: “Rispondimi senza azzannarmi, per favore!”, l’unica frase che poteva sedare un po’ questi rari ma potenti eccessi di ira. Era felice con lei, tanto felice, eppure….questa mattina il cono d’ombra che lo circondava non svaniva, si sentiva oppresso dagli spiriti maligni della sua vita precedente, si sentiva dentro come un maledetto cancro che gli dilaniava le carni, e si sentiva tanto stanco: stanco di non poter spiegare, stanco di non poter parlare, stanco di non poter agire, stanco di non essere in grado (nonostante tutto) di trovare il coraggio di far cambiare le cose, stanco di sentirsi imbrigliato in una situazione di apparente normalità, “perbenismo”, serenità che in realtà era solo una montagna gigantesca di bugie inutili. Dove aveva sbagliato? Quando aveva iniziato a sbagliare? I suoi errori ricadevano sulla vera serenità della sua vera vita con Meredith, e lei non se lo meritava.. I ricordi arrivavano senza nessun senso logico apparente, sia quelli tristi sia quelli felici… 5


CAPITOLO 2 Chissà per quale motivo quella sera aveva voluto fermarsi all’ Epson Bar prima di rientrare a casa…. L’ Epson era un piccolo ma tutto sommato piacevole posto dove bersi un caffè al mattino prima di buttarsi nel traffico dello Yorkshire per raggiungere i vari clienti sparsi in tutta la contea. Non era più un lavoro facile quello di rappresentante: troppo traffico, ormai, troppa la concorrenza, soprattutto nel settore alimentare, quello in cui lavorava da una vita. Ma era quello di meglio che si era ritrovato fra le mani dopo il fallimento di una grande azienda di cui era stato dirigente. Il periodo passato a casa prima di accettare l’ offerta di un nuovo lavoro “sulla strada” era stato molto deprimente: ancora oggi, ogni sera, ricorreva al caro vecchio Lexotan per poter trovare il sonno. Non era piacevole sentirsi un uomo finito, anche perché la moglie non trovava niente di meglio da fare che farglielo sempre notare. Il suo matrimonio era decisamente agli sgoccioli per l’ennesima volta, un errore madornale di cui si era accorto dopo solo pochi anni di vita di coppia… coppia…parola troppo grossa per definire lui e Geraldine. Ma tanto, fallimento in più, fallimento in meno, tutto si riduceva ad una bella merda. Prima di fare ritorno all’inferno, quella sera aveva deciso di ingurgitare un’altra dose di caffeina, magari gli avrebbe dato un po’ di forza in più per rimettere piede in quella casa. 6


Erano le 5 del pomeriggio, era già buio. D’altra parte l’inverno era alle porte, e anche questo contribuiva ad aumentare la sua tristezza. Parcheggiò l’auto a pochi metri dal bar, che, da fuori, sembrava abbastanza vuoto. Meglio così, nessuno con cui parlare. Avrebbe magari scambiato due battute veloci, di circostanza, con Jack, il gestore del locale (sempre che Jack fosse in vena: Greg aveva sempre seriamente pensato che tutto avrebbe potuto fare Jack, tranne gestire un locale pubblico e avere a che fare con la gente), avrebbe bevuto il caffè, pagato e tanti saluti. Come varcò la soglia del locale vide che, dietro il bancone, non c’era Jack, ma una donna che non aveva mai visto: sui trentacinque anni, mora, ben fatta..ma chi diavolo era? “Salve!” gli disse con un sorriso che annientò immediatamente tutte le sue difese. “Salve” rispose Greg. “Mi fa un caffè, per favore?” Ecco, erano le uniche parole che era riuscito a pronunciare, anche perché, se avesse dovuto dire altro, non avrebbe potuto:il cervello si era come azzerato. “Nero, liscio, con zucchero, latte….?” chiese lei gentilmente. “Con latte freddo e senza zucchero, grazie”. Quando posò la tazza sul banco gli sorrise un’altra volta… No, ti prego, pensava Greg, non mi sorridere più! Sentiva sulla nuca una sensazione che non aveva mai provato. Ma cos’era? Aveva tanto il sentore di una sensazione di pericolo, ma non era brutta, anzi, era piacevolissima. Una sensazione sconosciuta che lo disarmava completamente. Si portò la tazza ad un piccolo ripiano dove di solito Jack metteva i giornali da 7


leggere, si sedette sullo sgabello e, bevendo il caffè e facendo finta di leggere, la guardava di sottecchi: si affaccendava dietro il bancone per preparare gli aperitivi e canticchiava tra sé e sé con voce molto sommessa. Poi Greg non resistette più alla tentazione di saperne di più. “E’ nuova, qui?” le chiese “Beh, proprio nuova no. Sono qui da qualche mese ma faccio solo dalle 2 alle 6 del pomeriggio. E lei, è di passaggio o proprio non ci siamo mai visti?” gli chiese lei di rimando. “No, decisamente non sono né un nuovo cliente, né un cliente di passaggio. Questo non è un orario in cui di solito mi fermo qui o bevo il caffè. Credo che sia la prima volta che i nostri orari si incrociano.” Miseria ladra, era riuscito a comporre più di una frase sensata! “Comunque mi chiamo Meredith, sono la sorella di Jack” “La sorella di Jack? Mai saputo che Jack avesse una sorella!” era stupito: quando mai Jack ne aveva parlato? “Non credo che parli o abbia mai parlato molto di me. Troppi anni di differenza, pochissime cose in comune, caratteri diversi, ecc. ecc. ecc. meglio sorvolare.” disse Meredith con un’ arricciata di naso che lasciava intendere molte cose. Gli occhi scuri di quella donna erano penetranti e, nonostante avessero una luce particolare, erano un po’ tristi e carichi di passato. Ebbe la sensazione che fossero lo specchio dei suoi. Nel frattempo ecco arrivare Jack, a riprendere la situazione sotto controllo dopo le ore di libertà pomeridiana. Greg intuì che era meglio interrompere lì la pausa fuori orario e si diresse verso la cassa, dando a Meredith una banconota da una sterlina per pagare il caffè. 8


La guardò mentre faceva scorrere le dita sui tasti della cassa per emettere lo scontrino, e si ritrovò improvvisamente a fissare quelle mani piccole e delicate, ben curate….poi una di quelle mani gli porse i penny del resto e per un attimo le loro dita si sfiorarono. Qualcosa di violento si scatenò nella mente di Greg, che, dopo aver salutato, uscì velocemente dal bar, raggiunse la macchina e vi salì, rimanendo per qualche minuto a fissare il vuoto. Che cos’era, che cos’era, che cos’era? Nella sua testa era scoppiata una bomba atomica di proporzioni gigantesche, ma si rendeva conto che non stava portando distruzione,anzi, era come se avesse, con la sua forza, improvvisamente spazzato via tutte le cose brutte, lasciando spazio per qualcosa di nuovo da ricostruire. Accese il motore e si immise nel traffico, prendendo la strada verso casa, ben sapendo che quella sera (una sera di solitudine passata come sempre fino alla una davanti alla televisione davanti a stupidi programmi) avrebbe avuto di fronte agli occhi l’immagine di Meredith e si sarebbe fatto mille domande senza risposta.

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CAPITOLO 3 Nel parco ora c’era l’addetto alle pulizie che si aggirava qua e là a svuotare cestini e a raccogliere cartacce sparse dal vento del giorno prima. Gregory si accorgeva che lo stava guardando con sospetto, ma era ben deciso a non muoversi da quella panchina e ad andare avanti con i suoi ricordi e i suoi resoconti. Arriva un momento nella vita in cui bisogna tirare le somme. Vedere se si è in negativo o in positivo, e poi trovare il modo giusto per continuare. Anche Meredith diceva sempre che nella vita puoi correre tanto quanto vuoi, o puoi, ma ogni tanto devi staccare la spina, per quanto tu abbia da fare ti fermi, dimentichi tutto l’esteriore e ti dedichi all’ interiore. Che grande verità che gli aveva insegnato quella donna! Spesso Greg le diceva che le era profondamente grato di essere riuscita a cambiarlo, a farlo riflettere, a fargli perdere quell’aridità che circa dieci anni prima si era impossessata della sua anima e lo faceva vagare per il mondo come morto, seppur vivo. Che bello era stato riscoprire con lei i profumi, i sapori, le bellezze della natura, dei cibi, dei piccoli lavori di casa fatti insieme, il giardinaggio (santo cielo, sui loro balconi c’erano più piante che piastrelle), le domeniche pomeriggio invernali sul divano con un libro, il giornale, le parole crociate senza schema e magari una bella cioccolata calda. I pomeriggi estivi nei parchi, oppure nei boschi, oppure in giro in cerca di rovine antiche e siti archeologici, dove, come diceva sempre, “si trovano le radici del mondo”. 10


Meredith avrebbe dovuto seriamente mettersi a scrivere romanzi. Era in un certo qual modo il loro sogno del futuro; una casa tranquilla e due angoli di casa: uno con un PC per scrivere romanzi (l’angolo di Meredith) e un altro con matite, colori, fogli e tele per dipingere e disegnare (l’angolo di Greg). Perché niente ti può impedire di sognare, niente e nessuno. Già la maggior parte dei suoi sogni di ragazzo erano andati in fumo durante la sua adolescenza: niente scuola d’arte, niente carriera militare. Erano altri tempi e un ragazzo doveva fare quello che diceva il padre, e il padre di Greg gli aveva trovato un “buon posto di lavoro”, sicuro e con un buon stipendio. Tanto buono, quel posto di lavoro, da procurargli giornalmente dei terrificanti mal di testa dalle prime ore del mattino, quando, alzandosi e rendendosi conto di dove stava andando a passare la giornata, si sentiva già di dover prendere qualche paio di pastiglie per tirare sera senza che gli si stringesse il cervello in una morsa. Ma niente ti può impedire di sognare. E di ricordare.

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CAPITOLO 4 “Senti una cosa... ma tu ti togli mai la cravatta, provi mai ad andare in giro senza quella rottura di palle che voi uomini vi mettete al collo?” Era una tipica domanda da Meredith. “Mai. La tolgo quando vado a dormire, magari la allento un po’…” rispose Greg. “Prego??? Tu a casa non ti spaparanzi in tuta sul divano, con un bel paio di pantofolone calde….che ne so, coi piedi appoggiati al tavolino….che ne so….boh, quello che fanno tutti a casa di sera, no?” ….insisteva ….ma era una provocazione bella e buona, tanto per riderci un po’ sopra. Era la fine di maggio, Greg ormai non faceva giorno senza una sosta all’Epson bar. Arrivava dopo le due, beveva il caffè e aspettava con ansia quel momento verso le due e mezza, quando il bar si svuotava e rimanevano soli per una mezz’oretta a chiacchierare. Le loro conversazioni erano diventate via via più intime, ed entrambi avevano capito di avere molte cose in comune, a cominciare da un matrimonio che andava letteralmente in macerie. Da quella sera d’inizio inverno in cui l’aveva vista per la prima volta erano passati molti mesi, molte conversazioni sempre rubate tra un cliente e l’altro, molte confidenze e molti sguardi densi di significato. Eppure mai una volta erano andati oltre…..parlare con Meredith era respirare aria pura di montagna e spesso lei gli diceva che le loro chiacchiere erano tutto ciò che la faceva “tirare avanti”. 12


Da un po’ sapeva che il marito la tradiva con una diciottenne, ormai vivevano separati in casa, giusto per aspettare che la figlia di soli 10 anni potesse avere ancora una parvenza di famiglia. Ma gli confessava spesso di fare molta fatica, troppa….a volte sapere che lui tornava a casa dopo essere stato con l’altra era per lei insopportabile. E Greg? Che dire, il suo matrimonio stava andando a rotoli per la seconda volta, ma i genitori della moglie erano malati, e per una sorta di ultimo rispetto nei loro confronti resisteva dall’andarsene a gambe levate. Insieme però riuscivano a sdrammatizzare le due situazioni, e trovavano la forza per andare avanti un altro giorno. Parlando, a volte inveendo verso i rispettivi coniugi, ma spesso parlando di tutt’altro e scherzando su molte cose. Era come bere ad una fonte miracolosa che ti dava forza e coraggio. Meredith quel giorno non cedeva... “Insomma, tu te ne stai in casa di sera con cravatta, scarpe, tutto bello impettito come un milord, fino a che non te ne vai a letto?” “Esatto.” “Pfffff, che uomo palloso sei...” ma intanto ridacchiava. “E se ti scappa un rutto? Lo fai, o piuttosto ti fai esplodere lo stomaco?” Naturalmente questa domanda era posta con una serietà degna di una psicologa o di un padre confessore cattolico. “Ma scherzi, Meredith? Secondo te perché ho degli attacchi pazzeschi di gastrite?” rispose Greg, serio, come un paziente di una psicologa, o un pentito cattolico in confessionale. “Non va bene sai? Non va proprio bene.” 13


Non riuscirono più a trattenere le risate. Lei gli prese la testa tra le mani e gli disse: “Bisogna ruttare, Gregory Macqueen, bisogna ruttare!” Dio, quanto le era grato del fatto che con lei riusciva di nuovo a ridere. Era diventato un uomo talmente privo di emozioni da non riconoscersi più. Con Meredith era diverso: si sentiva libero di parlare, di discutere due punti di vista differenti per trovare la soluzione migliore, senza paura di avere opinioni diverse, cosa che in realtà ed in verità accadeva molto raramente. Greg guardò l’orologio: erano quasi le tre, ed era meglio ributtarsi nel traffico di Sheffield per raggiungere i clienti della giornata. Vide un velo di tristezza negli occhi di Meredith. “E’ ora di andare, vero?” gli chiese con un tono di voce così dolce da spezzargli il cuore in due. “Eh, sì, è ora purtroppo. Il dovere chiama.” rispose Greg. “Allora via, si parte!” disse Meredith scendendo dalla pedana del bancone per accompagnarlo alla porta. Impulsivamente Greg si chinò e le diede un lievissimo bacio sulle labbra. Fu un attimo. Un’illuminazione. Un battito d’ali. Un volo di un angelo. Un’ispirazione quasi divina. IL MOMENTO. Restarono entrambi a guardarsi negli occhi per alcuni secondi che avevano il sapore più dolce del miele. 14


“Ci vediamo domani, Greg?” gli chiese con un filo di voce, un sussurro che voleva dire molto di più di quello che gli stava domandando. “Ci vediamo domani, Meredith” rispose. E avrebbe voluto dire “Domani e tutti i giorni che mi restano da vivere”.

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CAPITOLO 5 Greg sorrise a quel ricordo così dolce. Era stato un bacio lievissimo, ma, tempo dopo, riparlandone con Meredith, avevano concordato nel dire che era stato il bacio più importante della loro vita, quello più denso di significato e sicuramente il più sensuale che avessero mai dato o ricevuto. Greg rammentò che quando era salito in macchina per avviarsi al lavoro del pomeriggio, si era sentito sollevato tre metri da terra e quel timido e veloce bacio aveva dato voce finalmente ai suoi sentimenti. A quei tempi sapeva già di provare qualcosa di molto forte per Meredith, ma in quel momento seppe che era amore. Sorrise tra sé e sé: allora non sapeva ancora quanto intenso e vitale sarebbe diventato quell’amore…aveva 50 anni quando aveva dato a Meredith quel primo bacio... e si era accorto di non avere mai veramente baciato nessuno. Le altre donne della sua vita? Si, bei momenti, storie intense, non aveva mai iniziato una relazione chiara o clandestina con una donna, così, tanto per divertirsi, non era mai stato un tipo da “una botta e via” (ridacchiò: quella era una tipica espressione da Meredith); ma nessuna di loro gli aveva mai provocato le turbolenze che sentiva con lei. Qualche “fidanzata” da ragazzo, un matrimonio, due relazioni importanti: tutte cose che riteneva importanti nella sua vita, ma questo era diverso. E quando diceva diverso, intendeva proprio che non aveva niente di apparentemente o veramente simile alle altre storie. 16


Oggi sapeva dove aveva portato quel bacio quasi innocente: a dieci anni di felicità. Purtroppo il rovescio della medaglia era stato un prezzo altissimo e pesantissimo da pagare, soprattutto nei primi tempi in cui la loro relazione era diventata in qualche modo ufficiale. Meredith gli aveva detto poche settimane prima che Geraldine era stata fortunata che ai quei tempi lo stalking non era perseguibile legalmente: avrebbe meritato l’ergastolo per stalking! Quanti insulti aveva subito Meredith, quante telefonate, quante volte era stata fermata per strada….Geraldine si era perfino spinta a citofonarle una sera per darle della puttana “in diretta”, come ricordava Meredith. E lui? I soliti insulti visti e rivisti, rivisti e corretti, corretti e accentuati. E la cosa era durata non giorni, non settimane, ma mesi con Meredith, e anni con lui. Anni. Scacciò dalla mente queste immagini che ormai gli facevano venire solo dei conati di vomito (per essere gentili), e riandò con la mente alle immagini migliori della sua vita.

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CAPITOLO 6 Era una mattina di un mercoledì estivo particolarmente soleggiato e limpido. Erano sulla macchina di Greg, nel parcheggio ancora semivuoto di un centro commerciale alla periferia di Sheffield. Avevano finalmente deciso di vedersi fuori da quel maledetto bar che cominciavano ad odiare: in troppi cominciavano a parlare a vanvera, le malelingue erano già in azione. Tecnicamente poteva definirsi il loro primo appuntamento, dopo mesi e mesi di confidenze fatte tra un caffè e una bibita. L’idea di Meredith, sulla quale aveva insistito molto, era quella di andare sul fiume a fare una passeggiata, o al parco, una cosa tranquilla ed innocente, ma soprattutto libera. “Allora, parco o fiume?” gli chiese. In effetti, jeans e scarpe da ginnastica che indossava significavano che era pronta a fare una bella camminata. “Senti Meredith….sei sicura di voler restare…come dire…in vista?” chiese Greg di rimando. “In che senso, scusa?” “Nel senso che già stiamo diventando gossip, se qualcuno ci dovesse anche vedere in giro insieme..” Greg lasciò in sospeso la frase, sperando che lei capisse. “Scusa, è un mercoledì mattina, sono le otto e mezzo, chi vuoi che ci veda in un parco o in riva al fiume? E quale sarebbe l’alternativa?” gli sorrise, aspettando una proposta. “Senti, non lontano da qui, sulla statale, c’è un motel….” Ecco, se lo aspettava.

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Ormai la conosceva abbastanza bene da sapere come avrebbe reagito: i suoi occhi divennero di ghiaccio e il viso si indurì di collera. “Un motel?” rabbia in quelle due parole, rabbia autentica. Greg non sapeva cosa dire, era una Meredith quasi inedita. Ed era una Meredith che, senza né uno né due, scese dalla macchina sbattendo la portiera. “No, Meredith, aspetta!” Greg la seguì, la afferrò per le spalle, e quando la fece voltare verso di sé i suoi occhi erano già lucidi di lacrime. “Lasciami andare, stronzo!” gli disse tra i denti. “Bastava che lo dicessi subito che volevi scoparmi, senza farmi illudere sulla passeggiata romantica.” Il tono di voce era ghiaccio puro: non aveva alzato la voce, non stava ancora piangendo, ma era rigida come un pezzo di marmo. “Non voglio scoparti, davvero.” “No certo. Però mi porti in un motel.” Iceberg. “Ma non per fare quello. Ti porto in un motel perché così sarò più che certo che nessuno ci vedrà, nemmeno l’amico dell’amica di tuo marito o di mia moglie, o chi cazzo possa essere chiunque ci potrebbe vedere, e scatenare qualcosa a cui tu e io non siamo ancora pronti. Come non siamo ancora pronti a scopare. E, semmai ti portassi in un motel per quello, preferirei tu ti riferissi a quella cosa chiamandola fare l’amore e non scopare. Abbi rispetto per te stessa. E abbi fiducia in me.” Cercò di farle capire a parole, ma anche con lo sguardo, che quello che pensava era la verità. Ma il pack non si scioglieva. “Per favore. Per favore, credimi, fidati.” supplicò Greg. 19


Meredith si sciolse dalle sue mani e si allontanò di qualche passo per poterlo guardare meglio. Aveva uno sguardo penetrante. Poi tirò un respiro profondo e Greg attese in silenzio. “Va bene. Mi fido.” E senza aggiungere altro risalì in macchina. Raggiunsero il motel senza quasi parlare. Greg la guardava con la coda dell’occhio mentre guidava, e avvertiva la tensione che emanava quel corpo seduto ancora un po’ troppo rigidamente sul sedile accanto. Arrivati al motel ed entrati in camera, la situazione era ancora molto tesa. Meredith si era seduta sul letto e non si muoveva di un millimetro. “Non devi avere paura che io non mantenga quello che ho detto.” le disse Greg massaggiandole le spalle per calmarla un po’. “Dio sa quanto vorrei fare l’ amore con te, ma tu volevi del tempo per parlare e chiacchierare senza che nessuno ci disturbasse, e qui siamo certi che nessuno e niente interromperà i nostri discorsi, di qualunque tipo essi siano”. La baciò sul collo, soffermandosi a sentire il profumo della sua pelle. Sentiva che poco a poco si stava lasciando andare, e cercò di riportare il discorso su un tono più leggero. “Sta sicura che qui nessuno entrerà da quella porta chiedendoti un caffè, o una birra, o un panino col bacon e tanta senape, ti pare?” Finalmente Meredith sorrise. “Si, mi pare. Mi pare anche che ci sia un bel silenzio, un bel fresco e che tutto sommato la compagnia sia perfetta…” “Brava, hai indovinato tutto.” anche Greg le sorrise, il più dolcemente possibile. 20


La cosa che voleva di più al mondo era che Meredith si fidasse di lui. “Bene...” Meredith si alzò in piedi. “Bene…che si fa adesso?” “Prima di tutto ci mettiamo belli liberi e tranquilli.” Greg si tolse la giacca, le scarpe e la cravatta, si slacciò il primo bottone della camicia e si mise semisdraiato sul letto, con le spalle appoggiate alla testiera. “O Dio, ti sei tolto scarpe e cravatta?!??” sulle sue labbra cominciò ad apparire un sorriso sempre più grande, che si trasformò presto in una risata che contagiò entrambi. A sua volta Meredith si tolse le scarpe e si gettò (letteralmente e realisticamente si tuffò a ginocchia unite) sul letto, si insinuò sotto il braccio di Greg e gli diede un pugno nelle costole. “Sei uno stronzo comunque.” “Grazie.” “Prego. Erano quattro giorni che fantasticavo su una romantica passeggiata mano nella mano, e tu invece scommetto che avevi già programmato tutto.” “Le gite fuori porta bisogna organizzarle meglio. Non si possono fare in due o tre ore. Le gite fuori porta devono essere, per noi, proprio FUORI porta, credimi. C’è sempre qualcuno in giro che ti conosce. Santo cielo, io sono un agente di commercio, e tu lavori in un bar, canti nel coro di St. Paul, e pretendi che nessuno, dico nessuno, ci conosca? Sei un’ ingenua, Meredith.” Che sensazione meravigliosa provava Greg nel parlare con lei tenendola tra le braccia, sentendo il profumo di… cocco?...vaniglia? dei suoi capelli e accarezzando il suo braccio. Che pelle morbida, che inebriante sensazione di serenità. 21


Quelle due ore e mezza passarono in un baleno.Parlarono di talmente tante cose che Meredith, scherzandoci poi sopra, disse che a casa avrebbe scritto un bel riassunto, per non dimenticarne nemmeno una.

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CAPITOLO 7 Così erano cominciati i loro appuntamenti del mercoledì mattina. Sempre lo stesso motel, sempre tante storie da raccontare, sempre le stesse anime che si accorgevano, settimana dopo settimana, di essere proseguite su un binario parallelo. Poi improvvisamente Qualcuno aveva azionato lo scambio giusto e si erano scontrate. Durante quegli incontri Meredith e Greg si erano confessati gioie, felicità, amori perduti e sbagliati, tristezze, e sogni. Entrambi avevano avuto un’infanzia segnata dalla morte di persone care (Greg un fratellino appena nato e una sorella che aveva perso la vita quando la vita dovrebbe sorridere più intensamente, Meredith una zia e un nonno che adorava), nello stesso anno Greg aveva perso la madre e Meredith il padre, per lo stesso male malvagio che quando ti prende di mira difficilmente ti molla, fino a che non ti divora fino all’osso; conoscevano le stesse persone, avevano vissuto nello stesso quartiere per decenni, avevano frequentato la stessa chiesa e a volte lo stesso bar senza mai vedersi, senza mai incontrarsi. Si erano sposati per lo stesso motivo: perché pensavano che la persona al loro fianco potesse essere, tra le tante, la più giusta. Entrambi, però, si erano confidati una cosa che, con il senno di poi, avrebbe potuto essere molto significativa. Il giorno del matrimonio di Greg, quando tutto era pronto e mancava solo di uscire da casa per avviarsi verso la chiesa, la mamma di Greg, ferma sotto le scale da cui lui stava 23


scendendo, lo guardò molto intensamente e gli fece un’unica domanda: “Sei sicuro di quello che stai facendo?”. Greg si era fermato sull’ultimo gradino e aveva guardato negli occhi della madre: occhi che esprimevano dubbi, ansie e qualcosa d’altro che solo una madre può intuire per il proprio figlio. Si era sentito completamente bloccato, e aveva avuto improvvisamente l’istinto di scappare via. Poi aveva risposto un’unica frase, molto significativa: “Adesso me lo chiedi? ORA E’ TROPPO TARDI PER CAMBIARE LE COSE”. Questo aveva risposto. Questo, e non “Si, mamma, ne sono convinto” perché nonostante tutto non avrebbe potuto rispondere altro, a mezz’ora dalla cerimonia. Meredith invece gli raccontò che la sera prima del matrimonio aveva avuto una brutta discussione con il futuro marito (sinceramente il motivo di tale discussione non lo ricordava più): erano in macchina, sotto casa di lei. Ricordava perfettamente di essere scesa dalla macchina sbattendo la portiera, e chiedendosi per quale dannato motivo aveva deciso di sposarlo, disperata perché ormai ERA TROPPO TARDI PER CAMBIARE LE COSE. Perché erano persone troppo corrette per fuggire davanti alle cose già predisposte da tempo... e forse un po’ vigliacche per ammettere un errore … e forse non erano i tempi per uno scandalo, sia nel periodo del matrimonio di Greg, sia nel periodo del matrimonio di Meredith. Ma quei due momenti erano rimasti indelebili nelle loro menti per molti anni, fino a che le cose per entrambi non si erano 24


dimostrate due fallimenti totali, forse anche per il tarlo di quei due episodi che spesso rammentavano a se stessi. La convivenza giorno dopo giorno aveva fatto capire quanto il carattere della persona sposata non aveva niente in comune con loro; modi diversi di vedere le cose importanti della vita, anche le più banali: per Greg e Meredith la casa e la famiglia erano da considerarsi “nidi”, posti dove riporre gelosamente le proprie gioie, luoghi dove trovare calore, serenità e tranquillità, dove trovare l’affetto e l’appoggio dell’altro nei momenti difficili. Per gli altri due non era mai stato così: una riduceva la casa in un caos orripilante (disordine innanzitutto, pur sapendo quanto lui odiasse a morte il disordine, lo sporco, il caos), spesso in giro per qualsiasi impegno che non fosse attinente alla loro vita di coppia. E Greg si ritrovava solo in una casa che non riconosceva sua. L’altro considerava la casa il famoso “albergo” dove tornare giusto per mangiare o dormire, sempre preso da altri impegni definiti sempre più importanti, quali gli amici, il lavoro, il bar, l’attività di arbitro di calcio, e mille altre cose che si inventava pur di non stare in casa. E Meredith si ritrovava perennemente sola in una casa che sentiva solo sua. Di buono c’era che le loro unioni avevano prodotto dei figli (un maschio e una femmina per Greg, una femmina per Meredith) che adoravano più di ogni altra cosa al mondo, primi nella loro scala valori della vita. Greg si rese conto che si erano raccontati molte più tristezze che gioie, ma era giusto così.

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Sapevano che stava nascendo qualcosa di molto intenso tra loro, e quando si sbaglia una volta non ci si può permettere di farlo una seconda. La cosa piÚ importante, per ricostruire una vita, è ammettere e perdonarsi i propri errori, ma soprattutto essere completamente e totalmente sinceri. Certo, non parlavano solo di questo, ma anche di un mondo nuovo che Greg intuiva esistesse, ma che solo Meredith gli fece vedere con chiarezza.

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CAPITOLO 8 “Greg, tu credi nelle fate?” gli chiese Meredith con un tono molto serio. “E dove sarebbero, queste fate?” rispose lui sorridendo, pensando che si stessero avviando verso una conversazione di quelle leggere… “Non mi hai risposto. Rifaccio la domanda: Greg, tu credi nelle fate?” Seria. “Non credo…” ammise Greg, che la stava guardando e capiva di essere sul punto di scoprire un nuovo lato nascosto di Meredith. “Sbagliato. Le fate esistono e tutte le volte che ne neghi l’esistenza ne muore una.” “Amore, questo lo diceva Peter Pan….” Trapelava un po’ di stupore e molta incredulità nella sua voce. “Prima di tutto ricordati che tutto ciò che è stato scritto, da chiunque sia stato scritto, ha un fondo di verità. Le fate esistono e vivono nella nebbia. Hai presente quel sottile e basso strato di nebbia che si forma al mattino nei prati o nei campi, o sui fiumi? Ecco, è lì che vivono le fate. E se tu non ci credi, il tuo cuore rimarrà sempre un pezzo di ghiaccio. Credi negli gnomi, negli elfi, in Babbo Natale?” “Porca miseria, Meredith, anche i miei figli non credono più in Babbo Natale…” “Babbo Natale vive al Polo Nord, in una casa che solo i più puri di cuore riescono a vedere.” Convinzione nella voce. “Credi che sia esistito Re Artù? E i cavalieri della Tavola Rotonda, la ricerca del Santo Graal? Camelot?” 27


Meredith continuava imperterrita a fargli domande su cose a cui Greg non aveva mai pensato, e nemmeno preso seriamente in considerazione. “Non sono tutte favole e leggende e ipotesi irrazionali?” le chiese. “Ecco dove sta l’errore. Dove credo che sbagli. Non tutto deve essere razionale. E’ l’irrazionalità che rende ogni essere umano, un umano.” Ed ecco apparire una Meredith un po’ filosofa. “Se tu non fossi alla ricerca delle fate, degli gnomi, di Babbo Natale e del Santo Graal, in questo momento non saresti qui con me.” Greg la guardava in silenzio. Meredith stava tutto sommando facendo un discorso molto, molto serio. “Vedi,” disse “avresti potuto andare avanti tranquillamente con la tua vita di tutti i giorni, una bella farsa da recitare davanti a parenti e amici. Ma tu ora sei qui con me. Spesso mi hai detto che ti piace stare con me perché sono diversa, perché capisci che dentro di me c’è qualcosa di diverso che devi per forza scoprire. Io credo nelle fate, negli gnomi, negli elfi, in Babbo Natale, nei Cavalieri della Tavola Rotonda e nel Santo Graal, quel Santo Graal che ognuno di noi può trovare, se lo vuole.” Greg si mise a sedere più dritto nel letto, guardandola attentamente e capendo che Meredith era riuscita a sondare perfettamente la sua anima ed il suo cuore. “Vai avanti.” le disse. “Le fate, gli gnomi e gli elfi sono esseri magici, che portano cose belle, magie e speranze in una vita vuota, Babbo Natale è colui che porta doni, magari piccoli doni che per altri sono 28


insignificanti, ma per noi importantissimi. La ricerca del Santo Graal non è la ricerca di un calice, ma di quella pace interiore a cui aneliamo per tutta la vita. Io credo nelle fate, e le fate mi hanno fatto incontrare te. Io credo in Babbo Natale, perché mi ha portato in dono un uomo che tu continui a definire piccolo, meschino ed insignificante, ma per me è importantissimo. Ho trovato il Santo Graal, perché con te sono riuscita a buttare fuori le cose brutte della mia vita e ho trovato la pace interiore che cercavo da tempo.” Greg si accorse che dai suoi occhi che pensava completamente inariditi, stavano uscendo delle lacrime, lacrime vere che non uscivano da quando era morta sua madre, la donna più importante della sua vita e che nessuno era riuscito mai a sostituire. Non riusciva a dire una sola parola, e si accorse appena che Meredith gli stava asciugando quelle lacrime liberatorie, quelle lacrime che aveva represso per anni. Ma se uscivano lacrime, era perché qualcuno era riuscito a bagnare quel deserto che si sentiva dentro, e a farlo rifiorire. E i fiori, dopo essere rimasti per così tanto tempo senza la possibilità di sbocciare, erano fiori carnosi, grandi, dai colori intensi e profumatissimi. L’abbracciò fino quasi a farle male. Anche Meredith piangeva e le loro lacrime si univano e diventavano le stille magiche che nutrivano quel giardino nascosto. “Ci credo Meredith, ci credo”.

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CAPITOLO 9 A quel punto della loro storia Greg, ricordava di aver capito benissimo che era veramente innamorato. Ciò nonostante ricordava che, sebbene si sentisse scoppiare il cuore dalla felicità, questo suo vero sentimento era affiancato da un altro sentimento molto forte: era la paura. Dieci anni prima di conoscere Meredith, aveva avuto un’altra storia che ai tempi gli era sembrata molto importante. Giunto anche allora al limite della sopportazione della situazione familiare, aveva incontrato questa donna e si era buttato nelle sue braccia sperando di trovare … beh qualcosa, qualcosa che lo liberasse da quello che stava diventando un cappio al collo sempre più stretto. Viviane era una bella donna, elegante, soddisfacente anche a livello fisico…sembrava anche abbastanza coinvolta. Per lei aveva trovato il coraggio di andarsene, il coraggio soprattutto di lasciare i suoi figli non ancora adolescenti. Con grande dispiacere, successero due cose in modo pressoché contemporaneo: prima di tutto la rivelazione bruciante che Viviane non era la donna che si era aspettato che fosse; poi si era scatenata la vera natura di Geraldine: la natura di una donna profondamente malvagia e vendicativa. Era iniziato il periodo dei ricatti morali, delle litigate, delle vendette, il tutto naturalmente buttato senza scrupoli sulle spalle innocenti dei figli, che lui amava sopra ogni cosa e che lei massacrava con parole e fatti inammissibili da parte di una madre. Senza contare quanto Geraldine aveva preteso e “succhiato” a livello economico… 30


Era in quel periodo che cominciò ad essere bollato coi termini di “marito di merda” e “padre di merda”, e praticamente non era più riuscito a scrollarseli di dosso. Greg si alzò dalla panchina e si mise a camminare tra gli alberi, addentrandosi nel boschetto dove spesso lui e Meredith andavano in estate, a cercare i mirtilli che lei trasformava in marmellata. Quelli erano stati anni molto duri. Si rammentò peraltro che (senza saperlo), anche Meredith in quel periodo aveva passato un paio d’anni di burrasca: si era buttata in un’impresa commerciale, un piccolo negozietto di bomboniere e articoli da regalo, che si era rivelato un disastro, non per colpa sua, ma per colpa di una socia di cui si era fidata un po’ troppo. Quindi ancora le loro vite, che scorrevano su quei due binari, paralleli ma ancora staccati, avevano percorso nello stesso momento un terreno accidentato, che aveva causato grossi problemi e sconvolgimenti. Entrambi nello stesso periodo si erano fidati di persone che avevano portato solo dispiaceri nelle loro vite. Entrambi si erano visti costretti a fare un passo indietro e a dichiarare il fallimento di quel periodo della loro esistenza.

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CAPITOLO 10 “Quindi, mi sono visto costretto a tornare sui miei passi.” Greg stava raccontando a Meredith del periodo della sua storia con Viviane. Aveva voluto raccontarle tutto, perché avevano deciso che, se volevano iniziare qualcosa di veramente serio, la cosa più importante era la sincerità. “Ma questa Viviane, spiegami, eri innamorato?” gli chiese Meredith mentre si “sparava” giù un pacchetto di patatine. Le loro fughe al motel erano spesso accompagnate da vari “generi di conforto”. Era comunque a dir poco imbarazzante quante patatine riusciva a mettersi in bocca Meredith in una sola volta…. “Diciamo che era sicuramente il sentimento più forte che avessi provato fino ad allora” Mentre diceva la parola sentimento, Greg mimò con le dita le virgolette. “Ma……” lo incitò lei. “Ma non era la donna che sembrava. La scoprii troppo piena di sé, troppo finta. Era un tipo che controllava di avere il rossetto non sbavato mentre si scopava…., era una donna che voleva apparire anziché essere. Mi aveva fatto intendere che se me ne fossi andato mi avrebbe seguito, avrebbe mollato tutto anche lei. Tempo un mese dopo che me ne andai di casa, mi aveva praticamente lasciato.” “Oddio, no! Mi dispiace.” e Greg era certo che Meredith lo pensava veramente. “Ero rimasto con un pugno di mosche e una moglie che mi stava letteralmente massacrando. Dopo qualche tempo decisi 32


di fare un serio discorso a Geraldine: sarei tornato a casa, ma le cose dovevano cambiare. Le ripromisi la mia fedeltà e il mio bene, chiedendo in cambio ben poco: una casa pulita, trovare ogni tanto delle camicie lavate e stirate nel cassetto, una gestione più oculata dell’economia famigliare e la fine delle ostilità.” “Visto che sei tornato, immagino avesse accettato in toto il patto, giusto?” chiese Meredith. “Certo,” ammise Greg “aveva reclutato una serie di amiche che l’avevano aiutata a rimettere tutto in ordine e perfettamente a posto. Quando rientrai in quella casa, mi sembrò un sogno. Dentro di me pensavo che forse, anche se la mia storia con Viviane era andata male, quel periodo era servito a far riflettere entrambi e a darci una seconda opportunità. Più che a lei o a me, sentivo di dover dare questa possibilità ai miei figli.” Per un momento nessuno dei due parlò. Lui pensava a quanto si era illuso a quel tempo, Meredith invece pensava a quanto un genitore vero può fare per i propri figli: lei stessa accettava la situazione con il marito per non far soffrire la figlia, per darle ciò che ogni figlio si merita, e cioè una famiglia, una madre ma anche un padre, le uniche due figure che ti aiutano a crescere. “Quanto è durata questa situazione idilliaca?” chiese Meredith, sarcastica come sempre. “Poco più di un mese” rispose Greg laconico. “Un mese?” Meredith non ci poteva credere. “Giorno più, giorno meno. Mi è testimone mia zia Theresa, che è stata la prima a sapere che le cose non erano cambiate affatto. In più c’era il fatto che, dopo avermi ributtato al centro della sua indifferenza, aveva cominciato a massacrarmi 33


con il rancore che aveva nei miei confronti per averla lasciata sola con due bambini da crescere… come se non l’avessi comunque riempita di denaro per mantenerli, o non fossi mai andato regolarmente a trovarli, o non avessi passato comunque giornate intere con loro.” Meredith lo guardò intensamente, e gli diede un bacio di una dolcezza infinita. “Mi dispiace. Ti prego, quando mi lamento della mia esistenza, la prossima volta che ti dirò che ho fatto una vita di merda, tappami la bocca in qualche modo, perché sarei veramente molto egoista nel dire ciò” Greg ricambiò il bacio. “Ognuno di noi ha il suo bel bagaglio di schifezze nella vita, ma credo che le nostre brutte storie ci abbiano aiutato, ci abbiano in un certo senso guidato verso questi momenti felici che stiamo passando adesso. Questi momenti, e soprattutto tu, mi stanno ripagando di tutta la mia vita precedente…. Cosa sei, una delle fate di cui parlavamo un po’ di tempo fa?” “Se fossi veramente una fata non ci penserei due volte a prendere la mia bacchetta magica e far scomparire tutte le cose brutte e tristi che ti sono successe. Ma no, non sono una fata, però ti giuro che, per quanto mi sarà possibile, farò di tutto per renderti felice e per farti tornare sereno.” Era una promessa che avrebbe mantenuto, Greg ne era più che certo.

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CAPITOLO 11 Greg si soffermò a lungo con la mente su quel periodo della sua vita, cercò di analizzarlo profondamente. Di sicuro, come peraltro aveva sempre ammesso, aveva fatto una gran cattiveria a Geraldine: Viviane era la migliore amica di sua moglie e, sinceramente, gliel’ avevano fatta spudoratamente sotto al naso. Anche Meredith, ai tempi, quando venne a sapere di questa storia, era rimasta un po’ perplessa, dicendogli che di sicuro era stata una solenne carognata. Ma anche qui, aveva sempre voluto ribadirgli il concetto che chi sta dall’ altra parte deve sempre avere la capacità di affrontare la situazione. Anche a lei l’avevano fatta sotto al naso: la storia di suo marito e “dell’altra” (come la chiamava lei) era nata sotto ai suoi occhi momentaneamente ciechi, nel coro dove cantavano entrambi, o meglio tutti e tre. Ma se n’era accorta, cavolo se se n’era accorta. E non aveva mai fatto vendette o chiazzate di vario genere, né con l’uno né con l’altra. Anzi, prima di tutto aveva cercato di farsi un esame di coscienza, andando a vedere dove lei stessa aveva sbagliato per arrivare ad una situazione del genere. Meredith era la sostenitrice accanita del 50%: le colpe sono sempre da entrambe le parti, e non ci si può accanire contro qualcuno senza prima essersi chiesti il perché si è venuta a creare una qualsivoglia situazione. In effetti, diceva anche che ognuno aveva il proprio carattere, il proprio modo di vedere le cose e soprattutto, e ribadiva 35


sempre il concetto, soprattutto un grado più o meno alto di intelligenza. Inoltre, bisogna avere la forza di perdonarsi gli errori, se no ci rimarranno sempre incollati alla schiena, provocando quel peso sempre più enorme che finisce con lo spaccarti in due. Il problema era questo: lui si era mai veramente perdonato? Forse non del tutto, ma in buona parte sì: aveva semplicemente cercato di essere felice, si era illuso di poter avere una vita normale, di poter ricostruire qualcosa, e l’aveva fatto non certo con l’intenzione di fare del male a Geraldine. Poi, tutto sommato, chi l’aveva presa nel didietro era stato ancora una volta lui. Quel mercoledì mattina di tanti anni prima (ricordava benissimo che era il 31 di luglio, e due giorni dopo sarebbe partito per le ultime vacanze al mare con la famiglia) era stato un giorno di intensa sofferenza per entrambi.

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CAPITOLO 12 Meredith era ora seduta sulla sedia e l’aveva ascoltato attentamente. Aveva finito le patatine e si era fatta molto seria. Poi iniziò un suo racconto. “Sai, quando ero una ragazzina mi ero perdutamente innamorata di un tipo che poi aveva deciso di andare a chiudersi in un monastero. Nessuna possibilità per me, nessuna. Mi sentivo persa, pensavo che se avessi tentato o osato di più forse avrei potuto cambiare il corso e il finale di quella storia. Poi poco a poco non ci pensai più. Non ci pensai più ma di certo non lo dimenticai. Incontrai Fred, ci mettemmo insieme e decidemmo di fare seriamente. Mancavano nove mesi al matrimonio, quando, durante un concerto a Leeds, lo rividi. Mi sentii perduta, e capii di esserne ancora perdutamente innamorata. Lui mi aveva guardata con occhi diversi, forse mi vedeva più cresciuta, forse più matura, forse ripensò ai giorni in cui io gli dichiaravo senza più pudore il mio amore, forse pensava di aver perso un’occasione nella vita. Troppi forse…non l’ho mai capito veramente nemmeno io” Si interruppe per un lungo momento. Greg si accorse che era un ricordo ancora troppo vivo e che le provocava ancora dolore. Le lasciò il tempo di continuare: era la mattina dei grandi segreti, la mattina in cui sarebbe venuto fuori tutto. “Quella sera avevamo parlato per pochi minuti ma quando mi abbracciò per salutarmi, avevo sentito una stretta diversa. Cominciai a scrivergli, lui mi rispondeva. Gli telefonavo, lui mi 37


rispondeva. Le nostre conversazioni diventavano sempre più intime e …. particolari, non so trovare un’ altro termine. Fatto sta che un giorno ci mettemmo d’accordo per vederci: avevo pregato una mia amica di “coprirmi”, avevo preso un treno per Leeds e quando arrivai in stazione lui era là, che mi aspettava. Mi sembrava un sogno. IL sogno della mia vita che diventava realtà. Eravamo andati a cena in un piccolo ristorante alla periferia di Leeds, avevamo passeggiato e alla fine, prima di riportarmi in stazione per prendere l’ultimo treno che mi avrebbe riportata a Leeds, si era fermato in un posto isolato e avevamo fatto l’amore così, senza riflettere, senza remore, senza ritegno, oserei dire.” Meredith tremava. ”Ero tornata a casa decisa a mollare tutto, spudoratamente illusa di aver cambiato la mia vita e di aver visto la mia favola chiusa con un bel …e vissero felici e contenti…. Solo che dopo quella sera lui scomparve dalla mia vita: niente più risposte alle mie lettere, non rispondeva più al telefono, scoprii che non era più nemmeno a Leeds. E io ero rimasta con un castello in frantumi, con una coscienza da ripulire e mentalmente distrutta.” Ora piangeva, piangeva veramente. “Cercai di ricostruire tutto mattone dopo mattone, ed ebbi la forza di ammettere a me stessa che ero stata una povera e stupida ingenua, ad ammettere di aver commesso l’errore più madornale della mia vita. Decisi comunque che qualsiasi cosa fatta per amore, doveva essere perdonata. E io l’avevo fatto solo e soltanto per amore.” Tra loro era calato il silenzio.

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Quindi anche Meredith era stata ingannata, aveva creduto fortemente in qualcuno e questo qualcuno l’aveva profondamente delusa. Il sentimento predominante di quella mattina fu l’empatia: entrambi soffrivano per le delusioni dell’altro e capivano che così facendo stavano in qualche modo mettendo basi molto solide sul… su cosa? Era il 31 di luglio. Tra due giorni Greg sarebbe partito per il mare con la famiglia e Meredith sarebbe poi partita per il Lake District due giorni prima del ritorno di Greg a Sheffield. Avrebbero continuato a parlare per ore: si erano fatti confidenze molto profonde e, ironia della sorte, non avrebbero più potuto sentirsi e parlarsi per molto tempo. Ma stabilirono che il tempo sarebbe servito a riflettere, capire, fare il punto della situazione per decidere. Decidere.

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CAPITOLO 13 Greg camminava lentamente nel parco. Quel parco era molto importante per lui e Meredith: era quello delle loro prime uscite insieme, finalmente liberi dai vincoli e dalla paura di essere visti, quando era cominciata la loro vita insieme. Quella mattina vagava qua e là e i suoi sensi erano talmente ricettivi che gli sembrava di averla al suo fianco, la sentiva parlare e ridere. Quello che aveva amato di più e subito di Meredith era stata la sua capacità di sorridere sempre, anche quando la vita la devastava dentro, ed era certo che non avrebbe mai perso questo dono. E poi avevano riso tanto insieme, sicuramente più di quanto avessero pianto. Perché di certo quegli anni trascorsi insieme non erano stati tutto rose e fiori, anzi, c’erano state anche molte spine. Ma avevano imparato a superare tutto insieme. “Siamo una bella squadra, io e te”, questo diceva sempre lei di loro due e Greg non l’aveva mai messo in dubbio. La prima durissima prova era stato l’ anno in cui la mamma di Meredith si era ammalata di cancro, morendo poi tre giorni dopo Natale. Nel novembre di quell’anno Greg si era praticamente trasferito a casa di Meredith: tutto quello che poteva fare per alleviarle la fatica e il dolore l’aveva fatto. Cercava di prendersi cura della figlia Beckie, standole vicino il più possibile; quando Meredith tornava a casa alle nove di sera trovava la cena pronta (magari solo una bistecca, ma 40


meglio di niente); la chiamava più volte al giorno cercando di infonderle quel coraggio che a volte sentiva venir meno dentro di lei. Di domenica, giorno in cui era più libera perché con la mamma rimaneva Jack, cercava di aiutarla nelle faccende domestiche, perché Meredith, per quanto fosse impegnata, anche allora non aveva mai e poi mai trascurato la casa. Un’altra ferma opinione di Meredith era che “quando c’è ordine fuori, c’è ordine anche in noi stessi.” La vedeva trascinarsi giorno dopo giorno senza quasi mai perdersi d’animo, senza quasi mai lamentarsi: Greg pensava che se ne era innamorato ancora di più, in quei duri mesi, e la gratitudine che gli dimostrava Meredith l’aveva fatto finalmente sentire davvero importante. Gli aveva detto decine di volte “Se non ci fossi stato tu, non ce l’avrei mai fatta, né fisicamente, né psicologicamente”. Era bello sentirsi dire queste cose dalla propria donna, era gratificante, e Greg era veramente felice di aver capito di essere stato capace di renderla un po’ serena in quel duro momento… ma i suoi pensieri quella mattina andavano e riandavano ai loro primi tempi, ai loro primi momenti insiemi, laddove la storia si stava originando e la grande e solida quercia che era il loro amore metteva le radici, affondandole sempre di più in un terreno fertile. Ed erano gli episodi più insignificanti che sentiva essere stati più importanti.

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CAPITOLO 14 Finalmente il telefono aveva squillato. Erano le otto e mezza di una sera di fine agosto. Era stato l’agosto della solitudine, l’agosto del silenzio, l’agosto delle riflessioni. Greg aveva pensato molto e ne era uscito ancora più convinto e deciso a continuare la sua appena e non del tutto iniziata storia d’amore con Meredith. Erano stati giorni lunghissimi, ore che senza pietà scorrevano lentissime, un mese quasi doloroso. Solo negli ultimi due o tre giorni avevano avuto la possibilità di scambiarsi qualche parola al telefono, attimi sfuggenti rubati ad un tempo che sembrava farsi beffe del loro bisogno di sentirsi, di sfiorarsi, di guardarsi. Quando Greg schiacciò il tasto del cellulare per aprire la chiamata aveva il cuore a mille. “Ciao Greg. Sono a casa.” Cinque parole vitali. “Ciao Meredith. Che sollievo sentirti. Finalmente non siamo più separati da chilometri ma solo da qualche centinaio di metri…” Greg si sentiva ancora come quel lontano pomeriggio in cui l’ aveva vista per la prima volta: era sopraffatto dall’emozione. Meno male che dall’altra parte c’era qualcuno che riusciva ancora a parlare. “Non ce la facevo più, Greg, non ce la facevo più! Questo mese è stato durissimo, una tortura… l’unica cosa che mi faceva andare avanti era avere Beckie vicino che mi toglieva un po’ il pensiero da te, se no avrei potuto morire” gli disse Meredith 42


“A me lo dici?” “Sei ancora da solo vero?” gli chiese “Si, gli altri tornano tra una settimana, posso godermi un po’ di pace. Come stai?” “Adesso sto bene. Anche io sono da sola, Fred è andato da sua mamma con la bambina. Possiamo parlare per quanto vogliamo…non mi sembra vero…mi viene da piangere.” Meredith era una che si commuoveva molto facilmente: era capace di piangere sul finale di un film visto magari per quattro o cinque volte. “Non hai idea di quanta voglia ho di abbracciarti, o perlomeno di vederti…” disse Greg, che sentiva quasi un formicolio sulle mani dalla tanta voglia che aveva di accarezzarla, fosse anche solo un piccolo centimetro di pelle. “Mmmh, per l’abbracciarmi non so cosa fare, ma per il vedermi… perché non esci sul balcone che dà sulla Eyre Street?” disse Meredith. “Perché?” chiese Greg “Uffa, quanti perché… ti dico esci, e allora fallo, no?” Meredith, quella delle richieste strane….finalmente era tornata a casa! “Eccomi sul balcone,” disse Greg” adesso che devo fare, farti segnali di fumo così che tu possa vederli dal tuo balcone sulla Shoreham?” ai tempi abitavano un due strade parallele, vicino alla stazione, due vie trafficate che portavano nel centro di Sheffield. “No, niente segnali di fumo.”rispose Meredith “guardati in giro…” “Vedo il solito casino, Meredith, né più né meno.” “Strano, perché io vedo te che guardi verso di me” gli disse. Greg sentì un tuffo al cuore…dov’era? Dov’era? 43


“Non ti vedo, tesoro, dimmi dove devo guardare” era impaziente “no! Eccoti! Ma ciaoooooo!!!” Meredith era sulla sua bicicletta rossa ferma sul marciapiede all’incrocio con Matilda Street e si sbracciava per salutarlo. “Finalmente! Cos’è, il troppo sole del mare ti ha accecato?” Ormai ridevano entrambi. Eccola là, con uno dei suoi leggeri vestitini estivi, quello azzurro che a lei non piaceva tanto ma a lui sì, porca miseria se gli piaceva Meredith con quel vestito. Avevano continuato a parlarsi guardandosi da lontano (sempre quel timore di essere visti, che barba) per più di mezz’ora. Più parlavano e più capivano che il mese di separazione invece di averli allontanati, li aveva resi ancora più forti e vicini l’uno all’altra. Ed erano felici, molto felici

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. CAPITOLO 15 Per tutto si paga un prezzo, e a volte il prezzo è veramente alto. Greg e Meredith avevano pagato tantissimo per quei mesi di grandi chiacchierate, di risate, di segreti rivelati, di serenità. Dopo quel periodo erano infatti stati costretti a fare qualche battuta d’arresto: all’Epson Bar sembravano essere diventati la favola del momento; dei cambi di orari del lavoro di entrambi avevano drasticamente eliminato i loro magici mercoledì mattina e si erano visti costretti a rubare al tempo e alle circostanze, che sembravano essersi messi contro di loro, ogni attimo e ogni minima occasione. Il cellulare era diventato la loro ancora di salvezza. Greg sorrise ugualmente pensando a quel periodo, anzi, prese in mano il cellulare e andò a riguardarsi i messaggi più recenti che gli aveva mandato Meredith. Erano due sms con un disegno: in uno c’era un pinguino e in un altro un cuoricino. I loro primi cellulari non avevano ancora queste “raffinatezze” (Greg in realtà odiava tutto ciò che era elettronico, era Meredith la maniaca di cellulari, MP3, PC e orpelli vari), ma sia il suo che quello di Meredith in quei tempi erano stati bruciati da ore e ore di telefonate e messaggi. Avevano fatto almeno quattro mesi senza potersi trovare da soli, senza le loro lunghe ed indispensabili chiacchierate; era passato l’autunno, era passato Natale, era passato l’inverno e le volte che si erano potuti vedere per più di un’ora si contavano sulle dita di un paio di mani, non di più. 45


Quella mattina la sensibilità di Greg era talmente elevata che ricordava perfettamente il senso di smarrimento che aveva provato in quel periodo: gli era mancata la terra sotto i piedi, a volte non riusciva più a concentrarsi nemmeno sul lavoro. Durante l’estate precedente aveva abbandonato definitivamente il Lexotan, ma si ricordava che era arrivato ad un punto tale che aveva seriamente pensato di ricominciare a prenderlo. Ma Meredith, la donna dalle decisioni forti, un giorno gli aveva telefonato e gli aveva detto imperiosamente: “Basta Greg. Così non si può più andare avanti. Bisogna prendere una decisione. Oggi parlo con mio marito e gli dico che deve scegliere: o me o l’altra. E sono quasi certa che sceglierà l’altra. E tu, se mi vuoi, comincia a pensare anche tu di fare un bel discorso a Geraldine. Io credo che a questo punto non ci sia più niente che ci impedisce di cambiare qualcosa, così non riesco più a vivere.” Ed in effetti aveva ragione: lei e suo marito avevano iniziato a litigare sempre più spesso e Meredith pensava che questo avrebbe potuto rovinare del tutto ciò che c’era stato di bello tra loro due, senza pensare al fatto di quanto fosse deleterio per sua figlia. Che dire di lui: ricordava che ormai i suoceri non c’erano più, Geraldine aveva ereditato un ingente patrimonio, quindi se la sarebbe cavata benissimo. Ed ecco il vero problema, il nocciolo della questione: per Greg pensare ancora una volta al furore cieco, alla rabbia e alle vendette di Geraldine era veramente troppo. Si ricordava benissimo di quanto fosse stata civile, anche se dolorosa e faticosa, la separazione di Meredith. 46


Non che lei non avesse sofferto: si ricordava ancora di quando si erano trovati dopo che Meredith e il marito avevano deciso di dividere definitivamente le loro vite, e si ricordava di quanto Meredith avesse pianto, ma pianto sinceramente per quanto era stato ingiustamente denigrato quel matrimonio.

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CAPITOLO 16 “E’ stato veramente brutto, credimi. Non pensavo avesse tanto astio nei miei confronti”. Meredith era seduta sulla macchina e stava piangendo come una fontana. Greg le teneva le mani e, a dire il vero, si sentiva un po’ impotente davanti alle sue lacrime. “Ma cosa ti ha detto? Gridava, ti ha trattata male? Cos’ha detto di preciso?”le chiese. “Sinceramente il filo del discorso non me lo ricordo bene. Ha lanciato una serie di accuse che non mi sento in realtà di accettare, dopo i quasi due anni che ho sopportato sapendo che lui aveva un’altra...speravo in un minimo di riconoscenza.” Disse lei tra i singhiozzi. “Che accuse ti ha fatto?” la incitò Greg. “Sostanzialmente mi ha detto che gli ho fatto fare una vita del cazzo...mi ha detto che dopo che abbiamo avuto Becky non sono più stata la stessa, che dedicavo troppo tempo alla bambina anziché a lui; mi ha detto che l’ho rovinato economicamente quando ci ho provato col negozio; mi ha detto che non mi sono mai interessata dei suoi amici; mi ha persino accusata di non aver mai voluto andare con lui quando c’erano i ritiri con gli arbitri di calcio; di non aver mai fatto abbastanza sesso…. O Dio, Greg, mille cose, mille accuse, mille colpe che non mi sento di potermi addossare completamente!” Non riusciva a smettere di piangere. “Ti prego, calmati, per l’amor del cielo.” L’abbracciò più forte che poteva, per cercare di infonderle un po’di calma e di coraggio. 48


“Mi sembra che comunque ci sia andato giù pesante…forse un po’ troppo.” Greg sentiva anche nascere in lui la rabbia. Come poteva quell’uomo lanciare tante accuse contro una donna come Meredith, la stessa donna che gli aveva permesso di tenersi un’amante per più di un anno, continuando peraltro a comportarsi come una moglie normale, preparandogli pranzi e cene, lavando e stirando per lui, senza contare il periodo in cui Fred era stato in ospedale per una grave colite ulcerosa (poco tempo prima…una delle cause per cui loro due avevano smesso di vedersi regolarmente) e Meredith aveva subito più volte l’umiliazione di sentirsi telefonare dall’ altra che le diceva che Fred “ha bisogno che gli porti la roba lavata e pulita”. Gesù, quanto si era incazzato anche Greg quelle volte! “Ma quello che mi ha fatto più incazzare” continuò Meredith trasformando le lacrime di dolore in lacrime di rabbia “è che non mi dava il tempo di ribattere, e qualsiasi giustificazione portassi io a mio favore non era accettabile per lui, e ad un certo punto non ho saputo dire più niente. Ho cercato di dirgli quante notti in bianco ho passato per nostra figlia, mentre lui russava beato e manco la sentiva piangere, ho cercato di dirgli che mi lasciava sola tutte le domeniche e l’unico posto dove potevo andare era a casa di mia madre, ho cercato di dirgli che lo sa benissimo che del calcio non mi può proprio fottere niente e che i suoi “amici” arbitri mi stanno tutti sul culo. Ci ho provato, Greg, a frequentarli, ci ho provato. Ma riuscivano a parlare soltanto di calcio, allenamenti e palle loro di cui non mi fregava niente.” Greg era sconcertato: era quasi un replay di quello che era successo a lui con Geraldine: accuse, accuse, accuse…senza il beneficio del dubbio. 49


“Alla fine come vi siete messi d’accordo?” le chiese “Aspetta, non è finita. Ha girato il dito nella piaga, naturalmente. Mi ha raccontato di quanto stanno bene insieme lui e lei, di quanto sia soddisfacente andarci a letto, di quanto lei si trovi bene con i suoi amici… mi sentivo molto umiliata e non ne potevo più. Alla fine ho ceduto e gli ho detto che se era così sicuro di essere così felice con lei, l’avrei lasciato andare più che volentieri e che mi dispiaceva avergli rovinato l’esistenza.” “Ma sei fuori? E’ stato come ammettere le colpe di tutto ciò di cui ti accusa!” Greg si stava veramente alterando. “La mia è stata un po’ una provocazione. Mi aspettavo che mi dicesse che comunque era stato felice con me, che avevamo passato dei bei momenti, che ero stata anche importante per lui, insomma qualsiasi cosa” “E invece?” chiese Greg “E invece niente. Ha detto che si metterà a cercare un posto dove andare a vivere e che al più presto uscirà da quella casa che per lui è diventata una galera.” Meredith scoppiò di nuovo a piangere a dirotto. “E Beckie? Quando glielo dirà?” domandò Greg, che sinceramente era sempre più incazzato e preoccupato per Meredith. “Ah, caro mio, questa è la ciliegina sulla torta.” Meredith fissava ammutolita un punto indefinito fuori dal parabrezza della macchina. Il suo sguardo era vuoto, triste, deluso. E non si decise a parlare finchè Greg non le diede una piccola scossa per farle continuare ciò che aveva lasciato in sospeso. 50


“Allora Meredith” le disse con un tono di voce che non aveva mai usato con lei, “vuoi parlare o no?” “Mi ha detto che devo essere io a trovare il modo e il momento migliore di dirlo a Beckie, naturalmente senza dirle la vera ragione per cui lui se ne sta andando”.

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CAPITOLO 17 L’aria del parco stava cambiando. Greg era arrivato alle sette e mezza, quella mattina. Guardò l’orologio: erano solo le nove, ma il sole stava cominciando a scaldarsi, quel lieve tepore che entra nelle ossa e ti fa pensare che niente è più bello dell’abbraccio in cui ti senti avvolgere delicatamente in quei momenti, dopo aver passato mesi con la temperatura sotto lo zero. I ricordi fluivano dentro di lui come una cascata che scende da un alto salto roccioso: impetuosamente, limpidissimi, con forza. Alla fine era stata proprio Meredith a dire a Beckie che il padre se ne sarebbe andato di via casa e l’angoscia del pianto di disperazione della figlia l’aveva distrutta psicologicamente. Alla fine era riuscita a tener salda quella piccola mente sconvolta dal dolore e a fatica Becky, grazie anche al fatto che cresceva con accanto una donna forte, aveva capito che forse era meglio avere due genitori separati al posto di due genitori che non vanno d’accordo o che, peggio, fingono di andare d’accordo. Fred se n’era andato all’inizio di luglio di quell’anno, e l’aveva fatto alla chetichella, mentre Beckie era a Windermere con la nonna materna: un lunedì mattina Meredith era tornata dal suo week-end nel Lake District e aveva trovato gli armadi vuoti. Lei gli aveva subito telefonato e gli aveva detto semplicemente e mestamente poche parole:

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“Se n’è andato Greg, se n’è andato via come un ladro, senza lasciarmi neanche un biglietto. E ora sono ancora io a dover dire a Beckie che suo padre è uscito di casa. E’ un vigliacco.” Nello stesso periodo Greg aveva lasciato Geraldine, e questa volta definitivamente, ma se le cose erano state difficoltose per Meredith, molto peggiori erano state per lui, soprattutto il modo in cui era scoppiata la bomba dalla sua parte della storia. Ricordava che, dopo che Meredith ebbe parlato chiaramente con Fred, anche lui aveva deciso di dare un taglio a tutto, Geraldine non poteva non ammettere che ormai era tutto un disastro totale; i loro figli erano grandi, ormai, avrebbero capito anche loro che non si può tenere in piedi una casa su delle fondamenta che stanno andando a pezzi. Era certo che la cosa, questa volta, si sarebbe svolta con un po’ più di calma e ragionevolezza. Si ricordò che ne aveva voluto parlare con suo padre, chiedendogli se per favore lo avrebbe ospitato per un breve periodo di tempo mentre cercava un monolocale dove andare a vivere. E lì aveva avuto l’ennesima delusione della sua vita, e aveva capito di essere circondato da persone, o meglio, da una famiglia che non pensava così meschina. Sulle prime il padre gli aveva detto che non c’era problema, lui era suo figlio e l’importante era che si togliesse da una situazione in cui non era più felice. Poi le cose erano cambiate: improvvisamente non avevano un posto adatto dove farlo dormire, non avevano armadi dove mettere le sue cose e tante altre scuse inutili. Greg non aveva insistito più di tanto. 53


Già i rapporti con il padre non erano dei più idilliaci: appena un anno dopo la morte della mamma di Greg, il padre si era risposato con una donna che era la misera ombra di quello che era stata la prima moglie, e Greg, in fondo in fondo, non l’aveva mai perdonato di essere riuscito a sostituire così velocemente una donna che si era perennemente e costantemente sacrificata per farlo vivere non bene, non tranquillo, nemmeno felice; tutti questi aggettivi erano uno sminuire quello che aveva fatto sua madre per suo padre. Peter era vissuto con la povera Emma servito e riverito come una regale maestà. Per l’amor del cielo, questa nuova moglie lo trattava bene, l’aveva aiutato a crescere un figlio rimasto orfano a soli dodici anni (come mai, però, Frank se n’era andato appena compiuti i 21 anni?) ma come donna non poteva minimamente competere con la mamma di Greg. Quello che più faceva male a Greg, poi, era che suo padre, spesso, pensando al primo vero matrimonio, diceva che ormai era acqua passata sotto ai ponti, e questo non poteva perdonarglielo, mai nella vita glielo avrebbe perdonato. Tutt’oggi non glielo perdonava. Ormai Peter era un uomo di 85 anni, Greg andava a trovarlo regolarmente (in realtà spesso era Meredith che glielo sottolineava: “Allora, Greg, non è ora di passare da tuo padre? E’ tempo della visita pastorale…” mettendola un po’ sul ridere) ma Greg pensava che fosse sempre stato un perfetto egoista: egoista nei confronti di sua madre, ed egoista nei confronti dei 54


figli, imponendo loro una donna che caratterialmente e umanamente non era nemmeno la metà della loro madre. In quella decisione di non offrirgli più un tetto da mettere sopra la testa, Greg aveva visto sempre lo zampino della matrigna e l’ombra dell’egoismo puro di entrambi: niente doveva sconvolgere la loro inutile e tranquilla vita, niente doveva sconvolgere la loro piccola e meschina tranquillità, nemmeno un figlio che aveva veramente bisogno. Poi la situazione era precipitata improvvisamente: Greg non aveva potuto far andare le cose nel modo in cui avrebbe voluto, perché una notte sua figlia Patricia aveva letto un messaggio che Meredith gli aveva mandato sul cellulare. Un messaggio in cui lei gli diceva che si sentiva sola, che avrebbe voluto abbracciarlo e sentirsi abbracciata. Un sms tutto sommato innocente, che aveva però fatto scoppiare una bomba di proporzioni gigantesche, a cui sinceramente né lui né Meredith avevano pensato. L’onda d’urto sarebbe durata tanto tempo, al limite della sopportazione umana.

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CAPITOLO 18 Il viso di Meredith “trasudava” sgomento e irritazione allo puro. I suoi nervi erano già abbastanza lacerati dagli ultimi avvenimenti in casa sua, ma Greg non aveva potuto fare a meno di dirle quello che era successo quella notte. Meredith gli aveva mandato un sms e Patricia l’aveva letto…. “Dimmi una cosa,” disse Meredith con un tono che non lasciava presagire nulla di piacevole “come ha soltanto OSATO fare una cosa del genere?” Greg non seppe rispondere. “Allora? Rispondimi, cazzo!” quando iniziava a dire parolacce, Meredith diventava pericolosa. “Ma non l’hai presa a sberle? Non le hai detto che può e DEVE farsi i cazzacci suoi?” “No,” rispose Greg con un filo di voce “e la cosa peggiore è che l’ha anche detto a sua madre” Greg temeva la reazione di Meredith. “Non è possibile, non è possibile, non è possibile! Nessuno le ha mai detto che è una grandissima stronza?” la voce di Meredith si stava alzando di volume… “Per favore Meredith, ti prego, non dire così, è mia figlia…l’ho già fatta soffrire molto…” “Chi l’ha fatta soffrire? Scusa, mi puoi chiarire il concetto di cui abbiamo già parlato molto e tanto? Chi l’ha fatta soffrire di più? Chi? Tu o quella bestia di tua moglie che con tutte le parole che riesce a macinare in pochi minuti le ha montato la testa per anni e l’ha convinta che tu non le vuoi bene? Chi? Chi l’ha fatta crescere col problema di un padre inaffidabile e le ha 56


messo quell’arroganza nel carattere che l’ha portata a PERMETTERSI di leggere un sms sul tuo cellulare? Chi? Tu o lei? Ma chi si crede di essere? MA CHI CAZZO SI CREDE DI ESSERE?” Urlò Meredith e tanto per cambiare scese dall’ auto sbattendo la portiera e questa volta si avviò diretta verso la sua, parcheggiata poco più in là. Era decisa ad andarsene via. Tanto per cambiare, Greg la seguì e la bloccò mentre stava salendo. “Fermati! Per favore, ragioniamo. Ragioniamo su questa cosa come abbiamo sempre fatto su tutto.” le disse con una nota di disperazione nella voce. Greg aveva paura, una fottuta paura di perderla. Meredith si stava scontrando con le cattiverie e le piccolezze della sua famiglia, aveva già sulle spalle il bagaglio di accuse dell’ex-marito….forse non ce l’avrebbe fatta a sopportare tutto. “Ti sembra normale che dobbiamo sempre essere noi quelli che si fermano a ragionare? Ti sembra normale che gli altri si permettono di dire e fare cose che non stanno né in cielo né in terra, e siamo sempre noi che dobbiamo rifletterci? Ti pare normale che noi si debba sempre subire il comportamento degli altri? A me no, non in questo momento, non in questo periodo. Ne ho piene le palle, anzi, strapiene.” “Si, hai ragione, hai perfettamente ragione. Ma non andartene via, ti prego, non lasciarmi solo adesso. Non abbandonarmi anche tu.” la supplicò Greg. Si sentiva malissimo. “Non ho nessuna intenzione di lasciarti o abbandonarti. E’ solo che a volte il tuo troppo perbenismo con chi ti sta intorno mi 57


urta in maniera insopportabile. Credimi, mi dispiace che Patricia abbia visto il mio messaggio, mi dispiace anche avertelo mandato, ma se fossi stata al tuo posto un bel vaffanculo non glielo risparmiavo di certo. E poi si vedeva.” “Meredith, per favore….” “Meredith per favore un beato cazzo.” Niente poteva calmarla quella mattina. Greg poteva dire di conoscerla abbastanza bene, ormai, e capiva che ci sarebbe voluto del tempo per fargliela passare. “Senti,” le disse “in fondo non cambia niente…ti avevo detto che avrei comunque parlato a Geraldine non appena avessi trovato un posto dove vivere…questo ha solo accelerato un po’ le cose.” E dentro di sé Greg aggiunse che le avrebbe anche ulteriormente peggiorate. Preferì non esprimere a voce questo pensiero che non era solo un timore, ma una certezza. Purtroppo (o per fortuna) Meredith era abbastanza intelligente da capirlo da sola. “Se è vero tutto quello che mi hai raccontato, e io lo so che è vero, da oggi si scatenerà il finimondo; io sono già abbastanza stressata dalla mia situazione e non so come farò a sopportare anche questa…sono stanca Greg, sono stanca di subire, sono stanca che persone di cui non me ne frega niente si mettano sulla mia strada e interferiscano con la mia voglia di serenità e di tranquillità. Sono stanca di essere coinvolta in liti o questioni di cui mi sento colpevole solo in parte, sono stanca e punto.” Meredith aveva messo la testa tra le braccia che aveva appoggiato sulla portiera aperta dell’auto. Greg le accarezzava le spalle, baciandole la nuca. 58


“Stai tranquilla, magari siamo noi che vediamo le cose troppo in negativo e invece si risolveranno velocemente e col minimo danno. L’importante è che si risolvano definitivamente, perché, credimi, anche io sono molto stanco e ho BISOGNO di un po’ di serenità. Soprattutto ho bisogno di te, del tuo sostegno, di sentirti al mio fianco, di sapere che ci sarai, qualsiasi cosa succeda.”le disse. “Lo sai che ci sarò, e ti sosterrò. Ma ora come ora mi sento proprio un po’ male: il nostro mondo è stato…non trovo la parola giusta… è stato come violato. Quando tutto il casino finirà, ti giuro, non permetterò più a nessuno di interferire o di entrare nella nostra vita, chiunque esso sia, padre, madre, ex coniugi, figli…NESSUNO, chiaro? Nessuno.” “E io sono perfettamente d’accordo con te. Ma al momento dobbiamo trovare ancora una volta la forza di sopportare. Ti ricordi lo scorso agosto? Abbiamo sopportato trenta lunghi giorni senza vederci. Io sono convinto che quella sia stata la prova peggiore a cui siamo stati sottoposti, perché eravamo lontani, perché non potevamo sentirci, starci vicini. Invece adesso siamo qui, io e te, che ci diamo forza e coraggio: e io e te insieme saremo capaci di costruire una barricata indistruttibile, che resisterà ad ogni attacco, vedrai.” Greg ne era fermamente convinto. Meredith lo guardò, annuì per fargli capire che ci credeva, ma disse: “Allora ci sarà una guerra, vero?”

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CAPITOLO 19 E guerra era stata. Greg, sulla panchina dove spesso si era seduto con Meredith a parlare mano nella mano, avvertiva ancora la pesantezza di quei giorni. Quando Meredith tornava con la memoria a quel periodo, lui le diceva sempre che l’aveva cancellato dalla sua testa; ma in realtà non era vero. Ricordava perfettamente, e ricordava tutto. A volte il non dimenticare era una maledizione: erano beati coloro che riuscivano a togliersi dalla mente le cose brutte, i ricordi che fanno male, le parole che hanno ferito! Chi non riesce a farlo si ritrova sempre con dolorose lacerazioni nell’anima, nel profondo di loro stessi, e ogni volta faticano per fermare il sangue che ne esce. Più che una guerra era stato un assedio estenuante. Nel giro di quindici giorni Greg era stato costretto ad uscire di casa. Nel frattempo Geraldine aveva dato il “meglio” di sé. In realtà, era difficile ritrovare un ordine cronologico in cui erano avvenuti i fatti, perché erano stati talmente incalzanti da perderne la successione: aveva rovistato nella sua auto, nel suo portafogli, nella sua valigetta del lavoro…aveva trovato i biglietti che Meredith gli aveva scritto (pochi e poco compromettenti, in verità), le cassette di musica classica che lei gli aveva regalato, e aveva distrutto tutto, imprimendo in quei gesti un tale odio da sopraffarlo. Era stato anche umiliante, a volte: si ricordava perfettamente come, un pomeriggio di un sabato, mentre era seduto sul divano a guardare la televisione e Geraldine bagnava quelle 60


due piante che riusciva a tenere vive, gli fosse passata accanto e gli avesse rovesciato addosso l’acqua dell’intero innaffiatoio così, senza una ragione apparente, solo magari per provocare una reazione forte che naturalmente non aveva ottenuto. Greg si era alzato dal divano, l’aveva soltanto guardata ed era andato a cambiarsi. Perché con lei bisognava comportarsi così: col silenzio. E l’aveva capito anche Meredith: quante volte era stata fermata per strada, era stata insultata, quante telefonate aveva ricevuto, quanto era stata denigrata e offesa…ma grazie a Dio era riuscita a sopportare in silenzio, con una signorilità che in pochi avrebbero saputo sfoderare. Certo, poi si sfogava, piangeva e urlava quanto la detestasse, minacciando denunce che non aveva mai in realtà fatto, anche se ne avrebbe avuto ben motivo di fare. Geraldine si appostava fuori dall’Epson bar, aveva persino telefonato ai parenti di Meredith, aveva fermato persone che lei non conosceva ma che erano vicine a Meredith per sobillarle di menzogne e cattiverie senza fondamento, nate solo dalla sua cattiveria e dalla sua voglia di vendetta. La cosa peggiore fu che tutto ciò peggiorò, anziché migliorare, quando finalmente, trovato un monolocale, Greg se ne andò di casa, quella volta certo di non volerci mai più ritornare. Geraldine iniziò anche ad appostarsi sotto casa di Meredith, per vedere se e quando uscivano insieme, e quando capitava che li vedesse insieme, iniziava a telefonare a Greg, e via! parole, parole, parole inutili, con il solo insano e stupido scopo di rovinare i loro momenti insieme. Ma lui e Meredith erano riusciti in qualche modo a creare delle forti barricate, e il loro castello aveva retto molto bene, 61


tanto che ad un certo punto le angherie di Geraldine erano diventate fonte di divertimento e risate‌.

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CAPITOLO 20 “Allora, Greg, dammi notizie fresche…a quanti siamo arrivati?” Era un martedì mattina e Meredith era arrivata presto, con tre enormi scatole sul cui contenuto Greg era molto curioso. Era l’inizio di luglio, Greg si era finalmente e definitivamente trasferito nel monolocale che aveva trovato alla periferia di Sheffield, Fred se n’era appena andato di casa e Greg e Meredith sedevano, bevendosi un caffè, l’uno davanti all’altra al piccolo tavolo dell’angolo cottura. “A quanti siamo arrivati di cosa? Da quanti giorni abito qui? Una settimana. Quanti baci ti darei? Mille. Quanto sto bene con te da uno a dieci? Dodici. Ti servono altri numeri?” Greg sorrideva rilassato e felice di vederla lì, davanti a lui, ma soprattutto era felice di vedere che, nonostante il viso un po’ tirato a causa degli ultimi accadimenti, i suoi occhi erano ridiventati sereni e ironici, come li aveva sempre visti. “Dai, su, non fare lo gnorri. Voglio sapere a che numero sono arrivata di uomini che mi sono fatta, no? Gi ha ulteriormente indagato sulla mia intensa vita sessuale?” Ormai Geraldine era diventata semplicemente Gi: era talmente sempre presente (per strada, al telefono con Greg, sotto casa di Meredith, davanti all’ Epson Bar……) che nominarla tutte le volte per intero stava diventando, come diceva Meredith, uno -spreco di fiato e di energie-. “Oooh, QUEL numero! Non lo so, volevo fare con te un rapido calcolo, anche per capire bene con che razza di donna mi sono messo.” 63


Greg fece un’alzata di sopracciglia e la guardò facendole l’occhiolino. “Prendo carta e penna o facciamo a mente?” chiese Meredith “Guarda che sei tu quella carente in matematica, non io” rispose Greg. “Ok, allora cominciamo….” lo incitò Meredith che stava cominciando a divertirsi. “Allora: i tuoi ex-colleghi di lavoro.” Meredith aveva lavorato come interprete in una ditta di trasporti internazionali per una decina d’anni. “Tutti?? Se calcoliamo tutti, sono una ventina, invece se puntiamo su quelli più giovani e interessanti, all’epoca erano un sei o sette” faticava molto a stare seria. “Vabbè, facciamo cifra tonda e pari, calcoliamo otto. Poi dobbiamo aggiungere i tuoi colleghi coristi maschi.” la incalzò Greg. “Allora, vediamo….qui la cosa si fa un po’ complicata. Sai, ci sono stati molti passaggi…diciamo che, di norma, il numero fisso su cui si viaggia è una quindicina tra bassi e tenori, certo se prendi in considerazione chi non ci canta più il numero sale.” “Teniamo la media di 15, che sommati agli 8 precedenti fa un bel 23. Ok. Avanti. Clienti dell’Epson Bar? Stiamo sui fissi e non sugli occasionali.” “Mmmm. Fammici pensare. Una decina?” ipotizzò Meredith. “23 più 10 fa 33. Altro?” chiese Greg “Altro? A me lo chiedi? Fai il numero di telefono di Gi e chiedi a lei.” “No, grazie. Già fa lei troppo spesso il mio. Vogliamo aggiungerne un cinque o sei così tanto per non sbagliare?” quando Greg voleva rimanere serio, ci riusciva molto bene, 64


meglio di Meredith che aveva già una mezza risata che le voleva uscire prepotentemente dalla bocca. “Ma sì, meglio andare per eccesso che per difetto.” “33 più 5 fa 38. Trentotto Meredith, ti rendi conto? T r e n t o t t o!” sillabò Greg avvicinando il viso al suo “Non ti sembra di aver esagerato? E poi spiegami dove cavolo trovavi il tempo…” “Ma che tempo…lo sai no? Il famoso –una botta e via!-. Però sì, penso di aver esagerato un pochino… e poi pensavo di essere stata abbastanza attenta da non farmi scoprire. Come avrà fatto a saperlo, lei?” “Ha sguinzagliato i segugi che ha addestrato personalmente.” Finalmente scoppiarono entrambi a ridere e quando cercarono di visualizzare i segugi “cerca-amanti” (ipotizzando un naso con una certa ben definita forma fallica), e continuarono a riderci per almeno dieci minuti. “O Dio, basta Greg, mi fa male lo stomaco dal tanto ridere!!” implorò Meredith soffiando il naso “e poi colo da tutte le parti!” “Saranno anni che non rido così di gusto!” disse Greg asciugandosi gli occhi e tentando di smettere. Ma nessuno riusciva a smettere, e non volevano smettere: sentivano che stavano finalmente sfogando tutte le tensioni accumulate in più di un mese di litigate, discussioni, situazioni complicate e cattiverie. Finirono tutti e due accasciati per terra sul tappeto davanti al divanoletto e, quando finalmente le risate si esaurirono, si guardarono profondamente negli occhi. “Tu ci credi a queste cose?” gli chiese Meredith, senza più scherzare.

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“Ma sei impazzita Meredith?” rispose lui tornando serio.” Certo che no, non devi neanche farmi una domanda del genere.” “Non è carino sentire dire queste cose su sé stessi. No, non è proprio per niente bello. Il guaio è che lo dice a cani e porci” “Appunto, cani e porci, chissenefrega. Non devi dimostrare niente a nessuno, sai? E’ solo la sua cattiveria, e non dirmi che non ti avevo avvisata.” “Speravo in qualcosa di più soft….” Meredith si appoggiò alla spalla di Greg, prendendogli una mano. “Dimmi una cosa...” gli disse lui accarezzandole i capelli. “Cosa?” le loro voci erano diventate dei sussurri. “Adesso possiamo considerarci tutti e due liberi, giusto?” “Giusto” ammise Meredith. Greg le prese il viso e la baciò delicatamente sulla bocca. Fu un bacio lungo e dolcissimo, pieno di tenerezza e amore. “Smettiamola di parlare di Gi o di Fred, di quello che hanno fatto o detto o fanno o dicono. Non è ora di cominciare a pensare un po’ di più a noi due?” le domandò Greg. “Hanno scatenato putiferi nelle nostre vite, come puoi pretendere di non riuscire a parlarne o a pensarci?” gli chiese di rimando Meredith. “C’è un modo per riuscirci, sai? CAPITOLO 21 Quanto era stato bello fare l’ amore, quel giorno….finalmente un posto tutto per loro, senza dover guardare continuamente l’orologio, in quello che era già diventato il loro nido, il loro rifugio, il loro giardino segreto. 66


Ma non era stato bello solo quel giorno: con Meredith era sempre stato bello. Spesso lei gli diceva che aveva dovuto aspettare di avere 40 anni per capire come si facesse veramente l’amore, con la passione, con la tenerezza, con la dolcezza e, soprattutto, la pazienza di aspettarsi, ascoltarsi e donarsi. Avevano fatto bene ad aspettare il momento giusto, anche se con tanta fatica; quel giorno di luglio si erano sentiti liberi, felici, sereni, appagati e, soprattutto, senza i sensi di colpa che indubbiamente sarebbero venuti fuori se l’ avessero fatto prima. Greg aveva provato delle sensazioni indescrivibili, un coinvolgimento che non aveva mai sperimentato con nessun’altra; spesso, dopo quella volta, gli era veramente venuto il dubbio che Meredith fosse una fata e gli avesse fatto qualche incantesimo: ma non era un incantesimo, anche se senz’altro, quello che c’era tra loro due, era una specie di magia. Meredith non amava mettere profumi, eppure la sua pelle profumava, non amava mettere creme o quant’altro, eppure la sua pelle era vellutata…. le sue labbra erano sempre morbidissime e le sue mani delicate come il tocco di un angelo. E il bello era che anche lei pensava tutto questo di lui. Era una chimica perfetta abbinata ad un amore che stava raggiungendo vette altissime. Il calore tiepido del sole di quella mattina si fondeva col calore che Greg sentiva dentro di sé, pensando a tutte le volte in cui faceva l’amore con Meredith. Proprio due sere prima, dopo essersi amati, si erano riconfermati il loro profondissimo amore. 67


“Ti amo da impazzire, Greg” gli aveva detto lei. “Ti amo e mi piaci da impazzire” le aveva risposto lui. Greg cercava ogni momento per farglielo capire e sentire: un piccolo regalo (Meredith aveva la mania di collezionare angeli e pinguini: bastava anche solo un piccolissimo pinguino di peluche per vedersela saltare addosso e sentirsi riempire di baci…), una dedica su un libro (libri rigorosamente in edizione economica, Meredith si addormentava col libro in mano e le edizioni con copertine cartonate di lusso potevano diventare pericolose per il suo bel naso quando crollava nel sonno e il libro le crollava addosso…), un piccolo desiderio esaudito, una semplice cenetta a due con qualcosa di particolare cucinata da lui, mentre la OBBLIGAVA a starsene seduta sul divano a guardare la TV. Perché sì, era meraviglioso fare l’amore con Meredith, ma altrettanto bello era fare la vita di tutti i giorni con lei, quella vita che era migliorata da quel luglio di nove anni prima. Era una vita semplice, come semplice era Meredith, come semplice era farla felice, come semplice era sentirsi amato da lei. Era una vita vera, come vero era quello che provavano, quello che facevano, quello che erano l’uno verso l’altra. Di questo aveva sempre avuto bisogno Greg: tornare in una casa vera, trovare una donna vera, avere un amore semplice e sincero.

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CAPITOLO 22 Avevano fatto l’amore e poi erano rimasti a lungo abbracciati a crogiolarsi nelle dolci sensazioni che sentivano dentro di loro. Greg aveva buttato l’occhio sulle scatole e le aveva chiesto cosa contenessero. “Uhuuu, un sacco di cose! Dobbiamo rendere meno asettica questa casa… però prima faccio una doccia, poi guardiamo” e detto questo scomparve in bagno per una decina di minuti. Quando ne uscì Greg era ancora a letto, disteso con una gamba sopra l’altra e le braccia incrociate dietro alla testa. “Beh?? Che cos’è quell’aria sognante? C’è da lavorare, ragazzo, alzare il culo da lì!” “Dai, amore, lasciami ancora un po’ in questo paradiso..” le disse facendole segno con le mani di sedersi sul letto vicino a lui. “E’ stato veramente bello, sai?” le disse “Lo so, anche per me. Ma ti devo confessare che non ne avevo alcun dubbio. Non con te.” “Sai,” le confidò Greg “ e di questo te ne do la mia parola, tutte le volte che ho fatto l’amore con qualcuno, la prima cosa che facevo subito dopo, e ti ribadisco il concetto SUBITO, era alzarmi e andare a fare la doccia, perché ogni volta mi sentivo …non so spiegartelo… mi sentivo fuori posto, non so, mi andava di liberarmi subito di quello che avevo fatto. Oggi mi sentirei di dirti che non vorrei più lavarmi, perché questa volta vorrei portare su di me le sensazioni che ho provato e il tuo sapore, il tuo profumo, per non so quanto tempo. Non è stato solo bello, è stato appagante, coinvolgente e tutti i migliori aggettivi che la mia mente beata non riesce a trovare in 69


questo momento, in cui tu e solo tu esisti.” le disse dolcemente. “Cavolo Greg, non puoi farmi questo.” disse Meredith sottovoce, girando il viso dall’ altra parte. “Farti cosa?” le domandò, prendendole il mento e facendola voltare ancora verso di sé…e accorgendosi che aveva gli occhi pieni di lacrime. “Ma… Meredith… scusa…io non volevo..” “Non farmi piangere, ti prego. Nessuno mi aveva mai detto delle parole così belle.” disse Meredith asciugandosi gli occhi. “Nessuno aveva mai fatto l’amore con me così intensamente con tanto amore, con tanta attenzione. E’ stato bellissimo, grazie” “Grazie? A me? A te, piuttosto, che sei riuscita a farmi risentire un uomo importante, un uomo capace di amare e di gioire; e non sto parlando solo di oggi, delle ultime ore. Ma sto parlando di tutto il tempo che è trascorso da quella sera in cui sono entrato all’Epson e ti ho vista.” “Senti…” Meredith iniziò la frase ma la lasciò subito in sospeso. “Dimmi. Parla pure liberamente. Sai che ci siamo promessi di dirci sempre tutto.” “Ecco, io non vorrei che tu pensassi che io… insomma, io non ho fatto la doccia per liberarmi di te…è perché avevo un po’ caldo..” Meredith sembrava veramente dispiaciuta. “O santo cielo! Non è certo quello che ho pensato. Adesso la faccio anch’io..era solo per spiegarti il concetto, no? Dico, ma che vai a pensare? SO PERFETTAMENTE che quello che ho provato e provo io è uguale per tutti e due, dai” Greg la baciò, un lungo bacio sulla bocca. 70


“Poi al limite facciamo un replay, no?” le disse sensualmente. “A beh, certo, ci conto.” Finalmente le tornò il sorriso sulla bocca e quel brillio furbesco negli occhi che Greg tanto adorava. “Forza, allora, doccia e si lavora!” Greg si alzò dal letto e andò in bagno, facendo un’altra cosa che, disse, non era usuale per lui, e cioè lasciare la porta aperta mentre faceva la doccia: le disse che ormai la sua intimità era diventata la loro intimità, e anche questa era una sensazione nuova e magnifica.

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CAPITOLO 23 Greg, passeggiando nel parco, si avvicinò all’altalena dove Meredith non poteva fare a meno di salire quando facevano le loro tranquille passeggiate. Mise la mano sulla catena che reggeva il seggiolino e gli sembrò quasi di sentire sotto le dita il punto esatto dove lei metteva le mani quando si dondolava. I suoi sensi erano molto acuiti quella mattina, tanto da centuplicare le sensazioni che gli davano i profumi, i delicati sussurri della natura, i suoi ricordi, belli o brutti che fossero. Si stava soffermando tanto sui primi tempi del loro rapporto, perché capiva che erano l’embrione di quella che poi sarebbe stata la sua vera vita, i suoi finora pochi ma meravigliosi anni di vita in comune con Meredith. Quella mattina di luglio di quasi nove anni prima era stata la scintilla che aveva fatto davvero nascere la loro stella luminosa, la loro supernova. Da quegli scatoloni era uscito di tutto. Il giorno che se n’era andato di casa, Geraldine gli aveva “gentilmente” dato un paio di lenzuola, due o tre strofinacci, un set di asciugamani e un paio di tovaglie lise, e pure con qualche buco: giusto per umiliarlo ancora di più. Quando Meredith aveva visto questa “dote” non aveva commentato (no, in effetti aveva detto qualcosa tipo “Che gran signora, Madame Geraldine!” con il suo solito tono sarcastico). Quella mattina aveva “raccolto gli stracci” e sostituito tutto con biancheria nuova di zecca, strofinacci colorati, allegre tovaglie e morbidi asciugamani. 72


E non solo: aveva portato soprammobili, un po’ dei suoi libri, stampe da appendere ai muri, tende per la finestra, fiori finti per “tirare su un po’ l’ambiente”, il tutto corredato di sacchettini profumati per i cassetti, candele (Meredith asseriva sempre che la luce di una candela, di sera, riequilibrasse l’umore e rendesse la casa più calda…..in effetti non aveva mai visto in casa loro una sera senza una candela accesa….senza contare che a volte, quando diceva di sentirne la necessità, ne accendeva una in ogni stanza), nuove musicassette e CD per sostituire quelli che Geraldine aveva distrutto. In un paio d’ore quel misero monolocale si era trasformato in una vera casa; e allora Meredith gli aveva detto che andava inaugurato con una bella cenetta. Aveva acceso della musica e, mentre lui terminava di appendere le stampe, lei si era messa ai fornelli a preparare qualcosa, avevano cenato e avevano fatto ancora l’amore. Come avrebbe mai potuto Greg dimenticare quella giornata? Era stata una delle giornate più intense e rilassanti che avesse mai vissuto, un Natale fuori stagione, una vacanza a sorpresa. E il bello era che Meredith era così allora e non era cambiata. Maturata, forse, un po’ meno illusa, forse, ma così ancora oggi.

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CAPITOLO 24 Greg e Meredith erano seduti sul divano a casa di lei. Era la prima volta che Greg andava a casa di Meredith, ma, entrando, si rese subito conto di quanto rispecchiasse la personalità di quella donna. Una casa pulita, ordinata, accogliente, colorata. Ci si sentiva a proprio agio, e d’altra parte era come stare in una versione più grande di quello che era ora il suo piccolo monolocale. Stavano mangiando un gelato ed era un giovedì sera. “Sai, mi spiace sempre molto lasciarti a casa per il week-end” gli disse Meredith. Era ancora luglio, e ogni venerdì sera lei partiva per Windermere, dove raggiungeva sua mamma e Beckie in vacanza. “Ma da un altro lato sono contenta di andarmene, perché la presenza di Gi è diventata troppo pressante, non ce la faccio quasi più.” “Sarò molto sincero, Meredith,” disse Greg “anche a me spiace che tu vada via, ma da quando vivo da solo, in mezzo alle cose tue che mi hai portato, in una casa che abbiamo messo a posto insieme, con la possibilità di telefonarci quanto vogliamo, riesco a resistere molto bene. Poi sono anche molto contento che tu ti tolga un po’ dall’incubo dei pedinamenti di Gi, dal rischio di sue telefonate o dai suoi insulti.” “Speravo che la cosa si calmasse….è più di un mese che sei fuori casa, cos’ha ancora da dire? Non si stanca mai??” “No, è massacrante. Spero che parta in fretta per il mare, forse allora ci sarà concessa qualche settimana di pace. E non 74


sto parlando solo di me e te, sto parlando anche a nome di mio padre, di mia zia, di mio fratello…da mio padre va praticamente ogni giorno e le telefonate in Irlanda a mio fratello e mia zia sono praticamente quotidiane. Nessuno la sopporta più. Non solo tu ..o io.” disse mestamente Greg. “Ma allora perché non la mandano a quel paese, perché non la fermano, perché non le dicono di piantarla una buona volta?” chiese Meredith, che si stava un po’ accalorando e agitava il cucchiaino nell’aria. “Perché sarebbe inutile e potrebbe anche peggiorare le situazione. Ti ho già ripetuto molte volte che ribattere non serve a niente.” “Ma tu sei il figlio, il fratello, il nipote delle persone che va a massacrare dicendo schifezze su di te. Nessuno fa niente per te, allora?” “No, nessuno fa niente per me. Lei li minaccia con ritorsioni morali, dice a mio padre che non gli farà più vedere i nipoti…” “Che mucchio di stronzate, Greg” disse Meredith, ora veramente un po’ incazzata “Che gran mucchio di stronzate! Come se i tuoi figli avessero quattro o cinque anni e non potessero decidere da soli se vedere o no il nonno…” “Ma loro ci credono, perché quando una cosa, anche se è sbagliata, ti viene ripetuta mille volte, diventa un martellamento psicologico e alla fine ci credi” le rispose Greg. “Sono degli stupidi, scusami Greg, ma te lo devo proprio dire.” disse Meredith avviandosi verso la cucina per lavare le ciotoline del gelato. Greg la seguì, e si sedettero al tavolo per fumarsi una sigaretta. “Ti stanno abbandonando, mi dispiace dirtelo, ti stanno abbandonando per una persona che, a conti fatti, non è niente 75


per loro. Lo so che sto dicendo parole crude e magari ti sto facendo del male, ma io penso che sia la verità.” “Certo che è la verità.” assentì Greg “è la pura verità. L’unica che ci tiene ancora molto a me è la zia Theresa, che subisce le parole di Gi, ma poi mi chiama preoccupata per sapere come sto. Per quanto riguarda gli altri… io non ho più una vera famiglia da quando è morta mia madre. E’ da allora che mi sento veramente solo e senza appoggi. Ci ho fatto l’abitudine, ormai. Ne abbiamo già parlato abbondantemente, Meredith, non potrei che ribadire ancora gli stessi concetti.” Greg stava guardando le volute del fumo della sigaretta che salivano in una spirale per poi uscire dalla finestra aperta. “Quando poi mio padre ha deciso di risposarsi” continuò “ è come se si fosse spezzato tutto. La mia matrigna non è molto meglio di Gi, sai? Anche lei è molto egocentrica e crede, ancora oggi, erroneamente, di aver salvato una famiglia, quando invece ha fatto esattamente il contrario. A volte faccio finta che tutto questo non mi tocchi, ma non è vero. L’unica consolazione è la certezza che ho dentro di me che il destino ti abbia messo sulla mia strada per compensare tutto questo.” “E se non ne fossi in grado?” chiese Meredith guardandolo intensamente e con un po’ di preoccupazione nella voce. “Lo stai GIA’ facendo. Mi hai GIA’ fatto tornare ad essere un uomo migliore, e ti dico tornare, perché io sono riuscito a ritrovare me stesso. Ed è una sensazione esaltante, per me. Ed è per quello che non mi preoccupo del vuoto che sento intorno, compensi benissimo tutto. E spero di riuscire a farti sentire le stesse sensazioni e gli stessi sentimenti che provo io.” Spense la sigaretta e la attirò a se, facendola sedere sulle sue gambe e baciandola. 76


“Ma certo che ci riesci, amore” gli disse Meredith sfiorandogli le labbra “e sta’ pur certo che è così anche per me. lo sai che anche io non ho un granchè di famiglia….guarda Jack, per esempio. Anche lui se ne sta ad ascoltare Gi e MAI, dico MAI una volta mi ha detto una parola di conforto, mi ha fatto capire di essere un po’ dalla mia parte, anzi, ti dirò la verità, ho il sospetto che abbia preso le parti di Gi, perché ultimamente proprio evita di parlarmi. Pensare che quando tre anni fa si è separato, ho cercato di stargli vicina più che potevo. Anche lui aveva un’amante e non so quante volte l’ho “coperto” e aiutato. Adesso che ci penso bene, mi fa un po’ schifo anche lui e lo possiamo mettere nel mucchio di tutti gli altri” “Benissimo” disse Greg alzandosi e dandole un buffetto sul fondoschiena “abbiamo fatto un bel mucchio di stronzi. E fatto questo, abbandoniamo anche per questa sera i discorsi dolorosi e andiamo a fare un giro!” “Dove andiamo di bello?” chiese Meredith sorridendo. “Andiamo dove ci porta la macchina. Sul fiume, a fare una passeggiata in centro, dove vuoi.” “E se ci vedono, se lo vanno a dire a…?” “Bene, che lo facciano. Basta nasconderci, Meredith; se ci vedono sarò ben felice e mi mostrerò fiero ed orgoglioso di camminare con al mio fianco una donna come te!”

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CAPITOLO 25 Greg si slacciò la cerniera del giubbotto, l’aria cominciava a scaldarsi. Che bella era stata la loro prima estate insieme! Greg aveva riscoperto il gusto del fare le cose insieme con qualcuno che ti vuole bene e non perde occasione per dirtelo e dimostrartelo. Nonostante vivessero in case separate, per tutto il resto era stato facile considerarsi una coppia a tutti gli effetti: facevano la spesa insieme, e poi Meredith cucinava per entrambi; quando Meredith aveva bisogno di fare qualche lavoretto in casa sua, Greg accorreva prontamente; Meredith arrivava di soppiatto a casa di Greg e, nonostante le sue rimostranze, portava a casa il bucato da fare, insomma due case ma una vita sola. E che discussioni per evitare che Meredith facesse pulizia anche a casa di Greg…su questo era stato irremovibile e le aveva detto che era perfettamente in grado di tenere in ordine 35 mq di casa e Meredith non ne aveva alcun dubbio, visto che ogni volta che vi entrava trovava in ordine e pulito “proprio come piace a me una casa”, diceva. Greg si ritrovò improvvisamente a sghignazzare tra sé, perché si ricordò che quell’estate aveva conosciuto anche quello che lui chiamava il “lato oscuro” di Meredith. Durante l’ultimo week-end di luglio a Windermere, Meredith era accidentalmente caduta da un gradino, provocandosi lo spostamento di una vertebra. Era stata al pronto soccorso, ma poi il lunedì mattina aveva dovuto andare a prenderla e riportarla a Sheffield, perché non 78


era in grado di muoversi e aveva bisogno di un valido fisioterapista che la rimettesse in sesto. Quelle notti avevano dormito insieme, e Meredith‌beh, aveva sfoderato il peggio di sÊ stessa.

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CAPITOLO 26 Erano le due di notte e Meredith ancora non aveva preso sonno. L’aveva accompagnata nel pomeriggio dal fisioterapista che le aveva riallineato la vertebra, ma, nonostante gli antidolorifici, era molto sofferente e non riusciva a trovare una posizione in cui la schiena non le facesse male. “Meredith, dimmi se posso far qualcosa. Hai sete, hai freddo, hai caldo? Hai bisogno che ti accompagni in bagno?” Meredith si spostò nel letto con un gemito. “Ho male, cazzo cazzo cazzo, mi fa male” rispose asciutta. “Lo so che fa male, ma se non ti calmi peggiori la situazione” “E come cazzo pretendi di sapere quanto mi fa male?” La guardò mentre cercava a fatica di alzarsi, mettendo giù dal letto prima le gambe, facendo poi scivolare il resto del corpo fino a ritrovare la posizione eretta…per modo di dire. “Adesso dove vai? Ma non puoi startene ferma e dirmi di che cosa hai bisogno?” la rimproverò Greg. “Senti, per cortesia, non rompere. Non riesco a stare ferma e vado a bermi un bicchiere di latte.” Toni sempre più taglienti… “Ma te l’avrei portato io, se me l’avessi chiesto” Nel frattempo Greg si era alzato e l’aveva presa sottobraccio per aiutarla a camminare. “Guarda che non sono ancora un’invalida, sai?” le disse lei scostandogli il braccio. “Mi stai trattando come una povera inferma.” Greg mollò la presa ma la seguì, pronto a riafferrarla al primo cedimento. 80


La guardò mentre con movimenti lentissimi riusciva ad aprire il frigorifero e ad abbassarsi leggermente per recuperare il cartone del latte. Poi, con altrettanta fatica, aprì l’armadietto ma non riuscì a raggiungere i bicchieri, allora si girò verso di lui e gli disse: “Allora? Hai intenzione di prendermi un bicchiere o di startene lì impalato a guardarmi come se fossi la visione della Madonna di Lourdes?” Greg con infinita pazienza la guardò in silenzio, le prese il bicchiere e stava anche per versarle il latte...ma niente da fare. “Questo riesco a farlo anche da sola.” Si versò il latte e con movimenti lentissimi si sedette sulla sedia della cucina, ma poi si rialzò subito con una smorfia di dolore. “Porca puttana, come cazzo mi devo mettere per non sentire il male?” stava cominciando a piangere, ma non tanto per il dolore, quanto per la rabbia. La situazione stava diventando ingestibile. “Allora Meredith, come la mettiamo?” le chiese mettendosi davanti a lei “O santa merda, che cazzo vuoi adesso? Come la mettiamo COSA??” stava alzando anche la voce. “O la pianti, o ti becchi una sventola, chiaro? Ti fa male, ma non vuoi che ti massaggio con la pomata che ti ha dato il fisioterapista, non riesci a muoverti ma non vuoi che ti aiuto, quando ti lascio fare per poco non mi insulti e mi dici che ti devo aiutare, in più sembri un dannatissimo scaricatore di porto… ma chi sei? Sei posseduta dal demonio, stanotte!” “Può darsi! ODIO STAR MALE!” quasi gridò Meredith. “Per favore. Per favore. Finisci di bere il latte, poi ti metto la crema sulla schiena e prendi un altro antidolorifico, ci 81


mettiamo a letto tranquilli e vedrai che riuscirai ad addormentarti. Dammi ascolto, ti prego.” “Quelle pastiglie non mi fanno un beatissimo niente, vaffanculo anche le pastiglie, procurami della coca, delle amfetamine.” Non c’era modo di fermarla. “OK, adesso BASTA: facciamo come dico io e zitta e muta, ok?” Greg era stato molto impositivo e fermo nella decisione di farla calmare. Meredith fece tutto quello che le diceva di fare e finalmente, con l’aiuto delle carezze di Greg, si addormentò. Quando si svegliò quella mattina era stata come esorcizzata… aveva aperto gli occhi e aveva visto Greg che la osservava con un sorriso sulle labbra. “Ciao amore, come stai?” le chiese dolcemente. “Ciaoooo” sbadigliò Meredith” mmmm, molto meglio. Decisamente molto meglio.” “Bentornata!” le disse Greg “Bentornata? Da dove?” le chiese Meredith baciandolo. “Dai luoghi oscuri dove ti avevano incatenata questa notte. C’era una bestia feroce, qui, lo sai?” “Oddio… che cosa ho detto? Che cosa ho fatto?” chiese lei facendo un po’ la finta. “Non prendermi per il culo, che lo sai benissimo cosa hai detto e fatto….” sogghignò Greg. “Eh già… mi dispiace un casino, sai? Hai conosciuto un mio lato nascosto..non sopporto star male ma soprattutto non sopporto di aver bisogno dell’aiuto di altri, soprattutto per le piccole cose come bermi un bicchiere di latte.” si scusò Meredith con uno di quei sorrisi che ti toglievano il fiato. 82


“Ma io non sono ‘gli altri’, sono Greg, ricordi?” le chiese baciandola. “Mhm, vagamente…” altro bacio. “E allora? Abbiamo mica sempre detto che un rapporto come il nostro è unico? Che per noi è veramente nel bene e nel male, in ricchezza e povertà, in salute e in malattia…ecc.ecc.ecc. finché morte non ci separi? E che FINALMENTE POTEVAMO DIRE VERAMENTE QUESTE FRASI?” le chiese dolcemente con un altro bacio. “Vero. Scusami, mi dispiace. Cercherò di tenere la belva in gabbia d’ora in poi.” Bacio. “Per carità, falla uscire, perché se no magari ti dilania. Però falla uscire solo a prendere aria e non aizzarmela più contro!” Altro bacio, profondissimo,accompagnato da carezze sempre più intime, che fece sentire ad entrambi quel famoso calore all’inguine ben conosciuto e che avrebbe portato, in condizioni diverse, a del buon sesso appagante come piaceva a loro. “Non credo di farcela a farlo, Greg, proprio non credo” gli disse Meredith, veramente molto dispiaciuta. “E se tu stessi tranquilla e pensassi a tutto io?” Greg cercò di abbracciarla un po’ più stretta, provocando in Meredith un gemito di dolore. “Ohi, Greg, no, non ce la faccio proprio. Vuoi che si liberi ancora la bestia?” “O per carità! Pauraaaa! Ma sapessi quanto ti desidero…” “Anche dopo aver visto la belva, anche dopo aver visto un lato così insopportabile di me?” “Sì e sì, ad ogni domanda. Ma, visto che preferisco questa Meredith che mi sta parlando in questo momento, e lascio 83


volentieri l’altra dove si è rintanata, mi alzo, ordino al mio soldatino di ritornare a riposo e ti faccio il caffè, che ne dici?” “Meglio, Greg, molto meglio!”

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CAPITOLO 27 E così era passata anche quell’estate. In agosto Geraldine se n’era andata al mare con i figli e Greg e Meredith si concessero giorni di serenità e di tranquillità. Poterono girare per Sheffield senza l’ansia di fare brutti incontri, visitarono musei e giardini botanici in compagnia di Beckie, andarono a raccogliere more nei boschi, andarono in piscina, al cinema. Una vita rilassante e piacevole. Beckie sembrava accettare bene la presenza di Greg e questo li rendeva ancora più rilassati. Greg aveva sempre avuto timore di non essere accettato dalla figlia di Meredith, ma le cose sembravano procedere bene. Le vacanze passarono, e si ritornò alla vita di tutti i giorni ed entrambi speravano che la tranquillità durasse. Greg guardò il cielo: qualche lieve nuvola stava arrivando dalle montagne, ma non avrebbe sicuramente guastato quella splendida giornata d’inizio primavera. Eh, sì, avevano sempre sperato che la tranquillità durasse, e bene o male erano sempre riusciti a mantenerla. Ma c’era sempre stata dietro l’angolo qualche prova da superare, qualche (come diceva sempre Greg) “biglietto da pagare”. Sembrava che ogni volta che dicevano “Perbacco, che bella giornata è stata” o “che bella serata” o che bel qualsiasi cosa, nel momento stesso in cui lo dicevano, di colpo piombava loro addosso qualche rottura di scatole. Una delle “menate” che avevano dovuto affrontare (e sempre naturalmente quasi nello stesso periodo) era la famosa (come 85


l’aveva intitolata Meredith) “Querelle Economica�, che fu uno dei pochissimi motivi che li avrebbe fatti discutere animatamente.

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CAPITOLO 28 Era un uggioso e piovigginoso sabato pomeriggio d’autunno inoltrato, Beckie era da un’amica e Greg e Meredith si stavano preparando una cioccolata calda a casa di lei. Meredith era stranamente silenziosa e poco incline alla socialità. “Mi dici che cosa c’è che non va?” le chiese Greg mentre versava la cioccolata fumante nelle tazze. “Pfff… questo tempo mi rattrista…” rispose Meredith, senza però guardarlo negli occhi, come invece era solita fare. “No, non è il tempo; è qualcosa d’altro. Lo sai che non mi puoi fregare, tesoro, ti conosco troppo bene.” Greg le porse la tazza e si sedette vicino a lei. “Dimmi la vera ragione di questo tuo umore nero.” “Mamma mia, ma a te non si può proprio tenere nascosto niente?” domandò Meredith. Greg scosse la testa in un silenzioso –no-, bevendo un sorso di cioccolata. “Ieri io e Fred abbiamo diviso il conto corrente…” annunciò lei dopo un po’ , sempre senza guardarlo negli occhi. “Bene, era ora. E qual è il problema, al di là di questo fatto?” Meredith cincischiava con il cucchiaino, rigirando continuamente il contenuto della tazza. Greg aspettava la risposta nel silenzio assoluto: con Meredith era una tecnica infallibile. Finalmente arrivò il seguito. “Il fatto è che prima di dividere a metà….ha fatto una cosa” “Cosa?” la incitò Greg. “Ha comprato un’ auto….”. 87


Greg rimase con la tazza a mezz’aria, guardandola con uno sguardo incredulo. “Prego?” non ci voleva credere. “Si, ma di seconda mano…” Meredith cercava sempre di giustificare le azioni buone o cattive del suo ex-marito. “Scusa, ma quanto l’ha pagata? Non che mi voglia fare i cavoli vostri.” Meredith lo vedeva già irritato, ma non poté esimersi dal rispondere. “2.500 sterline.” “Dopo di che, tolte quelle, ha fatto la divisione del conto” affermò Greg. “Si.” ammise Meredith “E tu non gli hai detto un cazzo?” “No” “Si...No.. E’ tutto quello che sai dire? Ma scusa, si rende conto che devi pagare l’affitto, le spese, hai una figlia da mantenere..” “Mi passa gli alimenti” lo bloccò Meredith. “Oh, sì, 300 sterline al mese. Meredith, ma come hai potuto? Ma ti sembra normale? Ma ti pare una cosa che potevi fargli passare liscia?” chiese Greg. “Senti, io non ho più voglia di litigare con lui, non ho più voglia di fare e di dire niente. Già sono incazzata perché, da quando è uscito di casa, non è che abbia poi visto o cercato molto sua figlia. Ho tentato di fare una separazione il più consensuale possibile, senza altri litigi e senza finire in tribunale…quindi basta, basta, basta. Mi va bene così. Poi non è che non faccio un beato nulla nella vita, i soldi me li guadagno anche. Quindi, fine della faccenda.” Meredith era stata molto chiara: pur di non creare ulteriori discussioni, aveva ingoiato l’ennesimo rospo senza lamentarsi. 88


“Fantastico. Meraviglioso. Va tutto bene come al solito.” “Non vedo perché devi incazzarti tu. Come se non lo fossi già abbastanza io!” I toni si stavano alzando. “Allora, visto che siamo in discorso di denari, sappi che settimana prossima io e Gi andremo da un notaio, dove firmerò la separazione dei beni, lasciandole tutta l’eredità dei genitori.” Meredith lo guardò senza parole. Dopo che un bel cinque minuti furono passati, disse: “E hai il coraggio di fare menate a me?” Erano state parole gelide come la pioggia che stava scendendo fuori di casa. “Che cosa c’entra questo? Io NON VOGLIO neanche un penny di suo.” rispose senza mezzi termini Greg. “Ah, sì, vero, TU NON VUOI neanche un penny di suo… e tutto quello che le hai fatto entrare in casa? Tutti i soldi in più che hai dovuto spendere nella tua vita in lavanderie, o per andare a comprare magari una volta al mese le camicie, le mutande e le calze perché era tutto nella cesta del bucato da fare? Tutte le volte che hai trovato arrosti di vitello ammuffiti sul balcone? Quelli non erano soldi tuoi BUTTATI FUORI DALLA FINESTRA senza un minimo di rispetto?” Meredith lo guardò fermamente negli occhi, questa volta, aspettando una risposta. “Non capisco perché quando ti incazzi tu ti devi sempre mettere ad alzare la voce. Ho alzato la voce forse, io, prima?” “Perché avrò l’anima di una pescivendola, va bene?” rispose Meredith alzandosi e letteralmente buttando le tazze nel lavello. 89


“Senti Meredith, ti elencherò alcuni punti fondamentali su cui ho riflettuto.” disse Greg facendola sedere a cavalcioni sulle sue ginocchia. Meredith alzò gli occhi al cielo e lo guardò attentamente annuendo. “Sentiamo i Dieci Comandamenti.” disse lei. “Non essere sarcastica, per favore, ok? DEVO farlo. Primo: è danaro suo e sono appartamenti suoi. Secondo: se non facessi così, sarebbe la nostra fine, non ho idea e ho perfino paura ad immaginare cosa scatenerebbe in caso contrario. Terzo: non voglio i suoi soldi. Quarto: non voglio più avere niente a che fare con lei. Quinto: preferisco meno soldi e la felicità di stare con te.” Meredith continuò a guardarlo scuotendo la testa. “Scusa” gli disse “ non sarebbe più sano che tu ti tenga la tua parte e, visto che sei da un notaio, dividerla già a metà tra i tuoi figli? Non sarebbero più al sicuro? Non mi sembra che sia un genio nel trattare i soldi, lei.” “No, no e no. Ci sarebbe da discutere, da litigare. Invece così non avrà più nulla da pretendere da me. Sai che mi sono informato e, per assurdo (e ribadisco il concetto per assurdo) calcolando quella che è la sua disponibilità economica, potrei addirittura chiedere IO gli alimenti a lei? Ti ripeto, per assurdo, perché comunque abbiamo dei figli, e con quella cifra potrà tranquillamente mantenerli e io non voglio privarli nemmeno di un mezzo penny, e, al di là di ogni altra cosa, non li vorrei mai.” disse pacatamente convinto Greg. Meredith sospirò e lo guardò dritto negli occhi prendendogli il viso tra le mani. 90


“Allora è, in forma minore (mooolto minore), lo stesso concetto che esprimevo io prima. Perché tu ti sei permesso d’incazzarti e io non posso incazzarmi? Spiegamelo, santo cielo!” “No, non è lo stesso concetto. Io sto cercando di agevolare una madre che deve vivere e mantenere i figli, cosa che Fred non mi sembra abbia fatto. E’ moooolto diverso.” le disse Greg scimmiottando il modo in cui Meredith aveva detto il suo – molto- . “E beh, certo, quello che fai tu, è sempre fatto bene…” “O, Meredith, non voglio litigare con te, porca puttana!” Da quando Greg stava con Meredith, usava anche lui un linguaggio un po’ più colorito, segno, secondo lei, che stava diventando sempre più ‘umano’. “Tutte le volte che discutiamo” continuò Greg facendola alzare dalle sue ginocchia e alzandosi a sua volta per accendersi una sigaretta “ci devono essere di mezzo Fred o Geraldine. Basta, non ne posso più. Faccio quello che devo fare dal notaio, porto la separazione in tribunale e che sia finita! Finita, ok? Togliamoceli dalla mente, cerchiamo di avere il minimo di rapporti indispensabili nel modo più urbano possibile e BASTA. CHE SIA FINITA, ok?” Meredith si spostò in sala e si mise a sedere sul divano meditabonda. Greg la guardava dalla porta della cucina, mentre fumava nervosamente la sigaretta. “Hai ragione. “disse lei ” cazzo, hai ragione. Non abbiamo mai litigato e ci mettiamo a farlo per delle questioni che non ci riguardano. O meglio, ci riguardano, ma possiamo sorvolarci sopra.” 91


“Esatto. Lavoriamo entrambi, non facciamo spese avventate, ho un cassetto di camicie che potrei vendere perché con te basta averne quattro o cinque” le sorrise ammiccando con le sopracciglia (sapendo quanto lei non resisteva quando faceva così…) “quindi, di cosa ci preoccupiamo? “ “Sei scemo, però, quando vuoi…”gli disse Meredith ricambiando il sorriso. “Pace fatta?” Greg aveva finito di fumare e si era seduto vicino a lei. “Va beeeeneeee” disse Meredith baciandolo sulla bocca.

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CAPITOLO 29 E la pace era stata fatta, ma Greg ricordava che c’era voluto un po’ di tempo prima che entrambi potessero “sbollire” quella litigata; le argomentazioni sia dell’uno sia dell’altra erano state molto precise e giuste, ed era vero che ci stavano “smenando” loro. Erano andati comunque incontro a momenti molto duri, con due affitti da pagare, anche se davvero la bravura di Meredith nel gestire l’economia famigliare era encomiabile. C’era stato poi il periodo in cui Greg si era accorto di avere pendenze con le tasse, risalenti al periodo in cui Geraldine si era offerta di seguire la parte commerciale del suo lavoro: altro errore che Greg aveva fatto. Geraldine non aveva pagato dei contributi e si era ritrovato a doverli pagare anni dopo con delle grosse more. Anche in quel frangente c’era stata una gran bella litigata con Meredith che, giustamente, aveva asserito che se Geraldine aveva sbagliato, Geraldine doveva pagare. Grazie a Dio era intervenuto l’aiuto economico di zia Theresa, ma ancora oggi la cosa non era del tutto risolta. Greg si accorse di avere molto astio nei confronti di Geraldine. Negli ultimi periodi non era più riuscito a tenerlo relegato in un angolo, come aveva sempre fatto. Era un periodo che pensava spesso al passato, senza farsi accorgere da Meredith per non farla preoccupare. Molte cose vecchie stavano ritornando alla mente, molti episodi che sperava di aver dimenticato si erano improvvisamente riaffacciati e l’avevano riportato in uno stato di depressione latente che non gli piaceva per niente. 93


Aveva fatto fatica a tenerlo nascosto a Meredith, ed era per quel motivo che quella mattina aveva voluto concedersi del tempo per riflettere. Per riflettere e cercare di ricacciare indietro un’ombra scura che lo stava ammorbando. Cercò di ritornare con il pensiero ai momenti felici degli ultimi nove anni, e si ritrovò con il sorriso sulle labbra quando la sua mente si soffermò su quel loro primo Natale insieme. Ci volle poco quell’anno per capire che Meredith, nel periodo natalizio, si trasformava in qualcosa di…non trovava la parola giusta. Certo è che avrebbe meritato veramente di essere un elfo di Babbo Natale.

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CAPITOLO 30 Era un martedì di inizio dicembre e Meredith, che aveva la mattina libera, aveva pregato Greg di prendersi mezza giornata di festa “per fare delle cose urgenti”. E si era presentata con un altro paio di scatole. Era una scena già vista: il caffè e la presenza di quei due contenitori al centro del monolocale di Greg. Un Greg che aveva davanti una Meredith pimpante più che mai, con gli occhi talmente brillanti che sembravano due stelle. “Devo ammettere che sono un po’ preoccupato….visto che sabato mattina abbiamo comprato insieme il mio alberello e quattro cose da appenderci, non so cosa possano contenere quelle due scatole…” le disse. “Contengono cose in-di-spen-sa-bi-li per Natale!” rispose Meredith sorridendogli luminosamente. “Tipo?....” Greg era visibilmente preoccupato. Da tempo (praticamente da quando i figli erano cresciuti) non amava in modo particolare il periodo natalizio, ma la domenica pomeriggio precedente aveva assistito in prima persona alla trasformazione in versione natalizia della casa di Meredith….un trionfo di luci, colori, addobbi, che, doveva essere sincero, l’avevano coinvolto mica male…. “Adesso facciamo il tuo alberello, poi apriamo le scatole, ok?” disse Meredith, sempre con un sorriso a 64 denti stampato in faccia. “Adesso? Ma….non abbiamo altro da fare, prima?” chiese Greg ammiccando. “Oh, Gregory MacQueen , non puoi sempre pensare a quello!” 95


“Oh, Meredith Ferguson, con te è così bello che a volte non si può pensare ad altro, quando ti si è vicino!” “Oggi no, bello mio, tanto non è che sei in crisi di astinenza, no?” Era una domanda retorica, Meredith sapeva già che cosa avrebbe risposto lui. “Lo sono sempre. Mi piace troppo fare l’amore con te..” sorriso. Come da previsioni. “Visto che l’hai già fatto più volte con me in sei mesi, che in una venticinquina d’anni di matrimonio, oggi cerca di tenere il tuo amichetto sotto controllo, e si fa altro.” impose Meredith ad un Greg visibilmente deluso. “Va bene…” sospirò Greg. ”Hai sentito?”aggiunse chinando il capo verso le sue zone basse. “Bravo. Così va bene. Allora via con l’albero di Natale, prima di tutto. E qui ci vuole della musica!” Meredith si avvicinò allo stereo e mise un CD di musiche natalizie, iniziando a ballare al ritmo di Jingle Bells intorno ad un Greg che rideva e scuoteva la testa mormorando “Tu sei fuori come un balcone…”. Fecero il piccolo albero che avevano comprato insieme: poche palline ma una miriade di luci, come piaceva a Meredith (anche a Greg, come ammise più tardi), lo posizionarono vicino alla mezza parete che divideva la zona soggiorno dall’ angolo cottura, poi Meredith tirò giù la tapparella della finestra per vedere che “effetto” facesse al buio. “WOW!” esclamò “ma è carino da morire, non ti pare?” “In effetti, direi molto carino.” ammise Greg. 96


“Oh, zio Scrooge, ti stai intenerendo? Ti stai lasciando prendere dallo spirito natalizio?” gli chiese Meredith abbracciandolo. Le luci intermittenti dell’albero le facevano giochi di colore sul viso. “Con te diventa tutto una magia. Sì, non l’avrei mai detto, mi sto facendo coinvolgere. Con te non si può far altro!” le disse baciandola intensamente e insinuò una mano sotto il maglione di Meredith. “Ehi!” lo rimproverò lei “ferma la mano. E’ ora di aprire le scatole!” “Oh, che rottura delle MIE scatole!” disse Greg guadagnandosi un terribile pizzicotto sul braccio. Cosa non era uscito da quei cartoni! Sembravano la famosa borsa di Mary Poppins…. Una ghirlanda per la porta fatta da Meredith, candeline a forma di Babbo Natale, angioletti di ogni tipo, un piccolo presepe di ceramica, un centrotavola con pigne dorate e stelle di Natale, asciugapiatti, presine e tovaglie rosse con decori natalizi, due copricuscini per il divano con la slitta e le renne, campanellini che Meredith appese addirittura sullo specchio del bagno e, dulcis in fundo, una tazza da colazione con l’immagine di Babbo Natale. Dopo tutto ciò, un attonito e ammutolito Greg, accasciato sul divano, guardava una Meredith tornata improvvisamente bambina, che, battendo le mani, gli chiedeva: “Non è fantastico? Non è meraviglioso, Greg?” Greg si coprì il viso con le mani, scuotendo la testa. “Non ti piace?” gli chiese una preoccupatissima Meredith “ho esagerato, forse?” 97


Ma, sotto quelle mani, improvvisamente scoppiò una risata che divenne in poco tempo incontrollabile. “Beh? Che c’è? Sei fuori?” domandò lei. Cercando di calmare le risa, Greg la guardò intensamente e, mentre silenziosamente ringraziava Dio per aver avuto quella donna, le disse: “C’è solo una cosa che ti posso dire per farti capire se mi piace o no quello che hai fatto oggi: io ti amo da morire, Meredith.”

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CAPITOLO 31 Greg si sentì improvvisamente soffocare e si tolse il giubbotto. In realtà non era la temperatura esterna che lo faceva star male. Il sole si era appena alzato all’orizzonte e i suoi raggi primaverili non avrebbero potuto scaldarlo così tanto. Purtroppo pensare al Natale era per lui qualcosa di molto conflittuale: da una parte c’era la gioia di Meredith, i suoi addobbi, i suoi CD di canti natalizi perennemente accesi, le cene delle Vigilie con l’apertura delle decine di pacchetti che lei riusciva a confezionare. Sia lui che Meredith avevano l’abitudine di farsi spesso piccoli regali (ma proprio piccoli: un accendino da pochi penny, un libro tascabile, un minuscolo peluche, una piantina fiorita, una candelina di qualche forma particolare, una maglietta con qualche scritta buffa da indossare nel tempo libero…). Tutto ciò finiva per Meredith nel mese di novembre, quando tutte queste piccole cose cominciava a confezionarle e, una volta arrivato dicembre, iniziava a metterle sotto l’albero. Lo stesso faceva per i regalini per Beckie: al 24 di dicembre, poco ma sicuro, l’albero era attorniato da decine e decine di pacchettini, tutti da aprire durante la cena della Vigilia. Anche Greg aveva iniziato questa tradizione “meredithiana”, anzi, anno dopo anno si divertiva sempre di più ad anticipare i tempi e a divertirsi beccandola china sui pacchetti mentre, come una bambina, li toccava e li scuoteva per cercare di capire cosa contenessero: erano dei momenti in cui quella donna era impagabile. 99


Ma dall’altra parte c’era uno scotto durissimo da pagare, per lui: ogni sacrosanto anno doveva sorbirsi il pranzo del giorno di Natale con Geraldine, suo padre Peter con la moglie, e i suoi due figli. L’unica cosa che lo faceva desistere dal rifiutare questi inviti era la presenza di Patricia e Steven, per il resto questo impegno lo distruggeva psicologicamente. I primi anni aveva accettato di buon grado quest’ obbligo, sapendo comunque che Meredith era in compagnia della madre e (doverosamente, essendo ancora piccola Beckie) di Fred. Ma quando la mamma di Meredith morì, e dopo sei mesi, a causa di un incidente mortale, venne a mancare anche Fred, sapere che Meredith e Beckie se ne stavano sole sul divano mangiando due toast lo faceva star male da impazzire. Gli ultimi due Natali aveva sofferto molto questa situazione, soprattutto per due motivi: il primo era che ormai lui e Meredith vivevano finalmente insieme in una casa loro, come una nuova famiglia, e non era proprio giusto lasciarle sole; gli era sembrato di abbandonarle, nonostante le loro rassicurazioni e il loro incoraggiamento a fare serenamente quello che doveva fare. Gli dicevano sempre di ricordarsi che il Natale durava ventiquattro ore: quando sarebbe tornato, nel tardo pomeriggio, ce ne sarebbe stata ancora una fetta da passare insieme…. La seconda era una certa qual delusione sempre più crescente nei confronti dell’ottusaggine delle persone con cui doveva far finta di passare un piacevole e conviviale pranzo natalizio: Geraldine, suo padre e i suoi figli. 100


In verità, suo padre un paio di volte gli aveva detto che avrebbe preferito saperlo a casa con Meredith e sua figlia, ed infatti era per Greg il minore dei pensieri. Per quanto riguardava Geraldine, come sempre, si trattava di un tacito ricatto morale: sicuramente, se Greg avesse rifiutato, sarebbe ricominciata la storia del “padre di merda” che non passa il Natale coi suoi figli. Era anche sicuro al cento per cento che Geraldine godeva, dentro di sé, sapendo che Meredith sarebbe rimasta sola: una piccola, meschina ed inutile vittoria nella tacita guerra di odio contro la donna che gli aveva definitivamente portato via una sua proprietà. Sì, perché ormai Greg ne era sicuro: Geraldine lo considerava una sua proprietà; poco importava se fosse o no ancora innamorata di lui (Greg sorrise: che modo assurdo di amare, che tristezza di sentimento), la cosa che l’aveva fatta star male maggiormente era stata vedersi portare via una “cosa” sua. Da molto tempo ormai aveva capito che per Geraldine l’importante era possedere, non amare, e non aveva mai capito la differenza: le cose si possiedono, ma non certo le persone. Come aveva detto una volta Meredith: “Il mio più grande gesto d’amore nei confronti di mio marito, è stato lasciarlo andare, libero, quando con me non era più felice”. Una cosa troppo intelligente da capire, per Geraldine, purtroppo… Ma il punto più doloroso della questione erano i figli: cresciuti, adulti, capaci di intendere e volere…eppure anche loro così ottusi e poco attenti da non riuscire a capire che forse sarebbe stato meglio inventarsi qualcosa di diverso per Natale. 101


Greg avrebbe accettato più volentieri, per esempio, un’uscita al ristorante, oppure una visita di un paio d’ore nel pomeriggio, o alla sera dopo cena…qualsiasi cosa. Ma no, aveva scoperto che nemmeno loro riuscivano ad arrivare ad una soluzione diversa. E quindi si era visto costretto, per il bene e la “finta pace” , a sottoporsi a questa tortura psicologica di tornare in una casa che da tempo immemorabile non sentiva più sua, mettere le gambe sotto lo stesso tavolo di Geraldine e apparire calmo, sereno, contento di essere là e sostenere con leggerezza qualsiasi conversazione. Era una cosa che, soprattutto l’ultimo Natale, l’aveva fatto piombare in uno stato di estrema prostrazione, e aveva dovuto anche cercare di non farlo capire a Meredith, sempre molto preoccupata se lo vedeva ombroso o triste. Sarebbe mai finita? La consapevolezza che forse no, non sarebbe mai finita, gli fece venire quell’attimo di soffocamento che l’aveva costretto a togliersi il giubbotto quella mattina, nell’ancora molto fresca aria del parco. Ad un certo punto dovette anche slacciare il primo bottone della camicia, e allargare il collo del maglione con una mano, dal tanto che si sentiva mancare l’aria. Cercò di respirare il più profondamente possibile, chiudendo gli occhi, usando la tecnica yoga che gli aveva insegnato Meredith. Finalmente, piano piano, si calmò; ma si accorse di essere veramente al limite di sopportazione di tutte queste situazioni che non gli permettevano di vivere pienamente la sua vera vita. 102


Sempre con un grande sforzo, cercò di tornare a ricordi belli, ai momenti piacevoli passati con Meredith, e sentÏ ritornare il respiro regolare e calmo.

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CAPITOLO 32 Era un tranquillo sabato mattina a casa di Meredith; la finestra era aperta, e lasciava entrare la calda aria di giugno. Meredith stava stirando, e Greg trafficava in cucina per preparare una pagnotta di pane casalingo, tradizione ormai consolidata del week-end. “Ti rendi conto?” disse Meredith, mentre veniva investita da una sbuffata di vapore del ferro da stiro “E’ passato un anno da quando è successo tutto il casino..” “Eh sì,” affermò Greg prendendo la farina e pesandola sulla bilancia, “un anno fa di questi tempi eravamo ben scombussolati!” “Lo rifaresti?” chiese Meredith, prendendo una camicia di Greg da stirare. “Si, mille volte. Soprattutto alla luce dell’anno che abbiamo trascorso insieme, che è stato sì difficile, ma con te accanto, anche meraviglioso!” “A proposito, che ti ha detto ieri sera la dottoressa, degli esami?” Greg durante l’inverno aveva fatto dei normali esami del sangue di routine; ne erano usciti dei valori sballati nell’elettroforesi e, dopo una serie di ulteriori esami molto più approfonditi (tra cui un dolorosissimo prelievo di midollo spinale, che aveva gettato nell’ansia più totale Meredith) gli era stato diagnosticato un mieloma, fermo al primo stadio. “Sempre uguali, amore, sempre uguali. Né meglio, né peggio e questo è incoraggiante, credimi.” disse Greg impastando farina, acqua e lievito in una grossa ciotola. 104


“Beh, incoraggiante è una parola grossa, per me.” ammise Meredith posando un attimo il ferro e guardandolo attentamente. “Meredith, non farmi dire sempre le stesse cose….ci sono buone probabilità che questa cosa sia genetica e quindi non scoppi del tutto. Sai che non è solo una mia idea, ma l’ha detto anche la dottoressa. D’altra parte tutti gli altri valori sono perfetti, mi controllo ogni sei mesi, quindi non vedo perché dobbiamo continuamente pensarci e farne un problema più grande di quello che è al momento.” Greg si era fermato di impastare, per guardare dritto negli occhi Meredith, in modo che il discorso fosse chiaro e intendibile al massimo. “Ti prego, non sono angosciato io, perché dovresti esserlo tu?” “Perché ne ho visti parecchi morire male, nella mia vita, e le malattie mi spaventano a morte. Soprattutto se colpiscono persone che amo.” Meredith si avvicinò a Greg e lo abbracciò, così com’era, con le mani infarinate. Greg la baciò lievemente sulle labbra e le sorrise: “Tranquilla amore, ok? Penso che dovrai stirarmi camicie ancora per molto tempo, purtroppo per te! E cambiamo argomento, lasciando le tristezze fuori da questa tranquilla, serena, assolata e ‘casalinga’ giornata, grazie.” “Va bene.” Meredith ricambiò il bacio e ritornò allo stiro. “Allora, settimana prossima viene Steven a cenare da te?” gli chiese. “Credo di sì. Sai che è sempre un’impresa avere l’onore di trovarlo libero dai suoi impegni. Per me potrebbe venire anche tutte le settimane, ma ha sempre qualcosa di più importante 105


da fare. D’altra parte ero anch’io pieno di cose da fare, alla sua età.” Greg cercava sempre, chiaramente, di giustificare la scarsa attenzione che avevano i suoi figli nei suoi confronti: era sempre lui a cercarli, a telefonare, a chiedere se potevano vedersi anche solo per un caffè, e la cosa lo faceva un po’ soffrire, nonostante cercasse di tenerlo nascosto a Meredith. La quale Meredith, d’altro canto, non era per niente scema, e lo capiva benissimo. “Beh, se riesci a dirmelo con certezza un paio di giorni prima, ti preparo la cena, come le altre volte.” si offrì lei, come sempre pronta a fare tutto ciò di cui lui aveva bisogno. “Ma dai, Meredith” disse lui, sagomando a forma di treccia la pasta ottenuta “per una volta posso anche ordinare una pizza o prendere qualcosa di pronto. Tutte le volte che è venuto hai preparato tu qualcosa, non stare a sbattere sempre come una dannata. Posso prendere qualcosa di pronto da mettere nel microonde e basta. Sai che tanto, quando viene, è anche sempre di corsa e non è che ci soffermiamo molto a tavola” “Ah sì, certo, si mangia, si incassano le cinquanta sterline e ‘ciao ciao papi’, come sempre, no?” Meredith aveva parlato senza riflettere e ora aveva alzato la testa guardando Greg con aria contrita e mettendosi una mano sulla bocca: “Scusami, la mia boccaccia si è messa in azione senza chiedere il permesso al cervello…scusa!” “Nonostante io pensi che il tuo cervello sia collegato anche quando dormi, e nonostante tu abbia una bocca meravigliosa e non una boccaccia, penso che tu qualche volta abbia ragione anche a pensarla così; perlomeno questo è ciò che appare. 106


Ma devi sempre vederla da un altro punto di vista, e cioè quello che non tutti riescono ad esprimere in modo chiaro e limpido i propri sentimenti, come sei abituata a fare tu. Anch’io ero molto chiuso, lo sai. La mia fortuna è stata quella di trovare una donna che mi abbia fatto cambiare il modo di vedere le cose e il modo di esternare i sentimenti.” Greg mise la pagnotta a forma di treccia su una teglia e la infornò. “Ciò non giustifica quello che ho detto. Quando parlo così, ho paura che tu pensi che non voglia bene ai tuoi figli e non li rispetti. Non è così, solo non li capisco. E men che meno la tua figlia femmina.” Meredith aveva finito di stirare e si diresse verso il lavello per svuotare il ferro a vapore dall’acqua. “Stai certa che la mia figlia femmina non la capisco molto nemmeno io. O meglio, a volte non so proprio come gestirla.” disse Greg occupando il posto di Meredith al lavello, per lavare la ciotola e le mani. Fece scorrere l’acqua e, mentre sfregava via dalle mani i residui di impasto, disse meditabondo: “Io credo che i miei figli non ce l’abbiano su con me perché me ne sono andato di casa, anzi, li sfiderei a dirmi se anche loro non lo farebbero di corsa…” “Eh certo. Uno ti telefona incazzato nero perché non trova neanche un maglione pulito nel cassetto (storia già vista, Greg?), l’altra ti chiama perché la mamma le dà della puttana se la vede sdraiata sul letto col suo ragazzo…..chi non scapperebbe a gambe levate?” domandò Meredith piegando le camicie appena stirate. “Esatto. Io credo che fondamentalmente siano ‘incazzati’ con me perché li ho lasciati soli in una casa dove le circostanze non sono facili da gestire. Sono sempre stato il loro tappo di sfogo, 107


ho sempre cercato di moderare i termini in tutte le prospettive, facevo da cuscinetto tra loro e le rotture di palle della loro madre e tante altre cose. Ora si ritrovano a dover gestire la situazione da soli…..e non è facile per niente.” “Sono grandi. Se la caveranno. All’età di tuo figlio io mi stavo per sposare, quindi….” commentò con una punta di ironia Meredith, lasciando in sospeso il seguito della frase. “Sono grandi, è vero. Ma vedrai anche tu, quando Beckie sarà grande e avrà la loro età. Ti sentirai sempre come se dovessi risolvere tu i loro problemi, come se avessero ancora cinque, dieci anni e avessero ancora costantemente bisogno del tuo soccorso.” disse Greg asciugandosi le mani. Poi si sedette e si accese una sigaretta, tenendo la pagnotta nel forno sotto stretto controllo. Meredith ritirò l’asse da stiro e mise le camicie di Greg in una scatola perché potessero giungere a casa sua senza sgualcirsi. “Lo so, lo so,” ammise Meredith “ ma non fartene un cruccio esagerato”. “Assolutamente. Anch’io alla loro età stavo per sposarmi, anzi, già lavoravo, avevo fatto il militare e tante altre cose. Solo che loro li abbiamo fatti crescere nella bambagia, e l’impatto con la realtà è un po’ più traumatico, per loro.” Greg si alzò e aprì leggermente lo sportello del forno. “Cosa dici? E’ pronto? Lo tiro fuori?” chiese Greg infilandosi i guantoni da forno. “Sei tu il panettiere, decidi tu!” rispose Meredith. “Mhm, sì dai, va bene così!” Nella cucina aleggiò immediatamente il profumo del pane ancora caldo. “Ah, che meraviglia Greg, che profumo! E’ quasi eccitante ….” 108


Meredith lo abbracciò da dietro, accarezzandogli sensualmente il petto e l’addome. “Santo cielo, credo proprio che dovrò approfittare di questo tuo stato …..” disse Greg posando la teglia e facendo volar via i guanti da forno, girandosi verso di lei e trascinandola, mentre la baciava profondamente, verso il divano della sala, dove la fece sdraiare e cominciò a baciarla sul collo e le spalle. “Scusa, ma stavamo facendo un discorso serio…” gemette Meredith chiudendo gli occhi e accarezzandolo. “Lo continuiamo più tardi….grazie a Dio il tempo non ci manca.” E in effetti il tempo smise di ticchettare per un po’ e loro si persero senza più remore nella loro passione.

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CAPITOLO 33 Per lui e Meredith era sempre stato così: affrontavano gli argomenti più seri di questo mondo e lo accostavano a lunghi e dolcissimi momenti di amore e di passione. Era quello che li aveva fatti andare avanti tanto serenamente in un rapporto che, a causa di tutti i problemi e le difficoltà che si portava appresso, avrebbe potuto essere comunque difficoltoso da condurre. Erano pur sempre due persone con delle storie precedenti alle spalle, una più complicata dell’altra, figli (grandi o adolescenti che fossero) un po’ difficili da gestire, una ex moglie che non facilitava certo questi rapporti e tanto altro. Ma la loro forza era veramente stata il profondo amore che li univa, la passione, la voglia di stare insieme e di combattere le difficoltà affiancati. Entrambi erano sempre stati consci che “ricominciare” una nuova vita è già di per sé difficile, figuriamoci poi quando ci sono persone che ti mettono continuamente i bastoni tra le ruote o lavorano nel sottofondo per renderti le cose ancora più faticose. Insieme, però, riuscivano ad accantonare per lunghi momenti di pace e serenità quei problemi, riuscendo a dare spazio alle faccende di tutti i giorni, alla loro voglia di amarsi, alla loro vita interiore, ai loro momenti magici. Non sempre si ritrovavano sulla stessa onda: a volte Meredith era in crisi e Greg riusciva a risollevarla; altre volte Greg diveniva cupo e triste e Meredith riusciva a fargli ritornare il sorriso sulle labbra. 110


Era un continuo scambio di forza e di amore che li sosteneva saldamente e trasformava i brutti momenti in periodi sopportabili. Era senza dubbio Meredith, la più forte: la sua fatina dei boschi, come spesso amava chiamarla. Aveva una forza d’animo senza pari, riusciva a razionalizzare molto, e questo aveva sempre salvato la sua mente dai gorghi neri della depressione e dell’ansia. La forza d’animo e la fede in Dio, la stessa fede in Dio che aveva Greg, ma forse in misura minore. Anzi, ultimamente Greg si era a volte domandato dove Dio fosse finito: si sentiva un po’ abbandonato, anche se sapeva che era lui stesso che aveva finito per non ascoltare più ciò che Dio gli diceva. Eppure Dio parlava: parlava anche quella mattina al parco, e si manifestava nell’azzurro del cielo, nel risveglio della natura, nel fruscio delle foglie mosse dal vento. Greg lo sentiva, ma non lo sentiva dentro di sé. E questo lo rattristava molto. In quel momento avrebbe voluto telefonare a Meredith e dirle quanto l’amasse, ma non voleva interrompere il corso dei suoi ricordi, perché aveva bisogno che gli ritornasse tutto alla mente, per chiarire e vedere lucidamente cosa ci fosse al di là e quanto poteva ancora spingersi avanti in quella vita che sembrava essere giunta ad un bivio.

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CAPITOLO 34 Era passato un altro lungo e difficile inverno, e questa volta chi era stato preso di mira dalle sorti avverse del destino era stata Meredith. A fine dicembre dell’anno precedente, dopo aver fatto con il coro i vari concerti di Natale, aveva deciso di abbandonare l’attività canora, e per un ben preciso motivo: non aveva più intenzione di ritrovarsi tra i piedi la nuova compagna di Fred e Fred stesso, giusto perché durante le prove o i vari impegni non si facevano certo cura della sua presenza, ed amoreggiavano senza ritegno; a Meredith questa faccenda proprio non andava giù e la riteneva una grave mancanza di rispetto nei suo confronti. Evidentemente i due non avevano nessuna intenzione di cambiare il loro atteggiamento, quindi la soluzione migliore, aveva detto, era andarsene. Era stata una scelta molto sofferta: Meredith amava molto la musica e il canto e quella era una attività che svolgeva ormai da una ventina d’anni, con grande soddisfazione e gioia. Ma questo era quanto, la decisione era stata presa e quando lei prendeva una decisione, difficilmente ci ritornava sopra. Poi, all’inizio dell’anno, Jack, di punto in bianco, dichiarando che, poiché gli affari non giravano più nel modo giusto e non poteva più permettersi di tenerla a lavorare nelle ore pomeridiane, l’aveva “licenziata”, e Meredith si era trovata con una fonte in meno di guadagno. In realtà poi, in privata sede, Jack aveva detto a Meredith che la sua storia con Greg era stata una concausa della diminuzione degli affari, e quindi era meglio che se ne andasse 112


e lasciasse libero il suo bar dai pettegolezzi e dalle dicerie che la riguardavano. Decisamente, come disse Meredith a Greg quella sera, “non avrebbe potuto sparare cazzate più grosse di così: tutto sommato meglio uscire da un ambiente così merdoso”, tanto per essere espliciti come lo era sempre lei. Come sempre, i problemi non arrivavamo mai da soli. Come sempre, era riuscita a far fronte a entrambi con il suo solito spirito di iniziativa: prima di tutto si era rimessa a sfruttare la sua conoscenza delle lingue e aveva trovato da fare lezioni private nel pomeriggio, dopodiché aveva occupato anche tre mattine alla settimana facendo da aiuto e compagnia ad una anziana signora ottantenne. La questione economica era stata risolta nel giro di un mese. Per quanto riguardava la musica, aveva accettato, senza pensarci due volte, la direzione del coro dei bambini della parrocchia, unendo il dilettevole al dilettevole: bambini (che adorava) e musica (che amava e di cui non poteva fare a meno). Quindi, era sempre molto indaffarata e ormai il suo calendario era pieno di annotazioni e impegni. Ora era una domenica pomeriggio di una insolitamente calda e inoltrata primavera, Greg sedeva al tavolo della cucina a leggere il giornale e Meredith stava facendo candele, mentre nell’aria c’erano le note delle canzoni dei Queen: un nuovo hobby e una vecchia passione di Meredith, che aveva confessato a Greg di aver fatto giorni e giorni di pianto dopo la morte di Freddie Mercury. Per quanto riguarda le candele, un bel giorno si era chiesta perché non farle, anziché comprarle, e in men che non si dica 113


aveva acquistato paraffina, stampi, colori e si era cimentata in questa nuova avventura. Mentre scioglieva la paraffina nel pentolino, Meredith si era girata verso Greg e, così di punto in bianco, gli aveva chiesto: “Per caso, questa estate abbiamo ancora intenzione di vagare per Sheffield e dintorni (di cui abbiamo ampiamente visto tutto), o magari c’è la possibilità di spingerci oltre i confini della contea?” Greg si tolse gli occhialini da lettura che lo facevano tanto Mastro Geppetto del cartone della Disney (immagine scaturita dalla fantasia di Beckie) e la guardò, smettendo di leggere. “E tu per caso, visto che le tue domande hanno sempre già una proposta in arrivo, hai in mente qualcosa di particolare?” le chiese. “Mmmm, qualcosina….ma non so se accetterai….” rispose lei mentre versava lentamente la cera sciolta nello stampo a forma di cono, cercando di non far inclinare lo stoppino, cosa che avrebbe reso la futura candela inutilizzabile. Greg ridacchiò: “Sentiamo….sono aperto a qualsiasi suggerimento.” “Beh, allora, ti andrebbe di andare una settimana a Londra?” L’ultima parola era stata pronunciata con un filo di voce: Meredith sapeva quanto Greg odiasse il traffico e il caos, soprattutto dopo un anno di lavoro passato a macinare chilometri su chilometri. “Ho capito bene?” Greg si era messo una mano dietro all’orecchio, “hai detto Londra?” “Già, ho detto Londra.” e questa volta la parola era stata pronunciata forte e chiara. Meredith si era girata verso di lui e se ne stava in attesa di una risposta con le mani dietro alla schiena, come un bambino che 114


sa di averla fatta grossa, e aspetta la ramanzina del genitore. Ma gli occhi erano di supplica. Greg la guardò, accasciò le spalle e le chiese: “Scusa, ma è proprio necessario?” “Necessarissimo! Io e Beckie vogliamo andare alla Torre di Londra, al British Museum, ai mercatini di Notting Hill, a Kensington e soprattutto a vedere la casa di Freddie Mercury.” “La casa di Freddie Mercury….basilare nella vita.” ma vedendo la faccia di Meredith si corresse subito “si, si, è fondamentale, piacerebbe molto anche a me! Non vedo l’ora!” Meredith gli si avvicinò, lo abbracciò e gli soffiò nelle orecchie, cosa che faceva sempre impazzire Greg. “Allora, tesoro, non è un’idea fantastica? Ce la caviamo in cinque o sei giorni, non di più. Ci troviamo un tranquillo bed & breakfast fuori Londra, in città ci andiamo in treno o metropolitana, giriamo e vediamo quello che vogliamo, e alla sera ce ne torniamo nel silenzio e nella pace.” “No, no, così non va, mi stai corrompendo con armi sleali…” le disse Greg scostandosela d’intorno “e non hai ancora bisogno di usarle, mica ti ho detto di no.” “Allora è un sì?” chiese speranzosa. “Oh, amore, è maggio, come faccio a sapere se da qui a più di due mesi ho voglia di andare a buttarmi nel casino di Londra?” ma Greg sorrideva e Meredith sapeva che era già un sì. “Se decidiamo adesso, avremo più tempo per organizzare meglio le cose; troviamo un posto dove dormire che non costi troppo, prenotiamo le varie visite, eccetera eccetera eccetera, no? Non ho intenzione di farti spendere troppi soldi.” “Lasciamo stare i soldi, per favore. Non facciamo mai nulla di eclatante, per una volta possiamo anche permettercelo..” 115


“Allora è un sì?” Meredith lo guardò sorridendo, con il viso un po’ inclinato e un po’ sornione…Greg ricambiò il sorriso e le disse: “Fai sempre tanto e chiedi sempre così poco…ti potrei forse negare qualcosa, Meredith?” Meredith proruppe in un grido di gioia: “Evvai! Freddie, stiamo arrivando!!!”

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CAPITOLO 35 Greg stava guardando, ma in realtà senza vederlo, un ragazzo in tuta che faceva jogging. Le vacanze con Meredith e Beckie erano state sempre molto piacevoli e divertenti, ma quell’estate non riuscirono comunque ad andare a Londra. Beckie, a fine luglio, aveva avuto un piccolo incidente in bicicletta, e le avevano dovuto ricucire un ginocchio con ben ventiquattro punti di sutura, e Meredith, in compenso, aveva incrinato una costola. All’inizio di agosto, Greg ricordava benissimo di aver detto loro che, al posto di Londra, sarebbe stato meglio una bella clinica svizzera….. Avevano poi optato per tre giorni a Canterbury, con una tranquilla visita alla cattedrale e alla collina della St. Martin’s Church; già il breve tratto di strada per raggiungere la chiesetta di St. Martin era stata un’impresa titanica per entrambe: una che ancora zoppicava, l’altra che faceva fatica a respirare….aiuto, quanto ridere avevano fatto! Sorrise a quel ricordo: quell’anno non era stato certo uno dei più fortunati per le sue due ragazze! Stava camminando lentamente sul prato, dando le spalle al sole, e godendosi il tepore sulle sue sempre più doloranti cervicali. Si sentiva molto stanco, e quel giorno si sentiva addosso tutti i suoi sessant’anni. Da un po’ di tempo gli piaceva stuzzicare Meredith con una domanda che in realtà lui si poneva veramente: spesso le 117


chiedeva se una pimpante quarantottenne come lei non si stesse stancando di un “vecchietto” come lui. La risposta di Meredith era sempre la stessa: no e poi no. Accoppiato con un bel “Piantala di sparare stronzate!” . Greg però non era tanto convinto che fosse una stronzata così grossa: lui sentiva gli anni di differenza che li separavano, e a volte si chiedeva se Meredith non meritasse di avere vicino un uomo più giovane ed aitante. In fondo, anche se lei non ne faceva mai richiesta, non la portava spesso “fuori”… era arrivato ad un punto tale di stanchezza di tutto e di tutti, che la sola idea di uscire di casa alla sera lo angosciava. Ma Meredith? Era sicuro che quando gli diceva che ADORAVA starsene con lui sul divano a farsi fare le carezze sui piedi e sulle caviglie fosse la verità, ma era giovane, santo cielo, poteva pretendere qualcosa di più dalla vita. Poteva imprigionarla così? E se questa sua stanchezza fosse diventata cronica e non fosse solo un momento passeggero? A Capodanno e a San Valentino di quell’anno erano usciti a cena, ed era bello vederla prepararsi per uscire: un po’ più di trucco, qualche gioiello (pochi in realtà, se no la si vedeva, man mano che passava il tempo, togliersi prima un braccialetto, poi un anello, poi magari anche l’orologio…), dieci minuti davanti alla scarpiera per decidere il colore delle scarpe..che era in realtà la cosa più difficile per Meredith, la quale possedeva un paio di scarpe per ogni colore, ma diceva sempre che non c’era quello giusto… Poi se la vedeva apparire in salotto chiedendo “Ti vado bene?” E, cavolo se le andava sempre bene!….già era sempre molto carina anche con una semplice tuta, figuriamoci tutta “tirata a 118


lustro” come diceva lei. E aveva anche il coraggio di dirgli che non voleva far sfigurare un bell’uomo come lui! Pazzesco. Non immaginava nemmeno quanto la desiderasse sempre, quanto fosse orgoglioso di averla al suo fianco, quanto volesse davvero farla conoscere a suo padre, a suo fratello, ai suoi figli, perché anche loro potessero imparare ad apprezzarla e stimarla quanto lui! Dio, se solo avesse avuto la libertà di farlo davvero, senza sentirsi sulla testa quella spada di Damocle che si chiamava Geraldine. Stava cominciando ad odiarla profondamente, e più odiava lei, più odiava sé stesso perché non trovava più la forza ed il coraggio di affrontarla. Ma sapeva quanto ancora covava sotto le ceneri, e la prova l’avevano avuta solo un anno prima, quando pensavano di essere ripiombati in un periodo di guerriglia…

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CAPITOLO 36 Ormai vivevano insieme da qualche settimana nella loro nuova casa vicino al Northern Hospital di Sheffield, una zona tranquilla, lontana dal centro, e con molto verde. Era estate e Greg, seduto nella poltroncina sul balcone della sala, era al telefono con la zia Theresa che, come tutti i sabato mattina, telefonava dall’Irlanda per aggiornarsi sulla settimana passata. Meredith stava rifacendo il letto in camera e lo sentiva parlare. Ma non era la solita conversazione allegra e leggera che tanto caratterizzava le telefonate della zia. Meredith sentiva la voce di Greg un po’ seccata e alterata, ma non distingueva le parole perché aveva la porta del balcone della camera aperto e la strada era un po’ rumorosa. Quando tornò in sala e lo guardò, rimase un po’ sconcertata: la telefonata era finita, ma l’espressione di Greg lasciava presagire qualche problema. “Che c’è, amore, è successo qualcosa a zia Theresa?” gli chiese un po’ preoccupata. “No, no, lei sta bene.” rispose asciutto Greg. “E allora?” insistette “Che cosa è successo per avere quella faccia?” “Niente, le solite stronzate che pensavo finite da tempo.” Greg gettò il cellulare sul tavolino del balcone e si accese la seconda sigaretta in cinque minuti. Meredith lo raggiunse e si sedette vicino a lui con un sospiro pesantissimo: aveva già capito di che cosa si trattasse.

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“Non dirmelo, ti prego, non dirmelo….ancora qualche menata di Gi?” scosse la testa, desiderando inconsciamente che quel sospetto non fosse vero. “Allora, se mi dici di non dirtelo, non chiedermelo.” “Era un eufemismo, Greg. Cos’ è successo? Che lagna si è inventata?” “Quando ieri siamo andati a fare la spesa, ed eravamo alla cassa per pagare, tu hai per caso visto che fosse due persone dietro a noi?” le chiese Greg. “Che fosse chi?” Meredith non capiva “Di chi parli? Di Gi?” “Proprio lei.” confermò Greg. “No. Assolutamente no.” Rispose Meredith facendo di no anche con la testa. “Bene, nemmeno io. Ma lei c’era e ha visto noi. Appena è tornata a casa, ha iniziato a fare il solito giro di telefonate (zia, papà, Patricia, eccetera) dicendo loro che abbiamo fatto finta di non vederla, che non l’abbiamo neanche salutata,che tu eri come al solito altezzosa e te la tiravi, che siamo due stronzi….e via di questo passo.” Meredith alzò le sopracciglia: era ammutolita e rimasero a guardarsi così, senza parlare per molto tempo. Poi lei cominciò scuotere la testa, negando dentro di sé l’ennesima assurdità che aveva dovuto sentire. “E’ pazza, Greg. E’ pazza da manicomio. Ti rendi conto di quello che mi stai dicendo? Ti rendi conto che mi stai dicendo che dopo sei, e dico SEI CAZZUTI ANNI, non si è ancora stancata di lanciare puttanate fuori da quella ciabatta rotta che ha al posto della bocca?” Meredith era cambiata, nel tempo, ma non di molto: non urlava più, non si incazzava più come una belva, ma lo scaricatore di porto riemergeva sempre. 121


Greg la guardò e non seppe cosa rispondere, quindi alzò le spalle e aprì le mani con un gesto che significava tutto. “E tu intendi lasciargliela passare? Oh, dico, non l’abbiamo vista. Secondo te, mentre riempio i sacchetti della spesa, ho tempo di guardare in giro per vedere se c’è qualcuno da salutare? Ma è rincoglionita del tutto? Allora, visto che parla sempre per un cazzo, non poteva aprire lei la bocca e salutarti?” “Non credo…è a lei che è tutto dovuto, vuoi mica che si abbassi a rivolgermi per prima la parola. Poi non aveva tempo…stava guardando attentamente cosa avevamo comprato….la lista della nostra spesa settimanale è arrivata nelle case dei miei vari parenti.” Anche Greg era sinceramente incredulo: non si aspettava una simile recrudescenza. “Addirittura! E che gliene frega? Le entra in tasca qualcosa? Ha forse pagato lei? Fossi in te, non gliela farei passare, questa volta. Io avrei già preso il telefono e gliene avrei dette quattro. Eccheccazzo!” “Lo sai che non si risolve così facilmente questa situazione…” iniziò a dire Greg. “No, non si risolve così, e ho il vago sospetto che non si risolverà mai. Certo che, finché tutti stanno zitti e nessuno controbatte, non tacerà mai. Almeno le farei notare che non l’abbiamo vista perché è l’ultimo dei nostri pensieri, e la stronza è lei, che non ha salutato noi; e ti dirò di più: credo che abbia fatto di tutto per non farsi vedere, così da inventarsi questa ennesima cazzata e costruirci su un bell’articolo da mettere sul paginone centrale del News Of The World! Chiamala e mandala affanculo, Greg, sarebbe ora!” 122


Greg rimase pensieroso per un po’, poi prese il cellulare e fece il numero di Gi. Meredith si allontanò: sentire ancora, anche solo attraverso il telefono, la voce di quella donna la disturbava tantissimo. Se ne andò in cucina e aprì il frigorifero, per decidere cosa cucinare a mezzogiorno. Mentre tirava fuori un arrosto, lo metteva in una teglia e sbucciava le patate per arrostirle insieme alla carne, sentiva Greg parlare, sulle prime abbastanza animatamente, poi sempre meno e ad un certo punto non sentì più nulla. Si affacciò alla porta del balcone, ma si accorse con orrore che la telefonata non era finita, come aveva creduto. Greg aveva messo il telefono sulle gambe, fumava l’ennesima sigaretta e dal cellulare usciva la voce implacabile di quella strega che parlava, parlava, parlava, parlava….. Si ritrasse sgomenta, ritornò in cucina e si sentì pervadere da un disprezzo senza limiti: per Geraldine, soprattutto, ma anche per se stessa che aveva in un certo qual modo costretto Greg a subire ancora…cosa? Una cosa che non aveva più un nome, perché era un incubo, ormai. Poi, ad un certo punto, sentì un “Va bene, ciao” e Greg apparve in cucina e la guardò, forse per la prima volta con un’espressione molto dura. “Che cosa ha detto?” chiese Meredith molto sommessamente e con una certa ansia. Greg la guardò senza cambiare espressione, la fissò intensamente fino a farle abbassare gli occhi, tanto era penetrante e doloroso il suo sguardo. Poi Greg parlò, e disse poche parole: 123


“Vaneggiamenti e accuse, come al solito. Ma tu, se mi ami veramente, non convincermi o costringermi MAI, e ripeto, MAI PIU’ a fare una cosa del genere.” E quelle furono le ultime parole di Greg di quella mattina. Meredith non seppe mai cosa disse Geraldine a Greg durante quella telefonata, e rimase così, con una patata mezza sbucciata tra le mani, pensando che, nonostante tutto, il tempo passava, le cose cambiavano, ma l’unica cosa che rimaneva sempre immutata era l’oppressione che riusciva a causare quella donna.

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CAPITOLO 37 Greg si chiedeva da tempo quale fosse la soluzione migliore per dare una svolta veramente significativa alla sua vita. Tutto ciò che aveva desiderato e sperato si era avverato: una casa tranquilla; una donna bella e dolce che ricambiasse il suo amore con slancio; la passione; la complicità; il sostegno reciproco e un pacifico svolgersi dei giorni. Ma a cosa serviva tutto ciò se non lo si poteva condividere? E poi gli sembrava che fosse sempre tutto come avvelenato da un odio che proveniva dall’esterno, ma che riusciva comunque ad infiltrarsi subdolamente in questa serenità. DOVEVA trovare una soluzione, e la doveva trovare definitiva. Meredith non credeva al malocchio, ma più di una volta, riflettendo su tutto quello che le era successo negli ultimi anni, si era chiesta chi le stesse riversando così tanto odio da arrivare ad appestare la sua vita. E se lo chiedeva? A volte si ricordava con sgomento e quasi paura una frase che gli aveva detto Geraldine; era stata una frase buttata là tra le tante, ma aveva molto preoccupato Meredith quando lui gliela riferì: “Prima o poi si ammalerà anche sua madre!”. Al momento non avevano capito cosa intendesse dire veramente con quella frase, poi ci avevano riflettuto insieme ed erano giunti alla conclusione che era un modo veramente poco delicato e molto subdolo (ricordava la reazione di Meredith:”Come osa parlare di mia madre?”) per dire che avrebbero avuto brutti momenti, e in questi brutti momenti la loro relazione avrebbe ceduto. Povera illusa! 125


I brutti momenti erano stati veramente tanti, ma ogni volta la loro relazione ne era uscita fortificata. Perché in un vero amore le cose vanno così, e non potrebbero andare diversamente. Greg era fermamente convinto che Geraldine parlava solo ed unicamente rosa da una profonda invidia: invidia per quello che non era e quello che non era mai stata capace di avere: la totale dedizione dell’uomo che aveva sposato, illudendosi che bastasse un anello al dito per averlo sempre. Geraldine era invidiosa della bellezza, e non solo esteriore, di Meredith: spesso le persone a cui Greg la presentava si stupivano di quello che si trovavano di fronte, perché Geraldine continuava ad andare in giro a dire che era bruttissima ed antipatica, “tirandosela”, oltretutto. Geraldine avrebbe dovuto avere veramente il coraggio di mettersi davanti ad uno specchio e guardarsi, dentro e fuori. Tutto l’odio e il rancore che aveva dentro l’avevano portata ad avere un viso spaccato da mille rughe e un’espressione perennemente accigliata. Anche il sorriso di Meredith (comunque andassero le cose, un sorriso sulle sue labbra non mancava mai) doveva essere una grande fonte di invidia, perché lei non avrebbe nemmeno saputo trovare il modo, anche per finta, di farlo. Greg aveva cominciato ad usare un’espressione, per definire Geraldine, che gli sembrava fosse la più adatta per riunire ciò che era diventata: sgretolata. Gramaglie. Ecco cos’era divenuta la donna che aveva sposato, un mucchio di gramaglie. Greg se ne rammaricava anche, a volte.

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E altre no, perché ormai non meritava la benché minima considerazione, solo il suo rispetto per essere la madre dei suoi figli. Quei poveri figli che aveva parzialmente rovinato nel carattere e nel modo di comportarsi, e che la stavano a loro volta abbandonando: Patricia era andata a lavorare a Brighton, a chilometri di distanza,e Steven era sempre e comunque fuori di casa, preferendo passare i week-end interi a casa della fidanzata o in montagna o in qualsivoglia posto dove non ci fosse la madre a rompere. Si raccoglie ciò che si semina, e Geraldine aveva seminato ben poco oltre all’ odio e al rancore, quindi il raccolto non poteva essere diverso. Ma un metodo per farglielo veramente capire? Forse c’era, ma Greg avrebbe avuto il coraggio di attuarlo? Si, decise di sì…ma non era ancora ora. Voleva che prima fosse tutto ben chiaro nella sua testa e voleva che tutti i ricordi belli ritornassero a schiarirgli la mente.

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CAPITOLO 38 Secondo il parere di Greg, quell’anno avrebbero meritato di essere menzionati in un capitolo intero del Guinness dei Primati della Sfiga. Prima la morte della mamma di Meredith, letteralmente consumata da un cancro al fegato, poi, dopo sei mesi, la morte di Fred a causa di un incidente stradale, ed infine, come se non fosse stato abbastanza, lo sfratto per entrambi dalle case in cui vivevano. Meredith, alla fine dell’anno, aveva commentato: “Di più non si potrebbe.” L’unica nota positiva furono le vacanze a Salisbury: avevano deciso di andare veramente un po’ lontano da tutto e da tutti, per cercare, almeno per un breve periodo di tempo, di non scontrarsi con brutti pensieri, brutti ricordi e brutti problemi. La cosa più tremenda, per Meredith, era stata dover disfare due case: quella della mamma, ancora piena di mille ricordi, e quella di Fred, con il quale (dopo i primi tempi post separazione) c’era sempre stato un buon rapporto, civile ed intelligente; era pur sempre la casa del padre di Beckie, e gran parte dei vestiti e degli oggetti in quella casa le ricordavano l’uomo che aveva sposato. Di entrambi aveva voluto tenere molte cose, chiudendole gelosamente in grosse scatole che Beckie aveva catalogato come “scatola della nonna” e “scatola del papà”. Quella ragazzina era stata stoica: avere davanti l’esempio della dignità di sua madre le aveva permesso di essere forte e coraggiosa in entrambe le situazioni. 128


Certo è che Meredith si era molto preoccupata del suo stato mentale (quante volte si era messa a piangere abbracciando Greg, dicendogli “Ho tanta paura che ceda, ho tanta paura che ceda!”), ma insieme erano riusciti a farle forza e a tirarla fuori dal buio. L’approccio di Meredith con la morte era molto bello: lei, ogni tanto, alzava gli occhi al cielo e faceva lunghi discorsi con i suoi cari e a volte ci scherzava anche; era un modo bellissimo di tenerne viva la memoria e di farli diventare quasi immortali. E questo aveva imparato anche Beckie, e più ne parlava, più il lutto subiva quel processo di elaborazione che rende la morte meno spaventosa. Ma dovevano anche decidersi a risolvere la questione della casa, anche quella una faccenda non poco semplice. “A questo punto, Greg, sarebbe il caso di cercare qualcosa che vada bene ad entrambi e decidere finalmente di vivere insieme.” gli disse Meredith una sera, dopo cena, davanti ad una tazza di caffè per lui e di tè per lei. “Ah beh, questo è poco ma sicuro!” convenne Greg “Mi spiace per Beckie..nella sua testa potrebbe pensare che voglia sostituire suo padre…” “No. Sai che su questo sono sempre stata molto chiara. Un padre non può venire sostituito da nessuno e lei lo sa che non ti voglio assolutamente mettere al posto del suo. Non avere timore…mi sembra che ormai andiate anche abbastanza d’accordo. Nei week-end ti fermi anche a dormire da noi e non mi sembra scocciata o infastidita. Greg, sta crescendo anche lei, non ha più 12 anni.” disse Meredith cercando di tranquillizzarlo.

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Greg si sentiva molto responsabile per Beckie, quasi quanto per i suoi figli, ma aveva sempre paura di non essere accettato o di essere la causa di qualche litigio madre e figlia. Su questo argomento Meredith doveva continuamente rassicurarlo. “L’unico problema, secondo me, è trovare il posto giusto” disse Meredith sorseggiando il tè. “In che senso il posto giusto?” chiese Greg “Basta con il centro di Sheffield,” spiegò Meredith ”basta con le solite facce che vediamo tutti i giorni, basta queste poche centinaia di metri dalla casa di Gi. Guarda che meraviglia è il tuo monolocale: un po’ in periferia, dove, quando vengo a trovarti, non ci vede e non ci controlla nessuno…spero… Voglio andare via da questa zona. Non mi interessa se la scuola di Beckie rimane fuori mano, ci sono automezzi a sufficienza e sono anche disposta a impiegarci un po’ di più per andarla a recuperare, tanto è il penultimo anno di college, il disagio non durerà in eterno.” “Ah, sai benissimo che su questa cosa mi trovi perfettamente d’accordo.” approvò Greg “Ci metterei la mano sul fuoco che Gi controlli ancora se la mia macchina è parcheggiata davanti a casa tua e prenda nota degli orari.” “Ecco, appunto. Se deve essere finalmente casa NOSTRA, non voglio più nessuno che rompa i coglioni o che metta il becco nei nostri affari e nei nostri movimenti. Che mi sembra anche ora!” Meredith ne aveva veramente piene le scatole che la loro vita fosse ispezionata. “Voglio trovare un posto tranquillo, fuori mano, dove una volta chiusa la porta di casa, tutto venga automaticamente chiuso fuori.” 130


“Benissimo! Sono pienamente d’accordo. Dimentichiamoci di quei due o tre posti che abbiamo visto nei dintorni e da settimana prossima ci spingiamo più in fuori. E non è escluso che si riesca a trovare anche più facilmente e con meno spesa.” anche Greg era stanco di sentirsi come costantemente osservato. “E poi,” continuò Greg ” quando lo troviamo, ce lo costruiamo insieme pezzo per pezzo: verniciamo noi, decidiamo insieme come mettere i mobili… oh, tranne che in camera di Beckie! Anche lei ormai è grande, e i suoi ‘appartamenti’ dovranno essere completamente di suo gusto!” “Mi piace questo tuo modo di vedere la cosa.” gli disse Meredith dandogli uno schioccante bacio sul naso. “Vorrei ben vedere! Sono anni che aspetto di cominciare a vivere veramente con te e sono anche un po’ impaziente, ormai.” Greg non stava certo dicendo a Meredith una novità… “E io invece voglio una casa tutta colorata, pareti colorate, tende colorate, quadri colorati! Desidero che sia una svolta per tutti e due, qualcosa che ci tolga dalle tristezze che abbiamo passato e ci faccia sognare ancora di più di quanto sogniamo di solito insieme!” Meredith cominciava ad entusiasmarsi all’idea, e i suoi occhi stavano ritrovando quel brillio che Greg amava tanto e non vedeva da tanto tempo, con la sola parentesi del loro viaggio estivo a Salisbury. “Ma tutti i colori che vuoi, amore mio! Ci facciamo una casa che sarà un fuoco d’artificio!” le promise Greg: qualsiasi cosa pur di rivederla serena e sorridente. “Scoppiettante!” suggerì Meredith. 131


“Si, scoppiettante come quando facciamo l’amore e vedo tutti i colori del mondo …” “Greg! Allora! Sempre quello in testa, he?” e partì il solito pizzicotto. Greg si mise a ridere. “Scusa, sai, ma ultimamente abbiamo abbassato un po’ la media e mi sembrerebbe il caso di recuperare …” “Vero, ci sono stati momenti migliori, forse abbiamo allungato un po’ i tempi tra una volta e l’altra, ma non è che fossimo molto tranquilli…” constatò Meredith. “Infatti, mica ti sto accusando di niente. Ma non sono più abituato a lasciar passare due o tre settimane tra un’incontro ravvicinato e l’altro. Ero avvezzo a far passare un anno, nella mia vita precedente, ma tu mi hai tolto questa brutta abitudine.” Greg le fece l’occhiolino e le stampò un bacio sulla bocca. “Beh, devo dire che comunque non hai fatto fatica a perderla!” disse Meredith ricambiando il bacio e appoggiando delicatamente una mano sull’inguine di Greg, che reagì abbastanza prontamente. “Sono perplesso.” Greg si mise ad assecondare il gioco di Meredith “Mi chiedevo: ma i fuochi d’artificio, quando rimangono in magazzino, scadono o funzionano sempre lo stesso?” le chiese mettendole una mano sul seno. “Funzionano sempre benissimo, fidati. Vuoi provare?”

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CAPITOLO 39 L’anno nuovo segnò l’inizio di un periodo fisicamente faticoso ma stupendo. Avevano trovato poco prima di Natale (Meredith: “Babbo Natale porta sempre qualcosa...”) un appartamento in Herries Road, un bel viale alberato tra il Northern General Unit Hospital e il Longley Park: niente più centro, niente più traffico esagerato, tanto verde, una casa con solo 3 coinquilini (gente molto tranquilla, simpatica e alla mano), un bel giardino interno, tanta pace e tanto silenzio. Era il loro sogno che si realizzava: un bel posto dove finalmente vivere insieme. A gennaio ci fu la corsa per lo shopping: Meredith comprò nuovi accessori per la casa e Greg si occupò del lato tecnico e acquistò colori, tinture, attrezzi e tutto l’occorrente per verniciare e rimettere in sesto la nuova casa. Febbraio fu il mese dei lavori: durante i week-end (lunghi, per la verità perché comprendevano anche il venerdì pomeriggio e il lunedì mattina) Greg lavorava di rullo, Meredith rifiniva con i pennelli. Greg si ricordò quando si mettevano seduti per terra davanti ad un bidoncino di pittura bianca e si cominciava a miscelare i colori; per il verde della sala era stato un tormento: “Più verde, Greg”. Il quale Greg aggiungeva ancora gocce di colorante, miscelava e aspettava….poi Meredith prendeva un pennello, provava la tinta sul muro e… “Più verde, Greg” e così via per almeno quattro o cinque volte, finché non arrivò il colore giusto. 133


Si ricordò che per il giallo della cucina aveva delegato tutta la faccenda in mano a Meredith dicendole “Questa è la pittura, questo è il colorante, quando il giallo è abbastanza giallo, chiamami…” e che giallo ne era uscito! Ma si erano troppo divertiti: musica a palla, panini a mezzogiorno seduti in mezzo al locale che stavano verniciando, Meredith con gocce di colore ovunque e tante tante tante risate. Poi arrivò la settimana del trasloco vero e proprio, cosa che creò non poche tensioni tra loro, con Meredith che lavorava come un’ossessa senza mai fermarsi, Greg che continuava a dirle di fermarsi un attimo, giusto così, per non morire, e Meredith che di rimando lasciava uscire continuamente la famosa “bestia” dei momenti peggiori, non solo contro di lui, ma anche contro la povera Beckie che fu azzannata due o tre volte. In una settimana la casa fu perfettamente abitabile…non mancava una tenda da mettere, non mancava un quadro da appendere, nulla…in quella settimana di pazzia totale la nuova casa fu pronta. E la bestia rimandata a cuccia, per fortuna! Greg ricordò con tanta dolcezza com’era stato bello andare a dormire la prima notte nella nuova casa, chiudere insieme la porta a chiave e dirsi “Noi qui dentro, tutto il resto là fuori”. E addormentarsi abbracciati, svegliarsi vicini, fare colazione alla stessa ora, uscire per il lavoro con un suo bacio…. Che meraviglia! Greg sorrise: quante volte le aveva detto di rimanere a letto ancora un po’, soprattutto il sabato o la domenica…no, Meredith non aveva mai voluto che lui facesse colazione da solo.

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Ed in effetti a lui piaceva molto vedersela davanti, spettinata, con l’occhio un po’ chiuso, a volte non molto socievole, ma lì, accanto a lui, tutte le mattine che Dio creava. “Come questa mattina” pensò Greg. “come quest’ultima colazione che ho fatto con lei.” Avrebbe voluto correre a casa a baciarla, in quel momento. Ma se l’avesse fatto in quel momento non avrebbe risolto nessuno dei suoi ‘sospesi’, nessuno dei suoi ‘problemi’ e non sarebbe più stato in grado di prendere la decisione più importante della sua vita. E i ricordi continuarono ad arrivare…

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CAPITOLO 40 In casa risuonavano le note di “The great pretender” di Freddie Mercury e Greg e Meredith stavano ballando abbracciati. Greg aveva tentato più volte di insegnare a ballare a Meredith e c’era quasi riuscito; Meredith spesso si scatenava in balli solitari, un po’ disco, e si agitava come una forsennata, ma quando si trattava di ballare accoppiati era un vero disastro. “Allora, Metz, conta…un-due-tre, un-due-tre, un-due-tre…e lasciati portare, cazzarola, non sei tu che devi portare me!” le disse Greg con pazienza. Meredith aveva gli occhi incollati a terra sui propri piedi. “Non guardare giù, guarda me. Un-due-tre…” “Un-due-tre, un-due-tre…” Meredith mormorava e tentava di alzare gli occhi e guardare Greg, ma non ce la faceva molto. “E’ una cosa stranissima, sai? Canti da una vita, dirigi un coro, hai un perfetto senso del tempo e non riesci a ballare. Ma perché?” le chiese. “Un-due-tre…che ne so? Forse il mio cervello riesce a mandare gli impulsi giusti fino alle corde vocali o alle mani, ma non ce la fa a raggiungere i piedi…un-due-tre…ecco, mi hai fatto parlare, e adesso dobbiamo riprendere il ritmo!” Greg rise di gusto, si fermò, la guardò e con pazienza ricominciò da capo. “Gi balla molto bene, sai?” le disse “Buon per lei. Almeno una cosa la sa fare.” “Quando da giovani andavamo a ballare eravamo molto ammirati da tutti i nostri amici.” “Ok, grazie dell’informazione. Greg, un tuo piede è finito sopra il mio…” 136


“No, sei tu che hai infilato il tuo sotto il mio, facendo un passo che non c’entrava niente…ma sei un disastro!” “Tu parli, e io mi deconcentro. Ti pare che quando dirigo i miei bambini, parlo del più e del meno? Lasciami concentrata, per favore.” Finalmente Meredith si sciolse un po’ e riuscirono ad arrivare in fondo alla canzone ballando decentemente. “OK, ce la faccio. Proviamo ancora una volta.” propose Meredith rimettendo da capo il pezzo di Freddie Mercury. Per fortuna era estate e faceva caldo, così potevano stare entrambi a piedi nudi, il che rendeva meno dolorosi gli strafalcioni danzanti di Meredith, che finalmente si rilassò un po’ e riuscì a portare a termine il ballo senza troppi errori. “Hai visto che ce l’ho fatta?” gli chiese buttandosi sul divano a braccia alzate con fare trionfante. “Vero, ma sei sempre così rigida… ballare è veramente l’unica cosa che ti fa sembrare un pezzo di legno.” “No, guarda, sprecati pure di complimenti, oggi! Non aver timore di esagerare!” “Dai, su! Di che ti lamenti? Sono così poche le cose che non riesci a fare!” “Ballare abbracciati mi mette in agitazione..devo per forza seguire i movimenti giusti, seguire un’altra persona senza la possibilità di un minimo movimento diverso…no, non mi piace molto…preferirei cambiare la guarnizione di un rubinetto o aggiustare una tapparella rotta!” “Ecco che esce l’anima del carpentiere! E naturalmente il tuo spirito libero.” commentò Greg sedendosi accanto a lei, facendole appoggiare la testa sulle sue ginocchia e cominciando ad accarezzarle i capelli. “Ehi, Greg...” 137


“Dimmi…” “Dopodomani partiamo per Londra. Ce l’abbiamo fatta, finalmente!” “Davvero! Sono tre anni che dobbiamo andarci!” Gli occhi di Meredith guardavano un punto lontano, immaginando già la vacanza che aspettavano da tanto tempo. “Ti ricordi l’agosto dell’anno che ci siamo conosciuti?” le chiese. “Oddio, se me lo ricordo, accidenti! E’ stato il mese più duro di tutta la mia vita. No, visto quello che abbiamo passato dopo, no, ma uno dei più difficili di sicuro.” “Ti ricordi il diario giornaliero che avevi tenuto e che poi mi avevi dato quando ci siamo rivisti?” domandò Greg “Il diario?” Meredith rimase un attimo meditabonda, poi si alzò di scatto e lo guardò dritto negli occhi. “Il diario!!! Cazzo non me lo ricordavo più! E’ vero! E dov’è, ce l’hai ancora?” “Ti pare che io possa buttare una cosa così importante? Un pezzo basilare della mia nuova vita?” “No, certo, credo proprio di no. Ma dov’è?” “E’ giù in cantina, insieme ai miei vecchi documenti del lavoro, nell’armadio bianco. Insieme alle lettere che ci siamo scritti e che ho sempre tenuto io.” “Cavolo, quanto ci siamo scritti, ti ricordi?” “Mi ricordo di tutto perfettamente, tesoro, di tutto. Di ogni parola che mi hai scritto e di ogni parola che ho scritto io a te.” “Sono di più le mie, però. Sono una maledetta grafomane, lo sai. Mi piacerebbe proprio avere il tempo…più che il tempo, la forza per mettermi a scrivere seriamente… una volta ci avevo già provato, te l’ho mai detto?” “Sì che me l’hai detto. Mi hai fatto anche leggere qualche pagina. E questo manoscritto dov’è finito?” 138


“Pure lui in cantina, ma nell’altro armadio. Quasi quasi quando torniamo dalle vacanze lo cerco e metto tutto nel computer… e se fosse un buon lavoro?” Pubblicare un libro era sempre stato il sogno di Meredith; un romanzo fatto e finito esisteva, ma non aveva mai trovato il coraggio di proporlo a qualche casa editrice. “Beh, tentare non nuoce. Così diventerai famosa, andrai ai talk show e io diventerò soltanto una specie di principe consorte…” “Ma ricco, magari, se si vende bene…” “Lo sai com’è la mia visione dei soldi, Meredith…” “Lo so, lo so. ‘ I soldi servono a vivere, ma non sono basilari, anzi, sono la merda che fa girare il mondo.’ Giusto?” “Giustissimo. Ci sono mille altre cose più importanti. Come per esempio pubblicare un libro per il piacere di esserci riuscita, e non per fare del denaro.” “Già. Ma è un sogno. E potrebbe anche rimanere sempre nel cassetto.” “Non è detto. Andare insieme a Londra era un nostro sogno. E’ rimasto nel cassetto per un po’ di tempo, ma dopodomani esce, visto?” “Già. E sono così felice!” “Anche io, ma non solo di andare a Londra con te e Beckie, ma di vivere finalmente con te, di svegliarmi al mattino e andare a dormire alla sera accanto a te. E soprattutto di amarti e di averti.”

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CAPITOLO 41 Ed era proprio così. Anche quella mattina. Se in quel momento a Greg avessero chiesto “Sei felice?” e lui avesse pensato SOLO alla sua vita con Meredith, avrebbe risposto “Sì!” con tutte le sue forze. Negli ultimi due giorni aveva cercato di farglielo capire in tutti i modi possibile, cercando di essere sereno, preparandole una cenetta speciale, portandola a passeggiare mano nella mano, facendo l’amore con lei con tutta la dolcezza di cui era capace e dicendole più volte che l’amava. Era certo che qualsiasi cosa fosse accaduta, Meredith non si sarebbe più scordata di quel week-end, perché giusto la sera prima gli aveva detto che, dopo due giorni così, non si poteva far altro che ringraziare il Signore Iddio per la tranquillità e la serenità che aveva loro concesso. Ma se allargava la visione della sua vita, molto probabilmente avrebbe risposto “No.” No, perché non riesco a liberarmi dei fantasmi del passato. No, perché non sono libero di fare quello che voglio di più al mondo, senza l’influenza negativa del passato. No, perché i miei figli sono distanti e non so come fare a farli entrare nella mia nuova vita senza creare disordine, e, una, non so nemmeno se lo vuole. No, perché non ho più una madre e una sorella che adoravo. No, perché ho un padre egoista che pensa solo a sé stesso e ha rinnegato gli anni passati con mia madre. No, perché a sessant’anni sono stanco di lavorare ma devo farlo per pagare dei sospesi che non ho creato io. 140


No, perché la mia ex-moglie non ha ancora capito che non voglio più avere a che fare con lei e non mi concederà mai il divorzio, anzi, come dice ai miei figli, sta ancora aspettando che io torni da lei. E non tornerò mai. No, perché questo mondo e queste persone mi hanno veramente stancato, troppo. No, perché non sopporto più l’ipocrisia. Greg tolse dalla tasca del giubbotto un oggetto che aveva portato con sé da tutta la mattina, e lo guardò come se lo vedesse per la prima volta. Era un oggetto che poteva essere la sua liberazione, ma che nello stesso tempo faceva una paura pazzesca. E lo rimise in tasca. Non ancora….non ancora.

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CAPITOLO 42 “Ciao amore. Oggi giornata di parentado!” disse Greg a Meredith. Erano le sei di sera ed era appena rientrato, trovando Meredith, per una volta tanto, seduta tranquilla a leggere un libro. La baciò e andò in camera a togliere le scarpe. “Parentado? Perché? Non ti vedo molto entusiasta…” gli chiese Meredith posando il libro sul tavolino e mettendosi comoda per ascoltarlo. Greg la raggiunse sul divano. “Prima mi ha chiamato mio fratello, confermandomi il suo arrivo con la famiglia per venerdì pomeriggio…” “Ah, caspita, arrivano tutti questa volta!” “Si, si, tutti quanti…infatti andranno in un hotel a dormire, se no mio padre non saprebbe dove metterli. E lui e Charlotte potrebbero rimanere traumatizzati da tanta confusione.” disse un po’ sarcasticamente Greg. “Figuriamoci! La loro tranquilla vita ‘io-e-te-te-e-me’ sconvolta dalla comparsa di quattro persone in una botta sola! Non oso pensarci…” ridacchiò Meredith. “Infatti… poi ho pensato bene di passare di là a vedere com’era l’andazzo, e l’agitazione era alle stelle: mancano solo due giorni all’arrivo, puoi immaginare.” “Dai, non essere duro. In fondo è un figlio che non vede da un paio d’anni e dei nipoti che non vede ancora da più tanto tempo, no?” “Certo….il ritorno del figliol prodigo…” Greg lasciò in sospeso la frase, che peraltro Meredith si guardò bene dal commentare. 142


“Quindi arriva venerdì e riparte domenica nel pomeriggio, giusto?” chiese Meredith. “Giusto, solo per festeggiare l’ ottantacinquesimo compleanno del papà. Più tanto tempo non resisterebbe nemmeno Frank, credimi.” “Dai, è giusto che lo faccia, no? E, tanto per sapere ,questa volta me lo farai conoscere, o no? L’ altra volta che è venuto in Inghilterra c’erano ancora le acque un po’ agitate e non ti ho chiesto niente, ma stavolta, magari…” Meredith aveva conosciuto la zia Theresa, ma si vedeva che ci teneva anche a conoscere il fratello di Greg; oltretutto erano praticamente coetanei. Ma Greg scuoteva la testa, non in un no netto e deciso, ma come se gli stesse chiedendo qualcosa di inutile. “Perché no? Ti vergogni di me?” chiese Meredith. “Vergognarmi di te??? Ma sei impazzita? Che stronzate dici?” disse Greg allibito. “Che cosa devo pensare, scusa? Ti chiedo di presentarmi tuo fratello e tu fai no con la testa… “ “Faccio no con la testa perché, come il solito, anche questa volta il tutto si trasformerà in una farsa di primissima categoria, Meredith; ecco perché faccio di no con la testa.” “In che senso, una farsa?” “Nel senso che alla cena di sabato sera, tanto per cambiare, è stata invitata anche Gi…” disse Greg guardando attentamente Meredith, in attesa di una sua reazione. Che non tardò ad arrivare. “Gi? Ancora? Ma… ma che cazzo c’entra, accidenti! Sono otto anni che siete separati e ancora viene invitata alle riunioni di famiglia? E’ come se mia suocera mi invitasse ancora a cena 143


quando arrivano le sue sorelle dal Dorset! Ma che senso ha, questa cosa?” La faccia di Meredith, questa volta, più che incazzata era allibita. “E’ come a Natale, no? Tutti insieme, tutti felici…tutti dannatamente ipocriti, no? Costringendomi ad esserlo anche io, e tu lo sai quanto io odi l’ipocrisia!” disse Greg, per una volta veramente alterato anche lui. “E allora?” la domanda di Meredith era un pro-forma, sapeva già che cosa Greg avrebbe risposto. “E allora niente. Ci si mette il vestito buono, la faccia delle occasioni migliori e si va. Posso forse sottrarmi ad una cena con un fratello a cui voglio molto bene e che vedo una volta ogni due o tre anni?” “No, certo che no, assolutamente no.” “Esatto. E siccome la cena è organizzata da loro e loro ritengono opportuno invitare anche Gi, va bene così.” disse Greg rassegnato. “E nessuno fa nulla per cambiare questa situazione…” “Certo che no. E tanto meno io. Vuoi che si scateni un putiferio durante un’occasione rara e speciale come questa?” Anche questa era una domanda retorica, che non aveva bisogno di una risposta. “Io sono allibita dal potere che ha la tua ex-moglie. Allibita.” disse Meredith con una voce altrettanto rassegnata. “E’ il potere della cattiveria e delle parole, Meredith, te l’ ho sempre detto. Comunque, non avertene a male, per favore, ma nemmeno questa volta ti presenterò a mio fratello. E tutto sommato, non dispiacertene. Non sei adatta ad entrare in una famiglia così, credimi. Il loro modo di ragionare non rientra nei 144


tuoi schemi mentali, davvero, lo sai. Non farti un cruccio di non conoscere persone che non meritano di conoscerti.” Greg si fermò per un momento di parlare. Chissà cosa gli passava per la testa… “Vedi che” continuò poi “due anni fa non ho avuto proprio problemi a farti conoscere la zia Theresa, e l’anno scorso, quando è venuta in Inghilterra, ha accettato anche di buon grado di venire a passare un pomeriggio da noi. Ma lei è diversa, è come noi, ragiona come noi, ha le nostre stesse capacità di comprendere e di vedere le cose nel lato giusto.” “Per fortuna qualcuno si salva…” “E poi è sempre stata l’unica a chiedermi di te, l’unica con cui potevo parlare di te ancora quando non vi conoscevate. Credi che qualcuno degli altri mi abbia mai espresso il desiderio di conoscerti?” chiese Greg “Oh, per carità! Conoscere la brutta troia rovina famiglie? Ma non sia mai!!” “Meredith, per favore!” Greg non sopportava quando Meredith usava le parole di Geraldine per definire sé stessa, anche se sapeva che lo faceva per scherzo. “Eh, Meredith per favore…” continuò lei, guardandolo e scuotendo a sua volta la testa “Meredith per favore un cazzo. Per loro è così e basta, perché la strega glielo ripete da anni e non sono abbastanza intelligenti da voler perlomeno capire se è vero o no. Ma solo il fatto che non vogliono una smentita mi fa pensare che lo pensino davvero.” “Non credo” negò Greg fermamente “non credo; è sempre il solito problema del voler mantenere un’apparente tranquillità contro la prospettiva di scoprire la verità al prezzo di grandi casini. E’ tutto qui il succo della faccenda, ne sono certo. Come sono certo che se ti conoscessero, cambierebbero il loro 145


atteggiamento verso Gi. Non si può non volerti bene, amore, non si può.” Meredith rimase silenziosa e pensierosa per un po’ di tempo. Molto probabilmente nella sua testa passavano gli stessi pensieri e le stesse considerazioni di Greg. Poi, alzandosi dal divano, tirò un gran sospiro e disse, con un tono duro che raramente Greg sentiva: “Va bene, chissenefrega. Sinceramente non voglio nemmeno conoscere delle persone così. Non mi interessa. Vai alla tua cena delle beffe, divertiti, fai il bravo figlio, il bravo fratello, il bravo papà, e anche il bravo marito, se è questo che ti va di fare. E’ meglio che tu non porti persone così nella mia vita, mi farebbero vomitare. E ti dirò di più: cancella la mia richiesta. E adesso, vado a farmi un bel bagno caldo e a togliermi queste solite menate dalla testa, che riescono soltanto a farmi del male.” E senza nemmeno aspettare una replica di Greg sparì in direzione del bagno. Greg sentì sbattere la porta e rimase solo, sul divano, con mille parole che avrebbe voluto dirle. Sapeva che Meredith aveva ragione, tutte le ragioni del mondo.

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CAPITOLO 43 Ed era la consapevolezza delle ragioni di Meredith che l’avevano portato lì quella mattina. Da quell’episodio erano passati quasi due anni e ancora non era cambiato niente. E lui si sentiva, ora, anche un gran vigliacco, per non avere la forza di cambiare le cose. O perlomeno tentare. Ma lui era fatto così. Lui non ragionava con la testa di Meredith: lei era la paladina delle ingiustizie, per lei ciò che non era giusto andava trasformato, andava modificato, andava cambiato. Per lui no. Lui letteralmente eliminava dalla sua mente le cose ingiuste, eliminava dalla sua vita le persone sbagliate. Ma Meredith non ci riusciva. Tentava per un po’ e poi ricominciava con il solito ‘non è giusto’. Lei pensava sempre che le persone potessero cambiare in meglio, che TUTTE LE PERSONE potessero avere la capacità di leggersi dentro e cambiare ciò che vedevano di sbagliato; e questo perché lei era in grado di farlo, ma la maggior parte delle persone no. No, se non costrette da qualcosa di molto grosso o grave. E a volte nemmeno da quello. Ma adesso era ora che lui trovasse il coraggio di fare qualcosa. Quel qualcosa di grosso o di grave che avrebbe scosso le coscienze nel profondo, qualcosa che sarebbe stato in grado di smuovere le fondamenta nell’ intimo. Spesso si era detto: “E se io sparissi per sempre?” Cosa sarebbe rimasto a chi gli stava intorno? 147


Ai suoi figli? Forse sarebbero andati indietro nel tempo e avrebbero ricordato che non era poi stato un padre così di merda. A suo padre? Forse dei rimorsi di coscienza… per non averlo aiutato, per non averlo ascoltato abbastanza invece di ascoltare una nuora invadente e perfida. A suo fratello? Tutto sommato dei buoni ricordi, tanto affetto anche se pochi momenti in comune, data la differenza di età. Le lunghe chiacchierate al telefono, parlando di lavoro, dei figli, di calcio….. A zia Theresa? Una vita intera insieme, fin da quando lui era un bambinetto e viveva praticamente a casa della nonna, con questa zia che se lo vedeva appioppare tutte le volte che doveva uscire con un ragazzo, che se lo vedeva intorno tutte le volte che tornava dal lavoro. Una zia che l’aveva sempre aiutato, sempre amato, sempre capito. Una zia che avrebbe capito tutto, una zia che sarebbe stata vicina alle persone giuste. A Beckie? Forse il ricordo di una persona che non aveva mai voluto sostituire un padre, ma che gli era stata sempre vicina come un padre, anche quando la criticava e si permetteva di farle degli appunti che forse la infastidivano. A Geraldine? Oh, Geraldine si sarebbe accontentata dei soldi dell’assicurazione, tanto poco valeva per lei tutto il resto. (“Sai, Meredith, per me i soldi sono solo la merda che fa girare il mondo…”) Avrebbe ricominciato a parlare per niente ma questa volta non le avrebbero permesso di farlo a lungo. A Meredith? Dio, Meredith, quanto ti ho amata. 148


Quanto ti amo. A lei sarebbe rimasta la certezza di essere stata amata e di aver amato come raramente succede. E avrebbe trovato il modo per rendere questo amore immortale. E nel ricordo di questo amore ci sarebbe stato tutto: i bei momenti, quelli difficili, le parole sussurrate e quelle gridate, i giorni di sole e quelli di pioggia, le ore delle risate e le ore delle lacrime, le fatiche e i riposi, la felicità e le tristezze. La mano di Greg ora stringeva l’oggetto nella sua tasca, lo stringeva spasmodicamente: era la sua salvezza e la sua dannazione.

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CAPITOLO 44 Era l’ultima notte delle loro prime vere vacanze: dieci giorni a Pitlochry, nel Perthshire in Scozia. Erano state giornate meravigliose, all’insegna della spensieratezza e della tranquillità, anche per Beckie, che ormai a 18 anni forse avrebbe preferito andarsene in vacanza da sola; invece aveva deciso di passarle con loro e aveva detto di non essersene pentita affatto. Erano stati giorni di lunghe camminate in mezzo ai boschi, di passeggiate sul Loch Rannoch e il Loch Tay, avevano visto rovine antiche, cascate, fiumi e decine di panorami diversi, sempre nuovi, con un tempo stranamente clemente e tiepido. La mezzanotte era passata da poco. Greg e Meredith avevano appena fatto l’amore e ora sedevano sul balcone della locanda sotto un cielo illuminato da migliaia di stelle. Erano seduti per terra, abbracciati sotto una coperta, perché la temperatura notturna era abbastanza frizzante. “Che meraviglia, Greg. Pensa vivere così tutti i giorni della nostra vita!” “Un sogno… un sogno bellissimo.” disse Greg abbracciando ancora più stretta Meredith. “Sarebbe bello poter avere davvero la possibilità…più che la possibilità, il coraggio di mollare tutto e cambiare la propria vita. Qui non sanno cos’è lo stress, l’ansia, il correre forsennato dietro al tempo. Qui si vive fino a cent’anni! E sani, oltretutto!” “E se noi lo facessimo?” chiese Meredith “Cosa?” 150


“Cambiare, andare via da Sheffield, venire a vivere in Scozia in qualche sperduto paese su un loch qualsiasi… trovare qualcosa da fare con un livello di stress zero… ci sarà pure qualcosa da inventarsi, no?” Greg si voltò verso di lei e la guardò alzando ironicamente le sopracciglia e sorrise. “Certo che si può inventare qualsiasi cosa e si può fare qualsiasi cosa. Ma tu lasceresti Beckie a Sheffield, da sola? O la costringeresti a venire in questi posti sperduti? Alla sua età?” le chiese Greg. “Beh, ma che c’entra? Non ho detto di venirci subito. Tra qualche anno, da vecchietti, potremmo anche farlo, no? Certo, che adesso non posso ancora lasciarla da sola, vorrei ben vedere… anche se penso che se la caverebbe, tutto sommato.” rispose Meredith, guadagnandosi un altro sorrisetto sarcastico di Greg. “La mamma chioccia che rinuncia al suo pulcino??? No, non sia mai!” “Dai, piantala. Non sono una chioccia. Il rapporto che c’è tra me e Beckie è molto impostato sull’amicizia e la complicità; tutte le sue amiche ci invidiano!” “Lo so, ed è una meraviglia, ma le fai trovare troppo spesso la ‘pappa pronta’ in molte situazioni. Anche se poi, effettivamente, quando decidono di andarsene se la cavano comunque. Guarda la mia Patty: si gestisce la vita egregiamente, e se la cava benissimo a Brighton, da sola” ammise Greg con una punta di orgoglio nella voce. “A proposito, l’hai sentita ancora?” chiese Meredith. Patricia era appena stata piantata dal fidanzato, con cui viveva, da un giorno all’altro, senza tante spiegazioni, e questa cosa aveva preoccupato non poco Greg. 151


“Sta bene, sta bene. E’ chiaro che soffre, ma fa sempre un po’ la dura. Sta lavorando bene, è molto impegnata e questo senz’altro l’aiuta molto.” “Vedi?” Meredith lo guardò alzando a sua volta le sopracciglia “Non possiamo sempre essere presenti per aiutarli e confortarli. Crescono e sanno come cavarsela, se l’impostazione è stata giusta.” “…ma vorresti sempre correre a consolarli, vero? Come quando cadevano dalla bicicletta o prendevano un brutto voto a scuola o litigavano con gli amichetti.” aggiunse Greg. “Perché siamo dei buoni genitori…” Meredith vide lo sguardo di Greg e capì subito a cosa stava pensando. “Checché ne dicano gli altri, Greg, quelli che amano gettare merda sulle persone. E ci siamo capiti. Non voglio fare nomi e rovinare questa nottata magica.” “Assolutamente. Perché c’è veramente qualcosa di magico in questi giorni che abbiamo passato qui. Ma d’altra parte, una fata dei boschi come te non poteva far altro che rendere incantati questi posti.” Greg la baciò dolcemente, poi si alzò, rientrò in camera e ne uscì con due sigarette accese, una per lui e una per Meredith. “Dai, un ‘fumino’ e poi nanna. Domani (anzi, oggi, ormai!) ci aspetta il viaggio di ritorno” disse. “Mi sembra impossibile aver passato un periodo così sereno, sai? Un Natale meraviglioso, le gite nel Lake District in primavera, la zia Theresa che è venuta a trovarci come se fossimo una vera famiglia, le grigliate in giardino con i nostri vicini… mi sembra tutto così…non trovo il termine giusto… normale, perfetto, regolare ecco, regolare. Come dovrebbe essere una vita di coppia, una vita da sposati, una vera 152


famiglia. Mi sbaglio?” chiese Meredith, tenendo lo sguardo alto sulla volta stellata. “No, assolutamente; vedi perché ti dico sempre che a noi non serve il mio divorzio per essere sposati? Lo siamo, facciamo tutto come se fossimo sposati, ci comportiamo come se fossimo veramente sposati e, soprattutto, dentro di noi sappiamo di esserlo veramente. Perché non serve un pezzo di carta per sentirsi una cosa sola, vero?” anche Greg guardava il cielo. “Vero, Greg, vero.” affermò Meredith. “Io ti amo tantissimo, Meredith, come il primo giorno che ti ho conosciuta. Anzi, giorno dopo giorno, più ti conoscevo e più ti amavo, e ogni giorno che passa, se è possibile, ti amo un po’ di più.” “Anche io ti amo tantissimo, Greg. E non posso far altro che essere grata e gratificata per averti e amarti.” E rimasero così, abbracciati sotto il cielo della Scozia, con una luna che faceva capolino dalla montagna e illuminava fiocamente i loro volti sereni.

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CAPITOLO 45 Greg si incamminò verso la parte del parco occupata dai giochi. Guardò lo scivolo, sotto una quercia secolare che abbassava i suoi rami quasi a voler raggiungere le grida dei bambini quando si divertivano a scivolare giù nelle posizioni più strane. Si sedette sul primo gradino e tolse dalla tasca l’ oggetto che stava stringendo spasmodicamente da tutta la mattina. Ora non c’era più tempo. La decisione era presa. Tutto era stato ricordato. Aveva ripercorso la sua vita come un film, a volte drammatico, a volte comico, a volte avventuroso e romantico. Era stata una vita piena? Sì. Aveva cercato di dare il meglio di sé? Si, e se ne sarebbero accorti tutti. Aveva amato abbastanza? Sì. Avrebbe potuto fare di più? La risposta fu ancora un sì, ma si rese conto che non sempre si è pronti a dare il massimo, forse per un minimo di egoismo, per incapacità, o semplicemente per stanchezza. Guardò l’orologio: erano da poco passate le 10,30. Chissà cosa stava facendo Meredith. Sicuramente, con una così bella giornata, stava dando una controllatina alle sue piante, toccandole con quelle sue piccole mani morbide che tanto lui adorava accarezzare. Quasi ne sentì il tocco delicato sulla sua pelle, e quasi ebbe un attimo di incertezza. 154


Tolse il telefono dalla giacca, lo guardò, andò a cercare gli ultimi messaggi ricevuti, si soffermò sugli auguri di buon anno di Steven e sul ‘ti amo’ accompagnato da un pinguino di Meredith, che gli strappò un’ultima risatina. Poi istintivamente digitò il numero di Meredith (un’ultima volta la sua voce, Dio) ma chiuse la chiamata ancora prima che dall’altra parte squillasse. Basta, basta.

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CAPITOLO 46 Era indubbiamente una mattina strana e anomala. Nonostante tutto fosse andato come doveva andare di lunedì mattina (Beckie aveva preso il treno per andare in università, Greg era uscito presto per il suo giro di clienti a Leeds), Meredith si sentiva strana. A dire il vero si sentiva così da un paio di giorni: inquieta, triste, con la sensazione che dovesse succedere qualcosa. Non aveva detto niente a Greg, l’aveva visto così sereno quel week-end! Ed era stato tutto così bello che si era guardata bene dall’accennare ai suoi presentimenti. Ma era un brutto sentore, che non le piaceva per niente. L’aveva già avuto molte volte e tutte le volte era successo qualcosa. Greg “temeva” molto queste sue percezioni, perché avevano quasi sempre portato a qualcosa di non propriamente piacevole. Questa volta era proprio molto forte…era iniziato nella mattina della domenica, una domenica di bel tempo ma molto ventoso, e in un primo tempo Meredith l’aveva imputata al tempo, essendo molto meteoropatica; ma oggi il vento non c’era, splendeva il sole ed era una tiepida e piacevole giornata primaverile. Meredith non era riuscita a fare quello che era la sua routine normale del lunedì mattina: mettere un po’ in ordine la casa e poi dedicarsi a preparare le lezioni della settimana. Tornata a casa dopo aver accompagnato Beckie in stazione, aveva cominciato a gironzolare per la casa, si era limitata a rifare i letti , si era seduta mezz’ora al PC leggendo le mail ricevute e rispondendo a un paio, aveva cercato di mettersi in cucina ma anche lì non c’era niente da fare, c’era già pronto lo 156


spezzatino coi funghi avanzato il giorno prima, che in 5 minuti di microonde sarebbe stato in tavola, al ritorno di Greg. Aveva preso in mano i libri di francese un paio di volte, ma non era stata in grado di preparare nemmeno un esercizio: pazienza, quel pomeriggio avrebbe inventato qualcosa al momento. Guardò per l’ennesima volta l’orologio della cucina: le 10.30. Erano tre ore che vagava nel nulla… Uscì sul balcone e si sentì avvolta dal piacevolissimo tepore del sole: che meraviglia! Oggi Greg sarebbe stato contentissimo, era senza alcun dubbio la sua giornata ideale, una di quelle da passeggiata nel parco: niente gelo, niente vento, un bel sole limpido, la giusta temperatura per camminare…peccato che il lunedì era sempre una giornata abbastanza intensa, per lui. Si accese una sigaretta e cercò di analizzare quello che sentiva. Era una grande tristezza, con un fondo di paura, ecco cos’era. Ma non ne capiva la ragione. Non voleva certo andare a pensare a qualcosa di brutto: non era sicura che la sua mente avrebbe sopportato qualche altra disgrazia (o magari soltanto qualche problema di qualsivoglia tipo) dopo gli ultimi quattro anni. No, si disse, no, no, no. (“Adesso che ho raggiunto un minimo di pace, no, mio Dio, no, ti supplico.”) Eppure nella sua mente apparivano, come flash, immagini non propriamente piacevoli (Greg coinvolto in un incidente d’auto… Greg costretto a letto da una brutta malattia… Beckie ferita in uno scontro tra treni… 157


il sangue, Dio mio, il sangue da tutte le parti….bare e cimiteri,no, no, no, no! Basta, basta, basta!) che cercava disperatamente di scacciare. Ma tutte le volte lo stomaco sussultava. Si fermò a guardare il grosso vaso dove due settimane prima lei e Greg avevano trapiantato le sue rose gialle: sarebbe stato meglio aggiungere un po’ di terra…. Controllò le erbe aromatiche: nonostante l’inverno rigidissimo avevano retto bene; sarebbe bastata una spuntatura ai rami più vecchi, tra un mesetto. Chissà se le margherite si sarebbero riprese: loro sì, che avevano sofferto il freddo, quell’inverno! Poi improvvisamente le cadde l’occhio su un vaso che pensava di vedere ancora solo pieno di terra: santo cielo, i semi di nasturzio erano già germogliati! In soli dieci giorni! Incredibile, erano già alti più di un centimetro. Doveva dirlo a Greg, immediatamente, visto che quando li aveva interrati, le aveva detto che era troppo presto e rischiava di far “congelare” i semi…. Entrò in casa e andò in camera a prendere il cellulare che era sotto carica sul suo comodino; lo prese in mano e digitò il numero di Greg, ma improvvisamente qualcosa la fermò e chiuse la comunicazione ancora prima che la linea suonasse: qualcosa le disse che non poteva disturbarlo in quel momento…magari era da un cliente, o stava guidando… e comunque non poteva interrompere il suo lavoro per una cazzata del genere. Non che a lui dispiacesse, anzi. Spesso le aveva detto che una pausa e sentire la sua voce era sempre una cosa piacevole. Greg non era mai scarso di apprezzamenti, per lei. 158


Meredith rimase a guardare il display del telefono, ancora indecisa se rifare il numero e decidersi a chiamarlo. Magari un messaggio…o forse neanche quello. Si mise a sedere sul letto e si chiese da quando in qua si era mai fatta tante paturnie per dire qualcosa a Greg. Eppure una voce inconscia le ripeté di non disturbarlo, di non cercarlo, di non chiamarlo, di lasciarlo alle sue cose. In fondo fra un paio d’ore sarebbe tornato e avrebbe visto i germogli con i suoi occhi. Ok, ora sarebbe stato meglio inventarsi qualcosa da fare, non poteva certo arrivare alla una così, senza fare nulla, nel nulla. E poi fare qualcosa l’avrebbe aiutata a non pensare e a scacciare i brutti pensieri. Tornò in sala, mise sullo stereo un CD di Mozart (le era finito in mano il meraviglioso Requiem, ma pensò che non era il caso, quel giorno), alzò il volume e con le note di un concerto per pianoforte si diresse in bagno, a puntare almeno la lavatrice per fare il bucato.

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CAPITOLO 47 …. nel momento in cui Greg sentì che tutto stava venendo meno, ebbe davanti agli occhi l’immagine dei suoi figli e di Beckie, e ricordò perfettamente ogni parola della prima lettera scritta alla sua fata dei boschi… “Meredith, sono al parcheggio dell’uscita della M1 a Thurcroft : macchine che corrono, gente frenetica, rumore, ma tutto mi sembra così lontano! Guardo l’orologio: ore 9,21….la tua mancanza si fa sempre più forte ed il pensiero mi riporta alla stessa ora di ieri, il cuore mi batte forte forte, vorrei averti vicina, stringerti fino a farti male…sento il profumo della tua pelle, il tuo calore, il desiderio di averti, di baciarti a lungo. Scrisse il poeta che un bacio è una parentesi rosa tra le parole ti amo…non ha evidentemente mai baciato la sua donna con vero amore. Un bacio dato a te è tutt’altro che una parentesi! Il morbido delle tue labbra, il sapore più dolce e delicato del nettare, il profumo più intenso di una rosa, un suono melodioso che ti rende leggero, una nuvola che mi porta con te sempre più in alto nella pace e nel silenzio, un velo di immenso benessere che mi avvolge, mi riscalda, mi tonifica, mi da la forza e la volontà di continuare a vivere nell’attesa di averti tutta per me. Una parentesi? Forse sì…. ma una parentesi aperta nel momento che ti ho incontrata e che si chiuderà solo quando anche i miei occhi si chiuderanno per sempre. Ti amo. Greg.” 160


… e in quell’attimo gli occhi di Greg si chiusero per sempre.

CAPITOLO 48 Ora il parco era pieno di gente. Ambulanza, macchine della polizia, gente che passava e si fermava sentendo la notizia che viaggiava da una persona all’altra… Un uomo si era suicidato quella mattina. Si era impiccato sulla quercia vicino allo scivolo. Il detective Lockart stava cercando indizi intorno al corpo: era un uomo di 60 anni, tale Gregory Macqueen, di Sheffield. Nelle tasche dell’uomo aveva trovato le solite cose: il portafoglio con soldi, carte di credito, qualche fotografia, qualche scontrino; fazzoletti; un rosario; una pietra, per 161


l’esattezza un occhio di tigre; le chiavi della macchina; le chiavi di casa. Finalmente trovò un piccolo blocnotes: sulle prime tre pagine c’erano elencate con molta lucidità istruzioni precise per riscuotere i soldi dell’ assicurazione, per alcune faccende di lavoro da chiudere, un messaggio per un collega di lavoro; poi parlava di un conto corrente in comune con una certa Meredith, e pregava i figli di non fare richieste o rivalse su quel danaro. E in fondo un’unica lapidaria e laconica frase, rivolta a tutti e a nessuno in particolare: SCUSATEMI, SONO VERAMENTE TANTO STANCO, GREG. La scrittura non era vacillante o tremolante: quell’uomo aveva fatto quel gesto nel pieno delle sue facoltà mentali. Non c’erano incertezze o tante spiegazioni, era una decisione presa coscientemente. Prese nota dell’indirizzo: appena finito lì, doveva mandaci qualcuno, e doveva essere qualcuno di molto bravo. Una morte era sempre una brutta cosa da comunicare, una morte per suicidio ancora di più; più incomprensibile, più difficile da capire, più complessa da accettare. Il cellulare di quell’uomo continuava a suonare. Evidentemente qualcuno aspettava il suo ritorno a casa, ed era in ansia. Lockart lo prese dalla tasca interna del giubbotto e lo guardò: sul display appariva ancora lo stesso nome delle altre chiamate: Meredith, molto probabilmente la stessa Meredith indicata nel biglietto. 162


Avrebbe voluto rispondere, ma non era la procedura corretta. Si ritrovò ad avere una sorta di pena per quella sconosciuta, e a mandarle un muto messaggio: “Mi dispiace, Meredith, chiunque tu sia, mi dispiace tantissimo: Greg non ti risponderà mai più.”

“Only the Good die young…” Queen

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Ringraziamenti

Uno dei motivi per cui mi sarebbe piaciuto scrivere un romanzo, era per arrivare alla parte dei Ringraziamenti. Ci sono autori (vedi tra tutti S. King) che fanno di questa parte delle vere “chicche” impagabili. Io non sarò così prolissa…ma ci sono persone che vanno assolutamente citate. Grazie alla mia “vecchia” e carissima amica Lidia, la prima ad essere partecipe di questo mio viaggio, e l’unica ad aver sollevato leciti e poi risolti dubbi. Grazie alla mia “nuova” ma già buona amica Alessandra, che ogni volta che non scrivevo per più di una settimana mi spronava con i suoi “Allora?”… 164


Grazie a Giovanni, Viviana e Matilde, the new little family, che pur con il loro poco tempo, hanno sottratto ore ai loro impegni per seguire passo dopo passo questo lavoro, facendomi acquistare fiducia capitolo dopo capitolo. Grazie a Michela, giunta a lavori finiti, le cui impressioni entusiastiche mi hanno fatto veramente esaltare…troppo, forse? Staremo a vedere. Grazie a “zia Theresa”: pur così lontana, è riuscita a starmi così vicina da riuscire a consolarmi, incoraggiarmi ed aiutarmi come nessuno, nel momento più buio della mia vita. Spero sia stato così anche per lei. Adoro le nostre telefonate. Ma soprattutto grazie a Beatrice: sei stata la prima a farmi credere in me stessa e a dirmi “Fallo, mamma, fallo!” con una fiducia che solo una figlia come te può avere. Solo noi possiamo sapere veramente da cosa è scaturito questo romanzo. Cos’altro posso dirti, se non quello che ci scriviamo alla fine di ogni sms? Love. E un silenzioso e muto grazie a chi non è più nella mia vita: a tutti coloro che mi hanno reso la persona che sono, e a colui che mi ha fatto capire che cos’ è la felicità….e quanto è dura perderla.

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