Sotto il Cielo della Scozia - Grace Freeman

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PiĂš dolce sarebbe la morte, se il mio ultimo sguardo avesse come orizzonte il tuo viso. E se cosĂŹ fosse, mille volte vorrei nascere per mille volte ancora morire. Amleto W. Shakespeare

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1 Elaine Kincaid sedeva nell’ufficio del direttore della Queen Mary’s School. Dal cortile della scuola proveniva il vociare degli studenti più grandi che giocavano a palle di neve durante l’intervallo. Era un freddo e umido dicembre, come solo in Scozia si poteva avere. Le aule erano già addobbate per il periodo di Natale: mancava solo una settimana all’inizio delle vacanze, e tutti già avvertivano quell’aria festosa tipica del momento. Elaine era seduta dietro la scrivania, perché da due anni era lei il nuovo direttore della scuola: aveva sostituito Garrett Stone quando, finalmente, a 75 anni suonati aveva deciso di ritirarsi a vita privata, caldeggiando la nomina di Elaine per quel posto. Come sempre, quando si avvicinava il Natale, Elaine si intristiva un po’: da quando, dodici anni prima, Andrew McPherson aveva lasciato Broxburn per non farvi mai più ritorno, la sua vita si era trasformata in un disastro totale. Si era sposata, aveva messo al mondo un bellissimo bambino, ma, cinque anni prima, il marito (ex-marito, molto ex!) era partito per Londra, a inseguire sogni di gloria e un paio di gambe nuove di zecca, giovani e ben fatte, appartenenti ad una venticinquenne senz’arte né parte, ma sicuramente molto convincente in qualche altra non ben definita tecnica. Aveva sposato Christopher Wallace due anni dopo la partenza di Andrew da Broxburn, convinta di esserne abbastanza 4


innamorata e, soprattutto, abbastanza convinta che la cosa potesse funzionare. Non era stata proprio una brillante idea. Christopher, specialmente dopo la nascita di Nicholas, si era rivelato un uomo con ben poche attenzioni per la famiglia. Oltretutto, aveva lasciato la scuola dove insegnava, per dedicarsi a un suo sogno di gioventù: diventare il chitarrista di un osannato quanto improbabile gruppo rock, da lui fondato, i cui componenti non erano altro che sciocchi e immaturi personaggi di oltre trent’anni, tutti scapoli naturalmente, che Elaine, dopo un po’, cominciò a odiare a morte. Quindi, quando lui decise di seguire l’avventura e spostarsi a Londra con la bionda e piacente cantante del gruppo, Elaine non ne rimase certo traumatizzata, anzi, la prese come una liberazione, anche se i problemi aumentarono in modo esponenziale. Christopher si presentava, impegni permettendo, un venerdì sera al mese, prendeva Nicholas e lo teneva fino alla domenica sera: e questo, per lui, era fare il padre. Elaine aveva permesso questi week-end solo perché l’avvocato che aveva seguito il loro divorzio aveva imposto a Christopher di avere un posto fisso dove tenere il bambino, e naturalmente entro i confini scozzesi: perciò Chris aveva preso in affitto un bilocale a Edimburgo e lì faceva il papà durante il suo fine settimana al mese. Elaine non si era mai sentita sicura, in quei giorni, ma Nicholas sembrava amare molto (giustamente) le sue giornate con papà, quindi, poco per volta, Elaine si mise il cuore in pace e accettò di buon grado la cosa. Questo Natale la preoccupava: Christopher avrebbe tenuto il figlio per dieci giorni, lo avrebbe portato sul Ben Nevis a fare una vacanza sulla neve, naturalmente con la bella compagna canterina, e la cosa non entusiasmava certo Elaine. 5


Ancora una volta il suo avvocato le aveva detto che doveva accettare; in fondo, mai Christopher aveva dato modo di poter dubitare dell’attenzione che provava per il figlio: tenerlo pochi giorni non era certo come seguirlo dalla mattina alla mattina del giorno dopo, per ogni giorno dell’anno, con tutto ciò che comporta l’educazione di un figlio; finché si trattava di vacanze e divertimento, nessuno superava Christopher. Bussarono alla porta. “Avanti!” disse Elaine, interrompendo il flusso dei suoi pensieri. “Ciao! Ho un’ora buca, ti spiace se sto qui con te?” Era Janet, l’amica di sempre. Anche lei era ormai sposata, con un figlio di sette anni, ma, al contrario di Elaine, il suo matrimonio con Kevin McDougall era molto solido e molto felice. “Certo che sì! Tutto ok?” “Sì, grazie… ma tu?” Elaine aveva confidato a Janet quanto fosse perplessa per questa vacanza sciistica di Nicholas con il padre. “Mi sto abituando all’ idea, posso fare altro?” “Purtroppo no. Ma ti devi fidare, Lennie, è suo padre, non farebbe mai qualcosa che gli possa nuocere, davvero. E’ vero, da insegnante si è trasformato in rocker, ma tutto sommato è riuscito a farsi un buon nome nel sud dell’Inghilterra, no? Guadagna bene, ti passa regolarmente gli alimenti, non passa da una donna all’altra ma ha una relazione stabile.” “Certo, certo…” ammise controvoglia Elaine. “In fondo, quando ci parlava della sua passione per la musica e le chitarre, mica potevamo prevedere che avrebbe mollato tutto per quello, no?” “Devi sempre giustificarlo, tu, vero?” chiese Elaine all’amica, facendole un mezzo sorriso. 6


“Lo sai che mi sento sempre un po’ in colpa per averti quasi ‘buttata’ tra le sue braccia.” “Stronzate. Se non ne fossi stata convinta, non l’avrei sposato.” “Però mi hai sempre detto che…” “Non importa quello che dicevo, Janet. Ormai ne è passata di acqua sotto i ponti, quindi, ti prego, non ne facciamo più l’argomento delle nostre conversazioni.” “Ok, va bene. Allora, tu cosa fai a Natale?” s’informò Janet. “Resto a casa.” “Da sola? Sei impazzita? Perché non vai ad Ashlington dai tuoi?” “Perché non ho voglia di vedere nessuno. Ci andrò un paio di giorni, tra Natale e Capodanno, ma non mi chiedano di più.” “Vuoi venire da noi? Siamo a Edimburgo dai genitori di Kevin la sera della Vigilia, ma poi il pranzo di Natale lo facciamo qui con i miei.” “No, grazie. Non offenderti, ma no.” “Elaine, porca miseria… l’ho già visto un periodo così, in te. Hai lottato e hai reagito come una tigre a questo divorzio, ma adesso mi sembra proprio che tu stia cedendo.” “Ho solo bisogno di stare da sola, di pensare e riflettere.” “Scusa sai, ma adesso non c’è nessun Andrew McPherson che ti può tirare fuori dalla crisi.” disse Janet, già pronta alla reazione dell’amica. “Ti proibisco di nominarlo, Janet.” “Ma tu ci pensi…” “Si, a volte ci penso. Ma solo perché vorrei ritrovarmelo tra le mani e deturpargli quel suo bel viso da … da … oh, lascia perdere.” Elaine si stava innervosendo. “Non avevate alternative, Elaine, tu lo sai benissimo. E men che meno lui.” A queste parole Elaine non si trattenne più. 7


“Piantala Janet!” sbottò, quasi alzando la voce. “Piantala! Giustifichi Christopher, giustifichi Andrew, giustifichi tutti. Intanto chi deve passare un bel Natale da schifo, con il proprio figlio lontano chilometri, sono io, accidenti a te!” “Ok, non è proprio giornata. Vado a vedere se c’è qualche collega con un umore migliore per bere un caffè e passare l’ora buca facendo una piacevole conversazione.” E detto questo, Janet si alzò e uscì dall’ufficio di Elaine senza nemmeno salutarla. ‘Al diavolo!’ pensò Elaine. Si rimise al lavoro, iniziando una serie di telefonate che aveva rimandato per tutta la mattina.

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2 Era una delle solite tranquille sere a casa, Elaine e Nicholas sedevano a tavola e si raccontavano la giornata. “Quanti giorni mancano?” chiese Nicholas, finendo il suo hamburger di pollo. “Tre giorni, Nick. Erano quattro ieri sera quando mi hai fatto la stessa domanda, e oggi sono tre. Fra tre giorni parti per la vacanza.” disse Elaine ridendo. “Papà mi ha telefonato e mi ha detto che mi ha comprato un paio di sci bellissimi, rossi!” annunciò pieno di entusiasmo. “E quando ti ha chiamato?” “Prima, quando c’era ancora qui la tata Sissy.” Quando Elaine doveva fermarsi fino a tardi a scuola, affidava Nicholas ad una baby-sitter, una brava e simpatica ragazza che lui adorava. “Ti ha detto altro? Nicholas, anche le zucchine amerebbero raggiungere la tua pancia.” Nicholas storse il naso: fosse stato per lui, come per la maggior parte dei bambini, avrebbe mangiato solo patatine fritte. “No. Anzi, sì. Mi ha detto di dirti che arriva verso le nove del mattino della vigilia di Natale, di farmi trovare pronto.” Poi Nicholas si interruppe con la forchetta a mezz’aria, guardando la mamma con un’aria spaurita. “Che c’è, Nick?” 9


“Mamma, ma … Babbo Natale? Lo saprà che non sono qui? E se non si accorge? Come fa a lasciarmi i regali?” il panico correva nella sua voce. “Oh, Babbo Natale sa sempre tutto, lo sai. E sarà sicuramente informato su dove trovarti.” lo rassicurò Elaine. Ma Nicholas era un po’ titubante. “Ma avrà un sacco di cose da fare, in questi giorni, magari non ha tempo di controllare!” “Cosa possiamo fare, allora? Tu pensi che lasciargli una lettera sul davanzale della finestra, mettendolo al corrente, potrebbe essere un’idea?” Lo sguardo del bambino si illuminò. “Siiiii! Mamma, tu sai sempre risolvere tutto.” le disse Nick. “Le zucchine le ho finite, posso andare a scrivere la lettera?” “E la frutta?” Nicholas agguantò una mela, e rimase in attesa del permesso della mamma. “Ok, ma quando l’hai finita non lasciare il torsolo in qualche angolo nascosto della camera, per favore.” “Grazie.” Nicholas si precipitò in camera sua ed Elaine si alzò da tavola, iniziando a riordinare. Stava finendo di sparecchiare, quando sentì suonare fievolmente il cellulare: era ancora in borsa, era talmente stanca al rientro, che se l’era dimenticato. Andò a recuperarlo, e vide che sul display lampeggiava il nome di Janet. “Ehi, sono a casa! Perché mi chiami sul cellulare?” chiese Elaine. “Perché sono chiusa in bagno, non voglio che nessuno mi senta.” disse Janet a bassa voce. “Ma sei scema?” chiese Elaine ridendo all’assurda risposta di Janet, 10


“No, sono preoccupata, molto preoccupata.” “Che cosa è successo?” domandò Elaine, ora con una punta di ansia. “Oggi hanno visto aggirarsi un fantasma a St.John.” Era un vizio di Janet non arrivare mai al sodo della faccenda in poco tempo. “Sarà uno di quelli che ha sepolto il vecchio Padre James, ormai non è più proprio al massimo dell’attenzione, sarà andato storto qualcosa.” Elaine decise di tenere il gioco di Janet. Che tuttavia sembrava molto seria. “No, no. Siediti, Lennie. Mi dicono che si tratti di Andrew McPherson. E non fantasma, in sempre meravigliosa carne ed ossa.” Elaine dovette veramente sedersi: la notizia l’aveva colpita come una mazza da baseball alla potenza massima. “Andrew? E chi te l’ha detto?” chiese, ancora incredula. “Mia mamma. Lo sai che ormai non ha molto da fare e tutte le mattine va alla messa delle nove. E’ sicura che fosse lui. Poi, dico io, mica ci si dimentica facilmente di uno come lui… oh, scusa Lennie!” Elaine non ebbe la forza di ribattere alla gaffe dell’amica. Fissava attonita le luci dell’albero di Natale e non trovava niente da dire. “Ohi!” disse Janet “Ci sei?” “No, sono andata a suicidarmi.” “Adesso sei tu che fai la scema!” “E cosa dovrei fare, secondo te?” le chiese. Elaine non sapeva se essere contenta, disperata o impaurita. “Niente, sta a vedere se si fa vivo lui. In ogni caso tu non sai niente, come potresti?” chiese Janet. “Perché me l’hai detto tu, no?” 11


“Te l’ho detto perché l’ha visto mia madre. Se lei non fosse andata a messa, saremmo rimaste tutte e due nella nostra beata ignoranza della faccenda. Quindi non farti prendere dal panico e aspetta l’evolversi della situazione.” consigliò Janet. “Ma perché sarà qui? E quanto si fermerà? E se mi cerca? Cosa devo fare?” “Senti Elaine, non posso stare un’ ora chiusa in bagno a bisbigliare in un cellulare risolvendo questioni improbabili. Stai tranquilla, tanto adesso è sera e spero che abbia il buon gusto di non telefonarti… oh, già, hai anche cambiato numero, quattro anni fa, perciò non può telefonarti. Quindi per stasera non devi temere niente. Ne parliamo domani a scuola, ok?” disse Janet concitatamente. “Bell’amica. Grazie. Mi hai buttato addosso un macigno e adesso mi saluti tranquillamente. Sai già che non dormirò tutta la notte.” pronosticò Elaine. “Prendi uno di quei pastiglioni che ingurgitavi appena divorziata, vedrai che dormirai…” “Al diavolo, Janet.” “Anche a te, cara!” La comunicazione si interruppe, e proprio in quel momento tornò Nicholas con la lettera per Babbo Natale. “Ecco fatto, mamma…. Mamma?? Stai bene?” Nicholas la guardò un po’ preoccupato, e si accorse che aveva il cellulare in mano. “Certo che sto bene, tesoro.” disse Elaine cercando di riprendersi. “Chi era al telefono? Hai litigato con papà?” chiese con un po’ di agitazione nella voce. “Assolutamente no. Era la zia Janet.” lo tranquillizzò lei. “Allora, hai scritto l’indirizzo giusto?” “Certo che sì: Babbo Natale, Casa degli Elfi, Polo Nord. E ho messo anche ‘urgentissimo!’” 12


“Bene, andiamo a metterla sul davanzale della cucina, come al solito.” Elaine pensò che quello era il vantaggio di avere dei figli: il fatto che ti distraessero dalle vere o presunte catastrofi della vita e ti facessero pensare a cose più immediate. Misero la lettera sul davanzale, ed Elaine pensò con dispiacere di essere ormai troppo grande, se no gli avrebbe scritto anche lei una missiva urgente: ‘Caro Babbo Natale, non voglio soffrire ancora per Andrew McPherson. Ti prego, mandami un altro regalo.’

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3 Il 22 di dicembre era sempre una data di grande subbuglio, alla Queen Mary’s. Durante la mattina fervevano sempre le prove dello spettacolo natalizio, che si teneva alla sera alle sei. Si correva a destra e sinistra per gli ultimi ritocchi a costumi e battute di scena, c’era il rinfresco da organizzare, bambini e ragazzi erano pervasi da un’eccitazione senza limiti, e l’ufficio del direttore era bombardato da richieste, consigli e problemi da risolvere. Elaine era uscita di casa alle sette e mezza, aveva lasciato Nicholas nella sua classe, emozionato più che mai perché quella sera avrebbe dovuto impersonare uno dei Re Magi, si era seduta alla sua scrivania e, ora che era quasi mezzogiorno, non aveva ancora avuto un attimo di tregua. Stava finalmente riuscendo a controllare le mail sul suo PC, quando qualcuno bussò alla porta. Era Rachel, la sua segretaria (anzi, come preferiva definirla Elaine, la sua collaboratrice), che entrò con un fascio di carte in mano. “Ci sarebbero da controllare le varie comunicazioni ai genitori da dare ai ragazzi nel pomeriggio… se vanno bene me li firmi, per favore, così intanto che mangio un panino, faccio tutte le copie.” 14


“Bene, siediti un attimo, così lo faccio subito e non perdiamo tempo.” le disse Elaine, prendendo i fogli e iniziando a leggerli. “Poi, ha chiamato il servizio catering, e hanno detto che il cibo per stasera arriva alle cinque di questo pomeriggio. Lo dico a chi?” si informò Rachel. “Dillo alle bidelle delle secondarie, visto che il rinfresco è in quel lato dell’edificio. Abbiamo notizie del fiorista per i centrotavola?” Elaine aveva sempre voluto dare un tocco in più a queste occasioni, poiché aveva sempre pensato che i vari rinfreschi organizzati da Stone fossero un po’ deprimenti e impersonali. “Per le sei arrivano pure quelli. Quanti tavoli faccio preparare? Una trentina, come il solito?” “Direi di sì” confermò Elaine. “Mi raccomando, non lungo le pareti ma…” “Lo so, in ordine sparso, ma in modo che ci sia spazio per muoversi.” Rachel ormai sapeva perfettamente come la pensava Elaine. Finì di leggere e firmò le varie circolari. “Rachel,” disse poi “mi potresti chiamare la signora McDougall, per favore? Dille che è urgentissimo.” “Va bene.” Detto questo uscì, e Elaine ritornò alle sue e-mail. Ma non ci dedicò molto tempo, poiché il viso di Rachel riapparve alla porta. “Scusi, signora Kincaid, ma c’è un signore che chiede di lei.” le disse. “Ci mancava questa! Chi è?” chiese Elaine un po’ infastidita. “Mai visto…. Dice di chiamarsi Andrew McPherson.” Elaine ebbe uno scatto di nervi talmente improvviso, che il mouse venne catapultato giù dalla scrivania. Rachel si affrettò a raccoglierlo. 15


“Gli devo dire che è occupata? Lo faccio ritornare in un altro momento?” le chiese, ridandole il mouse. Elaine non riusciva a parlare. Il cuore le batteva a mille. Ma si rese conto che Rachel attendeva una risposta. “No, no, va bene, fallo entrare.” “E la signora McDougall? La faccio venire lo stesso?” Era la sua unica salvezza, pensò Elaine. “Sì, sì, ho bisogno subito.” ‘Sto scappando come un coniglio.’ pensò Elaine, con le mani tremanti e improvvisamente non proprio al massimo delle facoltà mentali. Dopo nemmeno un minuto si sentì un lieve bussare alla porta, che si aprì. Elaine vide entrare l’uomo più affascinante che aveva mai conosciuto, l’uomo che, nella sua vita, aveva amato più di chiunque altro, l’uomo per cui aveva sofferto le pene più dolorose della sua esistenza, e si sentì come spinta indietro di dodici anni, come se tutto quel tempo non fosse passato. Lui chiuse la porta alle sue spalle, vi si appoggiò e rimase a guardarla per un momento. Poi sorrise. “Ciao, Elaine.” La sua voce, Dio, la sua calda e bassa voce… “Ciao, Andrew.” Nessuno dei due sembrò avere il bisogno di aggiungere altro, per quel momento. E nessuno dei due si mosse. Poi Andrew si spostò verso la scrivania di Elaine e fece cenno di sedersi. “Oh, sì, scusa, siediti pure.” Questo sembrò sbloccare la situazione. “Ero ansioso di vedere il nuovo direttore della Queen Mary’s School… mi erano giunte delle voci, ma finché non vedevo coi miei occhi non ci avrei creduto. Un bel passo avanti, dopo la 16


muffa di Stone.” le disse quasi con disinvoltura, come se si fossero visti un paio di giorni prima. “Eh, già, ormai sono due anni che ho tolto la muffa.” disse Elaine, cercando anche lei di mantenere un tono di conviviale conversazione. “Beh, ho sentito che l’istituto ne ha avuto diversi vantaggi. Come dire, una ventata di aria fresca!” “Così dicono. E come va nelle Highlands?” si informò educatamente Elaine, che in realtà aveva voglia di fargli ben altre domande. “Non sono più ad Inverness.” dichiarò Andrew. “Ah, no?” “No, sono nell’arcidiocesi di Glasgow, adesso. Lavoro negli uffici amministrativi dell’Arcivescovo. E tengo contatti per corsi saltuari di storia all’Università di Edimburgo.” “Abbiamo fatto carriera, Andrew? Abbiamo raggiunto alti livelli? La prossima tappa quale sarà? Il Vaticano?” Il tono di Elaine era molto acido, suo malgrado. “Perché parli così, Elaine?” Andrew aveva abbassato la voce e aveva assunto un tono quasi contrito. Elaine non riuscì più a trattenersi. “Perché sei tornato, Andrew? Che cosa vuoi? Perché sei venuto qui stamattina?” chiese Elaine aspramente. “Volevo salutarti, volevo vederti e sapere come stai…” “Bene, adesso mi hai vista. Sto bene. La mia vita è stata devastante, ma sto bene, grazie. Ora te ne puoi tornare dovunque tu sia ora, Highlands, Glasgow, Edimburgo, o l’inferno, per quel che mi riguarda.” “Ti prego, prima di essere così definitiva, parliamo. Parliamo da persone adulte, parliamo da persone che hanno avuto una parte di vita in comune…” iniziò lui, supplichevole. 17


“Una parte di vita in comune??? E’ tutto qui, quello che c’è stato tra noi? Adesso, allora, dovremmo parlare, secondo te. Lo sai da quanto tempo non mi parli, Padre Andrew McPherson? Da quando ho preso un aereo, un giorno di ottobre di nove anni fa, per venire da te a Inverness, per dirti che ero incinta, ed ero disperata, perché quel bambino mi era capitato per caso e non ero assolutamente pronta ad essere madre. Mi avevi liquidata in un paio d’ore. E da allora il nulla, Andrew, il nulla.” Elaine si stava surriscaldando e fece fatica a moderare la voce. Sentiva di avere dentro di sé talmente tanto disprezzo, che faceva fatica a controllarsi. Ma anche lui si era alterato. “Che cosa dovevo fare, secondo te? Dimmelo, Elaine, che cosa avrei dovuto fare? Consolarti portandoti a letto? Con dentro di te il figlio di quel Wallace? Era questo che eri venuta a cercare da me?” All’improvviso si aprì la porta ed entrò Janet. “Mi hai chiam… Oddio, Andrew!” Janet squadrò prima Andrew e poi Elaine, e vide che la situazione era molto tesa e complicata. Andrew si alzò e andò ad abbracciare Janet. “Posso salutare un’amica come si dovrebbe fare dopo anni che non ci si vede?” le disse, stringendola tra le braccia. “Ma certo! Che sorpresona! Quasi da Babbo Natale!” Mentre ricambiava l’abbraccio di Andrew, Janet squadrò Elaine e capì al volo che l’incontro stava andando malissimo. “Ti trovo bene, reverendo. Posso chiamarti ancora così, vero?” “Certo, sei l’unica che lo pronuncia con il dovuto rispetto. Sto bene, grazie, ma vedo che anche tu sei in gran forma!” “Cosa vuoi, cerco di lottare il più strenuamente possibile contro i quarant’anni!” scherzò Janet “Ma torno più tardi, penso di avervi interrotto…” 18


“Assolutamente no,” disse Andrew “stavo andando via. Ho fatto solo un salto per un saluto veloce.” “Ti fermi a Broxburn o sei già di partenza?” s’informò Janet, sicura che Elaine non glielo avesse chiesto. “Mi fermo per tutto il periodo di Natale, anzi, fino a metà gennaio, per l’esattezza. Magari ci si vede, eh?” disse lui, guardando Elaine, che girò il viso dall’altra parte. “O magari no.” aggiunse poi, come investito da una doccia fredda. “Bene, ragazze, è stato un piacere rivedervi. Passate un buon Natale, ovunque voi siate!” E con questa infelicissima e freddissima frase, girò i tacchi e sparì dalla loro vista, accompagnato solo dal ‘ciao’ di Janet. Un silenzio di tomba era piombato nell’ufficio. “Che cosa gli hai fatto?” chiese poi, dopo un po’, Janet. “Purtroppo niente.” rispose Elaine, che si era alzata dalla scrivania e stava nervosamente camminando avanti e indietro nell’ufficio. “Che cosa gli hai detto, allora?” insistette Janet. “Meno di quanto avrei dovuto dirgli, credo.” “Dai, Elaine, per favore, calmati!” “Sono una cretina, Janet, sono una cretina. Non gli ho dato nemmeno il tempo di sedersi e l’ho aggredito come se fosse il peggiore dei criminali del mondo. Non volevo farlo, non volevo, ma le parole mi sono uscite così, senza freni!” Janet si sedette tranquillamente, aspettando il seguito dello sfogo dell’amica. “Voleva parlare, voleva solo parlare, e io l’ho trattato malissimo. Ho trattato malissimo l’uomo di cui sono ancora innamorata pazza. Quando l’ho visto, Janet, non ho capito più niente. Mi rivedevo tra le sue braccia, lo risentivo dirmi che mi amava e ho pensato a tutto il tempo che mi ha lasciata sola e l’ho odiato a morte. A morte. Perché?” 19


Janet non seppe rispondere alla domanda. “Penso sia stata una lecita reazione, Elaine. Anche se ti ho sempre detto che non spettava solo a lui farsi vivo. Avresti potuto chiamarlo anche tu mille volte, in questi anni. Ma non volevi, e sinceramente non ho mai capito bene il perché.” “Perché mi sentivo in colpa, ero venuta meno al nostro patto…” iniziò Elaine, subito interrotta dall’amica. “Ma quale patto, Elaine? Quale fottuto patto? Forse Andrew pensava veramente che potessi fare una vita da reclusa, aspettando che lui trovasse il tempo di fare una fuga da Inverness per farsi una bella scopata con te? Dai, Elaine, non diciamo cazzate, per favore!” Elaine era ora in piedi davanti alla finestra. Andrew stava passando nel cortile anteriore della scuola, per uscirne. Le venne l’istinto di richiamarlo, ma poi, pensò, a che scopo? Cercò di ritrovare la massima calma, poi si girò verso Janet. “Senti, questo argomento l’abbiamo discusso centinaia di volte, senza venirne a capo. Forse è meglio lasciar perdere anche questa volta.” Janet scosse il capo. “No, Elaine. Noi possiamo anche non parlarne più, ma tu e lui dovete parlare. Non puoi lasciare un sospeso così grande, nella tua vita: arriverebbe il momento in cui te ne pentiresti troppo. Il destino te l’ha riportato, ti ha dato un’altra opportunità. Prendila al volo, dico io!” “Ci penserò. Grazie alla tua prontezza di mente so che rimane qui fino a metà gennaio, quindi ho tutto il tempo. Oggi non ce la faccio a ragionare a mente lucida, ci sono troppe cose da fare e non siamo nemmeno a metà giornata.” “Va bene, allora. Rimuovi dalla testa questo spiacevole episodio e dedicati completamente ai tuoi ruoli di direttrice e 20


madre. Ma promettimi che quando Nick partirĂ con suo padre, la vigilia di Natale, ci penserai seriamente, ok?â€? Elaine promise, e, a fatica, ritornò alle sue occupazioni, non certo senza pensare a quanto doveva essere rimasto male e forse soffrisse Andrew del suo comportamento.

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4 “Fammi chiamare tutti i giorni, anche due volte al giorno, per piacere.” disse Elaine a Christopher, seduto sul divano del salotto ad aspettare Nicholas che era andato in bagno per la terza volta. “Non essere così ansiosa, per piacere. Lo sto portando in vacanza, torniamo tra solo dieci giorni, e, soprattutto, non dimenticare che è anche figlio mio, quindi ne avrò cura, checché tu ne dica.” ribatté Christopher, come al solito alterato per la scarsa fiducia che dimostrava sempre Elaine nei suoi confronti. “Non cominciare a fare polemiche inutili, Chris. E non lasciarlo da solo con lei.” “Lei si chiama Rebecca, e lo sai da anni. Si conoscono bene ormai e devi imparare a fidarti anche di lei.” Chris la guardò duramente. Non aveva mai accettato il fatto che la ex moglie lo trattasse come un irresponsabile nei confronti del figlio, non avendone mai dato motivo. In quel momento entrò Nicholas. “Sono pronto, papà!” annunciò eccitatissimo. “Bene, ragazzo, allora si parte. Dà un bacio grosso alla mamma e via!” Nicholas si buttò nelle braccia di Elaine, che lo strinse forte e lo sbaciucchiò a lungo. 22


“Stai tranquilla, mamma, ti chiamo ogni mattina e ogni sera, starò attento, non mi caccerò nei pericoli e mangerò anche la verdura. Non andrò a letto tardi e troverò anche il tempo di fare i compiti delle vacanze. Ho dimenticato qualcosa?” Nicholas aveva recitato a memoria le raccomandazioni che sua madre gli aveva fatto per tutto il giorno precedente, e ora la stava guardando interrogativamente. “Sì, una cosa l’hai dimenticata…” gli disse Elaine, guardandolo di sottecchi. “Mmmmm…… TI VOGLIO BENE!!” Nick abbracciò ancora forte la mamma. “Anche io ti voglio bene, Nick, tantissimo. Divertiti, e non fare arrabbiare il papà, ok?” “Ok. Andiamo?” Nicholas si staccò dalla madre e si rivolse al padre, che era in piedi dietro di lui e lo prese per mano. “Andiamo. Elaine… ciao, allora. Buon Natale.” disse Christopher, accennando ad abbracciarla pure lui. Elaine gli tese le braccia per salutarlo e augurargli buon Natale, e così facendo Nick rimase incastrato tra loro due. “Buon Natale, Chris. E saluta anche … Rebecca.” Rimasero per un momento così, tutti e tre vicini, ognuno con i propri pensieri che tornavano a momenti di vita migliori, ma ormai passati. “Su, via, andate adesso!” Elaine li spinse fuori dalla porta, perché non ce la faceva più a trattenere le lacrime. Rimase sulla porta di casa fino a che l’auto svoltò e non li vide più. Rientrò asciugandosi le lacrime, che le uscivano senza ritegno ora che era rimasta sola. Aveva davanti dieci lunghi giorni solitari. Non era più una giovane maestra che viveva da sola, no, e non era più abituata. 23


Un figlio riempie la vita in maniera totale, e quando non c’è, sembra che ti sia stato amputato un arto. Fece un paio di telefonate: una a sua mamma, anche lei sempre preoccupata quando sapeva che il nipote era col padre, e a Janet. L’amica le ripropose l’ invito per il giorno di Natale, ma Elaine fu irremovibile: aveva intenzione di passarlo a casa, senza fare nulla e, soprattutto, senza abbuffarsi come tutti facevano a Natale. Tra l’assenza di Nicholas e l’arrivo di Andrew, una cosa che proprio non sarebbe riuscita a fare, sarebbe stato mangiare. Aveva lo stomaco contratto da due giorni interi, e si stava risvegliando la gastrite che l’aveva torturata nel primo anno del divorzio. Prese il pacchetto che Christopher le aveva dato e lo mise sotto l’albero; accese tutte le lucine, in fondo era la Vigilia di Natale, no? Poi occupò le quattro ore successive a riordinare e ripulire la casa, creando quell’ordine che non è mai possibile mantenere, quando un bambino di otto anni ci vive. Aveva bisogno dell’ ordine esterno, per rimettere ordine anche dentro se stessa. Aveva pensato molto ad Andrew, a come l’aveva aggredito due giorni prima a scuola; naturalmente non si era fatto più vivo, e ne aveva ben ragione. Dopo aver mangiato un panino veloce con una Coca Light, si sdraiò una mezz’ora sul divano a leggere, e poi, improvvisamente, con una determinazione che non si aspettava, prese una decisione. La decisione. Doveva almeno vederlo. Riempì la vasca da bagno, vi si immerse a lungo, si lavò i capelli, si asciugò e curò con attenzione, si vestì cercando di 24


essere molto casual ma elegante, si truccò e quando si mise davanti allo specchio dell’ingresso, si guardò con aria critica. Quattro o cinque chili in più rispetto a dodici anni prima, un accenno di zampe di gallina intorno agli occhi, le guance forse un po’ meno ‘tirate’, i capelli più corti e con due o tre fili bianchi, ma ancora nulla di preoccupante. Il trucco mascherava un po’ il tutto, e il risultato non era male. Aveva quarant’anni, in fondo, non ottanta come se ne sentiva dentro da un po’ di tempo. Nel poco tempo che Andrew le era stato davanti, aveva notato anche su di lui qualche segno dell’età: un po’ di rughe anche per lui intorno agli occhi, una leggera brizzolatura alle attaccature laterali dei capelli, uno sguardo un po’ più vissuto. Era diventato quasi più affascinante, pensò. Guardò l’orologio: la messa della Vigilia sarebbe iniziata tra mezz’ora; Elaine decise di affidarsi al destino: se Andrew avesse celebrato la messa, sarebbe andato a salutarlo, cercando di farsi perdonare il brutto impatto della sua visita a scuola. Se non l’avesse celebrata … beh, avrebbe pensato a qualcosa di diverso, una telefonata magari. In fondo era lei che aveva cambiato numero, non la parrocchia di St.John. Prese giaccone e borsetta, le chiavi della macchina e uscì, sentendo che il destino non le avrebbe fatto brutti scherzi.

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5 La chiesa era affollata e piena di luci e fiori. Elaine era seduta in ultima fila, nella navata centrale, in un posto dove aveva la visione completa dell’abside e dell’altare. Se Andrew avesse celebrato la messa, avrebbe dovuto vederla, per forza. Cercò disperatamente di entrare nello spirito natalizio della funzione a cui stava per partecipare, ma da un po’ di anni le riusciva difficile la riconciliazione con Dio, anche se ci credeva ancora molto, come aveva sempre fatto in tutta la sua vita. Ma riteneva che non fosse stato molto giusto, con lei, a parte averle dato un figlio meraviglioso, che spesso ripagava tutto. Si sentiva un po’ agitata. Sperava fermamente che su quell’altare uscisse Andrew, per poterlo osservare attentamente, senza l’obbligo di parlargli, per riuscire magari a sopire la rabbia che aveva nei suoi confronti. Ingiustificata, come aveva detto Janet un paio di giorni prima. Anche lei non l’aveva più cercato e non era ancora riuscita a capire il perché. Non per questo doveva incolpare lui degli anni di silenzio. La campanella della sacrestia suonò, dando inizio alla messa: il cuore di Elaine si mise a battere furiosamente, perché, insieme a Padre James e a un altro paio di sacerdoti che non aveva mai visto, c’era Andrew.

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Elaine cercò di seguire la funzione con tutta l’attenzione possibile, ma si accorse che Andrew l’aveva vista, e spesso volgeva lo sguardo verso di lei. E le si bloccava il respiro. Durante la messa, Elaine sentì poco a poco la calma che si impossessava del suo spirito e tutta la collera che aveva assurdamente provato nei confronti di Andrew svanì nel nulla. E poi, prima di quanto se lo fosse aspettato, tutto finì: Padre James diede la benedizione finale e, poco per volta, la chiesa si svuotò. Elaine rimase seduta al suo posto, con le braccia appoggiate alla sedia davanti a lei, e la testa posata sopra. Non sapeva cosa fare: tornare a casa o andare a cercarlo? Non ebbe modo di decidere: si accorse di un’ombra sul pavimento vicino a lei e, quando alzò il capo, Andrew era lì. “Ciao, Lennie.” “Ciao, Andrew.” E, detto questo, gli occhi le si riempirono di lacrime, che cercò con tutte le forze di ricacciare indietro. Andrew si accorse degli occhi lucidi di Elaine. “Non piangere, lo sai che non voglio.” le disse, prendendole una mano. Elaine inghiotti più volte, anche perché il tocco della sua mano non aveva certo migliorato la situazione. “Vieni, usciamo da qui.” Andrew la portò in un locale della parrocchia che Elaine conosceva molto bene: era il luogo dove era iniziata la loro storia più di dodici anni prima. Appena chiusa la porta dietro di sé, lui la guardò e le disse: “Mi vuoi abbracciare? Per favore.” Elaine non aspettava altro e si buttò tra le sue braccia, stringendolo e piangendo ormai senza più ritegno.

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“Mi dispiace, Andrew, mi dispiace per come ti ho trattato l’altro giorno, mi dispiace per quello che ti ho detto, perdonami, perdonami!” Andrew le diede un leggerissimo bacio sulla testa, che era affondata tra il suo collo e il suo petto. “Non ti devo perdonare niente, Elaine. Me lo meritavo.” “No, no…” “Sì, invece, sono voluto ricomparire nella tua vita come se nulla fosse successo, come se fosse tutto normale, come se non avessimo nient’altro di cui parlare se non della tua carriera scolastica. Sono stato molto insensibile.” La scostò da sé. “Mi stai stazzonando tutta la tonaca dei giorni di festa, smettila di piangere. Ti sei fatta bella e tutto il tuo lavoro si sta sfasciando!” le disse, passandole i pollici sotto agli occhi per asciugarle le lacrime. Le stava sorridendo, e Elaine riuscì a calmarsi. “ Hai ragione, sarò orribile, adesso. Ho fatto mezz’ora in bagno per coprire i segni del tempo e adesso sto rovinando tutto.” Prese un fazzoletto dalla borsetta e cercò di rimediare al disastro. “Non ne avevi bisogno. Non sei cambiata per niente, anzi, oserei dire che sei ancora più bella dell’ultima volta che ti ho vista.” La fece sedere sul divanetto e si mise vicino a lei, senza mai lasciarle andare le mani. “Allora, come stai?” le chiese. “Bene, fisicamente. Per il resto è tutto un po’ un devasto, se devo essere sincera. E in questi giorni ci hai messo pure tu lo zampino, come se non bastasse.” “Tuo figlio sta bene?” “Si, è in vacanza con suo padre fino al quattro di gennaio. E’ la prima volta che glielo lascio così tanto tempo, e mi sento un 28


po’ persa. Ma lui sta bene ed era contento di andare a sciare col papà. E tu, come stai?” “Bene. Ho un nuovo incarico, che mi impegna molto più di quanto mi impegnasse insegnare alla UHI a Inverness, ma… a quanto pare avevi ragione tu, anche se l’avevi detto in un tono un po’ troppo sprezzante, ho fatto carriera e sembra proprio che ho guadagnato un posto di prestigio. Ma, credimi, non l’ho voluto io e non me ne vanto di certo.” Elaine ridacchiò. “Se Janet ti sentisse dire una cosa del genere, ti darebbe dell’ipocrita. Sai che è sempre stata convinta del tuo egocentrismo e della tua ambizione.” gli disse. “E tu?” le chiese. “Io che cosa?” Elaine non capì il senso della domanda di Andrew. “Anche tu la pensi come lei, e credi che sia stata la mia ambizione a portarmi lontano da te?” Elaine rimase pensierosa per un attimo. Poi lo guardò negli occhi, quei profondi occhi verdi in cui sempre si perdeva. “Forse un po’, ma non ha importanza, non l’ha mai avuta. Ero innamorata di te, ti accettavo così com’eri, tanto mi bastava.” Andrew non commentò la frase di Elaine e lasciò in sospeso il discorso. “Vai ad Ashlington dai tuoi?” le chiese. “No, ci vado solo due giorni, il ventotto e il ventinove.” “Ma, allora, domani sei da sola?” chiese stupito lui. “Oh insomma, anche tu ti ci metti? Ma perché tutti dovete essere così preoccupati che io sia sola il giorno di Natale? Se ho scelto così è perché mi sento di farlo, no?” “Non sembri nelle condizioni ottimali per affrontare un Natale in solitudine…” “Questo non puoi dirlo, Andrew. Che ne sai? Mi hai vista per dieci minuti e mi hai già ‘analizzata’ così a fondo? Stare un po’ 29


da sola è proprio quello di cui ho bisogno, credimi. Devo fare ordine dentro me stessa.” “Ti ho guardata per tutta la messa, Elaine.” le disse. “E sei riuscito a capire in che stato d’animo sono? Sei ancora meglio di quanto pensassi!” lo prese in giro lei. “No, certo che no. Volevo solo dirti che non ho fatto altro che guardarti, semplicemente questo. E sei sempre meravigliosa, hai sempre lo sguardo dolcissimo, e…” Elaine lo bloccò. “No, fermati. Non è ancora tempo di fare questi discorsi. Non dire più niente, sto già capendo poco di quello che sta succedendo, non peggiorare la situazione. Facciamo così: vediamoci, andiamo a cenare insieme da qualche parte, una di queste sere. Dobbiamo parlare, Andrew. Dobbiamo chiarire alcune cose. Io devo chiarire alcune cose.” “Va bene, hai ragione.” Elaine si alzò, sicura che per quel giorno non ci fosse più nulla da dire. Poi prese un blocchetto dalla borsa e ci scrisse sopra. “Ti lascio il mio nuovo numero di telefono, e anche quello del cellulare, così ci sentiamo e decidiamo, ok?” Strappò il foglietto e lo diede ad Andrew, che lo fece scomparire in una tasca della tonaca. “Grazie. Allora, ci sentiamo… posso chiamarti a qualsiasi ora?” disse un po’ timorosamente. “Beh, in questi giorni direi proprio di sì.” Dopo di che si abbracciarono e si salutarono, facendosi gli auguri di Natale un po’ meglio di quanto non avessero fatto due giorni prima a scuola. Elaine tornò a casa, ma quando vi entrò, non si sentì più così sola come quando ne era uscita. E, soprattutto, stava sorridendo.

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6 Elaine era stata svegliata dalla telefonata di Nicholas, alle sette e mezza di quel Natale mattina: era esaltato al massimo, felice che Babbo Natale avesse saputo (grazie all’idea della mamma) dove portargli i regali quella notte. Aveva ricevuto tutto quello che aveva chiesto, compresa la Playstation che, dopo colazione, avrebbe già cominciato a sperimentare, con l’aiuto del papà. Elaine era tranquilla: Nick sembrava proprio star bene, era felice e, quando aveva parlato con Christopher, lui l’aveva proprio rassicurata che loro figlio era completamente a suo agio e sereno. Così si era alzata, aveva fatto la colazione davanti al notiziario del mattino e aveva aperto i suoi regali: solite cose impersonali da un paio di ex-colleghe maestre (solito bagnoschiuma e solite presine da cucina con Babbo Natale e renne…), un meraviglioso set di candele di pura cera d’api da Janet (che Elaine pensò di sfruttare subito durante un lungo bagno caldo quella sera), un paio di CD da Christopher (tra cui, naturalmente, l’ultimo inciso dal suo gruppo, che secondo Elaine poteva trovarsi al quarantesimo posto nelle Hit del momento), l’ultimo libro di Patricia Cornwell da Rachel. Buttò le carte e rimise tutto sotto l’albero, inserì nello stereo della musica natalizia e si guardò intorno: doveva decidere come far passare il tempo. 31


Era ancora in pigiama e non era sua intenzione vestirsi, quindi prese il nuovo libro e si sdraiò sul divano, iniziando la lettura. Poco dopo sentì il segnale degli sms provenire dal cellulare. Lo prese, convinta di trovare un messaggio di Janet, ma si sbagliò: sul display c’erano poche parole: ‘Buon Natale, con tutto il mio cuore. Andrew.’ Lo lesse almeno venti volte, e passò molto tempo prima che si decidesse a rispondere. Non sapeva cosa scrivere, se solo un augurio impersonale oppure spingersi a digitare qualche parola in più. ‘Con tutto il mio cuore’: cosa voleva intendere? Che sentiva profondamente l’augurio che le stava facendo, oppure c’era qualcosa di più in quel cuore? Digitò un sms di risposta, poi lo cancellò; ne digitò un altro, e cancellò pure quello. Infine si decise per un “Buon Natale anche a te, ti auguro di passarlo serenamente.” Che banalità, santo cielo. Con tutto quello che le sarebbe piaciuto dirgli… ma si sentiva già abbastanza felice di aver ricevuto quelle poche parole da lui. In effetti, un po’ troppo felice. Rimise il cellulare sul tavolino accanto al divano, ma non fece in tempo a posarlo che arrivò un altro messaggio. “Cosa ne diresti di passare la sera di Natale da qualche parte a cena con me? Dopo le sette io sono libero.” Accidenti, questo non era per niente calcolato. E adesso? Rimuginò un po’ tra sé e sé, pensando che il suo solitario Natale si stava trasformando in qualcosa di assolutamente imprevisto; ma era il caso di lasciare che questi eventi prendessero il sopravvento? I suoi pensieri furono interrotti dal telefono e questa volta era sicurissima che fosse Janet. Non si sbagliò. 32


“Buon Natale, direttore!!” proruppe l’amica. “Buon Natale anche a te! Tutto bene?” “Solito caos della mattina di Natale, cara. Carte da regalo ovunque, marito e figlio che giocano e si fanno i cavoli loro, e la cucina in piena attività, visto che tra un’ora arrivano i miei e mia sorella con i bambini. Da te una pace invidiabile, scommetto!” “Esternamente sì, internamente un po’ meno…” “Te l’avevo detto di venire da me, no? Ma tu avevi capito che avevo solo bisogno di un aiuto cuoca e hai pensato bene di rifiutare!”scherzò Janet. “Non sono mica scema, ti conosco da quasi quarant’anni.” “Nick? Tutto bene?” “Benissimo, ha chiamato stamattina dopo aver aperto i regali e l’ho sentito felice e tranquillo. Ieri ha fatto anche la sua prima lezione di sci ed era gasatissimo.” rispose Elaine. “Bene, questo dovrebbe permettere anche a te di essere felice e tranquilla, no?” “Certo, se non fosse per McPherson…” Elaine lasciò il discorso in sospeso, come faceva sempre Janet, giusto per provocare un po’ di malsana curiosità nell’amica. “Sputa il rospo.” declamò Janet. “Ieri sera sono andata alla messa della Vigilia e poi ci siamo parlati dieci minuti.” annunciò Elaine. “Aspetta, mi metto comoda. Metto una sedia davanti al forno per curare il tacchino e ti ascolto.” Elaine immaginò Janet seduta davanti al forno della sua cucina con il telefono in mano e si mise a ridere. Poi le raccontò quello che era successo la sera precedente dopo la messa, narrazione che Janet seguì nel silenzio e nella massima attenzione, senza, come suo solito, tirare battute o frecciatine. 33


Poi le disse anche degli sms della mattina e dei suoi dubbi per quanto riguardava la cena proposta da Andrew. “Ecco, è tutto. Se il tacchino non è ancora bruciato, dimmi cosa ne pensi.” concluse Elaine. “Che cos’avresti dovuto fare, stasera?” chiese l’amica, invece di esporre il suo pensiero. “Niente. Come per tutto il resto della giornata.” rispose Elaine. “Bene, penso che invece ti vestirai con qualcosa di adatto all’occasione, e uscirai a cena. E senza farti prendere da stupidi dubbi.” “Non sono così sicura che sia l’idea migliore.” tentennò Elaine. “Cazzate. Ti sta offrendo una cena e basta. Credo che senta anche lui il bisogno di parlare con te, ed è meglio parlare davanti a qualcosa da mangiare, in un luogo pubblico, prima che vi venga in mente di parlare a casa tua o chissà dove. Perché, ho come l’idea che sarebbe più … pericoloso, no?” “Allora secondo te devo accettare?” chiese Elaine. “Si, Lennie, accetta. Vai a cena, e stasera cerca di dirgli tutto quello che pensi e hai pensato in questi otto anni. Te l’ho già detto: non lasciare in sospeso questa faccenda ancora a lungo.” “Ok, allora ci vado.” “E mettiti addosso qualcosa di rosso: primo, perché è Natale, secondo, perché porta bene e terzo, perché ti sta bene. E cerca di rimanere te stessa, per piacere. Sii la vera Elaine, non il mostro di acidità in cui ti sei trasformata dopo il divorzio, ok?” “Va bene, grazie Janet. Passate un buon Natale e dà un bacio a Kevin e Josh.” “Un bacio a te, Elaine. E fammi sapere, poi.” Le due amiche si salutarono, ed Elaine si decise a rispondere al messaggio di Andrew. ‘Mi farebbe molto piacere uscire a cena con te, questa sera, grazie.’ 34


Guardò per un po’ la scritta luminosa, con il dito appoggiato sul tasto dell’invio: era ancora un po’ titubante, ma poi, con un profondo respiro, lo schiacciò e il messaggio partì. Non dovette aspettare molto per leggere la risposta: ‘Alle sette ti passo a prendere. Grazie a te.’

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7 “E così, senza troppo pensarci, è partito per Londra e tanti saluti.” fu il commento di Andrew al racconto di Elaine sulla partenza definitiva di Christopher da Broxburn. Erano tranquillamente seduti in un ristorante di Stirling, davanti ad un piatto di speed beef e patate arrosto. Andrew aveva voluto sapere tutto della sua separazione ed Elaine era stata prodiga di particolari. “Più o meno.” “Ma questa … Rebecca, giusto? C’era già o l’ha incontrata dopo?” chiese lui. “C’era, c’era, anche se lui continua a dirmi che non stavano ancora insieme, cosa a cui io non ho mai creduto.” “E questi elementi che compongono il gruppo, da dove saltavano fuori?” si informò Andrew. “Amici del college, avevano già suonato insieme da giovani alle varie feste scolastiche. Solo che nessuno di questi era sposato, godevano tutti della massima libertà, cosa che Chris non aveva, trovandosi con una moglie e un figlio di tre anni. E ha cominciato a sentirsi in galera, usciva sempre più spesso, stava via un paio di giorni ogni tanto quando suonavano in Inghilterra, poi non ha retto più ed è andato via.” “E tu? Come hai reagito?” “I primi tempi sinceramente ero incazzata nera, poi mi sono resa conto che, piuttosto che avere un marito che c’è e non c’è, 36


su cui non puoi fare affidamento, meglio rimanere soli. E ho cominciato a contare solo su me stessa e sulle mie forze. E, devo dire, ce l’ho fatta.” “Non avevo dubbi…” commentò Andrew. “Oh, io sì, invece. Ne ho avuti molti, moltissimi. Ma piano piano mi sono abituata. L’unico lato negativo sono state le litigate per l’affidamento di Nicholas.” “E’ stato così brutto?” “Un po’. Voleva l’affidamento congiunto. Ma questo significava che se lo voleva portare in Inghilterra durante i week-end che gli spettavano, dovevo lasciarglielo fare. Nicholas aveva solo quattro anni, e non avevo intenzione di lasciarlo andare così lontano tutte le volte che suo padre lo voleva. Così, dopo una serie di lettere minacciose da parte di entrambi gli avvocati e un paio di udienze in tribunale, il giudice l’ha affidato a me, e ha obbligato Christopher ad avere un posto fisso a Edimburgo, dove passare i week-end con nostro figlio. E vacanze all’interno della Scozia. Ora è sul Ben Nevis. Ho accettato, perché in fondo, e questo devo sinceramente ammetterlo, non mi ha mai comunque dato motivo di dubitare delle sue capacità di padre. E Nicholas è felice con lui. Quindi… eccomi sola a Natale.” “Sono veramente dispiaciuto di tutto quello che ti è successo, davvero. Avrei voluto starti vicino, ma…” iniziò Andrew. “Lascia perdere questi discorsi, Andrew, ti prego. Non sarebbe cambiato niente. Non eri la persona giusta per starmi vicino in quei momenti.” ammise Elaine. “Elaine, vogliamo parlare dell’ultima volta che ci siamo visti? Dell’episodio che mi hai buttato addosso con tanto disprezzo quando ci siamo visti a scuola?” Elaine abbassò gli occhi un po’ in imbarazzo. Non avrebbe voluto ancora affrontare quell’argomento, ma non c’era modo di scappare. Per fortuna arrivò il cameriere a 37


ritirare i piatti vuoti, e furono distratti dall’ordinazione del dolce: una fetta di torta al rabarbaro per Elaine e il pudding di Natale per Andrew. Poi, purtroppo, Andrew ritornò sull’argomento. “Quando eri venuta quel giorno ad Inverness, ero rimasto sconvolto. Non potevo più capire niente, Elaine. Ti eri sposata con Christopher, sembravi felice, stavo cercando di fare il possibile per dimenticarti. E poi ti presenti da me annunciandomi che eri incinta. Ti rifaccio la stessa domanda dell’altro giorno: cosa avrei dovuto fare o dirti? Ti prego, rispondimi sinceramente: cosa ti aspettavi da me, quel giorno?” Andrew cercò i suoi occhi, nei quali fissò il suo sguardo penetrante. Elaine tentennò molto, prima di iniziare a parlare. “Vogliamo fare un passo indietro, rispetto a quel giorno, Andrew?” gli chiese. “Tutto quello che vuoi, basta che mi fai capire.” accettò lui. “Dopo che mi ero sposata, non c’eravamo più visti, vero?” “Vero. Tranne …” “Esatto, tranne una volta, in cui avevamo ceduto alla tentazione e ci eravamo visti a Dunkeld, per quella che avevamo giurato a noi stessi sarebbe stata l’ultima volta per sempre. Te lo ricordi, vero?” “Come se fosse ieri. Ricordo perfettamente tutti i particolari e quanto ero stato male dopo.” confessò lui. “Un po’ perché mi sembrava di averti costretto a tradire tuo marito, un po’ perché la decisione di non vederci più era stata una botta mortale, per me.” Elaine non commentò le parole di Andrew, ma proseguì con il suo discorso. Voleva portarlo alla comprensione, senza dirglielo direttamente. “Ti ricordi quanto tempo prima era successo? Intendo, prima che io venissi a Inverness.” 38


“Veramente, Elaine, era stato un periodo piuttosto confuso, per me… devo dirti sinceramente che non mi ricordo.” “Il nostro incontro a Dunkeld era stato solo, e te lo posso dire con estrema sicurezza, solo venticinque giorni prima.” Ancora una volta si fermò di parlare, e attese che Andrew ragionasse sull’informazione che gli aveva dato. “Non mi sembrava passato così poco tempo…” disse Andrew, che stava forse arrivando alla conclusione. “Invece sì, Andrew, solo venticinque giorni.” Elaine rimase in attesa, guardandolo senza mai abbassare gli occhi. “Venticinque giorni….” una lunga pausa, poi negli occhi di Andrew apparve la comprensione. “Dio, Elaine, avevi pensato che potesse essere mio figlio!” Andrew appariva profondamente scosso da quella rivelazione. “Già, proprio così. Se no, perché sarei venuta da te? Ma tu sembravi non capire, mi avevi trattata con una freddezza inaudita.” ricordò lei. “Certo che sì, Elaine. Avevamo deciso di non vederci più, e invece eri riapparsa, rovinando tutto il lavoro mentale e psicologico che avevo fatto per cercare di dimenticarti … sinceramente ti avevo odiata, e credo che sia stato questo sentimento che mi impedì di capire il vero motivo della tua visita. Dio, come mi dispiace, perdonami, se puoi.” le prese una mano e gliela strinse forte. Elaine lo guardò, e finalmente, dopo aver sentito e capito quanto Andrew fosse sconvolto quel giorno, lo perdonò. “E’ anche un po’ colpa mia, Andrew. Non ero stata molto esplicita nell’esporti i fatti, e, non sapendo quanto stessi male tu, perché ero preoccupata solo di quanto stessi male io, ho finito per peggiorare le cose. Anch’io ti ho odiato, quel giorno. Moltissimo. E per molti giorni a venire.” 39


Rimasero un bel po’ in silenzio, ognuno perso nei propri pensieri e nelle proprie riflessioni. “E Nicholas … è …” Andrew aveva quasi paura a chiedere. “Tranquillo. E’ inesorabilmente figlio di Christopher. Certo, è stato un pensiero che mi ha massacrato il cervello per nove mesi, finché il giorno della sua nascita non vidi con i miei occhi che era la fotocopia di mio marito. Puoi tirare un respiro di sollievo, Andrew.” Elaine sorrise. Ma Andrew era rimasto molto pensieroso. “Usciamo da qui, Lennie, sto soffocando.” disse Andrew, facendo cenno al cameriere, per il conto. Dopo aver pagato, uscirono nella fredda aria di Stirling e raggiunsero l’auto, parcheggiata non molto lontano. Appena saliti, Andrew la guardò e le disse: “So che fa freddo, ma mi sembra che siamo coperti entrambi molto bene. Ti spiace se andiamo al castello a camminare un po’? Devo dirti anch’io delle cose, Elaine, ma la mia testa ha bisogno di aria.” Elaine gli sorrise. Era la sera delle grandi rivelazioni, dei sospesi che non dovevano più essere tali, del cambiamento. “Andrew, vai dove vuoi. E’ la sera di Natale, stiamo parlando di cose che non possiamo più tenerci dentro, siamo insieme, cosa potrei volere di più? Forza, al castello!”

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La sera era veramente fredda, ma Elaine, sottobraccio ad Andrew, non sembrava nemmeno accorgersene. Era il turno di Andrew, per il racconto degli anni passati senza vedersi. “Comunque,” stava dicendo “se quel giorno, a scuola, avessimo scommesso su una tua probabile relazione con Christopher, avrei vinto alla grande.” “Bella roba.” ribatté Elaine. “Non dire così. Lo amavi, quando l’hai sposato. Me l’avevi detto.” “Ti avevo detto ben altre parole, Andrew. Ti avevo detto che, tutto sommato, era il meno peggio che mi fosse capitato. Avevo imparato a volergli molto bene, ma, amare, è un altra cosa. Io lo so bene.” Camminavano pigramente uno a fianco dell’altra, sotto l’imponenza del castello di Stirling, parlando con calma, con sincerità, come non avevano mai fatto nemmeno quando la loro storia era cominciata, dodici anni prima. “Presumo che il sentimento che sentivo dentro di me fosse la gelosia. Non potevo pensarti con lui. Ecco perché, anche se molto soddisfacenti a livello ‘lavorativo’, sono stati degli anni un po’ confusi per me. Lavoravo come un forsennato, mi ero buttato in mille impegni anche con la diocesi di Aberdeen e 41


ricordo di non aver mai avuto molto tempo libero per pensare. Ed è così che le ‘alte sfere del clero’ –come le chiameresti tumi hanno notato e sono finito all’Arcidiocesi di Glasgow, circa due anni fa.” “E’ già così tanto, che sei tornato al sud?” chiese Elaine stupita. “Già, e durante quest’anno sono anche stato tre o quattro volte a Broxburn, senza mai il coraggio di venire da te. Ecco perché sapevo già che eri la nuova direttrice della Queen Mary’s.” confessò Andrew. “Quindi sei andato in giro a chiedere informazioni su di me!” esclamò stupita Elaine. “Sì, con molto tatto, naturalmente. Ma lo stesso Padre James era molto ben informato. Gli stai molto a cuore. Gli stanno molto a cuore i ‘suoi’ matrimoni malriusciti…” le rivelò Andrew. Nessuno dei due parlò per molto tempo. “Adesso che ci siamo detti quello che abbiamo fatto ‘materialmente’ in questi anni, possiamo passare ad un altro tipo di domande?” chiese poi Elaine. “E che cosa vorresti sapere, di preciso?” le domandò Andrew, con uno strano sorrisetto sulle labbra, mezze coperte dalla sciarpa. “Di preciso, proprio non lo so, però…” iniziò Elaine. “Avanti, dai, chiedimi quello che vuoi.” “Ecco … io… volevo sapere una cosa, ma non oso chiedertela.” “Ti ho detto di chiedermi quello che vuoi, Elaine, tutto quello che vuoi. Risponderò sinceramente a tutto.” Elaine si fermò di camminare e lo guardò intensamente. “Hai avuto qualcun’altra?” le parole le erano uscite dalla bocca molto velocemente, quasi ne avesse vergogna. Andrew si mise a ridere. 42


“Che domanda stupida, Elaine! Speravo in qualcosa di meglio.” “Non è stupida, e tu rispondimi.” “No. Era già stato un problema con te, ti pare che mi sarei buttato allegramente in un’altra storia? E poi, non è questo il motivo. La risposta è no. No.” disse Andrew. “Ero stata solo un problema?” “Certo che no, Elaine. Ma, mi spieghi dove vuoi andare a parare?” “Ti ho fatto una domanda, e vorrei la verità, come risposta. No, perché ero già stata io un problema o no perché … perché non lo so, io, dimmelo tu.” “Perché non avrei mai potuto amare nessun’altra, Elaine, nessun’altra.” confessò Andrew. “E io invece, come una stronza di prima categoria, mi sono buttata tra le braccia di un altro.” disse Elaine, con uno strano tremore nella voce. “Sono io che ho fatto voto di celibato, ricordi?” Andrew cercava di tenere un tono allegro, intuendo il problema di Elaine. “E’ come se ti avessi tradito, Andrew.” finalmente lo disse, perché era quello che pensava veramente, anche se la ragione le diceva che non era così. “Non pensare mai una cosa del genere. Ero io a essere egoista, pensando che tu potessi aspettare i miei comodi…” “No…” “Lasciami andare avanti, per piacere. Sarebbe stato molto disonesto, da parte mia. Tu eri sola, e aspettavi solo le mie chiamate per avere un po’ di felicità. Ma ti rendi conto? Che razza di egoista ero, a pensare di poter portare avanti una storia con queste basi? No, non poteva essere, Elaine, non poteva proprio. Quindi ti ho lasciata andare per la tua strada, bella o brutta, giusta o sbagliata che fosse.” 43


“E non avremmo potuto rimanere in contatto, rimanere amici?” chiese a mezza voce Elaine. “Secondo te, un amore come il nostro, avrebbe potuto trasformarsi in una semplice amicizia?” chiese lui sinceramente. “Avremmo potuto provare.” disse lei, ma poco convinta, in verità. Andrew scuoteva la testa. “Potremmo provare adesso…” aggiunse Elaine. Ma lui non rispose. Si staccò da lei e si mise a camminare un po’ scostato. “Andrew, parla ti prego, dì qualcosa.” disse lei allungando il passo per raggiungerlo. “Andrew, fermati. Dimmi cos’ hai.” Finalmente si fermò. Ma ancora non la guardava. “E se noi decidessimo di essere amici, quanto tempo resisteremmo?” chiese poi “Quanto tempo resisteremmo, dimmelo onestamente, Elaine.” “Quanto tempo resisterebbe la nostra amicizia? Forse per sempre.” disse Elaine. Andrew la prese per le braccia. “No, proprio non hai capito. Perché sei uscita con me stasera? Sinceramente, Elaine.” “Perché sentivo di dover chiarire molte cose.” rispose lei. “Solo per quello?” insistette lui, ma rimase senza risposta. “Per me non è cambiato niente, da dodici anni fa. Niente.” disse poi. Elaine rimase a guardarlo, senza riuscire a parlare, senza riuscire a dirgli che per lei era la stessa cosa. Aveva troppa paura di soffrire ancora. Ma il viso di Andrew si stava pericolosamente avvicinando al suo, e, senza veramente capire quello che stava succedendo, si ritrovò a ricambiare un lievissimo bacio di Andrew. 44


Pensò che lui non l’aveva mai baciata così timorosamente e timidamente: no, Andrew era stato sempre molto passionale, impetuoso. Ma quel bacio leggero era forse il più sensuale che Elaine avesse mai ricevuto da lui. E ne rimase molto turbata. “Riportami a casa, Andrew.” Fu l’unica cosa che riuscì razionalmente a dire.

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9 Il tragitto di ritorno da Stirling fu percorso abbastanza velocemente: era la sera di Natale e tutti erano sicuramente chiusi nelle case a finire i festeggiamenti, a fare i soliti giochi di società o intenti a guardare qualcuno dei soliti film per famiglia tipici della serata. Per Elaine ed Andrew, il tempo sembrò dilatarsi. Nessuno dei due parlò per tutte le trenta miglia che li separavano da Broxburn: pensieri veloci fluivano nelle loro menti, e nessuno dei due seppe mai cosa pensava veramente l’altro, ma non c’era bisogno di molto, per capirlo. Sulle labbra di Elaine bruciava il bacio di Andrew. Nella testa di Andrew nasceva l’embrione di un pensiero che lo avrebbe tormentato per molti giorni a venire; continuava a ripensare a quello che gli aveva detto Elaine al ristorante: quell’ultimo giorno che si erano visti, otto anni prima, lei pensava di portare dentro di sé suo figlio. Poi, quasi senza accorgersene, arrivarono davanti alla casa di Elaine, ed entrambi si tolsero dalle loro meditazioni. Andrew fermò l’auto ma Elaine non fece cenno di scendere, aspettando una mossa di Andrew, che, con gli occhi chiusi, aveva appoggiato la testa al sedile, respirando un po’ a fatica, come se ogni tanto perdesse un alito o un battito di cuore. Poi, senza cambiare posizione e senza guardarla, disse: “Ti ho riportata a casa, Lennie, come mi avevi chiesto.” 46


Lei gli prese la mano e gliela strinse, e finalmente lui si mosse e la guardò. Elaine sentì che si stava perdendo di nuovo nei suoi occhi. “Baciami ancora, Andrew.” gli disse. “No, non qua fuori. Non è molto tardi, ci sono ancora luci accese tra le altre case. Non ho mai fatto una cosa così stupida dodici anni fa e non ho intenzione di farla adesso.” Ma il suo sguardo era molto eloquente e diceva tutto senza dire niente. Elaine non sapeva davvero cosa lui si aspettasse di sentirsi dire, se un ciao oppure… Decise di essere schietta. “Vuoi solo che ti saluti, Andrew, o stai aspettando altro?” “Questa volta sarai tu a decidere, Lennie. Dodici anni fa avevo, come dire, incominciato io. Ora, mi spiace, ma non ho più il coraggio di farlo. Mi sembra di averti già fatto abbastanza male, negli ultimi otto anni. Non ti forzerò più a nessun tipo di decisione.” disse lui, a bassa voce. “E io non ho ancora capito se questo è il seguito di un sogno o un incubo…” “Se mi dirai che è un incubo, sparirò di nuovo dalla tua vita. Gli incubi portano solo tormenti e angosce.” affermò lui. “Lasciami finire, ti prego. Questa mattina pensavo a un Natale solitario, tra un panino, un libro e la televisione. E facevo finta che fosse un Natale che volevo passare così. Poi si è trasformato in un Natale che anni fa avrei sognato di avere tutti gli anni. Sono qui, divorziata, senza mio figlio, sola. Come faccio a capire se il mio desiderio di dirti ‘entra’ non sia dettato da questa solitudine?” gli chiese Elaine. “E chi ha mai detto che il bisogno di non sentirsi soli non sia qualcosa di lecito?”

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Andrew non le stava imponendo la sua presenza, ma le stava certo facendo capire molte cose, anche senza dire troppe parole. Finalmente Elaine si decise. “Vuoi entrare, Andrew?” gli chiese. “Sì, Elaine, lo vorrei davvero tanto.” rispose lui, annuendo. Sapevano cosa implicava quella decisione, lo sapevano benissimo, ma ancora una volta decisero di percorrere almeno una volta quella strada. Una volta chiusa la porta, ci fu un certo imbarazzo e molta esitazione. Si tolsero le bardature invernali e si accomodarono in salotto. Fecero gesti che dodici anni prima erano stati abituali, dentro le mura di quella casa: lui si sedette sulla poltrona, Elaine si avvicinò al piccolo mobile bar per prendergli qualcosa da bere. “Sempre scotch, Andrew?” domandò Elaine, già sapendo la risposta. “Sì, sempre scotch, grazie.” disse Andrew, prendendo poi il bicchiere che Elaine gli porse. I silenzi cominciavano a diventare un po’ troppi, e un po’ troppo pesanti. “Non giriamoci in giro, Elaine. Voglio essere sincero, con te. Non ti ho invitato a cena per finire a letto con te. Puoi non credermi, ma è proprio una cosa che non avevo preso in considerazione.” disse lui, cercando di farle ben capire che era la verità. “Non l’ho pensato, davvero. Non l’ho pensato nemmeno quando mi hai baciata, prima, al castello.” lo rassicurò lei, sedendosi sul bracciolo del divano, forse un po’ troppo rigidamente. “Ma ti devo anche dire che questa possibilità si è impossessata della mia mente mentre tornavamo qui. Ripensavo ad altri viaggi e ad altri ritorni. Il problema grosso, sai qual è, Lennie?” 48


“Qual è?” “E’ che, anche se ho cercato di dimenticare, in realtà non sono riuscito a farlo. Anzi, non ho voluto farlo. Mi sono limitato a mettere tutto in una parte segreta della mia testa, che ogni tanto aprivo, per tirare fuori qualche passaggio e sentirmi ancora con te. Ma stasera, mentre ti riportavo a casa, è uscito tutto. Nel tragitto Stirling-Broxburn ho rivissuto tutto.” le confessò lui. “E allora, se dobbiamo essere sinceri fino in fondo, io avevo già lasciato uscire tutto questa notte. E non solo ho lasciato affiorare tutti i ricordi, ma li ho vissuti con le stesse identiche emozioni.” gli disse Elaine. Ancora silenzio, gli sguardi bastavano. “Vieni qui, Elaine. Ti devo dare il bacio che mi hai chiesto poco fa in macchina.” Andrew le tese le braccia e lei non se lo fece ripetere due volte. Voleva quel bacio più della vita stessa. E ai baci seguirono le carezze, sempre più profonde, sempre più intime. Non si spostarono dal salotto: era bello pensare di fare ancora l’amore così, dove capitava, nessuno di loro voleva un posto diverso da dove si trovavano. Non era importante dove fossero, l’importante era ancora la loro passione, che non era cambiata, il loro modo di fare l’amore, che non era cambiato: sapevano ancora bene cosa avrebbe fatto più piacere all’uno o all’altra, sapevano quali parole dire e quali gesti fare, quando aspettare e quando continuare. Dodici anni furono fatti sparire in quella mezz’ora di amore ritrovato, di amore mai dimenticato, di amore mai diminuito, di dolcezza infinita. Rimasero abbracciati a lungo: nessuno dei due disse ‘ti amo’, forse non era necessario, forse non era ancora ora di dirlo di nuovo. 49


Poi, come tutte le altre volte, venne l’ora di lasciarsi. Fu inevitabile, ma non fu difficile, quella sera. Ed Elaine rimase ancora sola.

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10 Anche la mattina dopo Natale, Elaine fu svegliata dalla telefonata di Nicholas. Ma questa volta non erano le sette e mezzo, bensì le dieci. Aveva dormito bene, come non faceva da anni. Mentre chiacchierava col figlio, sempre pieno di novità da raccontare, si sentiva rilassata e felice. Nick le raccontò delle sfide fatte col papà alla Playstation, del pranzo di Natale all’hotel, con un pudding quasi più buono di quello della nonna, del pomeriggio sulla neve e della serata al cinema. Elaine si rilassò ulteriormente, sentendolo così felice di stare col papà, e tutto sembrava procedere a meraviglia. Anche quando Nick le passò Christopher, lui le assicurò che andava tutto bene. Rimase un po’ titubante quando Chris le chiese cosa avesse fatto il giorno prima, e lei tirò in ballo una cena a casa di Janet, in mezzo ai parenti dell’amica. Ma non si sentì in colpa per avergli mentito, proprio per niente: infatti non era certo più a lui che doveva rendere conto delle sue azioni. Dopo la telefonata, la prima cosa che fece fu accendere il cellulare, dove trovò subito un messaggio di Andrew: ‘Ho passato ore indimenticabili.’ Tutto qui, poche parole, ma con tantissimo significato. Elaine si sentiva al settimo cielo, quella mattina. Non aveva quasi voglia di alzarsi, era così piacevole rimanere nel caldo del letto, a ricordare tutti i momenti della sera prima: 51


la cena, la passeggiata al castello di Stirling, il ritorno a casa, l’ora in cui avevano fatto l’amore. In piena notte aveva mandato un sms a Janet, per farle sapere com’era andata la serata, come le aveva promesso al telefono la mattina. Aveva digitato uno degli acronimi che spesso usavano loro due, per abbreviare le loro comunicazioni veloci: O.O.P.. Elaine rise. Sapeva già come avrebbe reagito Janet. Decise di alzarsi, per iniziare un’altra pigra e lenta giornata, tutta per lei e per i suoi sogni. Che bello ricominciare a sognare e non sentirsi più aridi come negli ultimi anni! Non passò mezz’ora che il telefono squillò di nuovo: magari era Andrew… no, più probabile Janet, si disse. E, infatti, indovinò, ma era il figlio, Josh. “Ciao, zia Elaine! Come stai?” le chiese allegramente. “Bene, tesoro, e tu?” chiese, e stette poi dei bei dieci minuti ad ascoltare l’elenco dei regali ricevuti da Babbo Natale, con dovizia di particolari, proprio come aveva fatto Nicholas la mattina precedente. Nick e Josh erano grandi amici: ogni tanto Josh si fermava anche a dormire da loro, come del resto faceva Nicholas da Josh. Elaine e Janet parlavano di figli ‘in comune’, ormai. Poi il bambino le passò la mamma. “Che cosa vogliamo intendere con Oltre Ogni Previsione?” le chiese senza nemmeno salutarla e facendola scoppiare a ridere. “O santo cielo, Elaine, stai anche ridendo come una pazza…” aggiunse Janet facendo finta di essere preoccupata. O non fingeva? “Vogliamo intendere esattamente Oltre Ogni Previsione. Chi c’è da te a pranzo, oggi?” chiese Elaine. “Nessuno, ma io vorrei capire…” “Allora invita me.” propose Elaine. “Oddio, vuoi anche uscire dall’isolamento? Tutto mi sembra Oltre Ogni Previsione, a questo punto.” 52


Forse Janet non stava facendo finta di essere preoccupata, lo era veramente. “Allora, m’inviti o no?” “Certo che t’invito Elaine, ti invito O.O.P., che diamine: e cerca di arrivare presto, perché anche se abbiamo gli avanzi del tacchino, ci sono un sacco di cose da fare in cucina e ho bisogno di aiuto.” Finalmente Janet aveva capito che Elaine voleva una chiacchierata faccia a faccia, come facevano sempre quando si affaccendavano in cucina. Rimasero d’accordo di vedersi un’ora più tardi. A questo punto, Elaine avrebbe tanto voluto sentire la voce di Andrew, ma non osava chiamarlo. La sera prima le aveva raccontato di essere a Broxburn per accompagnare una delegazione di sacerdoti francesi in visita pastorale, e non voleva certo metterlo in imbarazzo facendo suonare inopportunamente il cellulare. Però un sms poteva inviarlo. Gli scrisse che dopo un’ora sarebbe andata da Janet, ma lui poteva chiamarla in qualsiasi momento. E gli confermò quanto era stata bella anche per lei la serata. Ah, che meraviglia la tecnologia: fossero esistiti i cellulari con gli sms dodici anni prima, molto probabilmente ne avrebbero ‘bruciati’ un paio! Decise di farsi un buon tè caldo, e mentre lo sorseggiava tranquillamente seduta sul divano, lui la chiamò. “Ehi, che velocità! Ciao!” lo salutò spensieratamente Elaine. “Ciao!” Andrew ricambiò il saluto di Elaine altrettanto serenamente. “Cosa stai facendo di bello?” le chiese poi. “Mi sono appena alzata, ho ricevuto la telefonata di mio figlio, sono stata invitata a pranzo da Janet e adesso sto bevendo un tè 53


sul divano dove ieri sera abbiamo fatto l’amore.” gli disse, sorridendo. “Oh, che meraviglia, cosa si potrebbe volere di più dalla vita, oggi?” domandò Andrew, mettendosi a ridere. “Niente, per adesso… magari prima di sera o stasera mi piacerebbe vedere un uomo molto affascinante, probabilmente lo stesso che era su questo divano una decina di ore fa. La cosa renderebbe la giornata perfetta.” propose Elaine, trovando un modo alternativo di chiederlo. “Se chi me lo chiede, è la stessa meravigliosa donna che ho portato a cena ieri sera, non posso far altro che dire di sì.” accettò lui allo stesso modo. “Davvero? Non ti metto nei casini?” si preoccupò lei. “Devi sapere una cosa: il beneficio di fare carriera, è che, nelle parrocchie come la St. John di Broxburn, divento automaticamente il capo, anche se sono solo ospite, e il bello è che non devo rendere conto a nessuno dei miei movimenti.” La rivelazione di Andrew esaltò Elaine, ancora abituata a dodici anni prima, quando lui doveva sempre passare tra le domande di Padre James, prima di spostarsi in qualunque luogo. “Spettacolare, questa cosa! Quindi?” “Quindi lasciami cenare con i francesi e poi arrivo, per le nove, credo.” confermò Andrew. “Perfetto! Serata natalizia?” “Cosa intendiamo per serata natalizia? Vuoi che cantiamo le carole?” chiese divertito Andrew. “Magari!... No, scherzo. Intendo albero e luci fuori accese, forse un bel film, un bicchierino di eggnog, biscotti al cioccolato… una cosa così, insomma. Che te ne pare?” chiese Elaine, non sapendo se lui avrebbe accettato una serata così casalinga. 54


“Direi che è una fantastica prospettiva. Sto già stramaledicendo i francesi per la cena, anzi credo che oggi li tratterò malissimo tutto il giorno. Già sono francesi e mi stanno sulle palle, in più mi priveranno di qualche ora che avrei potuto sfruttare meglio.” scherzò Andrew. “Usa la tua arma migliore, Andrew: la storia. Comincia a ricordare loro dettagliatamente tutte le guerre con la Francia, dal Medioevo in poi, con dovizia di particolari. Vedrai che ti lasceranno andare prima di essere costretti a farsi una dose di qualcosa di pesante per sopravvivere!” Risero entrambi all’idea di Elaine, poi si salutarono. Elaine respirò a fondo: l’attendeva un’altra giornata piena di sorprese.

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11 “Ma lui cosa fa, esattamente, a Glasgow?” Janet, sempre molto curiosa, stava chiedendo informazioni approfondite del nuovo incarico di Andrew. “Sai che non sono molto brava a capire gli intrallazzi del clero, comunque credo di aver capito che segue i contatti con l’estero e, se non ho capito male, ha anche qualcosa a che fare con la Mungo Foundation.” rispose Elaine. Kevin e Josh erano usciti a fare una passeggiata per collaudare la nuova bicicletta portata da Babbo Natale, e le due amiche erano in cucina a preparare il pranzo. In realtà era tutto pronto, e Janet stava semplicemente ascoltando il resoconto della cena con Andrew. “Quindi, vi siete raccontati otto anni di vita, bla bla bla, avete mangiato bene, gnam gnam gnam, ed è stato tutto molto rilassante e piacevole. Poi?” Si capiva che Janet puntava a qualche cosa di più interessante. “Poi gli ho spiegato il vero motivo della mia visita a Inverness, otto anni fa. E le cose sono leggermente cambiate.” continuò Elaine. “Gli hai detto che pensavi che il bambino fosse suo?” Janet sapeva tutto, naturalmente: aveva ‘coperto’ Elaine durante la fuga dell’ultimo incontro a Dunkeld e il veloce e disastroso viaggio a Inverness. 56


“Certo che gliel’ho detto. Era basilare: solo dicendogli la verità avremmo potuto chiarire poi tutti i successivi anni di silenzio.” disse Elaine. “E come l’ha presa?” si informò Janet. “Eh, mi piacerebbe saperlo. La reazione è stata forte, nel senso che è rimasto a bocca aperta per almeno un intero minuto. Poi è diventato molto ansioso quando mi ha chiesto chi veramente fosse il padre di Nick. E quando gli ho detto che è figlio di Chris…” Elaine lasciò in sospeso la frase, anche perché non sapeva andare avanti con precisione. “Avrà tirato un sospiro di sollievo, credo.” finì Janet. “No, in realtà no. Non ha fatto nessun tipo di commento. E’ diventato molto pensieroso e taciturno, poi mi ha chiesto se potevamo uscire dal ristorante perché si sentiva soffocare. E siamo andati al castello a passeggiare.” disse Elaine. “E non siete più tornati sull’argomento.” “No. Neanche per sbaglio o involontariamente.” confermò Elaine. “Per me è rimasto sconvolto. Sarà stata sicuramente l’ultima cosa che si sarebbe aspettato di sentirti dire, al di là di ogni sua possibile immaginazione, credo.” disse Janet. “Sì, è vero, però è anche vero che la reazione più brutta l’ha avuta quando gli ho detto che Nick non è suo figlio…” continuò Elaine. “Mi vorresti dire che hai pensato che l’idea di avere un figlio tuo gli potesse piacere? Dai, Elaine, non essere assurda. E’ un sacerdote, per lui sarebbe stata una catastrofe!” dichiarò Janet. “Eppure…” Elaine era davvero convinta che Andrew per un momento avesse accarezzato l’idea di essere padre. Ma forse era stata la serata romantica che l’aveva portata ad immaginare tutto. “No, no,” ribadì Janet “non andare a pensare queste cose, Elaine, stai fantasticando troppo. Comunque: passeggiata al 57


castello e poi? Avanti, Elaine, manca il pezzo cruciale della storia, secondo me.” affermò Janet. “Cosa te lo fa credere?” chiese Elaine. “Stamattina al telefono avevi una voce squillante che già faceva capire molte cose. Poi ti ho vista apparire nel massimo dello splendore, cosa che non vedevo da anni: un viso rilassato, un vero sorriso stampato sulla bocca e non quello di circostanza che hai usato negli ultimi tempi, e, cosa peggiore, sguardo luminoso. Che cosa è successo dopo la passeggiata al castello?” Era ormai chiaro che Janet aveva capito molto, ma aspettava che fosse l’amica a dirglielo. “Dunque, verso la fine della passeggiata mi ha baciata..” “Aha!! Lo sapevo!! Non poteva che essere così.” disse trionfante Janet. “Già, un bacio lievissimo e molto sensuale, che mi ha stranamente sconvolta, così gli ho detto di riportarmi a casa, cosa che ha prontamente fatto. E per tutto il viaggio di ritorno non abbiamo emesso una sola parola.” proseguì Elaine. “Oh Lennie, cavolo, lui ti dà un bacio meraviglioso e tu, l’unica cosa che riesci a spiattellare è ‘riportami a casa’????” Janet era incredula “Ma come hai potuto? Va bene che non fai sesso da molto tempo, ma non potevi dire qualcosa di diverso, qualcosa di un po’ più intelligente?” Janet si era messa le mani tra i capelli, fingendosi disperata. “Posso correggerti?” chiese Elaine cercando di rimanere seria. “Correggimi tutto quello che vuoi, ma ti sto solo dicendo la verità.” “Sì, vero. Volevo correggere solo un pezzo della tua frase. Perché preferirei che tu dicessi” e a questo punto Elaine guardò l’orologio “‘non fai sesso da dodici ore’, e non ‘da molto tempo’.” 58


Janet si alzò in piedi di scatto, facendo quasi volare la sedia a gambe all’aria. “Ci sei andata a letto?” Elaine pensò che per fortuna Kevin e Josh fossero fuori, se no sarebbero accorsi in cucina preoccupati, dal tanto che aveva alzato la voce Janet. “L’avete veramente fatto? E dove ti ha portata quel disgraziato? Ma non potevate aspettare un po’, dico io? No, solo poche ore dopo esservi rivisti!” le domande di Janet erano incalzanti. Guardava l’amica, attonita e incredula che la situazione si fosse evoluta così velocemente. “Sì, Janet, l’ho veramente fatto e mi ha portata sul divano del mio salotto. E no, non potevamo aspettare un minuto di più.” dichiarò tranquillamente Elaine. “…sul divano di casa tua… ce l’hai portato tu, accidenti, Elaine!” Come sempre, dopo essersi guardate per qualche secondo, scoppiarono entrambe a ridere. “Sono felicissima di averlo fatto, Janet. Felicissima.” le confessò Elaine. “Dio, che situazione assurda!” disse poi Janet. “E adesso?” fu la lecita domanda che le uscì di bocca. “Non ho intenzione di rispondere, perché non ne ho la più pallida idea. Non sapevo dove mi avrebbe portato una storia così dodici anni fa, e non lo so nemmeno adesso. So solo che ora non è lui la mia priorità, perché ho prima di tutto un figlio da crescere. Quindi sicuramente, oggi, dovrò vivere questa cosa giorno per giorno, con molta calma e molto meno coinvolta.” affermò Elaine. “Oh, spero proprio che tu lo faccia, qualcosa di diverso sarebbe veramente troppo, dopo quello che hai passato…” ammise Janet. 59


“E poi, davvero, non voglio nemmeno guardare avanti.” aggiunse Elaine. “Per ora so solo che ci aspetta una serata natalizia a base di eggnog, biscotti al cioccolato e un bel film rilassante.” “Oddio, siamo già passati al livello della tranquilla serata tipo sposini?” “Lasciami sognare, Janet, lasciami sognare. Forse un po’ me lo merito, no?” chiese Elaine retoricamente. “E’ vero. Ma stacci attenta, molto attenta, Lennie. Le mie spalle per piangerci sopra sono sempre pronte, ma comincio ad accusare un po’ di artrite, dopo tutte le tue lacrime…” scherzò Janet. “Comunque, hai detto eggnog? Guarda caso volevo prepararne anch’io un bidoncino… ci mettiamo all’opera?” Intanto sentirono Kevin e Josh rientrare in casa. Il bambino corse tra le braccia di Elaine, che, sentendo molto la mancanza di Nicholas, lo coccolò molto. E tra la preparazione dell’eggnog, il pranzo, un po’ di chiacchiere e risate, giunse presto l’ora del rientro a casa, e dell’attesa dell’arrivo di Andrew.

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12 Le luci di Natale erano tutte accese, sul tavolino del salotto era appoggiato un vassoio con biscotti al cioccolato e una piccola caraffa di eggnog, che un’ora prima era piena, ora quasi vuota, e la videocassetta del film che avevano appena finito di vedere. Andrew era arrivato prima delle nove, contento di essersi liberato in fretta dei sacerdoti francesi: rivelò a Elaine di aver veramente adottato la tecnica proposta da lei; i francesi avevano ceduto già a metà Guerra dei Cent’anni, tanto Andrew aveva riempito il racconto di particolari, alcuni, confessò, inventati di sana pianta. Ma l’esperto di storia era lui, poteva permettersi qualsiasi cosa. Questo divertente racconto li aveva messi immediatamente a loro agio, e la serata era proseguita molto serenamente. Andrew aveva apprezzato molto l’eggnog di Elaine, fatto con lo scotch anziché il rhum, aveva fatto onore ai biscotti al cioccolato, e insieme avevano riso durante il film comico che avevano scelto insieme di vedere. Ora erano comodamente sdraiati sul divano di Elaine, ognuno dalla propria parte ma con le gambe intrecciate, guardandosi da lontano e illuminati solo dalle luci dell’albero. Avevano appena finito di ridacchiare ricordando qualche battuta del film appena visto. Elaine diede un leggero calcio a una gamba di Andrew. “E così, visto che non devi più giustificare le tue uscite, cosa hai detto quando te ne sei andato via?” chiese Elaine. 61


“E’ stato bellissimo! Eravamo ancora tutti a tavola, anche se la cena era finita da mezz’ora. Mi sono alzato e ho detto: ‘Signori, mi spiace, ma un impegno urgente mi porta da un’altra parte. Ci vediamo domani mattina.’ Ho salutato educatamente e sono uscito di scena.” spiegò lui. “Fantastico!” commentò Elaine. “Già. Ma in questi momenti la cosa più fantastica è la faccia di Padre James: era troppo abituato a chiedermi dove, come, con chi e perché uscissi, dodici anni fa. Sia ieri sera che stasera, alle mie dipartite, ha fatto delle facce da premio Oscar. Si vede benissimo che avrebbe ancora la voglia pazza di farmi il terzo grado, e il fatto che non ne ha il diritto gli fa diventare le orecchie rosse come dei pomodori troppo maturi.” Andrew rise di gusto. “Ma povero James! Sei malvagio con lui. In fondo ti ha sempre dato molta libertà di movimento.” ricordò Elaine. “Sì, sì, questo è quello che ti ho fatto sempre credere. Mi spiace dirtelo, ma molte volte ho dovuto raccontarti di impegni inesistenti, solo perché lui spesso si lamentava di quanto fossi assente e non osavo dirgli che avevo bisogno di uscire. E quante scuse ho inventato, per poter venire da te!” “Davvero?” Elaine non ci poteva credere. “Davvero. Penso sia stato il periodo in cui ho detto più palle in assoluto.” confessò lui. “Quindi peccavi anche di falsa testimonianza…” “Esatto. Effettivamente era stato un periodo in cui infrangevo molti comandamenti … ma rifarei subito tutto ad occhi chiusi.” disse lui sorridendole. “Scusa, Andrew, se te lo faccio notare … ma mi sembra che lo stai rifacendo … o non eri tu, ieri sera?” Andrew si mise seduto e si versò l’ultimo residuo di eggnog. Porse il bicchierino a Elaine, per farle fare un sorso. 62


“Certo che ero io, e assolutamente ben conscio di quello che stavo facendo.” Era la prima volta che affrontavano il discorso relativo alla sera precedente. “Meno male!” disse Elaine “E io ero io, ben conscia di quello che facevo.” Andrew sollevò il bicchierino, come per fare un brindisi rivolto a Elaine. “E nello splendore dei tuoi quarant’anni!” proclamò, mettendola un po’ in imbarazzo. “Smettila, scemo. In questi dodici anni ho anche fatto un figlio, e lo so di non avere più il fisico di una volta.” “Non preoccuparti, reggi bene… sai, io parlavo d’altro. Sei cambiata, ma più che altro sei cambiata dentro. Hai acquisito qualcosa in più che non saprei proprio come definire. Maturità, forse; un po’ meno slancio ma tanta passione e attenzione in più, fascino, sguardi più profondi. E’ stato incredibile, ieri notte, incredibile.” le disse, guardandola dritta negli occhi. “Beh, se vuoi che io sia sincera, ti dirò che anche tu sei cambiato. Credo proprio che, a questo punto, dobbiamo imputare tutto all’età e al tempo, che ci ha temprato il carattere e il modo di vedere le cose. Il verde dei tuoi occhi sembra quasi più scuro, oggi, come se si fosse gravato di pesi enormi e momenti faticosi, ma davvero,” gli disse Elaine “anch’io penso che sia stato incredibile, quello che è successo ancora tra noi.” Non serviva dire altro. Andrew si risdraiò al suo posto e chiuse gli occhi, ed Elaine rimase a guardarlo: appena arrivato, si era tolto il maglione e le scarpe, si era mosso per la casa in piena libertà, aveva parlato serenamente, si era sentito a proprio agio e l’aveva fatta sentire a proprio agio in ogni situazione, in ogni discorso, in ogni momento. 63


Era una situazione idilliaca che Elaine avrebbe voluto far durare per sempre ma… era passata la mezzanotte…. Elaine diede un buffetto alla gamba di Andrew con il piede. “Ehi, la carrozza si è già trasformata in zucca.” gli disse. Lui aprì solo un occhio e la guardò stranito. “Cosa?” le chiese. “Scusami, con un figlio di otto anni a volte parlo come un cartone animato della Disney.” ridacchiò Elaine “Intendevo dire che è già passata mezzanotte e forse è meglio se vai … non che io lo voglia, chiaro!” “E io non ci penso neanche.” affermò Andrew. “Dai, su, ti stai quasi addormentando…” lo sollecitò lei. “Saresti disposta a svegliarti alle sei?” chiese lui. “Per fare cosa?” “Per svegliare me e mandarmi via in tempo perché nessuno si accorga che non sono rientrato a dormire.” Elaine saltò su seduta con uno scatto repentino. “Sei impazzito? Vorresti stare fuori tutta la notte?” gli chiese incredula. “Ho sonno e qui sto benissimo. Rimango sul divano, non ti preoccupare. Non voglio andare via: domani (anzi, oggi) porterò i francesi a Glasgow dall’arcivescovo, poi tu vai ad Ashlington, e quindi non ci possiamo vedere fino al trenta. Voglio rimanere qui il più possibile. Voglio stare qui a dormire. E intendo proprio a dormire.” puntualizzò Andrew. “Sei sicuro? Non voglio casini, Andrew, già non mi sono mancati, negli ultimi anni. Sei sicuro di quello che stai dicendo? La tua auto è parcheggiata qua fuori…” “La mia auto adesso non la conosce nessuno, grazie al cielo, e non è parcheggiata qua fuori, ma in una strada laterale. In camera mia non controlla nessuno e nessuno sa se ci sono o no fino a domani mattina alle sette quando si fa colazione. Non ti metterei mai nei casini, Lennie, men che meno adesso…” 64


Era strano: era davvero tutto così diverso … o era lui che lo voleva far apparire differente? Come mai non c’era più la paura in Andrew? La paura di essere scoperto, la paura di metterla nei guai, la paura che qualcuno venisse a saperlo, e, soprattutto, dov’era finita quella coscienza che tanto lo tormentava dodici anni prima? Ma la prospettiva che lui si fermasse era molto allettante. “Sicuro?” chiese di nuovo Elaine, scuotendolo un po’ per fargli aprire gli occhi che lui continuava a chiudere. “Sicuro cosa? Di voler rimanere o di voler solo dormire? Perché della prima cosa sono sicuro, della seconda mica tanto, anche se ho già rischiato di addormentarmi tre o quattro volte.” le rispose lui, aprendo gli occhi di solo una fessura. Elaine si lasciò convincere. “Ok, allora, rimani. Ma non sul divano, c’è un letto, qui, ti ricordi?” “Ci hai dormito con Christopher.” disse, forse con una punta di gelosia, rimettendosi a pisolare. “Ma che cavolate spari, per favore! Christopher non dorme più in quel letto da più di cinque anni e non ne sarà rimasta nemmeno una cellula, non fare lo scemo.” disse Elaine tirandolo per un braccio per farlo alzare. “Se vuoi rimanere a dormire, dormirai in un letto, non sul divano come un estraneo, ok?” E fu così che, dopo una serata normale, andarono a dormire nello stesso letto come una coppia normale. E nulla turbò il loro sonno.

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13 Elaine aveva passato i tre giorni più strani degli ultimi tempi. Anzi, a dire la verità, era da Natale che trascorreva giorni strani. Si sentiva come buttata in un’altra dimensione, quasi come se contemporaneamente due Elaine stessero trascorrendo quei giorni. C’era l’Elaine di sempre, triste perché Nicholas non c’era, sempre in attesa delle telefonate del figlio, sempre preoccupata perché stesse bene col padre e non gli succedesse niente durante i pomeriggi nei quali andava a sciare; la stessa Elaine che era andata ad Ashlington a trovare i genitori (ed era anche partita il 27, anziché il 28, quasi ansiosa di vederli), con cui era stata benissimo e aveva fatto lunghe chiacchierate, rendendoli anche molto felici di vederla così rilassata e sorridente. Poi c’era l’altra Elaine: quella che serbava dentro di sé la felicità di aver ritrovato Andrew, la consapevolezza di amarlo ancora, quella che rivolgeva il pensiero a lui e alle ore serene trascorse con lui, mille volte al giorno. Era una Elaine fermamente convinta che l’Andrew ritrovato fosse diverso da quello che conosceva. Andrew era molto consapevole di quello che stava facendo, molto cosciente delle parole che le diceva e sicuro di cosa volesse, oggi. L’aveva capito già nei primi momenti della cena di Natale: Andrew aveva fatto domande precise e ascoltato attentamente 66


quello che lei gli diceva; aveva raccontato molto dettagliatamente la sua vita attuale ed esposto chiaramente il fatto di aver sofferto e non averla mai voluta dimenticare. C’era determinazione in quello che diceva e faceva: il fatto stesso di aver tranquillamente deciso di stare da lei a dormire la notte dopo Natale e di non essersene sentito in colpa, era molto significativo. Quella mattina si erano svegliati prima delle sei: avevano fatto l’amore, poi Andrew era andato via senza angosce, salutandola e dicendole che si sarebbero sentiti nei giorni a venire, in cui non si sarebbero potuti vedere. Dodici anni prima, i distacchi erano sempre stati molto faticosi: c’era sempre la tristezza del lasciarsi, la voglia di essere già un’altra volta insieme, il vuoto. Ora no, ora era come se fosse… cosa? Andrew l’aveva riempita di sms, in quelle giornate. Durante il giorno la teneva informata su che cosa stesse facendo, a volte facendola ridere, quando le diceva quanto stesse diventando sempre più palloso ‘grattarsi’ i francesi, e dei vari modi in cui li avrebbe volentieri eliminati. Di notte erano di un ben altro spessore: le inviava sms pieni di parole dolci e spesso per ribadirle il concetto di quanto la desiderasse e sentisse la sua mancanza. Ma, ecco, c’era il fatto che, ancora, non era stato né pronunciato né digitato un ‘ti amo’, da entrambe le parti. Senza contare il fatto che, puntuale come un orologio, verso le nove arrivava la sua chiamata. Come quella sera. Elaine stava rimettendo in ordine le poche cose portate ad Ashlington, quando sentì il cellulare squillare. “Ciao!” disse appena aperta la comunicazione. “Ciao! Allora? Arrivata a casa?” le chiese Andrew. “Sì, mezz’ora fa. Poco traffico, viaggio indolore.” rispose Elaine. 67


“E sei riuscita a guidare al buio senza traumi? Sei cambiata anche in questo, vedo.” Erano queste cose che rendevano Elaine più felice di qualsiasi altra: il fatto che, ancora oggi, Andrew si ricordasse quanto lei odiasse guidare di sera. “Beh, chiunque altro avrebbe fatto questo viaggio in almeno tre quarti d’ora in meno… sono andata molto piano, ma volevo sfruttare al massimo la giornata coi miei.” disse Elaine. “Comprensibile. Mi piacerebbe conoscere i tuoi, sai?” Elaine guardò il display del cellulare: c’era scritto proprio Andrew…quando mai aveva espresso il desiderio di conoscere i suoi genitori? Rimase perplessa ma non lo diede a vedere. “Chissà, Andrew, che non possa succedere prima o poi. Da quando sono sola, vengono regolarmente su a Broxburn almeno una volta al mese per vedere Nicholas. Credo che arriveranno appena passate le feste. A proposito, i tuoi come stanno?” s’informò lei, accorgendosi che non ne avevano ancora parlato. “Bene, direi. Un po’ di acciacchi per mio padre, ma se la cavano egregiamente. Ann ne ha molta cura, specialmente in questo periodo: è la prima volta che non torno a Dingwall per il Natale. E questo è un altro lato negativo del fare carriera.” rivelò Andrew con un po’ di amarezza. “Ma tu adesso da dove mi chiami?” chiese Elaine. “Sono ancora a Glasgow. I francesi sono partiti stamattina, e sono arrivati degli irlandesi da Dublino.” disse Andrew. “Beh, almeno si parla la stessa lingua. E cosa ce ne facciamo degli irlandesi?” “Li porto domani a Broxburn e poi li spedisco a inizio anno a Edimburgo.” “Ma perché tutta ‘sta gente a Broxburn?” Elaine ascoltò la spiegazione di Andrew, con la mente però rivolta solo al fatto che il giorno dopo sarebbe ritornato anche 68


lui e, forse, si sarebbero visti. Fece finta di capire quello che gli diceva con dei mirati ‘mhm’ detti al momento giusto, ma, in realtà, immaginandosi nel prossimo incontro con Andrew. “E tu domani, cosa fai?” le chiese. “Sono in vacanza, ti ricordi? Domani io e Janet abbiamo intenzione di andare a Edimburgo a fare un po’ di shopping con Josh, così lo togliamo un po’ dalle gambe di Kevin, che non viene mollato nemmeno un attimo, in questi giorni, ed è già esasperato!” “Beh, dai, beato lui che si può godere un po’ suo figlio, in questi giorni!” disse Andrew. “Andrew, dovresti solo provare ad avere un figlio dell’età di Nick o di Josh: dopo una settimana scapperesti a gambe levate, te lo posso assicurare!” “E magari no. Mi piacciono i bambini, lo sai. Preferivo mille volte insegnare a loro alla Queen Mary’s, che poi a quelle teste di cavolo della UHI a Inverness. E poi, oltretutto, se sono figli tuoi…” disse Andrew. “Ti farò conoscere Nicholas, quando torna, e te lo lascerò un giorno dalla mattina alla sera. Poi mi dirai!” propose Elaine, ridendo. “Mi farebbe davvero molto piacere se tu lo facessi.” Che strana voce, pensò Elaine. Era come al ristorante, quando le aveva fatto capire il vero motivo della sua visita di otto anni prima a Inverness. “E, scusa, tu, domani?” chiese quindi, pensando bene di chiudere l’argomento bambini. “Solite cose. Ma una cena con te direi che me la merito, dopo questi giorni di full immersion a Glasgow. Ti va?” propose. “Qui da me?” “Sì, mi farebbe molto piacere. Basta che non sbatti per preparare.” le disse Andrew, accettando. 69


“Infatti non ho intenzione di sbattere, ribadisco il concetto che sono in vacanza. Preparerò una pasta al momento, ok? Per che ora puoi venire?” “Credo verso le sette. Ma ci sentiamo, prima, no?” “Certo, tutte le volte che vuoi. O meglio, che puoi.” “Appena arrivo a Broxburn ti chiamo, così ti confermo l’ora.” la assicurò Andrew. Dopo di che si salutarono. Elaine rimase un po’ di tempo seduta sul letto a pensare. Quell’accenno di discorso sui bambini e il desiderio di conoscere Nicholas la lasciarono un po’ perplessa. Non che non fosse felice di fargli incontrare suo figlio, anzi… ma ‘sentiva’ che c’era qualcosa in più, qualcosa di più profondo: ecco, forse quelli erano veramente dei sentimenti e delle sensazioni che Andrew, nella sua attuale tranquillità e serenità ad affrontare la riapertura della loro storia, voleva tenere nascosti, ma Elaine non riusciva davvero a capire il perché.

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La pasta al pomodoro e peperoncino era stata molto apprezzata, così come le tartine al salmone affumicato e le pere al cioccolato. Elaine e Andrew sedevano davanti ai piatti vuoti e chiacchieravano. Elaine aveva appena ricevuto la telefonata serale di Nicholas e stava raccontando ad Andrew il resoconto della giornata fattale dal figlio; lui la guardava sorridendo, con una strana espressione. “Beh? Che c’è da guardarmi così?” gli chiese. “I tuoi occhi diventano luminosi, quando parli di o con tuo figlio. Hai un’espressione nuova, che prima non conoscevo, ed è qualcosa che mi affascina molto.” le rispose lui. “Cavolo, Andrew, Nicholas è la cosa più preziosa della mia vita!” affermò Elaine. “Quando eri venuta ad Inverness per dirmi che eri rimasta incinta, non la pensavi così, però. Eri molto spaventata.” “Già, ma il motivo te l’ho spiegato bene la sera di Natale.” “E dimmi una cosa: se il bambino fosse stato mio?” chiese ancora Andrew. Elaine tentennò un po’, prima di rispondere: si stavano addentrando in un discorso che avrebbe preferito evitare. Ma decise di rispondere sinceramente. “Se il bambino fosse stato tuo, l’avrei amato con la stessa intensità, l’avrei cresciuto nello stesso modo. Un figlio è un figlio, è qualcosa che hai creato tu, è un legame profondo e 71


misterioso che solo chi l’ha portato dentro di sé per nove mesi riesce a capire veramente.” gli rispose. Ma si accorse che Andrew intendeva sapere altro. “Me l’avresti detto, prima o poi, se fosse stato mio?” le domandò, aspettandosi una risposta sincera. “No, non te l’avrei detto. Non dopo il nostro incontro ad Inverness. Ero tornata a casa dicendomi che comunque era mio figlio, mio e basta. E ti odiavo troppo, a quel tempo.” Elaine abbassò gli occhi. Poi, vedendo che lui non ribatteva, lo guardò di nuovo e si accorse che Andrew non aveva ancora staccato gli occhi da lei. “E alla luce di quello che sta ancora succedendo tra noi?” incalzò lui. “Non farmi domande assurde, Andrew. Nicholas non è tuo figlio e quindi non posso fare ipotesi su basi inesistenti. E poi, dimmi la verità, cosa sta succedendo tra noi? E’ tutto così bello, così entusiasmante, ora. Ma poi?” ecco un’altra domanda che Elaine avrebbe voluto evitare. Andrew alzò le spalle. “Perché mi chiedi di pensare a un poi? Dodici anni fa eravamo costantemente angosciati dal poi. Il pensiero del ‘poi’ ci aveva rovinato molti momenti belli. Non voglio che accada ancora. Per la prima volta, dopo otto anni che avrebbero potuto essere otto millenni, non mi sento più solo, ed è una sensazione che voglio veramente vivere in pieno.” dichiarò Andrew, molto serenamente. “E la tua coscienza? Quella coscienza che ti massacrava costantemente?” insistette Elaine. “Quella coscienza che mi massacrava costantemente l’avevo già messa a tacere, negli ultimi tempi. Dopo la morte di Angus, se ben ricordi, la mia visione della vita era cambiata molto, e avrei cambiato molto anche la mia vita stessa, se tu non mi avessi fermato.” le ricordò Andrew. 72


“Mi stai accusando di qualcosa? Mi stai dicendo che avevo sbagliato?” chiese Elaine, un po’ seccata. “Calma, Lennie, non ti sto biasimando di niente. Avevi avuto ragione, allora: ero in un periodo di grande confusione, il colpo della morte di Angus non mi permetteva di vedere le cose chiaramente. Ma ho passato anni di solitudine. Anche se per quattordici ore al giorno ero attorniato da decine di persone, studenti, colleghi, docenti e quant’altro, mi sentivo costantemente solo. E ho riflettuto molto.” confessò lui. “E le riflessioni a cosa hanno portato?” chiese Elaine. “Pensavo sempre a Mary, sola con due bambini. La chiamavo due volte al giorno, parlavo con lei, discutevo con lei e l’aiutavo a prendere decisioni importanti anche per quanto riguardava i bambini. Era qualcosa che dovevo ad Angus. Lei era rimasta senza di lui per un caso ineluttabile. Ma io? Io avevo scelto di essere da solo. Ma non mi piaceva più molto.” A questo punto Andrew si alzò e si mise a sparecchiare. Elaine tentò di bloccarlo. Perché quel dannato uomo doveva sempre lasciare i discorsi in sospeso? “Andrew, cavolo, non far cadere le frasi dall’alto lasciandole senza spiegazioni! Perché ti sei messo a sparecchiare, adesso? Lo faccio io più tardi, o domani mattina, accidenti!” si lamentò Elaine, prendendogli i piatti sporchi dalle mani. Andrew, a questo punto, la prese per le braccia, la tirò a sé e la guardò intensamente. “In questi giorni la solitudine è scomparsa, Elaine. Mi sono sentito risanato, guarito. Siamo stati lontani per tre giorni, ma non mi sono sentito solo. Ho fatto quello che dovevo fare con molta più serenità, perché sapevo che c’era qualcuno che mi pensava, che aspettava il mio ritorno, che aveva i miei stessi pensieri, che aveva condiviso con me momenti belli e intensi.” Le diede un lieve bacio sulla bocca. Ora, per Elaine, erano quelli più densi di significato. 73


“Vorrei sapere a questo punto, Andrew, qual è il succo del discorso…” gli disse, senza scostare troppo le labbra dalle sue. “Il succo del discorso è quello che ti ho già detto la sera di Natale. Potrebbero anche essere passati degli eoni, ma non è cambiato nulla dentro di me. Ti ho amata, tempo fa. Ti amo adesso, ora, in questi giorni, in questo momento.” Quel ‘ti amo’ che era rimasto tanto in sospeso tra di loro era stato finalmente pronunciato. Ma Andrew non si fermò di parlare, non le diede modo di ricambiare quelle due brevi parole. “Ti amo da anni Elaine, e tu lo sai. Incontrarti è stata la cosa più bella della mia esistenza. E ora, dopo anni di angosce e solitudini, di domande senza risposte, di coscienze dilaniate, di dubbi e incertezze, fammi provare a vivere questo amore come se fosse normale, giusto, senza più complicazioni, senza intralci. Possiamo provarci? Ti prego, ogni volta che ne avrò la possibilità, fammi entrare in questa casa senza chiedere permesso, concedimi di camminare a piedi nudi su questi pavimenti, lasciami riordinare la cucina, fammi passare serate davanti ad un film qualsiasi ma scelto insieme, permettimi di dormire qui quando sarà possibile. Concedimi di sentirmi parte della tua vita, ma, soprattutto, fammi sentire che tu sei parte della mia vita.” Elaine si sentiva travolta dal flusso delle parole di Andrew: parole che sgorgavano dal profondo del suo essere come un torrente in piena, irruenti. Andrew: quell’ uomo alto, coi capelli scuri un po’ ribelli e sempre un po’ spettinati, un accenno di barba in crescita, gli occhi verdi ancora più profondi di quanto si ricordasse, la voce bassa, dai toni vibranti, con le mani che sapevano accarezzarla così delicatamente e che tanto aveva sognato di risentire sulla sua pelle; con l’abitudine di girare in casa sua con solo un paio di jeans e una camicia sbottonata; l’uomo più affascinante che 74


le fosse mai capitato di incontrare, che quando decideva di togliersi i ben differenti abiti che indossava riusciva a diventare l’uomo più intrigante e dolce del mondo; l’uomo che aveva amato con una tale passione da togliere il fiato, e che ancora amava. Poteva negargli qualcosa? Poteva allontanarlo ancora dalla sua vita e cadere di nuovo in un abisso di infelicità? No, si disse, no. “Te lo concedo Andrew, te lo concedo fino a quando tu lo vorrai o ti sarà possibile farlo. Perché ho sognato per anni di sentirti dire ancora queste cose. Perché la tua solitudine era la mia solitudine. Perché ti amo.” Non ci fu nulla, a questo punto. Non una parola in più, non un gesto in più, non un bacio, non un abbraccio. Andrew riprese dalle mani di Elaine i piatti che erano rimasti per tutto il tempo incastrati tra loro due, e insieme si misero a riordinare la cucina. Volevano che fosse così, per ora. Niente di più. E il ‘poi’ fu accantonato in un angolo, per vivere l’ ‘adesso, qui’.

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15 Il trentuno di dicembre fu un giorno molto solitario per Elaine. La sera precedente, dopo cena, Andrew l’aveva informata che avrebbe dovuto passare la serata a Glasgow, alla Mungo Foundation: ogni anno organizzavano il cenone di fine anno per i senzatetto, ed era obbligato ad esserci pure lui. Elaine accettò di buon grado la notizia: già il suo Natale si era trasformato in qualcosa di meraviglioso e inaspettato, non poteva certo pretendere di più dalla sorte. Anzi, approfittò dell’assenza di Andrew, per rimanere davvero un po’ da sola. Janet, come sempre, passava la notte di Capodanno dalla sorella, così i bambini potevano stare insieme e giocare tra loro. Gli anni precedenti anche Elaine partecipava a questi veglioni che lei e l’amica definivano ‘a misura di bambino’: un po’ di chiacchiere tra grandi, mentre i quattro scatenati (Nicholas, Josh e le due nipoti di Janet) davano il meglio di se stessi, contenti di stare alzati fino a tarda ora, per una volta tanto. Quest’anno, aveva veramente passato la mano. Intendeva proprio rimanere sola, sola con se stessa, con i suoi pensieri e le sue riflessioni: un momento di pausa che quasi sentiva obbligatorio, dopo i giorni vorticosi che aveva passato. La giornata fu dedicata alla casa e alla spesa. Per cena ordinò una pizza, che consumò seduta sul divano mentre leggeva un buon libro. 76


Telefonò a Nicholas e rimase a parlare con lui per molto tempo: cominciava realmente a sentirne la mancanza. Poi, verso le undici, accese un po’ di candele in bagno, e riempì la vasca di acqua caldissima, con sali e oli profumati al sandalo, l’essenza che amava di più in assoluto. Vi s’immerse completamente e iniziò a pensare. La mente correva costantemente ad Andrew: effettivamente le mancava un po’, quella sera. Facile dire, come aveva detto lui, ‘non mi sento più solo’. Vero, non era un effettivo e proprio baratro di solitudine, c’era davvero la consolazione del fatto di avere la certezza che i loro pensieri erano sulla stessa linea d’onda, ma … se fossero stati insieme, sarebbe stata un ben altro tipo di serata. Rimase con gli occhi chiusi, cercando di fare il punto della situazione. Negli anni che aveva dovuto vivere da sola e crescere Nicholas solo con le sue forze, era cambiata molto: ora cercava sempre di razionalizzare tutto ciò che le accadeva, ma razionalizzare la riapertura della sua storia con Andrew era davvero un po’ difficile. Certo, in quei giorni era stato tutto molto più semplice; niente lavoro, Andrew a portata di mano, Nicholas col papà. Era come ritrovarsi single, come dodici anni prima, padrona dei propri spazi e del proprio tempo. Quando Nicholas sarebbe tornato e la scuola avrebbe riaperto i battenti dopo le vacanze, purtroppo i suoi già pochi spazi e tempi sarebbero stati totalmente riempiti dal figlio, a cui certo non voleva sottrarre attenzioni. In più, Andrew, a metà gennaio, sarebbe ritornato a Glasgow e ai suoi impegni, che, a quanto pareva, non erano pochi. Quindi? Quel ‘quindi?’ se lo ripeté per almeno dieci volte, senza riuscire a proseguire e a darsi una risposta. 77


L’unica sensata che riuscì a produrre, fu che la loro da poco riaperta relazione, sarebbe diventata una relazione molto -troppo forse- telefonica. Possibilità di vedersi? Scarsissime, fu la sincera risposta che riuscì a darsi. Beh, sicuramente era meglio del nulla in cui si era costantemente sentita negli ultimi cinque anni. L’acqua si stava raffreddando, e con il piede aprì il rubinetto dell’acqua calda. Di una cosa era fermamente convinta: amava veramente quell’uomo. E si diede anche un po’ della sfortunata: possibile che l’unico uomo di cui fosse innamorata da sempre dovesse essere un sacerdote cattolico? A quante donne, sul globo terracqueo, poteva succedere una sfiga di tale portata? Lo rivide muoversi per casa sua: in quei giorni si era comportato veramente come se fosse in casa sua, quasi come se fosse (Elaine titubò nel pronunciare questo pensiero) un compagno o un consorte normale, e per normale intendeva non certo un uomo che, appena uscito dalla soglia, diventava di nuovo un sacerdote. Era quasi sgomenta dall’enormità di questo contrasto violento che vedeva in Andrew. Ma il bello (o il brutto, a seconda dell’angolazione in cui si voleva prendere la faccenda) era che il meno preoccupato era proprio lui. Perché Andrew, quando era l’uomo dentro casa sua, lo diventava con una naturalezza quasi disarmante; arrivava, toglieva scarpe e calze, levava la camicia dai pantaloni, la sbottonava lasciandola aperta sulla T-shirt grigia che immancabilmente indossava sotto, e si trasformava nel compagno di vita che Elaine aveva sempre sognato: parlava di quello che gli era successo durante la giornata, l’ascoltava mentre lei gli raccontava del figlio o (come la sera prima) della 78


sua giornata di shopping a Edimburgo con Janet e Josh, l’aiutava a preparare la tavola per la cena, mangiava, l’aiutava a mettere i piatti in lavastoviglie, poi si sedeva sul divano, accendeva la televisione, beveva un dito di scotch mentre commentava magari le notizie di cronaca o un programma qualsiasi su cui si era sintonizzato. E la faceva sentire … bene. Bene era l’unico aggettivo che Elaine riusciva a trovare: bene. Punto. Già, in questi giorni. E poi? Richiuse il rubinetto dell’acqua calda. Forse era meglio non pensarci, davvero, come aveva detto lui. Molto meglio godersi questo miracolo di serenità e basta. All’improvviso sentì dei botti in lontananza: era già mezzanotte, e il popolo dei festaioli si stava scatenando con fuochi d’artificio, mortaretti e petardi di ogni genere. Facendosi mentalmente gli auguri, Elaine si scoprì, per la prima volta dopo anni, a sorridere al nuovo anno. Nonostante le sue riflessioni non certo del tutto serene, le sembrava che le prospettive non fossero poi così brutte. In quel momento suonò il cellulare, che si era portato con sé in bagno, sapendo che, prima o poi, lui l’avrebbe chiamata. Appena aprì la chiamata, sentì la voce bassa e sensuale di Andrew che le faceva gli auguri. “Buon anno nuovo, Lennie!” “Buon anno anche a te, tesoro!” le rispose Elaine, sorridendo al vuoto davanti a sé, che era occupato da una meravigliosa immagine di Andrew. “Tutto bene?” chiese poi. “Bene, grazie, un po’ stanco. Abbiamo servito, non ci crederai, quasi millecinquecento pasti caldi. Penso siano arrivati da tutto lo Strathclyde, accidenti! I volontari della Mungo si sono veramente fatti in quattro, gran merito a tutti loro.” 79


“Bene, direi che è soddisfacente, come cosa, no?” “Molto. Ma mi manchi tanto, adesso. Cosa stai facendo?” Elaine non sapeva se rispondergli la verità o no. “Beh, veramente…” tentennò. “Beh, cosa? Ehi, sono un po’ geloso. Con chi sei? Mi hai detto che rimanevi a casa…” “Certo che sono a casa! Sono a casa da sola e sono immersa in una vasca di acqua calda profumata al sandalo. Contento, adesso che lo sai?” gli disse Elaine, pur sapendo di scatenare sicuramente una reazione in Andrew. “Noooo! Sto male. Prendo la macchina e arrivo!” disse lui, scherzando. “Scemo.” rise Elaine. “Sì, proprio scemo a non farlo davvero. Da quanto stai lì dentro?” s’informò Andrew. “Da quasi un’ora.” “Con le candele accese, suppongo.” “Sì.” affermò Elaine. Andrew si ricordava pure quello. “Questa è una tortura, una sottile e perversa forma di tortura, Lennie. Sto soffrendo come un cane. Avrai una pelle talmente calda e morbida che al solo pensiero di essere lontano trentacinque miglia, mi viene voglia di sbattere la testa contro il muro.” confessò Andrew, con una voce quasi già arrochita dal desiderio. “Sì, ma non farlo, perché adesso uscirò. E la mia pelle ormai è tutta stropicciata, non calda e morbida, fidati.” gli disse, cercando di limitare un po’ i danni che la sua sincerità nel dirgli cosa stesse facendo avevano provocato. “Sì, sì, addolcisci la pillola. Intanto tra un po’ andrò in un letto tutto da solo e l’unica immagine che avrò davanti agli occhi sarà da insonnia totale. E tortura. Non potevi dirmi che eri davanti alla televisione con uno di quei tuoi soliti pigiami supercoprenti?” disse lui, mettendola un po’ sul ridere. 80


“Ok. Mi sono sbagliata. Sono sul divano, in pigiama, a guardare la televisione. Va meglio, adesso?” dicendo questo, si mosse nella vasca, provocando inconfondibili rumori d’acqua. “E lo sciacquio che ho appena sentito?” chiese lui. “Ho rovesciato la Coca Cola…” Finalmente si misero a ridere entrambi. “Sei grandiosa, Lennie! Ascolta, devo rientrare, mi stanno cercando. Quando è tutto finito e sono tranquillo in camera mia, ti richiamo, ok?” le disse. “Va bene, intanto io pulisco la Coca rovesciata e metto davvero il superpigiama.” continuò nello scherzo Elaine. “Ecco, brava, meglio. Ci sentiamo dopo, amore, non so tra quanto, ma ci sentiamo.” “Quando vuoi. Io sono qui, e tutto quello che voglio fare, è aspettare la tua chiamata.” Si salutarono. Era stato bello parlare con lui. Ma Elaine si convinse ancora di più della conclusione a cui era giunta: di certo, si sarebbe trasformata in una relazione telefonica, di certo. Sarebbe bastato? E non solo a lei, a entrambi. Fino a quando sarebbe stato sopportabile?

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16 Sera del due di gennaio, cucina, due tazze di caffè bollente con panna, e un Andrew abbastanza stanco da capirlo solo guardandolo di sfuggita. Questa era la scenografia della serata di Elaine. Finalmente avevano potuto vedersi, perché gli ultimi due giorni erano stati veramente intensi per lui. Ora sedeva un po’ scomposto e quasi disfatto su una sedia al tavolo della cucina di Elaine, che stava ascoltando il resoconto attentamente. “Già ieri, quando sono tornato, dopo la serata pesante dell’ultimo dell’anno, non ero molto in forma, figurati stasera…” stava dicendo sorseggiando il caffè. “Ieri, appena arrivato, la messa solenne, poi la cena con gli irlandesi, dopo cena una riunione pastorale…” “Santo cielo!” esclamò Elaine. “Aspetta, non ho finito. Stamattina sveglia presto, con partenza per Edimburgo per accompagnare i soliti irlandesi in visita dall’Arcivescovo e Padre James per la riunione generale dei parroci cattolici scozzesi, che durerà tre giorni. Pensavo di svignarmela in fretta, invece ho dovuto fermarmi a pranzo. Nel pomeriggio sono tornato, e qui, da solo, non potevo certo lasciare il tutto incustodito; ho ricevuto un paio di parrocchiani, ho celebrato la messa della sera, ho giusto ingollato un panino e alle otto e mezza ho inserito la segreteria telefonica con il 82


mio recapito del cellulare, ho chiuso baracca e burattini, ed eccomi qui.” Finalmente terminò quella lunga trafila di impegni. “Gesù!” esclamò Elaine. “Sì, c’era, c’era anche Lui. Un po’ meno incasinato, però.” scherzò Andrew. “Quindi adesso sei qui solo tu a St. John, per tre giorni?” chiese Elaine. “Sì, il che vuol dire messe, confessioni, un funerale già fissato per domani mattina, parrocchiani bisognosi… e spero sinceramente che non muoia nessun altro.” “Andrew! Dai, non essere irrispettoso!” gli disse Elaine. Lui appoggiò le braccia incrociate sul tavolo e vi posò la testa, guardandola un po’ di sbieco. “Irrispettoso un cavolo, Lennie. Che se ne stiano tutti buoni, non sono più il Padre Andrew di dodici anni fa, che nessuno rompa più di tanto.” Riprese la tazza in mano e vi mise altra panna: ormai era panna al caffè, e non viceversa. “Hai bisogno di dolce?” tirò la battuta Elaine. “Molto dolce, molti zuccheri e molto riposo. Ma cambiamo discorso: sai che sei sexy da morire con quella tuta?” Elaine indossava una morbida tuta bianca che si era comprata a Edimburgo durante lo shopping con Janet: abbastanza attillata da lasciar immaginare molte cose, e, sotto la blusa slacciata, una canottiera abbastanza scollata da offrire un generoso scorcio di quello che c’era dentro. E lì si stavano posando gli occhi di Andrew. “Tu mi parli, Andrew, ma i miei occhi sono almeno quaranta centimetri più su. Vorrei che riaggiustassi la mira.” disse Elaine divertita.

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“Ok, ma è più interessante quello che vedo con la mira sbagliata…” e, dicendole questo, sollevò e riabbassò le sopracciglia un paio di volte. “Beh, devo dire che anche tu, con quella bellissima camicia bordeaux sei uno schianto… ti dona molto.” disse Elaine ricambiando il complimento di Andrew. In effetti, era molto attraente quella sera. E sotto la camicia, quella sera, non aveva niente, forse perché la camicia era già di per sé un po’ più pesante del solito, oppure… Elaine lasciò vagare l’immaginazione. Poi si alzò dal tavolo e raccolse le tazze sporche, per metterle nel lavello. Sentiva addosso lo sguardo di Andrew che la trafiggeva. Poi prese la panna. “Ne vuoi ancora? Se no la ritiro.” chiese. “No grazie.” Sguardo penetrante. Che diavolo gli frullava in testa? Elaine si diresse al frigorifero per ritirare la panna, ma non fece in tempo a chiudere lo sportello e a girarsi, che si ritrovò pigiata contro di esso dal corpo di Andrew. “Ehi, che fai?” gli disse senza troppa convinzione, già sopraffatta dal desiderio: in un attimo migliaia di neuroni si erano staccati dal cervello per scendere all’inguine. Andrew le stava completamente addosso, con le labbra a pochi millimetri dalle sue, strofinando il corpo contro il suo e inspirando profondamente vicino al suo collo, per sentirne il profumo. “Anche stasera un bel bagno al sandalo, vero?” le disse, con quella voce roca che infranse le ultime difese di Elaine: ora nel suo cervello, dei neuroni neanche la traccia. Riuscì a mormorare un ‘mhm’ un secondo prima che Andrew si impossessasse furiosamente della sua bocca. 84


Era un bacio profondissimo, avvolgente, sembrava volerla divorare. “Ecco l’Andrew di dodici anni fa… mi chiedevo dove fosse finito.” bisbigliò Elaine quando le loro labbra si separarono. “Perché?” chiese lui senza smettere di mordicchiarle le labbra, e stuzzicandola con la lingua. “Perché allora mi baciavi quasi sempre con questo impeto, ora invece no.” ricordò Elaine. “E ti è mancato, quell’Andrew? Ti manca? Vuoi che ritorni? C’è ancora, sai?” Intanto le sue mani si erano spinte sotto la canottiera, trovando i capezzoli già inturgiditi. “Sì,” gemette Elaine “sì, mi è mancato molto.” Le mani di Elaine accarezzarono il petto di Andrew e poi scesero a slacciargli i jeans, intrufolandosi dentro e cominciando a toccarlo. Elaine sentì quanto fosse eccitato e ciò la portò al culmine del desiderio. Lo sentì gemere sotto il suo tocco, mentre la baciava sul collo e le sfilava i pantaloni della tuta che Elaine scagliò via con un calcio. Poi lui le prese le cosce e, sempre tenendola bloccata contro il frigorifero, la sollevò e la penetrò con impeto, togliendole ogni razionalità. Cominciò a muoversi dentro di lei, spingendo a fondo. “Ti piace così, Lennie? Perché a me fa impazzire. Come mi fa impazzire tutte le volte che sono dentro di te e sento il tuo calore, quando sento che diventiamo una cosa sola, quando sento che mi stringi e mi avvolgi morbidamente.” le disse fissando lo sguardo dentro il suo, quasi inchiodandola nei suoi occhi. “Mi piace, Andrew, mi piace da morire, non smettere, non smettere.” ansimò Elaine, con la mente completamente 85


azzerata, solo concentrata sulle sensazioni intense che le stava facendo provare. Era aggrappata a lui come ci si aggrappa alla vita, col bisogno totale di essere sua, col bisogno assoluto di sentirlo raggiungere il piacere insieme a lei. Erano talmente eccitati che l’orgasmo li sorprese velocemente, con prepotenza, e fu un orgasmo fortissimo che li lasciò senza fiato e quasi stremati per molti minuti, senza nemmeno la forza di staccarsi l’uno dall’altra. Poi si guardarono e si sorrisero. “Beh,” disse Andrew “mi sono fatto prendere un po’ la mano…” “Beh,” ribatté Elaine “mi piacciono tutte le dolcezze che usi adesso con me, ma mi mancava molto questo tuo lato… irruente.” Si staccarono un po’ l’uno dall’altra e si ricomposero un po’. Ma Andrew non le lasciava molto spazio. “Chi l’avrebbe mai detto.” disse poi dandole un bacio di quelli dolci e teneri, versione Andrew attuale. “Che cosa?” gli chiese Elaine, questa volta spingendolo lontano, per liberarsi della presenza del frigorifero alle sue spalle. “Che avrei dovuto aspettare dodici anni per fare l’amore con te in cucina che, se ben ricordi, era un mio sogno erotico dei primi tempi.” sogghignò lui. “Ahaaa! Ecco perché sei tornato, McPherson! Per farlo nella mia cucina! Allora, se tanto mi dà tanto, visto che hai soddisfatto il sogno libidinoso, scomparirai per altri anni, adesso.” esclamò Elaine dirigendosi verso il divano, dove si sedette e si rimise i pantaloni della tuta recuperati da un angolo del pavimento. Andrew si mise accanto a lei, le cinse le spalle con il braccio e le fece posare la testa sul suo petto. 86


“Non credo, Lennie. Non credo proprio che ti libererai di me così facilmente, questa volta.” “Sarà dura, lo sai, vero?” gli disse lei, accucciandosi ancora di più sotto il suo braccio. “Ora è tutto bello, quasi semplice, ma poi quando ricomincerà la vita di tutti i giorni … non so come faremo, Andrew, non lo so proprio.” Lui la baciò più volte sulla testa, affondando il viso tra i suoi capelli profumati di sandalo. “Io ti amo, Elaine. Sono stato senza di te per troppo tempo. Non voglio pensare troppo al futuro, credimi. Quando ricomincerà la vita di tutti i giorni, ci penseremo. Ma non continuare a tormentarmi –anzi, a tormentarti- con questi interrogativi, per favore. Siamo diventati più maturi, più consapevoli di quanto sia difficile la nostra situazione, non credi? Non penso che ci lasceremo sopraffare dalla lontananza.” le disse pacatamente. “Beh, Andrew, parla per te. Io credo che mi mancherai tantissimo.” gli rivelò lei “Io ho sentito la tua mancanza, questi due giorni, e sto parlando di due giorni, bada bene!” gli rivelò Elaine. “Ma certo che mi sei mancata anche tu, Lennie, ci mancherebbe altro. Ma ogni volta che sentivo la tua mancanza, andavo col pensiero agli otto anni trascorsi senza nemmeno il beneficio di sapere dov’eri, cosa facevi, cosa pensavi … ti posso assicurare che questo diminuiva molto la pesantezza della tua assenza. Dovrebbe essere così anche per te, o sbaglio?” le chiese, facendola spostare per guardarla in viso. “E se mi viene voglia di fare l’amore con te? Non possiamo mica farlo per telefono, no?” gli chiese con degli occhi talmente dolci da farlo sorridere e indurlo a riempirla di baci. “Mhm, si potrebbe prendere in considerazione questa alternativa….” Andrew si beccò uno scossone da Elaine “Ok, scherzavo!” ricominciò a baciarla “Quando sarà, ci penseremo 87


e insieme troveremo il modo e il luogo giusto, ok, Lennie? Ti prego, davvero, non facciamoci prendere dalle angosce come dodici anni fa. Ti supplico. E’ così bello stare con te….” Andrew ricominciò a baciarla e accarezzarla. Evidentemente quella sera non aveva ancora finito, con lei. “Resta inteso,” disse dopo un numero indefinito di baci “che stanotte rimango a dormire da te…”

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“Dai, mamma, dimmi di sì, per favore!” Elaine era al telefono con Nicholas, che la stava supplicando per avere il permesso di rimanere in montagna col papà un giorno in più. Voleva posticipare il rientro di un giorno, perché la mattina del quattro gennaio erano state organizzate delle gare di sci per i partecipanti al corso di Natale di quell’anno, e Nicholas voleva assolutamente prendervi parte. “Passami il papà, Nick, per favore.” disse Elaine a suo figlio. Con un altro brontolio di lamentela, Nicholas passò la comunicazione al padre. “Ciao, Elaine.” disse Christopher quasi scocciato. “Ciao. Allora, cos’è questa storia?” chiese Elaine. “Nulla di che. I maestri di sci hanno organizzato per domani delle gare per i bambini e i ragazzi che hanno seguito i corsi durante questo periodo, e Nicholas ha voluto partecipare. Quindi l’ho iscritto e ci fermiamo un giorno in più. Anziché il quattro, rientriamo il cinque mattina.” spiegò Christopher. “Ah, perfetto. E, prima di decidere, non potevate telefonarmi? E’ inutile che poi lui mi supplichi di lasciarglielo fare, quando comunque è già tutto deciso a priori, no?” chiese Elaine, che già si stava scaldando. 89


“Senti, Elaine, non mi sembrava poi una cosa così grave da doverti disturbare…” iniziò a dire Christopher. “Disturbare? Ma che cazzo stai dicendo, Chris, io sono sua madre! Ti pare che se chiedi anche il mio parere mi disturbi?” Decisamente si stava alterando. “Ok, ho usato il termine sbagliato. Pensavo ti facesse piacere sapere che tuo figlio partecipi a delle gare di sci, dopo averci messo tanto impegno per imparare! E poi si tratta di un giorno in più, non metterla giù così dura, per piacere.” “Ha finito i compiti delle vacanze?” chiese Elaine. “Sì, quasi tutti. Manca solo un po’ di matematica.” la informò Christopher. “Benissimo! Solo un po’ di matematica… allora Chris, tornate il cinque, poi c’è l’ Epifania e poi si ritorna a scuola. Dimmi, secondo te, se non è una situazione di stress per lui!” Elaine non sapeva più come sfogare la rabbia. “Oh merda! Stasera glieli faccio finire, questi cazzo di compiti! Domani mattina avrà la gara e poi basta, no? Se sarà stanco, dormirà durante il viaggio e poi ha tutto un giorno per riposarsi e rientrare a scuola tranquillo. Ma perché la devi fare sempre complicata?” anche lui stava alzando i toni. Elaine sperò che Nicholas non stesse ascoltando. “E tu perché la devi fare sempre così semplice? Per te è sempre tutto un gioco, vero?” gli inveì contro Elaine. “Non ricominciamo con le solite stronzate. Adesso cosa dovrei fare, secondo te, disdire la sua partecipazione alla gara?” “Eh già, bravo, così passo io per la stronza di turno.” constatò Elaine. “E allora?” “E allora va bene. Che cazzo ti dovrei dire, a cose già decise?” chiese retoricamente Elaine.

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“Perfetto. Il ‘va bene’ era una cosa che avresti dovuto dire subito, senza parlare per niente come tuo solito per dieci minuti.” Elaine a questo punto pensò di avere due alternative: o sparargli al suo rientro, o tacere, perché si erano imbarcati in una delle loro solite discussioni inutili, in cui Chris cercava sempre di avere l’ultima parola, e non taceva finché non l’aveva davvero. “Ripassami Nick, per favore.” e dentro di sé sentì di volergli anche dire un bel vaffanculo, ma si trattenne. Sentì Christopher che richiamava Nick: forse non era vicino al papà durante la discussione, forse Chris era stato, per una volta, abbastanza intelligente da allontanarsi da lui. “Allora mamma?” le chiese ansiosissimo. “Allora, ragazzo, fatti onore, mi raccomando!” gli rispose. “Wow, allora posso restare?” chiese di nuovo conferma il bambino. “Certo che sì. Ma, senti, Nick… i compiti di matematica? Forse è meglio se ci dai dentro e li finisci. Quando torni non vorrai certo occupare l’ultimo giorno di vacanza sulle moltiplicazioni e le divisioni, vero?” gli disse Elaine. “No, no, ti prometto che stasera li finisco, davvero! Lo sai che Bob, il mio maestro, dice che sono il più bravo tra quelli di otto anni?” la informò Nicholas, ormai al settimo cielo per aver avuto il permesso di fare le gare. “Ehi, allora devi proprio mettercela tutta e vedrai che arriverai a casa con una medaglia!” lo incitò Elaine, ormai senza più fargli capire quanto ancora fosse alterata, visto l’ entusiasmo di Nicholas. Qualche altra battuta e poi si salutarono. Appena chiusa la comunicazione, Elaine chiamò Janet, per informarla dell’accaduto. 91


“Elaine, lo sai che è così, perché ti incazzi ancora? Lo sai quanto piaccia a Christopher ‘infrangere’ le regole per dimostrare quanto potere ha come padre, no? Per lui sarà stata un’occasione succosissima, questa delle gare di sci, così ha potuto farti vedere che non gliene frega niente se il giorno stabilito per il rientro di Nick fosse il quattro mattina.” le disse, nemmeno troppo stupita dal comportamento di Christopher. “Sì, Janet, ma tutte le volte deve essere così, ma basta, cavolo! Anche nei week-end si deve sempre inventare qualcosa per portarmelo più tardi, o per uscire dalla Scozia, o per fare quel cazzo che vuole. Ci sono delle carte scritte con impegni ben definiti, perché deve sempre giocarci sopra? Che cosa vuole dimostrare?” “Niente e tutto. Vuole dimostrare che anche se il giudice ti ha dato la custodia di Nick, lui è il padre e ha potere decisionale sul bambino. Tutto qui, è una misera rivalsa, Lennie, te l’ho già detto un sacco di volte. Se si sente più uomo, più duro, quando si comporta così, lascia che lo faccia. E se no, ti ho già detto mille volte di dire queste cose all’avvocato.” “Certo, per ricominciare a litigare un’altra volta!” “E allora fattela andare bene. Fine della questione.” le disse Janet, ormai rassegnata a sentire sempre le stesse lamentele di Elaine. “E ora, cambiando argomento” aggiunse poi “come vanno le cose con Andrew? Ti rendo noto che non ci sentiamo dal primo di gennaio. Talmente occupata da non poter telefonare nemmeno alla tua migliore amica?” le chiese, accentuando la parola occupata. “Ma non pensarci nemmeno. Ci siamo visti ieri sera e basta. Che cosa credi? Che mi sia tappata in casa con lui e ci faccia sesso a tutte le ore? Magari! E’ straoccupato, è qui da solo a St. John e deve seguire lui la parrocchia per tre giorni, quindi ti puoi immaginare quanto ci stiamo vedendo…” le rivelò Elaine. 92


“Bene bene… un assaggio della tua vita dei prossimi mesi?” insinuò Janet, che aveva già avvisato Elaine che non aveva buone prospettive sul futuro della loro rinnovata relazione. “Incoraggiante, come amica, davvero sai come consolare e rendere fiduciosi nell’avvenire!” “Sono la voce della verità, Elaine. Senti, visto quanto ti sarà più difficile vederlo quando Nick tornerà, perché non gli dici che mi piacerebbe avervi tutti a cena una sera, prima che lui riparta per Glasgow?” le propose l’amica. “Davvero lo faresti?” “Si, tanto per farti capire meglio quanto sono incoraggiante.” “Scherzavo, lo so che ci tieni alla mia felicità…” ammise Elaine. “Infatti. Ascolta, glielo dici tu o ha bisogno di un mio invito scritto su pergamena e oro, per accettare?” chiese ironicamente Janet. “Penso di poterglielo dire io, in un arco di tempo indefinito che andrà da questa sera alle otto e mezza a domani mattina alle sette. Sempre che mi dia tempo di parlare, chiaro…” disse Elaine, sogghignando. “Con questo mi stai velatamente dicendo che rimane a dormire da te???” chiese Janet stupita. “Proprio così.” confermò Elaine. “Quindi state facendo vita ‘matrimoniale’?” insistette Janet. “Oh, sai che roba! Dalle otto di sera alle sette del mattino.” “E’ un progresso, rispetto al passato. E lui, sempre tutto bello tranquillo, in pace con se stesso?” “Apparentemente sì. E io, ti dirò sinceramente, non vado a fondo della faccenda e voglio approfittare in pieno di questa sua tranquillità e godermelo fin che posso. Sai com’è, la mia migliore amica continua a insistere che verranno tempi molto duri, e io le credo sinceramente.” 93


“Sai cosa ti meriteresti, dalla tua migliore amica?” chiese di nuovo Janet. “Un bel vaffa…?” “Sì, ma te lo risparmio. Ciao, cara, fammi sapere.”

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18 “Non credevo proprio che Christopher fosse un tipo così. E’ vero che non ho avuto molto tempo per conoscerlo, ma mi sembrava molto più corretto e soprattutto molto meno arrogante. Anche se, in effetti, mi stava un po’ sulle palle.” disse Andrew. Era quasi mezzanotte, e lui ed Elaine erano a letto. Tra di loro c’era un vassoio con due tazze di tè aromatizzato alla cannella, dei biscotti e della crema al cioccolato. “Era così, davvero, la tua prima impressione era giusta: un bel tipo dolce, affabile, un insegnante molto paziente, valido e capace. E tutto ciò fino a un anno dopo il matrimonio. Poi questa storia della rock band l’ha fatto un po’ deviare dalla carreggiata, ed è diventato sempre peggio.” ricordò Elaine, sorseggiando il tè. “Allora quando sei rimasta incinta, era già entrato nel ‘periodo musicale’?” chiese Andrew, spalmando la crema al cioccolato su un biscotto. “Sì, non proprio nel pieno, però avevo già capito come sarebbe andata a finire ed ero già abbastanza preoccupata … non tantissimo, anche perché Rebecca non era ancora entrata in scena.” Elaine prese il biscotto che Andrew le porgeva e lo inzuppò nel tè. Era forse la prima volta che parlava così serenamente dei suoi anni difficili. 95


“Vedi,” continuò “in quel tempo si trattava solo di qualche serata in zona, qualche sera fuori per le prove. Tutto sommato, pensavo che il tutto potesse rimanere sotto controllo. E’ quando è apparsa quella cretina, che la situazione è precipitata.” “Completamente rimbecillito?” chiese Andrew, mimando una faccia un po’ stordita che fece ridere Elaine. “Esatto! Proprio così!” “Ehi, che sarà mai questa Rebecca? Non hai una foto?” “Ti pare che io tenga in casa una foto della donna del mio ex… NO, aspetta!” e detto questo Elaine posò la tazza e si precipitò in sala, da dove tornò con due CD, che porse ad Andrew. “Dimenticavo le copertine di questi due CD! Eccola qui, giudica tu…” gli disse. “Mhm, rossa, appariscente, tette al posto giusto, giovane, labbra carnose, wow!” disse Andrew, guardando di sottecchi Elaine, che era praticamente ammutolita e lo guardava con ostilità. “Ti piace??? Pensi anche tu che sia una strafiga?” domandò con fare un po’ astioso. Andrew gettò i CD in fondo al letto. “Ma per favore, dai, scherzavo! E’ un bel tipo, ma non certo il mio tipo. E nulla in confronto a te. Non ha il tuo fascino, la tua semplice bellezza, ha gli occhi vuoti. Certo, potrebbe far perdere la testa … ma a Christopher, non certo a me. E infatti lui l’ha persa, no?” “Totalmente, completamente. Tanto da lasciare una moglie e un figlio di tre anni. Poi Chris pretende che io la tratti come una di famiglia! E’ già tanto se ho permesso che vedesse mio figlio durante i periodi che spettano a Chris. E’ una cretina, oltretutto, intelligenza scarsissima, se non parli di musica rock, non sa sostenere nessuna conversazione, ride per un cazzo….” Elaine, sempre più concitata, aveva afferrato il barattolo della crema al cioccolato e si stava servendo direttamente col dito. 96


“Ferma, ferma, ferma! Stop, time-out!” disse Andrew ridendo e togliendole il vasetto dalle mani. “Non è che per una cretina di tale portata dobbiamo ingrassare un quintale e farci venire una montagna di brufoli, vero?” “Il cioccolato non mi fa venire i brufoli… e sono già ingrassata, non te ne sei accorto?” chiese Elaine riprendendo il vasetto, questa volta, però, appoggiandolo sul vassoio. “Macché ingrassata, sei diventata ancora più… morbida…” disse Andrew accarezzandole un fianco, con un po’ di difficoltà nell’aggirare l’ostacolo del vassoio tra di loro. “Beh, mi sta antipatica.” confermò Elaine, come se ce ne fosse bisogno. “Nicholas cosa dice?” chiese Andrew tornando serio. “Credo che a Nicholas, tutto sommato, piaccia. Sai, lei ci gioca, quando si vedono vanno in giro per negozi, vanno da McDonald’s a mangiare, mi dice che è simpatica… cosa vuoi che ti dica, ha otto anni, non credo che abbia ancora un metro di giudizio preciso.” disse Elaine meditabonda. “Senti, secondo me l’importante è che lo tratti bene, per adesso. E che tenga ben presente che sei tu, la mamma, ti pare?” “Ah, su quello devo dare un punto a favore di Chris. Anche lui ammette che Rebecca sa stare con Nick, ma che non potrebbe mai fare la mamma, quindi non c’è pericolo che prevarichi il mio ruolo.” ammise Elaine. “Indubbiamente, vista così in copertina, sembra avere altre qualità e capacità…” “Allora? Basta parlare di Rebecca, per piacere.” disse Elaine dandogli un pizzicotto sul braccio. “Ahi! Comunque,” aggiunse Andrew “Christopher sarà quello che sarà, ma mi ha fatto un gran favore. Mi ha dato la possibilità di riavere la donna più bella, più affascinante, più intelligente, più dolce e più sexy della Scozia.” 97


E detto questo si sdraiò sul letto, con un mezzo sorriso beato sulle labbra. “E cosa te ne farai?” chiese Elaine alzandosi e prendendo il vassoio con le tazze vuote per riportarlo in cucina. Non ottenendo risposta, si allontanò e la sentì poi dietro di sé mentre sciacquava le tazze: Andrew l’aveva seguita e la stava abbracciando da dietro, baciandole la nuca. “Per ora me la tengo stretta, poi deciderò meglio.” le disse. “Andrew… cosa significa deciderò meglio? Io non voglio portarti a…” “Sshh, zitta amore, non dire nulla e accetta quello che ho detto, per ora, ok?” “Ok, ma…” “Niente ma, per piacere.” La fece girare verso di sé e la baciò dolcemente. “Torniamo a letto a chiacchierare.” le disse pilotandola verso la camera “Grazie alle gare di sci di tuo figlio abbiamo guadagnato una notte, ma domani andrò a riprendere James a Edimburgo e non so se riuscirò a venire da te anche domani sera.” Si risdraiarono sul letto, abbracciati. Elaine spense la luce e la camera rimase illuminata solo dalla luce che proveniva dall’esterno. Nevicava, e il biancore della neve rendeva tutto più lucente. “Dici che non ce la farai a dormire qui, allora?” chiese Elaine già dispiaciuta davanti a questa prospettiva. “Non lo so, devo vedere come si mettono le cose. Il fatto è che siamo solo io e lui. Potrei inventarmi qualcosa, boh, poi vedo. Potrei dirgli che ho bisogno di tornare una volata a Glasgow, o qualcosa del genere.” “Devi mentire...” “Per una buona causa. E non ricominciare, Lennie.” Tra di loro s’insinuò un lungo silenzio. 98


“E’ tutto così bello in questi giorni!” disse poi Elaine “Che prezzo dovrò pagare per tutto ciò?” chiese, più che altro a sé stessa. “Beh, di sicuro un periodo abbastanza lungo di separazione a febbraio. Te l’ho già detto che dovrò andare a Canterbury dieci giorni?” le annunciò Andrew. “No, me lo dici adesso e mi metti già ansia.” rispose Elaine. “Niente ansia, amore, anche perché sarà tutto ricompensato a marzo, quando starò a Edimburgo quasi tutto il mese per un corso di Storia della Riforma all’ Università.” “Meno male. Accidenti, la tua agenda è piena, he?” “Non del tutto. Ci sono dei vuoti che possiamo riempire, credimi.” Detto questo, la fece sdraiare e si mise quasi completamente sopra di lei. Iniziò a baciarla, ed Elaine pensò volesse fare ancora l’amore. Ma poi, tra un bacio e l’altro le chiese: “Quando mi fai conoscere Nicholas?” Era una domanda che proprio non si aspettava. “Dammi tempo, Andrew. Dovrò pur raccontargli qualcosa di te, prima di fartelo conoscere. Non puoi certo presentarti all’improvviso e senza un po’ di preparazione da parte mia. Dopodomani, quando torna, non avrò nemmeno il tempo di respirare, credo che inizierà a parlare dal primo momento in cui entrerà in casa, per finire quando andrà a dormire.” gli disse Elaine, un po’ stupita dalla fretta di Andrew. “Il giorno dell’Epifania, allora. Magari potresti venire ad una messa con lui, e vederci dopo, un dieci minuti. Ci troveremmo almeno su terreno neutro…” propose Andrew. “E se aspettassimo alla cena di Janet?” chiese lei. “No, voglio vederlo prima. Scusami, Lennie, vorrei vederlo prima.” le rispose lui, con uno sguardo quasi supplicante. “Ma cos’è questa impazienza?” Elaine era un po’ interdetta “Guarda che non è che ci sfugge sai? Anzi… ho paura che sarà 99


una delle cause maggiori che ci impedirà di vederci liberamente.” ipotizzò Elaine. “Ah, no, Elaine. Non chiamarlo in causa, per favore. Lui non c’entra proprio niente. Non sarò certo io a dire che tuo figlio sarà un ostacolo! Ed è l’ultima cosa che voglio che tu pensi.” Elaine lo scostò da sé e questa volta fu lei a farlo sdraiare e a guardarlo attentamente, appoggiata ad un gomito. “Ti ringrazio di avermelo detto e non lo penserò di certo. Ma mi vuoi dire che cosa ti passa nella testa?” chiese. “Voglio vedere tuo figlio, voglio conoscerlo. Prima possibile.” rispose lui con fermezza. “Perché?” e il tono della semplice domanda di Elaine era tale che non si poteva sfuggirle. Andrew rimase in silenzio per un po’ di tempo, poi la scostò da sé e si mise seduto, con le mani abbandonate tra le gambe. Scuoteva la testa e sembrava molto imbarazzato. Si passò le mani sul viso. Elaine attese, capì che Andrew le stava rivelando qualcos’altro di difficile. “Dopo che te ne andasti da Inverness, quel fatidico giorno di otto anni fa, dentro di me si erano scatenati dei mostri terribili: invidia per Christopher, che poteva averti, poteva vederti madre e stava diventando padre; odio verso di te, che pensavo fossi venuta per annunciarmi che fossi incinta del figlio di Christopher solo per vantartene; disprezzo per me stesso, per non aver preso quella famosa decisione di lasciare tutto per vivere con te; e, purtroppo, rancore nei confronti di quel figlio che portavi in grembo, perché non era mio. Quando ti pensavo, dicevo: ‘chissà come sta il mocciosino’, e lo dicevo … in un modo brutto, Elaine, molto brutto. Ho molto da farmi perdonare, da Nicholas, anche se lui non lo sa. Tu non immagini neanche quanto io mi vergogni nel dirti queste cose, non lo immagini proprio!” 100


Elaine, un po’ scioccata da queste rivelazioni, si accorse che gli occhi di Andrew erano pieni di lacrime. “Perdonami anche tu, Lennie, se puoi.” disse poi, con le lacrime che davvero scendevano da quegli occhi. Elaine sentì il suo dolore, sentì tutta la fatica che aveva dovuto sopportare Andrew in quel periodo passato, e l’unica cosa che riuscì a fare fu prenderlo tra le braccia e cullarlo, mentre le lacrime si trasformavano in singhiozzi. “Ti prego, Andrew, calmati, non fare così. Certo che ti perdono! Era una reazione normale, umana, mica ci hai mandato maledizioni, no?” cercò di calmarlo, accarezzandolo e baciandogli la testa, nascosta tra i suoi seni. Sentiva le sue lacrime che la bagnavano, e non poté fare a meno di commuoversi un po’. Che emozioni e sentimenti contrastanti avevano provato, negli ultimi otto anni… tutto perché, si rese conto, si amavano ancora, e davvero tanto. “Amore, basta, per favore, mi fai star male. Te lo faccio conoscere al più presto, ok? Verremo a messa il giorno dell’Epifania, e poi ci fermeremo con te una mezz’oretta, va bene?” gli chiese Elaine, accettando la proposta di Andrew, che annuì. “Grazie, Lennie, soprattutto di voler ancora farmelo conoscere dopo quello che ti ho detto…” disse lui guardandola e asciugandosi gli occhi “Io ti amo e sento di voler bene anche a lui, solo per il fatto che è tuo figlio. Ero fuori di testa, in quel periodo, davvero, non ho mai pensato con cattiveria…” “Basta, Andrew, non massacrarti il cervello. Ora è passato, non pensarci più. E non sentirti più in colpa, per piacere.” Lui l’abbracciò e lei ricambiò stringendolo più forte che poteva, per rassicurarlo. “Io ti amo, Lennie.” disse ancora lui. “Anch’io, Andrew. E non sai quanto.” Ma quella notte glielo fece davvero capire. 101


19 Erano quasi le quattro del pomeriggio, ed Elaine non aveva ancora avuto notizie di Andrew da quando, quella mattina alle sette meno un quarto, era uscito per tornare a St. John. Ricordava che in mattinata sarebbe dovuto andare a Edimburgo a riprendere Padre James, e aveva capito fosse una cosa veloce. Nel pomeriggio aveva tentato di chiamarlo un paio di volte, ma il cellulare suonava, senza risposta. Aveva mandato un sms (‘chiamami, per favore’) circa un’ora prima, ma anche quello era rimasto senza risposta. Anche Nicholas non aveva ancora telefonato, ma non voleva chiamare lei, per non apparire ansiosa o poco fiduciosa nei confronti di Christopher: in fondo, se fosse successo qualcosa, l’avrebbe fatto sicuramente lui. Ora fremeva, aggirandosi tra le mura di casa, con un’inquietudine che stava raggiungendo livelli altissimi. Non sapeva nemmeno se chiamare Janet: non poteva scaricarle addosso tutti i suoi problemi e le sue ansie, santo cielo! Se non fosse stato per Elaine e tutto il carico dei suoi problemi, Janet avrebbe fatto la vita più serena e tranquilla che si potesse immaginare. Ma era davvero quasi fuori di sé dall’apprensione che sentiva dentro. Dov’era Andrew? Che cosa stava facendo? Perché non rispondeva? 102


Vagò con la mente in immagini molto sgradevoli, che cercò subito di allontanare: no, non poteva essergli successo nulla, no. Poi prese una decisione: non poteva più aspettare. Prese giaccone e chiavi della macchina e si diresse a St. John; al diavolo la prudenza o la discrezione: aveva bisogno di sapere, almeno di uno dei due. Quando arrivò a St. John, vide subito parcheggiata per strada l’auto di Andrew, e si tranquillizzò, dandosi della stupida: se avesse fatto così tutte le volte che Andrew non poteva, per un motivo o un altro, rispondere alle sue chiamate o ai suoi sms, il futuro sarebbe diventato un incubo, per lei. Il fatto era che, dopo le rivelazioni di Andrew della notte riguardo a Nicholas e i sentimenti contrastanti che aveva provato, era rimasta un po’ inquieta e preoccupata per lui: l’aveva visto in crisi molte volte, l’aveva visto in preda a dei fortissimi crolli di coscienza, l’aveva visto molte volte triste, ma mai così angosciato da arrivare a piangere disperatamente come aveva fatto. Tranne, naturalmente, alla morte di Angus, ma quella era un’altra storia. All’improvviso lo vide uscire dalla chiesa, in tonaca, con il cellulare in mano. Nel momento stesso in cui Andrew lo portò all’orecchio, il suo cellulare squillò. Beccata in flagrante, si disse. “Ciao, Andrew.” disse Elaine. “Ciao tesoro! Scusami se non ho risposto né alle chiamate, né al messaggio. Appena tornati, io e James abbiamo dovuto assistere un malato in fin di vita e poi ho dovuto correre in chiesa per le confessioni; e ti assicuro che prima dei giorni di festa tutti si fanno prendere dall’ansia del perdono!” disse lui scherzando. “Figurati, non ero certo preoccupata!” mentì Elaine. 103


Lo stava guardando da lontano: camminava lentamente sul vialetto della chiesa dove la neve era stata spalata, a capo chino, sorridendo, concedendosi una delle rarissime sigarette che fumava ora. “Meno male. Mi dispiace lo stesso averti fatto aspettare. Ma dove sei? Sei fuori? Sento dei rumori di fondo.” le disse. Sii sincera, Elaine, si disse. “Beh, Andrew, se proprio vuoi la verità, sono al parcheggio della chiesa.” “Al parcheggio della chiesa? E perché?” chiese lui un po’ stupito. “Perché la verità, Andrew, è che invece ero preoccupata e non sapevo più cosa pensare. Scusami, mi sono fatta prendere dall’ansia, non avrei dovuto. Mi sento un po’ una stupida, adesso.” Mentre parlava, Elaine aveva tenuto lo sguardo sul volante e non si era accorta che Andrew si era avvicinato e ora la stava guardando dal finestrino all’altro lato della guida, scuotendo la testa e sorridendole. Poi salì in macchina accanto a lei, chiudendo la comunicazione. “Ma sei impazzita? Ti avevo detto che ti avrei chiamato io nel tardo pomeriggio, e lo sto facendo, mi pare.” la guardò con fare interrogativo. “E’ vero, ma io volevo sapere se ci saremmo visti stasera e se sì, volevo proporti di uscire e tornare nel ristorante di Stirling dove siamo stati a Natale, e così ho cominciato stupidamente a chiamarti, ma tu non rispondevi e io… ho cominciato ad avere brutti pensieri, e…” Decisamente non sapeva più cosa dire per giustificare quell’ uscita di testa. “Se farai così quando tornerò a Glasgow, saranno problemi, Lennie. Il più delle volte non potrò risponderti durante il giorno, credimi, e non per mio volere, ma per forza di cose. Se 104


ti dico che ti chiamo, però, devi essere sicura che lo farò, devi fidarti di me, Elaine.” le disse Andrew stringendole velocemente una mano, tutto ciò che poteva fare lì, davanti alla chiesa, in abiti sacerdotali e gente che camminava intorno a loro. “Ti devi fidare, anche perché sai che il mio pensiero è sempre con te, e appena riesco la cosa più bella che posso fare, è sentire almeno la tua voce, lo sai.” “Ok, scusami.” “Non ti devo scusare nulla, amore. Adesso dobbiamo solo pensare a cosa dire a James, che è apparso sul portale della chiesa, molto probabilmente cercandomi perché ho lasciato un confessionale vuoto, e ci ha visti qui.” disse Andrew, sorridendole furbescamente. “Oh, no! Che casino ho fatto, merda!” gemette Elaine. “Tranquilla, ci penso io a rimediare. E per Stirling va benissimo, tanto io stasera devo tornare a Glasgow…un impegno imprevisto ma inderogabile….” le strizzò un occhio “Ti passo a prendere verso le sei e mezza, ti va bene?” “Va benissimo, grazie e scusami ancora.” gli disse, contrita. “Adesso fai un cenno di saluto a James da qui, così si rilassa, visto quanto gli piaci… ma non nello stesso modo in cui piaci a me, chiaro, eh!” E così dicendo scese dall’auto, mentre Padre James ricambiava con la mano il saluto di Elaine. Elaine riavviò l’auto e uscì dal parcheggio, avviandosi verso casa. “Merda, merda, merda!” disse colpendo ripetutamente il volante con la mano. “Sei una stupida Elaine, una maledetta stupida!” Rientrò in casa, un po’ dispiaciuta per il piccolo problema causato ad Andrew, un po’ incazzata con se stessa.

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Poi finalmente ricevette la telefonata di Nicholas. “Mammaaaaaaa!” l’urlo di gioia di Nick la rimise subito a contatto con la realtà. “Niiiick! Hai vinto???” disse, condividendo l’entusiasmo del figlio. “Sì, sono arrivato primo, mamma!” Grandioso! Suo figlio primo! “Primo? Nicholas, sei un campione! Ma che bravo! Cos’hai vinto?” “Una coppa, mamy, e sono salito sul podio e tutti applaudivano! E’ stato bellissimo! E poi siamo andati tutti insieme a mangiare, e Bob mi ha detto che era molto orgoglioso di me.” Nicholas le stava rompendo i timpani. “Oh Nick, sono felicissima! Ma soprattutto sono felice che domani finalmente ti vedo. Mi manchi sai, cucciolo?” “Anche tu, mamy, ma manca poco e poi torno a casa. Ah, mamma, mi sono slogato una caviglia, dopo la gara…” “Dopo la gara? Un campione che si sloga una caviglia? E come hai fatto? Ti fa male?” chiese, già in preda di nuovo all’ansia. “Sono inciampato nei miei sci che avevo appoggiato al bordo della pista e sono caduto. Ma non ti preoccupare: i medici che assistevano alla gara mi hanno subito messo su una cosa tutta unta e mi hanno fasciato. Mi sta già passando.” “Wow, ti hanno riservato un trattamento da atleta fuoriclasse, eh?” di nuovo si rilassò, visto che l’emergenza era rientrata subito. “Già, già! Adesso però torniamo in albergo, sono un po’ stanco, ero agitatissimo stanotte e non ho dormito molto.” rivelò Nicholas “Vuoi parlare con papà?” Elaine pensò a Christopher che non avrebbe perso l’occasione per dirle quanto buona fosse stata la sua idea di far partecipare 106


Nicholas alle gare, e preferì evitare. Ci mancava proprio una discussione con Chris! “No, l’importante era parlare con te e avere questa splendida notizia della tua vincita. Digli solo di chiamarmi domani mattina quando partite da lì, ok?” “Ok, glielo dico.” confermò Nicholas. Poi si salutarono, Elaine chiuse la comunicazione e posò il cellulare sul tavolo della cucina, odiandolo a morte: era stata attaccata a quell’oggetto per tutto il pomeriggio, aspettando notizie che avevano tardato ad arrivare; non lo avrebbe toccato più, almeno fino a quando lo avrebbe messo in borsa uscendo. Tutto quel pomeriggio era rimasta in attesa di notizie delle due persone che amava di più al mondo: suo figlio e Andrew. Ora che sapeva che entrambi stavano bene, ora che percepiva ancora la felicità di Nicholas sulla pelle e aveva davanti la prospettiva di una serata con Andrew, decise di cambiare registro: era l’ultima serata libera, l’ultima notte con Andrew, dopo i giorni meravigliosi passati con lui. Non voleva certo rovinare i momenti che l’aspettavano: si sarebbe preparata con cura e avrebbe fatto in modo che queste ultime ore di intimità con lui fossero veramente uniche.

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20 Quando Andrew ed Elaine si videro, quella sera, rimasero letteralmente fulminati l’uno dall’altra: Elaine ben truccata, con i capelli talmente lisci e morbidi che sembravano brillare, in nero, con un fine cappotto di pelle scamosciata lungo fino ai piedi, scarpe col tacco; lui, e forse Elaine lo vedeva così per la prima volta, in jeans ma con un’elegante giacca blu sopra la camicia bianca e una cravatta regimental, il tutto coperto da un bel giaccone imbottito blu e una morbida pashmina bianca, e, per una volta, i capelli ribelli pettinati per bene all’indietro. “Accidenti!” disse una. “Wow, caspita!” disse l’altro, quasi contemporaneamente. Evidentemente entrambi avevano pensato che dovesse essere una serata speciale, e avevano dato il meglio di se stessi nel prepararsi. Il viaggio verso Stirling fu occupato dal racconto della gara di sci e della caviglia slogata di Nicholas, di cui Andrew si preoccupò molto. “Tranquillo, quando dopodomani lo conoscerai, avrai un argomento in più di conversazione, perché non mancherà certo di dirtelo!” pronosticò Elaine. Quando arrivarono al ristorante, furono accompagnati a un tavolo molto riservato da un cameriere molto, come dire, riguardoso: evidentemente la loro eleganza li aveva fatti passare per delle persone ricche o, chissà, molto importanti. 108


Tant’è che il cameriere si profuse in molti ‘Prego, signori’, Si accomodi, milady’ (spostando la sedia per Elaine per farla accomodare), ‘I signori vogliono ordinare?’, e via dicendo. La cosa non mancò di suscitare ilarità in Andrew, che, durante tutta la cena, chiamò Elaine ‘milady’. “Hai fatto colpo, milady. Come farò a stare tranquillo quando tornerò a Glasgow e sarai fuori dal mio controllo?” le chiese ridendo. “Beh, Andrew, sei proprio tu il primo a dire che non sono ancora da buttare, quindi … o ti fidi o mi fai seguire da un investigatore privato, vedi tu.” disse Elaine scherzando. “Toglimi una curiosità: quando hai divorziato, non si è fatto avanti nessuno, con te?” domandò lui, già con una punta di gelosia nella voce. Elaine sorrise e annuì con la testa. “Sì?? Davvero??” “Sì Andrew, e sinceramente non molto tempo fa. E’ stato poco dopo essere stata nominata direttore della Queen Mary’s.” rivelò Elaine. “Eh, caspita, la bellezza e il potere aprono molte porte!” disse lui un po’ sarcastico. “Sì, aprono la porta delle menate …” “E, di grazia, chi era?” chiese sempre più curioso Andrew. “L’insegnante di letteratura delle secondarie, Edward Sinclair.” “Perbacco! Un Sinclair, addirittura … razza pura scozzese … sicuramente un buon partito.” “Sì, quarantasette anni, abbastanza affascinante, di famiglia molto ricca, praticamente insegnante per hobby. A volte mi spiace persino firmare l’ordine di pagamento del suo stipendio: se lo girassi sul mio conto corrente, non si accorgerebbe neanche.” disse Elaine divertita a un Andrew che aveva drizzato le orecchie. “E …?” la incoraggiò lui. 109


“E niente, era sempre da me con qualche scusa: un nuovo testo, un consiglio per come gestire uno studente un po’ burrascoso che aveva in una terza, cose così. Sguardi da pesce lesso, estrema cortesia e sempre pieno appoggio delle mie idee nelle riunioni dei docenti, Janet che impazziva dal ridere tutte le volte che lo vedeva e ne parlavamo. Finché è riuscito a bloccarmi fuori da scuola un pomeriggio, e mi ha invitata a uscire una sera.” E qui Elaine si fermò di parlare ancora una volta, per bere un bicchiere di acqua. E lasciandolo diabolicamente in sospeso. “E…?” disse ancora Andrew, impaziente di arrivare alla conclusione, facendole un gesto con le mani per incoraggiarla a continuare. “E lì si è beccato un bel ‘no, grazie’. Come se lo è incassato le altre dieci o dodici volte che ci ha provato. Poi gli ho chiaramente detto che non m’interessava avere nessuna relazione, che stavo bene da sola e non avevo intenzione di far entrare nella mia vita nessun uomo.” E qui si chiuse il racconto di Elaine, con un gran sospiro di sollievo di Andrew. “Ti sei lasciata scappare un bel partito, Elaine. Ma pazienza, no?” A questo punto Elaine si mise a ridere abbastanza divertita. “Vedessi che facce hai fatto, Andrew! Mi sarebbe piaciuto immortalarle in una macchina fotografica!” “Accidenti, Elaine! Io ero da solo come un cane a Inverness e tu eri terreno di caccia per tutti i maschi liberi della Scozia!” Elaine non riusciva a smettere di ridere, davanti all’espressione costernata di Andrew. Quando arrivò il cameriere per il dolce, fu costretta a darsi un contegno, anche se quasi le scendevano le lacrime dagli occhi, se no, addio ‘milady’. 110


Poi, tornando seria, guardò Andrew, che era rimasto per tutto il tempo un po’ piccato e ingelosito. “Non mi interessava davvero nessuno, sai? Non ho mai, e ripeto, mai preso in considerazione la possibilità di uscire con un uomo o rifarmi una vita. Credi che Janet non mi abbia spinta a farlo? Oppure i miei genitori, che erano sempre in ansia perché dovevo vivere da sola con un bambino piccolo? Quando Christopher è partito per Londra, ho chiuso la porta di casa per non aprirla più a nessun altro uomo. Mai più. Fino alla sera di Natale, quando l’ho riaperta a te.” confidò Elaine. “E adesso che l’hai riaperta?” chiese, tornando anche lui molto serio. “E adesso la lascerò aperta sempre, per te. In questi giorni credo di aver colto alcune frasi tue che, sulle prime, mi hanno fatto un po’ preoccupare. ‘Fammi vivere questo amore come se fosse normale’, ‘concedimi di fare parte della tua vita’, ‘ci penserò bene’ e, più di tutto, ‘deciderò per il meglio’. Non so cosa tu intenda per ‘deciderò per il meglio’, questa volta non voglio nemmeno pensarci e non voglio interferire. Ma di certo so una cosa: oggi pomeriggio, quando non rispondevi alle mie chiamate, mi sono accorta di non essermi mai preoccupata così tanto per qualcuno. Mi sono resa conto che se mi dovessi venire a mancare ancora una volta, non lo sopporterei.” gli confessò Elaine, senza incertezze e con la voce ben ferma e decisa. Andrew non la interruppe. “Non so cosa tu vuoi decidere, non te lo voglio chiedere, non lo voglio sapere finché non te la sentirai di dirmelo. Io ti amo, e ti amerò sempre, così come sei, sacerdote o no, non m’importa. Mi piacerebbe davvero pensare di poter essere sicura che tu sarai accanto a me fino alla fine dei miei giorni, vicino o lontano, alla luce del sole o rimanendo in ombra, in segreto o dichiaratamente. Scegli tu. Io vorrei esserci. Io voglio esserci.” 111


Elaine, nel parlare, non aveva mai abbassato lo sguardo. Andrew non aveva fatto nessun cenno, l’aveva ascoltata senza interromperla, senza fare commenti, attentamente. Ora le sorrise impercettibilmente e la accarezzò lievemente con un dito sulla guancia, fermandosi sulle poche e piccole rughe vicino agli occhi, che tanto la facevano attraente ai suoi, oggi. “Non hai bisogno che io ti dica altro, vero?” le disse “ Non hai bisogno che io ti rassicuri e ti dica che anch’io ti amo da impazzire, giusto? Non vuoi, per adesso, sentirti fare promesse su un futuro meraviglioso che per ora non posso darti, vero? Non hai bisogno di capire che quando dico ‘deciderò per il meglio’ non intendo che lo farò oggi, no?” “No,” rispose Elaine “non ho bisogno di nessuna di queste cose, Andrew. Ho solo bisogno che tu sia nella mia vita, e che tu ci rimanga, adesso.” “Ci rimarrò, Elaine, in un modo o nell’altro, ci rimarrò.” promise lui. “Bene.” “Bene.” “Fantastico.” “Meraviglioso.” “Incredibile.” “Credibilissimo.” Si rimisero a ridere sommessamente. “Vogliamo interrompere la catena di aggettivi e andare a fare una passeggiata?” chiese Andrew. Ma vide che Elaine alzava le sopracciglia e storceva un po’ il naso. “Non vuoi andare al castello, stasera?” “Andrew, non so come dirtelo … ho dei tacchi da otto centimetri, e sono una frana con queste scarpe. Mi piacerebbe dirti che sono una strafiga come la donna del mio ex-marito, e che riesco a fare qualsiasi cosa sui tacchi, ma non posso 112


proprio. Anzi, sono seduta, e già non le reggo più…” gli svelò Elaine, facendolo sogghignare. “Eh, allora credo proprio che ci tocchi tornare a casa, e in fretta anche. Non vorrei che i tuoi poveri piedi soffrano più del necessario, anzi, forse gradirebbero dei massaggi.” propose lui. “Oh, sì, lo credo anch’io.” confermò Elaine, ansiosa di iniziare una lunga serata e una lunga nottata con lui, l’ultima prima che iniziasse un lungo periodo di ‘restrizioni’.

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21 Alle sette del mattino Andrew ed Elaine erano seduti al tavolo della cucina, davanti ad una ricca colazione: caffè, latte, tè, marmellate, burro, pane tostato e succhi di frutta. Fuori era ancora buio: prima dell’alba sarebbero passate ancora quasi due ore. La loro notte era stata veramente lunga: avevano dormito poco, decisi a sfruttare fino in fondo le ore che mancavano al ritorno della normalità. Avevano fatto l’amore molto teneramente, ma soprattutto avevano parlato: sembrava che entrambi avessero un bisogno quasi vitale di raccontarsi passaggi degli otto anni trascorsi senza né vedersi né sentirsi, come se dovessero ricostruire un puzzle che era stato interrotto a metà. Si resero conto che si erano narrati per il più delle volte episodi permeati di un alone di tristezza, sempre dovuto al fatto che la loro mente, anche nelle vicende belle quali potevano essere la nascita di Nicholas per Elaine, o i successi accademici di Andrew, era andata sempre ed inesorabilmente a l’uno e all’altra, e al fatto che non avevano potuto condividere le loro emozioni. Il filo che li aveva legati dodici anni prima non era mai stato spezzato: la loro unione, impossibile nel lato pratico, era in realtà qualcosa di inscindibile nel lato mentale e psicologico. Avevano solo creduto di odiarsi, ma in realtà era un sentimento che il loro istinto aveva creato con l’unico scopo di cercare di 114


marginare la malinconia, la tristezza e, soprattutto, una sorta di barriera contro la solitudine che sentivano nei loro cuori. Elaine gli aveva raccontato che, quando Christopher era andato via, lei aveva provato quasi sollievo e gli confessò che, se non fosse uscito lui dalla sua vita, forse l’avrebbe fatto lei: più e più volte si era chiesta cosa ci facesse quell’uomo nella sua esistenza. Gli aveva voluto bene, questo lo ammise molto sinceramente, e, a parte i loro caratteri che ormai erano diventati completamente incompatibili, gliene voleva ancora. Ma non era mai stata passione, coinvolgimento totale, appagamento. In realtà non aveva fatto proprio nulla, per salvare il suo matrimonio, né ci aveva speso una parola di troppo. Da parte sua, Andrew le confessò che, a volte, aveva ancora preso in considerazione l’idea di lasciare la vita sacerdotale: in alcuni momenti si rendeva conto che non era più una vera e propria vocazione, ma semplicemente un ruolo, un lavoro come gli altri, uno status quo. Ma non aveva mai avuto il coraggio di cambiare; più che il coraggio, lo scopo: perché farlo? Per poi ritrovarsi magari ancora più solo, più isolato dal mondo? Non avrebbe mai avuto il coraggio di presentarsi a lei, le ultime notizie che aveva voluto avere, con una molto diplomatica telefonata a Padre James circa un anno dopo il fatidico ultimo loro incontro di Inverness, era di una donna sposata, madre di un bambino, una donna con una vita piena e molto probabilmente soddisfacente. Aveva pensato che non ci potesse più essere posto per lui, quindi perché cambiare? Queste confidenze occuparono gran parte della notte, ed erano riusciti ad assopirsi, abbracciati, solo dopo le quattro, e la sveglia suonò alle sei e mezza. Ed ora eccoli lì, davanti alla colazione.

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“Sei stanca, tesoro?” le chiese Andrew imburrando una fetta di pane, sulla quale mise una generosa dose di marmellata di mirtilli. “Un po’. Ma se penso a quanto sarò stanca stasera, mi viene da piangere. Quando arriveranno, tornerà il caos, qui dentro: valigie da disfare, bucati da fare, giochi che riappariranno in giro per casa a decine, controllo dei compiti delle vacanze e … tante, tante chiacchiere di Nick, che, naturalmente, mi farà la cronistoria di dieci giorni senza nemmeno dimenticare un passaggio…” rispose Elaine, mescolando distrattamente lo zucchero nel tè, un po’ meditabonda. Andrew le accarezzò una guancia. “Non sei contenta? Il tuo cucciolo ritorna!” “Certo che sono contenta! Che domande.” disse Elaine fermando la mano di Andrew sul suo viso e dandogli un bacio sul palmo. “Ma …?” la incitò Andrew. “Ma sarà un impatto con la realtà un po’ violento, credo.” Era la prima volta che l’idea che Andrew uscisse da quella casa la rendeva davvero tanto triste e malinconica. Lui l’aveva capito. “Non essere triste, ti prego, amore. In questi giorni ci siamo visti ogni volta che ci è stato possibile, abbiamo fatto l’amore in modi meravigliosi, ma soprattutto abbiamo parlato e abbiamo chiarito molte cose. Io credo che le prospettive non siano così grigie, non pensi?” le chiese. “Sai il problema qual è? Oggi mi risulta un po’ difficile la promessa che mi sono fatta di vivere giorno per giorno. Queste prospettive le vorrei avere un po’ più chiare, sto assurdamente guardando avanti, anche se so che non dovrei, e … non so cosa vedere.” gli confidò. “Cerca di non farlo. E se proprio devi, fallo a breve termine: vedi la solita Elaine, la mamma, la donna forte e decisa che 116


deve gestire da sola una casa e un figlio ancora piccolo, la direttrice della Queen Mary’s che tra due giorni verrà ributtata nel vortice degli impegni e delle responsabilità di una scuola così grande. Ma senti fortemente dentro di te che non sarai più sola: quando arriverà sera, potrai condividere le tue emozioni, i tuoi problemi, le tue preoccupazioni e le tue gioie con qualcuno. Qualcuno che ti ama, e che vuole condividere con te le stesse cose.” le disse dolcemente Andrew, cercando di risollevare un po’ quell’umore blu che si era impossessato di Elaine. Finalmente lei sorrise, con uno sguardo un po’ meno scuro. “E non fare l’errore di guardare troppo avanti.” continuò Andrew. “Non fare l’errore di dire ‘fra tre mesi sarò…’ oppure ‘fra sei mesi farò…’ o ancora peggio ‘tra un anno saremo…”: non possiamo davvero pensare adesso a cosa saremo fra tre mesi, sei, oppure un anno, non dobbiamo. E non sarebbe un bene farlo, credimi.” “Hai ragione, lo so che hai perfettamente ragione.” ammise Elaine “Forse siamo stati troppo bene, in questo periodo. Mi è sembrato di vivere una bella favola, quelle in cui c’è il principe azzurro che arriva e porta via la principessa su un bellissimo cavallo bianco, per portarla nel suo castello e non lasciarla mai più.” “Fermati a metà della favola, allora. Quando arriva il principe azzurro. Fermati lì, e aspetta di vedere come va a finire.” A questo punto Andrew si alzò e andò ad abbracciarla. “Porca miseria, Lennie, dai un po’ di tempo a questo povero cristo del principe azzurro!” disse poi lui, ridendo “Non vorrai mica trasformarlo in un nevrotico!” La guardò ironico, contento di averle strappato una risata. “No, per carità! Un altro fuori di testa non ce lo voglio nella mia vita!” disse Elaine, rilassandosi un po’. 117


Poi si alzò anche lei, e con l’aiuto di Andrew rimisero a posto in un batter d’occhio la cucina. E venne il momento di salutarsi. Andrew aveva un paio di commissioni a Edimburgo, e poi sarebbe dovuto tornare a St. John. Elaine aveva deciso, in attesa del ritorno di Nicholas, di andare in ufficio a scuola, almeno per controllare la posta e riorganizzare il lavoro lasciato in sospeso all’inizio delle vacanze. Come sempre fece uscire Andrew dal retro della casa, da dove, passando dietro la siepe che costeggiava il garage, poteva raggiungere la sua auto parcheggiata in una strada laterale, senza quasi essere visto. Prima di uscire Andrew la baciò a lungo. Poi si fermò con gli occhi ben fissi nei suoi. “Ci vediamo domani con Nicholas, promesso?” chiese. “Promesso” confermò Elaine. “Ci sentiamo stasera, ma mandami un messaggio quando arriva il tornado, ok?” “Ok, va bene.” confermò ancora Elaine, ridendo. “E un’ultima cosa: fidati di me, e di tutto quello che ti ho detto in questi giorni, Elaine. Lo farai?” Lei lo guardò con gli occhi che finalmente brillavano di nuovo. “Lo farò Andrew, lo farò.”

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22 Come predetto quella mattina a colazione, la casa, alle due del pomeriggio era già quasi un caos. Nicholas era arrivato appena dopo mezzogiorno, carico delle valigie della partenza più una borsa che conteneva i regali di Natale aperti in montagna, e, naturalmente la favolosa coppa vinta alle gare di sci, che ora troneggiava su un ripiano della libreria, ben in vista e luccicante. Appena arrivati, l’aveva abbracciato e baciato fino a soffocarlo, ridimensionando subito la tristezza che aveva sentito tutta la mattina per la mancanza di Andrew. Poi Nicholas, prima ancora di iniziare i racconti delle avventure sul Ben Nevis, aveva chiesto al papà di collegare la nuova Playstation: così Elaine, anche se non troppo contenta, vista l’ora, gli aveva chiesto se voleva rimanere a pranzo. Rebecca era già stata accompagnata nel monolocale di Edimburgo. Con suo sommo dispiacere Chris le telefonò dicendole che sarebbe rientrato nel pomeriggio, e accettò l’invito di Elaine. Il pranzo durò una quantità di tempo infinita, ogni boccone era intercalato da pezzi di storia delle varie lezioni di sci, dei film visti, delle passeggiate fatte, ma soprattutto della gara di sci del giorno prima. Elaine si accertò che la caviglia di Nicholas fosse a posto: il bambino tolse circa tre metri di benda, sotto la quale Elaine vide una caviglia pressoché normale. Ma, naturalmente, gli 119


mise ancora la crema antinfiammatoria e gliela fasciò di nuovo: una ferita di guerra è pur sempre qualcosa di cui vantarsi, soprattutto a otto anni. Ora padre e figlio erano impegnati in una sfida a tennis all’ultimo sangue, e Elaine li sentiva parlare a un livello di voce sopra il normale, mentre metteva i piatti in lavastoviglie e preparava il caffè. Vederli insieme l’aveva molto ben impressionata, quel giorno. Evidentemente entrambi avevano tratto beneficio dalle giornate passate insieme: Nicholas era molto affettuoso con suo padre, molto rilassato e a suo agio, Christopher si era ricalato perfettamente nel ruolo di padre, cosa che forse nei due giorni dei vari week-end mensili non era mai riuscito a fare veramente. In fondo ci sapeva fare coi bambini: quando insegnava alla Queen Mary’s si occupava dei casi difficili, essendo un insegnante di sostegno, ed era veramente in gamba. Elaine aveva sempre pensato che avesse sprecato il suo talento di educatore, per buttarsi in quello di chitarrista; ma, doveva ammetterlo, la sua band riscuoteva abbastanza successo, e affiancava nei concerti altri gruppi ben più noti senza cadere nell’ombra; doveva anche ammettere che alcune canzoni erano veramente piacevoli da ascoltare. Elaine approfittò del momento di calma per mandare un sms a Andrew, informandolo che Nick era arrivato e stava bene. Poco dopo le arrivò la risposta di Andrew, che diceva di essere contento e ansioso per il loro incontro del giorno dopo. Poi Elaine tornò in salotto e pose le tazze di caffè sul tavolino. La sfida padre-figlio era finita: Chris aveva lasciato vincere Nick, che ora si stava cimentando in una gara motociclistica. “Senti, Elaine, visto che non abbiamo impegni fino a metà gennaio, io e Rebecca rimaniamo a Edimburgo fino a 120


domenica. Se vuoi, se hai da fare, posso venire a prendere Nick sabato e riportartelo domenica mattina.” le disse Christopher. “Mi spiace Chris, ma sabato sera abbiamo una cena da Janet.” rispose lei rimanendo sul vago. “Beh, non è certo un evento fuori dal normale. A cena da Janet ci può venire mille altre volte.” osservò lui. A questo punto, Elaine si chiese cosa mai le impedisse di parlargli di Andrew. “Veramente è invitato anche Andrew McPherson, che è qui a Broxburn per alcuni giorni, e mi faceva piacere fargli conoscere Nicholas.” “Andrew McPherson? Ma chi? Padre Andrew McPherson? Il tuo amico sacerdote?” chiese lui, in un modo che a Elaine non piacque per niente. “Sì, proprio lui. Siete anche stati colleghi, te lo ricordi, no?” “Più che altro mi ricordo che mi avevi dato buca alla prima uscita a cena per andare ad accompagnarlo nelle Highlands per un funerale.” Perché sentiva quell’astio, nelle parole di Christopher? Era solo un’impressione? “Angus era il suo più caro amico e lo conoscevo anch’io molto bene.” ribatté Elaine. “Già, mi ricordo. La cosa che mi aveva fatto incazzare di più era che avevi mandato Janet a dirmelo. E poi quando sei tornata, eri ancora più fredda di prima, e la nostra cena era sfumata del tutto.” ricordò lui. “Non era stato un bel periodo.” “No, no, certo. E perché vuoi fargli conoscere nostro figlio?” “Scusa Chris, ma tu, ultimamente, hai fatto l’abbonamento per le domande cretine? Secondo te? Ci conosciamo da anni, è qui per qualche giorno, Janet ha organizzato questa cena perché anche Kevin ha piacere di rivederlo, e io non vedo perché Nicholas non ci debba venire.” 121


Come il solito, si stava alterando. Tentò di trattenersi, visto che Nick era a pochi passi da loro. Ma l’atteggiamento di Christopher non cambiò. “Una bella rimpatriata tra colleghi, che meraviglia!” “Christopher, hai qualche problema? O parli per invidia perché vorresti esserci anche tu?” chiese sarcastica Elaine. “Non ho niente da spartire con McPherson, tranquilla. Andate pure alla vostra cena. Quanto al mio week-end di gennaio con Nicholas, dovremmo anticiparlo di una settimana, quindi non l’ultimo del mese come al solito ma il terzo, perché l’ultima domenica di gennaio ho una jam session importantissima.” Quando Christopher partiva in quarta con i suoi impegni, le sue jam session, i suoi problemi di sale di incisioni, Elaine arrivava al top della sopportazione. “Va bene. Lo tieni dal venerdì sera o dal sabato mattina?” “Dal venerdì sera. Passo a prenderlo appena dopo cena, e te lo riporto il lunedì mattina a scuola.” “E cos’è questa novità del lunedì mattina?” Non era possibile. Ogni tanto ne inventava una nuova. “Quella settimana dovrò rimanere a Edimburgo fino al martedì, quindi pensavo di poterlo fare. Certo sei tu che devi decidere.” le disse Chris piccato, con l’aria di uno che ormai voleva per forza litigare. Elaine era disperata. Lo guardò con aria rassegnata, scuotendo la testa. “Ma perché, Chris, deve sempre finire in questi modi, tra noi due? Che cos’hai contro di me? Dimmelo, cavolo, fammelo capire, perché non mi sembra di averti fatto fare una vita d’inferno, anzi, sei andato per la tua strada e te l’ho lasciato fare, accidenti!” “Senti Elaine, non ho voglia di discutere. E’ ora che io vada, Rebecca mi sta aspettando. Ne riparliamo in un altro momento, ok? Non mi sembra il caso, adesso.” 122


Detto questo, si alzò e andò verso Nicholas. “Allora, giovanotto! Dammi il cinque, campione!” “Te ne vai già, papi?” chiese Nicholas interrompendo la corsa virtuale e abbracciandolo. “Sì, Rebecca mi aspetta. Sono state delle vacanze bellissime, sai?” gli disse prendendolo in braccio. “Wow, anche per me! Però sono contento di essere ritornato dalla mamma…” gli confidò il bambino. “Certo che sì! Adesso, mi raccomando, non farla disperare, ok? E falle vedere quanto siamo stati bravi con i compiti, oltre a divertirci come matti!” poi si rivolse ad Elaine. “Dopodomani porto le foto a sviluppare, così poi faccio un salto qui e ve le faccio avere. Posso venire, vero?” “Certo che puoi, Christopher, ricordati che inizia la scuola, però, e non siamo a casa prima delle quattro.” Chris guardò Nicholas con fare schifato, faccia subito imitata dal bambino, e insieme esclamarono: “Aaaaarrrgh! Scuola! Bleah!” e si misero a ridere. Elaine rise, senza effettivamente capire il loro gioco: era solo contenta di vederli così affiatati, pazienza se lei e Christopher continuavano ad avere diverbi e incomprensioni. Finalmente Christopher se ne andò ed Elaine tirò un sospiro di sollievo: tre ore con l’ex marito l’avevano stancata più di tutto il lavoro che l’aspettava nel pomeriggio. Ma si concesse una pausa: si sedette sul divano e fece cenno a Nick di raggiungerla. Il bambino si sedette a cavalcioni sulle sue gambe. “Allora, Nick? E’ veramente andato tutto bene?” chiese, sapendo che adesso Nicholas non avrebbe più avuto bisogno di farsi vedere per forza contento. “Sì, mamma, davvero. Solo è stato troppo tempo senza di te, e Rebecca mi aveva un po’ stufato: sempre appiccicata al papà a sbaciucchiarlo” e qui fece una faccia un po’ schifata “e siamo 123


andati un po’ troppo spesso nei negozi, per i miei gusti. Però tutto il resto è stato fantastico per davvero.” Nicholas le stava strizzando le guance, il suo modo di dichiarare il suo amore più profondo alla madre. “Mi fai male, Nick! Niente litigate con papà?” Nicholas proseguiva con il lavorio alla faccia di Elaine. “Solo una, ma piccola. Papà non ha ancora capito che i carciofi mi fanno schifo, e voleva farmeli mangiare, e non ci credeva che li avevo già assaggiati e lo sapevo che non erano buoni. Ah, e poi una volta che non avevo voglia di fare i compiti. Su quella cosa tu e papà siete molto uguali: sempre pensare ai compiti e alla scuola, uffa!” “Meno male, lo sai che …” “Sì mamy, sì! E’ la cosa più importante… ufffff” sospirò scocciato Nicholas, sempre intento nel suo lavoro. “Nick, se non la smetti di massacrarmi le guance, comincerò con le tue… e le tue sono più cicciotte delle mie, e ci prenderò molto gusto!” e si lanciarono in una lotta furibonda sul tappeto, lanciando strilli e urla: il caos aveva davvero ripreso possesso della casa di Elaine.

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23 Elaine era davanti alle finestre che davano sul giardino della casa parrocchiale di St. John. Stava guardando Andrew e Nicholas che stavano facendo un pupazzo di neve a dir poco gigantesco. Come promesso ad Andrew, lei e Nicholas si erano recati alla messa delle dieci, quel mattino. Andrew, dall’altare, si era accorto subito della loro presenza, e un lievissimo e appena accennato sorriso gli aveva illuminato il viso. La sera prima Elaine aveva raccontato a Nicholas che a St. John era tornato per un po’ di giorni un suo caro amico sacerdote, che, molto tempo prima che lui nascesse, era stato anche un suo collega alla Queen Mary’s. Gli aveva detto quanto fosse bravo a insegnare religione, proprio alle elementari e ai bambini della sua età, accompagnato da qualche episodio di vita scolastica che si ricordava. Poi gli aveva chiesto se gli sarebbe piaciuto conoscerlo, e Nicholas aveva accettato, rassicurato anche dal fatto che fosse giovane (‘Non sarà mica vecchio come Padre James, vero, mamma? Perché Padre James è un po’ noioso…”), un bel tipo allegro e con tanta voglia di giocare con i bambini. Tutto questo era stato riferito ad Andrew durante la telefonata della sera, con molte raccomandazioni da parte di Elaine: temeva molto che il primo incontro tra lui e suo figlio si 125


trasformasse in un fallimento, cosa che non avrebbe potuto sopportare. In realtà, la cosa si era svolta con molta naturalezza, sia da parte di uno che da parte del’altro. Andrew e Nicholas si erano stretti la mano come due bravi ometti. “Ciao, io sono Andrew McPherson.” “Ciao, io mi chiamo Nicholas Wallace.” aveva detto Nick guardando prima Andrew e poi sua madre. “Hai visto, Nick?” aveva affermato Elaine “Non ti avevo imbrogliato… è giovane!” poi si era rivolta ad Andrew, parlando un po’ più sottovoce “Nicholas aveva paura che tu fossi un po’ vecchiotto, come Padre James, e magari anche un po’ noioso…” Andrew aveva riso e strizzato l’occhio al bambino. “Anche io penso che James sia un po’ ‘barboso’, sai?”aveva detto Andrew con fare un po’ cospiratorio “Ma rimanga tra noi…” Poi aveva cambiato argomento. “Ehi Nicholas,” gli aveva chiesto “Hai mai visto che cosa c’è da questa parte della chiesa? Hai mai visto la casa parrocchiale? Ti va di fare un giro?” Nicholas aveva guardato sua madre chiedendole “Possiamo?” Elaine aveva annuito sorridendo; Andrew, allora, aveva preso Nicholas per mano e si era incamminato, cominciando a chiacchierare. “Allora Nick? Mi diceva la mamma che sei appena tornato da una favolosa vacanza in montagna con papà!” aveva detto, avviando il processo di narrazione del bambino. Elaine li aveva seguiti un po’ a distanza, osservandoli bene entrambi.

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Nicholas era sembrato a proprio agio, ma d’altra parte era un bambino molto aperto e socievole, ed Elaine non aveva dubbi che potesse legare con Andrew. Il più agitato era parso essere proprio il più adulto dei due: mentre ascoltava Nicholas, Andrew non gli staccava gli occhi dal viso, anzi, a dire il vero, sembrava lo scrutasse attentamente in cerca di qualcosa. Avevano parlato più che altro della vacanza e della gara di sci, e poi Nick aveva finito la conversazione con la cronaca particolareggiata della slogatura alla caviglia (e qui Andrew le aveva lanciato uno sguardo divertito, ricordandosi che lei l’aveva predetto) con tanto di resoconto dettagliato del pronto intervento ed esibizione visiva della fasciatura. Nel frattempo erano arrivati al corridoio che fiancheggiava il vasto giardino e Nicholas rimase stupito di quanto fosse esteso, sommerso da almeno trenta centimetri di neve immacolata. “Wow!” aveva detto “Non sapevo che era così grande, qui!” “Bel posto, eh?” aveva ribadito Andrew strizzandogli un occhio “solo, non ti sembra un po’ vuoto? E se noi facessimo un bel pupazzo di neve? Ci verrebbe gigantesco, guarda quanta ce n’è! Ed è tutta ancora bella bianca e pulita!” aveva proposto Andrew, lasciando Elaine di stucco: pensava che il colloquio Nicholas-Andrew stesse volgendo alla fine. Si era stupita un po’ meno quando, naturalmente, Nicholas aveva accettato la proposta senza nemmeno chiederle il permesso e, seguendo Andrew che le aveva lanciato nel frattempo uno sguardo esultante, era uscito con lui e si erano messi subito all’opera. Ed ora eccoli là! Elaine era rimasta all’interno, guardandoli attraverso il vetro: non aveva nessuna intenzione di congelare per far compagnia a quei due! “Finalmente Andrew ha potuto conoscere tuo figlio!” 127


Elaine fece un balzo: Padre James era comparso silenziosamente alle sue spalle e l’aveva fatta spaventare. “Oh, Padre James, salve! Perché, finalmente ?” chiese Elaine. “Ciao Elaine. Dico finalmente, perché era da quando è arrivato, prima di Natale, che Andrew aveva espresso il desiderio di conoscere tuo figlio.” spiegò Padre James. “Davvero?” chiese stupita Elaine; non pensava che Andrew ne avesse parlato con James, e si chiese anche cosa e quanto gli avesse detto. “Sì. A dire il vero, mentre era su nelle Highlands, ogni tanto mi chiamava per sapere come stavo, e a volte mi chiedeva di te. Era rimasto molto scosso, quando un paio d’anni fa gli avevo detto che il tuo matrimonio con Christopher era finito in un divorzio. Si era preoccupato molto, credo.” affermò Padre James, con un tono che lasciò un po’ interdetta Elaine: cosa aveva capito, quell’uomo, di lei e Andrew? Aveva mai sospettato qualcosa, dodici anni fa, o oggi, addirittura? “Beh, siamo stati molto amici, io e lui,” accennò Elaine “i tre anni trascorsi insieme a scuola ci avevano legati molto. Anche con Janet.” disse cauta Elaine. “Anzi, le ha detto che sabato sera siamo da lei a cena?” buttò lì poi, con nonchalance. “Sì, me l’ha detto l’altro giorno. Sai, Elaine, mi piacerebbe molto che Andrew tornasse qui a St. John… o a Broxburn, in ogni caso.” Che cosa intendeva? Che cosa voleva farle capire? Padre James era criptico, quella mattina. “Eh, ma la carriera?” chiese Elaine, cercando di indagare un po’ più a fondo. “Non so se avete parlato un po’, in questo periodo, ma –e se non te l’ha detto, rimanga tra noi- non è molto contento dei suoi incarichi a Glasgow.”

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Botta con sorpresa: Elaine l’aveva forse un po’ intuito dalla freddezza con cui ne parlava Andrew, ma che non fosse contento non l’aveva detto. “Sai,” continuò Padre James “io so che Andrew ama molto insegnare. E ovunque, intendo: elementari, superiori, università, qualsiasi cosa, pur di avere delle menti da nutrire con il suo sapere. Io penso che la sua vera vocazione sia l’insegnamento. Purtroppo ai livelli alti non l’hanno capito, e gli hanno tolto quello che gli piace di più fare, e non è stato un bene, credo.” Le affermazioni, anche molto convinte, di James, stupirono sempre di più Elaine. “Beh, mi ha detto che a marzo terrà un corso di storia della Riforma all’università di Edimburgo…” accennò Elaine. “Certo, infatti mi ha detto che non aspetta altro. Ma sai, gli hanno concesso due mesi d’insegnamento all’anno. Non penso che gli possa bastare, lo conosco molto bene e ho capito molte cose, parlando con lui in questi giorni.” Elaine non riuscì proprio a sostenere lo sguardo di Padre James, e si voltò di nuovo verso il giardino. Nicholas e Andrew stavano rientrando, tenendosi per mano. “Guarda che fortuna, Nick! Padre James è proprio qui! Glielo chiedi tu?” disse Andrew entrando dalla porta, insieme ad una ventata di aria gelida. “Padre James,” disse Nicholas “possiamo andare in cucina a vedere se c’è qualcosa per fare gli occhi, il naso e la bocca al pupazzo?” “Certo! Anzi, penso che, guardando bene, troverai delle ottime carote, per il naso!” rispose James. Nick e Andrew si guardarono esultanti, Andrew lo prese per mano e insieme sparirono dietro a un’altra porta. Elaine rise e Padre James ricominciò a guardarla attentamente. 129


“Elaine, sono contento di vedere ancora sul tuo viso un’espressione così felice. Erano anni che la tenevi nascosta, e mi dispiaceva molto. Sei una brava ragazza, sai? L’ho sempre pensato. E sai anche quanto mi sia dispiaciuto del tuo fallimento matrimoniale con Christopher. Ma sei stata forte, e Nicholas ne è la prova. Avrei voluto dirti tante volte queste cose, ma a volte penso che tu sia un po’ allergica al fumo delle candele…” disse Padre James, con un velato rimprovero ad Elaine, che non frequentava molto la chiesa. “Dai, Padre James, per favore, sa benissimo come la penso, ne abbiamo già parlato altre volte.” cercò di giustificarsi Elaine. “Ti sto solo dicendo che se dovessi sentire il bisogno di parlare con qualcuno, puoi venire da me. E non ti sto suggerendo un confessionale, ma una chiacchierata tra due persone che si conoscono da … quanto? Vent’anni credo, tutto il tempo che questo vecchio prete è qui a Broxburn.” Elaine era sempre più inquieta: quanto aveva capito quell’uomo silenzioso e solitario, ma soprattutto attento e capace? “Va bene, Padre James, me lo ricorderò davvero. Grazie.” accettò Elaine. Sentì poi un ‘mamma!’ provenire dall’esterno: Andrew e Nicholas, usciti molto probabilmente da un’altra porta, le stavano mostrando una serie di ortaggi che sembravano andare perfettamente bene al loro scopo: due piccole patate per gli occhi, un’enorme carota per il naso e una zucchina molto curva per la bocca. Disposero il tutto al posto giusto, poi Andrew si tolse la sciarpa e la mise intorno al collo del pupazzo, e rimasero a guardarlo, orgogliosi della loro opera. Poi si sentì chiamare a gran voce: la stavano incitando ad uscire per vedere da vicino il capolavoro. “Vai, Elaine, vai da tuo figlio, se no lo sentiranno gridare fino a Edimburgo!” rise Padre James. 130


“Già, forse è meglio!” ammise Elaine ridendo anche lei. Si voltò verso Padre James per salutarlo e stringergli la mano. “Meriti di essere di nuovo felice, Elaine. Troverai il modo, credimi.” gli disse il sacerdote, salutandola. Elaine era quasi commossa. “Grazie, Padre James. Grazie.” Elaine uscì dai suoi due amori, ormai convinta che Padre James aveva capito molto più di quanto lei o Andrew si immaginassero. Fu afferrata da Nicholas e portata di corsa davanti al pupazzo di neve. “Guarda che bello!” disse Nicholas “Guarda come l’ha lisciato bene Andrew, e poi gli ha messo anche la sua sciarpa! Posso mettergli il mio cappello, mamy?” chiese Nicholas. “Non credo proprio. Le tue orecchie geleranno, le sue sono già gelate, invece.” obiettò Elaine. “Fa niente,” disse Andrew “ mettiglielo pure, ti presto il mio e me lo restituirai la prossima volta che ci vediamo, ok? Elaine?” chiese conferma Andrew, guardandola quasi con lo stesso sguardo supplice di Nicholas. “Sì, dai, mamma!” Nick si mise a saltellare come un pazzo. “Va bene!” acconsentì Elaine ridendo, e assistendo poi a questo scambio di berretti tra Andrew, Nick e il pupazzo. Poi, per caso, alzando lo sguardo, vide la figura di Padre James dietro ai vetri: li guardava, sorrideva e annuiva.

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24 Alle undici del primo giorno di lavoro dopo le vacanze di Natale, Elaine era già abbastanza stanca da aver voglia di chiudere l’ufficio a chiave e non far entrare più nessuno. Rachel era davanti alla sua scrivania, e aspettava che lei firmasse un paio di fax da spedire per richiedere la visione di alcuni nuovi libri di scienze per le secondarie. “Quando esci da qui, se qualcuno si presenta o si avvicina a meno di due metri dalla mia porta, ti do il permesso di eliminarlo a sangue freddo.” le disse Elaine. “Anche se fosse il Principe di Galles?” scherzò Rachel. “Soprattutto.” rise Elaine. “Ascolta Rachel, in questo fax aggiungi un post scriptum, e chiedi per cortesia che ci mandino questo testo entro il 20 di questo mese, perché vorrei proprio valutarlo durante la prossima riunione dei docenti.” “Va bene. Le porto un caffè, signora Kincaid?” le chiese Rachel. “Grazie, sei un tesoro.” Elaine, da quando era tornata a casa la mattina prima, dopo l’incontro tra Nicholas e Andrew, non era ancora riuscita a respirare, praticamente. Appena arrivati, avevano trovato ad aspettarli fuori di casa i nonni, arrivati da Ashlington per fare una sorpresa a Nicholas. Quindi aveva dovuto intrattenerli tutto il giorno, preparare un pranzo e una cena decenti, e, arrivate le nove di sera, non aveva potuto far altro che invitarli a rimanere fino al week-end. Come 132


sempre, quando i suoi si fermavano a casa sua, Elaine andava a dormire sul divano letto in camera di Nicholas, lasciando la stanza matrimoniale ai genitori. E tutto ciò le aveva impedito di avere la sua solita e rilassante telefonata di fine giornata con Andrew. Quella sera avrebbe proprio tanto voluto parlare con lui, per sentire le impressioni di Andrew riguardo alla mattina con Nicholas, ma purtroppo dovette mandargli un veloce sms spiegandogli la situazione e pregandolo di non chiamarla; si sarebbero sentiti l’indomani. E l’indomani era iniziato in un modo un po’ burrascoso, e tre ore erano passate in un battibaleno. Ora, mentre aspettava Rachel con il caffè, prese il cellulare e digitò il numero di Andrew: non sapeva dove fosse e se potesse rispondere, ma doveva assolutamente sentirlo. “Ciao, Elaine.” rispose quasi subito Andrew. “Ciao, Andrew. Puoi? Dove sei?” chiese. “Tu non ci crederai, ma sono fuori dal tuo ufficio, con la tua segretaria che regge in una mano il tuo caffè, dicendomi che non vuoi essere disturbata per nessun motivo e da nessuno…” Elaine si mise a ridere e andò alla porta, chiudendo la comunicazione. “Lascia pure entrare il signor McPherson, Rachel!” disse Elaine, vedendo Andrew che prendeva dalle mani di Rachel il suo caffè, la guardava con uno sguardo tipo ‘te l’avevo detto’, e si dirigeva verso il suo ufficio. Chiuse la porta. Andrew la baciò. La stanchezza scomparve in un batter d’occhio. “Il caffè che aveva ordinato, milady.” disse Andrew cerimoniosamente, inchinandosi. “Grazie, che onore! Non pensavo che avrei avuto un cameriere così affascinante.” 133


Si sedettero sulle due sedie davanti alla scrivania. Andrew le sorrideva. “Beh? Che c’è?” chiese Elaine. “Un bel casino, eh? Ributtata violentemente nel turbinio quotidiano, senza possibilità di uscita.” commentò Andrew. “Già! E ci si sono messi in mezzo anche i miei.” “C’est la vie!” disse Andrew. Elaine lo squadrò per benino: doveva assolutamente capire come si sentiva Andrew dopo l’incontro con Nicholas. “Allora? Soddisfatto di ieri?” gli chiese, sorseggiando il caffè. “Sono veramente molto contento, Lennie. Non ti nascondo che all’inizio ero un po’ preoccupato. Non sapevo cosa dirgli, come comportarmi…” iniziò Andrew. “Tu? Tu non sapevi cosa fare? Impossibile.” commentò Elaine. “Davvero. Lo sai quanto temessi questo incontro, e sai anche perché. Ma tu hai un figlio meraviglioso, davvero. E’ di una simpatia e di una spontaneità incredibile.” disse Andrew, sorridendo al ricordo dei momenti del giorno prima. “La tua coscienza è a posto?” indagò Elaine. “Direi di sì. Sì, decisamente. E anche tutti i dubbi.” “I dubbi? Scusa, quali dubbi?” s’informò Elaine. “Beh…” Andrew era quasi imbarazzato “l’ho guardato molto bene, intanto che facevamo il pupazzo di neve…” “Guardato molto bene? In che senso?” chiese Elaine, che non voleva fargli capire che si era accorta di quanto Andrew avesse scrutato suo figlio. “Nel senso che… ti assomiglia molto, ma, decisamente, anche a Christopher.” Elaine rimase interdetta un attimo. Andrew per tutto quel tempo aveva continuato a pensare che potesse essere suo figlio? Possibile? “Ma, Andrew … posso capire se avessimo continuato a non vederci, ma ti pare che ti avrei mentito su una cosa così, dopo 134


tutto quello che ci siamo detti e abbiamo fatto in questi giorni? Ma sei impazzito? Non ti fidavi di me?” decisamente non ci poteva credere. Andrew sollevò le spalle, in un gesto che poteva voler dire tutto e niente. “No, no, mi fidavo. Dicevo solo così per dire, cioè, vi assomiglia molto e basta. Niente di più, niente di meno.” cercò di spiegare Andrew, non dandola assolutamente a bere ad Elaine. “Senti, Andrew, diamoci un taglio e parliamo fuori dai denti. Che cosa hai pensato, in tutti questi giorni? Ti piaceva l’idea che potesse essere tuo figlio?” chiese Elaine, che a questo punto voleva e doveva assolutamente sapere. Andrew si sfregò le mani sulle cosce, appoggiò i gomiti sulle ginocchia e intrecciò le mani, guardandosele. Poi alzò gli occhi su Elaine. “Si, Lennie, mi piaceva molto questa idea che mi girava in testa. Ho sempre creduto a quello che mi avevi detto, ma avevo un sottile tarlo che non mi abbandonava, e sì, ho sfiorato più volte l’idea di essere il padre di tuo figlio.” Bene, finalmente l’aveva ammesso. Alla faccia di quello che le aveva detto e ridetto Janet, che pensava che Andrew avesse tirato un sospiro di sollievo quando aveva saputo che il padre era Christopher. Era esattamente il contrario. Elaine, per un attimo, non ebbe la forza di ribattere: che cosa stava succedendo ad Andrew? Dio mio, cosa stava veramente pensando di fare? E da quanto ci pensava? “Ma, scusa, ti rendi conto di quanta poca fiducia hai avuto in me e in quello che ti dicevo? Potrei anche prenderla male, sai?” gli disse un po’ risentita. “No, no, no! Non prenderla da questo lato, stai sbagliando. Io mi fidavo di te, ero io che assurdamente avevo visto questa 135


cosa da un lato diverso.” disse lui prendendole le mani, cercando di farle capire che le aveva davvero creduto. “E quale? Mi puoi spiegare meglio?” chiese di nuovo. “No, in realtà non posso. Perché non riesco a spiegarlo bene nemmeno a me stesso, credimi. Te l’ho detto: semplicemente mi piaceva l’idea. Non farmi troppe domande e non analizzarmi troppo a fondo, Lennie, per favore. In questo momento affonderesti in un meandro di pensieri e di idee che non sono ancora per niente chiari neppure a me.” le disse, quasi supplicandola. Elaine scosse la testa e tirò un profondo respiro. “In effetti, non so nemmeno io se quello che mi stai dicendo in questo momento mi renda felice o preoccupata. Da una parte dovrei essere contenta, perché mi stai dicendo che ti piacerebbe avere un figlio nostro, dall’altra sono preoccupata, se non addirittura spaventata, per quello che questo potrebbe significare.” spiegò lei. “E’ esattamente quello che penso io. Così, a questo punto, tornerò a quello che ti ho detto l’altra sera a Stirling: sto riflettendo, e molto. Sto cercando delle vere risposte dentro di me, risposte che hanno bisogno di un po’ di tempo. E tu hai detto che me lo darai, no?” “Certo. Questa volta aspetterò anche cent’anni, credimi. E accetterò qualsiasi tua decisione.” gli riconfermò Elaine. “Comunque, mi spiace ridirtelo, ma Nicholas è figlio di Christopher. Adesso che l’hai appurato anche con i tuoi occhi, gli vorrai forse meno bene?” chiese Elaine. “Stai scherzando, vero? E’ un bambino fantastico! Ed è un piacere stargli vicino. Ieri ci siamo fatti un sacco di risate, insieme. E, credimi, se è stato tutto così semplice e facile, è stato più merito suo, che mio. Tornando alla tua domanda iniziale: sì, sono soddisfatto, soddisfattissimo. E la mia coscienza si è placata, grazie al cielo.” 136


“Bene. Direi che su questa questione spinosa possiamo mettere la parola fine. Per il resto?” chiese Elaine. “Il resto? In che senso?” domandò Andrew, che non aveva assolutamente capito cosa intendesse sapere Elaine. “Che si fa? Ci vediamo a cena da Janet sabato sera –cioè tra due giorni-, o cosa? I miei rimangono giusto fino a sabato mattina.” Elaine lo guardò di sottecchi. “Quindi? Avanti Elaine, parla. Esprimi. Esplica. Spiega. Proponi.” le disse Andrew. “Beh, se uscissimo una sera, magari venerdì, non avrei problemi. Con Nicholas ci starebbero loro.” “Fantastico!” “Già. E tu?” “Io potrò sicuramente.” “E che si farebbe? Cena?” “Beh, non vedo molto altro da fare. E’ pieno inverno, viaggiamo sottozero, il tempo materiale è limitato. Hai qualche altra idea?” chiese Andrew. Elaine afferrò dalla scrivania un enorme mazzo di chiavi. “Dimentichi che qui ho il potere assoluto. Queste sono le chiavi di qualsiasi cancello e di qualsiasi porta di questa scuola. E il mio ufficio non mi sembra tanto male…” disse Elaine, facendo un gesto con la mano che lo invitava a guardarsi intorno. Cosa che Andrew fece, accorgendosi che non era più l’austero e freddo ufficio che conosceva quando insegnava alla Queen Mary’s: tendaggi colorati, un comodo e bel divano in un angolo, con davanti un basso tavolino, qualche pianta, una lampada alogena a stelo... “Decisamente accogliente …” mormorò, “… su quel tavolino si potrebbe appoggiare una bella pizza … e su quel divano, invece …” la guardò di sottecchi. “Era proprio quello che pensavo io.” confermò Elaine. 137


“Te l’avevo detto, l’altra sera, che il potere apre molte porte! E mi piacciono, queste porte!” rise Andrew, accettando l’idea di Elaine. “Andata?” gli chiese lei. “Andata!”

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25 Elaine e Andrew stavano ancora ridacchiando della loro fuga serale nell’ufficio di Elaine, mentre mangiavano una pizza con le mani e bevevano una birra direttamente dalla lattina. “Cavolo Elaine! Abbiamo superato tutti e due i quarant’anni e guarda cosa stiamo combinando in questi giorni!” disse Andrew. “Parla per te, per favore. Io i quaranta li ho appena compiuti. Sei tu che sei sul giro di boa verso i cinquanta!” scherzò Elaine. “No cara, ne ho ancora quarantaquattro, fino al 5 di settembre, l’hai dimenticato?” “Assolutamente no, ma intanto quest’anno raggiungerai i quarantacinque, e da lì ai cinquanta è un attimo.” continuò a prenderlo in giro lei. “Ci arriverai anche tu. Comunque è vero, così tante fughe e diserzioni non le avevo fatte nemmeno dodici anni fa. Figurati poi dopo: il nulla assoluto.” disse Andrew. “Io mi sto divertendo un casino, non so te… cos’hai detto a Padre James? Il solito ‘io non ci sono stasera’?” “No, no! Gli ho detto che venivo da te.” dichiarò tranquillamente Andrew. Un attimo di silenzio stupito da parte di Elaine, che smise anche di masticare, guardandolo. 139


“Certo, non ho specificato che era il tuo ufficio, anziché la tua casa…” continuò poi, infilandosi in bocca un pezzo gigantesco di pizza e tentando di sorriderle. Elaine rise. “Tu sei pazzo! E se ti cerca a casa mia?” chiese Elaine, già con un po’ di ansia. “E perché dovrebbe? Poi ho un cellulare, dimentichi? Gli ho detto di chiamarmi a quel numero. E sentiamo, allora, tu che cos’hai detto?” si informò lui. “Ah, caro, io ho detto la verità, e cioè che venivo in ufficio perché avevo un sacco di lavoro da portare avanti.” gli rispose sardonicamente Elaine “Io non ho mentito.” “E dov’è tutto questo lavoro?” chiese Andrew lanciando lo sguardo su una scrivania quasi sgombra all’altro lato del locale. “Non devi guardare là, per trovare il lavoro che ho da fare…” e, dicendo questo, Elaine gli lanciò uno sguardo molto eloquente ed espressivo. “Mmmm, interessante. A proposito, come mai quest’ufficio è passato dal modello Inquisizione Spagnola tipico del vecchio Stone, al modello Alcova del Sesso attuale? Divanetto rosso, tendaggi colorati, e, se non mi sbaglio, vedo anche un paio di candele che, oltretutto, sono già state accese, avendo lo stoppino annerito…” chiese Andrew con fare indagatore e un tono un po’ geloso. “L’hai detto tu l’altra sera, no? Bellezza, potere, terreno di caccia per tutti i maschi liberi della Scozia… avevo bisogno di un punto di appoggio, di un quartier generale per tutti questi incontri, ti pare? Dovevo creare un ambiente adatto. Dovresti vedere come ho trasformato la biblioteca…” Decisamente, quella sera avevano voglia di scherzare e punzecchiarsi a vicenda. “Ah si? Poi mi ci porti… certo, capisco il povero Sinclair, come doveva sentirsi quando sottoponeva al tuo giudizio i libri 140


di testo. Personalmente te ne avrei portato uno ogni settimana. Forse anche un paio.” Andrew si pulì le mani e la bocca con un tovagliolo di carta, finì la sua birra e si accomodò meglio sul divano, guardando Elaine che buttava i cartoni vuoti nel cestino della spazzatura. “Non avrai intenzione di lasciarli lì, vero?” le chiese “Cosa penseranno le bidelle, quando domani mattina verranno a pulire il tuo ufficio?” “Voglio creare un po’ di gossip, in questa scuola. Non voglio più che mi vedano come una poverina da compatire, che a quarant’anni vive solo tra scuola e casa, scartoffie e bambini, spese e bucati. Facciamoli parlare un po’, no?” disse Elaine sdraiandosi e appoggiando la testa sulle gambe di Andrew. “Perché, tu pensi che ti vedano così?” chiese Andrew accarezzandole i capelli. “A volte credo proprio di sì. Anche perché non ho mai dato un’immagine diversa, sinceramente. Lo ero davvero.” “Noto che hai usato il tempo passato, per il verbo. Quindi, all’epoca delle imboscate del clan dei Sinclair, nessuno credeva che le tue difese sarebbero crollate…” “Assolutamente no. Tutti facevano il tifo per me.” Andrew la baciò lievemente sulla bocca e, oltre ai capelli, iniziò ad accarezzarle anche le gambe, con l’altra mano, soffermandosi all’interno delle cosce. Elaine lo fermò. Si alzò, prese un accendino dal cassetto della scrivania, accese davvero le due candele, una sul tavolino e l’altra su uno scaffale, spense l’alogena e si mise in piedi davanti ad Andrew. Lentamente, mentre lui la guardava, iniziò a spogliarsi, sorridendogli. “Wow, mi ricorda qualcosa, questa scena…” disse lui, un po’ sornione, rammentandosi di una richiesta fatta a Elaine dodici anni prima. “Solo mi ricordavo anche una certa reticenza, da 141


parte tua. Cosa che non noto in questa Elaine, che tu hai appena definito tutta casa e scuola, spese e bucati.” disse Andrew, guardandola attentamente, senza muovere un muscolo, aspettando con eccitazione crescente l’evolversi della situazione. “Le cose cambiano, Andrew. Molto spesso cambiano in peggio, ma è ora di farle andare per il verso giusto, adesso.” disse Elaine, ormai arrivata al reggiseno, che si sfilò molto lentamente. “Ci stai mettendo veramente tanto impegno, per farle andare bene, credimi.” La voce di Andrew, come il solito, si era abbassata di tono. Elaine si avvicinò a lui, si sedette sulle sue gambe e iniziò a sbottonargli la camicia, dandogli un bacio dolce ma molto profondo. Gliela tolse e, poco dopo, gli levò anche la T-shirt e prese a baciargli il torace, soffermandosi con le labbra sui suoi capezzoli. Andrew intrecciò le dita nei suoi capelli e cominciò a respirare con un po’ più di fatica. Elaine stava scendendo sempre più giù con la bocca, slacciandogli nel frattempo i pantaloni e scoprendo l’eccitazione già prorompente di Andrew, stuzzicandolo ancora di più con la lingua. “Lennie, mi fai perdere la testa…” le disse lui, riuscendo dopo un po’ di tempo a trovare la forza di muoversi per farla sdraiare sul divano, sotto di lui. “E’ questo il lavoro che dovevi portare avanti stasera?” le chiese, penetrandola adagio e facendola gemere. “Eh, sì, proprio questo. E avevo assolutamente bisogno della tua consulenza…” disse Elaine, sollevando le gambe e stringendole intorno ai suoi fianchi, mentre lui si muoveva lentamente dentro di lei. Quella sera furono molto attenti ai gesti che facevano, alle parole che dicevano, alle sensazioni che provavano. 142


Pur lasciandosi prendere completamente dalla passione, rimasero sempre molto lucidi e consci di quello che stavano facendo. Sembrava quasi che avessero fatto un gradino in più nella scala della consapevolezza del loro rapporto, un passo avanti nella soluzione della loro relazione. Fecero durare a lungo quei momenti, parlandosi dolcemente, coccolandosi, aspettando tempo e fermandosi spesso, prima di raggiungere il piacere, che quando arrivò fu comunque travolgente come sempre. Rimasero abbracciati, con gli occhi dell’uno che non riuscivano a staccarsi dagli occhi dell’altra. “Tutte le volte è come se fosse la prima volta, con te. Ogni giorno scopro una nuova Elaine: quella più pudica, quella più dolce, quella più sexy, e stasera quella più provocante. Quante donna sei diventata, amore? Mi sembra sempre di conoscerne una diversa, e questa cosa mi affascina in un modo che nemmeno immagini. E mi lega sempre di più a te, perché tutte le volte mi chiedo cosa troverò e cosa scoprirò la volta dopo.” le disse Andrew. “Non ci sono tante donne dentro di me. Ci sono io e basta. Ma anche per me è così. Ricordavo un Andrew sempre sofferente, disperato, in lotta con se stesso, che mi rovinava sempre un po’ la gioia di certi momenti. Ora non c’è più. Ora c’è un uomo che questi istanti me li fa godere appieno. E facendo così mi incateni sempre di più a te, lo sai, vero?” “Lo so. Ma ne sono felice. Sono felice di come il tempo ci abbia cambiato e di quello che siamo diventati. E non ti posso certo nascondere quanto mi piaccia, questa situazione, e di quanto io non la voglia cambiare.” “Lo spero davvero, questa volta.” disse Elaine alzandosi e cominciando a rivestirsi, imitata da Andrew. “Allora, vuoi vedere tutti i cambiamenti della scuola?” gli chiese poi, tornando alle conversazioni normali. 143


“Mi piacerebbe molto, Lennie, ma hai visto che ore sono?” Elaine guardò l’orologio e vide che erano passate le undici: non si era proprio resa conto che erano passate quasi tre ore, da quando erano arrivati lì. “O santo cielo!” esclamò stupita “Non pensavo di avere così tanto da fare…” “Infatti, forse è meglio rientrare. Mi farai vedere i rinnovamenti in un altro momento. Se vuoi, ci veniamo domenica pomeriggio con Nicholas, tutti e tre insieme… se ti va, naturalmente.” propose titubante Andrew. “Perché no? Potremmo farlo benissimo. Ne riparliamo domani, dopo la cena da Janet, ok?” accettò Elaine, vedendo subito quanto fosse contento Andrew di avere un ulteriore incontro con Nick, oltre a quello già stabilito della sera successiva. E d’altra parte, anche lei avrebbe voluto trovare mille modi per stare vicina a lui: tra una settimana sarebbe ritornato a Glasgow, per rimanerci, questa volta, e le occasioni per vedersi si sarebbero ridotte in maniera esponenziale. La colse una punta di tristezza, che la colpì come uno stiletto nel cuore: quanto sarebbe stato difficile? Avrebbero resistito? Scacciò questi pensieri, lasciandosi abbracciare e baciare da Andrew. “Questa insolita serata nell’Alcova Kincaid mi è piaciuta molto, anzi, moltissimo.” le disse. Poi, mentre Elaine rassettava il divano, buttò le lattine di birra e i due tovaglioli nel cestino, a far compagnia ai cartoni delle pizze. “Se dobbiamo creare il gossip, facciamolo per bene. Quanto ci scommetti che lunedì mattina il contenuto del tuo cestino sarà già sulla bocca di tutti?” disse Andrew ridendo “Senza contare che l’altezza delle candele è notevolmente diminuita…”

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“Perfetto. Inizia una nuova era, alla Queen Mary’s School!” esclamò soddisfatta Elaine, mentre si rimettevano i giacconi e si preparavano ad uscire. “E non solo alla Queen Mary’s, Elaine, non solo.”

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26 L’atmosfera in casa di Janet, quel sabato sera, era molto conviviale e allegra. I bambini si divertivano, gli adulti chiacchieravano rilassati, ricordando i tempi in cui tutti e quattro insegnavano alla Queen Mary’s, oppure raccontando episodi del lungo periodo in cui non si erano visti. “Ehi, ragazzi,”disse Janet “vi dispiace se adesso io ed Elaine mettiamo un po’ in ordine, mentre magari voi vi bevete uno scotch in salotto?” Kevin e Andrew si guardarono, poi Andrew disse: “Nick, Josh, le vostre mamme ci stanno mandando via.” “Sicuramente” aggiunse Kevin “hanno qualcosa da dirsi che noi non dobbiamo sentire … succede sempre così, Andrew. A volte sono un po’ geloso di Elaine…” “Ma piantala!” disse Janet “Volete per caso riordinare voi due e noi ci mettiamo belle comode sul divano? Meglio per noi, eh!” “No, no, per carità! State qui tranquille, e ‘fate’ tutto quello che volete … o dite, come preferite! Josh, Nick,” disse poi rivolto ai bambini “formate le squadre! Invece del divano raggiungiamo la pista elettrica e facciamo una bella gara di Formula Uno!” “Sììììì!” dissero in coro i due marmocchi. “Io voglio stare in squadra con Andrew!” disse Nick. “E io e te li battiamo, papà!” pronosticò Josh. 146


E con il solito alto vociferare, i quattro maschietti uscirono dalla cucina e si diressero alla loro gara di macchinine. “’Io voglio stare in squadra con Andrew’? Siamo già a questi livelli?” chiese Janet stupita, non accennando minimamente ad alzarsi da tavola. “E’ stato amore a prima vista, tra loro!” rispose Elaine. Janet la squadrò per benino e la scrutò a fondo. “Che gioco state giocando, tu e Andrew, Elaine? Quello della coppia felice? Giocate a fare mamma e papà?” chiese un po’ sarcastica. “E se anche fosse?” domandò Elaine un po’ piccata. “Non mi sembra il caso … dimentichi? Padre Andrew McPherson? Sacerdote cattolico? Ti devo riportare su questo pianeta, per caso?” “Senti Janet, io credo che lui voglia veramente abbandonare il sacerdozio, questa volta.” dichiarò Elaine. “Te l’ha detto chiaro e tondo?” s’informò l’amica, un po’ stupita. “No, ma me l’ha fatto capire più volte.” “Allora aspetta a cantare vittoria.” “Mi ha detto di dargli tempo, di avere pazienza e fiducia in lui, che questa volta le cose saranno diverse. Non posso certo pretendere che dall’oggi al domani abbandoni tutto e venga a vivere con me, no? E tu, mi raccomando, non essere sempre così confortante, potrei illudermi.” disse Elaine all’amica, che la guardava scuotendo la testa. “Senti, non è che in questi giorni, abbagliato dal fatto che le cose tra voi non sembrano essere cambiate, si sia fatto prendere un po’ la mano? Una donna che lo ama ancora, del buon sesso appagante, niente più solitudine, tutte queste belle cose? E poi, dal dire al fare, come il solito, c’è di mezzo il mare?” chiese di nuovo Janet. 147


“No, Janet, no. Anche perché c’è un’altra cosa che non mi è molto chiara.” “Cosa?” “Uno strano discorso che mi ha fatto Padre James l’altra mattina, mentre Andrew era fuori a fare il pupazzo di neve con Nick. Padre James mi ha fatto capire che Andrew non è più molto felice, soprattutto ora che è a Glasgow e, praticamente, non insegna più tutto l’anno. James è sicuro del fatto che i nuovi incarichi non gli piacciano per niente, che sarebbe bello se tornasse a Broxburn (e non necessariamente a St. John, bada bene), e che merito di essere felice ancora una volta. E ha finito dicendo che ‘troverò il modo’, per esserlo.” spiegò Elaine a Janet, alzandosi per incominciare a sparecchiare. “Secondo te, Andrew sta pensando davvero di mollare tutto, allora, e ne ha parlato con lui?” chiese Janet, alzandosi a sua volta. “Secondo me, sì.” confermò Elaine. “Però lui non ti dice niente di specifico, giusto? Accenna e basta.” “No, no, Janet, accidenti! Capiscimi bene, non sono accenni, sono affermazioni belle e buone. L’unica cosa che mi chiede è di dargli del tempo. Non so come funziona la faccenda, non ne ho la più pallida idea, ma suppongo che sia un processo un po’ lungo, no?” chiese più che altro retoricamente Elaine, anche perché nessuna delle due sapeva come funzionassero queste cose. “Penso di sì. Anzi, non credo che sia una cosa semplice per niente. Già la Chiesa si lamenta delle scarsità delle vocazioni, figuriamoci se se ne lasciano scappare uno al livello di Andrew tanto facilmente.” constatò Janet. “Oooh, sempre più rasserenante, Janet!”

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“Qualcuno te le dovrà pur dire, queste cose; se no, rimarresti perennemente sulla tua nuvoletta rosa a fluttuare in sogni privi di difficoltà e problemi. Che invece ci saranno.” “Non sto fluttuando proprio da nessuna parte, sai? E’ vero, sono stati giorni da favola, ma tra meno di una settimana riparte per Glasgow, ricordi? E la nuvoletta svanirà.” Elaine fermò l’amica davanti a sé, prendendola per le braccia. “E’ un delitto essere felici, Janet? Non me lo merito un pizzico di serenità?” chiese. Janet l’abbracciò. “Certo che sì, Lennie. E, davvero, spero che sia la volta buona e che tu possa coronare il sogno di tutta la tua vita. Ma, secondo me, dovrai soffrire ancora un po’. E poi,” disse staccandosi da lei e guardandola bene in viso “non potresti chiederglielo chiaro e tondo, cosa ha intenzione di fare e, soprattutto, come e quando sarà? Un po’ di chiarezza non ha mai fatto male a nessuno, sai?” “Forse hai ragione, l’avevo già pensato anch’io, e volevo farlo poco prima che partisse per Glasgow. Ma non so come…” disse titubante Elaine. “Cazzate. La sera prima che parta, tengo Nick a dormire qui da noi, così avrai tutto il tempo e i modi. Io ti consiglierei davvero di affrontare questo discorso, e” risatina di Janet ”fallo tenendo a freno gli ormoni, per piacere. Anche perché, e questo glielo dovrai sottolineare, non può essere così egoista da tenerti all’oscuro di tutto. Cosa vuole farti, la sorpresa di compleanno? Presentarsi un bel giorno di non si sa quando e dirti: ‘Elaine, non sono più un sacerdote, sposami?’” Le due amiche si misero a ridere, a quel pensiero. “Effettivamente, sarebbe carino, no?” chiese Elaine. “Davvero tanto! Ma sarebbe altrettanto carino avere anche dei tempi indicativi, no?” “Già, penso di sì.” 149


“E allora chiedi, Lennie, chiedi!” “Lo farò. E mentre lui sbrigherà questa faccenda, io dovrò cercare di capire un’altra cosa.” accennò Elaine “E cioè, quella nota di gelosia che ho sentito in Christopher quando gli ho detto che questa sera a cena c’era anche Andrew.” Janet rise di gusto. “Lo sapevo! Lo sapevo che prima o poi sarebbe saltata fuori!” “Scusa, ti spiace spiegarmi?” chiese Elaine. “C’è una cosa che non ti ho mai detto, Lennie, anche perché ad un certo punto non mi sembrava più necessario farlo. Quando tu e Andrew eravate andati a Dingwall per il funerale di Angus, Christopher, che era già innamorato di te, anche se tu non lo filavi nemmeno di striscio, mi aveva chiesto di parlare. E, tra una cosa e l’altra, mi aveva domandato se tra te e Andrew, oltre all’amicizia, ci fosse altro.” “Che cosa??? E tu non me lo hai mai detto???” “Certo che no, per quale motivo avrei dovuto? Andrew poi se ne andò via e voi cominciaste a uscire insieme.” dichiarò Janet. “Quindi lui pensava che io e Andrew…” “Eh, sì. Ma io ero stata così brava a negare e a fingermi scandalizzata da una tale idea, che non ci pensò più, credo. Fino a tre giorni fa, evidentemente. Comunque, lascia che ti dica una cosa: che faccia il geloso quanto vuole, mi sembra che non abbia più voce in capitolo, ormai.” “No, proprio no, ma mi ha dato fastidio.” confessò Elaine. “E sai perché? Perché, e mi dispiace fartelo notare, per quanto le cose siano cambiate o cambieranno, la tua coscienza non è ancora molto tranquilla, e sai che per il momento non è ancora del tutto giusto, quello che state facendo. Mi sbaglio?” indagò Janet. “No, effettivamente non sbagli; effettivamente la mia coscienza non è proprio a posto.” ammise Elaine. 150


“E meno male!” disse decisa Janet “Se no, saresti un mostro di freddezza che non riconoscerei più!” “Mi conosci troppo bene, Janet…” “Direi proprio di sì.” Tra una confidenza e l’altra, avevano finito di riordinare. “Adesso cosa ne dici di andare a vedere chi vince la gara?” chiese Janet. “Oh sì! Altrimenti Kevin ti bombarderà di domande e Andrew lo farà con me.” disse Elaine. “Infatti: ‘cosa avevate da dirvi?’ ‘possibile che abbiate sempre qualcosa di segreto di cui parlare?’ ‘ma quanto ci avete messo a mettere a posto!’ … che barba!” sbuffò l’amica. Elaine e Janet risero e si avviarono verso la camera di Josh, da dove arrivavano le urla d’incitamento di Josh verso suo padre che, a quanto sembrava, stava per battere clamorosamente Andrew. Dall’altra parte c’era il tifo di Nick, che spronava Andrew ad aumentare la velocità della sua macchina per superare quella di Kevin. Appena si affacciarono alla porta della camera, ci fu un grido di trionfo di Andrew, che, vittorioso, si stava arrotolando per terra abbracciato a Nicholas. Le due amiche si guardarono, poi Janet sussurrò ad Elaine: “Vuoi sapere come la pensa davvero la tua amica? Sarebbe meraviglioso, se succedesse, meraviglioso.”

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27 Elaine guardò l’orologio: erano le due e mezza del pomeriggio, e stava aspettando Janet nel suo ufficio. Era passata quasi un’altra settimana di intenso lavoro e ora si stava concedendo una breve pausa davanti ad un tazza di tè caldo ai frutti di bosco, quello che sceglieva sempre quando aveva bisogno di coccolarsi. La tristezza si stava insinuando dentro di lei: il giorno dopo Andrew sarebbe partito per Glasgow, ritornando ai suoi doveri quotidiani, e … ? Cosa sarebbe successo? Cosa avrebbe deciso? Cosa avrebbe fatto? L’assurda idea che lui la volesse lasciare da parte ancora una volta, nonostante tutte le sue affermazioni fatte nel periodo passato a Broxburn, si stava facendo strada nella sua mente, anche se sentiva di poter negare prepotentemente dentro se stessa questa possibilità. Ed ecco che Janet entrò dalla porta, come sempre senza bussare. Quando la vide seduta sul divanetto con la tazza di tè in mano, così pensierosa, Janet si fermò con le braccia conserte a guardarla. “Sei già entrata nella depressione nera, Lennie?” le chiese. “Un po’.” confessò Elaine. “Non potresti aspettare domani?” Janet si sedette accanto a lei, e si versò una tazza di tè, mentre la sua domanda rimaneva senza risposta. 152


“Hai portato le cose di Nicholas?” Come promesso, Janet avrebbe portato a casa da lei il figlio di Elaine e lo avrebbe tenuto a dormire, così da permettere all’amica di passare le ultime ore con Andrew, ma soprattutto perché lei chiarisse definitivamente le sue intenzioni. “Sì,” rispose Elaine, facendo cenno verso uno zaino posato accanto alla scrivania. “Quando finiscono le lezioni venite su, così glielo do e lo saluto.” “Sarà fatto! Allora, ti vedo veramente strana. E’ solo tristezza?” chiese Janet. “No, non è solo tristezza. Ho un po’ di paura.” confessò Elaine “Paura di sentire quello che mi dirà.” “Dai, Lennie, cerca di affrontare questo incontro di stasera nel migliore dei modi. Il tuo pessimo umore e queste assurde paure potrebbero rovinarlo, non credi?” “Sì, hai ragione. Ma sono preoccupata. Molto preoccupata.” “Beh, la preoccupazione è lecita, ma non la paura, a mio avviso. Questa settimana vi siete visti ancora?” s’informò Janet. “Qualche volta. Domenica pomeriggio sono venuta qua con lui e Nicholas perché voleva vedere tutti i cambiamenti che ho fatto a scuola, poi è venuto da noi l’altra sera a cena, e ci siamo sentiti per telefono. Nient’altro.” spiegò Elaine, sempre molto laconicamente. “E com’era, lui?” “Oh, normalissimo, come l’hai visto tu sabato sera.” “Quindi tranquillo, a proprio agio, apparentemente senza problemi o pensieri grossi per la testa. Certo che è proprio bravo, se in realtà ha deciso di cambiare vita, a dissimulare quanta fatica dovrà fare per attuare questo disegno.” osservò Janet. “O forse è davvero così deciso e determinato, che non gli importa davvero quanto dovrà sopportare.” ipotizzò Elaine. 153


“Può essere. Ma, adesso, scusa, vorrei sapere una cosa. Io sono la tua migliore amica, vero?” “Certo che sì, hai ancora qualche incertezza?” chiese Elaine, finalmente facendo un sorriso a Janet. “Senti, non vorrei essere indiscreta, ma tu sei a conoscenza del principale argomento di conversazione di questa settimana alla Queen Mary’s School, e cioè la scuola che tu dirigi?” le chiese Janet, rimanendo sempre molto seria. Elaine scosse la testa, con fare stupito. “E’ vero che sono un po’ distratta in questi giorni, e che lavoro un po’ automaticamente, senza molta attenzione, ma no, non so niente.” le rispose. “Beh, forse non puoi saperlo, visto che ti riguarda in prima persona, e tutti mormorano e cercano di non farti capire che parlano di te.” “Di me???” chiese stupita Elaine. “Beh, ecco, più che di te, del cestino della spazzatura del tuo ufficio. Gira voce che sabato mattina contenesse due cartoni di pizza, due lattine di birra e due tovaglioli di carta usati…” Elaine guardò la faccia basita di Janet, e finalmente, abbandonando la malinconia per un attimo, si mise a ridere di gusto. Si era completamente dimenticata del suo cestino e di quello che vi avevano abbandonato lei e Andrew il venerdì prima. “Allora il gossip si è creato veramente!” disse tra le risate. “Sarai mica venuta qui con Andrew???” “Sì, che ci sono venuta! Venerdì sera, per l’appunto. E abbiamo lasciato tutto nel cestino apposta per accendere il pettegolezzo.” ammise Elaine. “Tu sei impazzita. Perché?” chiese Janet, sempre più stupita. “Perché sono stanca di essere considerata la poverina abbandonata dal marito, che non vuole più uomini nella sua vita, la martire, la derelitta tutta casa e scuola. Basta, Janet. Io 154


voglio essere vista ancora come quello che sono: una donna nel pieno della vita, che si concede sani divertimenti e che ha una vita sociale.” “A questo punto, credo proprio che tu sia riuscita nel tuo intento. In tutta la scuola si accettano scommesse su chi fosse qui con te quella sera!” Finalmente anche Janet si mise a ridere. “Davvero? Wow! Che figata, posso partecipare anch’io alla lotteria?” “Ma quanto sei scema!” “E fanno già ipotesi?”chiese Elaine. “Qualcuno azzarda ancora Sinclair. Altri puntano su Bruce Hamilton.” “No! Che palle! E’ carino, ma non mi metterei mai con un professore di matematica! A te, naturalmente, hanno chiesto se sai qualcosa, vero?” “Eh, certo, che pensavi? Quando ci sei di mezzo tu, automaticamente c’entro anch’io, ti pare? Solo, cosa vuoi che faccia? Che metta tutto a tacere, o che fomenti queste voci?” chiese con fare cospiratorio Janet, che incominciava a divertirsi. “Fomenta, fomenta!” la incitò Elaine. “Ok, allora lascia fare a me…. mi piace, questa cosa. E mi piace il fatto che, anche se oggi sei un po’ triste e preoccupata, tu abbia finalmente ritrovato la voglia di fare qualche cazzata, come ai vecchi tempi!” le disse Janet. “Oh sì, Janet: comunque vada a finire questa cosa con Andrew, basta muffa. Sono vissuta per cinque anni piangendomi addosso, facendo scivolare la vita su di me senza viverla veramente. Ora basta. Ho voglia di ridere, di divertirmi, di amare.” dichiarò Elaine. “E io avevo tanta voglia di sentirtelo dire, Lennie!” le disse Janet abbracciandola. 155


Poi consultò l’orologio. “Temo di dover rientrare in classe. Avevo detto a Meggie che sarei tornata in dieci minuti ed è già passata mezz’ora. Non vorrei che la direttrice mi facesse delle menate!” “Facile! Mi dicono che sia una tipa tosta.” rise Elaine. “Allora, siamo d’accordo? Stai tranquilla, serena, e mostrati determinata. Devi fargli capire che devi sapere, Elaine, assolutamente sapere, ok? E tutto nei minimi particolari, mi raccomando.” le disse Janet. “Tranquilla Janet, lo farò. Troverò il modo e il momento giusto, credimi. E cercherò di non mostrare timori o paure. In fondo, è quello che desidero da quasi una vita intera, e, quindi, qualsiasi cosa ci sarà da fare, lo sosterrò.” dichiarò Elaine, convinta che quella sera la sua vita avrebbe avuto una svolta decisiva. “Bene! E ricordati che mi avrai sempre al tuo fianco, anche a combattere, se ce ne sarà bisogno.” “Lo so, Janet, lo so.”

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28 “Andrew, dobbiamo parlare.” Elaine stava porgendo un bicchiere di scotch ad Andrew, e quella sera se ne versò uno anche per sé. Avevano cenato parlando tranquilli di argomenti normali, cercando di non toccare il discorso della partenza di Andrew. Elaine avvertiva che anche Andrew era meno brillante del solito: il suo viso era un po’ tirato, gli occhi sembravano un po’ più cupi e il sorriso un po’ meno accentuato. “Abbiamo parlato fino ad ora, mi sembra.” cercò di essere spiritoso Andrew, guardando con sospetto il bicchiere che Elaine teneva tra le sue mani. “Da quando bevi?” chiese, sollevando le sopracciglia per accentuare la sua meraviglia nel vederla dedita allo scotch. “Mi capita raramente, ma ogni tanto ne ho bisogno … come stasera.” spiegò Elaine sedendosi sul divano, ma rimanendo ben scostata da lui. “Va bene, dimmi di cosa vuoi parlare.” disse lui, facendosi capire ben disposto a qualsiasi cosa lei volesse. “Io … non so bene come dirtelo, quindi lo farò nella maniera più diretta possibile: dimmi, ti prego, cosa hai intenzione di fare.” “Vorrei fare l’amore con te e dormire qui, se posso.” “No, Andrew, basta scherzare, hai capito benissimo. Ho bisogno di sapere che cosa farai della tua vita, di noi, e che decisioni prenderai. Scusami, ma credo di avere il diritto di 157


saperlo.” Elaine bevve un sorso di scotch, per cercare di calmare un po’ il tremore interiore che sentiva. Andrew rimase a guardarla a lungo, molto serio, molto pensieroso, dando ogni tanto qualche respiro un po’ più accentuato, ed Elaine riuscì a non abbassare mai lo sguardo. “Ok. La domanda è stata molto diretta, quindi sarà molto diretta anche la mia risposta. Voglio lasciare il sacerdozio.” Elaine deglutì: sentirglielo dire in modo così chiaro ed esplicito per la prima volta, le fece uno strano effetto. Il suo cuore accelerò i battiti. La prima volta che lo aveva sentito pronunciare qualcosa di simile, era stato molto meno sicuro, e lei l’aveva capito, allora, e aveva avuto la forza di fermarlo. Ma questa sera la sua voce non dava adito ad alcun dubbio. “A causa mia?” gli chiese. “No, non solo a causa tua. Perché non è più la mia vita, perché non lo faccio più con le stesse convinzioni, perché non è più l’esistenza che desidero per me. Non posso continuare a fingere che vada tutto bene, quando sono anni che non è così.” Il viso di Andrew si era indurito molto, e affiorò anche la sofferenza. “Quando hai incominciato a pensarlo?” chiese Elaine. “Circa due anni fa, quando sono arrivato a Glasgow, e non ho più potuto insegnare. Mi sono sentito privato di qualcosa di fondamentale, e nonostante io l’abbia fatto notare, mi sono stati concessi –e ripeto, concessi- solo due mesi d’insegnamento all’anno, che a livello universitario si riducono a corsi di poche ore. Una volta levatami la cattedra di storia a Inverness, mi sono sentito con un pugno di mosche in mano, come se tutto non avesse più un senso. E lì, ho dovuto cominciare a riflettere seriamente sulla mia vita.” Elaine sarebbe voluta rimanere in silenzio, per lasciargli esprimere liberamente tutto ciò che teneva dentro, ma si 158


intromise un momento, per fare la domanda che più le premeva. “Allora, io non c’entro niente, con questa decisione? Non è l’amore che dici di provare per me a portarti a questo cambiamento?” “Non cambiamo le carte in tavola, Elaine. L’hai detto come se io ti avessi mentito o avessi fatto qualche gioco sporco per portarti ancora a letto. Io non ‘dico di amarti’, io ti amo. Quando sono arrivato a Broxburn prima di Natale, ero fermamente deciso a venire a cercarti, e dopo il nostro primo incontro a scuola, ero convinto che non ci fosse più nessuna possibilità, tra noi. Ma questo non avrebbe influito sulle mie decisioni e sulle mie riflessioni. Ora invece sappiamo benissimo quanto sia ancora vivo e solido il nostro amore, e sono ancora più deciso a farlo. Ora permettimi di farti una domanda diretta, come hai fatto tu. Una volta che effettivamente sarà tutto concluso, ed io non sarò più un sacerdote, tu prenderai davvero in considerazione la prospettiva di stare con me, di vivere con me, di…” e qui si bloccò, respirando profondamente e fermando con un gesto della mano Elaine, che stava già rispondendo. “…di sposarmi, Elaine?” finì poi, prendendole una mano tra le sue. Elaine sentì gli occhi riempirsi di lacrime: l’aveva sognato per dodici anni lunghissimi, in cui aveva fatto scelte di cui non era mai stata molto convinta, anni di solitudine che le aveva attanagliato il cuore facendolo a volte sanguinare di dolore. Non ebbe incertezze, nel rispondere. “Sì. Sì, Andrew, sì.” gli rispose, più che convinta. “Bene. Allora sono ancora più deciso ad affrontare tutto quello che mi aspetta, perché la prospettiva che tu sia, poi, al mio fianco, è sicuramente la cosa più bella.” le disse stringendole forte la mano. 159


“E cosa ti aspetta, me lo vuoi dire? Posso saperlo?” chiese timidamente Elaine, cercando di riacquistare il controllo di se stessa. A questo punto Andrew si alzò, e andò a prendere dei fogli dalla tasca del giaccone. Li porse a Elaine, che li prese quasi esitante e ansiosa. “Anche se tu non avessi affrontato l’argomento, Elaine, l’avrei fatto io, alla fine, stasera. Perché pensavo fosse giusto informarti su quello che dovrò affrontare nei prossimi tempi, e, visto che voglio ormai condividere tutto con te, che dovremo affrontare. Quando avrai tempo, domani, dopo, quando vuoi, leggi attentamente questi fogli, che spiegano esattamente come funziona quello che, in gergo tecnico, si chiama ‘riduzione alla condizione di laico’. Lì ci sono esposte tutte le norme procedurali e ti darà un’idea di quello a cui andrò incontro. E, credo, sarà molto dura.” Si accasciò sul divano, appoggiando la testa sullo schienale e passandosi una mano nei capelli. Elaine guardò velocemente la decina di pagine che Andrew le aveva porto, e quel poco che riuscì a leggere e capire, le gelò il sangue. Erano una serie di condizioni infinite. Poi alzò gli occhi dai fogli e lo guardò. “E’ spaventoso. Sei sicuro di volerlo fare?” chiese. “Sì. Ma mi sono già mosso, in maniera che non sia così terribile come hai appena detto.” “E cosa hai già fatto, di tutto ciò?” domandò di nuovo Elaine. “Ancora niente di quello descritto in quei fogli. In realtà, ho solo sondato un po’ il terreno intorno a me, per cercare di capire cosa potrò mai fare o essere, perché credimi, a costo di scuotere tutta la chiesa cattolica, riuscirò a tornare laico.” dichiarò Andrew. “Ok, allora come ti sei mosso?” insistette Elaine. 160


“Innanzi tutto devo rivelarti che durante la mia permanenza a Inverness ho scritto un libro. Di storia, naturalmente, e nello specifico la storia di tutti i castelli delle Highlands, dalla loro costruzione a oggi, con relative eventuali battaglie e passaggi di proprietà. Sono stati anni di ricerche accurate, che mi hanno portato a quello che oggi è un libro che verrà pubblicato entro un mese.” rivelò Andrew, con una punta di orgoglio nella voce. “Andrew, è fantastico! Perché non me l’avevi detto?” chiese Elaine con gli occhi che le brillavano. “Perché la conferma della pubblicazione l’ho avuta soltanto due giorni fa, e non volevo illudermi e, soprattutto, illuderti.” “E’ una cosa bellissima! E sono veramente felice per te!” disse Elaine abbracciandolo, e rimanendo poi tra le sue braccia. “Quindi, vedi che una cosa da fare nella vita l’ho già trovata. E, sinceramente, ho già in mente un altro progetto, sperando nel frattempo che questo primo scritto funzioni. Poi, ho parlato con Padre James.” rivelò poi Andrew. “Oh, questo l’avevo sospettato. Padre James mi ha fatto strani discorsi, intanto che tu e Nick facevate il pupazzo di neve la mattina dell’Epifania.” gli confessò Elaine “Avevo intuito che sapesse qualcosa, ma non sapevo fino a che punto.” “Gli avevo giusto parlato il giorno prima. Mi ha ascoltato molto attentamente, ha capito appieno le mie motivazioni e mi sosterrà in toto. E, credimi, è molto importante in questi casi avere l’appoggio di un altro sacerdote, soprattutto di uno che mi ha seguito da vicino.” “Dopo quello che mi ha detto, non avevo dubbi sulla sua solidarietà.” disse Elaine. “Perché? Che cosa ti ha detto?” chiese Andrew curioso, sorridendole. “In pratica mi ha detto che sapeva dei tuoi disagi a Glasgow, che sarebbe contento se tornassi a Broxburn, che merito di 161


essere ancora felice ma, soprattutto, che troverò il modo di esserlo.” “Caro vecchio James! Ero certo che potesse capire, ma non pensavo di questo suo entusiasmo … avevo ragione quando dicevo che gli piaci molto!” “Ah, beh, allora un po’ di merito è mio…” insinuò Elaine. “Mhm, credo proprio di sì, a questo punto!” confermò Andrew ridendo. ”Bene, e poi, cos’altro hai fatto?” “Ho fissato due appuntamenti con due persone molto importanti, uno alla diocesi di Aberdeen, dove sono stato confermato sacerdote, e uno all’università di Edimburgo, col nuovo rettore, che è un mio carissimo amico, ex docente di letteratura con il quale ho legato molto negli anni in cui facevo le prime conferenze di storia.” le disse Andrew. “Ad Aberdeen parlerò e confesserò le mie intenzioni ad un sacerdote mio amico che mi è stato molto vicino otto anni fa, quando mi trovai in preda ad una grossissima crisi esistenziale,” e qui Andrew si fermò un attimo, per far intendere ad Elaine che parlava del periodo in cui si erano visti per quella che pensavano fosse l’ultima volta “mentre al secondo andrò a chiedere se c’è qualche possibilità perché accolga un ex-sacerdote che vorrebbe tanto insegnare storia, di qualsiasi tipo: antica, moderna, contemporanea, oppure qualche corso più specifico, sono pronto a qualsiasi soluzione.” Elaine era molto colpita. Andrew le stava facendo capire quanto fosse deciso nel proseguire la strada scelta, e quanto fosse risoluto a non diventare un escluso della società, pur avendo fatto un passo così difficile da far accettare a chiunque. “Sono molto impressionata, Andrew, davvero. Tutte le volte che toccavi velatamente quest’argomento pensavo fosse qualcosa che stessi ancora meditando dentro di te, invece vedo che hai già fatto molti passi.” gli confidò Elaine. 162


“Vedi, ho pensato: ho quarantaquattro anni, sono nel pieno delle mie facoltà mentali e fisiche. Chi esce dal sacerdozio di solito finisce col passare una vita da reietto: a volte la chiesa non perdona queste deferenze, sai? Ma io non cederò a questi ricatti: io penso di avere molto da fare e molto da dare, e lo voglio dimostrare. A me stesso, ma soprattutto a te, ora che hai accettato di condividere la tua esistenza con la mia, e meriti di avere un uomo che non sia solamente un prete fuggito per amore, ma una persona con dei progetti, e con la possibilità di darti un futuro sereno. Io ti amo, Elaine, e voglio renderti felice.” E già solo queste parole resero Elaine talmente felice, che non poté fare a meno di commuoversi ancora, e calde lacrime le scesero dagli occhi. Andrew gliele asciugò con i suoi baci, dicendole parole indimenticabili, di una tale tenerezza da farle desiderare che quei momenti durassero in eterno.

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29 Elaine ed Andrew erano a letto, sdraiati su un fianco, guardandosi, quella notte quasi timorosi di toccarsi. Elaine gli accarezzava il braccio che la cingeva delicatamente, in un abbraccio leggero, e i loro visi erano talmente vicini da respirare la stessa aria. Elaine pensava continuamente a tutte le cose dette da Andrew, un po’ preoccupata per lui e per il periodo che gli si prospettava. “E se non ce la farai?” chiese. “Ce la farò, vedrai, abbi fiducia in me.” le confermò lui “E poi sarà tutto diverso. Non dovremo più nasconderci, anche se, credo, per un certo periodo saremo sulla bocca di tutti. Ma se dimostreremo di essere forti e determinati, la nostra scelta verrà accettata, vedrai.” “Non potremo sposarci in chiesa, Andrew. Io sono divorziata, ricordi?” le rammentò Elaine. “Lo so. Faremo un matrimonio civile. Oppure non ci sposeremo. Io, con te, è come se lo fossi da sempre. Decideremo quando saremo tranquilli e potremo pensarci a mente serena. E’ il primo dei miei desideri, ma l’ultima delle mie preoccupazioni, ora.” Ma Elaine aveva ancora molti dubbi e domande. “Ho strane sensazioni dentro di me, Andrew. E non sono propriamente belle.” gli confidò Elaine, sperando che lui non la 164


fraintendesse “Io voglio che succeda tutto quello che abbiamo detto, ma sono preoccupata e ho anche un po’ di paura, se devo essere sincera.” “Anch’io sono preoccupato, credimi. Ho un gran peso, dentro di me. E’ per quello, che voglio mettere in moto questo meccanismo il più presto possibile. Per lo meno, quando ci sarò dentro, comincerò a vederci un po’ più chiaro, e soprattutto a vedere dei tempi di durata un po’ più definiti.” “Saranno molto lunghi?” chiese un po’ ansiosa Elaine. “In realtà potrei essere subito sospeso dai miei obblighi sacerdotali, e in questo caso Padre James è pronto ad accogliermi per tutto il periodo in cui si protrarrà la causa. Potrebbero invece impormi un periodo di riflessioni, durante il quale potrei essere staccato da tutto, mandato in un posto lontano, affiancato da un altro sacerdote che tenterebbe di riportarmi sulla retta via.” le rivelò lui. Questa prospettiva fece gemere di angoscia Elaine. “No, ti prego no, non dirmi così! Impazzirei.” “Invece no, Elaine, devi essere pronta anche a questa possibilità. E soprattutto, in caso dovesse succedere, dovrai essere forte, e non farti prendere dal dubbio che io possa ritornare sulle mie decisioni.” Dicendole queste parole, Andrew le aveva preso il viso tra le mani, e i suoi occhi le espressero la muta ma decisa richiesta di non farsi mai attanagliare dalla sfiducia. Il bacio che le diede, intriso di una sorta di disperazione, le fece capire quanto lui avesse bisogno del suo appoggio morale, del suo silenzioso sostegno. “E io, cosa dovrò fare io, in tutto questo tempo?” gli domandò. “Quello che ti ho detto pochi giorni fa. Tu dovrai continuare la tua vita di sempre, incurante delle voci che magari trapeleranno tra un po’ di tempo, dovessi tornare a Broxburn con Padre James. L’unica cosa che mi preoccupa sinceramente un po’, è il 165


tuo incarico alla Queen Mary’s. Essendo la direttrice di una scuola cattolica, potrebbero farti problemi, anche se in realtà (ma non sempre è così) la Chiesa non dovrebbe in ogni caso interferire.” Elaine si rese conto solo in quel momento della realtà: Andrew aveva perfettamente ragione, e lei non era stata minimamente sfiorata da quel pensiero. Si alzò seduta, guardandolo un po’ persa. “Come mi devo comportare? Dio mio, non ci avevo pensato!” “Tranquilla. Dovrai, a tempo debito e solo se sarà necessario, avere la fiducia totale di chi lavora per te, e, da quello che ho sentito e capito in questo periodo, non sarà difficile. Sei molto stimata e amata, e se continuerai a comportarti come hai sempre fatto, con la dignità che ti è consona, nessuno vorrà cambiare il tuo stato. In fondo sei stata nominata direttrice di una scuola cattolica dopo aver divorziato, no? Non pensi che anche quello avrebbe influito sulla decisione, se tu non fossi quello che sei? Cioè seria e capace?” le domandò Andrew, in realtà molto retoricamente, giacché Elaine sapeva di aver guadagnato quel posto grazie alle sue capacità e non per qualche altro motivo non adducibile a quello. Elaine annuì e trasse un profondo respiro. Anche per lei, quindi, sarebbe iniziato un lungo e difficile periodo di tempo, senza nemmeno il beneficio di conoscerne la durata. Ma in fondo, si disse, era abituata a combattere. Avrebbe affrontato tutto a testa alta, non avrebbe avuto nulla da nascondere. Si rese conto che la bella favola era finita. O meglio, sospesa fino a tempo indeterminato. “Me la caverò, vedrai.” confermò ad Andrew, il quale era, in realtà, quello che aveva meno dubbi dei due. Poi Elaine tornò a sdraiarsi sulla schiena. 166


Guardò il soffitto ed emise un solo suono che lasciò un po’ interdetto Andrew. “Pofff!” disse. Andrew si mise sui gomiti e la guardò interrogativamente: “Pofff???” “Sì, Andrew, pofff! E’ il rumore che ha fatto la nuvoletta rosa su cui stavo viaggiando, svanendo nel nulla. E, aggiungerò, SBANG! Che è il rumore che ho fatto cadendo da quella nuvola.” spiegò Elaine, suscitando l’ilarità di Andrew. “Sei una grande, Lennie. E’ questo lo spirito giusto con cui vorrei affrontassimo il tutto. Niente angosce, niente ansie, niente affanni, ma tanta speranza e tanta fiducia, anche nei momenti più pesanti. Se stiamo insieme e vicini, ne saremo capaci, vedrai. Dovremo sdrammatizzare molto, qualsiasi evenienza, qualsiasi imprevisto, in ogni occasione. Me lo prometti?” Elaine rimase in silenzio per un momento, valutando attentamente le sue capacità: era un po’ stanca di affrontare le difficoltà che la vita aveva messo sul suo cammino, ma sentì sinceramente di avere ancora molta forza dentro di sé. “Sì, te lo prometto. E, in caso di cedimenti improvvisi, prenderò in considerazione la proposta di Padre James.” gli assicurò Elaine. “E cioè, quale?” s’informò Andrew. “Quella di andare a fare quattro chiacchiere con lui.” “Ottimo, davvero ottimo! Farò erigere un monumento d’oro a James Mac Gregor sulla Main Street, quando sarà passato a miglior vita! E col motto del suo clan, che mai è stato così appropriato: ‘S rioghal mo dhream’.” dichiarò Andrew, con una perfetta pronuncia gutturale. “Che significa…?” Il gaelico non rientrava propriamente nelle conoscenze di Elaine. 167


“’Reale è la mia razza’. E mai un motto è calzato così bene su un uomo.” spiegò Andrew, con l’approvazione convinta di Elaine. Poi Andrew le si avvicinò, cominciando a baciarla e ad accarezzarla. “Non sono mai stato tanto timoroso di chiederti di fare l’amore con me, sai?” le rivelò quasi timidamente “Ma sento che stasera abbiamo aggiunto un anello in più alla catena che ci lega ineluttabilmente da tempo. Stasera sento che fare l’amore con te non sarà solo esaudire i nostri desideri intimi, ma quasi suggellare un patto profondo e inscindibile, che ci unirà per sempre. Una sorta di … matrimonio spirituale. Posso osare pensare che sarà così anche per te?” Elaine lo osservò attentamente: la dolcezza dei suoi profondi occhi verdi, quella sera increspati da sottilissime pagliuzze dorate e circondati da quelle seducenti rughe che si formavano quando sorrideva; la profondità di quello sguardo che sapeva essere serio, spiritoso, intrigante o eccitante, mutabile e versatile a seconda dell’occasione; la morbidezza delle sue labbra, che anche quando la sfioravano con delicatezza le facevano bruciare la pelle nel punto in cui si posavano; i suoi morbidi capelli, sempre un po’ spettinati e ribelli, in cui tanto amava affondare le dita; quell’accenno di barba, che la solleticava quando lui la esplorava coi suoi baci. Avvertì dentro di sé un’ondata di amore travolgente, che infranse tutte le ansie e i timori che aveva umanamente provato quella sera. “Ancora una volta sì, Andrew. Sì per sempre.”

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30 Andrew era partito per Glasgow solo una decina di giorni prima, ma gli eventi, in realtà, stavano prendendo una piega abbastanza veloce. Il lavoro e il figlio assorbivano completamente, com’era del resto sempre stato, il tempo di Elaine, grata che ciò le impedisse di fermarsi troppo tempo a pensare e a formulare ipotesi sul suo futuro. Elaine sentiva molto la mancanza di Andrew, ma ogni sera tardi, quando tutto taceva e il resto del mondo si addormentava, cominciavano le loro lunghe e fittissime conversazioni. Nel frattempo, tra un impegno e l’altro, come aveva anticipato a Elaine l’ultima sera della sua permanenza a Broxburn, Andrew era riuscito ad avere i due importantissimi colloqui a Edimburgo e ad Aberdeen. Aveva lasciato i risultati di queste conversazioni un po’ sul vago, ma gliene avrebbe parlato meglio quando si sarebbero visti durante il week-end che stava per arrivare: Nicholas sarebbe andato dal papà e Andrew aveva promesso a Elaine di tentare una fuga serale a Broxburn. Anche Elaine, però, aveva sentito il bisogno di avere qualcuno schierato al suo fianco. In una delle telefonate con Andrew, gli aveva chiesto se avrebbe potuto parlarne, oltre che a Janet, anche a Kevin: non le sembrava giusto che l’amica dovesse ancora mantenere un tale segreto col marito. 169


Andrew non ebbe problemi a darle questo consenso; lui e Kevin erano stati buoni amici nel periodo in cui lui era a Broxburn e non aveva proprio nessun problema se veniva a conoscenza della loro complicata questione. Era proprio per quello che Elaine li aveva invitati a cena quella sera, premurandosi comunque di avvisare l’amica delle sue intenzioni: Janet ne era stata molto felice, perché effettivamente il nascondere tutta la faccenda a Kevin stava diventando un po’ troppo pesante, per lei. “Elaine, mi sembri un po’ tesa, stasera, che cos’hai? Casini a scuola? Altre discussioni con Christopher?” le domandò Kevin, non immaginando nemmeno quello che lei gli stava per dire. Le due amiche si guardarono, Elaine con uno sguardo di supplica, cercando l’aiuto di Janet per intavolare il discorso. “Bambini, adesso noi dovremmo discutere di cose da grandi, sapete… i soliti problemi di lavoro.” disse Janet, rivolta a Josh e Nicholas “Cosa ne dite di andare in camera di Nick a giocare?” I due marmocchi non se lo fecero ripetere due volte, e uscirono dalla cucina con il solito impetuoso vociare. Kevin squadrò le due donne. “C’è qualcosa che non va?” chiese, perplesso. “Beh, amore, Elaine ti deve dire delle cose abbastanza delicate, alcune delle quali, sinceramente, io so già, ma non potevo dirti niente senza il suo permesso, perché riguardano lei e sono estremamente personali.” Lo sguardo di Kevin passò da sua moglie a Elaine. “Avanti, allora! Fuori tutto, Elaine!” Elaine respirò a fondo, cercando il modo giusto per iniziare a parlare. “Allora, Kevin, so che la cosa potrebbe lasciarti sconvolto, ma io te la devo dire, perché spero tu mi possa poi appoggiare e 170


dare sostegno nei prossimi tempi, cosa che per me sarà di vitale importanza.” Kevin cominciava a preoccuparsi seriamente. “Mi metti in agitazione, Elaine. Stai male? Sei malata?” fu l’unica cosa che gli venne in mente. “No, grazie a Dio no!” rispose Elaine. “Allora?” la incalzò Kevin, ricominciando a passare lo sguardo da Elaine alla moglie. “Dai, Lennie, non ci girare intorno, per piacere. Tolto il dente, tolto il dolore!” la incitò Janet. “Ok. Kevin, Andrew ed io abbiamo una relazione.” annunciò tutto d’un fiato Elaine, ricevendo come commento di Kevin solo un lungo silenzio. Gli diede il tempo di elaborare la notizia. “Hai usato il presente vero? Non ti riferisci al periodo in cui lui era qui a Broxburn dodici anni fa?”chiese poi lui. “Perché?” gli chiese Janet. “Perché ai tempi avevo sospettato qualcosa. Ma tu, ripeto, parli di oggi, giusto?” richiese Kevin. “Come, avevi sospettato qualcosa?” s’intromise ancora Janet. “Potresti permettere ad Elaine, per piacere, di rispondere alla mia domanda, senza continuamente metterti di mezzo?” le chiese Kevin, facendole capire che non avrebbe più accettato intromissioni. “Sì, Kevin, sto parlando al tempo presente. Ma potrei anche parlare al passato, perché quello che hai detto è vero: anche dodici anni fa siamo stati insieme, durante i suoi ultimi sette mesi di permanenza qui. Poi il destino ci ha separato, ma evidentemente non aveva fatto i conti con l’intensità del sentimento che ci unisce, che non è cambiato né diminuito.” dichiarò Elaine. “E tu, naturalmente, sapevi tutto?” chiese Kevin, rivolgendosi a Janet, che riuscì solo ad annuire, questa volta. 171


Kevin rimase a guardarla a lungo. “Beh, Elaine, decisamente mia moglie è un’amica di cui ti puoi fidare ciecamente.” disse sorridendo a Janet “Ma tornando al punto principale, perché me lo stai dicendo, ora?” “Scusa, Kevin … non hai nemmeno un commento da fare?” gli chiese Elaine. “Veramente sì, ma sto aspettando la fine. Allora, perché mi state mettendo a conoscenza di questa relazione?” “Perché Andrew ha intenzione di lasciare il sacerdozio,” spiegò Elaine “e io ho bisogno, anzi, Andrew e io abbiamo bisogno del vostro appoggio, perché saranno tempi duri, lunghi e contrastati in cui io e lui avremo veramente la necessità di avere degli amici vicini.” “Kevin, se la cosa ti può consolare, questa parte della storia non la sapevo nemmeno io con certezza, perché Elaine è stata decisamente poco loquace, in questi ultimi tempi, anche con me.” disse Janet. “Ebbene?” Elaine aspettava con ansia una risposta o un cenno di Kevin, che era rimasto fermo a braccia conserte, ascoltandola con attenzione. “Vuoi proseguire fino alla fine, per piacere?” la sollecitò Kevin. Così Elaine spiegò loro tutto quello che le aveva detto Andrew la sera prima della partenza, senza dimenticare nemmeno un dettaglio, mostrò loro i fogli che lui le aveva lasciato e che lei si era premunita di leggere attentamente (con il solo effetto dell’aumento esponenziale delle sue preoccupazioni), e riferì le ultime novità raccontatele telefonicamente nell’ultima settimana. “Bene,” disse infine “adesso sapete fino all’ultima virgola. Adesso sta a voi decidere se sostenerci e stare dalla nostra parte, rischiando magari che ne vada anche della vostra 172


serenità, oppure –e vi capirei, davvero- se farvi da parte e chiamarvi fuori da tutta la faccenda. “Mi sembra che Andrew abbia le idee ben chiare, da quello che ho sentito.” commentò Kevin. “Decisamente, Elaine, ti devo chiedere scusa per averti fatto dubitare di lui molte volte, in questi giorni.” aggiunse Janet. “Figurati, sai che molto spesso, in altri casi, hai avuto ragione. Però questa volta sì, e rispondo anche a te, Kevin, sì, ha le idee molto chiare ed è anche molto determinato.” disse Elaine rivolgendosi a entrambi. “Fammi capire meglio: la migliore delle ipotesi è che venga sospeso, in qual caso Padre James sarebbe disposto ad accoglierlo. E nella peggiore delle ipotesi…?” cercò di capire Kevin. “Nella peggiore delle ipotesi gli imporrebbero un non ben definito periodo di ‘penitenza’, ‘ravvedimento’, boh, chiamalo tu come vuoi, io non ci riesco. Sarebbe assurda, questa cosa, per me. Ma io chiaramente non penso come un vescovo cattolico.” dichiarò Elaine, che ogni volta che pensava alla possibilità dell’eventuale periodo di penitenza si sentiva buttata in una voragine di incomprensione e desolazione. “Che non servirebbe a nulla, se lui è così deciso, giusto?” chiese a questo punto Janet. “Infatti.” confermò Elaine. “Ok, ho chiarito le idee per quanto riguarda Andrew. E tu?” Kevin evidentemente voleva valutare attentamente tutto quanto. “Io me ne starò buona ad aspettare, cercando di non creare pettegolezzi, scandali o quant’altro. Anche perché nella mia posizione di direttrice di una scuola cattolica non posso fare nemmeno mezzo passo falso. Ma ho bisogno di avere il pieno appoggio di chi mi sta intorno. Kevin” aggiunse andandogli vicino e appoggiandogli una mano sulla spalla “non voglio la 173


tua approvazione o la tua benedizione: voglio il tuo sostegno, anzi, vorrei tanto il tuo sostegno, te lo sto chiedendo dal profondo del cuore, credimi.” Elaine si accorse che le sue parole stavano diventando quasi una supplica. Guardò Janet, che le sorrise e annuì impercettibilmente, per iniziare a tranquillizzarla. Kevin le prese la mano e gliela strinse. “Credo che mia moglie sia pronta a brandire uno spadone a due mani per difenderti e proteggerti da chiunque oserà dire qualcosa.” disse infine Kevin guardando la moglie, che confermò silenziosamente quelle parole con un sorriso. Poi si rivolse di nuovo ad Elaine. “Però, chi usa una spada, ha bisogno anche di un solido scudo. E quello scudo sarò io.” Elaine rimase un po’ commossa dalle parole di Kevin, e lo abbracciò così grata, da suscitare le lamentele dell’amica. “Ehi!! Quello è mio marito, ti ricordi?” le disse, riuscendo come sempre ad alleggerire il tono della conversazione. “Perbacco, il buon vecchio Andrew l’ha fatta grossa!” disse poi Kevin, dando delle leggere pacche sulla schiena a Elaine, ancora abbracciata a lui. “Beh, anch’io.” ammise Elaine, staccandosi. “Altroché!” confermò lui, ridendo. “Grazie Kevin. Grazie.” disse Elaine.

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31 La settimana finalmente era passata. Ad Elaine sembrava essere durata quasi quanto un mese: il lavoro aveva avuto ritmi serrati e per tre sere era tornata a casa dopo le otto; la cena con Kevin e Janet le aveva creato non poche tensioni, non sapendo che tipo di reazione aspettarsi dal marito dell’amica; Nicholas aveva avuto un forte raffreddore, e per fortuna era riuscita a tenere alla larga la febbre, imbottendolo di antinfluenzali; lei stessa non era stata al massimo della forma: come sempre, nei periodi di ansia, i giorni del suo ciclo erano stati un po’ una tortura perché accompagnati da non proprio simpatici crampi al basso ventre. Ma finalmente, tra una catastrofe e l’altra, Christopher era arrivato a prendere Nicholas il venerdì sera e il sabato mattina si era concessa un paio d’ore di sonno in più, rimanendo a letto fino quasi alle dieci. Certo, recuperare tutte le faccende domestiche accantonate durante la settimana le aveva poi richiesto un bel tour de force, ma ora era finalmente sera, la cena era al caldo nel forno, ed Elaine, dopo un bel bagno rilassante, aveva indossato quella tuta bianca che tanto piaceva a Andrew, e lo stava aspettando seduta in poltrona, leggendo, non proprio con molta attenzione, un libro. Guardò l’orologio, forse per la decima volta. Erano quasi le otto, Andrew era in viaggio da più di mezz’ora e sarebbe dovuto arrivare a momenti: quindici giorni senza di lui erano 175


stati lunghissimi e, soprattutto, faticosissimi e non ne poteva più. Ed ecco che sentì bussare alla porta sul retro: Elaine si precipitò all’ingresso posteriore. Appena Andrew entrò, si buttarono l’una nella braccia dell’altro, stringendosi con una tale forza da stritolarsi. “Dio mio, Elaine, finalmente!” mormorò Andrew, prima di darle un lunghissimo bacio. “Amore mio, non ce la facevo più!” disse poi Elaine, prendendogli il viso nelle sue mani, accarezzandolo e guardandolo come se avesse bisogno di imprimersi ancora nella mente tutti i particolari del suo volto “Mi sei mancato.” “Anche tu, tantissimo.” le disse Andrew, quasi incapace di staccarsi da lei. Elaine gli passò le mani tra i capelli: erano bagnati, fuori pioveva a dirotto da due giorni, e solo il breve tratto di strada a piedi che aveva fatto glieli aveva inzuppati d’acqua. “Dai, forza, mettiti comodo e vai ad asciugarti un po’ i capelli, intanto io metto in tavola la cena, ok? Ora sei a casa.” Mentre Elaine tagliava a fette l’arrosto che aveva preparato, sentiva Andrew muoversi in bagno, e riassaporò completamente la dolce sensazione di averlo in giro per casa. Quando arrivò in cucina, lui la abbracciò ancora, prima di sedersi a tavola. Lo fece emettendo un forte sospiro, come se finalmente avesse accantonato tutte le ansie e le preoccupazioni dei giorni precedenti. Elaine notò, però, quanto fosse tirato il suo viso. “Allora, amore mio? Come stai? Per davvero, intendo, e ricordati che non siamo al telefono, posso vedere se m’imbrogli…” gli disse. Andrew prese coltello e forchetta ed iniziò a mangiare. “Sto bene, davvero, sono solo un po’ teso. E affaticato. Anche tu, comunque, non mi sembri nel massimo dello splendore!” le 176


fece notare “Anche se sei sempre bellissima…” aggiunse poi, con uno dei suoi soliti guizzi di brillio negli occhi. “Direi che non è stata una settimana facile, no?” “Effettivamente… mi spiace soprattutto che tu sia stata così male per il ciclo. Da quando ti vengono questi crampi così dolorosi? Sono normali?” le chiese un po’ preoccupato. “Sono normali quando mi trovo in situazioni di stress. Si vede che il mio corpo manda le tensioni dove è più debole e vulnerabile. Mi venivano anche durante il periodo delle udienze per il divorzio. Ma non ti preoccupare più di tanto, Andrew, si è trattato solo di un paio di giorni, ed è tutto passato, ora.” cercò di tranquillizzarlo Elaine. “Janet ti ha detto che l’altra sera ho parlato al telefono con Kevin?” chiese poi lui. “Sì, me l’ha detto. Kevin era molto contento di aver parlato con te. Cosa ti ha detto? Perché effettivamente, quando gli ho spiegato di noi due, ha più che altro ascoltato, senza fare commenti e senza dare giudizi, ma magari a te ha detto qualcosa in più…” “Sì, in verità ha voluto un po’ più di particolari. Allora gli ho raccontato in pratica tutto, soprattutto quello che ho provato io negli scorsi anni, perché ritenevo che tutto ciò che riguardasse te, lo sapesse già. Infatti Janet gli aveva già fatto un resoconto dettagliato.” la informò Andrew, ridacchiando sull’ultima frase. “Sì, lo sapevo. Beh, mi sembra giusto che l’abbia fatto, no?” “Assolutamente sì. Ma, credimi, anche con me non ha espresso giudizi, anzi, mi sembrava davvero molto ben disposto e per nulla … come dire … scandalizzato, se possiamo usare un termine forse un po’ eccessivo.” disse Andrew servendosi di un’altra fetta di arrosto e di un altro po’ di patate al rosmarino. Elaine notò che piano piano, dal suo viso, si stava sciogliendo un po’ di tensione. 177


“Ne vuoi ancora una fetta? E’ buonissimo!” le chiese Andrew, pronto a servirla. “No, grazie. Sono un po’ stanca, e non ho tanta fame stasera; oggi rimettere in sesto la casa è stata una bella impresa, senza contare che il frigorifero urlava vendetta e in genere odio fare la spesa di sabato, con tutto il casino che c’è nei supermercati.” “E hai dovuto pure metterti a cucinare per me … mi sarei accontentato di un panino, sai? Mi basta essere qui, lo sai. Tutto il resto è molto relativo.” le disse Andrew intrecciando le dita di una mano nei suoi capelli e tirandola delicatamente verso di sé per darle un lieve bacio. “Cucinare per te è stato un piacere e la minore delle fatiche. Lo sai che stare ai fornelli mi rilassa.” gli ricordò Elaine. Lasciò che Andrew terminasse di mangiare, poi ritirò i piatti e portò in tavola una meravigliosa macedonia di frutti di bosco, di cui anche lei si servì abbondantemente. Praticamente Andrew la divorò: Elaine si ricordava bene quanto gli piacessero fragole, mirtilli, lamponi e ribes! Finito anche quello, Andrew si accese una sigaretta, chiedendole prima il permesso. “Hai ripreso a fumare tanto, Andrew?” gli chiese perplessa. “Qualcuna in più, ma sempre molto sotto controllo, tranquilla. E non cominciare a dirmi che è un segnale di quanto io sia teso…” le disse. “Non ho bisogno di quello, per vederlo. Mi sembri addirittura dimagrito.” “Non credo. Certo è stato pesante conciliare tutto il solito lavoro con il viaggio ad Aberdeen, il colloquio all’università a Edimburgo e le molte telefonate di Padre James, che, tra tutti, è il più preoccupato. A proposito, guarda che spera tanto che tu decida di andare a chiacchierare con lui, sai?” le rivelò Andrew. 178


“Sì, ci ho pensato. Ma avrei dovuto farlo di notte, con tutti gli impegni che ho avuto. E anche settimana prossima non sarà certo diverso … ci sono gli scrutini di fine quadrimestre, e dovrò esserci, anche se non è basilare. L’ho sempre fatto, e non voglio iniziare proprio adesso a comportarmi diversamente dal solito.” disse Elaine. “Se fossi in te, mi prenderei un paio d’ore una mattina, quando anche a St. John è tutto molto più tranquillo. In fondo sei la direttrice e potrai fare un’uscita senza chiedere il permesso, no?” “Hai ragione, magari farò proprio così. Ora, per favore, mi diresti come sono andati i due colloqui che hai avuto?” gli chiese, cercando di non svelare quanto fosse trepidante. Andrew spense la sigaretta e fece segno a Elaine di avvicinarglisi. La prese per i fianchi e la fece sedere cavalcioni sulle sue gambe. “Sono andati bene, davvero. Ma prima di darti i dettagli, potemmo dedicarci un po’ di tempo?” le chiese, rivelando finalmente tutto il desiderio che aveva tenuto dentro di sé per due lunghissime settimane di lontananza. Elaine lo abbracciò e lui appoggiò il viso sul suo seno, assaporando la delicatezza delle carezze di Elaine sui suoi capelli. Passò le mani lungo la schiena di Elaine, intrufolandosi sotto la tuta e slacciandogli il reggiseno. “Mi sei mancata.” le disse, con la voce che stava già cambiando tono, abbassandosi e arrochendosi. “Avevi ragione, quando dicevi che sarebbe stato difficile e doloroso, stare separati.” Mentre le parlava, le stava baciando ogni centimetro di pelle che era riuscito a scoprire. Elaine chiuse gli occhi e inarcò la schiena, per offrirgli quanto più potesse di sé. “Ma sai,” continuò lui, parlandole senza scostare le labbra da lei, provocandole delle sensazioni ancora più forti dovute al 179


leggero solletico della sua appena accennata barba “sapere che tu provavi i miei stessi desideri e avere la certezza che ci saremmo rivisti rendeva tutto più sopportabile, quasi più eccitante, a volte.” La fece alzare e le abbassò leggermente i pantaloni, scoprendole l’ombelico, intorno al quale fece sensualmente passare la lingua più volte. “E soprattutto, la prospettiva di poter un giorno, magari anche non troppo lontano, vivere con te, rende tutto molto più leggero. Non lo credi anche tu, amore mio?” le chiese, diventando sempre più ardito con i movimenti della lingua. Elaine non poté più resistere. Lo fece alzare e, prendendolo per una mano, lo portò in camera e lo fece sdraiare sul letto, mettendosi accanto a lui, abbracciandolo e baciandolo. “Sapessi quante volte ho immaginato di tornare a casa da scuola con Nicholas, di entrare in casa e trovarti ad aspettarci. Quante volte mi sono immaginata con te, di sera, insieme sul divano a guardare la televisione, o a leggere, o semplicemente a parlare. Quante volte avrei voluto svegliarmi, la mattina, e vederti accanto a me, per alzarci insieme e fare colazione insieme. E tutte le volte sentivo la tua voce che mi diceva: ‘Sarà così, Lennie, sarà così! Abbi pazienza e fiducia in me.’” gli rivelò Elaine, senza mai smettere di ricambiare i suoi baci e le sue carezze. “E lo sarà davvero, amore mio, dobbiamo crederci.” Poi nessuno dei due sentì più la necessità di dire altro. Era tempo di dare spazio ai loro desideri, di permettersi di ritrovare e lasciare libero sfogo a quella passione che ogni volta sembrava più intensa, più profonda, più consapevole di quanto fosse vero il loro amore.

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32 “Adesso, o mi racconti tutto per filo e per segno, o ti torturo.” gli disse Elaine, quando tornarono in cucina, per preparare un tè caldo per lei e il caffè per lui. Andrew, notevolmente più rilassato e tranquillo, si mise a ridere. “Non puoi torturami, hai appena finito di fare l’amore con me!” “Ti consiglio di non mettermi alla prova…” ribadì Elaine, girandosi a guardarlo minacciosa. “Ok, mi arrendo! Parlerò!” disse Andrew alzando le mani in segno di resa. “Bene, sono tutt’orecchi.” “Cominciamo da Edimburgo, allora. Peter, intendo Peter Campbell, mio amico e attuale rettore, dopo essere rimasto sconvolto e aver assimilato la notizia, mi ha detto che per quest’anno accademico chiaramente non può più fare nulla, ma –e qui apri bene le tue splendide orecchie, Lennie- che non c’è assolutamente problema per l’anno prossimo.” annunciò Andrew con una nota di orgoglio nella voce. Elaine lo guardò e un sorriso sempre più grande si stampò sulla sua bocca. “Oddio, davvero? Che bello, amore, sono felicissima!” e gli buttò le braccia al collo, iniziando una sorta di balletto di giravolte che suscitò l’ilarità di Andrew. 181


“Sai, mi ero premunito di informarlo, come prima cosa, della pubblicazione del mio libro e di metterlo al corrente del secondo che sta nascendo nella mia mente. Queste due cose e il fatto che comunque ho ormai un buon nome come docente di storia, hanno fatto passare un po’ in secondo ordine il problema più grosso. Poi c’è sicuramente un altro fattore che ha giocato a mio favore…” “Cioè?” “Peter è presbiteriano, e quindi, per lui, è più scandaloso che un prete non si possa sposare, anziché il contrario, anche se ha sempre rispettato le mie scelte e soprattutto la mia religione.” spiegò Andrew, ad una Elaine sempre più soddisfatta. “In più,” aggiunse “mi ha dato già facoltà di girare liberamente per le biblioteche dell’università, se dovessi aver bisogno di ricerche accurate per il mio prossimo libro.” “… del quale, peraltro, non mi hai ancora detto nulla …” disse Elaine, tentando di carpirgli quello che era ancora un segreto. “Per il momento è ancora molto allo stato embrionale, Lennie. Quando avrò le idee più definite, te ne parlerò abbondantemente, credimi.” le assicurò lui. “Bene. Questo mi pare un bel punto a tuo favore. E il colloquio ad Aberdeen?” chiese Elaine, intuendo dall’espressione di Andrew che non era andato così bene come il primo. “Per quello, le cose sono state un po’ più complicate. Vedi, Padre Adam sulle prime, se così vogliamo dire, si è un po’ incazzato, tanto per essere espliciti.” rivelò Andrew. “Ti pareva.” fu il pronto e sarcastico commento di Elaine. “Beh, lui era rimasto a quando aveva fatto di tutto per farmi dimenticare di te, ed evidentemente pensava di esserci riuscito. Ha preso un po’ male il fatto che io fossi ricaduto nel peccato …” le disse Andrew. Elaine, a questo punto, lo fulminò con lo sguardo. 182


“Chiariamo una cosa, Andrew: non sopporto sentirti dire che io sono solo una ‘caduta nel peccato’, chiaro? Mi fa sentire sporca e indegna e fa sembrare quello che c’è tra noi come qualcosa di ignobile e spregevole. E questo non lo posso tollerare!” aveva notevolmente alzato la voce. “Ehi, calma Elaine, ok? Ti sto solo riferendo quello che mi ha detto Adam e siccome, nei prossimi tempi, di queste frasi ne sentirai parecchie, preferirei che tu imparassi a non reagire così, o mi costringerai a non dirti più niente. Accidenti, tu pensi che a me faccia piacere sentire così denigrato quello che c’è tra di noi?” Anche la voce di Andrew si era alterata e indurita. “Beh, allora contrastali, quando ti dicono queste cose! E chiedi loro di essere più rispettosi dei sentimenti altrui!” Elaine non accennava a calmarsi, anzi. “Perché, tu credi che riescano veramente a capire? Tu credi che qualcuno di loro abbia mai provato qualcosa del genere? Che cosa credi? Che sappiano davvero cos’è l’amore tra un uomo e una donna, o ne facciano solo una questione di sesso, di quello spauracchio che è il corpo tentatore di una donna? Forse pensi che riescano ad avvertire la differenza che c’è tra le due cose? Sei un’illusa, Elaine.” Le parole di Andrew erano state molto dure e il tono di voce talmente sprezzante, che ebbero perlomeno l’effetto di sedare un po’ i bollori di Elaine. “Non ti voglio raccontare che tipo di espressione ho visto sulla faccia di Adam quando gli ho detto che ero felicemente stato a letto con te per molte volte, in questo periodo, non te lo voglio proprio dire. Ma ti assicuro che sulla mia faccia c’era l’espressione di chi è davvero convinto di quello che prova e di quello che vuole fare. E questo ti deve bastare.” Elaine si calmò del tutto, rimanendo comunque ancora un po’ irrigidita. 183


Finalmente tè e caffè furono pronti. Con gesti meccanici e controllati, Elaine mise le tazze sul tavolo e si sedette però ben lontana da Andrew. “Continua.” gli disse poi. “Salterò, e forse è meglio, tutta la parte delle richieste di ravvedimento, pentimento, rinnegazione e quant’altro. Comunque, checché tu ne dica, alla fine, dopo tre ore di conversazione, Adam mi ha detto che potrò chiamarlo in causa, se ne avrò bisogno, e non potrà far altro che parlare bene di me, dare giudizi positivi e tentare di far accogliere le mie richieste.” annunciò Andrew, guardando fermamente dritto negli occhi la sua donna. Elaine cominciò a sentire uno strano tremore che le saliva verso le mani, che intrecciò per celarlo ad Andrew. Ma lui non si fece ingannare, e le prese tra le sue. “Forse non te l’avevo detto, che sarebbe stato difficile? Pesante? A volte umiliante?” le chiese. Elaine annuì, abbassando lo sguardo. Non era in grado di pronunciare una sola parola, ma, perlomeno, ora era più conscia di quello che stava subendo Andrew. Deglutì più volte, per ricacciare le lacrime che sentiva in agguato dietro alle palpebre, e finalmente riuscì a parlare. “Mi dispiace, Andrew. Mi dispiace di come ho reagito e mi dispiace soprattutto di quello che stai passando.” gli disse. “Non mi interessa, Lennie, non mi interessa, lo vuoi capire? Possono trattarmi come il peggiore dei peccatori, possono guardarmi con tutto il loro disprezzo, possono umiliarmi come vogliono: non me ne frega nulla. Davanti a loro, prima di loro, e più importante di mille di loro, ci sei tu.” Elaine lo sapeva bene, e annuì. “Quando farai richiesta ufficiale?” gli chiese, con l’ansia che le attanagliava la gola. 184


“Ho appuntamento con l’arcivescovo di Glasgow lunedì pomeriggio alle quattro.” Lunedì! Mancavano solo due giorni. “Ci siamo, allora.” fu il conciso commento di Elaine. “Ci siamo, sì. Lunedì sera, quando ti chiamerò, avremo le idee finalmente un po’ più precise.” fu l’altrettanto laconica frase di Andrew. “E ora, per favore, visto che tra poco tempo dovrò rimettermi in auto per ritornare a Glasgow, vuoi venire qui e abbracciarmi, giusto per farmi fare un po’ di ‘scorta’ del tuo profumo e del tuo amore, in modo da rendermi più forte di quello che sembro?”

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33 Erano praticamente due notti che Elaine non dormiva. Il sabato, dopo la partenza di Andrew, era rimasta sveglia fino alle sei del mattino, per poi riuscire a chiudere gli occhi ed assopirsi, sfinita, nemmeno per un paio d’ore. Aveva riflettuto e meditato sulle conversazioni avute con lui per tutto il tempo. Da una parte pensava che ciò che le aveva detto era un buon inizio, soprattutto il fatto che l’anno seguente avrebbe avuto un posto di lavoro sicuro, in un luogo dove era senz’altro ben accetto e ben voluto. Dall’altra, si sentiva sempre più pessimista. Come poteva sperare, Andrew, di cavarsela velocemente, quando sarebbe dovuto implacabilmente andare a cozzare contro delle mentalità così chiuse, come quella esternata da quel Padre Adam? Sola, nel buio della notte, col rumore della pioggia incessante che batteva contro le imposte della finestra della sua camera, Elaine non poté fare a meno di sentirsi sempre più sfiduciata, demoralizzata e abbattuta. E l’umore non era certo cambiato, quando aveva deciso di alzarsi per iniziare una giornata ancora all’insegna del brutto tempo, del buio, della solitudine e dei pensieri negativi. Aveva avuto un paio d’ore di tregua quando Janet, dopo averla sentita al telefono, si era presentata a casa sua nel pomeriggio 186


all’ora del tè, con un piccolo vassoio di pasticcini e con l’unico scopo di risollevarla un po’. Poi, per fortuna, Christopher aveva riportato Nicholas, che, come sempre, era il suo unico rifugio dai pensieri brutti, il solo che veramente la potesse distrarre da mille altri problemi. Andrew, quella domenica sera, anticipò di un paio d’ore la telefonata serale, chiedendole di poter parlare un po’ con suo figlio: evidentemente, anche lui, aveva bisogno di qualcosa che lo distraesse dai pensieri e dalle preoccupazioni. Nicholas, senza saperlo, era diventato la loro ancora di salvezza: entrambi sentivano il bisogno di aggrapparsi alla sua innocenza, alla sua gioia di vivere, ai suoi semplici discorsi da bambino, sempre permeati di spensieratezza. Ma, finita la conversazione col bambino e ritornando a parlare con Elaine, anche Andrew aveva lasciato finalmente trasparire tutta la sua ansietà per l’importantissimo e decisivo colloquio con l’arcivescovo, dal quale mancavano ormai poche ore. Il sentire però tutta la sua preoccupazione (finalmente aveva smesso di fare il supereroe!) aveva procurato ad Elaine un’altra notte insonne, durante la quale vagò inquieta per casa, spostandosi dal divano alla poltrona, dalla cucina alla sala, dal letto al bagno e poi di nuovo in cucina, senza tregua, senza pace, consolata solo dal fatto che anche a Glasgow la situazione non era diversa, vista la quantità di sms che si erano mandati lei e Andrew. Il risultato di quella notte fu una giornata completamente sballata: a scuola non riuscì a stare nel suo ufficio, e quindi decise di fare visite a sorpresa nelle classi, più che altro per stare a contatto coi ragazzi, parlare con loro e distrarre la mente dal pensiero fisso dell’appuntamento di Andrew delle quattro del pomeriggio. Quando entrò nella classe di Janet, l’amica la guardò stupita, ma capì al volo quanto Elaine avesse bisogno di distogliere la mente da quel tarlo, e la coinvolse subito nella 187


lezione di geografia prevista per quel giorno: lasciò completamente ad Elaine il compito di spiegare l’ Europa fisica, dandole modo così di uscire maggiormente dai suoi assilli. Mangiò in mensa con Janet, Kevin, Josh e Nicholas, e poi nel pomeriggio si presentò in aula docenti, dove tutti erano già pronti per gli scrutini delle secondarie, chiese scusa e comunicò che quel giorno non poteva rimanere come suo solito, assicurando la sua presenza per il giorno dopo (pensando anche: ‘se tutto va bene…’). Alle quattro, l’ora dell’appuntamento di Andrew con l’arcivescovo, recuperò Nicholas nella sua classe, salì in macchina e si diresse a Edimburgo, con grande felicità del bambino per questo imprevisto pomeriggio. E la sua gioia aumentò quando la mamma lo portò al Toys Galore, il negozio di giocattoli più fornito della città. Vi girovagarono fino all’ora di chiusura, per poi fermarsi a mangiare hamburger e patatine da McDonald’s . Per Nicholas fu una festa a sorpresa, per Elaine un ristoro per la mente offuscata, man mano che le ore passavano, da pensieri sempre più cupi. Alle otto, quando Elaine stava chiudendo la porta del garage di casa sua, arrivò il tanto atteso sms da Andrew. Entrò in casa, spedì Nicholas a fare il bagno, e lesse il messaggio. “Ho finito. E’ stata dura e non è andata come speravamo. Appena Nicholas dorme, ci sentiamo.” Lo lesse e lo rilesse, vedendo svanire uno alla volta tutti i suoi sogni di un roseo e felice futuro, chiedendosi come fare ad aspettare ancora più di un’ora prima di sentire Andrew. Ma in qualche modo il tempo passò. Ora Nicholas finalmente dormiva profondamente, dopo l’intensa e insolita giornata, ed Elaine, camminando inquieta in 188


cucina, poté finalmente digitare il numero di Andrew, che rispose dopo appena due squilli. “Ciao, amore mio.” le disse. Era una voce stanchissima e, pensò Elaine, cupissima. “Ciao, Andrew. Come stai?” chiese preoccupatissima. “La verità?” “Assolutamente.” “Non molto bene. E tu?” domandò di rimando Andrew. “Da cani, se vogliamo dirla tutta. Il tuo messaggio mi ha spaventata.” “Sì, in effetti, non è andata proprio liscia come avrei tanto voluto.” ammise lui. “Cos’è successo?” “E’ stato un colloquio pesantissimo, durante il quale l’Arcivescovo non ha fatto altro che cercare di dissuadermi, e tenergli testa non è stato facile. Puntava continuamente il dito nel fattore coscienza, non faceva altro che rammentarmi il fatto che non potevo prendere così alla leggera la mia scelta di vita fatta a suo tempo sicuramente con convinzione, su quanto fosse importante che mi rendessi conto della gravità della situazione, e, vista ormai la mia posizione abbastanza alta, quanto fosse difficile concedere questa rinuncia, rischiando di provocare scalpore e scandali.” Elaine si aspettava queste parole, ma sentirle davvero era veramente arduo. Cercò di evitare commenti di alcun genere: l’ultima cosa che voleva era inquietare ancora di più Andrew. “Naturalmente poi,” continuò “-e qui sai che non devi incazzarti- prima di capire veramente il sentimento che ci lega, c’è voluto un bel po’ di pazienza e fatica, perché ormai sai immaginare come la cosa venga fraintesa, e a priori, oserei dire.” “Già, come il solito.” fu il laconico assenso di Elaine. 189


“Esatto. Comunque, saltando tutta questa noiosa trafila di parole e domande retoriche, visto che non mi muovevo dalle mie posizioni, ha accettato la mia domanda che avevo comunque già preparato, riservandosi la facoltà di parlare con Padre Adam e Padre James prima di perfezionarla da un notaio e mandarla a Roma.” comunicò infine Andrew. “Quindi, bene o male, l’ha presa?” chiese conferma Elaine. “Sì, diciamo di sì, diciamo che fisicamente è uscita dalle mie mani per entrare in quelle dell’Arcivescovo.” confermò Andrew. “E sei stato sospeso o no?” “Qui viene la nota dolente, Lennie.” Elaine chiuse gli occhi, cercando di controllare il respiro che si stava facendo sempre più affannato. “Cioè?” chiese con un filo di voce. “Purtroppo, prima della sospensione, mi è stato imposto il famoso periodo di riflessione.” Elaine dovette sedersi. “No, no, no, no, ti prego, dimmi che non è vero…” disse, con le lacrime agli occhi. “No, sfortunatamente non posso Elaine. Mi mandano un mese a Whithorn, con partenza immediata domani mattina.” “E dove cazzo è, questa Whithorn?” Ora Elaine si stava anche alterando. Cercò di trattenersi dall’essere ancora più volgare. “Elaine, non puoi non saperlo! Whithorn, nel Galloway, la culla del cattolicesimo scozzese … dove San Ninian ha iniziato a diffondere la religione cattolica, hai presente?” Elaine ebbe un flash: lo sapeva benissimo, dove fosse Whithorn, c’era anche stata. “Sì. Sì, ho capito. Ci sono stata con i miei genitori, quando ero una ragazzina. C’è il nulla, là, Andrew!” 190


“Appunto. E’ per quello che mi ci mandano. C’è il nulla e solo il contatto con Dio, che dovrò ritrovare con le mie riflessioni e le mie meditazioni.” “Perché, l’hai perso di vista, forse?” chiese un po’ troppo sarcasticamente Elaine. “No, proprio no, ma a questo l’Arcivescovo non ha proprio voluto credere.” rispose Andrew, sorvolando sul tono di Elaine. “Anzi, ti dirò, secondo me non ha veramente capito appieno le mie motivazioni. Perché, nonostante io gli abbia detto che mi sono reso conto che non è più la vita che fa per me, che voglio semplicemente insegnare storia e scrivere libri di storia anziché fare carriera ecclesiastica, e che non sto certo rinnegando Dio che comunque è sempre importantissimo per me, lui poi si è fissato sulla nostra relazione e lì si è bloccato tutto. Elaine, mi spiace dirtelo, ma mi ha fatto molte domande su di te, ed io ho dovuto rispondere.” le disse, quasi colpevolizzandosi. “Hai fatto bene. E se mi fissi un appuntamento, ci vado anche di persona dall’Arcivescovo, se vuoi.” Il tono di sfida usato da Elaine fece finalmente ridere un po’ Andrew. “No, non credo sia necessario, anzi, sarebbe meglio per lui se tu non lo facessi, giusto?” “Proprio così, perché avrei un paio di cose da fargli capire per bene…” fu la velata minaccia di Elaine, sempre più alterata. “Elaine, forse è meglio che tu sia incazzata, piuttosto che triste e depressa o ansiosa, ma se rimani così per un mese, quando tornerò avrai bisogno di un trapianto al fegato, perché nel frattempo ti si sarà corroso!” le fece notare Andrew. “Io non voglio che tu vada a Whithorn!” disse con veemenza Elaine. “Ma ci devo andare. E dobbiamo prenderla nel migliore dei modi. Vedrai che nel frattempo, dopo che l’Arcivescovo avrà parlato con James e Adam, la situazione cambierà, e non è 191


escluso che, finito questo mese, io arrivi a Broxburn libero dai miei doveri sacerdotali e libero di stare con te. Dobbiamo per forza pensarlo, Lennie, per forza.” la incoraggiò lui. “Ma un mese è lunghissimo, Andrew!” si lamentò Elaine. “Non è vero, Lennie. Prova a pensare agli otto anni che abbiamo fatto senza vederci e sentirci, e ti renderai conto di quanto breve sia un mese…” “Ma durante quegli otto anni, credevo di odiarti e non volevo nemmeno sentire parlare di te, invece ora so di amarti tantissimo e … “ Elaine si accorse di avere un tono piagnucoloso, cosa che non le si confaceva per nulla, e quasi si vergognò di se stessa. “Oh, accidenti, vaffanculo tutti!” disse, ritrovando all’improvviso la grinta. “Gliela faremo vedere noi, eccome se gliela faremo vedere!” “Eccola, la mia donna! Quando il gioco si fa duro…” iniziò Andrew. “… i duri giocano, anzi, combattono! E vedrai se non lo farò!” “Così ti voglio, Lennie, esattamente così!” approvò Andrew. “Ce la faremo, vedrai. Quando parti?” “Domani in mattinata. Mi aspettano a San Ninian nel pomeriggio, ho già chiamato. E, per fortuna, non vivono fuori dal mondo… mi sono assicurato un PC con Internet, così almeno potrò cominciare un po’ di ricerche per il mio prossimo libro. In un mese senza impegni pressanti, sai quanto mi posso portare avanti?” disse Andrew. “Alla faccia dell’Arcivescovo!” “Elaine … per favore …” “Ok, scusa. Hai già preparato tutto?” “Quasi. Ora ho solo voglia di mettermi a letto e riposare, lo stress di oggi mi ha tagliato le gambe in due.” “Non sono messa meglio, credimi. Mi chiamerai domani prima di partire?” 192


“Certo che sì! Ti chiamerò anche tutti i giorni, mica mi hanno tolto il cellulare, eh!” le promise Andrew. “Va bene, allora, cerca di riposare bene, se puoi, e ci sentiamo domani mattina.” gli augurò lei con dolcezza. “Elaine?” “Sì?” “Ti amo.” “Anch’io ti amo, Andrew. Ora più che mai.”

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34 Il martedì era iniziato decisamente meglio. Elaine, nonostante le non buone notizie avute da Andrew, era riuscita a dormire tutta la notte, più per sfinimento che per altro. Certo, la realtà l’aveva investita come un treno in corsa non appena aveva aperto gli occhi al suono della sveglia, ma, cercando di contrastare al meglio lo stato di latente sconforto che sentiva crescere dentro, si era alzata, aveva fatto un’abbondante colazione con Nicholas, si era ben vestita e ben truccata e aveva dato inizio con una parvenza di normalità alla giornata di lavoro. Come prima cosa si presentò da lei Bruce Hamilton, per riferirle i risultati degli scrutini delle terze, fatti il pomeriggio precedente, quelli che lei aveva in pratica bigiato. Ora sedeva davanti a lei, quasi alla fine della sua esposizione. “Allora, oltre a Jacob Quinsley della 3°A, c’è qualche altra situazione problematica?” gli chiese Elaine. “Direi che sono tutti nella norma, a parte qualche materia che qua e là qualcuno dovrà recuperare nel mese di febbraio. Ma non sono situazioni gravi come quelle di Quinsley. Il fatto è che, oltre a non studiare, è anche molto ribelle, quindi va in giro a dire che non gli importa nulla dei corsi di recupero e che non intende frequentarli.” rispose Bruce. “Ascolta, un ragazzo di tredici anni non mi sembra proprio nella condizione di poter decidere cosa fare o non fare della sua 194


vita scolastica. Quindi, facciamo così: a tutti quelli che dovranno fare i recuperi, mandiamo la solita lettera a casa, per Jacob Quinsley fisserò anche un appuntamento con i genitori.” decise Elaine. “Dovrai farlo alla sera o di sabato mattina, credo. I suoi lavorano entrambi fuori città, e credo che sia per quello che il ragazzo si trovi così in difficoltà: è molto solo e un po’ allo sbando…” le rivelò Hamilton. “Benissimo, vedrò cosa fare. Per le terze quindi nient’altro?” s’informò Elaine. “Direi di no.” “Bene, lascia tutto a Rachel, poi parlerò con lei per le lettere e il resto. Gli scrutini di questo pomeriggio sono confermati o c’è qualche cambiamento?” chiese Elaine, sperando che qualche caso fortuito potesse liberarla da quell’impegno. “Confermati. Ci sarai, oggi?” “Certo!” disse Elaine sorridendo, pensando invece ‘Peccato, non avevo proprio voglia.’ Ma il professore di matematica non si decideva a lasciare il suo ufficio. “C’è qualche altro problema, Bruce?” gli chiese Elaine, notando una certa titubanza nel suo sguardo. “Posso parlare a una mia ex-collega, o devo sempre pensare di avere davanti la direttrice della scuola?” chiese lui. “Andiamo, su! Ci conosciamo da sette anni, ormai. Che cosa mi devi chiedere?” Un largo sorriso si aprì sul volto del professore. “Con chi hai mangiato la pizza qui, l’altra sera?” Elaine lo guardò incredula e si mise a ridere di gusto. “Ascolta Bruce, ribadisco il concetto che ti conosco da sette anni, ma sinceramente non ti verrò certo a dire questa cosa.” gli disse Elaine. 195


“Beh, sai, io sono uno di quelli su cui puntano, e anche se ho già smentito più volte, non mi credono. Potresti farlo tu al posto mio?” le domandò “Anche se sarebbe un onore, per me, chiaro!” aggiunse poi. “Vedi, lo farei volentieri, se questa voce mi arrivasse direttamente. Ma siccome non è così perché tutti si guardano bene dal parlare di questa cosa quando sono presente, non posso farlo.” lo deluse Elaine. “E’ Sinclair?” chiese ancora Hamilton. “Certo che no!” disse Elaine. “Lo conosco?” insistette lui. “Allora, Bruce! La smetti? Avanti, confessa, perché vuoi una dritta?” “Perché io ho scommesso su qualcuno di esterno alla scuola, che nessuno conosce.” le disse Hamilton cercando la sua collaborazione. “Hai scommesso? Si punta del denaro? Lo sai che dovrei denunciarvi per gioco d’azzardo in una scuola?” “No, Elaine, per carità! E’ una cosa molto innocente, dai! Finalmente ci si diverte un po’!” “E sentiamo, quanto hai messo sulla possibilità della persona esterna alla scuola?” s’informò Elaine che cominciava a divertirsi. “Cinquanta sterline.” “Cinquanta sterline??? Ma siete impazziti?” si stupì Elaine. Bruce la guardava sogghignando dalla parte opposta della scrivania, senza risponderle. “Ok, Bruce. Voglio darti una mano: non cambiare la tua puntata per niente al mondo.” gli consigliò Elaine. “Ahaaa! Ne ero certo!” dichiarò Hamilton dandosi un pugno sul palmo della mano. In quel preciso istante il cellulare di Elaine suonò, e lei gli fece cenno di aspettare un momento. 196


Vide che era Andrew: rispose subito, con l’intenzione di farlo attendere un attimo mentre avrebbe congedato il professore di matematica. Ma Andrew non le diede il tempo di farlo. “Lennie, qualsiasi cosa tu stia facendo, per favore, molla tutto e vai a casa!” le disse senza nemmeno salutarla. L’ansia s’impadronì repentinamente di Elaine. “Cosa ti è successo?” chiese. “Niente, sto bene. Ma non potevo non salutarti, anche solo con un bacio. Quindi, invece di imboccare la strada che va nel Galloway, ho preso quella per Broxburn, e arrivo tra un quarto d’ora. Vai a casa e aspettami, ti prego, ti supplico, ti scongiuro!” Elaine stava già raccogliendo cappotto e borsa. “Vado. Se arrivi prima tu, aspettami.” Chiuse la comunicazione. “Bruce, ci vediamo nel pomeriggio.” disse a Hamilton, lasciandolo alquanto interdetto nel suo ufficio e già sapendo che il pettegolezzo su di lei avrebbe raggiunto, nei prossimi giorni, proporzioni gigantesche. Poi passò come un fulmine davanti alla scrivania di Rachel, dicendole: “Non ci sono per non so quanto e NON, ripeto, NON DISTURBARMI, anche se s’incendia la scuola! Cavatevela senza di me.” Scese di corsa le scale, fece una velocissima sosta nella classe di Janet per avvertirla di dove stava andando, affinché non si preoccupasse se la voce della sua improvvisa fuga si fosse diffusa, si precipitò in auto e in dieci minuti fu a casa. Entrò e si fermò nell’ingresso, pronta ad aprire la porta ad Andrew non appena fosse arrivato. Cosa che si verificò dopo pochissimo tempo. Appena dentro, Andrew la abbracciò e la strinse a sé come un uomo in mare si aggrappa al salvagente. 197


“Scusami, Lennie, ma non potevo andarmene per un mese a centocinquanta miglia lontano da te, senza nemmeno abbracciarti!” le disse, scostandosi da lei. “Non sai quanto ne sono felice, Andrew!” Poi lui la guardò per bene e le sorrise molto furbescamente. “Caspita! Complimenti, oggi sei molto seria e posata! E’ la prima volta che ti vedo in queste vesti.” Elaine indossava un elegante tailleur blu con camicia bianca e una morbida e leggera sciarpa di seta annodata a cravatta, che le dava un’aria molto professionale. “Sei venuto per parlare del mio abbigliamento, o cosa?” chiese Elaine, guardandolo interrogativamente. “Era solo per dirti che, anche in queste vesti così serie, sei molto sexy, come il solito, e … io non ti potrò vedere per un mese, e lo so che non possiamo impiegarci troppo o dedicarci tanto tempo, ma … voglio fare l’amore con te, Lennie, adesso, qui, in questo preciso momento, subito.” E detto ciò, s’impossessò selvaggiamente della sua bocca, spingendola verso la porta della camera, pilotandola sul letto, dove la fece sdraiare e dove si spogliarono il più velocemente possibile, senza nessun’altra priorità se non quella di amarsi. “Ti penserò in ogni momento, amore, ricordati. Non farti prendere dai dubbi, o dallo sconforto, o dalla tristezza, sii sempre certa del mio amore e di quanto io voglia passare il resto della mia vita con te. E aspettami, aspettami, perché dopo questo mese arriverò veramente, dovesse cascare il mondo …” Mentre le diceva queste parole, affondava con passione dentro di lei, ed Elaine desiderò che non smettesse mai di parlarle, di amarla, di farla sentire sicura e fiduciosa. “Mi mancherai tantissimo, Lennie, ma sappi che quando tornerò da te sarò ancora più forte e, se possibile, ancora più innamorato. Perché tu sei la mia vita, adesso, e la cosa più preziosa che ho.” 198


Elaine vide che dagli occhi di Andrew scendevano due lacrime: si sentì talmente piena d’amore per lui da soffocare. Si aggrappò a lui e questa volta l’orgasmo quasi li sorprese: erano stati talmente concentrati sui loro sguardi e sulle parole, che quando raggiunsero il piacere si stupirono di quanto era stato inaspettato e improvviso. Andrew quasi si accasciò su di lei, nascondendo il volto bagnato da quelle due lacrime ribelli tra il collo e la spalla di Elaine, che rimase ferma e immobile ad accarezzarlo, per imprimersi bene nella mente le sensazioni che le davano il peso del suo corpo sopra di lei, il sapore dei suoi baci e il profumo della sua pelle inumidita dall’impeto dell’amplesso. Poi lui si mosse e la guardò. “Perdonami, so di non averti dato le solite attenzioni, ma non ho davvero tempo di…” Andrew stava cercando di giustificare in qualche modo l’inusuale velocità con cui l’aveva amata, ma Elaine non gliene lasciò il tempo. “Grazie per essere venuto, e grazie per tutto quello che mi hai detto. Ti amo, Andrew, anche tu non dovrai mai farti prendere dal dubbio che non sia vero, mi raccomando, qualsiasi cosa ti dicano o qualsiasi cosa facciano per convincerti del contrario. Me lo prometti?” gli chiese. “Te lo prometto, amore mio.” Andrew si alzò e si rivestì velocemente: la deviazione per Broxburn gli era già costata troppo tempo e a Whithorn lo aspettavano nel primo pomeriggio. “Adesso, per favore, non correre come un dannato, per arrivare in tempo. Chiama e dì che hai avuto un imprevisto, che aspettino,” “Tranquilla. So di dover avere cura di me, adesso più che mai, perché ci sei tu.” Ora era davvero giunto il momento di salutarsi. 199


“Cerchiamo di lasciarci come se ci dovessimo vedere domani, ok?” le chiese Andrew. “Ok. Allora ciao, Andrew, a presto.” disse Elaine ricacciando indietro le lacrime con forza. “Ciao Elaine, ci vediamo tra pochissimo tempo.” le disse lui di rimando. Un ultimo bacio veloce e poi Andrew uscì, senza più girarsi indietro. Elaine chiuse la porta, chiedendosi dove avrebbe trovato la forza, ma soprattutto la voglia, di tornare a scuola.

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35 Il tempo scorreva inesorabilmente lento, ma Elaine lo contrastava in tutti i modi possibili. Le telefonate serali con Andrew riuscivano a risollevarla un po’: lui le assicurava di continuo che stava bene e che riusciva a ‘reggere’ bene questo suo periodo di penitenza, o di ‘galera’, come lo definiva tra sé Elaine. La cosa che la rendeva più felice in assoluto, era che Andrew aveva cominciato a mandarle e-mail: nei rari momenti in cui si collegava a Internet per compiere le ricerche per il suo libro, sfruttava l’occasione per inviarle dei messaggi brevi, ma che per Elaine non erano altro che meravigliosi. Ogni mattina, appena arrivava in ufficio, c’era la mail con il suo buongiorno, e, quello di aprire la posta, era diventato il più bel momento della sua giornata. Andrew stesso, nell’oggetto, ogni volta scriveva ‘scorta di carburante per la giornata’, per poi iniziare a scrivere la vera e propria mail con sempre le stesse due parole: amore mio… L’unica nota dolente, era che lei non poteva rispondere; lui l’aveva pregata di non farlo, perché il computer che usava era costantemente monitorato: infatti, lui stesso si premurava di togliere ogni traccia dei suoi scritti a Elaine dopo averli inviati. Era una situazione assurda, pensava continuamente Elaine, assurda: questo mese non sarebbe servito a nulla, anzi, stava avendo l’effetto contrario. Andrew ed Elaine si sentivano ogni giorno più forti e sicuri. 201


Andrew diceva che passava la maggior parte del tempo in preghiera e meditazione, per poi avere lunghi colloqui con il prete che lo stava seguendo da vicino. Preghiera e meditazione non lo disturbavano per nulla, anzi, ma erano i colloqui che erano difficili da sopportare, sempre indirizzati all’unico scopo del ravvedimento dell’errore commesso. E gli serviva a poco ribadire continuamente il concetto che il suo amore per Elaine era tutt’altro che un errore, soprattutto ora che aveva fatto una scelta, proprio per non vivere nell’ambiguità. Ma lui sopportava, ogni giorno. E, come le diceva tutte le sere, ogni giorno era uno in meno da passare a Whithorn. Purtroppo non si avevano notizie da Glasgow, né da Aberdeen, né da Padre James. Tutto taceva, e questa era la cosa più pesante da tollerare. Finalmente, anche quella sera, squillò il telefono. Era già quasi mezzanotte, ed Elaine non stava più nella pelle. Per di più, come tutti i venerdì, era stanca morta. “Era ora, accidenti!” quasi lo aggredì Elaine quando rispose. “Scusa, lo sai che non dipende da me! Sono in camera da meno di mezz’ora, il tempo di una doccia e di mettermi a letto. Il venerdì sera qui c’è la Via Crucis, e al secondo, cioè oggi, è seguita da una messa votiva per i defunti. Non è che non avessi niente da fare, stasera!” le rispose altrettanto aggressivo. “Sei nervoso, per caso?” gli chiese Elaine. “No, cara, sei tu che sei nervosa, non mi hai nemmeno salutato!” le fece notare Andrew. “Scusami, sono veramente stanca, stasera. Ricominciamo da capo. Ciao, Andrew, come stai?” chiese, modificando il tono di voce. “Ciao, Elaine, sto bene. E tu?” “Distrutta sia fisicamente che psicologicamente da una settimana pesantissima, ma sto bene.” 202


“Finiti gli scrutini?” s’informò lui. “Grazie a Dio, sì! Oggi pomeriggio c’è stata l’ultima riunione dei docenti, abbiamo fatto il punto della situazione, e finito tutto! Una settimana d’inferno, credimi. Però, ho chiuso in bellezza …” “Cioè?” chiese Andrew curioso. “Ti ricordi del totoKincaid, no? Sul possibile amico di pizza?” “Come no! E’ uscito qualche altro nome?” “No, però, poco prima di finire la riunione, con tutti presenti, mi sono alzata in piedi, li ho guardati tutti quanti per bene e ho detto: ‘Signori, per quanto concerne il giro di scommesse che mi riguarda personalmente,’ (e qui, Andrew, vedessi le facce!) ‘ci terrei molto ad assicurare a tutti voi che chi ha mangiato la pizza con me non è stato il professor Bruce Hamilton, e che quindi potete togliere dall’elenco il suo nome e usare un po’ più di fantasia. Grazie, dichiaro chiusa la riunione. Buon weekend a tutti!’” Elaine rise ancora di gusto ricordando il momento di perfetto stupore dipinto sul volto dell’intero collegio docenti. Anche Andrew stava ridendo come un matto. “No! L’hai fatto veramente?” chiese. “Certo che sì! Bruce era a dir poco raggiante, con una tale espressione di compiacimento sulla faccia che gli avrei fatto una foto! E avresti dovuto vedere Janet e Kevin, rossi come due peperoni, dal tanto che trattenevano le risate!” “Dio, sei impagabile! Guarda come abbiamo risollevato l’umore dell’intera scuola con una semplice pizza…” disse Andrew. “Non era stata solo una pizza, però …” gli ricordò Elaine. “Eh già…” disse Andrew tornando serio “a dire il vero il sapore della pizza non lo ricordo nemmeno più,è stato soppiantato in pianta stabile dal dopo-pizza..”

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“A chi lo dici … lo so che non vuoi sentirtelo dire, ma mi manchi tanto, stasera … ma fa’ finta che io non abbia detto niente.” “Tanto, è solo un sinonimo di quanto mi manchi tu … ma non ho detto nulla nemmeno io, ok?” le rivelò Andrew. “Nicholas sta bene?” chiese poi cambiando velocemente argomento. “Bene, grazie. Oggi mi ha chiesto di te.” “Domani o dopo, se riesco a chiamare presto, mi fai parlare con lui? Mi piace quando mi fa il resoconto delle avventure della settimana.” le disse. “Oh, ti racconterà sicuramente dove siamo stati lunedì pomeriggio, intanto che tu eri a colloquio con l’Arcivescovo!” “E dove siete stati? Non mi hai detto niente!” l’accusò dolcemente Andrew. “Abbiamo fatto un pomeriggio a misura di bambino. Lascio a lui l’onore di spiegartelo!” si giustificò Elaine. “Bene, sono proprio curioso. Senti, Lennie, sei andata da Padre James?” le domandò poi. “Ma… amore, mi sembra di averti raccontato per filo e per segno la mia settimana! Quando avrei potuto, secondo te? Le mie giornate sono ancora di ventiquattro ore ciascuna!” “Che ne so, magari avevi preso in considerazione la mia proposta di andarci al mattino.” “No, proprio no. Ma perché sei così ansioso, che io ci vada?” lo inquisì Elaine, capendo che sotto la domanda di Andrew c’era qualcosa d’altro. “Io non ho più ricevuto nessuna chiamata da lui. E non voglio farlo io e metterlo in imbarazzo: sai com’è, magari ha già parlato con l’arcivescovo, ma non può dirmi nulla… però, se fossi tu a chiederglielo…” accennò Andrew, svelando la vera finalità della sua richiesta. “Senti, scusa, non fai prima a dirmi ‘Elaine, per piacere, vai da Padre James e chiedigli se ha parlato con l’Arcivescovo’?” gli 204


disse sogghignando, già contenta di essere complice delle intenzioni da Andrew. “Lo faresti? Ho bisogno di capire se si muove qualcosa o se è ancora tutto impantanato.” “Lo farò. Cosa ne dici di domani pomeriggio? Com’è l’andazzo in parrocchia, di sabato?” gli domandò Elaine, sempre poco informata sulla vita ecclesiastica. “Se vai sul presto non dovrebbero esserci problemi. Potresti prima chiamarlo.” suggerì lui. “Mmmm, no, preferisco fargli un’improvvisata.” affermò Elaine. “Come preferisci… potresti anche chiedergli se sa qualcosa da Padre Adam…” “Andrew, mi stai chiedendo di fare la spia??!” “Sì, direi proprio di sì. E con molta diplomazia, da vero James Bond, Lennie!” rispose lui scherzando, ma non troppo. “Ho sempre sognato di interpretare il ruolo di Sean Connery! Io sono Bond, Lennie Bond!” rise Elaine. “Bene, è la tua grande occasione, ma vacci piano con la licenza di uccidere!” le disse Andrew stando al gioco. “Va bene, Andrew, non ti preoccupare. Ci vado e vedo cosa e come posso fare per fargli dire il più possibile. Conterò sul fatto che ‘gli piaccio molto’, come continui a dire tu.” “Sì, esatto. Sei un tesoro, Elaine. Oggi ti ho già detto che ti adoro?” le chiese poi. “Credo di averlo letto nell’e-mail di stamattina, ma in viva voce non ancora.” “Benissimo: ti amo, Elaine.” le disse, con la voce più suadente che riuscì a trovare, cosa che provocò uno sfarfallio nello stomaco di Elaine. “Anch’io ti amo tanto, Andrew.” In genere, arrivati a quello, cercavano di mettere fine alla telefonata, perché andare oltre, sarebbe diventato doloroso. 205


Dopo il ti amo, sarebbero arrivate parole che avrebbero indicato quanto sentivano la mancanza l’uno dell’altra, che avrebbero espresso quanto si desiderassero, e li avrebbe sicuramente portati alla consapevolezza verbale di quanta fatica stavano facendo a rimanere così lontani. Molto meglio limitarsi al ti amo, senza proseguire oltre: così avevano stabilito, e così fecero anche quella sera. “Ci sentiamo domani sera, Elaine.” promise lui. “Ci conto.” “Buonanotte. E se non riesci a dormire, messaggia pure…” “Ok. Buonanotte anche a te, Andrew.”

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36 “Sono davvero contento che tu abbia deciso di venire a trovarmi.” fu l’affermazione di Padre James, non appena lui ed Elaine si furono accomodati nell’ufficio dove il sacerdote amministrava la vita della parrocchia. Elaine gli sorrise, un po’ intimidita e in imbarazzo. “Allora, Padre James, quando le mandano un aiuto?” “Credo per l’inizio di marzo. Non è stato semplice gestire tutto da solo per tre mesi! Per fortuna nel periodo natalizio c’è stato Padre Andrew… o preferisci che lo chiami solo Andrew?” le chiese, guardandola dritta negli occhi. Elaine abbassò i suoi e si sentì un po’ arrossire: in fondo gliel’avevano fatta sotto il naso parecchie volte, lei e Andrew, a quell’uomo che le stava di fronte… “Non mi metta in imbarazzo, per favore, Padre James. Mi sento molto in colpa, nei suoi confronti.” gli confessò Elaine. “Beh, Elaine, ti dirò: un po’ fai bene. Ma credo che tutto sia stato chiarito, ormai, vero?” Elaine rimase un po’ esitante. “Andrew non mi ha mai detto niente del vostro colloquio, solo che avete parlato e che le ha detto tutto.” affermò Elaine, rialzando lo sguardo sul sacerdote. “E tu cosa mi diresti?” le chiese con dolcezza Padre James, cercando di togliere Elaine dall’evidente impaccio. Elaine rimase pensierosa un po’, pensando alle parole giuste da pronunciare, ma sinceramente non sapeva molto bene cosa 207


dire. Poi disse le uniche parole che si sentì di formulare, e l’unica cosa che in quel periodo irrompeva continuamente nella sua mente. “Io lo amo tanto, Padre James. L’ho amato tanto dodici anni fa, poi avevo rinunciato a lui, ma non ho mai potuto dimenticarlo. Ho fatto finta di odiarlo, per cercare di scordarlo, ma quando l’ho visto, prima di Natale, ho capito che era stato tutto inutile: lo amavo, lo amo ancora. E non smetterò mai, credo.” Ecco, aveva detto tutto. Tutto quello che era necessario dirgli. Vide che Padre James stava impercettibilmente sorridendo. “Sai una cosa, Elaine?” le disse poi “Andrew ha detto, se mai è possibile (ma a questo punto penso che lo sia), le tue stesse identiche parole. Non una di più, non una di meno.” “E questo cosa significa, secondo lei?” gli chiese Elaine. “Che siete veramente convinti di quello che provate, che forse è davvero un sentimento talmente bello e forte che vale la pena di tentare.” Elaine tirò un lungo respiro, sentendo la tensione sciogliersi dentro di lei. “Ma allora, Padre, se lei ha capito, perché gli altri no?” chiese un po’ incerta. “Chi sono gli altri?” domandò Padre James. “Lo sa, chi sono gli altri: Padre Adam, l’Arcivescovo di Glasgow…” accennò Elaine. “Vedi, Elaine, loro non hanno avuto la fortuna di vedervi insieme, o di guardarti negli occhi mentre dichiari il tuo amore per Andrew. Per me quella mattina dell’Epifania in cui ti sei fermata qui un’ora con tuo figlio, è stata quasi una rivelazione. Andrew ed io avevamo parlato la sera prima, e, sinceramente, al momento non l’avevo presa proprio bene. Rimane sempre il lecito dubbio che possa essere una sorta di ribellione, piuttosto che il famoso fascino del proibito, o un’infatuazione dovuta magari alla scoperta di un mondo tutto nuovo e talmente 208


diverso dal nostro, da rimanerne abbagliati. Ma poi io vi ho visto. Vi ho osservato, ho cercato di guardarvi dentro, al di là delle parole pronunciate da Andrew. E credo di aver capito. E quello che vedevo mi confortava, perché la scelta fatta da Andrew poteva essere una buona cosa, una decisione presa davvero con coscienza, e non un colpo di testa sconsiderato e avventato. E i tuoi occhi me lo confermano, oggi.” Elaine rimase in silenzio. Che cosa poteva ribattere? Nulla. Le parole di Padre James la fecero sentire, forse per la prima volta da che gli eventi erano precipitati assalendola come una piena incontrollabile, un po’ più tranquilla, un po’ più in pace. “Grazie.” Fu l’unica parola che riuscì a pronunciare, e le giunse davvero dal profondo del cuore, quel cuore che in quel momento divenne un po’ più leggero. “Lo dirà all’Arcivescovo, se la chiamerà? O magari l’ha già chiamata?” chiese Elaine. Padre Andrew sorrise molto apertamente. “Te l’ha detto lui di chiedermelo?” Elaine pensò che a quell’uomo proprio non si potesse nascondere niente: era troppo abile a leggere nelle profondità dell’anima, troppo penetrante da potersi lasciar sfuggire qualcosa. Sorrise anche lei. “In effetti sì, lo ammetto. E’ un po’ inquieto, perché vorrebbe sapere se almeno si sta muovendo qualcosa, o se è ancora tutto fermo. E sa di non poterglielo chiedere di persona.” gli confessò Elaine. “In effetti, il colloquio dovrebbe rimanere strettamente privato, sotto l’obbligo del silenzio… ma, sai, forse puoi dirgli che ho ricevuto un’importantissima telefonata proprio il giorno dopo la sua partenza per Whithorn, ed è stata una lunga ed esauriente telefonata … e puoi anche dirgli quello che io ho detto a te poco fa.” 209


Era un modo mascherato per farle capire che il colloquio era avvenuto e che Padre James si era schierato dalla parte di Andrew. “Dall’altro lato, quello meno ‘umano’, diciamo, mi dispiace per questa decisione di Andrew: è comunque sempre stato un ottimo sacerdote, ed è una perdita non indifferente per la nostra chiesa, quindi capisco anche le ragioni del mio interlocutore di quella particolare telefonata. Ma ritengo che sia meglio avere sacerdoti davvero convinti, piuttosto che sacerdoti dubbiosi o dilaniati dai dubbi o costretti a fare quello che non vogliono più fare: la nostra è una missione, e non si può portarla avanti se non si hanno più motivazioni e scopi precisi.” Ormai quello di Padre James era diventato un monologo, poiché Elaine si trovava in grosse difficoltà nel rispondere o ribattere alle sue parole. Anche perché, in fondo, non aveva nulla da replicare. Ma le piaceva tantissimo ascoltarlo, e Padre James arrivò al punto da rivelarle qualcosa che Elaine non avrebbe mai sospettato. “Sai, Elaine, a suo tempo, anni fa, anche io ho avuto grossi diverbi con i miei superiori. Anch’io, a quanto pare, ero un sacerdote molto … ‘dotato’… e la loro intenzione era quella di farmi salire i gradini della carriera ecclesiastica. Si parlava addirittura del Vaticano. Ma io mi opposi fermamente.” Elaine rimase un po’ stupita. “Davvero? Non l’avrei mai detto. E perché?” chiese curiosa. “Perché io volevo semplicemente una parrocchia, dei fedeli da nutrire con la mia fede, e starmene in mezzo alla gente. Non m’interessava e non mi è mai importato arrivare in alto. Quindi rifiutai l’occasione che mi veniva data, disobbedendo agli ordini.” A questo punto una risatina ironica gli uscì dalle labbra. “E cosa successe?” volle sapere Elaine. 210


“Che mi guadagnai un bel periodo di riflessione, molto più lungo di quello di Andrew, sai? Alla fine, rimanendo fermo sulle mie convinzioni, ottenni quello che desideravo, e arrivai a Broxburn, dove sono ancora. Con mia grande gioia, perché davvero qui posso dire di conoscere il mio gregge, e di averne cura.” Elaine era quasi estasiata dall’orgoglio con cui Padre James pronunciò quelle parole, rivelando quando fosse stata e fosse tuttora importante la sua missione e la sua vocazione. “Allora, anche lei è stato un po’ un ribelle?” chiese quasi divertita Elaine. “Decisamente. E molto testardo, anche.” confermò Padre James. Padre James si mosse dalla sua scrivania e si diresse verso la sedia posta accanto a quella di Elaine, e si sedette, sorridendole. “Mi rendo conto di aver parlato molto e ascoltato poco, Elaine. E tu sei venuta per parlare con me.” aggiunse poi, rimanendo in attesa. Elaine lo guardava persa nei propri pensieri, conscia che lui si aspettava qualcosa da lei, ma si sentiva assolutamente incapace di formulare frasi articolate: nella sua mente si accavallavano pensieri e parole a briglia sciolta, come cavalli imbizzarriti che scalpitano inquieti cercando la libertà. Cercò miseramente di farli uscire, di ridare loro un senso e una logicità, ma si sentiva quasi sopraffatta. “Padre James, io non so davvero cosa dire, cosa fare, cosa pensare. In questa settimana ho cercato disperatamente di bloccare qualsiasi tipo di sentimento, qualsiasi tipo di speranza. Ho cercato di vivere alla giornata, senza pensare a quello che potrò fare quando Andrew ritornerà, perché ho paura di soffrire troppo, se non vedrò i nostri desideri e le nostre attese realizzati. Ho cercato di pensare a lui il meno possibile, perché 211


è così doloroso per me saperlo lontano e completamente solo, che non ha idea di quanto questo mi laceri l’anima.” Finalmente Elaine riuscì a esprimere quello che si teneva caparbiamente dentro da quando, il martedì mattina, Andrew era uscito dalla porta di casa sua per andare in un posto dal quale non sarebbe tornato prima di un mese. Finalmente dai suoi occhi iniziarono a uscire le lacrime di tristezza che aveva violentemente ricacciato indietro per sei giorni, che erano stati lunghi come sei mesi e faticosi come sei anni. “Mi sento così sola, Padre James, così sola! Molto più di quanto non mi fossi sentita dodici anni fa, quando Andrew partì per Inverness, o otto anni fa quando ci vedemmo per l’ultima volta.” gli confidò Elaine. “Penso che sia perché le altre volte, nel bene e nel male, siano state vostre decisioni, mentre questa volta è qualcosa che vi è stato imposto e va certamente contro il vostro desiderio di stare insieme. Ma non pensi che anche questa tua tristezza, questa tua solitudine, possa avere un aspetto positivo?” le domandò dolcemente il sacerdote, prendendole le mani. “State per fare un passo davvero molto grande, Elaine. Vorrei quasi dire gigantesco: non credi che, anche se difficile, è comunque un bene, un periodo di riflessione? Non sto mettendo in dubbio il vostro amore, credimi. Ti sto solo dicendo che una prova così non può far altro, quando sarà passata, che farvi sentire ancora più forti e più sicuri.” Elaine sorrise a Padre James. “Vuole sapere una cosa, Padre James? Se ci fosse stato Andrew al suo posto e mi avesse detto queste cose, gli avrei detto di non farmi discorsi da prete…” “Ma io…” iniziò il sacerdote. “’Ma io lo sono.’ lo so, so anche questa parte, e a memoria, Padre. L’ho sentita parecchie volte.” 212


“Allora vuol dire che proprio del tutto non l’ha mai persa, la testa, Andrew…” si compiacque Padre James. “Oh no, proprio no. E’ stato sempre molto ben conscio di quello che era. Che è ancora. Comunque, tornando a noi, questi discorsi da prete, come li ho sempre chiamati io, detti da lei assumono una dimensione diversa e mi danno conforto. Io ho ricominciato a pregare, questa settimana.” gli rivelò Elaine, che dai giorni del suo divorzio con Christopher, aveva smesso di dialogare con Dio, pensando che proprio non avrebbe potuto volere di più da lei. “E non pensi che sia un bene?”chiese Padre James. “Ne sono degna? Dio mi vorrà ascoltare ancora?” domandò quasi umilmente Elaine. “Dio ascolta chiunque si rivolga a Lui con cuore sincero, Elaine. Questo dovresti saperlo, l’ho detto tante volte ai tuoi bambini quando venivo a fare religione nella tua classe. E poi non ho bisogno di dirti le cose che sai da una vita, so che non le hai dimenticate.” la confortò Padre James. “Tutti questi discorsi che Andrew mi ha riferito mi hanno fatto sentire un po’ sporca, un po’… non lo so!” “Solo tu puoi sapere cosa c’è veramente nel profondo del tuo cuore. Se il tuo cuore è sincero, il tuo sentimento vero, se non lo stai ingannando, se vi amate veramente, come penso che sia, non devi sentirti così. Parla con Dio, Elaine, e Lui ti ascolterà, ritorna ad avere quella fede che ti ha sempre sostenuta, non potrà che essere un conforto.” Elaine si asciugò le lacrime che non avevano mai smesso di scendere silenziose e irrefrenabili dai suoi occhi. “Grazie, Padre James. Ho come il sospetto che verrò ancora a trovarla, nelle prossime settimane.” “Bene! Vuol dire che so ancora fare qualcosa di buono!” rise Padre James: una risata limpida e cristallina, come dovevano essere sicuramente anche la sua fede e la sua anima. 213


La sua serenità coinvolse anche Elaine, che sentì sciogliersi gran parte delle sue pene e riacquistò quella fiducia nel domani che era andata a mano a mano scemando durante la settimana. “Posso chiederle un altro piacere?” domandò un po’ tentennante. “Tutto quello che posso fare per te, lo farò.” “So che la chiesa è chiusa, a quest’ora, ma potrei andarci lo stesso?” “Come no! La casa del Signore è sempre aperta, ricordati.” Così Padre James la accompagnò in chiesa e la lasciò sola con i suoi pensieri per un po’ di tempo: era silenziosa, illuminata solo dalle candele votive che non venivano mai spente e dalla debole luce invernale che entrava dalle vetrate colorate, e profumata di incenso. Elaine si sedette, e poco alla volta ritrovò molte cose: se stessa, la sua anima, il conforto e la fiducia.

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37 Elaine e Janet, con i rispettivi figli Nicholas e Josh, erano a zonzo ad Edimburgo, diretti in realtà verso Waterstone, una delle più fornite librerie della città, in Princes Street. Erano partite alle quattro del pomeriggio, subito dopo la fine delle lezioni, con uno scopo ben preciso: l’acquisto del libro di Andrew, che finalmente era stato pubblicato e consegnato ai migliori rivenditori di libri. Era stato proprio Andrew a comunicarlo ad Elaine due giorni prima, e con non poco orgoglio nella voce, rammaricandosi però di aver dovuto rinunciare ad essere presente alla presentazione prevista proprio per quel giorno nella famosa libreria di Edimburgo; l’aveva però quasi supplicata di non mancare, ed Elaine aveva accettato ben volentieri. Ora le due amiche sedevano in una sala da tè, e, mentre i bambini facevano merenda parlottando delle loro avventure scolastiche della giornata, loro due chiacchieravano tranquille sorseggiando una tazza di Darjeeling. “Perché non è potuto venire, scusa?” chiese Janet all’amica. “Perché è in ritiro, no? Che altra spiegazione ti devo dare?” rispose Elaine mestamente. L’idea che Andrew fosse privato di una gioia così grande quale poteva essere la presentazione del suo primo libro la intristiva molto, dopo averla fatta anche molto adirare. “Che rigidità, accidenti! Sembra che gli debbano far pagare chissà quale delitto!” giudicò Janet. 215


“Eh, sì, come il peggiore dei criminali…” confermò Elaine abbastanza aspramente. “Ma non farmi fare commenti, ti prego. Stendiamo un velo pietoso su questa faccenda. Già è abbastanza difficile, senza rivoltare il dito nella piaga.” “Lui come l’ha presa?” chiese l’amica. “Con molta filosofia. A dire il vero sta prendendo tutto con molta filosofia. Non so se lo fa per non mettermi in ansia, ma lo sento molto tranquillo e sereno. Di questa mancata presenza ha detto solo che gli spiace molto, ma che va bene così. L’importante era che il libro uscisse, e siccome è successo, oltretutto con un po’ di anticipo rispetto alle previsioni, è molto contento.” “Questo nuovo lato ascetico di Andrew mi lascia di stucco. In fondo l’ho sempre visto un po’ impulsivo, un po’ ribelle e forse anche un po’ meno docile di quanto non si stia dimostrando.” “E’ cambiato molto, Janet. Sono due mesi che te lo dico. Chiaro che a cena a casa tua non hai avuto modo di accorgertene, ma è davvero ora che tu mi creda, quando ti dico che è un po’ diverso dall’Andrew che conoscevi.” le ribadì per l’ennesima volta Elaine. “Beh, non posso far altro che convincermene del tutto, a questo punto. Allora, come hai detto che s’intitola, il libro?” domandò Janet. “Un titolo ridondante! ‘Castelli nelle Highlands: tra mistero e realtà.’ Carino, no? Sono contemplati anche i presunti o veri fantasmi!” rispose Elaine, divertita. “Aah! Allora non è soltanto un mattone di storia, c’è anche della leggenda…” commentò Janet, da sempre più propensa per le materie scientifiche che per quelle storico-letterarie. “Sì, l’altra sera me ne ha finalmente parlato un po’ più ampiamente, e penso che potrebbe piacere anche a te.” Poi Elaine guardò l’orologio: erano quasi le cinque, ed era ora di incamminarsi verso la libreria. Pagarono il conto, presero i 216


bambini e si ributtarono per le strade di Edimburgo, che ormai cominciavano a essere un po’ affollate. Appena entrarono da Waterstone, videro che c’era un capannello di persone in un angolo del vasto negozio: si avvicinarono e, proprio in quel momento il proprietario stava spiegando l’assenza di Andrew, sostituito però per l’occasione da Peter Campbell, rettore dell’Università di Edimburgo. Elaine e Janet si guardarono: Elaine era stupita da questo risvolto, Andrew non gliene aveva parlato, le sera precedente. Si chiese come mai, ma rimase anche ben impressionata dalla quantità di gente attorno al tavolo dove sedeva Campbell; per la maggior parte, sembravano essere studenti universitari. Evidentemente questo importante amico di Andrew si era dato molto da fare, per pubblicizzare il libro. Elaine si mise in mezzo al folto gruppo di persone, ascoltando attentamente la breve relazione di presentazione di Campbell, affascinata dal modo in cui l’uomo stava decantando le ottime qualità del libro. Notò anche che spesso rivolgeva lo sguardo verso di lei, quasi scrutandola. ‘Non posso certo credere di aver fatto colpo su un amico di Andrew!” si ritrovò a pensare, divertita. Mentre iniziava la distribuzione dei libri, Janet si allontanò con i bambini che ormai erano diventanti un po’ inquieti, accompagnandoli in un reparto che a loro sarebbe potuto interessare di più, quello di libri fantasy per bambini e ragazzi. Elaine rimase pazientemente in coda, attorniata dai giovani universitari che parlavano e scherzavano tra loro e si mise a sua volta a osservare Peter Campbell: un uomo vigoroso e imponente, sui cinquant’anni, un po’ stempiato, dalla voce stentorea e dalla risata prorompente. Le ricordò un po’ Angus, l’amico di Andrew morto all’improvviso in un disgraziato incidente dodici anni prima, e che lei aveva avuto il piacere immenso di conoscere. 217


Finalmente arrivò il suo turno. Si avvicinò al tavolo sorridendo e porgendo la mano al rettore dell’università. “Buonasera!” disse Elaine cortesemente. Peter Campbell le prese la mano in una stretta vigorosa e rimase a guardarla con le labbra piegate in un sorriso appena accennato. “Buonasera! Mi scusi, forse le sembrerò un po’ inopportuno, con questa domanda… lei è la signora Kincaid? Elaine Kincaid?” Elaine rimase attonita, e tentennò non poco nel rispondere. “Io … sì, sono io. Ma lei …” “Signora Kincaid, sono molto onorato di conoscerla. Sono Peter Campbell, rettore dell’Università di Edimburgo, ma, prima di tutto, grande amico di Andrew.” Campbell trattenne la mano di Elaine tra le sue e le sorrise molto più apertamente. Lo stupore di Elaine doveva essere sempre più evidente. “Mi fa piacere conoscerla, ma …” accennò lei. “Le devo sicuramente una spiegazione. Le devo anche confessare di essere complice di Andrew in questa … chiamiamola sorpresa, che dice? Ma venga, la prego, mi segua un attimo.” Campbell chiese ai presenti di scusarlo e fece cenno al proprietario della libreria di sostituirlo alla distribuzione del libro. Prendendola delicatamente per un braccio, portò Elaine nel retro, dove lei vide un pacchetto ben confezionato posato sulla scrivania. “Mi dovrà perdonare,” iniziò poi a spiegare “ma io e Andrew siamo complici in questa piccola sorpresa che lui ha voluto farle.”

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Elaine era sempre più piacevolmente stupita, ma in realtà senza parole. Campbell, comunque, non le dava la possibilità di entrare nel fiume delle sue parole. “Lasci innanzitutto che le dica due cose: Andrew mi ha parlato molto di lei e sono veramente tanto contento di conoscerla. E la seconda… beh, mi permetta di dirle che Andrew, anche se in circostanze burrascose e complicate, non poteva fare scelta migliore!” disse queste parole con tale vigore, che Elaine quasi si aspettò una pacca sulle spalle. Ad ogni modo si sentì leggermente arrossire al complimento dell’uomo. “La ringrazio molto. Ma devo confessarle che mi sento un po’ spiazzata…” confidò Elaine. “E’ tutto molto semplice, signora Kincaid. Andrew mi ha affidato la promozione del suo libro. Ci siamo visti questa settimana a Whithorn…” A questa rivelazione Elaine sentì le gambe cedere. “O Dio, l’ha visto? Come sta? Cioè, voglio dire, lo so che sta bene, ci sentiamo tutti i giorni, ma come l’ha visto? Intendo…” “Tranquilla, signora Kincaid, si rilassi! Sta davvero bene, e l’ho visto in forma e ben motivato, mi creda.” Campbell le disse queste parole posandole una mano su una spalla, intuendo le preoccupazioni e le apprensioni di Elaine, che rivelava appieno le sue emozioni, pur cercando di non farlo. “Solo ha voluto tenere ‘segreto’ a lei il nostro incontro, se no, non avremmo più potuto farle questa sorpresa.” A questo punto prese il pacchetto dalla scrivania e lo porse ad Elaine. “Questo è per lei, da parte di Andrew. E credo di non dover dire più nulla, anzi, la lascio qui sola così potrà aprirlo senza essere sotto gli occhi di tutti. Mi chiami, quando ha finito.” E, detto questo, si allontanò, chiudendosi la porta alle spalle. 219


Elaine, sempre più confusa e sorpresa, rimase a guardare il pacchetto tra le sue mani, quasi coccolandolo: era di Andrew, per lei. Lo scartò con mani un po’ tremanti e quando lo aprì, vide che era una copia del suo libro, accompagnato da una lettera. Elaine dovette sedersi. Aprì la busta e lesse con occhi lucidi le parole di Andrew. ‘Amore mio, questa è la prima copia del mio primo libro: direi che può essere considerata una pietra miliare della mia vita, non credi? In genere gli autori se la tengono ben stretta, ma io voglio darla a te, perché credo che tu saprai metterla al posto giusto e custodirla nel modo giusto. La mia vita sta cambiando, e lo sta facendo in maniera vorticosa, ma la cosa che mi fa più felice in assoluto, è sapere che tu sarai con me, e potremo finalmente condividere tutte le nostre gioie, le nostre aspettative, ed anche i nostri dolori, come abbiamo già fatto altre volte. Questa certezza mi rende forte, ottimista, e sicuro che sarà una vita entusiasmante e felice, anche se magari, all’inizio, un po’ difficile. Metti questo libro in un posto che ti piacerà, e lascia che anche lui, come te, aspetti il mio ritorno tra le pareti di casa tua, il luogo dove sono stato più felice in assoluto negli ultimi tempi, il posto che mi dà pace e serenità, il posto pieno del nostro amore.’ Elaine era commossa e una lacrima bagnò le parole scritte da Andrew. ‘Perdona me e Peter per averti voluto fare questo tiro un po’ mancino, spero solo tu l’abbia preso con allegria, la stessa allegria che sentivamo noi quando l’abbiamo organizzato! Ti amo, Elaine, sinceramente e profondamente. Andrew.’ Elaine tirò su col naso. Accidenti, questa era la sorpresa più bella e meglio organizzata che avesse mai avuto in tutta la sua vita! Ripose la lettera nella 220


sua busta e aprì il libro; sul frontespizio, poche parole: a Elaine, con amore. Andrew. Lo sfogliò con delicatezza, sfiorando le pagine riempite con le parole di Andrew, soffermandosi a guardare le foto dei castelli, lasciando vagare la mente a quando insieme, per pochissime volte, erano stati in quella terra magica che erano le Highlands. Poi riavvolse ancora tutto nella carta da regalo, e si strinse il pacchetto al cuore, sorridendo beatamente come una ragazzina al primo amore. Uscì dal retro del negozio e si diresse verso Peter Campbell, che appena la vide le andò incontro. “Signora Kincaid! Soddisfatta? Tutto a posto?” le chiese. “Sì! Sì, grazie signor Campbell, davvero grazie!” Poi si voltò, perché sentì Nicholas che la chiamava. Appena la vide le si avvicinò, con un’espressione un po’ preoccupata, seguito da Josh e da Janet, che invece aveva uno sguardo interrogativo dipinto sul volto. “Mamma! Non ti vedevamo più!” disse Nicholas, guardando sia lei sia Campbell. “Tranquillo, amore, stavo solo parlando con questo signore. Signor Campbell, mio figlio Nicholas, Josh e la mia amica Janet McDougall.” gli disse, presentando il suo seguito. “Bene! Mi fa piacere conoscere gli amici di Andrew!” disse Campbell, stringendo la mano a Janet e dando un’arruffata di capelli ai marmocchi. “Ora, Signora Kincaid, la devo lasciare. Mi ha fatto piacere conoscerla e spero davvero di rivederla presto, magari in circostanze un po’ meno caotiche…” disse poi rivolgendosi di nuovo a Elaine. “Di nuovo grazie, signor Campbell, spero anch’io di rivederla presto.” contraccambiò Elaine. “Un’ultima cosa: qualsiasi cosa abbia bisogno, non esiti a chiamarmi, sarò a sua disposizione! Arrivederci!” 221


E con questa offerta di disponibilità, si rimise alla sua postazione, per distribuire il libro di Andrew. Stavano uscendo dal negozio, quando la voce tonante di Campbell si fece di nuovo sentire. “Signora McDougall!” Janet si voltò verso di lui quasi interdetta, un po’ vergognandosi perché tutti i presenti si erano voltati a guardarla. “Dimenticavo! La sua copia!” disse Campbell sventolando un libro di Andrew. Elaine guardò Janet e si mise a ridere: evidentemente quei due avevano organizzato tutto nei minimi particolari. Janet la guardò di sbieco, mormorando: “Cos’è ‘sta storia? Ma siete tutti impazziti?” e si diresse a ritirare il libro dalle mani del rettore, consapevole degli sguardi di tutti su di sé e salutandolo poi, di nuovo, con una faccia sempre più attonita. Si fermò appena fuori dalla libreria e lesse la dedica di Andrew: ‘Ad una carissima amica, che non si è mai fatta i cavoli suoi: Dio benedica te, Kevin e Josh! Andrew.’ “Bene, adesso, visto che io non mi faccio mai i cavoli miei, mi racconti da quale mente perversa sono uscite tutte queste pazzie odierne. E nei minimi particolari, lo pretendo!” disse Janet ridendo apertamente, imitata da Elaine che non si sentiva così sollevata da giorni.

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Nicholas dormiva dalle nove ed Elaine era totalmente immersa nella lettura del libro di Andrew, aspettando la sua chiamata. Era davvero un buon libro, scorrevole, la storia si accostava alla leggenda con semplicità, era ben illustrato: insomma, un ottimo lavoro, ed Elaine lo stava leggendo con molto piacere. Era talmente concentrata, che quasi non si accorse della chiamata di Andrew: toglieva sempre la suoneria per non svegliare Nicholas, e a malapena si accorse del display illuminato dalla telefonata in arrivo. “Ehi!” disse aprendo la comunicazione. “Ciao, Lennie! Tutto bene?” chiese Andrew, ed Elaine avvertì il sorriso nella sua voce. “Sei un maledetto pazzo, lo sai?” chiese Elaine, chiaramente riferendosi a quanto accaduto nel pomeriggio. “Allora ti è piaciuta, la sorpresa?” “Certo che sì! Stai pur certo che non avrei mai potuto immaginare un’improvvisata così. Ero basita, credimi. E commossa, se devo essere sincera…” gli disse Elaine. “Eh, lo so, Peter mi ha già chiamato e mi ha detto che hai versato le solite lacrimucce!” la prese un po’ in giro Andrew. “Ma, allora! Secondo te potevo rimanere impassibile? Non mi conosci abbastanza bene?” “No, no, anzi! Contavo proprio sulle tue lacrime!” continuò a canzonarla lui. 223


“Ecco, figurati! Chissà cosa avrà pensato il tuo amico Campbell: la solita donnetta emotiva e insulsa che piange per niente.” “Eh, no, proprio no. Ti dirò: è stato così prodigo di complimenti e apprezzamenti da suscitarmi un attacco di gelosia in piena regola. Gli ho fatto qualche rimostranza, naturalmente, soprattutto quando mi ha detto che spera di rivederti presto.” rivelò Andrew. “Beh, non credo che avrò occasione di rivederlo, non a breve, comunque. Sai che mi ha ricordato molto Angus?” “E’ vero, molti suoi atteggiamenti sono simili a com’era Angus. Ed è proprio un caro amico, credimi, e lo sta diventando sempre di più, soprattutto dopo la giornata che abbiamo passato insieme qui a Whithorn.” “Ho sofferto molto, sapendo che lui aveva potuto vederti, toccarti…” iniziò Elaine, subito interrotta da Andrew. “Beh, amore, toccarmi proprio non credo! Al di là di un paio di strette di mano, non penso proprio di voler essere toccato da Peter Campbell! L’idea mi fa rabbrividire!” scherzò Andrew. “Dai, hai capito benissimo cosa intendo, non fare lo scemo!” Andrew quella sera era veramente molto spensierato. Elaine lo sentiva disteso e felice, tanto da contagiarla: si accorse che loro due non parlavano così rilassati forse dalla sera della pizza nel suo ufficio; e si rese conto che era passato più di un mese, accidenti! “Certo che ho capito, Lennie. E tu non hai idea di quanto mi sarebbe piaciuto che ci fossi tu al suo posto, o di quanto mi piacerebbe vederti e toccarti, darti un bacio, stringerti, fare l’amore con te. Ma avevamo fatto un patto: niente discorsi di questo genere, e quindi, io non ho detto niente e cambierò subito argomento.” Aveva detto queste parole quasi velocemente: come sempre era troppo doloroso per entrambi affrontare il discorso della loro 224


lontananza, e farlo quella sera avrebbe anche forse rovinato un po’ la bella e importante giornata. Ma Elaine fu comunque felice di averle sentite, felicissima. “Tornando a oggi,” ricominciò poi lui “Peter mi ha detto che la cosa più bella tra tutte è stata la faccia di Janet, quando l’ha richiamata che stavate già uscendo!” “Oddio, Andrew, che ridere! Meritava una foto! L’avrei volentieri esposta nella bacheca degli avvisi a scuola!” “Sai, non sapevo se sarebbe venuta anche lei, quindi avevo detto a Peter di aspettare all’ultimo momento, perché sicuramente gliel’avresti presentata, se fosse stata là. In caso contrario avrebbe dato il libro a te. E invece c’era! Ma ti devo dire che l’idea di richiamarla mentre stavate già uscendo è stata tutta di Peter…” le svelò Andrew. “Oh, andiamo bene! Sembra un uomo con un aplomb eccellente, invece è peggio di te! Alla faccia del rettore universitario!” dichiarò Elaine. “Ha anche le palle quadrate, se dobbiamo dirla tutta.” disse Andrew “Tanto quadrate da sfidare un Arcivescovo della Chiesa cattolica…” “Come sarebbe, amore, c’è qualcosa che non so?” chiese Elaine, intuendo che era successo qualcosa. “In effetti, giusto il giorno prima che Peter venisse qua con i pacchi dei libri da farmi autografare, aveva ricevuto una non proprio simpatica telefonata dal mio arcivescovo.” cominciò Andrew. “E?...” lo incoraggiò Elaine “E voglio sapere tutto, mi raccomando.” “In pratica, visto che l’impegno del corso di storia all’università era stato definito con l’approvazione dell’arcidiocesi, e ora io mi trovo in ritiro fino al sette di marzo (ti ricordo che il corso inizia il due),l’arcivescovo voleva che il tutto venisse sospeso a data da determinarsi.” 225


Elaine era inorridita. “Ma siamo impazziti? Ma da dove esce una tale pretesa?” chiese quasi scandalizzata. “Vedi, credo che questo sia esattamente quello che gli ha risposto Campbell, con voce tonante e minacciosa. Ci sono già trecento iscritti, a questo corso, e tutto è già stato predisposto: orari, aula, eventuali colloqui con me, e via dicendo. Non ti dico quanto si è incazzato Peter quando ha sentito una tale richiesta! Non me l’ha detto chiaro e tondo, ma penso lo abbia quasi minacciato di scatenare un casino gigantesco, tanto che l’arcivescovo è ritornato sui suoi passi.” “Gliene ha dette quattro, allora?” domandò Elaine, davvero speranzosa di tale eventualità. “Credo che gliene abbia dette anche otto, visto che, come ti ho detto, niente è stato sospeso.” dichiarò Andrew. “Bene! Quell’uomo mi piace sempre di più. Ma il fatto della data?” “Qui hanno dovuto arrivare ad un compromesso, perché l’Arcivescovo non ha ceduto. Trenta giorni mi ha dato e trenta giorni dovrò fare. Quindi Peter sposterà l’inizio del corso al sette del prossimo mese.” spiegò Andrew. “Ma, scusa, se tu finisci il sette…” “La prima lezione è prevista per le 16, quindi, quella mattina, prenderò la macchina e andrò diretto in università. E, sospensione dai miei doveri o meno, ci rimarrò, visto che Peter mi ha già riservato un alloggio in uno degli edifici del campus per tutta la durata del corso.” “Accidenti! Questo vuol dire che non vieni da me…” Elaine aveva davvero sperato che, come Andrew terminasse il periodo di ritiro, si precipitasse da lei. “No, questo vuol dire che verrai tu da me, quella sera. Ceneremo insieme, passeggeremo in centro e poi ti porterò a 226


… visitare il mio alloggio …” e lasciò la frase in sospeso, aperta ad una eventuale attività ben nota a entrambi. La proposta di Andrew stava già rendendo Elaine ansiosa che arrivasse presto quella sera … ma mancavano ancora molti giorni … “Quando arriva il sette di marzo?” fu la domanda retorica e impaziente di Elaine. “Meno di tre settimane, amore, praticamente pochissimo! Comincia a organizzarti!” rispose Andrew. Elaine percepì che lui continuava a sorridere, quella sera. Sembrava essere in uno stato di grazia inviolabile, che niente e nessuno poteva infrangere. Ne fu davvero felice, anche perché la sua allegria era contagiosa. “Scusa, ma stanno succedendo un sacco di cose di cui nessuno ti informa, però! Come se non fossi il diretto interessato!” costatò Elaine. “Ma ho i miei bravi informatori, sta tranquilla … forse pensano di farmi cedere in qualche modo, ma non ci riusciranno, vedrai. Tu non ti fai prendere dai dubbi, vero? Tu sei ancora convinta, vero?” chiese Andrew. “E me lo chiedi?” gli rispose Elaine, che, man mano che i giorni passavano era davvero sempre più sicura di volere quell’uomo più di ogni altra cosa al mondo. “Inutile farti queste domande, dici?” aggiunse poi lui. “Perfettamente inutile. Adesso, chiudiamo ogni tipo di discorso e lascia che io ti dica una cosa: sto leggendo il tuo libro, anzi, lo sto divorando. È bello, ben strutturato e ben scritto e io sono veramente orgogliosa di te.” gli disse Elaine, davvero convinta. “Ma c’è un piccolo problema…” “Grazie, amore, i tuoi complimenti mi esaltano. Qual è il problema? Sono aperto a qualsiasi critica.” 227


“Oh, no, non è una critica! È un altro tipo di problema… vedi, Nick ha letto la dedica della copia di Janet, e ha visto nominato anche Josh … invece sulla mia copia il suo nome non c’è …” “Certo che non c’è. Non ti preoccupare, domani sera riuscirò a chiamare prima così da potergli dire che ho la sua copia con dedica personale già pronta, che voglio consegnare direttamente nelle sue mani quando torno.” le disse Andrew, rendendola talmente felice da farle quasi uscire un’altra ‘lacrimuccia’. “Sei un tesoro, Andrew. E io sono così felice di averti ritrovato, che ho quasi paura che tu sia un sogno!” gli rivelò Elaine. “Non sono un sogno, Lennie. Sono vero, come sei vera tu e com’è vero quello che proviamo. E, tutti i giorni, mentre passo ore e ore a pregare, ringrazio Dio per averci rimesso sulla stessa strada. E, visto che non ho più intenzione di vivere diviso tra te e Lui, sento che questa volta Dio mi sta ascoltando e non ci abbandonerà. Lo so.” “Ti amo Andrew.” “Ti amo Elaine.” “Buonanotte…” “Buonanotte anche a te, tesoro.”

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39 Così, bene o male, il tempo passò. Passò con i soliti impegni, con il solito lavoro, con qualche imprevisto … passò. E man mano che passava, le giornate si allungavano e le ore di buio diminuivano: ci si alzava al mattino quando le prime tenue luci filtravano dalle persiane e si usciva da scuola con il chiaro e, tempo permettendo, con il sole. Ciò contribuiva a rendere gli animi un po’ più sereni: gli scozzesi sanno bene quanto sia preziosa la luce, quando sono costretti a passare mesi con poche ore del tanto agognato chiarore del giorno. La luce restituisce loro allegria e voglia di uscire a vivere, anche se il freddo è ancora pungente e magari scende ancora qualche fiocco di neve. E così era anche per Elaine: giorno dopo giorno, con l’aumentare delle ore di luce, aumentava anche la sua felicità nel sapere che ormai mancavano sempre meno giorni a quando avrebbe rivisto il suo Andrew. Certo, la tensione accumulata aveva fatto il suo effetto: ogni tanto le venivano quei famosi attacchi di gastrite cui era stata soggetta anche durante il periodo del divorzio. Ma non se ne preoccupò più di tanto, in fondo aveva sempre un ottimo appetito, stava bene e sapeva che erano solo una conseguenza dello stress, come suo solito. Anche Nicholas era ansioso di rivedere Andrew, soprattutto per venire in possesso del suo libro con dedica personale: quando 229


Andrew gliel’aveva detto, aveva fatto una settimana ad andare in giro vantandosene e dicendolo a chiunque gli capitasse sotto tiro… anche suo padre, purtroppo, il che creò un po’ di tensioni tra Christopher ed Elaine, che, alla fine, decise di trovarsi faccia a faccia con l’ex-marito e comunicargli quali fossero i reali rapporti tra lei e Andrew. Tutto sommato, le sembrò qualcosa di dovuto, anche perché non voleva certo che Christopher, nei pochi giorni in cui tornava in Scozia da Londra, ne venisse a conoscenza magari per caso o nel modo sbagliato. Non era stato un colloquio facile, e aveva preferito farlo nel suo ufficio, il lunedì mattina dopo il week-end di competenza di Christopher, chiedendogli se fosse potuto rimanere un paio d’ore con lei per una questione importante, dopo aver accompagnato Nick a scuola. Sulle prime Christopher, a dirla giusta, era rimasto un po’ sconvolto, aveva fatto le sue belle critiche e rimostranze, ma poi, davanti alla calma e alla determinatezza di Elaine, aveva accettato la cosa, dicendo che, in fondo, non approvava in pieno la faccenda, ma era giusto che Elaine si rifacesse una vita, come aveva fatto lui. Forse, come le disse, avrebbe preferito che lo facesse in un modo meno complicato. Naturalmente le fece notare quanto fosse stato arguto, dodici anni prima, a pensare che ci fosse già qualcosa tra lei e Andrew, argomento sul quale Elaine cercò di glissare molto elegantemente e che naturalmente non confermò mai, sembrandole piuttosto stupido riandare al passato quando già il presente (o meglio, il futuro) era abbastanza intricato. Elaine ritornò un paio di volte anche da Padre James, trovando sempre più conforto nelle sue parole e nel suo sostegno, e spesso si soffermò nel silenzio e nel raccoglimento della chiesa. Approfittò del week-end di Nicholas con il papà per andare a trovare i genitori ad Ashlington, e passò molto tempo a casa di 230


Janet, a chiacchierare e ridere come non facevano da molto tempo, coinvolgendo queste volte anche Kevin, visto che ormai non avevano più nulla da nascondere. Così, bene o male, il tempo passò. Passò anche per Andrew, la cui vita in quel mese non fu certo così movimentata come quella di Elaine. Passava le solite ore a pregare e meditare, celebrava con fervore quelle che avrebbero potuto essere le sue ultime messe, e lavorava. Preparava le tracce e gli schemi per il corso all’università e faceva ricerche accurate per quello che sarebbe stato il suo secondo libro, trovando nello studio e nella scrittura due amici di cui non poter più fare a meno, beandosi nella conoscenza sempre più profonda e particolareggiata della storia, che amava sempre di più. I colloqui con il padre spirituale non sortirono gli effetti sperati dall’Arcivescovo, anzi, lo resero sempre più convinto della sua scelta di vita, tanto che, a una settimana dalla fine del ritiro, ebbe la notizia che tanto aspettava: la sua richiesta era stata notificata e mandata a Roma alla Congregazione della Dottrina della Fede, e lui fu sospeso dagli obblighi sacerdotali. Andrew, in un primo momento, si sentì quasi perso: dopo anni di sacerdozio, la cosa lo turbò un po’ a livello psicologico, ma, essendo stato ben convinto di questa scelta, superò l’iniziale momento di confusione e cominciò a pensarsi un uomo diverso, con una vita sicuramente da ricostruire, ma pur sempre con delle buone prospettive davanti. Il libro, consegnato ormai a molte librerie in tutta la Scozia, stava cominciando a dare i primi frutti, e le critiche apparse sulle riviste letterarie erano buone e incoraggianti. Nel frattempo i genitori, che vivevano a Dingwall nelle Highlands, lo andarono a trovare un paio di volte e, vedendolo sempre molto sereno e sicuro del passo che stava compiendo, 231


accettarono quella che inizialmente non era stata una scelta che approvassero più di tanto. Anche la madre, da sempre molto orgogliosa di avere un sacerdote in famiglia, alla fine accolse la decisione di Andrew con cuore sereno, sapendo di non avere un figlio soggetto a colpi di testa, ma un figlio che era un uomo ormai maturo e capace di prendere seriamente le proprie decisioni. Comunque, il fatto di vederlo trasformato in un promettente scrittore di storia, attutì un po’ il colpo. Padre James lo chiamò qualche volta, assicurandogli, come promesso, un alloggio sicuro dopo il mese all’università, ricordandogli anche quello che sarebbe stato un suo obbligo morale, quello cioè di impegnarsi, secondo le disposizioni della Chiesa, in opere di carità anche dopo la sospensione o la dispensa dal sacerdozio. Ma su questo, Andrew stava già meditando, con un progetto che gli balenava nella mente da un po’ ma che non voleva esporre a nessuno, se non, per qualche motivo che Padre James non comprese, ad Elaine, che non si capiva quale ruolo potesse avere in questo piano. Così, bene o male, il tempo passò. Elaine, quel sette di marzo, alle sei di sera, si mise in macchina per raggiungere Edimburgo e l’uomo che amava e che non vedeva da un lunghissimo e faticoso mese. L’ansia di vederlo le fece addirittura venire un attacco di nausea, e prima di partire pensò bene di prendere una pastiglia per sedarlo: sicuramente, ora che le cose stavano per tornare a una parvenza di normalità, il suo stomaco si sarebbe rimesso in sesto. Anzi, tutto era già tornato normale, si disse: lei stava raggiungendo Andrew, avrebbero passato una piacevole serata insieme e, finalmente, avrebbero fatto l’amore, questa volta senza problemi, rimorsi o crisi di coscienza. 232


C’era un bel traffico, dato che era l’ora di punta, ma Elaine si impose di rimanere calma, di guidare con prudenza e porre la massima attenzione nella guida; non voleva certo che le capitasse qualcosa proprio adesso che stava per rivedere il suo amore! Mentre si districava nel traffico, la sua mente si soffermava sull’immagine di Andrew, sui suoi profondi occhi verdi, sul suo sorriso, che per un mese aveva dovuto solo immaginare e ricordare. Pensò alle sue mani grandi e forti, ma così delicate quando le sfioravano la pelle, che ebbe un brivido di piacere nel considerare che presto l’avrebbero toccata di nuovo. Il tragitto di poche miglia sembrò stranamente lungo. Andrew l’aveva chiamata nel mezzogiorno, avvisandola che era arrivato a Edimburgo e aveva preso possesso del suo alloggio, dove avrebbe mangiato qualcosa, avrebbe fatto una bella doccia e si sarebbe preparato per le prime due ore del suo corso di storia. La lezione sarebbe terminata alle sei, quindi le disse che, se fosse arrivata per le sei e mezza in George Square, al William Robertson Building, lui di certo sarebbe stato là ad aspettarla. Elaine aveva evitato di passare nel centro della città per schivare il traffico peggiore, quindi le deviazioni le fecero perdere qualche minuto. Consultò l’orologio digitale dell’auto: le sei e quaranta, nemmeno troppo in ritardo, tutto sommato. S’infilò nel primo parcheggio che trovò libero in George Square, chiuse l’auto inserendo l’antifurto e fece a piedi il breve tratto di strada che l’avrebbe portata all’altezza del numero civico indicatole da Andrew. Soffiava un vento gelido dal mare, quella sera, ed Elaine si strinse il bavero del giaccone al collo per proteggersi meglio dal freddo, e camminò con il viso leggermente inclinato verso terra, per evitare che le raffiche le entrassero negli occhi, pungendoli come aculei. Quando capì di essere arrivata 233


all’edificio che le aveva indicato Andrew, sollevò il capo e vide di essere al posto giusto: era un moderno palazzo con ampie finestre e per raggiungere l’ingresso bisognava salire una decina di bassi gradini di granito e… E poi lo vide, seduto su quei gradini, con le braccia appoggiate alle ginocchia, avvolto da una pesante sciarpa e con un berretto di lana in testa: era là, ad aspettare lei, con il sorriso più bello e più felice che Elaine gli avesse mai visto. Il suo cuore le fece un balzo nel petto e impazzì di gioia: lui era là! Con nient’altro nella testa se non il desiderio di riabbracciarlo, Elaine si mise a correre verso di lui.

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40 Rimasero abbracciati stretti una quantità di tempo infinita, con la gioia pura dipinta sul volto, quasi increduli di essersi finalmente ritrovati, riassaporando il piacere di essere ancora l’uno nelle braccia dell’altra, guardandosi negli occhi, baciandosi, pronunciando i nomi l’uno dell’altra come se fossero la più bella poesia d’amore mai scritta. “Sei qui!” disse infine lui, con quasi una nota d’incredulità nella voce. “Sei tornato!” disse Elaine. “E’ così bello vederti che non trovo nemmeno le parole giuste per farti capire quanto sono felice…” le confessò Andrew, tenendole il viso tra le mani e guardandola con un’intensità tale da farle tremare le gambe. “Credo che tu non ne abbia bisogno, sono sicura che sto provando le stesse emozioni.” Poi Elaine lo allontanò un po’ da lui e lo guardò attentamente. “Sei dimagrito…” notò. “Un po’ … ma niente di che. Tu, invece, sei più bella che mai! Stai bene?” “Sì, molto. Soprattutto adesso!” rispose Elaine ridendo. “Splendido! Vuoi salire? O preferisci andare a mangiare qualcosa, prima?” Elaine notò quanto lui fosse ansioso di rimanere solo con lei, ma volle allungare il sempre dolce sapore dell’attesa, e preferì optare per il cibo. 235


“No, dai, andiamo prima a cena, così chiacchieriamo un po’, che ne dici?” “Va benissimo. Vieni, andiamo a prendere la mia auto nel parcheggio interno, così ci spostiamo in centro, che offre molte più possibilità di questa zona.” “Se vuoi andiamo con la mia, è posteggiata poco più in là.” propose Elaine. “No, c’è il rischio che poi tu non trova più nemmeno un posto, più tardi. Vieni!” le disse, prendendola per le spalle e avviandosi verso il suo posto auto nel cortile interno all’edificio, alternando un bacio ad ogni passo che faceva. Salirono in auto e nel giro di un quarto d’ora raggiunsero un caldo e accogliente pub nei pressi del castello: avevano deciso per qualcosa di meno formale di un ristorante, perché in realtà quello che volevano fare era semplicemente mangiare un boccone insieme per conversare e parlare di tutto ciò che era successo mentre erano lontani. Dopo aver ordinato due panini e due birre, finalmente comodi ad un tavolo tranquillo, cominciarono a farsi le domande che avevano aspettato un mese per essere formulate. “Io ho una domanda basilare da farti, Andrew. Potrei aspettare a fartela, magari cercando di trovare un po’ più di tatto, ma proprio devo, adesso.” gli disse Elaine accarezzandogli una mano. Andrew le sorrise, sapendo già di che cosa si trattasse, quindi rispose togliendola subito dall’imbarazzo. “Lo so cosa mi vuoi chiedere, ma sto bene, davvero. Il giorno in cui mi è stata comunicata la sospensione, se devo essere sincero, è stato un grosso colpo. Per un po’ mi sono sentito strano, come se all’improvviso mi avessero privato della mia personalità. Mi sembrava di non aver più nessuno scopo nella vita, mi sentivo perso.” le confidò abbassando gli occhi. 236


“E’ stato il giorno in cui non mi hai telefonato, vero? Quando mi avevi mandato il messaggio dicendomi che non avresti potuto chiamare?” chiese Elaine. “Sì, proprio quel giorno. Non potevo parlare con te, Lennie, dovevo prima far luce dentro di me, mi sentivo troppo smarrito.” Fece una breve pausa, che Elaine non riempì, capendo la difficoltà di Andrew nel spiegarle le sue sensazioni. “Ma quella notte ho ripercorso tutte le tappe della mia vita, e quando sono arrivato a questo Natale appena passato, a quando ci siamo rivisti e ci siamo rimessi insieme più innamorati di prima, ho capito che tutto il cammino mi aveva portato a te, che qualcosa ci lega indissolubilmente e finalmente sono riuscito a prendere coscienza del mio nuovo stato. E a sentirmi meglio. E’ difficile da farti comprendere, sai? Scrivo libri, trattati, insegno, fino a poco tempo fa facevo prediche domenicali, tirandola sempre un po’ lunga: non dovrei avere difficoltà verbali, invece con te si blocca tutto. Vorrei che tu capissi che quel giorno, anche se ero in crisi, non ho dubitato comunque dell’amore che provo per te.” “L’ho capito, non farti venire queste paranoie. Guarda cos’hai fatto per me: ti pare che io potrei mai dubitare del tuo amore?” gli disse Elaine accarezzandogli un braccio. “Volevo solo la conferma che adesso stai bene.” gli disse poi. “Sì, adesso sto bene, sto molto bene. E ora questa nuova vita mi elettrizza, questa libertà mi esalta, il fatto che tra un po’ potrò fare l’amore con te senza dover zittire la coscienza, mi entusiasma.” Le diede un lungo bacio sulla bocca, ed Elaine si rese conto che era la prima volta che si baciavano senza timore in un luogo pubblico, pieno di persone, alcune delle quali le guardarono sorridendo, come si guarda una coppia normale di innamorati che si baciano. E loro, ora, erano proprio così: due 237


innamorati qualsiasi che potevano baciarsi in qualunque luogo senza più la paura di essere visti. “Hai ragione: è una sensazione elettrizzante!” ammise Elaine. “Già, molto!” Le si avvicinò, sussurrandole all’orecchio con voce bassa e suadente: “E molto eccitante, anche… come te, amore mio… sapessi quanto ti desidero…” e le mordicchiò il lobo. Elaine sentì un lungo brivido correrle lungo la spina dorsale, come se fossero già le dita di Andrew che la toccavano. Poi lui riprese il controllo, lasciandola perfidamente in preda all’eccitazione crescente. “Ripigliati, Lennie,” le disse tornando repentinamente normale “anche se non dobbiamo più nasconderci, non è che si possa fare tutto, in un pub pieno di gente!” “Sei un maledetto …” iniziò la frase Elaine. “… bastardo, lo so.” finì lui allegramente, con un sorrisetto ironico. “E tu, come stai? Voglio la verità, Lennie. Visivamente, in ottima forma!” “Sto bene, tranquillo. Anche se ho passato pure io dei brutti giorni. Continuavo a chiedermi se stavamo facendo la cosa giusta, più per te che per me. Supponevo che saresti entrato in crisi, prima o poi, e la temevo un po’, questa prospettiva. Ma durante questo mese ho trovato il metodo migliore per superare le crisi, sai?” gli disse. “Oh? E qual è?” domandò lui, davvero molto interessato. “Andare in chiesa e pregare, parlare con Dio …” Andrew si mise a ridere di gusto. “O santo cielo, Elaine! Dio opera veramente in modi misteriosi!” “Puoi dirlo forte! Penso di aver recuperato molto, in questi trenta giorni!” “E ne trovi conforto?” chiese lui tornando serio. 238


“Molto. E mi fa tanto piacere.” ammise Elaine, dichiarandosi contenta della sua fede ritrovata. “Anche a me, Elaine. Una cosa che non dobbiamo mai dimenticare, è la presenza di Dio nella nostra vita, perché è importantissima la fede in Lui, importantissima. E’ il più grande sostegno, in qualsiasi momento.” dichiarò Andrew convinto. Elaine scosse la testa e ridacchiò tra sé e sé. “Accidenti!” disse “Pensa che non posso nemmeno più dirti di non farmi discorsi da prete…” “Oh no, so quanto ti piaceva questa frase! Dimmelo pure lo stesso, al limite ti dico, anziché ‘lo sono’, ‘lo sono stato’! Anzi, tecnicamente lo sarei ancora, quindi, fai pure!” “Eh, sì, il lupo perde il pelo…” cominciò Elaine “…ma non il vizio!” concluse Andrew, alzando il boccale di birra ad incontrare quello di Elaine; finirono di mangiare, continuando a chiacchierare serenamente. Ad un certo punto, Andrew cominciò a guardare sempre più frequentemente l’ora. “Ti aspetta qualcuno?” chiese Elaine, indicando l’orologio di Andrew. “No, pensavo solo che sono già le nove, e se non vuoi rientrare troppo tardi…” “Ma io non rientro, stanotte.” dichiarò Elaine, e questa volta fu lei a ridacchiare. “Ma scusa, mi hai detto che hai chiamato la baby-sitter per Nicholas!” “Invece no, ti ho detto una piccola e innocente bugia. Nicholas è a dormire da Janet.” gli svelò Elaine con uno sguardo furbo e intrigante. “Beh, ma … allora … tu …” quasi balbettò lui. “Stavolta ti ho fregato io! Come quando avevi deciso tu di dormire da me appena dopo Natale, senza nemmeno darmi un 239


preavviso, ti ricordi? Ti ho reso la sorpresa!” rise Elaine, contenta di vedere, per una volta tanto, lo stupore sul volto di Andrew. Per una volta era stata capace di coglierlo alla sprovvista, cosa che fino ad allora era riuscito a fare molte volte lui con lei. Andrew la guardò intensamente, assaporando già le ore che avrebbero passato insieme. “Propongo di andare verso i miei nuovi appartamenti, allora, tu che ne dici? Qui comincia ad esserci un po’ troppa gente…” “Dico che è un’ottima idea! E che sono molto curiosa di vedere dove vivrai nel prossimo mese!”

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41 Quando entrarono nel piccolo alloggio di Andrew, Elaine vide subito che, nonostante le dimensioni ridotte, era accogliente, ben fornito e ben tenuto: divano letto, armadio, una libreria, scrivania con computer per lavorare, in un angolo un fornello e un piccolo frigorifero, un tavolo con un paio di sedie e, naturalmente, un bagno con doccia. Le fece uno strano effetto entrare nel luogo dove viveva Andrew: in fondo, per forza di cose, non aveva mai potuto farlo ed era sempre stato lui ad andare da lei, oppure si erano trovati a condividere per qualche volta la stessa camera della locanda di Dunkeld dove avevano fatto le loro rarissime e brevi fughe d’amore. Ora, invece, metteva piede in un luogo dove lui sarebbe vissuto per il prossimo intero mese, un luogo a cui anche lei avrebbe avuto libero accesso. “Benvenuta nel mio maniero!” scherzò Andrew. “Beh, ma è carino, qua!” disse Elaine guardandosi intorno e apprezzando quello che vedeva. Andrew prese i loro giacconi e li mise su un attaccapanni al lato della porta. “Siediti, dai!” la invitò lui. Elaine si accorse di essere un po’ impacciata, cosa che non era proprio il caso di essere, pensò: come se non si fossero mai trovati da soli … Si sedette sul divano ed Andrew si mise accanto a lei. 241


“Vuoi che ti faccia un tè caldo o un caffè? I generi di prima necessità ci sono tutti, qui.” si offrì lui. “In effetti sono un po’ infreddolita, ma se devo essere sincera, sono talmente emozionata che invece del tè mi farei qualcosa di più corposo, anche se non è mia abitudine!” “Sapessi quanto lo sono io! E’ la prima volta che non sono io a venire da te, ma tu da me!” confessò Andrew “Ma sono contento che tu abbia proposto qualcosa di diverso dal tuo solito tè, perché, in effetti, ho altro da offrirti!” Detto questo, si alzò e andò verso il piccolo frigorifero, da dove tolse una bottiglia di spumante, e anche magicamente due flutes ghiacciati, che posò sul tavolo, sopra ai due sottobicchieri che Elaine aveva preso al pub, da tenere come ricordo della prima serata insieme da ‘liberi’. Poi fece cenno a Elaine di avvicinarsi, facendole l’occhiolino. “Wow!” disse Elaine “E’ festa?” Andrew la prese tra le braccia. “Tu cosa dici? Io dico di sì. Io dico che questa serata merita un bel botto, no? Perlomeno recuperiamo un Capodanno che abbiamo dovuto passare da soli e lontani. Senza parlare poi di quanto siamo stati bravi a superare questo mese… forse un brindisi lo meritiamo, non credi?” le disse guardandola con una tale tenerezza da farla vacillare. “Credo che ce lo siamo proprio guadagnato!” confermò Elaine. Allora Andrew le porse i bicchieri, stappò la bottiglia (e ci fu veramente un bel botto) e versò lo spumante fin quasi all’orlo. Prese il suo dalle mani di Elaine, e poi li fecero tintinnare uno contro l’altro. “A noi due, Elaine” disse. “A noi due, Andrew.” Bevvero un sorso, ed Elaine sentì che era dolce e delicato, proprio come lo preferiva. 242


“Come facevi a sapere che non mi piace brut?” gli chiese un po’ stupita. “Lennie, accidenti, a Natale abbiamo pasteggiato a spumante, non ti ricordi?” “Oddio, è vero! Sono talmente fuori dalla felicità di vederti, oggi, che quasi non capisco e non ricordo più nulla!” “Mmmm, non va bene, non va proprio bene” le disse, facendole cenno di rimettersi sul divano. Prese la bottiglia e la raggiunse. Si sedettero un po’ scostati l’uno dall’altra, quasi col timore di toccarsi. Era stranissimo, questo latente imbarazzo tra loro due. Forse nemmeno la sera di Natale, dopo otto anni senza vedersi, avevano sentito tanta apprensione. Elaine lasciò che Andrew le versasse ancora dello spumante: forse l’unica era mandare giù un po’ di bollicine, che magari avrebbero sciolto un po’ tutto. Lo bevve quasi tutto d’un sorso. “Ehi, per una quasi astemia come te…” fu il suo commento. “Già, Ma… non so, mi sento un po’ in imbarazzo… mi sembra tutto così dannatamente strano, stasera.” mormorò Elaine, abbassando gli occhi sul bicchiere, che stava nervosamente cincischiando tra le mani. “Anche per me, Elaine, anche per me. E’ quasi come se fosse il primo appuntamento … e, tutto sommato, lo è, se vogliamo considerare il mio nuovo stato, no?” domandò lui, prendendole il mento e sollevandole il viso, sul quale indugiò con un lievissimo tocco di appena due dita. Fu un gesto delicato e lieve, che ebbe però un effetto potente su Elaine, che avvertì di nuovo i brividi lungo la schiena e socchiuse gli occhi. “Quando socchiudi gli occhi non riesco a resisterti, lo sai?” le disse in un sussurro Andrew “Tu socchiudi sempre gli occhi quando facciamo l’amore…” le disse, accostandosi a lei per baciarla sulla bocca. Un bacio dolce e tenero, quasi timoroso. 243


“Ho quasi paura a chiedertelo, Lennie.” disse Andrew a pochi millimetri dalle sue labbra, mordicchiandole sensualmente “In realtà, lo sai cosa vorrei … hai bisogno di sentirtelo chiedere?” “Sì, amore, ho bisogno di sentirmelo chiedere, voglio sentire che me lo chiedi, l’ho aspettato e sognato per trenta lunghissimi e pesantissimi giorni” gli rispose Elaine, ferma, senza nemmeno la forza di abbracciarlo o toccarlo. Era un desiderio quasi paralizzante, quello che stava provando. Andrew le prese il bicchiere dalle mani e li posò entrambi a terra. Si avvicinò a lei, l’avvolse quasi con il suo corpo, intrecciò entrambe le mani nei suoi lunghi capelli e, avvicinandosi al suo viso tanto da non farle vedere nient’altro che i suoi meravigliosi occhi verdi in cui lei tanto amava perdersi, glielo chiese. “Vuoi fare l’amore con me, Lennie? Vuoi permettermi di amarti?” “Sì, Andrew, lo voglio. E tu mi vuoi? Dimmelo, ti prego.” “Non sai quanto io lo abbia desiderato, in tutto questo tempo. Ci sono stati giorni che avrei dato la vita per poterti anche solo sfiorare per poco tempo, per poterti accarezzare, per poterti stringere a me, per sentire la morbidezza dei tuoi capelli tra le mie dita, per guardarti negli occhi. Ci sono state notti in cui sono stato sveglio ore intere, sognando di fare l’amore con te, sentire le tue carezze, i tuoi gemiti, la tua voce che mi sussurrava parole che solo io e te conosciamo… e adesso sono qui, e ho quasi paura di toccarti …” “Toccami, Andrew, ti prego toccami, stringimi, accarezzami, entra dentro di me, fammi sentire tua …” Finalmente, sentendo le parole di Elaine, Andrew abbandonò ogni indugio e ogni timore. Tenendo sempre il suo viso tra le mani iniziò a baciarla ovunque: fermò la sua bocca sugli occhi di Elaine, sulla fronte, sul naso e quando arrivò alle labbra se ne impossessò con un ansito profondo, come se si stesse 244


liberando di qualcosa che era stato imprigionato da troppo tempo. Allora anche Elaine abbandonò ogni freno, e ricambiò quel bacio fino in fondo, fino a rimanere senza fiato. Le mani di Andrew ora si muovevano sul suo corpo non più timorose, ma sapendo bene dove andare e dove posarsi per far aumentare il piacere di Elaine: niente poteva essere stato dimenticato, tutto sarebbe stato fatto con la perfezione che solo due amanti che si conoscono da tempo sanno raggiungere. “Alzati Lennie, devo trasformare il divano in un letto…” disse Andrew con quella voce arrochita che faceva già implicitamente capire quanto lui non resistesse più, quanto desiderasse al più presto unirsi a lei in quella fusione assoluta che erano i loro corpi durante l‘amplesso. Con un unico e veloce movimento, Andrew tirò verso di sé il sedile del divano, che si aprì e si trasformò in un letto dove lui la fece sdraiare ancora vestita. Si adagiò tra le sue gambe, e rimanendo appoggiato ai gomiti posati ai lati di Elaine, chinò la testa tra i suoi seni, respirando quasi affannosamente. “Ti ricordi quando sono venuto da te, la mattina che sono partito per Whithorn?” le chiese poi risalendo con lo sguardo al suo viso. Elaine sorrise. “E come no! Me lo ricordo benissimo!” “Ti vorrei chiedere scusa, è un mese che ho bisogno di farlo. Quando ci ripenso, mi vergogno quasi un po’, perché, ecco, mi ero comportato come una bestia. Ti avevo dedicato pochissimo tempo, pochissime attenzioni, avresti potuto benissimo pensare che ero venuto solamente per soddisfare i miei più bassi istinti.” “No, non l’ho mai pensato, anzi, è stata una delle cose più eccitanti che tu abbia fatto per me.” disse Elaine. Poi, sorridendo, aggiunse: “Veloce, ma eccitante. E mi hai 245


dimostrato quanto sono importante per te. E’ quasi da favola, avere un uomo che molla tutto e arriva da te per fare l’amore.” “E’ una favola essere innamorati di te, Elaine, una favola nuova tutti i giorni.” Andrew cominciò a spogliarla, senza mai smettere di parlarle. “Comunque, ti chiedo perdono.” Cardigan… “E ti prometto che non succederà più, in quel modo.” Jeans… “E ti giuro che questa sera cercherò di recuperare tutto le attenzioni che non ti ho dato quella mattina.” Camicia… “Te ne darò così tante da farti dimenticare quanto sono stato distratto e disattento quel giorno.” Reggiseno, e poi collant, fino a quando Elaine rimase solo con le mutandine. A questo punto Andrew si alzò per un tempo brevissimo, per spogliarsi a sua volta, e appena fatto si rimise ancora nella stessa posizione, iniziando a baciare ogni punto ormai scoperto di pelle della sua donna. Ogni volta che posava le labbra su di lei, Elaine sentiva la pelle infuocarsi, l’eccitazione saliva come una febbre, e quando lui le infilò una mano nelle mutandine andando a toccarla dove più era sensibile, perse ogni tipo di razionalità, e venne di nuovo catapultata nel mondo in cui solo loro due esistevano, solo loro due respiravano, solo loro due, quella volta più che mai, rinascevano. Andrew fu di parola: le diede mille attenzioni, e si dedicò anima e corpo per farle raggiungere le punte più alte del piacere, e ogni volta che Elaine pensava di essere al culmine, lui si fermava, per farle assaporare ancora di più quegli attimi, per allungarle ancora di più l’incanto quasi paradisiaco che lei stava, e lui con lei, provando. 246


Diede a Elaine la possibilità di ricambiare queste attenzioni, e lei si dedicò a lui con dolcezza e con passione, fino a quando entrambi capirono che oltre non sarebbero potuti andare, e con gemiti e parole sussurrate che alle loro orecchie erano come musica sublime, raggiunsero l’appagamento totale, che quasi li portò in un’altra dimensione temporale. Poi le parole furono veramente inutili. Rimasero avvinghiati per molto tempo, dandosi carezze leggere, e si accorsero di avere una tale espressione beata, che quasi si sentirono in dovere di prendersi un po’ in giro. “Stai sorridendo come un ebete, Andrew.” gli disse Elaine. “Grazie, ma anche tu non sembri del tutto sana di mente, sai? Avrai esagerato con lo spumante…” ribatté lui. “Mmmm, a proposito… propongo un altro brindisi!” suggerì Elaine, sporgendosi a lato del letto e prendendo bicchieri e bottiglia. Questa volta fu lei a versarlo, mentre Andrew teneva in mano i flutes, ma era ancora talmente indebolita dal sesso travolgente appena fatto, che le tremò la mano e ne rovesciò un po’, che andò a finire sul petto di Andrew. “Non muoverti… ci penso io…” gli disse Elaine, fermando il tentativo di Andrew di rimediare al pasticcio. Si abbassò su di lui e gli leccò le gocce di spumante che si erano fermate nel piccolo incavo sotto lo sterno di Andrew, che gemette, perdendo quasi un battito di cuore. “Mi fai impazzire, Elaine.” le disse quando lei si risollevò e prese un bicchiere dalle sue mani. “Io invece sono già impazzita, Andrew. Ed è una pazzia inguaribile, anzi, proprio non voglio che passi, perché stasera, qui, con te, mi sento la donna più felice del mondo, la più fortunata, la più bella, la più amata. Ti amo, e sento che potrei dare la vita per te.” “E io darei la mia per te. Ma preferirei che entrambi ce la tenessimo ben stretta, per poterla passare insieme, perché ho 247


come la sensazione che sarà meravigliosa, con te. E se mai avessi avuto qualche minimo dubbio, dopo stasera me lo sono lasciato alle spalle, e niente mi farà tornare sui miei passi, nessuno potrà farmi rinunciare a te. Ti amo, Elaine.” I bicchieri tintinnarono ancora una volta, a suggellare la felicità.

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42 Era presto, appena le sei del mattino, ma Elaine era già sveglia e, girata verso Andrew, lo guardava dormire: era supino, con un braccio piegato dietro la testa, il suo respiro era regolare e profondo, il suo viso calmo e sereno. Stava sognando, perché sotto le sue palpebre, gli occhi si muovevano velocemente. Elaine si ritrovò a sorridere: la vita, a volte, poteva trasformarsi in qualcosa di meraviglioso. Riandò a quando, poche settimane prima, si era definita una donna sfortunata per essersi innamorata di un sacerdote cattolico. Ora si rese conto di essere una delle poche donne al mondo che potevano vantarsi di avere un uomo che aveva veramente fatto qualcosa di speciale per amore di una donna. E non avrebbe mai davvero presupposto che, in fondo, potesse accadere così velocemente: nel giro di due mesi era tutto cambiato. Dentro di sé si augurò di potersi davvero meritare un tale privilegio, ma sentiva anche di poter dare molto a quell’uomo che le dormiva accanto, tanto da non farlo pentire mai della drastica decisione che lui aveva preso per stare con lei. Addormentarsi ancora una volta abbracciati era stata una sensazione inebriante. L’aveva tanto agognato durante l’ultimo mese, più dell’atto stesso di fare l’amore con lui: quando lei si metteva sul fianco, nella sua solita posizione, e lui l’abbracciava da dietro avvolgendola completamente con il suo corpo e il suo calore, era per lei una cosa più gratificante di 249


qualsiasi altro piacere fisico che potesse provare tra le sue braccia. Improvvisamente Andrew prese ad agitarsi nel sonno, dicendo parole incomprensibili: cosa stava mai sognando? Elaine si inquietò un po’, quando lo vide scuotere la testa e mormorare continuamente ‘no, no, no’, con un’angoscia sempre maggiore. Decise che forse era meglio svegliarlo, ma non fece in tempo a toccargli un braccio, che lui si alzò seduto, aprendo fulmineamente gli occhi. “Andrew! Che c’è? Stavi facendo un incubo?” gli chiese preoccupata. Lui si voltò verso di lei e, ancora confuso per le immagini che l’avevano turbato nel sonno, la guardò con gli occhi un po’ vacui. “Dio mio, Elaine, sei qui…” disse con voce affannata, abbracciandola. “Certo che sono qui!” lo confortò lei stringendolo tra le braccia “Che cosa stavi sognando?” gli chiese poi. “Era un incubo, Lennie, un incubo atroce!” Il suo abbraccio divenne spasmodico. “Calmati, ti prego, dimmi cos’hai visto!” lo esortò Elaine. “Non so dove eravamo, forse vicino ad un lago, perché vedevo dell’acqua abbastanza ferma. Stavamo camminando sulla riva, quando tu sei scivolata e sei caduta in quest’acqua scura: io cercavo di prenderti, ma avevo come le gambe paralizzate. Ti urlavo di prendere la mia mano, ma tu non riuscivi, e allora cominciavi a sprofondare, finché l’acqua ti sommergeva del tutto e vedevo solo il tuo volto distorto. Ti chiamavo, ma tu non rispondevi… Dio, Elaine, è la seconda volta che faccio questo sogno!” Elaine sentì dei brividi correrle lungo la schiena, e questa volta non erano di piacere: cercò di soffocare la brutta sensazione, e di analizzare il sogno di Andrew un po’ razionalmente. 250


“Ma, non mi sogni morta, vero?” chiese un po’ titubante. “No, no, so che tu rimani viva, solo che sei dentro quest’acqua un po’ cupa… mi mette un’ansia terribile!” “Su, dai, non pensarci più di tanto!” sdrammatizzò lei “Tutti gli sconvolgimenti di queste ultime settimane ti hanno fatto un tiro mancino, ne sono sicura. Non penserai certo che possa essere qualcos’altro, no? In periodi di stress anche a me capita di fare brutti sogni, ma bisogna dargli il giusto peso. Evidentemente hai cercato di essere forte, ma la tensione deve scaricarsi da qualche parte, credimi.” Elaine stava cercando di calmarlo in tutte le maniere: non aveva mai prestato fede ai sogni premonitori, non le era mai successo che i suoi incubi si avverassero e pensava davvero che la metabolizzazione del nervosismo e della preoccupazione giocasse a volte dei brutti scherzi. Andrew si riprese un po’, si sfregò il viso con le mani, come se volesse lavare via le brutte immagini che gli si erano impresse nella mente. “Hai ragione. Nell’ultimo mese ho cercato in tutti i modi di rimanere calmo e paziente per non peggiorare la situazione. Ma in realtà ci sono state delle volte che avrei voluto urlare, dal tanto che mi sentivo imprigionato e costretto a subire una condizione che non sarebbe servita a nulla, dato che le mie decisioni le avevo prese.” le confidò Andrew, dimostrandole ancora una volta quanto, sotto la scorza di apparente calma e serenità, fossero state pesanti, a livello psicologico, le ultime quattro settimane. “Vedi? Tutto ciò da qualche parte doveva sfogare, e l’ha fatto nei sogni.” “Incubi!” la corresse lui. “Sogni, incubi! Non è certo la realtà, comunque, perché io sono qui viva e vegeta e non ho nessuna intenzione di camminare in 251


riva ad un lago, almeno fino a quando non farà più caldo!” scherzò lei, cercando di alleviare la tensione di Andrew. Si risdraiarono abbracciati, e poco a poco Elaine sentì i muscoli di Andrew che si rilassavano, e capì che il momento di panico era passato. “Ti sei calmato, amore?” gli chiese con tenerezza. “Sì, tranquilla. Penso anch’io che sia tutto dovuto alla stanchezza mentale che sento, ma dall’altro lato, il pensiero di perderti o di non riuscire a farti felice mi angoscia. Senza di te non avrei più nessuno scopo nella vita, credimi.” le disse Andrew. “Oh, eccome se ti credo! E’ così anche per me. Però, a questo punto, vorrei che cominciassimo a non pensare più a simili eventualità, non credi? Siamo ancora all’inizio, ma perlomeno ora possiamo anche camminare insieme e affrontare i problemi insieme, che è già un bel guadagno, non ti sembra?” “Puoi dire lo giuro! E poi siamo separati da poche miglia, e questo vuol dire che, appena avrai bisogno di me, arriverò!” “Idem per me. Quindi…” iniziò Elaine. “Quindi bando ai pensieri cupi e tristi, e via con quelli belli e felici!” concluse Andrew. “Bravo ragazzo! Così mi piaci!” “Grazie del ragazzo…” rise finalmente Andrew. “Sì, beh, questa è una frase che dico spesso a Nick, quando prende le decisioni importanti, per farlo sentire un po’ più grande… dicendola a te, magari ti ho fatto sentire un po’ più giovane!” disse Elaine, avvicinandosi a lui per stampargli un bacio schioccante sulla bocca. “E voi due siete i miei ragazzi preferiti!” dichiarò poi, lasciando del tutto alle spalle il ricordo dell’incubo di Andrew. “Mi spiace di averti svegliata, è ancora presto.” le sussurrò Andrew. 252


“A dirti la verità ero già sveglia, e ti stavo osservando attentamente.” gli svelò Elaine. “E cosa stavi osservando, di grazia?” “Nulla di particolare, ma stavo notando che sei davvero dimagrito un po’ troppo, in questo mese. Mi devi promettere che ti rimetterai in forma, adesso… non mi piace sentire troppe ossa, quando faccio l’amore con te …” “Promesso …” “Non sto scherzando, Andrew.” “Nemmeno io.” “Bene.” Poi Andrew le passò un braccio intorno alle spalle e le fece posare la testa sul suo petto. “Starei qui tutta la mattina a coccolarti, sai?” le disse dolcemente. “Sì, anch’io … ma non possiamo. Perlomeno, non io.” “E io nemmeno, in realtà!” ammise Andrew “Visto che non ho lezione fino alle quattro anche oggi pomeriggio, volevo andare una corsa a Glasgow, per cominciare a ritirare un po’ di cose mie che mi servono urgentemente. Poi penso che il grosso del lavoro lo farò sabato.” “Se vuoi, sabato vengo con te e ti aiuto, così hai due macchine che puoi riempire e fai prima.” si offrì Elaine. “Sei un tesoro, Lennie, ma credo che presentarti là non sia propriamente un’ottima idea…” la fece riflettere lui. “Sinceramente avevo pensato di chiederlo a Kevin, tu cosa dici?” “Oh, sì, penso che lo farebbe più che volentieri!” approvò Elaine. “Chiamalo stasera e diglielo, intanto se vuoi, posso accennare qualcosa a Janet.” “Sì, perché no? Almeno riesco a ritirare tutto e non tornarci più, se non per un appuntamento già fissato che ho con l’arcivescovo settimana prossima…” 253


“Ancora??” “Sì, anche se penso che poi la faccenda sarà definitivamente chiusa.” “Che cosa deve dirti, di nuovo?” chiese Elaine. “Mi aspetterà un altro bel predicozzo, credo. E poi basta, spero.” rispose Andrew. “Lo spero anch’io. Senti, ma qui? La colazione?” chiese poi Elaine cambiando argomento velocemente. Aveva un po’ di nausea, il che non era strano: il panino del pub grondava di salsa, l’aria era gelida e di certo la sera precedente non si era preoccupata di tenere ben coperta la pancia; un tè avrebbe di sicuro risolto tutto. “Adesso ci alziamo, ci prepariamo, e poi andiamo nella caffetteria qui sotto, a concederci una tranquilla e abbondante prima colazione insieme.” le propose Andrew, dandole un bacio “Anche perché se non ci muoviamo, mi verranno altre idee, e non abbiamo tutto il tempo che ci vorrebbe per metterle in pratica…” le disse poi, accarezzandole con delicatezza un seno. “Allora togli le mani da lì, e comincia a muoverti!” rise Elaine, spingendolo giù dal letto. “Accidenti, la solita violenta!” si lamentò lui ridendo. Mentre Elaine era in bagno, Andrew mise un po’ di ordine, ancora riandando all’incubo fatto poco prima: non gli piaceva per nulla, e il fatto che si fosse ripetuto identico per la seconda volta non migliorò certo le sue sensazioni. Nel giro di una mezz’oretta erano entrambi pronti, e scesero nella caffetteria del campus, concedendosi una ricca colazione: Elaine, che già si sentiva meglio, mangiò a quattro palmenti, e fu contenta di vedere che anche Andrew abbondò senza problemi. Poi, con lentezza, si avviarono verso l’auto di Elaine parcheggiata in strada. 254


Era una bella giornata: c’era il sole, e il vento della sera prima si era un po’ calmato, anche se si avvertiva ancora il sapore salmastro arrivare dal Forth. Si abbracciarono e si salutarono. “Ci sentiamo oggi nel primo pomeriggio, quando torno da Glasgow e tu sei in pausa.” promise Andrew. “Va bene, aspetterò la tua chiamata.” disse Elaine. Poi respirò profondamente e rimase a guardarlo negli occhi, che in quella mattina soleggiata sembravano essere ancora più verdi e luminosi. “Ho quasi paura a dirlo, ma sono felice, tantissimo!” gli disse con voce quasi tremante. “La parola felice, Elaine, non rende bene l’idea di quello che sto provando in questo momento. Quello che sento ha perfino un sapore celestiale. Ti amo.” affermò lui con un’emozione quasi tangibile. Un ultimo bacio, un ultimo perdersi l’uno negli occhi dell’altra, e poi Elaine salì in auto e si mise in moto per tornare ai suoi doveri di direttrice della Queen Mary’s. E quel giorno, lo capì subito, sarebbe stato un compito leggero, perché dentro di sé aveva la promessa di un futuro davvero sereno.

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QUARANTATRE Elaine passò solo un giorno senza vedere Andrew. Si presentò nel suo ufficio il venerdì pomeriggio, facendole una bellissima sorpresa. Ufficio che, peraltro, alla fine delle lezioni, fu invaso da un altro po’ di gente: Janet, Kevin, Nicholas e Josh. Elaine fu strafelice di una tale condizione: si sentì rinata, come ridestata da quel lungo torpore che aveva caratterizzato i suoi cinque anni precedenti. Aveva sorriso beata davanti a quel gruppetto di persone che, ormai lo sapeva, erano i punti fissi della sua vita, le persone su cui contare, coloro che le sarebbero stati accanto qualsiasi cosa fosse successa. Ed erano stati tutti lì, a parlare, ridere e scherzare nel suo ufficio, un po’ chiassosi, un po’ esuberanti, ma così rassicuranti! In realtà si erano riuniti per mettersi d’accordo per il sabato: Kevin e Andrew ne avevano parlato al telefono e, vista la quantità di cose che Andrew avrebbe avuto da ritirare a Glasgow (fu il numero dei libri a essere determinante) avevano deciso che sarebbe andata anche Janet, con la sua station wagon, così da avere tre auto da poter riempire. Questo voleva dire che, per tutto il sabato, Elaine si sarebbe occupata dei bambini e, naturalmente, della preparazione di un’ottima e abbondante cena. Tutti avevano concordato con Andrew sul fatto che per lei sarebbe stato meglio non presentarsi in quel di Glasgow, onde evitare problemi di qualsiasi tipo. Dopo essersi messi d’accordo sull’orario d’inizio dei lavori, Janet, Kevin e Josh tornarono a casa loro, ed Elaine invitò Andrew a cena. 256


Andrew accettò subito, dicendole però che voleva prima passare a St. John a salutare Padre James e che quindi avrebbe raggiunto lei e Nicholas più tardi. Ora sedevano a tavola insieme, e Andrew e Nicholas stavano affrontando un discorso molto serio, mentre Elaine ascoltava attentamente. “Allora non ti devo più chiamare Padre Andrew?” chiese Nicholas, dopo che Andrew gli aveva rivelato di non essere più un sacerdote. “No, Nick, decisamente no.” rispose Andrew. “E perché non sei più un prete? Non ti piaceva più?” insistette Nick, con la tipica innocente curiosità dei bambini. “Beh, sai, a volte nella vita si cambia. A volte, quando si è giovani si fanno delle scelte che poi, col passare del tempo, non sembrano più andare bene, perché si scoprono nuove cose che magari ci piacciono molto di più.” rispose Andrew, guardando nel frattempo Elaine, come per chiederle una muta approvazione per come stava rispondendo alle domande di suo figlio. “E che cosa ti piace di più, adesso?” “Mi piace scrivere libri, ma soprattutto mi piace insegnare.” “Che cosa?” “Storia.” Appena data questa risposta, sia Elaine sia Andrew scoppiarono in una fragorosa risata, dopo aver visto la faccia sdegnata che aveva fatto Nicholas. “Storia!!! Bleah, che schifo!” disse, storcendo la bocca quasi disgustato “La mamma insegnava anche storia, quando faceva la maestra, e adesso tutte le volte che devo studiarla se non la imparo bene mi rompe le scatole!” “Effettivamente, ogni tanto tua mamma rompe un po’…” disse Andrew con fare complice. 257


“Nick!! Andrew!! Io rompere? Quando mai?” disse Elaine, sempre però molto divertita. “E’ vero, mamy!” insistette il bambino con tono esasperato. Poi ritornò velocemente all’argomento principale della conversazione. “E dove insegni storia?” “A Edimburgo, all’università. Sai, questo lavoro me l’ha dato quel signore che la mamma ti ha presentato in libreria un paio di settimane fa.” “E’ un tuo amico?” “Sì, Peter è un mio carissimo amico. E’ molto simpatico, sai?” “Mhm.” Ci fu un attimo di tregua, ma si vedeva che stava meditando altri quesiti. Andrew attese pazientemente, mentre Elaine iniziò a ritirare i piatti dalla tavola, per servire una fetta di torta. “Ma si sono arrabbiati con te, quelli che volevano che tu continuassi a fare il prete?” chiese Nicholas, sempre molto incisivo nelle domande. “Un po’. Hai visto che non ci sono stato per un mese, no? Mi hanno mandato … come dire … in castigo.” spiegò Andrew, il più semplicemente possibile. “Urca, ti hanno dato un castigo? Allora li hai fatti arrabbiare!” dichiarò Nick, masticando nel frattempo un pezzo di torta. Andrew si sforzava di rimanere serio, mentre addentava la sua fetta. “Un po’, sì. Ma poi mi hanno perdonato e mi hanno lasciato andare.” “Anche Padre James è arrabbiato con te?” il fuoco di fila delle domande di Nicholas non accennava a diminuire. “Dai, Nick, piantala di fare domande, lascialo un po’ in pace!” gli disse allora Elaine. Fu subito zittita da Andrew, che riteneva che più Nick capisse, meglio sarebbe stato. 258


“No, Elaine, va bene, tranquilla. No, Nick, Padre James non è arrabbiato con me, perché prima che io prendessi questa decisione abbiamo parlato molto, e ha capito che davvero ero sicuro di quello che stavo facendo.” “E adesso dove abiti?” la curiosità di Nick era davvero infinita, e non scordava di chiedere nemmeno un particolare. “Vivo a Edimburgo, ma poi forse, tra un po’, tornerò a Broxburn.” rispose sempre con molta calma Andrew. “Allora ci possiamo vedere spesso?” “Certo, se ti fa piacere ci vedremo tutte le volte che vorrai.” A questo punto Nicholas si rivolse ad Elaine. “Possiamo vederci, vero mamma? Tu sei sempre sua amica, no, anche se non è più un prete?” Elaine ed Andrew si guardarono, ammutoliti. L’innocenza della domanda di Nicholas li aveva spiazzati, e si sentirono un po’ in imbarazzo. “Certo, anzi, ancora di più, visto che adesso ci vedremo molte più volte!” finì col rispondere lei. E con questo, le curiosità di Nicholas sembrarono tutte soddisfatte, e il bambino chiese il permesso di andare in camera sua per vedere i cartoni animati, quelli che guardava ogni sera prima di andare a dormire. Rimasti soli in cucina, Andrew ed Elaine rimasero seduti in silenzio e un po’ pensierosi. Il primo a rompere il silenzio fu Andrew. “Hai un figlio che non si lascia proprio scappare niente, e fino a quando non ritiene di aver capito tutto, non molla la presa.” “E’ così in tutte le cose, dalle più piccole alle più importanti. Un paio d’anni fa avevo dovuto rispondere a mille domande su me e Chris, sul divorzio, e tutto quello che era successo quando lui era troppo piccolo per capire. Vuole sempre avere le idee ben chiare…” disse Elaine. 259


“Beh, si vede che è un bambino molto intelligente e riflessivo. Stai facendo un buon lavoro, con lui, sai?” “Ho sempre cercato di fare del mio meglio. Trovarsi praticamente da soli ad allevare un figlio non è un’impresa impossibile, ma è molto più difficoltoso, e ti porta a chiederti continuamente se stai facendo le cose nel modo migliore.” gli confidò Elaine. “Sei una brava mamma, fidati.” le disse Andrew alzandosi da tavola e andando ad abbracciarla “Una brava mamma e una donna fantastica, e io ti amo tutti i giorni un po’di più.” Le diede un lievissimo bacio sulle labbra e rimasero per un momento a guardarsi dolcemente negli occhi. Poi, consci del fatto di non essere soli, si staccarono e finirono insieme di riordinare. Dopo aver bevuto il caffè, era arrivata l’ora per Nicholas di andare a dormire, e il bambino volle che anche Andrew gli desse il bacio della buonanotte. Elaine era ben felice di tale situazione: stava riassaporando la serena sensazione della famiglia, quel senso di calore che dà il vivere con le persone che più ami e che trasforma una casa in un rifugio inviolabile e incrollabile davanti a qualsiasi difficoltà. Era una sensazione appagante, ed Elaine si sentì di condividerla con Andrew, quando tornarono in sala e si sedette tranquilla sul divano. “E’ così bello averti qui! Ma, soprattutto, è bello fare con te questa vita così … normale. Ed è strano come tutto sembri essere così naturale, come se fossero anni che lo facciamo…” gli disse, mentre lo guardava versarsi un dito di scotch. “Ti dirò la verità, Elaine.” gli confidò lui, raggiungendola sul divano “per me è una situazione talmente diversa dall’usuale, che mi sento un po’ strano, ma non ti nascondo certo quanto mi piaccia. Ma, più di tutto, mi piace la sensazione di non sentirmi 260


più solo, ma accanto a qualcuno a cui so di poter dare molto. Da quando ci siamo rivisti ed è iniziato tutto il turbinio degli ultimi tre mesi, te l’ho ripetuto più volte: quello che non sopportavo più, era il senso di solitudine che sentivo dentro di me ogni sera quando andavo a dormire. Sapevo di aver fatto, durante il giorno, (e responsabilmente) tutto quello che era in mio dovere fare, ma, nonostante questo, la sera non mi addormentavo più sereno e soddisfatto. E, al di là di questo, che era un fatto puramente personale riguardo al tipo di vita che non mi accontentava più, non facevo altro che pensare a te.” “E quando è cominciato tutto ciò?” chiese Elaine. “Beh, questo te l’ho già detto, due anni fa quando sono arrivato a Glasgow. Avevo saputo un anno prima che avevi divorziato, e già lì il pensiero si era insinuato dentro di me. Ma, allora, che potevo fare? Ero a Inverness, lontano centinaia di miglia, troppo, per poter fare qualsiasi cosa. Ma quando sono stato trasferito, l’idea di poterti rivedere, anche se con la paura che tu non volessi più aver niente a che fare con me, si faceva sempre più strada nella mia mente. E quando, prima di Natale, mi fu detto che avrei dovuto trascorrere un mese a Broxburn per aiutare Padre James, ho sentito che era un segno del destino.” “Il destino, Andrew?? Proprio tu che parli di destino? Ricordo perfettamente quando dodici anni fa mi facesti una ramanzina dicendomi che il destino non esiste, e che siamo noi a governare la nostra esistenza con le scelte che facciamo.” “Mi sono ricreduto molto, credimi. Da quando è morto Angus, sono cambiato molto: quello fu veramente il fatto che mi fece riflettere sul mio modo di vedere la vita. Angus non decise certo di morire e lasciare una moglie con due figli piccoli … se non fu destino quello …” 261


Andrew ancora soffriva molto per la perdita del suo amico, la tristezza con cui ne parlava era quasi tangibile, e ancora gli si spezzava la voce, quando ne parlava. Elaine aspettò che si riprendesse e continuasse le sue confidenze. “Sai, ho fatto molto il duro, durante i giorni in cui ero a Broxburn per il Natale: ti dicevo sempre, se ben ricordi, che non dovevamo preoccuparci della distanza che ci avrebbe separato quando sarei tornato a Glasgow, ma in realtà non la pensavo propriamente così. L’idea di essere ancora lontano da te quasi mi terrorizzava. Quindi, l’ho sommata alla mia già ben ferma volontà di cambiare vita, e da un giorno all’altro ho capito che era inutile rifletterci ancora molto: andava fatto, e in fretta. E così, eccoci arrivati a come siamo stasera.” “Già, ad un bel prezzo, però. Se ti terrorizzava l’idea di essere lontano da me, non so proprio come hai fatto a resistere un mese intero a Whithorn, senza nemmeno la certezza di avere questa benedetta sospensione fino agli ultimi giorni.” “Vero, infatti, ti ho detto che a volte avrei voluto urlare tutta la mia impotenza e l’unica cosa che mi faceva andare avanti era la mia determinazione ad averti, qualsiasi cosa fosse successa. La vita, senza di te, non avrebbe più senso, Lennie. E in questa vita, ora, ci metto anche tuo figlio.” Elaine si sentì così piena d’amore per quell’uomo che non trovò modo di ribattere: niente avrebbe potuto esprimere meglio quello che stavano provando, e i loro sguardi si comunicavano ben più cose di quello che avrebbero potuto fare delle semplici parole. Si abbracciarono e rimasero stretti così, nel silenzio e nel calore della casa di Elaine, con la penombra che li avvolgeva e quasi li coccolava entrambi. “Rimani qui, stanotte.” sussurrò Elaine. “Lennie, non mi sembra il caso…” tentennò Andrew. 262


“Non ti sto proponendo di venire a letto con me o chissà che altro. Ti sto solo dicendo che domani mattina alle otto e mezza ti devi incontrare qui con Kevin e Janet, quindi è stupido fare avanti e indietro da Edimburgo per poche ore di sonno. Mi sembri stanco e assonnato, preferirei che tu non salissi in auto, ma che ti riposassi bene, visto la giornata che ti aspetta domani.” Le parole di Elaine furono abbastanza convincenti. “Va bene, però mi lasci dormire qui sul divano, ok?” “Ma…” “Niente ma. C’è Nick, qui, e mi sembra che abbia già abbastanza cose su cui riflettere, senza doversi anche chiedere, dovesse svegliarsi, cosa ci faccio nel letto di sua madre. Ha bisogno di molto tempo, Elaine, molto.” dichiarò fermamente Andrew, ed Elaine ammise che aveva ragioni da vendere. “Ok, allora. Vada per il divano. L’importante è che tu rimanga qui e ti faccia una bella dormita.” Non era molto tardi, ma erano stanchi, così decisero di dormire. Elaine diede un cuscino e un piumino ad Andrew che si sistemò sul divano, confidandole che, pur di rimanere con lei, avrebbe effettivamente anche dormito per terra, ma prima non aveva osato dirglielo. Così, prima della buonanotte, si beccò anche dello scemo, e poi, uno sul divano e l’altra nel letto, si addormentarono beatamente, come non succedeva da qualche tempo. Elaine si svegliò in piena notte, e non resistette alla tentazione di andare a dare un’occhiata in sala: Andrew dormiva nella sua solita posizione supina col braccio dietro alla testa. Gli diede un leggero bacio e una delicatissima carezza sui capelli. Passò in camera di Nicholas, e gli riservò lo stesso trattamento: bacio e carezza. 263


Poi, silenziosamente, tanto da avvertire i respiri dei suoi due amori più grandi, ritornò nel suo letto e dormì, senza più svegliarsi, fino alla mattina.

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44 Alla fine del pomeriggio del sabato, dopo due viaggi con tre macchine stracariche, tutti gli effetti personali di Andrew erano stati portati via da Glasgow e messi un po’ nel suo alloggio di Edimburgo, e un po’ (per la maggior parte libri) nel garage di Elaine. La giornata di Elaine era passata tra bambini e fornelli: dopo aver sistemato la casa (non più di tanto, giacché con i due scatenati presenti si era rivelata un’impresa molto ardua) e preparato un’abbondante pasta al forno per rimpinzare i ‘traslocatori’ alla sera, nel pomeriggio Elaine aveva portato Nicholas e Josh al parco, visto la bella giornata, per lasciarli un po’ sfogare all’aria aperta. Il suo pensiero era costantemente con Andrew e gli amici, e avrebbe dato non sapeva cosa per poter essere loro d’aiuto, invece che relegata al ruolo di cuoca e baby-sitter. Quando nel tardo pomeriggio arrivarono, dopo aver sistemato le ultime cose di Andrew, si misero a tavola, chiacchierando serenamente. Questo piccolo trasloco sembrava averli uniti ancora di più, ormai molte piccole e grandi cose facevano sì che il loro legame fosse ben saldo e duraturo. “Beh, Lennie, ti dirò, meno male non sei venuta… Janet è stata squadrata per benino …” disse Andrew. “Vero, forse i suoi ex-colleghi reverendi pensavano fossi la pietra dello scandalo. Questo naturalmente finché non sono stata presentata come la moglie di Kevin, acquietando un po’ la 265


situazione.” ammise Janet, tappandosi poi immediatamente la bocca quando si rese conto che a tavola con loro c’erano anche Nick e Josh che sembravano non ascoltare, ma, si sa, con i bambini non è mai detto, perché hanno cento occhi e cento orecchie. Elaine avrebbe voluto ribattere che sarebbe stata ben pronta a farsi vedere, ma preferì interrompere lì il discorso. Poi Andrew intavolò una nuova conversazione, con sorpresa di tutti. “Beh, adesso voglio rendervi parte di due miei progetti. Per prima cosa voglio che sappiate l’argomento del mio prossimo libro.” dichiarò. “Ehilà!” esclamò Elaine esultante “Era ora!” “Infatti. Volevo prima valutare le potenzialità dell’argomento, fino a pochi giorni fa è stato davvero solo un’idea. Invece, con la possibilità di accesso anche alle biblioteche dell’università, ho capito che, pur essendo un campo molto vasto, potrei farcela benissimo, perché di materiale ce n’è a bizzeffe.” rivelò loro Andrew. “Se non la tiri così lunga e ce lo dici...” accennò sarcasticamente Kevin. “Bene, scriverò un libro sui clan scozzesi: anche per loro, come per i castelli del primo libro, storia, leggende, tradizioni, aneddoti e quant’altro.” annunciò infine, suscitando la perplessità dei presenti. “Accidenti, Andy, l’argomento è oceanico!” commentò di rimando Kevin. “Andy???” chiese Elaine con un viso attonito, guardando prima Kevin e poi Andrew. “Beh? Che c’è? Non posso chiamarlo Andy? L’ho sempre chiamato Andy, da che ci conosciamo.” asserì Kevin. “Oh, scusa, non lo sapevo.” disse Elaine, poi si rivolse a Andrew “Dunque, Andy, argomento un po’ vasto, no?” 266


Il tono di Elaine suscitò l’ilarità dei presenti, soprattutto di Josh e Nick, ai quali fece l’occhiolino. “Spiritosa, molto. Comunque: sì, argomento vasto, ma ho letto molto a proposito, e molti clan vengono a volte ingiustamente dimenticati, ed è a quelli che mi voglio dedicare maggiormente. Per esempio, milady, lo sa quanto si può parlare dei Kincaid?” chiese sarcasticamente Andrew, ricambiando lo sguardo di Elaine, ancora canzonatorio per l’Andy. “No, non ne ho la più pallida idea.” rispose lei. “Bene, rimarrai stupita. E anche i McDougall sono molto interessanti.” disse poi rivolto a Kevin. “E i Locker?” chiese Janet, ridendo già. “Ehi, inglese… non avanzare pretese sul territorio!” fu Kevin che le rispose, con la frase che spesso le diceva quando Janet, a volte, faceva commenti scherzosi sulla loro differente origine. “E i Wallace, Andy?” chiese Nicholas ridacchiando e scambiando un ‘cinque’ con la mamma, ormai complici per il nomignolo appena scoperto. “Ehi ragazzino! Attento a come parli, se no prendi una sculacciata!” lo minacciò bonariamente Andrew “Comunque, lo sai, Nick, ti ho già spiegato tutto vero, dei Wallace?” “Certo, era solo per chiamarti Andy!” e rise di gusto, imitato da tutti. “E’ mio figlio!” disse orgogliosa Elaine. “Ok, ok. Ti conviene sparire, sai?” disse Andrew, facendo scappare i due bambini, entrambi ben contenti di potersi alzare da tavola e dedicarsi ai cartoni in tv. Tornando seri, mentre Elaine e Janet cominciarono a riordinare, Andrew espose il secondo suo progetto. “Elaine, chi è fisicamente il proprietario della Queen Mary’s School?” chiese Andrew. “Il comune di Broxburn. Perché?” chiese Elaine un po’ stupita. 267


“Ma… quel piccolo edificio sul retro, quello che una volta era pieno di roba vecchia che non veniva più utilizzata, c’è ancora?” “Certo. Quando sono diventata direttrice, era mia intenzione liberarlo, ripulirlo e farne dei laboratori di musica, poi ho dovuto usare i fondi scolastici per fare altre migliorie più urgenti e quindi mi sono limitata a una ripulita veloce, per renderlo almeno visivamente accettabile all’esterno. Richiedo: perché?” Tutti ormai avevano rivolto la massima attenzione ad Andrew e alle sue strane domande. “Voi sapete bene, poiché l’ho spiegato a tutti, quante condizioni ci siano per il mio ritorno allo stato laico. Tra queste, credo di avervelo detto, c’è l’obbligo di dedicarsi ad opere di carità, e, dopo aver fatto attivamente parte della Mungo Foundation a Glasgow, ritengo di saperne molto, a riguardo, e di averne capito bene i meccanismi. La mia idea è questa: secondo voi, c’è la possibilità che il comune ceda a St. John quell’edificio completamente abbandonato da anni, per poterlo trasformare in una mensa, un centro di raccolta indumenti e aiuti per i poveri?” rimase a guardarli, con la domanda sospesa a mezz’aria. “Beh, bella quest’idea…” commentò Janet. “Dovrei interessarmi, e forse dovrebbe intervenire in qualche modo anche Padre James.” fu la risposta più pratica di Elaine. “Certo, se il tuo progetto è di far diventare l’edificio un laboratorio di musica…” accennò Andrew. “E’ solo un’idea, che peraltro davanti a una cosa così importante come la tua proposta, posso tranquillamente abbandonare.” dichiarò Elaine. “Effettivamente, a Broxburn, non c’è niente del genere… e forse servirebbe anche.” disse Kevin, anche lui molto interessato all’idea di Andrew. 268


“Lo potrei gestire io, con l’aiuto di volontari che sicuramente Padre James mi troverebbe… l’importante è che tu mi dica, Elaine, che rinunceresti all’edificio che in pratica è ancora sotto la tua amministrazione, poi ne parlerei con James e metterei in moto la cosa. Che ne dici?” le chiese, facendole capire che per lui era molto importante. “Va bene, credo di poter fare qualcosa. Tu intanto, parlane con Padre James e poi io e lui faremo i passi necessari affinché venga sistemata la faccenda. Anche se penso che non sarà un processo veloce.” affermò Elaine “A meno che, essendoci di mezzo la chiesa, qualcuno in amministrazione comunale si faccia muovere da carità …” aggiunse poi. Parlarono ancora un po’, tutti insieme, dei nuovi progetti di Andrew, poi, essendo le nove passate ed essendo molto stanchi, Kevin e Janet si mossero per tornare a casa loro. “Josh! Forza, si va a casa!” disse Janet “Nicholas! Prendi il pigiama e vieni da noi a dormire, dai!” Elaine guardò Janet attonita. “No, Janet, davvero … siete stanchi, non voglio che Nicholas vi rompa le scatole …” “Ma va’, dai!” le disse Kevin “Lascia che venga da noi e non ti preoccupare.” Le andò vicino abbracciandola e sussurrandole all’orecchio: “Goditelo un po’, il tuo Andrew, siete stati lontani tanto tempo… e poi anche a lui farebbe piacere rimanere qui, credimi!” Elaine gli sorrise. “Grazie …” gli disse. Inutile dire che i più contenti dell’inaspettato sviluppo furono i due bambini, che non ne avevano mai abbastanza di stare insieme e dei quali, una volta usciti dalla casa di Elaine, si continuò a sentire le voci querule fino a che non salirono sulla macchina di Janet e furono chiuse le portiere. 269


Rimasti soli, Andrew ed Elaine si poterono finalmente abbracciare stretti. “Tutto finito, allora?” chiese lei. “Si, tutto finito. A Glasgow non c’è più la minima traccia di Andrew McPherson.” rispose lui, stringendola e poi baciandola dolcemente. “Sai cosa ti dico? Mi farei volentieri una doccia e poi mi butterei più che volentieri in un letto …” le confessò, rivelando di essere molto stanco. “Vai, allora! Intanto io finisco in cucina. Poi faccio un bagno caldo e ti raggiungo …” gli sussurrò Elaine, ricambiando il bacio. Mentre finiva di riordinare, sentiva i movimenti di Andrew in bagno, ed Elaine si scoprì davvero molto felice della nuova situazione che stava vivendo. In effetti, anche un po’ disorientata: in poco più di tre mesi la sua vita era completamente cambiata, e nel modo che solo nelle sue fantasie più segrete aveva sempre desiderato. Quante volte, da che Chris se n’era andato, quante volte aveva sognato di poter ritrovare Andrew, quante volte aveva immaginato di poterlo avere in quella casa! Non l’aveva mai rivelato nemmeno a Janet: era un sogno talmente bello, che l’aveva voluto tenere tutto per sé, quasi con la paura che si potesse sciupare anche solo a raccontarlo. L’odio che aveva voluto provare per Andrew era stato sempre in realtà una sorta di difesa contro la sua solitudine e contro i suoi veri desideri di essere ancora tra le braccia dell’uomo che aveva amato più di chiunque altro nella sua vita, e che sembrava ormai perduto per sempre. E ora era successo davvero. L’onda travolgente che l’aveva investita prima di Natale sembrava essersi acquietata in questa situazione quasi idilliaca, a cui Elaine ancora non poteva credere del tutto. 270


Mentre era nella vasca da bagno, sapendo che nel suo letto c’era il suo amore che, come le aveva detto, schiacciava un pisolino mentre l’aspettava, pregò silenziosamente Dio, chiedendogli di prendersi cura di loro, affinché potessero finalmente trovare la pace che avevano sempre cercato, ma che non avevano mai trovato, lontani l’uno dall’altra. Quando uscì dalla vasca ed entrò in camera, vide che Andrew dormiva già profondamente, il respiro accompagnato da un lievissimo russare che denotava quanto fosse stanco. Non lo svegliò: si infilò nel letto accanto a lui, si accoccolò sul suo petto, ricevendo un assonnato e distratto bacio sulla testa da Andrew che l’aveva sentita arrivare e, nel calore del suo abbraccio, si addormentò serena, pensando che ora, per fare l’amore, avrebbero avuto tutto il tempo di questo mondo e che quella sera si meritavano di più un sonno quieto e ristoratore.

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45 La mattina della domenica Elaine si svegliò presto, in preda a degli attacchi di nausea pazzeschi. Dovette alzarsi e andare quasi di corsa in bagno, temendo di dover vomitare. Seduta sul bordo della vasca da bagno, cercando di respirare regolarmente e profondamente per contrastare la nausea, pensò che forse sarebbe stato meglio andare a fare una visita dalla dottoressa Steward, per farsi dare le pastiglie che le aveva prescritto quando aveva avuto la gastrite, quattro anni prima. Finalmente, a fatica, riuscì a fermare le nausee, e si spostò in cucina, per cercare di riprendersi un po’, prima di tornare a letto. Guardò l’orologio: non erano ancora le sette. Pensò bene di farsi un tè caldo, anche perché la nausea si era trasformata in fame: che cosa assurda, pensò tra sé e sé, sembrava quasi come nel periodo in cui era incinta di Nicholas, quando per fermare gli attacchi di vomito doveva mangiare qualcosa. Stava mettendo il bollitore sul fuoco, quando si fermò improvvisamente impietrita, senza più riuscire a muovere un muscolo, investita da una domanda che le lacerò il cervello: da quanto tempo non aveva il ciclo? Tutti gli avvenimenti incalzanti degli ultimi tempi le avevano fatto perdere il conto dei giorni. 272


Posò di nuovo il bollitore sul piano della cucina e prese il calendario dalla parete, si sedette al tavolo e cercò con ansia crescente il giorno marcato da un cerchietto rosso, il simbolo che era solita usare per contrassegnare l’inizio del ciclo: marzo niente, naturalmente; febbraio … niente; gennaio …. Eccolo: 27 gennaio. Contò freneticamente i giorni che la separavano dal 27 gennaio … e arrivò a quarantatré. Come inebetita ricontò di nuovo, ma non si scappava, sempre quarantatré erano. Riposizionò il calendario al suo posto, si sedette e chiuse gli occhi, mettendosi le mani sul viso. Era incinta? Il pensiero la aggredì come un bolide, facendola quasi sudare freddo. Com’era possibile? Vero, non prendeva la pillola, ma Andrew lo sapeva e aveva usato sempre la massima attenzione. Ma non sempre: si ricordò di quando lui la andò a salutare, il giorno della sua partenza per Whithorn. Quel giorno nessuno dei due aveva avuto come priorità l’attenzione, anzi, ricordava di quanto fosse accaduto tutto così improvvisamente, prima di quanto se lo aspettassero, e …. e forse era successo. Respirò a fatica. Cercò di convincersi che fosse un banale ritardo dovuto allo stress, ma dovette ammettere con se stessa che non aveva mai ritardato, anzi, il ciclo le era sempre arrivato con tre o quattro giorni di anticipo, stress o meno. Intrecciò le dita delle mani, le posò sul tavolo e vi appoggiò la testa sconfortata: no, si disse, no, non adesso, non era ancora ora, non era ancora tempo. Non poteva gravare Andrew anche di questo peso, non sarebbe stato pronto, e nemmeno lei si sentiva pronta, per la verità. Ma perché sentiva dire sempre da tutte le mamme che conosceva, che la ricerca di un bambino era spesso una cosa difficile, e invece lei si ritrovava incinta sempre quando meno se lo aspettava? 273


Un attimo, un attimo: forse non lo era, non poteva esserne sicura al cento per cento. Doveva assolutamente fare un test di gravidanza, ma era domenica e tutte le farmacie erano chiuse. Farsi vedere da Andrew in cerca di quella di turno l’avrebbe fatto insospettire e non voleva ancora preoccuparlo. L’avrebbe fatto l’indomani, sì: sarebbe uscita da scuola una corsa, durante la mattinata, l’avrebbe comprato e l’avrebbe fatto. Un giorno non cambiava certo le carte in tavola. Anzi, ormai, se era incinta, niente avrebbe potuto cambiare la situazione. Ma perché proprio adesso? Non si erano ancora assestate le acque e già dovevano agitarsi ancora. E se non fosse poi una tragedia come le sembrava fosse in quel momento? In fondo Andrew aveva espresso, e nemmeno troppo indirettamente, il desiderio di avere un figlio loro, magari l’avrebbe presa meglio di quanto non pensasse lei in quel momento. O magari ne sarebbe rimasto terrorizzato, con un ulteriore carico da portarsi sulle spalle già appesantite dai problemi delle ultime settimane. Basta, non riusciva più a pensare razionalmente, e cercò di liberare il più possibile la mente da quel tarlo. “Ehi, che ci fai qui?” La voce di Andrew quasi la spaventò e la fece sussultare. Cercò di riprendere velocemente il controllo di se stessa. “Ciao… mi sono svegliata e volevo farmi il tè…” disse un po’ titubante, come se Andrew avesse potuto leggerle nella mente. Lui le si avvicinò e la baciò. “Ma il tè non si fa lasciando il bollitore dell’acqua sul piano della cucina, sai?” disse poi, prendendolo e posandolo sul fornello che aveva acceso. 274


“Sì, è vero, ma … beh, ho scoperto di avere ancora molto sonno e mi sono seduta un attimo e ho chiuso gli occhi …” cercò di giustificarsi Elaine. “Lennie, stai bene?” le chiese Andrew, guardandola con occhi indagatori. Elaine trovò la forza di sorridere. “Certo che sto bene, benone! Fai colazione anche tu? Caffè?” gli chiese. “No, va bene il tè anche per me, stamattina. Hai dormito bene?” chiese Andrew, sempre scrutandola più di quanto Elaine avesse voluto. “Tutta una tirata! E tu?” “Idem. E mi sento rigenerato, stamattina.” Andrew si avvicinò a lei, e la abbracciò, posandole una mano sul seno, baciandola e mordicchiandola con dolcezza sul collo. “Dopo colazione torniamo a letto?” chiese poi lui “E’ ancora presto, è domenica mattina…” Sentendo il desiderio di Andrew, Elaine si lasciò accarezzare e, per un momento, accantonò il pensiero del bambino. In fondo, si disse di nuovo, cosa avrebbe potuto fare? Nulla. Che cosa avrebbe potuto dirgli? Nulla. Qualcosa avrebbe potuto cambiare la situazione? No. Fecero colazione con tè e biscotti al cioccolato, e Andrew si stupì di quanti ne riuscì a mangiare Elaine. “Caspita, è la terza volta che facciamo colazione insieme in una settimana e devo dire che una cosa che non ti manca al mattino, ultimamente, è l’appetito!” scherzò lui. “Già, la colazione è molto importante!” disse Elaine. ‘Soprattutto se aspetti un bambino…’ pensò poi, scoprendosi però, con suo stupore, a sorridere all’idea. “C’è qualcosa che non mi quadra, stamattina, Elaine. Sei un po’ strana …” le disse Andrew, tornando a guardarla attentamente. 275


Elaine alzò le spalle, fingendo indifferenza. “Mi sto abituando a questo nuovo stato di cose, Andrew, semplicemente questo. E mi sto godendo questi momenti meravigliosi.” gli sorrise convinta, cercando di distoglierlo dal lavoro di analisi profonda che stava facendo su di lei. Questo sembrò soddisfare Andrew, che, finito di bere il tè, le chiese di nuovo se, per una mattina, potessero davvero prendersi ancora un paio d’ore di riposo e pigrizia, infilandosi ancora sotto le coperte, lasciando ad Elaine il compito primario di capire bene quali fossero le sue vere intenzioni con uno sguardo più che eloquente. Il bello di quell’uomo era che, con poche parole e con magari solo un’occhiata, riusciva a far dimenticare ad Elaine tutto il mondo che le girava intorno: ansie, problemi, pensieri e quant’altro. Quando lui fissava i suoi occhi verdi in quelli di Elaine, lei sentiva di poter affrontare qualsiasi avversità, perché oltre a trasmetterle in totalità e pienezza i suoi desideri, le infondevano una forza inaudita: erano talmente pieni di amore, che lei sentiva di poter scalare qualsiasi montagna e superare qualsiasi difficoltà. Quindi, sopraffatta dal suo sguardo intenso, riuscì ad accantonare per un po’ quello che sarebbe diventato per tutto il giorno il suo chiodo fisso, e tornarono sotto le coperte per un paio d’ore. Mentre faceva l’amore con Andrew, Elaine pensò a tutto e a niente: in quel paio d’ore di dolcezza, carezze, baci e coccole, riandò col pensiero a tutta la sua storia con Andrew. Era iniziata dodici anni prima, così, improvvisamente, senza che nessuno dei due avesse davvero cercato l’altro: semplicemente era successo, dopo quasi tre anni che lavoravano insieme, nella stessa scuola. 276


Un semplice bacio aveva dato sfogo ad una passione senza pari, aveva liberato uno dei sentimenti più intensi che avessero mai provato, facendoli incamminare su un percorso che non era mai stato facile, che non era mai stato semplice e a volte nemmeno del tutto comprensibile. Erano stati sempre ben consci di quanto fosse addirittura improbabile, per loro, una relazione normale, che potesse seguire canoni abituali tra due persone che avevano scoperto di amarsi. Ma avevano sempre capito che c’era qualcosa in più: quel cercarsi sempre, per condividere i momenti belli e i momenti brutti, era stato l’indice della profondità del loro sentimento, nato dopo una già grande amicizia. Poi Andrew aveva dovuto partire per Inverness, allontanandosi per sempre da Broxburn, dalla scuola, da Elaine. Prima di andarsene, aveva pensato di lasciare il sacerdozio, ma lei l’aveva fermato: era un brutto periodo per lui, era appena morto il suo migliore amico, il fratello che non aveva mai avuto ma che aveva trovato crescendo. Elaine, intuendo che sarebbe stata una decisione presa sull’onda della disperazione, l’aveva fermato, rinunciando a lui, e credendo di farlo per sempre. Un solo incontro li aveva di nuovo uniti, quando Elaine era già sposata, un sofferto appuntamento per dirsi addio, nonostante la passione che li aveva ancora sorpresi, come se il tempo non fosse mai passato. E poi l’incomprensione che li aveva portati ad odiarsi, più che altro per proteggersi dal dolore che li aveva assaliti come una bestia selvaggia che agisce solo con ferocia e brutalità. Ma, dietro alle loro vite, il destino aveva lavorato in sordina, creando circostanze che li avrebbero riportati sulla stessa strada, come un macchinista folle che aveva mosso gli scambi di due binari che, altrimenti, non si sarebbero potuti incrociare forse mai più. 277


E allora, caduto il velo del finto odio, avevano capito che tutto era rimasto immutato nel tempo e che non avrebbero mai più potuto lasciarsi di nuovo. Ed ora eccoli lì, abbracciati, innamorati ed emozionati come il giorno del loro primo bacio, uguali a prima seppur diversi, liberi ora di percorrere il cammino che si dipanava dinnanzi a loro, non più tortuoso e impervio, ma dritto e luminoso. Oggi, pensò Elaine, con qualcosa che non li avrebbe mai più fatti separare: un figlio. Perché ormai era certa che dentro di sé stesse crescendo il figlio di Andrew.

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46 Elaine camminava avanti e indietro nel suo ufficio, durante l’intervallo della mattina, in attesa dell’arrivo di Janet. Alle nove era uscita una volata, si era diretta in una farmacia, aveva comprato il test di gravidanza ed era stata la prima cosa che aveva fatto appena tornata in ufficio. Il responso non dava più adito ad alcun dubbio: era incinta. Ma non aveva avuto già più dubbi quando, appena sveglia, era stata ancora una volta assalita dalle nausee, sedate poi con un’abbondante colazione. Storia già vista, ormai. Janet entrò impetuosamente dalla porta, come suo solito. “Ciao!” la salutò allegramente. “Ciao!” ricambiò Elaine. “Scusa, ma invece di chiamarmi su, non potevi scendere tu in mensa e parlavamo là mentre ci facevamo una bella pausa caffè con brioche?” le disse l’amica. “L’avevo pensato, ma avevo proprio bisogno di parlarti in privato…” iniziò Elaine, continuando a vagare per l’ufficio, spostando carte dalla scrivania, temporeggiando perché non sapeva assolutamente come intavolare il discorso. “Bene. Scuola o vita privata?” domandò Janet. Prima di rispondere, Elaine pensò che, ancora una volta, stava per caricare l’amica di un problema da risolvere: si sentiva davvero un po’ in imbarazzo, pensava veramente che prima o poi Janet non l’avrebbe sopportata più. 279


“Vita privata. Tanto per cambiare.” rispose con un tono che non era certo incoraggiante. E non aveva idea di come Janet avrebbe preso l’annuncio della sua gravidanza. “Spara!” disse Janet, sedendosi sul bordo della scrivania e incrociando le braccia, con un bel sorriso sul viso, pronta ad ascoltarla. “Beh, sai le nausee che ho avuto negli ultimi tempi?” le chiese Elaine. “Sì, ebbene? Si è risvegliata la gastrite? Sei andata dalla dottoressa?” Janet modificò un po’ il tono di voce, denotando un po’ di preoccupazione. “No … non è gastrite …” “Oddio, cos’è? Stai male? E’ qualcosa di più grave?” ora la preoccupazione di Janet era tangibile, ed Elaine pensò bene di togliere in fretta dall’amica il sospetto di una brutta malattia. “No, Janet.” respirò profondamente “Aspetto un bambino.” E dicendolo, le porse anche il test di gravidanza con il risultato ben chiaro e visibile. Janet, come Elaine aveva previsto, ammutolì: prese meccanicamente dalle sue mani lo stick, gli diede un’occhiata distratta e poi i suoi occhi si fissarono increduli in quelli dell’amica. Si sedette. “Sei … incinta?” “Sì.” “Di Andrew?” “E di chi, se no?” “E lui lo sa?” “No, non ancora.” “Quando l’hai fatto?” “Cosa, Janet? Il bambino o il test di gravidanza?” “Il test.” “Due ore fa.” “Fanne un altro, per favore.” 280


“No, non serve. Non ho il ciclo dal ventisette di gennaio.” “Quindi sei sicura?” “Sicura come del fatto che sei seduta davanti a me.” “E il bambino … quando l’hai fatto?” “Credo proprio il giorno della partenza di Andrew per Whithorn.” “La mattina della fuga a casa.” “Mhm.” “E adesso?” Qui s’interruppe per un momento il veloce botta e risposta delle due amiche, che rimasero in silenzio a guardarsi, una sconvolta dalla rivelazione, l’altra, invece, molto tranquilla, poiché si stava lasciando prendere da una specie di magia: pensare a un figlio di Andrew stava diventando sempre più bello. “Vado a Edimburgo e glielo dico.” “Adesso?” “Adesso.” Finalmente Janet parve riprendersi un po’ da quella specie di torpore in cui sembrava essere finita, investita dalla notizia completamente inaspettata di Elaine. “No, no, no. Un momento. Calma. Riflettiamo, per piacere. Cerchiamo di capire.” Si raddrizzò sulla sedia, con lo sguardo ritornato completamente lucido e il cervello di nuovo in perfetto funzionamento. “Scusa, Janet, cosa c’è da riflettere o da capire? Sono incinta, aspetto un bambino, è il figlio di Andrew, non so proprio come gestire questa cosa, da chi dovrei andare? Da lui. Questa è l’unica soluzione.” disse Elaine, cercando di apparire più razionale di quanto si sentisse in realtà. “Lo terrorizzerai, rimarrà sconvolto … ho paura che possa prenderla male …” affermò Janet, molto più agitata di quanto non fosse Elaine. 281


“Forse sì, in un primo momento, come lo ero io ieri mattina quando ho capito il vero motivo delle mie nausee. Ma poi magari no: in fondo, quante volte mi ha fatto capire che gli piacerebbe avere un figlio nostro?” “Sì, ok, Elaine. Ma magari non adesso! Porca miseria, non si è ancora sedato tutto il casino della rinuncia dei voti, anzi, è ancora solo sospeso!” il tono di voce di Janet si era un po’ alzato. “Ehi, sei tu che ti devi calmare, Janet.” le disse Elaine. “Calmare? Oh cazzo, Elaine, sei incinta di un uomo che tecnicamente è ancora un sacerdote, hai un figlio a cui dirlo e a cui farlo capire, un ex-marito che magari ti tirerà fuori delle menate pazzesche per questa storia, e tu non sei preoccupata? Ma che cos’hai nella testa, ultimamente? Segatura?” Davanti a questo inaspettato sfogo dell’amica, Elaine ammutolì. Era esattamente come aveva pensato: aveva sempre confidato troppo in Janet e a furia di caricarla con i suoi problemi, ora non ne poteva più. Elaine rimase a guardarla, mentre l’amica aspettava la sua risposta. Decise che, forse, questa volta, aveva sbagliato a confidarsi prima con lei. Avrebbe dovuto tenere tutto per sé e andare direttamente a parlare con Andrew: in fondo, era a lui che interessava, non a Janet o a chiunque altro. “Non avrei dovuto dirti niente, Janet, se è questo il tuo modo di aiutarmi.” le disse, con voce algida. “Il fatto è, Elaine, che non c’è modo di aiutarti. Il danno è fatto, ormai. Adesso, molto probabilmente, il tuo bel mondo dorato ti crollerà addosso e, tanto per cambiare, ti ritroverai incasinata fin sopra il collo.” Dicendo questo, Janet si era alzata in piedi e aveva gettato in malo modo sulla scrivania il test di gravidanza. 282


Elaine non seppe spiegarsi il perché, ma interpretò quel gesto e quelle parole come una chiusura di Janet nei suoi confronti, come un gesto di disprezzo nei confronti della creatura che lei portava in grembo. Una strana calma s’impossessò di lei: con movimenti controllati prese lo stick, lo mise nella borsetta, prese il giaccone e lo infilò. “Che cosa stai facendo? Non andare, per favore. Aspetta. Diglielo in un altro momento. Elaine, ragiona!” Il tono di voce di Janet era sempre alto e adirato. “Io sto ragionando, Janet.” le disse Elaine, guardandola duramente. “E non sto vivendo in un mondo dorato, piantala con queste stronzate. Sto vivendo la mia vita, con l’uomo che ho sempre amato e che è il padre del bambino che porto dentro di me. Scusa se ho pensato che potessi essere felice anche tu, di questa cosa. Evidentemente mi sbagliavo, non la pensiamo più allo stesso modo. E ho sbagliato a dirtelo: in fondo, questo ennesimo guaio, (perché si vede benissimo che pensi che sia un guaio e non una benedizione) l’abbiamo ‘combinato’ io e lui, e sta a noi trovare la soluzione. Quindi, adesso, prendo la macchina, vado a Edimburgo e glielo dico. E io so che ne sarà felice. Ti chiedo un ultimo piacere: da’ un’occhiata a Nicholas nelle prossime ore, sarò sicuramente di ritorno nel primo pomeriggio. Poi, giuro, cercherò di fare a meno di te e di cavarmela da sola.” Detto questo, si avviò verso la porta. Janet la prese per un braccio e cercò di fermarla. “Ma che cosa stai dicendo, Elaine? Stai farneticando. Cosa sono tutte ‘ste cazzate che stai sparando a vanvera? Chi ti dice che non sono felice per te? Chi ti ha detto che non ti voglio più aiutare? Perché parli così? Sto cercando di capire come sarebbe meglio muoversi per fare le cose nel migliore dei modi. Stai fraintendendo tutto, credimi. Io sento che devo fermarti, che 283


non devi andare ora a Edimburgo a diglielo, non adesso Elaine!! Ti prego!! Sento che non è la cosa giusta.” “Io invece sento proprio che è l’unica cosa che devo fare, Janet.” “Elaine, come puoi pensare che io non sia felice per te, come puoi pensare che io non ti voglia aiutare? E’ proprio quello che sto facendo, pregandoti di non andare adesso a Edimburgo!” Elaine si fermò sulla porta, e guardò l’amica di sempre. Vide nei suoi occhi una sincera preoccupazione, capì che, quella di Janet, non era una chiusura, ma forse davvero la voce della ragione. Ma, nonostante questo, rimase sui suoi propositi: al contrario dell’amica, sentiva che doveva andare da Andrew, che il destino la stava facendo muovere in quella direzione. Abbracciò Janet, senza però il coraggio di chiederle scusa per aver dubitato di lei. “Devo andare, Janet, devo andare da lui. Non fermarmi, ti prego.” E la lasciò così, senza più darle il tempo di ribattere. Avvisò Rachel che sarebbe andata ad Edimburgo un paio d’ore per una commissione urgente, scese le scale e si diresse all’esterno, verso il parcheggio della scuola. Prima di avviarsi, prese il cellulare e chiamò Andrew. “Ciao, bellezza!” fu la pronta risposta dopo appena due squilli. “Ciao, amore. Cosa stai facendo?” chiese Elaine. “Sono in camera, al computer, intrappolato in rete tra i clan scozzesi. E tu, sei in pausa intervallo?” La voce era allegra e rilassata, pensò Elaine. Forse era dell’umore giusto per ricevere la notizia del bambino. “In realtà, no. Sto salendo in macchina e sto venendo a Edimburgo per delle commissioni per la scuola. Se approfitto e ti passo a trovare, ti rompo le scatole?” chiese. “Assolutamente no! Mi fai solo felice, che sorpresa!” rispose lui davvero raggiante. 284


“Bene, allora, al massimo mezz’ora arrivo. Se ti faccio uno squillo, scendi a prendermi? Non è che mi ricordo proprio bene dove devo andare per arrivare nel tuo alloggio…” “Tranquilla, ti vengo a prendere giù all’ingresso. Ti aspetto, allora!” “Ok, a dopo!” “A tra pochissimo!” “Andrew… ti amo.” aggiunse poi lei. “Anch’io Elaine, tantissimo.” confermò lui “Ciao…” “Ciao!” ‘Sì, sto facendo la cosa giusta.’ pensò Elaine imboccando la East Main Street per uscire da Broxburn. Non c’era molto traffico ed era una spettacolare giornata di sole, i cui raggi, attraverso i finestrini dell’auto, la scaldavano piacevolmente. Arrivò alla rotonda e prese la A89 in direzione di Newbridge e di Edimburgo. Abbassò il parasole: col leggero cambio di direzione il sole la colpiva proprio negli occhi. Le dispiaceva molto di aver avuto quel leggero diverbio con Janet e pensò di richiamarla appena arrivata a Edimburgo, prima di salire da Andrew. In quel preciso istante suonò il cellulare e, con la mano sinistra che non era impegnata sul volante, Elaine frugò nella borsa per prenderlo e vedere chi la stesse chiamando. Quando lo trovò, spostò per un attimo l’attenzione sul display del telefono ma, improvvisamente, con la coda dell’occhio si accorse che sull’altra corsia un camion stava facendo un sorpasso un po’ azzardato e stava occupando la sua corsia di marcia, ed era un po’ troppo vicino. Per un attimo fu presa dal panico: lo sguardo che aveva buttato sul cellulare le aveva fatto perdere quei pochi secondi di attenzione che le avrebbero permesso di agire più prontamente. Frenò bruscamente, e sterzò a sinistra, anche se ormai il camion stava già rientrando nella sua corsia. 285


Non capì mai bene come, ma non controsterzò abbastanza in tempo: sbandò e perse il controllo dell’auto, che finì con le due ruote laterali di sinistra in un piccolo avvallamento al lato della strada e, da lì, le cose precipitarono a tal punto da non permetterle più qualsiasi tipo di manovra. Le ruote s’imbatterono probabilmente anche in un grosso sasso che diede una strana inclinazione all’auto, che, durante la corsa a ruota libera, con Elaine che non riusciva nemmeno più a frenare o tentare qualsiasi operazione, si ribaltò e finì poi la corsa folle e sbilanciata contro il tronco di un albero del piccolo boschetto che costeggiava la strada, vicino al viadotto della ferrovia. L’urto fu violentissimo, all’interno dell’abitacolo si aprì l’airbag, ma, mentre l’auto si ribaltava, Elaine sbatté con forza la testa contro il bordo interno della portiera. Il suo campo visivo fu attraversato da un lampo di luce intensissimo e il dolore le tolse quasi il fiato. Quando tutto si fermò, Elaine si sentì come intrappolata, incapace di muovere anche un solo muscolo, e capì che stava perdendo conoscenza. Cercò di reagire e aprì gli occhi: era in una posizione completamente innaturale, il male la stava martellando e non riusciva a muoversi. ‘Il bambino, il bambino….Dio, fa’ che il bambino stia bene’ pensò. Guardò attraverso il finestrino incrinato e l’unica cosa che vide fu l’azzurro quasi turchese del cielo. Portò a fatica e istintivamente una mano al ventre e rimase così, senza più nemmeno la forza di muoversi o parlare per chiedere aiuto, sotto il limpido cielo della Scozia, accorgendosi impotente che stava precipitando, piano piano, nel buio più nero che avesse mai visto. 286


Grace Freeman 19.02.2010

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‌Ma vederla fu amarla, amare solo lei e amare per sempre. R. Burns

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Ringraziamenti L’idea di rendere la storia di Andrew ed Elaine una trilogia è nata, come tutte le idee migliori, per caso. Mi trovavo in un periodo di ‘stanca’, uno di quei momenti in cui non si sa più cosa scrivere e cosa fare per sbrogliarsi dal ‘cul de sac’ in cui ci si è andati a cacciare. Ritenevo di essere già andata un po’ troppo per le lunghe, e l’incidente di Elaine presupponeva un proseguimento non certo veloce e facile da sviluppare. Come sempre, quando sono incerta sul da farsi, ho chiesto consiglio alle mie due editor, Beatrice e Michela, che subito hanno trovato la migliore soluzione: chiudere questo libro e lasciare tutti i sospesi ad un terzo, che potrà anche risolvere tutte le difficili questioni burocratiche di Andrew. Ed ecco la trilogia, parola che richiama opere ben più importanti di questa, e della quale spero di essere degna. E così il mio primo grazie che scrivo in questa sezione del libro che tanto mi piace, va a loro due, senza le quali a volte sarei persa.

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Ma, questa volta, il grazie più grande devo dirlo ai miei Lettori, che non pensavo di trovare così entusiasti. I loro complimenti mi hanno resa un po’ più fiduciosa in quello che sto creando e le loro critiche mi hanno resa un po’ più determinata. Ed è con estrema felicità che ora posso rispondere alla loro domanda principale: “Quando esce il seguito della storia di Andrew ed Elaine?” Eccolo, ed è dedicato tutto a voi. E…non perdetevi la terza parte, che concluderà le avventure dei nostri amici scozzesi. Grace Freeman

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