In Queste Terre Remote - Grace Freeman

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“Bisognerebbe tentare di essere felici, non fosse altro per dare l’esempio.” Jacques Prévert

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1 (lunedì mattina)

Si sentiva scivolare sempre più giù, in un abisso scuro e silenzioso, trascinata da una forza che non poteva contrastare. Riprese coscienza solo per pochi attimi, e fu colpita da saette di dolore che le lacerarono le carni: non voleva sentire male, e anche se sapeva che, per qualche motivo che ora la sua mente non riusciva a individuare, doveva lottare per rimanere viva, sentiva di non potercela fare. Allora si lasciò di nuovo trasportare via dall’incoscienza e avvertì di nuovo quella forza che la spingeva verso il basso, verso un luogo dove non avrebbe sofferto mai più. Poi si fermò: non doveva andar oltre, non era ancora il momento. Rimase sospesa in uno strano posto, dove tutto sembrava ovattato, attutito, attenuato. Le pareva di essere immersa nell’acqua, un’acqua torbida, che non le permetteva di distinguere bene i volti e i colori, ma da qualche parte all’esterno giungevano dei suoni, delle parole, delle voci che forse conosceva. O forse no. 3


Fluttuava in questa sostanza dalla strana consistenza, e stava bene: non aveva sofferenze, non aveva ansie, non aveva problemi. Il nulla si era impossessato di lei e nel nulla si lasciava cullare, oscillando su una qualche specie di musica sorda e smorzata, come su un’altalena che dondola pigra sotto il sole estivo mentre le cicale friniscono indolenti. Sentì, in lontananza, delle voci che pronunciavano un nome che non riusciva a riconoscere, ma sapeva che stavano chiamando lei. Ma lei non poteva rispondere, non voleva, e non sapeva come farlo. Nella sua mente non c’erano più parole, ma immagini indistinte che non riuscivano a trovare la capacità di trasformarsi in quei timbri che magicamente rendono qualsiasi oggetto reale. A sprazzi, l’acqua diventava meno cupa, lasciando trasparire dei visi sconosciuti che la guardavano con strane espressioni. Sapeva che c’erano delle parole che potevano manifestare i sentimenti umani e, guardando quei volti, ne apparve una nella sua mente: preoccupazione. Ecco: aveva trovato una parola ed era riuscita a rendere reale ciò che vedeva in quelle immagini. Quelle forme che pronunciavano il nome che sapeva essere il suo, erano scolpite nella preoccupazione. Per chi? Per lei? Ma lei stava bene, lì dov’era. Perché erano preoccupati? Perché continuavano a chiamarla? 4


Non avrebbe risposto, non lo voleva fare. E poi, chi erano? Che cosa volevano da lei? Perché non riconosceva nessuno? Perché il suo nome pronunciato da loro non aveva un senso? Il suo nome. Il suo nome. Elaine. Una voce diversa aveva improvvisamente pronunciato il suo nome, un registro vocale che sapeva di conoscere, un volto con qualcosa di un colore diverso dal grigio che la circondava. Lottò contro l’oblio che la cingeva, per trovare un nome a quel volto, per renderlo reale, per trasformare anche lui in una rappresentazione concreta, ma era difficile, difficile. Eppure, nell’incoscienza, sapeva che avrebbe dovuto tentare di aggrapparsi a quel viso, a quella sagoma indistinta che articolava il suo nome. Elaine. Amore. Ecco un’altra parola alla quale sapeva dare un significato. Amore. Sì, la conosceva. Ricordò che era la parola che aveva scandito per non cadere in fondo a quel nero che l’aveva intrappolata: aveva pensato alla parola amore ed era riuscita a liberarsi, a uscire, a darsi una spinta verso l’alto e a raggiungere il grigio dove si trovava ora. Il grigio senza spazi e senza tempo, dove potevi essere una cellula o l’intero universo: sarebbe stato uguale, non c’era differenza, nessuna delle due 5


alternative avrebbe avuto più importanza rispetto all’altra. Lì dentro potevi essere il più misero degli esseri umani e potevi essere Dio, il nulla e il tutto: non cambiava. Elaine… E altri suoni, altre parole. Ma era stanca, non aveva più voglia di cercare il significato delle parole. Era stanca, e chiuse gli occhi della mente per riposare. Non ebbe paura di ricadere nel buio, perché dentro quell’acqua poteva galleggiare e lasciarsi trasportare da una corrente leggera che, ondeggiando, la teneva fuori dal nero. Era stanca. Basta volti. Basta parole. Per un po’, basta.

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2 (notte tra il lunedì e il martedì)

Andrew sedeva accanto al letto di Elaine, tenendole la mano, il volto scolpito in un granitico dolore. Era notte, ma per lui il tempo si era fermato più di dodici ore prima. La sua giornata, da tranquilla e con la piacevole prospettiva di un breve incontro con Elaine, si era trasformata nel peggiore incubo della sua vita. Quella mattina aveva ricevuto la telefonata di Elaine, che gli annunciava che sarebbe passata da lui mentre sbrigava delle commissioni a Edimburgo. L’improvvisata l’aveva riempito di allegria: qualsiasi occasione per vederla era un piacere ormai indescrivibile. Ma poi l’attesa si era trasformata in ansia: dopo più di mezz’ora, non vedendola arrivare, aveva iniziato a telefonarle, ma ogni chiamata era rimasta senza risposta. Finché, mentre vagava per la sua camera non sapendo più assolutamente cosa fare o cosa pensare, ricevette una telefonata da Janet, che lo fece precipitare nella disperazione pura: Elaine aveva avuto un incidente e si trovava all’ospedale di Edimburgo, nel reparto rianimazione, incosciente. Non seppe mai come riuscì a raggiungere l’ospedale: dopo aver in qualche modo 7


metabolizzato la notizia, si era precipitato in auto e, guidando automaticamente e in realtà senza nemmeno sapere quello che stava facendo, aveva raggiunto l’ospedale e trovato il reparto dove si trovava Elaine, distesa in un letto, con la testa fasciata, pallida come se la vita la stesse già abbandonando, attaccata alle macchine che controllavano i suoi segni vitali. Da quel momento in poi non si era più allontanato da lei: avvertiva intorno a sé persone che andavano e venivano, parlò distrattamente con Janet, con i genitori di Elaine accorsi da Ashlington non appena avevano appreso la notizia, con Christopher arrivato col primo volo disponibile trovato a Londra, con l’amico Peter Campbell che aveva voluto dargli immediatamente il suo sostegno morale, con Padre James. Parlava con loro, ma la mente era distratta da mille altri pensieri, da mille altre paure. I medici che l’avevano soccorsa l’avevano trovata intrappolata in un groviglio di lamiere da cui avevano fatto fatica a liberarla. L’avevano estratta completamente incosciente, con le funzioni vitali al minimo, un paio di costole rotte, una brutta ferita sulla testa e molti altri graffi e tagli, anche se di poco conto. La commozione cerebrale causata dall’impatto violento della testa contro l’interno dell’auto (la dinamica non era ancora chiara, ed erano supposizioni fatte dai soccorritori) aveva provocato la perdita di coscienza di Elaine. Quello che non si spiegavano i medici era come mai Elaine non fosse ancora uscita da questa 8


incoscienza: tutti gli esami non avevano evidenziato lesioni importanti, ma solo un lieve danno della sostanza reticolare del tronco encefalico: nessun trauma, nessuna frattura, nessun edema. Eppure parlavano di uno stato di coma: Elaine respirava da sola, la pressione arteriosa era risalita, eppure qualcosa le impediva di risvegliarsi. La prognosi era buona, ma lei rimaneva incosciente, e a questo punto nessuno sapeva diagnosticare per quanto lo sarebbe stata. Quando Andrew e Janet rimasero finalmente soli nella camera di Elaine, cadde un silenzio di tomba. Janet lo guardava, vedeva la sofferenza dipinta sul suo volto, e sapeva che, purtroppo, stava per aumentargliela. Andrew sedeva accanto ad Elaine, le teneva la mano, lo sguardo quasi assente e perso nei pensieri più cupi, attonito per quanto era successo. Allora Janet prese un’altra sedia, la portò vicina alla sua, vi si sedette e gli mise una mano sul braccio. “Andrew…” disse, ma lui non rispose, forse non l’aveva nemmeno sentita. “Andrew, guardami, ti prego” insistette, con un tono di voce più deciso e scuotendogli un po’ il braccio. Finalmente lui la guardò, quasi come se la vedesse per la prima volta, quasi stupito che fosse lì, tanto era concentrato sulla figura di Elaine che giaceva immobile nel letto. “Andrew” continuò Janet, “lo sai perché Elaine stava venendo a Edimburgo?” gli chiese. 9


“Mi aveva detto che doveva fare delle commissioni e sarebbe passata anche da me” rispose lui meccanicamente, ricordando con dolore la voce di Elaine al telefono che glielo diceva. Janet tirò un lungo respiro. “No Andrew, non doveva fare proprio niente a Edimburgo. Stava venendo solo da te.” Andrew scosse la testa, non capiva. “Solo da me? E perché?” le chiese sempre più sconcertato. “Oh Dio, Andrew, mi dispiace essere io a dirtelo, non sarebbe dovuto succedere così!” disse Janet quasi disperata. “Dirmi che cosa, Janet? Per favore, parla, non capisco.” “Elaine aspetta un bambino, è incinta.” Il silenzio che seguì la frase di Janet sembrò eterno. “É incinta? Ed è…” “Certo che sì, Andrew, è tuo figlio. É questo che doveva fare a Edimburgo: venire a dirtelo.” Lo sguardo di Andrew si spostava da Janet a Elaine e poi ancora a Janet. “Un figlio…” mormorò Andrew, “il nostro bambino…” Andrew si mosse sulla sedia, si coprì il volto con le mani e poi se le mise tra i capelli. “Dio, un bambino… Non può morire, non può morire!” iniziò a dondolare avanti e indietro, confuso e agitato. L’amica gli prese una mano e gliela strinse forte. “Infatti, Andrew, Elaine deve vivere, e noi dobbiamo risvegliarla in qualche modo. Il bambino è vivo e l’incidente non gli ha causato lesioni… Devi 10


risvegliarla, Andrew, devi richiamarla da noi, perché Nick e questa nuova creatura hanno bisogno di lei!” Da quel momento in poi, Andrew cadde nella disperazione più cupa e non ebbe più coscienza piena di nulla. Chi entrava nella stanza lo salutava, gli stringeva chi la mano, chi un braccio, più volte le infermiere lo pregarono di concedersi qualche ora di riposo, ma lui non si mosse dal capezzale di Elaine. Aveva preso la mano della donna che amava e che gli stava dando un figlio e non l’aveva più lasciata. Cercava di infonderle forza, di trasmetterle tutto il suo amore, la chiamava con voce dolce, mentre nella sua testa i pensieri vagavano senza freni, passando dalle visioni più oscure alle immagini più belle. Riportò i ricordi alla morte del suo caro amico Angus, risentì la disperazione che aveva provato come se fosse accaduto da pochi giorni anziché dodici anni prima. L’aveva perso senza nemmeno potergli parlare un’ultima volta, senza potergli dire quanto gli volesse bene e oggi era quasi accaduto ancora, e questa volta con la donna che amava, che gli aveva fatto cambiare vita, che aveva dato un senso alla sua esistenza ormai vuota. Per lei aveva rinunciato al sacerdozio, ma non aveva certo rinunciato a Dio, e quel giorno lo stava pregando con un’intensità che non aveva mai trovato nemmeno quando era appena diventato sacerdote e pensava che niente e nessuno gli 11


avrebbe fatto cambiare idea su quello che era voluto essere fin da ragazzino. Pregava Dio di non toglierli anche Elaine e il figlio suo che lei portava dentro di sé. Andò col pensiero a tutte le volte che avevano fatto l’amore e si rese conto che quel bambino era stato concepito il giorno della sua partenza per il mese di ritiro a Whithorn, e anche quello ebbe un senso, per lui: era stato il giorno della separazione, ma proprio quel giorno le loro cellule si erano fuse creando una nuova vita che li avrebbe uniti per sempre. E si ricordò della mattina della domenica appena trascorsa, quando aveva trovato Elaine in cucina, seduta al tavolo con la testa appoggiata alle mani, un po’ vaga nelle risposte che aveva dato alle sue domande; pensò al bollitore con l’acqua appoggiato al piano della cucina nonostante l’intenzione di Elaine di farsi il tè: forse aveva capito quella mattina di essere incinta? Aveva visto un velo sui suoi occhi: forse aveva avuto timore a dirglielo? Oppure lo sapeva da qualche tempo e aveva pensato che non sarebbe stato felice di sentirsi dire che avrebbero avuto un figlio? Oppure lei stessa era spaventata davanti a questa prospettiva? O non lo voleva? Troppe domande, e finché lei non si fosse svegliata, sarebbero rimaste senza risposta. Nel silenzio e nel buio della notte, Andrew accostò ancora di più la sedia al letto di Elaine, le sue mani si chiusero sulla sua, e Andrew ne avvertì il tepore. Questo stato di Elaine lo inquietava: non era in pericolo di morte, non era in coma profondo, non 12


dormiva, e il calore della sua mano gli disse che c’era vita là, dentro i reconditi meandri della mente della sua donna, e lui doveva trovarla. Era come nel sogno che aveva fatto più volte negli ultimi tempi: Elaine galleggiava nell’acqua torbida di un lago e lui la chiamava e le tendeva la mano. Durante il sogno, a questo punto lui si svegliava sempre senza sapere se Elaine afferrava quella mano. Ora sapeva che era lui che doveva fare qualsiasi cosa per riprenderla e trascinarla fuori, alla luce, all’aria, alla vita. Perché altrimenti, nulla avrebbe più avuto un senso. “Elaine, amore…”

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3 (martedì mattina)

La luce del mattino trovò Andrew addormentato con la testa appoggiata al bordo del letto di Elaine. Un’infermiera gli stava delicatamente scuotendo una spalla per svegliarlo. “Signor McPherson, si svegli, deve uscire per un po’, dobbiamo controllare la signora Kincaid… signor McPherson!” Andrew si svegliò, vide l’infermiera che lo guardava quasi con compassione, e posò lo sguardo su Elaine: niente era cambiato da quando, tre ore prima, il sonno e la stanchezza l’avevano avuta vinta su di lui. Si alzò a fatica dalla sedia, completamente irrigidito e dolorante, dopo aver dormito in una posizione a dir poco assurda. Stirandosi e cercando di rimediare allo scricchiolio di ossa che aveva provocato con i suoi movimenti, uscì dalla camera e si diresse in bagno. Appena entrato si guardò allo specchio: il viso tirato e stanco, profondi segni grigi sotto agli occhi, la barba un po’ troppo incolta. 14


Si gettò dell’acqua fredda sulla faccia, e ne trasse un immediato per quanto momentaneo beneficio. Uscendo dal bagno guardò l’orologio: erano quasi le otto, e l’ultima volta che aveva controllato l’ora erano le cinque e mezza; aveva dormito solo poco più di un paio d’ore. Era stato tutta la notte a guardare Elaine, a tenerle la mano, cercando di capire se dentro quell’immobilità ci fosse qualche segnale, scrutando attentamente quel corpo statico sperando che all’improvviso si muovesse qualcosa, un dito, una gamba, si aprissero gli occhi. Ma non era successo niente. Niente. Si trascinò al distributore automatico, mise un paio di monetine e, mentre il caffè scendeva, prese anche una brioche da quello accanto. Aveva mangiato metà di un disgustoso tramezzino la sera prima ma, per il resto, in pratica non si nutriva da ventiquattro ore. Con in mano la misera colazione che in realtà non aveva nemmeno troppa voglia di fare, si diresse nella sala della televisione e si sedette su una poltrona. Mentre stava bevendo l’ultimo sorso di caffè, vide entrare Padre James che, senza parlare, si sedette vicino a lui, mettendogli una mano sul braccio. “Andrew, allora, qualche novità?” gli chiese. Andrew scosse la testa, chiudendo gli occhi, per evitare che Padre James vedesse che si stavano riempiendo di lacrime. “Niente, James, niente, non un movimento, non un cenno. Niente di niente per tutta la notte.” 15


“Hai dormito? No, vero?” “Sono crollato un paio d’ore fa. É stata la notte più lunga della mia vita. E credo di non aver mai pregato così tanto” rispose Andrew, appoggiando stancamente la testa allo schienale della poltrona. “Dio ti ascolterà, vedrai. Anch’io ho pregato molto.” Andrew si mise una mano tra i capelli e lasciò che finalmente le lacrime sgorgassero da sotto le palpebre. “Non può portarmela via, James, non può portarmi via anche Elaine, e nello stesso modo in cui si è preso Angus dodici anni fa. Ho lottato tanto per averla, e adesso non me la può portare via così, senza nemmeno darmi la possibilità di dimostrarle quanto l’amo veramente” disse quasi con un singhiozzo. “Allora lotta ancora per lei, tienila viva, chiamala. Credici. Credi in quest’amore che la può far tornare. Quel famoso giorno in cui mi avevi raccontato tutto di voi due, mi avevi anche detto che avresti fatto di tutto per averla per tutta la vita: forse questo è il momento, Andrew, in cui devi dimostrare queste parole. Non abbatterti, non lasciati prendere dallo sconforto, non pensare ad Angus, è un’altra storia quella. É chiusa, è finita. Questa è appena iniziata” gli disse Padre James con un tale slancio da indurre Andrew a guardarlo, e a prendere la decisione di rivelargli quello che solo lui e Janet sapevano. “James, Elaine aspetta un bambino.”

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Padre James lo guardò, senza dire una parola, senza commentare, senza svelare cosa gli passasse per la mente dopo aver sentito le sue parole. Poi chiuse gli occhi e alzò il viso, come se stesse rivolgendo una muta e intensa preghiera a Dio. “É nostro figlio, nostro figlio, James, capisci?” continuò Andrew gesticolando con le mani, per poi portarsele al petto, come se già potessero stringere quel bambino non ancora nato “Mio e suo, è quello che ci unirà per sempre. Avevo sognato tanto, avevo fantasticato tanto su un figlio nostro e ora è qui. Ma forse lei non c’è più. Non posso pensare che Dio mi stia mettendo in condizioni di avere o l’uno o l’altra, non posso. In tutti gli anni che ho passato senza di lei, quegli anni in cui essere sacerdote mi diventava sempre più difficile, e anche nell’ultimo mese di ritiro, in cui la mancanza di lei era a volte tanto forte da essere dolorosa, in tutti questi momenti non ho mai, mai smesso di credere in Dio. Ma adesso non so più cosa pensare. Ho paura, James, una paura fottuta.” E, dicendo questo, appoggiò la testa sulla spalla di Padre James e diede finalmente sfogo a quel pianto disperato che aveva trattenuto per tutta la notte. Padre James lo abbracciò e lo cullò come se fosse un figlio, e quasi lo sentì tale in quel momento, riuscendo ad avvertirne tutta la disperazione. “Dio ti ha messo alla prova parecchie volte, Andrew, in un modo o nell’altro, e sa che, nonostante tutto, tu non hai mai perso la fede. Non farlo adesso, non aver paura, continua a sperare, credi fermamente che riuscirai, anzi, riuscirete tutti e due” e qui si 17


fermò un istante, facendo un sorriso ”tutti e tre, a superare questo momento. E Dio ti ascolterà. La paura indebolisce, Andrew, lo sai, e tu non devi essere debole, ma forte in ciò che credi.” “Cercherò, James, proverò davvero” disse Andrew asciugandosi gli occhi e cercando di riprendersi dallo sfogo. “É dopodomani vero, che hai appuntamento con l’Arcivescovo?” chiese Padre James cambiando argomento, dopo aver capito che, in fondo, Andrew si stava sentendo un po’ in imbarazzo per essersi messo a piangere davanti a lui: Andrew si era sempre voluto dimostrare un uomo forte e granitico, ma in realtà, e soprattutto con le persone che amava, era di una fragilità quasi da non credere. “Sì, ma non credo di poterci andare. Penso che farò una telefonata e rimanderò a…” Andrew alzò le spalle “a quando non lo so. Quando si risolverà questa cosa, credo.” “Non è una buona idea, questa, Andrew. Secondo me dovresti andare, invece” gli suggerì Padre James. “No, no, non sono proprio dell’umore di farmi fare qualche altra paternale o di sentire domande a cui non ho più voglia di rispondere. Non adesso, potrei perdere davvero la calma e peggiorare la situazione” disse Andrew. Padre James non era d’accordo. “Invece, secondo me, dovresti proprio andare: ti armi di santa pazienza, ci metti tutta la tua buona volontà e ci vai. E, soprattutto, spieghi esattamente 18


come stanno le cose oggi, le condizioni di Elaine, il… bambino… scusa Andrew, ma pensarti padre mi mette ancora un po’ a disagio, senza offesa… insomma, tutto. E, se sarai bravo con le parole come lo sei sempre stato nella tua vita, potresti smuovere qualche sentimento in più in quell’uomo, cercando di convincerlo ad accelerare la pratica in Vaticano“ spiegò Padre James ad un Andrew che si era fatto improvvisamente molto attento. “Tu credi che io possa ottenere qualcosa?” gli chiese Andrew, ancora un po’ scettico. “Andrew, tu hai sempre avuto un po’ in antipatia l’Arcivescovo di Glasgow, ma, vedi, io e lui ci conosciamo molto bene. Io e lui abbiamo studiato insieme allo Scotus College di Glasgow, poi lui ha fatto carriera, io, come tu sai, non ho voluto. Io so che sotto la sua scorza dura c’è un cuore: se tu andrai da lui e sarai sincero nel raccontargli tutto, sta’ certo che poi mi chiamerà, io aggiungerò la mia dose, e non è detto che si possa risolvere la tua questione velocemente, questa volta.” Andrew stava guardando Padre James allibito. “Tu e lui eravate insieme allo Scotus? Perché non me l’hai mai detto?” “Perché non lo ritenevo necessario. Ora, invece, è stato indispensabile per convincerti a non annullare il tuo appuntamento, perché, in questo momento, non potresti fare cosa peggiore, credimi.” Andrew era pensieroso. “Dovrò lasciare Elaine… e se si sveglia e non mi trova? E se succede qualcosa e io non ci sono? Non lo so, James, non so se…“ 19


L’idea di allontanarsi così tanto e così a lungo dal capezzale di Elaine era impossibile, per Andrew. “Oh, su, Andrew! Con Elaine ci starà qualcun altro e se succede qualcosa ti chiameranno sul cellulare. Poi, non essere così fatalista, santo cielo, abbi fede, abbi fede!” Andrew chiuse gli occhi, riflettendo sulle parole di Padre James. “Ok, lo farò” disse infine ”Ci andrò e cercherò di essere un po’ più ben disposto nei suoi confronti. Mi fido delle tue parole, James. In fondo, di chi altri mi potrei fidare di più?” Andrew e Padre James si abbracciarono. “Ora, Andrew, visto che in parrocchia c’è la signora McKenneth, io vado a fare quattro chiacchiere con Elaine mentre tu vai a casa mezz’oretta, ti cambi, ti fai una doccia, ti rimetti in ordine e ti rendi presentabile. Se Elaine dovesse svegliarsi in questo momento, rimarrebbe inorridita, credimi…” Finalmente le parole di James riuscirono a strappare un sorriso ad Andrew, il primo da quando il giorno precedente aveva chiuso la telefonata con Elaine e aveva sorriso al nulla, felice all’idea di poterla abbracciare, ancora ignaro di quello che il destino gli stava preparando. “Sì, forse è meglio… Grazie, James. Ma non me l’annoiare, ok?” tentò di scherzare Andrew. Poi strinse un braccio a Padre James, grato che quella mattina fosse arrivato e gli avesse rischiarato un po’ la mente, aiutandolo a ragionare un po’ più lucidamente su quello che avrebbe dovuto fare, materialmente e spiritualmente, nei giorni a venire. 20


4 (martedì mattina)

Al suo ritorno in ospedale, un paio d’ore più tardi, Andrew trovò la camera di Elaine vuota. Già in preda alla disperazione, si avvicinò come una furia al bancone delle infermiere, e quando venne a sapere che l’avevano solo portata a fare degli esami, si accasciò su una sedia del corridoio, per cercare di calmarsi: aveva quasi avuto un attacco di panico e per un attimo aveva visto tutto nero. Non doveva pensare al peggio, si disse, sarebbe stato deleterio. Fu lì che lo trovò Peter Campbell. “Andrew…” gli disse posandogli una mano sulla spalla e facendolo quasi trasalire. “Ciao, Peter” rispose Andrew. “C’è qualche novità?” chiese l’amico. “No. Non si è ancora risvegliata. L’hanno portata a fare TAC e risonanza magnetica… vedremo cosa mi diranno al ritorno.” “Andrew, ti ho portato una cosa. Ti spiace se io e te andiamo lo stesso in camera di Elaine?”

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Andrew si alzò a fatica e guidò il rettore dell’Università di Edimburgo nella camera, per il momento vuota, di Elaine. Campbell si avvicinò al tavolo e vi posò sopra la valigetta che aveva con sé, poi si girò verso Andrew. “Andrew, noi ci conosciamo da quasi quindici anni, giusto?” “Giusto” ammise Andrew. “E quindi potrei ritenere di conoscerti abbastanza bene, giusto?” insistette. “Giusto. Ok, Peter, dove vuoi arrivare?” “Quando sono venuto a Whithorn il mese scorso per i tuoi libri, mi hai parlato molto anche di Elaine, e io ricordo di esserne rimasto affascinato… impressione poi confermata quando ho avuto il piacere di conoscerla a Edimburgo in libreria.” “Un po’ troppo affascinato, Peter” lo rimproverò Andrew, con una punta di gelosia. “Mi limiterò. Mi avevi detto che è una donna che ama molto Shakespeare e che tiene costantemente vicino al letto i Sonetti.” “É vero. Ricordi tutto molto bene.” “Sono un professore di letteratura, prima di essere il rettore, ricordi?” gli disse Campbell con un moto d’orgoglio nella voce. ”Queste cose non possono che farmi piacere. Chi ama la letteratura è uno spirito superiore.” “Arriva al dunque, Peter” lo incitò Andrew, alzando gli occhi al cielo per l’affermazione dell’ amico, sulla quale spesso discutevano; ma oggi non era giornata per le dissertazioni letterarie o storiche. 22


Campbell mise una mano nella valigetta e ne fece uscire una copia dei Sonetti di Shakespeare. “Tu non puoi stare qui soltanto tenendole la mano e pregando Dio che si risvegli, Andrew. Tu la devi stimolare, tu devi parlarle, tu devi ricordarle tutti i momenti che avete passato insieme, devi farle desiderare di tornare indietro da quell’ombra in cui si è rintanata per un motivo a noi sconosciuto. Chiacchiera con lei, Andrew, come se foste seduti sul divano di casa sua, dove mi hai detto che ti piace tanto metterti quando passi le tue preziose serate con lei. Ridi con lei. Raccontale di una vita futura piena di cose belle che le facciano venire voglia di tornare!” Campbell disse queste parole con una tale veemenza da lasciare Andrew di stucco: a volte, nei momenti di difficoltà si ricevono gli aiuti più grandi da persone che non ti aspetti; è vero, con Peter si conoscevano da anni, avevano una grande stima l’uno dell’altro, ma che arrivasse a questo, proprio Andrew non se lo sarebbe mai immaginato. Prese dalle mani di Campbell i Sonetti di Shakespeare: era un’edizione economica, non come quella rilegata in pelle e con i titoli dorati che teneva Elaine sul comodino, quasi fosse uno scrigno che contenesse i gioielli più preziosi. Ma il contenuto era lo stesso e lui sapeva quanto Elaine adorasse quei versi. Guardò Peter, che con un gesto delle mani sembrava aspettare l’approvazione di Andrew.

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“Non ne ho la forza, Peter. Io non ho la forza di parlarle, non so di cosa parlare anche se avrei mille cose da dirle… Non so da dove incominciare.” “Incomincia da questi” disse, facendo un cenno verso il libro, ”leggine uno, e poi soffermati e dille quello che ti viene in mente. Parlale, Andrew, parla a Elaine, e vedrai che tornerà.” “Ci proverò. Ma il suo è uno stato che mi mette in difficoltà. Continuo a pensarci, Peter: non è morta, non dorme, ma non c’è.” “Andrew, hai detto due cose fondamentali: se non è morta e non dorme, allora vuol dire, al contrario di come la vedi tu, che è qui. Quindi parlale come se ti potesse rispondere.” “Hai ragione… hai ragione Peter, ci devo provare! Vorrei tanto che portassero qui con me anche Nicholas, forse riuscirebbe più lui di me a stimolare il suo ritorno” disse Andrew. “Purtroppo quello non spetta a te deciderlo. Ha un padre che saprà cosa è meglio per suo figlio… è comunque una situazione molto pesante e Nicholas ha solo… quanti anni? Otto?” chiese Campbell, ricevendo un cenno di affermazione di Andrew. “Sì, otto e no, non credo che suo padre sappia valutare nel modo migliore quello che è meglio per Nicholas ed Elaine” disse Andrew duramente. “Non voglio entrare in questi discorsi, Andrew, anche questa è una cosa che dovrai valutare al momento. Bene, mi spiace ma adesso io devo scappare via: quando torna Elaine me la saluti e inizi a parlarle, subito, come se foste a casa in un normale giorno della settimana.” 24


Peter si voltò e si soffermò con lo sguardo su un vaso di fiori veramente enorme che campeggiava sul comodino. “Che cosa fai oggi? Tieni il corso? Vuoi spostare gli orari?” gli domandò Campbell cambiando discorso. “No, lascia pure le 16.30. Rimane qui Janet con lei, io vengo in Università, faccio le due ore di lezione, mangio qualcosa e poi torno per la notte. E non preoccuparti, Peter, darò comunque il meglio di me stesso, per gli studenti” gli assicurò Andrew. “Non sono preoccupato per quello, Andrew, lo so che quando sali in cattedra dai sempre il meglio. Non sono preoccupato per il professore, sono impensierito per l’uomo, per l’amico. Ti vedo troppo sconfortato e disilluso” gli disse Campbell, rivelando quanto fosse profonda la sua apprensione per Andrew. “Posso fare altrimenti? Ho lottato tanto per lei, ho sofferto tanto, ho sperato moltissimo, e ora che tutto avrebbe potuto avere il famoso lieto fine, guarda cosa succede…“ lo sconforto di Andrew non aveva limiti. “Scava profondamente dentro te stesso, raschia il fondo, se necessario” gli consigliò Campbell. “Cercherò di farlo, cercherò di farlo. Me lo sento dire di continuo, evidentemente dovrò cercare davvero di farlo” disse Andrew, con un po’ più di convinzione nella voce. “Bene, ora devo proprio andare” disse Campbell prendendo la sua valigetta. “Ti accompagno giù, Peter. “ 25


5 (martedì mattina)

Quando Andrew ritornò al reparto intensivo dopo aver accompagnato Peter Campbell all’uscita, trovò Christopher nel corridoio. “Dov’è Elaine?” quasi lo aggredì Christopher quando lo vide, senza nemmeno salutarlo. “A fare TAC e risonanza magnetica. Comunque ciao” rispose Andrew non meno duramente. I due uomini rimasero l’uno davanti all’altro fronteggiandosi come due pugili sul ring. “E com’è la situazione, oggi?” chiese Christopher con tono sempre molto acido e senza ricambiare il saluto. “Non è cambiato niente, da ieri. Dorme” disse Andrew, decidendo di iniziare da quel momento a considerare lo stato di Elaine non come un coma ma come un lungo sonno dal quale si sarebbe svegliata presto. L’atteggiamento di Christopher lo stava urtando molto. “Ah, dorme. Sei ottimista, McPherson.” 26


“Certo, perché tu no?” “Forse non come te. Ma tu sei un prete, vero? Hai un Dio che ti conforta.” “Non sono più un prete, Wallace, ma il Dio che mi conforta c’è sempre. E forse dovresti spendere anche tu una parola in più con questo Dio.” I due uomini stavano uno di fronte all’altro, in mezzo al corridoio, incuranti delle infermiere e delle persone che passavano accanto a loro, come due cervi che si fronteggiano prima del combattimento. Entrambi sentivano che era l’ora del confronto diretto, della conquista del territorio, del conseguimento della vittoria per uno e della sconfitta per l’altro. Rimasero a lungo a guardarsi, e nessuno dei due abbassava gli occhi. Il primo a parlare fu Christopher. “Perché sei tornato, McPherson? Non potevi lasciarla in pace? Non avevi già fatto abbastanza danni?” “E tu perché sei andato via, Wallace? Non potevi stare con lei, e cercare di renderla felice?” Finalmente stavano uscendo le parole che entrambi avevano tenuto dentro per tanto tempo. “Non sono affari tuoi” rispose Christopher. “Oh, sì che lo sono, oggi.” “Nessuno ti da il diritto di giudicare quello che ho fatto. Non sono un cretino, McPherson, l’ho sempre capito che Elaine aveva qualcos’altro nella testa: quando la trovavo seduta sul divano a guardare il nulla, sapevo benissimo a cosa o a chi stesse pensando. Janet mi aveva sempre negato che ci 27


fosse qualcosa tra voi due, ma si vedeva lontano miglia che non era così.” “E tu hai fatto di tutto per far sì che mi dimenticasse, vero?” La domanda sarcastica di Andrew non fu seguita da una risposta di Christopher. La lotta di sguardi continuava e s’inaspriva. “Te la sei scopata anche quando era sposata con me, McPherson?” “Io non l’ho mai scopata, Wallace. L’ho sempre e solo amata.” “Oh, Dio, come sei romantico! Ma non mi hai risposto.” “Non sono affari tuoi” disse Andrew, con tono sempre più glaciale. “Oh, sì che lo sono, oggi“ ribadì Christopher scimmiottando il tono e le parole di Andrew. ”Da quando sei entrato nella sua vita sei stato capace di renderla solo infelice, e hai rovinato il nostro matrimonio.” “Ah, io avrei rovinato il vostro matrimonio? Non tu? Sei tu che te ne sei andato, lasciandola sola a crescere un figlio di tre anni, non io. Dovresti ringraziarmi, invece, per essere tornato e aver rimesso insieme i pezzi di una donna che non era più quella che conoscevo, solo perché tu l’avevi distrutta. Se non sei abbastanza dotato di cervello da capirlo, lascia che te lo dica io: tu e il tuo cazzo di divorzio l’avevate cambiata, sì, e molto. L’avevate trasformata in una donna astiosa e triste, chiusa e fredda, cosa che Elaine non è mai stata.” 28


Le parole uscivano dalla bocca di Andrew come la piena di un torrente di montagna. “E tu che cosa ne sai? Cosa ne sai di come fosse Elaine prima?” Christopher tentò di guadagnare terreno, ma non aveva molte possibilità contro l’impetuosità di Andrew. “Perché io l’ho conosciuta molto tempo prima di te, Wallace. E l’ho amata per molto più tempo.” “Sbaglio o anche tu l’avevi lasciata? L’avevi messa da parte per andartene a fare la tua vita su nelle tue Highlands?” chiese sarcasticamente Christopher. “Sì Christopher, ti sbagli. Era stata lei a farmi andare su nelle mie Highlands e a lasciarmi, se proprio vuoi usare questo termine di cui conosci bene il significato.” La risposta di Andrew lasciò Christopher un po’ interdetto: effettivamente lui non aveva mai saputo come fossero andate le cose esattamente tra Andrew ed Elaine, e aveva dovuto usare molta immaginazione per tentare di capire. Ma si accorse di non aver mai avuto le idee molto chiare. Andrew aveva vinto la battaglia, ma la guerra era ancora in corso. “Porta qui Nicholas, Christopher” gli disse Andrew, iniziando un nuovo scontro. “Assolutamente no, McPherson” rifiutò Christopher. “É forse l’unico che la può far risvegliare. Perché non lo vuoi capire?” “Ti ho detto di no. Non voglio che veda sua madre in queste condizioni. Non può parlarle, sembra morta. Ne rimarrebbe traumatizzato. No.” 29


“Preparalo, spiegagli cosa deve aspettarsi di vedere e digli quanto sarebbe importante se le parlasse” gli disse Andrew. “Ti ho detto di no, e non venirmi anche a spiegare come fare il padre e cosa dire a Nicholas. So io cosa dire a mio figlio. Cosa vuoi dimostrare? Di essere più bravo di me anche in questo? Intanto tu un figlio non ce l’hai, e non ti darò la possibilità di fare il padre con il mio. Mio e di Elaine, ti ricordo.” Christopher era certo di aver vinto questo nuovo assalto, ma di certo non si aspettava di sentire quello che stava per dire Andrew. “Non ho bisogno di tuo figlio per fare il padre, Wallace. Tra un po’ lo sarò anch’io, e vedremo chi sarà più ‘bravo’.” Andrew si pentì subito di quello che aveva detto istintivamente e senza riflettere, ma tanto, prima o poi, Christopher sarebbe venuto a conoscenza della gravidanza di Elaine, quindi… “Che cazzo stai dicendo?” Christopher socchiuse gli occhi, cercando di capire le parole di Andrew. Poi la consapevolezza del loro significato lo colpì come un proiettile. “L’hai messa incinta? Elaine aspetta un bambino tuo?” Il volto di Christopher era passato dalla collera all’incredulità. Sembrava completamente smontato. “Sì” fu la breve, semplice e sincera risposta di Andrew. A questo punto forse Christopher capì di essere stato completamente sconfitto. Sul suo viso tornò la rabbia, una rabbia che lo accecò: quella, e la naturale preoccupazione e tensione accumulata per 30


lo stato della ex moglie fecero sì che tutto si venisse a scaricare nel suo braccio destro, trasformandosi in un poderoso pugno che si abbatté sulla mascella di Andrew con una forza inaudita, che lo fece vacillare, poi accasciare e che quasi lo stordì. Christopher rimase a guardarlo dall’alto, con qualcosa di indefinibile negli occhi, qualcosa che assomigliava molto all’odio. “Sei un bastardo, McPherson, un vero bastardo. In tre mesi le hai fatto passare tanto quanto si potrebbe a malapena sopportare in un anno di vita… poi ti chiedi perché non si risveglia… tra qualche settimana sarà sulla bocca di tutti come quella che si è fatta mettere incinta da un prete, e ha un figlio di otto anni a cui spiegarlo. Proprio bravo McPherson, proprio bravo il nostro professore di storia, il nostro scrittore, il nostro dio.” E, detto questo, Christopher si girò e si allontanò, virando tra un piccolo capannello di infermieri che si erano avvicinati quando avevano visto la scena e il suo gesto non proprio edificante. Andrew era appoggiato al muro e piegato in due: aveva il labbro inferiore sanguinante, un gran male alla testa e tanta voglia di urlare, perché stava pensando che forse, in fondo in fondo, l’ex marito di Elaine non aveva tutti i torti.

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6 (martedì pomeriggio)

In tarda mattinata Elaine era stata riportata in camera, dove Andrew la aspettava sfogliando i Sonetti di Shakespeare. Nascosto sotto ai Sonetti, Andrew aveva trovato anche un volumetto con una raccolta di poesie e lettere di Elizabeth Barret Browning, una delle poetesse preferite di Elaine. Andrew pensò comunque di procurarsi anche qualche libro, magari un thriller, altro genere che a Elaine piaceva molto: aveva deciso di metterci davvero tutto l’impegno per farla ritornare e stimolare il suo cervello addormentato. TAC e risonanza magnetica non avevano evidenziato nulla di diverso rispetto al giorno prima: la diagnosi era la stessa e la prognosi buona, ma i medici continuavano a ribadire il concetto di non avere assolutamente idea di che cosa stesse provocando l’apparente stato di coma di Elaine. Lo dissero ad Andrew con un tono di voce che evidenziava la loro impotente perplessità, ammettendo che tutte le conoscenze di medicina, nel suo caso, non servivano a granché e si stavano quasi affidando alla divina provvidenza. 32


Il feto era ben attaccato all’utero: di sicuro non aveva avuto conseguenze rilevanti, dopo l’incidente, e non c’era nessun rischio importante. Andrew telefonò subito a Janet, spiegandogli la situazione e pregandola d’informare al più presto Christopher: nonostante tutto, pensò, glielo doveva. Rimasero d’accordo di vedersi nel pomeriggio verso le tre. E fu proprio a quell’ora che Janet entrò nella stanza di Elaine, diede un rapido sguardo al mento tumefatto di Andrew e al suo labbro che esibiva un bel paio di cerotti a farfalla, scosse la testa e senza dire una parola si avvicinò al letto dell’amica e le prese la mano. “Lennie, ciao. Devi tornare, Lennie, qui sta andando tutto in malora. Il tuo fidanzato e il tuo ex-marito si menano perché quello con cui vuoi passare il resto della tua vita è tanto cretino da dire all’altro che sei incinta, mio marito vuole spaccare la faccia a Christopher, tua madre piange in continuazione, sta entrando nella depressione più nera e non riesce a venire a trovarti perché non ce la fa a vederti in questo stato, tuo padre non sa più cosa fare, Nick non parla più nemmeno con Josh, Padre James sta pregando come (e passami il gioco di parole) un dannato, ma soprattutto io non so con chi sparare cazzate. É una situazione brutta, Elaine. Tu hai solo due costole incrinate, una botta in testa e quattro taglietti da cerotto: nessuno ti ha dato il permesso di entrare in questo stato. Devi piantarla, Elaine, devi piantarla di fare la scema e startene tranquilla in qualche posto che noi non 33


conosciamo, ci sono delle cose da risolvere e da decidere e senza di te noi non possiamo fare niente. E spero di essere stata chiara, oggi.” Il lungo monologo di Janet fece sorridere Andrew, sorriso che si trasformò subito in una smorfia di dolore. “Tuo marito vuole spaccare la faccia a Christopher?” chiese a Janet. “Già. Quando ho chiamato Chris per dirgli che qui la situazione non era cambiata, il deficiente ha cominciato ad inveirti contro, a stramaledirti e ha confessato di averti dato un soddisfacente pugno sul muso perché era l’unica cosa che meritavi per aver osato mettere incinta Elaine. Quando l’ho raccontato a Kevin, voleva prendere la macchina e andare a restituirgli il favore. E meno male l’ho fermato. Chris è fuori come un balcone, e penso non gli interessi nemmeno lo stato di salute della madre di suo figlio. Semplicemente ti odia, credo.” gli rivelò Janet, mettendosi sulla sedia all’altro lato del letto rispetto ad Andrew. “Sensi di colpa che escono” affermò Andrew. “Può darsi. O gelosia. Christopher, secondo me, non è mai stato sfiorato dall’idea che Elaine potesse rifarsi una vita. Sapere che invece sta succedendo, e per giunta con te, deve avergli mandato in tilt i pochi neuroni che ha.” Il sarcasmo di Janet, che davvero, pensò Andrew, era l’unica che sembrava riuscire a mantenere il sangue freddo in quella difficile situazione, lo stava risollevando un po’: con lei accanto, niente sembrava troppo buio, o troppo infelice o troppo 34


difficile. Janet aveva la capacità innata di dare il giusto peso alle cose, e se queste sembravano precipitare troppo in basso, era la prima a farle risalire almeno di un livello. “Su una cosa ha ragione, però” dichiarò Janet guardando dritto negli occhi Andrew. “Quale?” chiese lui senza abbassare i suoi. “Potevi stare più attento.” C’era un lieve rimprovero nella voce di Janet, che gli fece abbassare lo sguardo. “Non l’ho fatto apposta.” “Ci mancherebbe anche.” “E comunque ora è fatta.” “Ah, certo. Quel che è fatto è fatto.” Andrew rialzò gli occhi e dopo un lungo momento di silenzio, vide un accenno di tristezza sul viso di Janet, che aveva piegato le labbra in un sorriso stentato. Vederla vacillare per la prima volta lo sconcertò non poco. “Che c’è?” le chiese. “Prima che Elaine uscisse per venire da te, ieri, e che facesse l’incidente, avevamo litigato.” Andrew rimase ad aspettare che Janet continuasse il suo discorso. “Ero rimasta un po’ sconvolta dalla notizia del bambino, come dire, non avevo certo avuto reazioni di giubilo, ed Elaine c’era rimasta male e pensava che la disapprovassi. Ma non era così. Non è così. In fondo questa cosa del bambino mi piace, mi piace molto… la vostra a volte sembra una bella favola… ma sono spaventata dai tempi veloci con cui si sta sviluppando. Era solo questo, ma Elaine 35


non l’aveva capito” gli rivelò Janet, il cui viso diventava sempre più tirato. “Glielo farai capire appena si sveglia, Janet, non preoccuparti. Quando Elaine tornerà, cambieranno molte cose, e avrà bisogno di te, avremo bisogno di te.” Ma Janet non ribatté all’affermazione di Andrew. Tirò un lungo respiro tremolante. “Io ho come il sospetto di aver in qualche modo contribuito a questo incidente maledetto, Andrew. Dopo nemmeno dieci minuti che Elaine aveva lasciato la scuola, l’ho chiamata sul cellulare, per tentare di spiegarle meglio il mio atteggiamento, ma lei non ha mai risposto. Pensavo che non l’avesse fatto perché non aveva intenzione di parlare con me, ma ora non ne sono così certa: forse per rispondere a me si è distratta ed è successo quello che è successo. E io non me lo perdonerei mai.” Janet inghiottì più volte, nel tentativo di scacciare le lacrime. “O forse era già successo” disse Andrew, con molta calma. “Forse. Ma è anche per questo che deve svegliarsi: voglio sapere se sono stata io a fare tutto questo alla mia migliore amica, alla persona che considero più di una sorella, quella a cui voglio più bene al mondo…“ A questo punto, anche la coriacea Janet non riuscì più a trattenersi e scoppiò in lacrime. Andrew si alzò e andò ad abbracciarla. “Su, Janet, per favore. Non fare così. Se cedi tu, va davvero tutto a rotoli, come hai detto prima ad 36


Elaine. Non pensare di essere la causa di qualcosa, per favore, è stato solo il destino.” Andrew prese dall’armadietto di Elaine dei fazzoletti di carta e li porse a Janet. Mentre l’amica si soffiava il naso, Andrew si accovacciò vicino alla sedia dove lei era seduta, mettendole le mani sulle braccia, e le disse: “Sai, Elaine e io abbiamo sempre discusso molto dell’argomento destino. Lei è sempre stata un’accanita sostenitrice dell’ineluttabilità del destino e devo ammettere che lo sono diventato anch’io dopo la morte di Angus. Puoi fare e dire quello che vuoi, ma la tua strada è segnata, Janet, dall’inizio. Quindi, che sia stata o no la tua chiamata a farla distrarre dalla guida e a causare l’incidente, non ha importanza. Per qualche disegno divino che non ci è dato conoscere, è successo, e basta. É esattamente come il bambino, mio figlio: è successo e basta.” Andrew le accarezzava le braccia con dolcezza, tentando di consolarla, e poco alla volta Janet riprese il controllo. “Dobbiamo farla tornare, Andrew” disse Janet tirando su col naso. “Puoi starne certa, Janet. Io non rinuncio a lei.” “E io nemmeno. Voglio vederla diventare vecchia e rincoglionita” disse quasi ridendo, riacquistando un minimo di grinta. E poi si rivolse all’amica, sempre sdraiata immobile nel letto. “Hai capito Lennie? Ti voglio veder diventare vecchia e rincoglionita, per poterti prendere per il 37


culo, perché vecchia lo diventerò anche io, ma rincoglionita mai!” Andrew accennò a una risata molto dolorante, tenendosi il labbro tra le mani; poi prese i due libri portati da Campbell. “Io devo andare, Janet, tempo di fare la strada ed è ora del corso di storia all’Università. Torno per le otto, ti va bene?” “Benissimo, tranquillo, fai tutto quello che devi fare, io da qui non mi muovo. A Josh ci pensa Kevin.” “Leggi, parla, non lasciarla mai nel silenzio, chiamala, rompile le scatole…“ disse porgendole i due libri. “Oh, stai certo che lo farò, Andrew: quanto a rompere, sai che non mi batte nessuno, soprattutto con lei!” “E chiamami subito se succede qualcosa.” “Sta’ tranquillo e vai, fuori dalle scatole!” lo rassicurò Janet. Andrew si rivolse ad Elaine. “Aspettami, Lennie. Poco tempo e sarò di nuovo qui con te.” Le baciò delicatamente le labbra, le accarezzò i capelli e posò una guancia sulla sua dicendo una muta preghiera, poi uscì facendo un cenno di saluto a Janet, che rimase a guardare l’amica che sembrava dormire, ignara di tutto ciò che la circondava. “Ti ama da impazzire, lo sai Elaine, vero? Non puoi fargli questo, proprio non puoi, sei una stronza, e te lo dico proprio col cuore. Bene, ora, a noi due.” 38


E fu così che Janet iniziò una lunga chiacchierata con l’amica. Una conversazione di quelle che solo loro due avrebbero potuto capire e condividere.

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7 (mercoledì notte)

Andrew si era appoggiato con il viso alla mano di Elaine e aveva chiuso un po’ gli occhi stanchi. Aveva letto per lei, aveva parlato, aveva acceso la televisione e commentato le notizie del giorno, poi aveva di nuovo ripreso in mano i libri e aveva continuato a leggere. Ora era notte fonda. Aveva spento le luci e la camera era nella penombra, illuminata dalla luce notturna che entrava dalla finestra. Era una rara limpidissima notte, la luna brillava luminosa nel cielo. Il silenzio era rotto solo dal brusio delle macchine che monitoravano il cuore e la pressione di Elaine: i battiti del cuore segnavano 76, la pressione arteriosa era pressoché perfetta, 120 su 80, e Andrew la vedeva respirare: il petto si alzava impercettibilmente, ma con regolarità. Ciononostante, Elaine non muoveva un muscolo. Andrew le accarezzò il braccio, in quelle ore era libero dall’ago della flebo che la nutriva durante il giorno. 40


I suoi occhi si posarono sui tre piccoli nei che Elaine aveva sul polso: avevano la posizione della costellazione della Cintura di Orione e Andrew si ricordò di quando l’aveva notato per la prima volta. Erano passati tredici anni, tra loro due non c’era ancora null’altro che un’amicizia e la condivisione di un’aula scolastica, ma gli venne in mente l’esatto momento in cui aveva visto quei nei: erano ad una riunione dei docenti, seduti vicino, ed Elaine, durante una discussione che si stava sviluppando in toni aspri tra due colleghi, aveva appoggiato una mano sul suo braccio, guardandolo e alzando gli occhi al cielo, per fargli capire quanto li ritenesse idioti. Lui le aveva sorriso, aveva annuito, ma la mano di Elaine era rimasta sul suo braccio. Ricordò di averne avuto una piacevole sensazione e di aver posato lo sguardo su quella mano affusolata e delicata, attaccata ad un polso molto esile, su cui aveva notato i tre nei. Erano perfetti, sembravano quasi tatuati e avevano la posizione delle stelle nella Cintura di Orione. Ricordò di averglielo fatto notare e ricordò la risposta di Elaine: ‘Vengo dalle stelle, non lo sapevi?’ accompagnata da un’innocente e scherzosa strizzata d’occhio. Ora con un dito stava accarezzando i nei di Elaine. “La Cintura di Orione, Elaine, ti ricordi? Tu vieni dalle stelle… forse avevo cominciato ad innamorarmi di te quel giorno, sai? Mi ricordo che, quella sera, non avevo fatto altro che pensare alla tua mano posata sul mio braccio e alla tua frase. E mi dicevo che forse era vero, forse venivi dalle stelle, perché sei sempre stata diversa.” 41


Le posò dolcemente le labbra sul polso. “Sei così bella, Elaine, e lo sai vero? Faresti impazzire chiunque. I tuoi capelli sono così biondi da brillare come il sole e i tuoi occhi sono così scuri da sembrare notte.” Le dita di Andrew ora si misero a sfiorare i morbidi lineamenti del viso di Elaine, l’ovale perfetto, la fronte ampia e liscia, il naso dritto e sottile e con la punta leggermente all’insù, le labbra morbide e carnose, che tanto lo facevano impazzire quando si posavano sulle sue. “Elaine, io ho voglia di baciarti, ma non questi baci stupidi che sono costretto a darti in questi giorni, accidenti a te. Voglio baciarti e sentirti ricambiare il mio bacio, voglio che mi abbracci, che mi stringi. Ti amo così tanto da sentirmi male. Non puoi restare intrappolata lì dove sei, non puoi lasciarmi solo, perché solo con te il mio mondo è perfetto. Gli otto anni che ho passato senza mai vederti sono stati i più lunghi della mia vita: era sempre buio, senza di te, senza il tuo sorriso, senza i tuoi occhi, senza il tuo amore. Il tuo amore, Elaine, è una luce meravigliosa che mi fa vedere cose che nessun altro vede.” Rimase ad accarezzarle il viso, sperando che lei sentisse il suo tocco lieve, sperando di vederla reagire in qualche modo, ma la speranza fu vana. Allora, stanco e assonnato, posò la testa sul bordo del letto e, con una mano sul grembo di Elaine, dove stava crescendo il loro bambino, si addormentò. 42


E non vide che, sotto le palpebre, gli occhi di Elaine si muovevano.

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8 (mercoledì notte)

Ora la voce arrivava meno indistinta. Era una voce un po’ roca, che sapeva di conoscere bene. Stava parlando con un ritmo regolare, con un tono calmo e sommesso. Leggeva qualcosa, sì, qualcosa che lei ricordava… ‘Eppure lo farai perché, essendo io racchiuso in te, sono per forza tuo, e tuo è tutto ciò che è racchiuso in te.’ William Shakespeare. Da quando il buio si era trasformato ancora in grigio, e la corrente aveva smesso di trascinarla, era diventato tutto molto più chiaro di quanto lo fosse prima. Sentiva bene le voci e capiva le parole, ma ancora non riusciva a dare un volto a queste voci. Per un po’ di tempo aveva sentito la voce di una donna, e le piaceva starla ad ascoltare: era forte, decisa e rideva molto. Poi era tornata la sua voce preferita, quella che la cullava, che la accarezzava, che la faceva sentire 44


bene. Il dolore si attenuava, quando quella voce parlava. Era avvolta da una nebbia sottile, anche se fitta. Eppure in quella nebbia, ad un certo punto, percepì un volto: gioviale, dai lineamenti molto squadrati, sorridente, un po’ lentigginoso. Elaine si sentì assalita da un nome: Angus. Con la voce della mente parlò a quel volto. -Angus!-Sì, Elaine, sono io. Ti ricordi di me?-Certo che mi ricordo di te. Ma dove siamo?-Siamo in un posto da dove è difficile tornare, se non lo si vuole.-Perché sei qui?-Per dirti che non puoi stare qui, e più rimani più rischi di non riuscire a tornare. Va’ da loro, hanno bisogno di te.-Loro? Chi sono loro? E perché hanno bisogno di me? Io sto bene, qui. Quando tento di tornare, il dolore mi stringe la testa e non resisto.-Loro sono le persone che ti amano. Non lasciarle sole, hanno bisogno e ti aspettano.-Angus, chi è che continua a parlarmi? Chi è che mi tocca? Io sento le sue mani su di me, e mi piace sentirle, ma non riesco a vederlo.-Andrew.E dopo aver pronunciato quel nome, il volto di Angus sparì e ritornò nella nebbia. Andrew. Una sagoma cominciò a prendere forma nella mente di Elaine, cominciando dal colore degli occhi, verdi. 45


-…verdi come le brughiere delle Highlands…Le Highlands. -…ti aspetterò sempre qui, nelle Highlands…Ti aspetterò sempre. -…io ti amo, Elaine…Io ti amo. Era un ricordo o qualcuno lo stava dicendo? Io ti amo. No, qualcuno lo stava dicendo. Andrew. La figura di un altro uomo stava apparendo nella nebbia: alto, magro, coi capelli scuri un po’ fuori posto, gli occhi verdi sorridenti e ironici. E ancora la voce di Angus che usciva dal buio e diceva: -Andrew. Non lo lasciare, l’ho già lasciato io.Angus era morto. E allora come faceva a vederlo e a parlargli? No, non voleva morire anche lei, voleva tornare. Tornare da Andrew. Andrew, che stava parlando con lei. Che aveva sempre parlato con lei da quando lei era nella corrente. Cercò di muoversi, ma si sentiva ancora imprigionata in quella corrente. Si dibatté nella mente, cercò di liberarsi dalle corde invisibili che la tenevano legata, ma lo sforzo era troppo e cedette ancora, lasciandosi fluttuare di nuovo nel nulla. E chiamò quel nome, Andrew. 46


Ma non rispose. Aveva anche smesso di parlare. E lei fu di nuovo avvolta dal silenzio.

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9 (mercoledì notte)

Quando Andrew si risvegliò, era intirizzito dal freddo. Aprì gli occhi e per un momento non ricordò più dove fosse. Aveva sognato Angus. Gli capitava raramente, ma quando succedeva erano sogni molto nitidi, come quello di quella notte. Stavano passeggiando fuori della casa di Angus a Dingwall, e stavano parlando di Elaine. Andrew gli stava raccontando di quando l’aveva conosciuta, appena arrivato a Broxburn e preso l’incarico di insegnante di religione alla Queen Mary’s School. Angus sorrideva. All’improvviso uscirono dalla casa i suoi due figli, uno di quindici anni e uno di diciotto, ormai adulto. Andrew aveva guardato Angus e gli aveva chiesto come potesse essere possibile: lui era morto quando i due ragazzi erano dei bimbi di tre e sei anni. Angus gli aveva risposto che nel mondo dei sogni accadono delle magie (-it’s a kind of magic!- aveva canticchiato, citando gli amati Queen) e quando si spezza quel velo invisibile tra realtà e fantasia, tutto può succedere. E poi, dietro ai ragazzi, uscì Elaine, che sorrise ad 48


Andrew, un sorriso talmente dolce da fargli perdere un battito di cuore. ‘Sono qui, sono tornata’ gli aveva detto. E in quel momento si era svegliato, infreddolito e confuso, ancora sospeso tra il sogno e la realtà dell’ospedale. L’unico punto in cui non sentiva freddo era la mano che, prima di addormentarsi, aveva appoggiato sul ventre di Elaine. Alzò la testa e quello che vide lo lasciò senza fiato: sulla sua mano c’era quella di Elaine. Rimase fermo e immobile a guardare le due mani unite, cercando di capire se quello che vedeva fosse vero o solo l’eco del sogno fatto. Il tempo passò e la mano di Elaine era sempre appoggiata sulla sua. Fu preso da un'emozione indicibile. “Mio Dio… Elaine!” sussurrò, guardandola, in cerca di qualcosa che potesse indicargli un cambiamento. “Elaine, ti sei mossa, ti prego, rispondimi, apri gli occhi! Ci sei?” Ma Elaine era immobile come sempre e non reagì minimamente alle sue parole. Rimase indeciso sul da farsi. Quasi non osava spostare la mano da sotto la sua ma, con molta attenzione, riuscì a raggiungere il bottone che chiamava le infermiere e a premerlo. Dopo nemmeno un minuto entrò Chloe, l’infermiera che tutte le notti assisteva Elaine… e anche Andrew: sempre gentile e affabile, passava parecchie volte per vedere se avesse bisogno di 49


qualcosa o a fare un controllo veloce della situazione. “Dica, signor McPherson” disse, disponibile come sempre, quando entrò nella camera. “Chloe… la signora Kincaid si è mossa” sussurrò Andrew, senza spostarsi dalla posizione scomoda in cui era, mostrando con un movimento della testa le loro due mani unite sull’addome di Elaine. Chloe socchiuse gli occhi, valutò la situazione e si avvicinò ad Elaine guardandola attentamente. “Quando mi sono addormentato la sua mano non era sulla mia, e tantomeno ce l’ho messa io. Quindi l’ha spostata lei mentre dormivo.” “Mi faccia controllare” disse Chloe accendendo la luce e dando una rapida scorsa alle macchine e ad Elaine: tastò il polso, controllò i bulbi oculari, la saturazione dell’ossigeno, la pressione. “Non sembra essere cambiato molto… i valori sono sempre uguali, le pupille reagiscono ma non so cosa dirle, ci vorrebbe la valutazione attenta di un medico o perlomeno andare a rivedere i tracciati delle macchine, per capire se hanno registrato qualche anomalia nelle ultime ore. Ma io non posso farlo, mi dispiace, signor McPherson. Se vuole chiamo il medico di turno, ma non credo possa essere considerata una situazione di emergenza.” Guardò Andrew in attesa di una risposta. “Io l’ho chiamata, ma non ha reagito nemmeno questa volta. Chloe, cosa dobbiamo fare?” chiese Andrew, indeciso se ritornare nello sconforto oppure sentirsi più ottimista per questo 50


cambiamento. Perché indubbiamente un cambiamento era stato. Chloe controllò l’orologio. “Sono le sei, tempo due ore e i medici faranno le prime visite. Io le consiglierei di aspettare. Appena arriverà il dottor Morrison lo farò venire qui e potremo capire meglio.” “Va bene, facciamo così” disse Andrew. “Signor McPherson, la prego, stia tranquillo” disse Chloe mettendogli una mano sulla spalla, cercando di rincuorarlo, “tornerà da lei, io ne sono sicura. Ne ho visti tanti altri. Non è propriamente un coma, lo sa. La signora Kincaid non è in stato vegetativo, quindi dobbiamo solo aspettare e avere pazienza. E tornerà, vedrà.” Andrew le sorrise. Era una giovane donna, molto dolce e carina, quanto di meglio si potesse desiderare per assistere Elaine. “Grazie Chloe.” Con un sorriso l’infermiera uscì dalla camera e Andrew, sciogliendo quasi con rammarico le loro due mani, si avvicinò ad Elaine ancora di più ad Elaine. “Ehi, ragazza, non so più cosa fare con te. Però tu ti sei mossa, da sola. Io ne sono certo, quindi devi soltanto fare un piccolo sforzo in più.” Poi decise di chiamare Janet, nonostante l’ora, perché questi erano gli accordi tra loro due: dovevano comunicarsi qualsiasi cambiamento anche impercettibile, giorno o notte che fosse. Mentre raccontava gli ultimi sviluppi a una Janet entusiasta, risvegliatasi completamente e già pronta 51


a raggiungerlo in ospedale, Andrew si scoprì felice e speranzoso, tanto da decidere di telefonare anche a Christopher, stendendo un velo su quanto successo la mattina precedente. L’ex marito di Elaine rispose al secondo squillo. “Christopher, sono Andrew” disse, con un grande sforzo per rimanere tranquillo. “Cos’è successo?” domandò Christopher con la voce preoccupata. “Questa notte Elaine si è mossa.” Andrew gli spiegò cos’era accaduto e sentì che, poco a poco, il tono di Christopher si ammorbidiva e rimasero d’accordo di vedersi dopo un paio d’ore, quando sarebbero arrivati i medici. “Christopher…” iniziò Andrew. “Se devi dirmi qualcosa a proposito di ieri mattina, lascia stare. Forse un po’ mi dispiace, ma non mi puoi dire che non te lo meritavi.” “No, non è per quello. La risolveremo in un altro momento, quella faccenda. Io devo solo dirti ancora una volta, e voglio davvero insistere questa volta, che sarebbe necessario che tu portassi qui Nicholas.” Andrew era irremovibile, su questo punto. “Ancora, Andrew? Ancora questa storia? Ma perché insisti tanto?” Christopher sembrava esasperato, ma perlomeno, pensò Andrew, non l’aveva chiamato col cognome, il che era un progresso. “Perché in qualche modo sta reagendo a quello che stiamo facendo da due giorni: io e Janet non facciamo altro che parlarle, leggere libri, farle ascoltare musica, e qualcosa sta cambiando. Se 52


Nicholas le parlasse, la toccasse, la chiamasse... So che potrebbe essere molto doloroso, per lui, ma pensaci, Christopher. Innanzitutto vedrebbe che sua madre, in fin dei conti, sta bene e ha solo qualche graffio e un bozzo in testa, e poi potrebbe essere fondamentale, la sua presenza. Non devo dirti io che tipo di madre è Elaine, vero? Questo non te lo devo proprio dire, credo.” Il silenzio dall’altra parte del filo si protrasse per qualche istante, facendo ben sperare Andrew: perlomeno ci stava riflettendo, questa volta. “Ok, ci penso. Ci vediamo più tardi” disse alla fine, concludendo la telefonata. “D’accordo, a dopo.” Decisamente, questa conversazione era stata un progresso. Andrew però, scaltramente, non aveva detto a Christopher che, quando sarebbe arrivato, ci sarebbe stata anche Janet e che insieme sarebbero riusciti a metterlo alle strette.

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10 (mercoledì mattina)

“Effettivamente, riguardando i tracciati delle macchine, abbiamo rilevato delle anomalie intorno alle quattro e mezza di stanotte e per la precisione un aumento del battito cardiaco e un lieve innalzamento di pressione.” Il dottor Morrison stava parlando con i suoi modi pacati a Andrew, Christopher e Janet, fermi appena fuori dalla porta della camera di Elaine. “E questo cosa vuol dire?” chiese Christopher. “Vuol dire che è possibile che ci sia stato un volontario tentativo di uscire dallo stato di incoscienza in cui si trova la signora Kincaid.” Poi si rivolse ad Andrew: ”Sì, signor McPherson, il movimento della signora può essere stato volontario, anziché, come a volte accade, un riflesso nervoso involontario.” “Quindi” disse Andrew speranzoso ”è un buon segno?” “Quindi” aggiunse Janet “potremmo essere vicini al risveglio?” “Signori, dopo delle lesioni alla testa, uno stato di incoscienza è considerato abbastanza normale. Non è normale che questo perduri oltre le quarantotto ore. Mancano poche ore a questo limite. Di certo 54


dobbiamo tenere in considerazione che tutti gli esami fatti non evidenziano ematomi subdurali, aneurismi o quant’altro. Se la signora non fosse incinta, farei fare ancora TAC e risonanza magnetica per una ulteriore sicurezza. Ma per oggi direi di monitorarla attentamente e basta. Se entro domani le cose non cambieranno, deciderò in merito.” “Però, dottore, non ha risposto alla mia domanda.” Janet non si lasciava proprio scappare nulla. “Tralasci i termini medici e mi dica: potremmo essere vicini al risveglio?” “Potremmo, sì, ma tenga presente che mi sta strappando una previsione che vorrei tanto si avverasse, ma di cui non c’è la certezza.” “É già un inizio” disse Christopher, condividendo lo stato d’animo di Janet. Quanto ad Andrew, aveva lasciato i due col medico ed era già rientrato in camera. Si era avvicinato ad Elaine e la stava guardando attentamente. Poi si avvicinò al suo orecchio e le sussurrò: “Ero sicuro, che l’avessi fatto davvero. Mi hai preso la mano Elaine. Vuol dire che mi senti, che stai per tornare” e l’accarezzò dolcemente sul viso. In quel momento entrarono anche Janet e Christopher, che si avvicinarono anche loro al letto di Elaine. Rimasero fermi a guardarla, ma c’era qualcosa di diverso: aleggiava la speranza, finalmente. “Io ho il corso all’università, stamattina. Chi rimane con lei?” chiese poi Andrew guardando l’orologio, e 55


facendoli tutti uscire dall’immobilità e dal corso dei loro pensieri. “Rimango io” rispose Christopher. “Bene, anch’io devo ritornare a scuola; oggi sarebbe stata la mattina libera di Meggie, invece mi sta sostituendo fino alle dieci” disse Janet. Poi lei e Andrew si scambiarono un eloquente sguardo. “Poi oggi porti qua Nicholas, vero?” chiese Janet a Christopher, senza più mezzi termini. L’uomo guardò prima una, poi l’altro. “Cos’è, vi siete coalizzati?” chiese. “Piantala Chris! Adesso è ora di finirla di fare l’arrogante, il duro e lo stronzo. Per prima cosa, Nicholas ha assolutamente bisogno di vedere che sua madre è viva. Tu lo sai che lo sto tenendo nella mia classe in questi giorni, ma ti posso assicurare che anche se poi a casa ha te e i nonni, la sua situazione psicologica è pesante. Soprattutto con la mamma di Elaine che non fa che piangere, e anche questo tu lo sai bene. Seconda cosa, Elaine è sulla strada buona, ma per quanti sforzi facciamo io e Andrew, secondo me ha bisogno di sentire la voce di suo figlio, e tu non puoi impedirci di credere che possa essere basilare.” “E se non servisse a niente? Chi vi dice che vi sente? Chi vi assicura che ascolta tutto quello che le dite in questi giorni?” Christopher si spostò nella stanza ”Libri, televisione, musica, parole, parole, per poi magari scoprire che è tutto inutile.” A questo punto fu la volta di Andrew, di alterarsi completamente. Si avvicinò talmente tanto a 56


Christopher da metterlo al muro, subito trattenuto da Janet, timorosa che si potesse ripetere la scena della mattina precedente. “Senti, tu devi piantarla di dire cazzate, ok? Ieri mi hai accusato di averle rovinato la vita. Ok, va bene, lo accetto. Ma se a te non importa più niente di lei, non devi intralciare i nostri tentativi per farla tornare, e soprattutto non la puoi, cosciente o meno, privare della presenza di suo figlio, del bambino che sta crescendo praticamente da sola da cinque anni. Tu devi far ordine nella tua testa, Christopher, e decidere se conta qualcosa, quello che è stata Elaine per te, o se non te ne frega più niente. E se la risposta è la seconda, puoi anche prendere il primo aereo e tornartene a Londra dalla tua musica e dalla tua bella. Qui ce la caviamo anche senza di te.” Christopher guardò Janet, che, pur trattenendo Andrew per una manica, ne approvava le parole, ed era chiaro dal suo sguardo. “Ha ragione. Deciditi” disse infatti. Dopo una pausa in cui nessuno dei tre abbassò lo sguardo, finalmente Christopher diede la risposta. “Va bene” disse alzando le mani come in segno di resa, “va bene. Janet, vengo a prenderlo a scuola oggi pomeriggio e lo porto qui.” “Bene” disse Andrew, allontanandosi e sciogliendo così un po’ la tensione nell’aria. “Ricordatevi solo una cosa…” aggiunse poi Christopher “…vi riterrò completamente responsabili se dovesse succedergli qualcosa.” 57


Andrew scosse la testa e fece una mezza risatina sarcastica. “Certo Christopher, anzi, guarda, lascia anche fuori Janet da questa faccenda. Io me ne assumo tutte le responsabilità. Completamente. Sei contento, adesso?” “Perché tu sarai qui, immagino.” “Assolutamente sì, Christopher, mi dispiace per te, ma assolutamente sì” confermò Andrew. “Facciamola finita, adesso, per favore” intervenne Janet, cercando di calmare gli animi. “Chris, io e Andrew dobbiamo andare. Per favore, e ripeto, per favore, non startene qui zitto tutto il tempo: fai uno sforzo, parlale, leggi, accendi la televisione, falle sentire la musica. Provaci, anche se non ci credi, ok?” “Sta’ tranquilla. Proprio pensate che Elaine non conti più niente, per me?” rispose Christopher. “A volte ho dei seri dubbi, Chris, veramente dei dubbi molto forti” replicò Janet, guardandolo profondamente negli occhi. “Beh, fatteli passare. Andate via, per favore, lasciatemi da solo con lei. Può darsi che in fondo abbiate ragione voi, e allora avrei magari delle cose da dirle.” Andrew e Janet guardarono l’orologio contemporaneamente: videro che per entrambi era ora di andare e Andrew si avvicinò come sempre ad Elaine per darle un bacio e sussurrarle ‘torno presto’. Salutarono Christopher e uscirono dalla camera. 58


Mentre erano in ascensore, non poterono fare a meno di esprimersi le loro perplessità. “É più strano del solito, credimi” disse Janet ”Forse è davvero molto preoccupato, ed è il suo modo di reagire.” “Lo spero davvero. Credo di non aver mai odiato nessuno, nella mia vita, ma con lui ci sto andando molto vicino” confessò Andrew, mentre raggiungevano il piano terra. “Oh, si vede benissimo. Tanto che ho deciso che dirò a Kevin di venire ‘casualmente’ a trovare Elaine, oggi pomeriggio. Mi spiace, Andrew, ma non mi fido, né di te né di lui, a questo punto, e voglio che sia presente anche mio marito, quando arriverà Nicholas.” “Non farei o direi mai niente che possa turbare Nick, Janet, puoi starne certa!” replicò Andrew, stupito dalla poca fiducia accordatagli dall’amica. “Lo so, Andrew” lo rassicurò lei “ma siete entrambi troppo alterati, ormai, e preferisco che ci sia anche lui. Elaine, tempo fa, mi aveva fatto giurare una cosa: che se le fosse successo qualcosa, avrei dovuto prendermi la responsabilità totale su Nicholas, e ho anche un suo scritto, a tal merito, di cui Christopher forse non sa nemmeno l’esistenza. Ma c’è, io ho giurato che l’avrei fatto e ora è il momento. Quindi, senza offesa, ho deciso così e così sarà.” Dopo la breve crisi del giorno prima, Janet aveva ripreso in mano la situazione con la solita fermezza. Erano arrivati ormai all’uscita. 59


Andrew si fermò poco prima dell’uscita e abbracciò Janet, lasciandola un po’ attonita. “Grazie, Janet, sei un’ amica unica. E fai finta che te lo stia dicendo lei.” Janet ricambiò l’abbraccio, ridendo e sciogliendo finalmente un po’ della tensione creata dal diverbio Andrew-Christopher. “Non fare il lecchino, Andrew. E sappi che sei il primo sulla lista di quelli che subiranno le mie ire funeste, se dovessi renderla infelice ancora una volta” si staccò da lui e lo guardò minacciosamente. “Il primo della lista.” Dopo di che si avviarono ognuno ai propri doveri, ben fiduciosi dell’incontro di Nicholas con la mamma.

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11 (mercoledì pomeriggio)

Andrew e Kevin stavano parlando sommessamente accanto al letto di Elaine, scambiandosi opinioni su Christopher. “É indubbiamente cambiato molto, dai primi tempi in cui lo conoscevamo. Forse è un po’ l’ambiente che frequenta, forse la nuova compagna, o forse è così e basta. Non te lo saprei dire: all’inizio non era male averci a che fare“ stava dicendo Kevin. “Non posso credere che Elaine abbia sposato una persona così arrogante, deve essere cambiato per forza” rifletté Andrew. “Ma certo. Effettivamente poi, il periodo delle udienze in tribunale non è stato facile per Elaine ma nemmeno per lui. La differenza è che Elaine ha ottenuto quello che voleva, lui no. Non ti dico che non avere l’affidamento congiunto sia come privarti di tuo figlio, ma di sicuro è uno smacco, per un padre. Mi sono messo nei suoi panni, e non deve essere stato piacevole. Ma ti dico anche che con questo non sto assolutamente giustificando il suo atteggiamento” Kevin, da sempre, era un uomo molto pacato e riflessivo. 61


“Beh, speriamo solo che faccia le cose per bene oggi pomeriggio con Nicholas” disse Andrew. Mentre parlava, teneva la mano di Elaine, sperando che sentisse l’amichevole conversazione tra lui e il marito di Janet. Poi cambiò argomento. “Ehi Kevin, che fine ha fatto Margareth Jordan? Ne avete più sentito parlare?” chiese improvvisamente Andrew. “Ma come, insegni all’Università di Edimburgo e non lo sai?” chiese stupito Kevin. “Che cosa? Da quando sono andato via da Broxburn, non ne ho saputo più nulla… e nemmeno mi interessava, a dire il vero. Però ammetto che mi è venuta in mente quando ho rivisto tutti voi lo scorso Natale” confessò Andrew. “Beh, comunque sia, dopo la laurea in biologia e scienze ha iniziato a lavorare nel team che sta facendo ricerche sulle cellule staminali proprio all’Università di Edimburgo” rivelò Kevin. “Davvero? Però, che carriera!” disse Andrew abbastanza stupito ”Ed è sempre la solita testa calda o cosa?” aggiunse poi. “No, in effetti, da quando sua mamma è morta di cancro sei anni fa, è molto cambiata. O così sembrerebbe. Vedi che anche per Christopher, la vera natura del carattere esce sempre…” “Petunia è morta di cancro?” “Sì, una forma fulminante di tumore al pancreas, purtroppo. Ha sofferto molto” spiegò Kevin. “Mi spiace molto, davvero. Una gran rompipalle, ma quello non se lo merita mai nessuno” ammise 62


Andrew. ”Ricordo che veniva a confessarsi tutte le sacrosante settimane e tutte le volte erano le stesse sacrosante parole… Anche con Padre James. Povera donna! Con la sua mania di perbenismo e il suo bigottismo si è fatta una ben misera vita.” In quel momento apparvero sulla soglia Christopher e Nicholas. Il bambino sembrava molto intimidito e scosso, quasi non sapesse cosa fare. Andrew si alzò subito dalla sedia, si avvicinò a lui e si accovacciò per parlargli. “Ehi Nick! Sei venuto a trovare la mamma, oggi!” gli disse, trovando un tono gioviale da mettere nella voce. Dopo un attimo di esitazione il bambino si staccò dalla mano del padre e, impulsivamente e forse con un po’ di disappunto da parte di Christopher, abbracciò Andrew, che ricambiò prontamente. “Il papà mi ha detto che sta dormendo, ma che non riesce a svegliarsi” disse triste e avvilito il bambino, ”Ma non sta tanto male, vero?” Andrew si staccò da lui, lo guardò dritto negli occhi, cercando di infondergli sicurezza. “Assolutamente no, Nick. Andiamo da lei?” chiese. Nicholas annuì e con una mano in quella di Andrew e l’altra in quella del papà, si lasciò portare fino al letto di Elaine. Christopher lo sollevò e lo posò sul letto delicatamente, spostando un braccio di Elaine per fargli posto. Nicholas guardò la mamma, e, come suo solito, cominciò con le domande. “Ha la testa fasciata. Si è fatta tanto male?” 63


“Ha un gran bel bernoccolo, con un taglio abbastanza profondo, che però i medici hanno ricucito a regola d’arte” disse Christopher. Poi Nicholas prese la mano della mamma e gli passò la manina sul braccio. “E tutti questi graffi e tagli?” “Quando la macchina è finita contro l’albero, si è rotto il finestrino e i pezzettini di vetro hanno colpito la mamma; però è stata brava: con le braccia deve aver cercato di ripararsi la faccia, perché, vedi? Lì non ci sono tagli” spiegò Andrew. “E poi che cos’ ha?” chiese ancora il bambino. “Un paio di costole incrinate, che secondo me le faranno un po’ male per un po’ di tempo, ma che sicuramente guariranno anche loro” era il turno di Christopher, per dare la risposta. “Perché non si sveglia?” Era finalmente giunto alla domanda che lo preoccupava di più, e lo si capì dal tono un po’ più tremolante della voce. “Questa è una domanda alla quale non sappiamo rispondere, Nicholas. Anche i dottori sanno solo che si sveglierà, ma non ci possono dire quando.” Nicholas toccò timidamente e delicatamente le piccole ferite da taglio sul braccio di Elaine. Poi spostò lo sguardo sul viso della mamma. “É bella la mamma, vero? Non sembra stare tanto male.” Andrew si voltò un attimo dall’altra parte. La commozione di vedere Nicholas accanto ad Elaine lo stava sopraffacendo. Schiarì la voce e fece cenno a Christopher di rispondere. 64


“Certo che è bella, la mamma, e non sta di sicuro così male. Si sveglierà presto, vedrai” gli disse Christopher, con un tono di voce talmente dolce da lasciare completamente stupiti Andrew e Kevin, che stava guardando la scena da un po’ più lontano. “Forse” disse Nick improvvisamente pensieroso ”ha tanto male alla testa, o alle costole, o alle braccia, e preferisce dormire fino a quando non le passa, così non lo sente.” La semplicità della frase di Nicholas lasciò tutti e tre sbigottiti. Si scambiarono uno sguardo, e Andrew fu il primo a sorridere. “Sai che forse hai ragione tu, Nicholas? Quando ti sbucci le ginocchia, a te fa male?” gli chiese. “Cavolo, se mi fa male! E guarda la mamma quanti tagli ha… e la testa fasciata… figurati se non le fanno male!” disse Nick, con le lacrime che gli stavano riempiendo gli occhi. Andrew cercò di allontanarlo dall’idea del dolore di Elaine. “Ma è sempre bellissima, per noi. Non vorresti dirle qualcosa?” disse Andrew. Nicholas guardò uno ad uno i tre uomini presenti, e Andrew capì che forse era un po’ in imbarazzo. “Se vuoi” disse “io e Kevin usciamo, mentre tu parli alla mamma” propose. La risposta del bambino lasciò ancora una volta tutti di stucco. “Voglio che rimani solo tu” disse Nick, rivolgendosi ad Andrew. Christopher, visibilmente in scacco, si allontanò, seguito da Kevin, e insieme uscirono. 65


Andrew, ancora incredulo della piega che aveva preso la situazione, si sedette al solito posto, accanto a loro due. “Andrew, la mamma non morirà, vero?” mormorò con tono molto preoccupato Nicholas. “Assolutamente no, Nick, non devi nemmeno pensarlo per scherzo” lo rassicurò Andrew con tutta la fermezza di cui fu capace: la domanda di Nicholas gli aveva gelato il sangue. “Io mi sono spaventato tantissimo. Ho avuto tanta paura.” “Anche io, Nick, anche io.” “Cosa le posso dire?” domandò incerto Nicholas: era chiaro che non sapeva bene come comportarsi. “Qualsiasi cosa ti viene in mente, tesoro.” Ci fu un lungo momento di silenzio. Poi Nicholas sorrise. “Posso strizzarle le guance? Io e lei giochiamo sempre, così.” “E se invece tu l’accarezzassi?” propose Andrew, cercando di contenere la naturale impulsività dei bambini. Allora Nick scese dal letto, si sedette sulle ginocchia di Andrew, insieme a lui si spostò verso il viso di Elaine e iniziò a toccarla. A quel punto, tutto quello che aveva tenuto dentro in quei giorni, uscì finalmente senza più freni. “Mamy, io voglio che torni a casa. Non ho più voglia di stare coi nonni e neanche col papà, voglio che torni a casa, così Andrew viene a trovarci, e ci divertiamo insieme. Se vuoi dormire ancora un po’, 66


perché senti il male, fallo, io ti capisco. Ma non troppo tempo, per favore. Non troppo tempo.” Poi si girò verso Andrew. “Tu ci vieni, da noi, vero?” “Certo, tutte le volte che vorrai” assicurò Andrew. “Tu non devi più vivere in parrocchia, vero? Non sei più un prete?” “No, Nicholas, te l’ho già spiegato qualche giorno fa. Ora abito a Edimburgo” disse Andrew sorridendogli. Nicholas rimaneva molto pensieroso. “La mamma sorride sempre tanto, quando ci sei tu. Tu vuoi bene alla mamma?” La domanda spiazzò completamente Andrew. “Sì, le voglio tanto bene, Nicholas, tanto” rispose semplicemente Andrew, che ancora una volta si stava lasciando prendere dall’emozione. “Allora dovrai venire sempre, a trovarci, quando la mamma si sveglia, perché lei è più bella quando sorride ed è con te.” “Lo farò, Nick” promise Andrew. “Adesso devo già andare a casa o posso rimanere qui con lei ancora un po’?” “Puoi stare tutto il tempo che vuoi. Però forse possiamo far rientrare il papà e Kevin, no?” “Sì, adesso sì.” E mentre Nicholas si arrampicava ancora sul letto di Elaine, scuotendo un po’ quell’immobilità che mai era stata turbata fino ad allora, Andrew si alzò e andò a chiamare Christopher e Kevin. Quando furono di nuovo tutti insieme nella camera, pilotò la conversazione sulla scuola, così da fare in 67


modo che Nicholas parlasse il piĂš possibile, nella certezza che Elaine lo potesse sentire. E sentisse la necessitĂ di tornare da loro.

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12 (giovedì notte)

Il buio era sparito del tutto. Ne era uscita da un po’ di tempo, più lucida e più tranquilla, e per qualche motivo sapeva che non ci sarebbe più tornata. Nel grigio e nella nebbia che si andava via via diradando, erano sempre più numerosi i volti e le voci che riusciva a distinguere. Era stata una voce ben precisa che l’aveva richiamata dal profondo: una voce dolce, querula, da bambino, che l’aveva chiamata mamma. In quel momento il volto di Angus era riapparso, pronunciando un altro nome: ‘Nicholas.’ ‘So chi è Nicholas. É il mio bambino.’ ‘Stai cominciando a ricordare tutto, Elaine?’ ‘Sì. Sono Elaine, e Nicholas è mio figlio. Nick. E Andrew è l’uomo che amo.’ ‘Devi ancora ricordare una cosa, poi potrai tornare.’ ‘Che cosa?’ ‘Guarda dentro te stessa.’ Elaine non capì, e il volto di Angus scomparve. ‘Guarda dentro te stessa.’ 69


Perché era finita in quel luogo di solitudine e grigio? Non ricordava, non ancora. Ma suo figlio continuava a parlare e improvvisamente ne vide il volto: biondo, con gli occhi scuri, e quelle guance pacioccone… Le venne voglia di toccarlo, ma era difficile muoversi nel grigio. Capì che avrebbe dovuto tentare, tentare e tentare finché non ci sarebbe riuscita. Nicholas sembrava essere lì con lei nel grigio; parlava, giocava, rideva: che bello era stare con lui! All’improvviso ebbe la certezza che nel grigio non si potesse toccare nessuno, e questo la riempì di tristezza. Doveva uscire, doveva uscire per forza. ‘Mamma!’ Qualcun altro l’aveva chiamata, non era la voce di Nicholas. Scrutò profondamente il grigio. Si delineò fiocamente la sagoma di un altro bambino… No, non era un bambino… Era una bambina, coi capelli scuri e gli occhi chiari. ‘Chi sei?’ La bambina non rispose. La voce di Angus si fece ancora sentire. ‘Guarda dentro te stessa.’ Un po’ incerta, Elaine rifece la domanda. 70


‘Chi sei?’ La bambina le venne incontro ma si fermò accanto a Nicholas, prendendolo per mano. ‘Mamma!’ Quella bambina continuava a chiamarla mamma… Doveva guardare dentro se stessa, aveva detto Angus. E, con un lampo che squarciò definitivamente il grigio e la nebbia, ricordò tutto. Si rivide dolorante e completamente fredda tra le lamiere di una macchina, il mondo capovolto, il cielo sopra di lei. E vide se stessa portare una mano sopra il ventre, perché doveva proteggere la nuova vita che stava crescendo in lei. Quella bambina era la figlia di Andrew. Stava andando da lui a dirglielo quando tutto si era spezzato. Ma ora doveva dirglielo, doveva tornare, doveva uscire dalle acque e risalire sull’argine, e doveva portare con sé quella bambina. Le tese la mano. La bambina lasciò quella di Nicholas, che scomparve, e afferrò quella di Elaine. Elaine ne sentì il calore, e il sangue che scorreva, e il cuore che pulsava. La bambina la guardò con i suoi vivaci occhi verdi, le sorrise ed Elaine sentì l’amore. 71


Amore: la prima parola che le aveva impedito di affondare per sempre nel nero, e che ora la stava riportando a galla, alla salvezza. ‘Andiamo.’ disse la bambina ad Elaine, e insieme si voltarono: videro tanti colori. Il mondo non era solo grigio o nero, allora, ma pieno di luci e colori. S’incamminarono, e mentre, un po’ faticosamente, mettevano un piede dopo l’altro per avvicinarsi ai colori, Elaine sentì per l’ultima volta la voce di Angus: ‘Ci rivedremo, Elaine. Dillo anche ad Andrew, verrà il giorno in cui ci rivedremo.’ Quando Elaine si voltò per rispondergli, non c’era più nulla: i colori avevano invaso tutto.

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13 (giovedì mattina)

Janet sedeva sulla solita sedia vicino al letto di Elaine. Quella sedia era diventata ormai bollente per tutti quelli che ci si sedevano sopra, e Janet lo stava giusto dicendo all’amica. “Che barba, Lennie, questa è una delle sedie più scomode del mondo e tu ci costringi a starci delle ore… ci verranno le emorroidi!” Erano ormai passate settantadue ore dall’incidente e dall’inizio dell’incoscienza di Elaine. Janet era arrivata presto quella mattina, in tempo per parlare con i medici, poiché Andrew era impegnato tutta la mattina a Glasgow al colloquio con l’Arcivescovo, previsto per le nove. Aveva chiesto a Meggie di fare lezione senza di lei: Elaine non andava lasciata sola, e sia lei sia Andrew non si fidavano troppo di Christopher. I genitori di Elaine si limitavano a un paio di visite di un’oretta ogni giorno, ma la madre, donna dal carattere un po’ troppo sensibile, non ce la faceva a rimanere molto accanto alla figlia in coma. Coma: questa parola era comparsa sulle bocche dei medici dopo il giro di visite della mattina. 73


Ma coma era una parola che spaventava molto: non si trattava più di incoscienza, coma intendeva qualcosa di molto più grave e con molti più punti di domanda. Nel pomeriggio avrebbero rifatto TAC e risonanza magnetica ad Elaine, per accertarsi che non si fosse sviluppato qualcosa di nuovo che la teneva legata a quello stato. Janet, imperterrita, continuava i suoi monologhi con l’amica. “Ieri Bruce Hamilton mi ha detto che non gli piace molto fare il direttore della Queen Mary, troppo da fare… sai, per uno scapolone incallito come lui, sono troppe ore di lavoro. Dice che non può più che torni. E io mi sono guardata bene dal dirgli che prima o poi entrerai in maternità, e quindi ti dovrà sostituire ancora. Ah, poi dice che il tuo ufficio non gli piace, con tutti i fronzoli che ci hai messo… ti pareva! D’altra parte è un uomo no, che cosa potremmo aspettarci? Fossi in te, appena rientri a scuola, nominerei un altro vice-direttore, una donna possibilmente.” Janet si alzò e andò verso la finestra, dove rimase per qualche attimo in silenzio, un po’ meditabonda, guardando, senza in realtà vedere, quello che succedeva all’esterno. “Sai” ricominciò poi, “io e Andrew ci contavamo tanto nella visita di ieri di Nicholas. Speravamo tanto che, mentre lui ti parlava, tu potessi risvegliarti e rispondergli. Ma non è stato così.” S’interruppe ancora un momento. Appoggiò la fronte al vetro freddo. 74


“E io sto perdendo le speranze, Elaine, perché non so proprio più cosa fare, cosa dirti. E mi manchi un casino, perché ti vedo in quel letto, ma è come se non ci fossi più. Sei nella mia vita da trentaquattro anni, e non so se me la caverei senza di te.” Senza più fare nulla, senza più dire nulla, Janet chiuse gli occhi, per impedire alle lacrime di uscire. La porta della camera era chiusa e dentro c’era un silenzio quasi innaturale. “Mi fa tanto male la testa, Janet, smettila di parlare.” Janet ebbe un colpo al cuore: si voltò di scatto e vide gli occhi dell’amica che la guardavano. “Elaine” il sussurro si trasformò quasi in un grido, “Elaine!” Corse verso il letto e rimase a guardare Elaine che spostava gli occhi un po’ socchiusi e ancora un po’ vacui verso di lei. “Mi fa male la testa, Janet, puoi fare qualcosa?” “Certo che posso fare qualcosa, vado a chiamare i medici, ma tu rimani qui, Lennie, rimani qui, non andartene ancora, per favore!” disse Janet in preda all’agitazione assoluta. “Ok” disse Elaine, annuendo piano piano. Allora Janet corse fuori dalla camera, si spostò nel corridoio e si diresse verso il bancone delle infermiere: nell’incredulità di quanto era successo, si era completamente dimenticata che avrebbe potuto chiamare qualcuno soltanto schiacciando un campanello, senza allontanarsi dall’amica.

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Non era ancora arrivata a destinazione, che aveva già cominciato a parlare, con un tono di voce quasi isterico. “Un dottore, un dottore! Chiamate un dottore! Si è svegliata, ma ha male alla testa. Chiamate un medico!” e, detto questo, all’improvviso si mosse tutto. Janet ritornò da Elaine, che era ancora cosciente, un’infermiera si precipitò nella sala dei medici per chiamare il dottor Morrison; Chloe, di turno quella mattina, corse nella camera di Elaine e cominciò un sommario e superficiale controllo. Quando il dottor Morrison entrò nella camera, pregò Janet di uscire, nonostante le rimostranze di quest’ultima. Janet non poté fare a meno di ubbidire, e si ritrovò nel corridoio, incapace di fermarsi di camminare, in preda all’euforia assoluta, con il cellulare in mano, già pronta a chiamare Andrew. Ma si fermò all’improvviso. Aspetta, si disse, aspetta che il dottor Morrison ti dica che va tutto bene, che è veramente tornata, che non se ne andrà più via, aspetta, non farlo magari sperare per niente. ‘Ma è tornata!’ pensò. Guardò l’orologio: era quasi mezzogiorno, in fondo Andrew non avrebbe dovuto tardare ancora molto. Magari stava giusto rientrando, e sarebbe stato inutile farlo agitare mentre guidava. Decise però di telefonare a suo marito, che sapeva a scuola, impegnato nelle sue lezioni di educazione 76


fisica, ma sempre col cellulare acceso da quando era scoppiato quel gran casino. Stava parlando concitatamente con Kevin, quando apparve Andrew. Il viso un po’ tirato, si fermò sgomento quando vide la porta della camera di Elaine chiusa e Janet, di spalle, che stava parlando al telefono: era girata, quindi non vide che stava sorridendo, e subito fu preso da un’angoscia senza limiti. Immagini agghiaccianti si stavano già impossessando della sua mente. Dapprima impietrito, si mosse poi velocemente verso l’amica. “Cos’è successo? Dimmi cos’è successo, Janet!” la apostrofò ad alta voce, prendendola per un braccio e facendola girare brutalmente verso di lui. Sulle prime Janet quasi si spaventò, ma quando vide chi era, lo abbracciò subito, lasciando la telefonata in sospeso. “Andrew, si è svegliata!” e, senza più trattenersi, sfogò nel riso tutte le tensioni di quelle giornate. Andrew era senza parole. Ricambiò l’abbraccio di Janet e volse il viso verso l’alto, in una muta preghiera di ringraziamento a Dio. “Quando è successo? E perché la porta è chiusa? Perché sei qui fuori? Cosa le stanno facendo?” la raffica di domande investì Janet, che interruppe la comunicazione col marito per raccontare dettagliatamente ad Andrew cos’era successo pochi minuti prima. “Devo entrare” disse Andrew, muovendosi verso la camera di Elaine, ma subito trattenuto da Janet. 77


“No, Andrew, aspetta. Lascia che i medici facciano il loro lavoro” gli disse. “E se poi se ne va ancora?” “Naaa, non se ne va più! É tornata, è tornata!” La gioia di Janet era incontenibile ma Andrew rimaneva ancora un po’ rigido: finché non vedeva, non voleva quasi credere. Finalmente la porta si aprì e uscì il dottor Morrison, che però la richiuse subito alle sue spalle. “Dottore…”cominciò Andrew. “Signor McPherson” disse Morrison con un gran sorriso ”direi che è pressoché tutto a posto. La signora Kincaid accusa qualche dolore: alle costole, com’era prevedibile, e un forte mal di testa, anche questo accettabile visto il trauma subito. Le stiamo somministrando antidolorifici per via endovenosa, così faranno effetto più in fretta. Per il resto sembra lucida e pronta alle risposte, ricorda tutto, tranne la dinamica propria dell’incidente, di cui non ha ancora ricordi. Ma anche questo è un fatto normale, potrebbe volerci qualche giorno. Oggi comunque faremo lo stesso la risonanza magnetica e un’ecografia per controllare il feto, per toglierci ogni dubbio, ma direi che… si è risolto ormai quasi tutto nel migliore dei modi.” Il sorriso di Janet era smagliante e anche Andrew cominciava a sciogliere un po’ di tensione. “Posso entrare?” chiese al dottor Morrison. “Abbia pazienza, signor McPherson, ancora solo cinque minuti e quando uscirà Chloe potrà entrare a salutarla. Vi lascio” disse il medico stringendo la mano che Andrew gli porgeva. 78


“Grazie, dottore, grazie” gli disse. “In realtà, credo che sia tutto merito vostro” disse soffermandosi ancora un po’ con loro e guardando sia Janet sia Andrew. ”Faccio il medico da vent’anni, ma raramente ho visto una tale dedizione e una simile caparbietà nel volere qualcosa. E i vostri sforzi sono stati premiati. Quindi, è grazie a voi se la signora Kincaid è tornata, credetemi, noi abbiamo fatto ben poco.” Detto questo, diede una stretta alle spalle di Janet e Andrew, e ritornò al suo lavoro. Janet e Andrew si abbracciarono, ancora pieni di felicità. “Ce l’abbiamo fatta, Andrew!” “Potevi dire lo giuro, Janet, sarei stato qui a parlarle per settimane, se fosse stato necessario” asserì Andrew. In quell’istante si aprì la porta e uscì Chloe, che come vide Andrew gli fece un sorriso smagliante. “Ha visto che è tornata?” gli disse. “Posso entrare?” chiese Andrew ansioso. “Certo, anche perché ha chiesto di lei. Mi raccomando, toni di voce bassi, modi delicati, in fondo è stata incosciente per tre giorni e ha bisogno di tempo” raccomandò Chloe, per poi aggiungere subito: “Ma non ho bisogno di dire a lei queste cose, vero?” e si allontanò. Andrew tirò un lungo respiro e inghiottì più volte, ma non si mosse. “Beh? Che fai? Non entri?” gli chiese Janet allibita.

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“Vieni anche tu?” chiese Andrew, senza nemmeno guardarla, ma con gli occhi puntati sulla porta che stava per aprire. “Stai scherzando, vero? Io l’ho già vista. Dai, vai!” rispose Janet, dandogli un’amichevole spintarella sulla schiena. Allora Andrew spinse la porta che era rimasta socchiusa e quando varcò la soglia, l’emozione quasi gli tolse il fiato. Elaine volse il viso verso di lui e sorrise. “Ciao, Andrew” disse con voce flebile ma chiara e piena di dolcezza. Il mondo era di nuovo colorato anche per lui.

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14 Janet, appoggiata allo stipite della porta, stava guardando Elaine e Andrew che si abbracciavano. Poi, invitata da un gesto dell’amica, entrò. Strano come fosse quasi imbarazzante per lei non trovare le parole da dirle. “Lennie…” “Se stai attenta alle costole, puoi abbracciarmi anche tu “ le disse Elaine. E così Janet ritrovò la sua più cara amica, come se fosse ritornata da un lunghissimo viaggio. “Cazzo, che paura che ci hai fatto prendere!” le disse, ridendo ma con le lacrime agli occhi. Elaine sorrideva volgendo lo sguardo prima a uno poi all’altra. “Come ti senti?” chiese Andrew. “Un po’ confusa, ma il dolore sta passando” disse Elaine un po’ flebilmente. “Ero nell’acqua, Andrew, come nel tuo incubo” aggiunse guardandolo negli occhi, “stavo bene, ma tu continuavi a chiamarmi. Io vi sentivo parlare, ho sentito anche Nicholas.” “Ne ero sicuro, Elaine. Speravo potessi tornare più in fretta, però, sentendo la sua voce“ le disse accarezzandole il viso. 81


Elaine scosse la testa. “Non siete stati voi a farmi tornare” disse. “Che cosa succedeva là, Lennie?” chiese Janet, sedendosi sul bordo del letto. “Era strano. Prima era tutto nero, poi, piano piano, diventava grigio e nel grigio ho visto il volto di Angus. Mi parlava.” “Angus?” chiese Andrew, attonito. “Sì, Angus. É stato lui che mi ha fatto ricordare molte cose. E l’ultima cosa che mi ha detto è di dirti che un giorno vi rivedrete.” Andrew appariva sconcertato. “Io l’ho sognato, mentre tu eri incosciente” le rivelò. ”Ti ha detto che ci rivedremo… È bellissima questa cosa. Quindi è stato lui che ti ha fatto tornare?” le chiese. Elaine scosse la testa in un gesto deciso di diniego. “No, non è stato lui.” Guardò a lungo Andrew, che stava aspettando la risposta. “Io non mi ricordo come ho fatto l’incidente” continuò Elaine, sempre con gli occhi fissi in quelli di Andrew, “ma mi ricordo benissimo perché ero in macchina e dove stavo andando.” “Stavi venendo da me” la anticipò Andrew, subito interrotto da un gesto di Elaine. “Sì, stavo venendo da te, e per un motivo che ormai credo tu sappia, ma lascia che te lo dica io, lo stesso, ancora.” “Allora dimmelo, Elaine” la pregò Andrew. Elaine prese le mani di Andrew. 82


“Venivo da te per dirti che aspetto un bambino, Andrew. Nostro figlio. E lo so che magari non…” Andrew la zittì mettendole un dito sulle labbra, poi racchiuse entrambe le mani di Elaine nelle sue, le baciò e la guardò. “Elaine, questo bambino è la cosa più bella che mi potesse capitare” le disse, un po’ emozionato. “Lo so, anche per me. Ma non abbiamo ancora risolto il problema della tua rinuncia al sacerdozio e adesso capita anche questo… mi dispiace…” “Ti dispiace? Non stai ancora bene, Lennie. Come può dispiacerti? Nostro figlio? E questa volta per davvero?” “Lo so, Andrew, ma… Mi sembra tutto così… incasinato. Non vorrei che tu…” “…che io niente, Lennie. Niente. Io sono stato qui, sono qui e starò qui sempre. Ora devi pensare a rimetterti in forze, per te e per nostro figlio.” “É una bambina, Andrew. Con i tuoi occhi. Io l’ho vista, è lei che mi ha riportato a galla, fuori dal grigio.” “L’hai vista? L’hai vista davvero?” Andrew era sempre più incredulo. “Sì. Mi chiamava e poi mi ha preso la mano. So che tutto questo può sembrare assurdo, ma è così. É lei che mi ha riportata indietro” rivelò Elaine. Andrew rimase un attimo pensieroso ma, con la fede, per lui tutto era possibile, soprattutto quello che gli stava dicendo Elaine. Sicuramente era stata in una dimensione diversa, forse là dove il contatto con Dio è tangibile. 83


“Io ti credo, Elaine, ti credo” le disse con forza e convinzione. Andrew ed Elaine si abbracciarono e rimasero così per molto tempo, senza più dirsi nulla, sopraffatti dalle emozioni. Janet stava assistendo a questa conversazione sentendosi quasi un’intrusa, e si scostò dal letto di Elaine. La scena la stava un po’ commuovendo: pensare che per quel motivo lei ed Elaine avevano avuto una discussione, il giorno dell’incidente! Come cambiano le cose, quando le si guardano da una diversa prospettiva: dopo averla vista sfiorare la morte, l’unica cosa che le importasse ora era che Elaine fosse fuori pericolo, ogni altro problema sarebbe stato minimo e soprattutto risolvibile. Ma a questo punto pensò di dover avere una risposta alla domanda che le martellava in testa da giorni. “Lennie…” disse , ”la mattina dell’incidente…” Elaine si staccò da Andrew e la guardò. “Dopo che sei uscita da scuola, io ti ho chiamata sul cellulare. Ti ricordi della mia chiamata?” “No, Janet, non mi ricordo” Elaine scosse lievemente la testa, “non mi ricordo proprio di nulla, per adesso. Perché?” “Perché ho paura di essere stata un po’ la causa del tuo incidente. Quando ti ho chiamato, erano passati soltanto dieci minuti e tu dovevi per forza essere per strada.” Elaine cercò di concentrarsi per un momento, ma proprio non riusciva a rammentare niente. 84


“Non lo so, Janet, proprio non ricordo. Guarda le chiamate nel mio cellulare… dov’è?” Andrew si alzò e aprì il cassetto dell’armadietto di Elaine. “É qui, l’ho ritirato io lunedì pomeriggio” disse prendendolo e porgendolo a Elaine, che gli fece segno di darlo a Janet. La batteria era scarica e il display si illuminò solo per qualche attimo. “Niente da fare” disse Janet. “Se la cosa ti preoccupa così tanto, tienilo, portalo a casa, mettilo sotto carica e controlla. Io ricordo di aver chiamato lui prima di uscire da scuola, poi non ricordo più nulla.” “Ok. É davvero importante, per me” le disse Janet. “Sì, Janet, ci credo, ma non incominciare a darti colpe che non hai. Anche se così fosse, è successo e basta.” la rassicurò Elaine. “Scusate, a proposito di telefonate” si intromise Andrew, “nonostante a me piacerebbe stare con voi due a chiacchierare fino a sera, la ragione mi dice che è meglio cominciare un giro di chiamate per avvisare tutti che ti sei risvegliata, non credi?” “Dov’è Nicholas?” chiese Elaine di rimando. “A scuola, e sicuramente in mensa” disse Janet guardando l’orologio. “Ok, ma con chi sta? C’è Christopher?” “Sì, Chris è arrivato subito da Londra ma Nicholas è a casa tua con i tuoi” le comunicò Andrew. “Voglio vederlo, prima di chiunque altro. Janet, non puoi andare a prenderlo?” chiese all’amica. Andrew e Janet si guardarono un po’ perplessi. 85


“Che succede?” chiese Elaine. “Lennie, io penso che sia meglio che lo porti qui Christopher… sai… in questi giorni è un po’… diciamo sensibile sul suo ruolo di padre” disse Janet, e Elaine la guardò senza quasi capire, ma ebbe la consapevolezza che fosse successo qualcosa quando vide Andrew che, istintivamente, si era portato la mano al mento ancora tumefatto. “No! Dio, vi siete menati!” esclamò stupefatta. “Veramente è lui che ha menato me” disse Andrew con una smorfia, “ma è tutto risolto, per il momento, non preoccuparti. Solo, finché rimarrà qui, bisogna cercare di non togliergli il suo ruolo…” “Ti ha menato davvero, quello stronzo!” Elaine si stava agitando e nel tentativo di mettersi a sedere ebbe una fitta alle costole che la fece gemere di dolore. “Stai tranquilla, per favore! É tutto risolto. Quando saremo di nuovo da soli, questa sera, ti racconterò per filo e per segno i giorni che ti sei persa, e capirai che la cosa non è così grave e che è tutto a posto, ok?” le disse Andrew cercando di farla calmare. “Va bene” sospirò Elaine, “sono appena tornata e già ho sentito troppo e ci sono già troppe cose da fare. Allora fate così, per piacere: chiamate chi dovete chiamare, però non dite a tutti che possono venire a trovarmi. Non ho proprio voglia di vedere gente… ho solo voglia di vedere Nicholas; Christopher e i miei saranno già di troppo, anche se so che non posso pretendere di non farli venire.”

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“Va bene, ci penso io, lo faccio subito” disse Janet, uscendo dalla camera e cominciando il giro di telefonate. Di nuovo soli, Andrew ed Elaine si sorrisero tenendosi sempre per mano: sembrava non volessero interrompere più il contatto che si era finalmente ricreato tra loro. “Ti fa ancora tanto male la testa?” chiese Andrew. “No, sta passando. Comunque ho detto al dottore… quello di prima, molto gentile… sai come si chiama?” “Morrison.” “Ok. Ho detto al dottor Morrison che non voglio prendere troppi antidolorifici, ho paura che la bambina ne risenta” Elaine era ormai fermamente convinta che la creatura dentro di sé fosse una femmina. “Guarda Elaine, secondo me di lui ti puoi fidare ciecamente. Anche perché, negli ultimi giorni, sei stata un po’ la ‘cocca’ del reparto. La nostra storia ha fatto sognare tutte le infermiere…” le disse Andrew. “Di’ meglio, Andrew… sarai tu che hai fatto innamorare tutte le infermiere…” “Mah, chi può dirlo?” scherzò lui, facendola sorridere “Di certo il dottor Morrison ha preso a cuore te. Quindi, abbi cieca fiducia in lui, Lennie” le consigliò Andrew. Elaine tirò un lungo e dolorante sospiro. “Sai una cosa?” chiese. “Dimmi.” 87


“Non era tutto così difficoltoso, quando ero dall’altra parte. Io sono felice di essere tornata da te e da Nicholas… per il resto, era tutto molto meglio nel grigio.”

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15 Per Elaine era stato un giorno faticosissimo, ma nel contempo felicissimo: aveva potuto riabbracciare i suoi genitori e soprattutto Nicholas, e se l’era tenuto ben stretto per tutto il tempo che era rimasto da lei. In compenso aveva dovuto sopportare anche la presenza di Christopher, cosa che non le fece molto piacere, soprattutto alla luce del fatto che sapeva della lite con Andrew; riuscì comunque, con un grandissimo sforzo, a non parlarne e a non dirgli quello che ne pensava. Era stato doloroso, nel tardo pomeriggio, separarsi ancora da suo figlio, ma effettivamente, alla fine della giornata, si sentiva molto stanca e suoi unici desideri erano di avere un po’ di silenzio e la presenza di Andrew, che tornò da lei a sera inoltrata, dopo il corso all’università e alcune commissioni che aveva rimandato per tutti i giorni in cui lei era rimasta incosciente. La presenza notturna di Andrew non sarebbe più stata necessaria, concetto ribaditogli anche dal dottor Morrison, ma lui aveva voluto a tutti i costi rimanere con lei, e lo fece con la complicità delle infermiere: a quanto pare la loro storia veniva davvero vissuta nel reparto intensivo come una 89


sorta di bel romanzo d’amore, e tutti ne parlavano e ‘tifavano’ per loro, con Chloe in testa. Elaine sembrava sonnecchiare, ma in realtà non era così: ogni pochi secondi apriva gli occhi e guardava Andrew, che quella sera si era guadagnato, sempre grazie a Chloe, una poltrona liberatasi da un’altra camera. “Perché non cerchi di dormire seriamente?” le chiese Andrew sottovoce, sorridendole. Elaine ricambiò il sorriso, stancamente. “Ho paura di addormentarmi e finire ancora in quel posto grigio…” “Non succederà più, stai tranquilla. Ora sei qui con me, e ti tengo stretta.” Elaine gli tese la mano. “Sai, non ho mai avuto paura, là, e stavo bene. Ma quando ho cominciato a ricordare, ho cominciato anche a sentirmi molto sola. Oggi rivedere Nicholas e abbracciarlo di nuovo è stata una gioia talmente grande che mi sembrava di averlo messo al mondo un’altra volta” gli confidò Elaine. “Ci credo. E mi spiace non esserci stato. Ma meglio così: era un momento che dovevi dedicare tutto alla tua famiglia.” Elaine notò una nota di tristezza nelle parole di Andrew. E anche lei, a dire il vero, si sentiva un po’ triste. Forse dovevano entrambi darsi del tempo: tempo per riprendersi dal trauma, tempo per superare le paure che avevano avuto nei giorni precedenti, tempo per riallacciare i fili che si erano come spezzati durante quella settimana. 90


Ma c’era una domanda che sicuramente entrambi si stavano ponendo; la stessa domanda, la stessa incognita, lo stesso punto interrogativo sul loro futuro. “Che cosa faremo, Andrew?” Elaine fu la prima a rendere reale la domanda. Lo guardava con gli occhi quasi un po’ spauriti, senza essere in grado di vedere al di là di quello che era il presente, ancora un po’ persa nel nulla. Andrew la guardò fermamente negli occhi, avvicinandosi un po’ di più a lei. Anche lui si sentiva un po’ frastornato, in fondo. “Non lo so. Io credo che per ora sia meglio se pensiamo a cosa fare giorno per giorno, almeno fino a quando non tornerai a casa e ti riprenderai bene. Nel frattempo, i tuoi genitori ritorneranno ad Ashlington, Christopher a Londra…” “Christopher ci torna già domani pomeriggio, a Londra, su mia insistenza e con l’assicurazione che qui è tutto sotto controllo, ora” gli rivelò Elaine. “Bene, non ti nascondo quanto questa cosa mi faccia piacere. Comunque dicevo: abbiamo bisogno, e parlo al plurale Elaine, come parlerò sempre al plurale da oggi in poi, abbiamo bisogno di ritrovare i nostri ritmi normali, per poterci sedere con calma sul nostro divano e decidere. Non sarà così drammatico, vedrai” la rassicurò Andrew. “Come puoi dire una cosa del genere? Tu non hai ancora ricevuto nulla, non sai ancora nulla della tua domanda” gli disse Elaine. “No tesoro, ieri mattina, mentre tu tornavi tra noi mortali, io ero a colloquio con l’Arcivescovo.” 91


“É vero! Me l’avevi detto domenica. E allora?” “Sai, io non avrei voluto andarci, ma Padre James ha insistito perché lo facessi. Ero disperato, ma James diceva che la mia disperazione poteva essere risolutiva, anzi, mi aveva consigliato di non nasconderla. E a quanto pare aveva ragione. É stato un colloquio completamente diverso dal precedente. Evidentemente anche l’Arcivescovo di Glasgow ha un cuore. Alla luce di quello che gli ho detto, mi ha assicurato che a questo punto accelererà al massimo la mia pratica in Vaticano, usando tutti i mezzi e le conoscenze a sua disposizione.” Elaine si mise a sedere sul letto e lo guardò incredula. “Non stai scherzando, vero?” chiese. “Ti pare che potrei scherzare su una cosa tanto importante per noi?” fu la retorica domanda di Andrew. “No, non credo” ammise Elaine. “Bene. Non so cosa voglia dire accelerare al massimo, ma stiamo a vedere. E già questa è una buona prospettiva, no?” le chiese, alzando le sopracciglia. “Sì, molto buona, decisamente molto buona” confermò Elaine di rimando. “Questa sera ho chiesto al dottor Morrison quando ha intenzione di rimandarmi a casa” aggiunse poi. “Non avere fretta, per l’amor del cielo” la pregò Andrew. “No, certo, anche se, se fosse per me, sarei già a casa. Ma ammetto che forse non ce la farei. E poi 92


vorrei confidarti che preferisco uscire di qui ben messa, in maniera che mia madre non si senta in dovere di rimanere da me per aiutarmi: tu non hai idea di quanto mi darebbe noia. É troppo apprensiva, mi si appiccicherebbe addosso e non lo sopporterei” confessò Elaine. “Beh, che fosse apprensiva l’avevo capito, in questi giorni. Come ti vedeva si metteva a piangere!” le disse Andrew. “Ci avrei scommesso. Io e lei non siamo andate mai molto d’accordo e ho sempre avuto un rapporto migliore con mio padre. Un padre che a quasi settant’anni lavora ancora per stare il più possibile fuori di casa… Ma a loro modo si vogliono bene.” “Che cosa fa tuo papà? Non me l’hai mai detto, credo” domandò Andrew, incuriosito. “É avvocato penalista. É stato un grande, ma ora preferisce seguire le pratiche d’ufficio, giusto per tenersi impegnato.” “Ah, ok. E, tornando al discorso di prima, cosa ti ha detto il dottor Morrison?” “Dice che se tutto procede così, lunedì mattina mi dimettono. E io ho intenzione di convincere i miei a tornare ad Ashlington già domenica” rivelò Elaine. “E Nicholas?” “Ti pare che Nicholas sia mai stato un problema, con Janet come seconda mamma?” “No, effettivamente proprio no. É proprio bello vedere quanto vi volete bene e quanto vi sostenete l’una con l’altra” dichiarò Andrew. Questa loro sommessa chiacchierata era il primo vero ritorno alla normalità per entrambi. 93


Andrew era molto contento di come Elaine stesse reagendo bene: l’unica nota dolente era che non riusciva ancora a ricordare l’incidente vero e proprio, ma il dottor Morrison aveva loro assicurato che prima o poi sarebbe venuto a galla anche quello: era una normale amnesia post-traumatica. “Janet è andata a guardare le chiamate sul tuo cellulare?” chiese Andrew. “No, dice che non ha il coraggio di farlo. Lo faremo insieme domani, quando mi porterà il caricabatteria; devo toglierle questo dubbio al più presto, sembra sia l’unica cosa che ha in testa in questi giorni” rispose Elaine. “Comprensibile, no?” “Sì e no. Comunque vedremo.” Elaine si risistemò sdraiata nel letto e chiuse gli occhi. Andrew pensò che avesse deciso finalmente di dormire un po’, ma dopo pochi minuti la sua voce riecheggiò ancora sommessamente nella camera. “Andrew?” “Gesù, Elaine! É quasi mezzanotte! Ma perché non dormi?” disse Andrew ridendo. “Ti sto già rompendo le scatole?” chiese sarcasticamente lei. “Beh, un po’ sì eh!” rise di rimando lui. “Scherzo” aggiunse poi “dimmi cosa c’è.” “La mia macchina è conciata male?” Andrew rimase a guardarla per un momento molto lungo: questa domanda era la prova che davvero, e forse per fortuna, per ora Elaine non ricordava niente. Tirò un lungo respiro. 94


“La tua macchina è distrutta” svelò. Elaine non ribatté nulla. Rimase a guardarlo, sentendo degli strani brividi che le invadevano il corpo ancora dolorante. Poi chiuse gli occhi e girò la faccia dall’altra parte: in quel momento avrebbe voluto che i ricordi dell’incidente non riaffiorassero mai più e si rese conto di aver davvero rischiato di morire. Aveva rischiato di lasciare solo suo figlio, e Andrew, che tanto aveva lottato e fatto per lei. Una forte angoscia si impossessò di lei: sentì che le girava la testa e che stava sudando freddo. Riconobbe i sintomi di un attacco di panico, ma cercò di dominarli, non voleva che Andrew se ne accorgesse. Aveva una bambina a cui pensare, ora. Doveva farla crescere dentro di sé e farla nascere sana e forte. Non poteva permettersi di cadere nel gorgo dell’ansia: l’aveva già rischiato durante il divorzio, e non era stato per niente piacevole. Oltretutto, allora aveva potuto sostenersi e curarsi con gli ansiolitici, cosa che non avrebbe potuto fare ora in gravidanza. Cercò con la mano quella di Andrew, che si chiuse prontamente sulla sua, stringendola: forse aveva intuito cosa stava provando Elaine in quel momento. Quella stretta energica e sicura la calmò: in quel momento Elaine ebbe la certezza che, con Andrew accanto, avrebbe avuto la forza di superare tutto.

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16 Il martedì mattina della settimana successiva Elaine era sdraiata sul divano di casa sua, nel completo silenzio, con gli occhi chiusi, cercando di far ordine negli ultimi quattro giorni della sua vita. Non in quelli ancora precedenti: la memoria non le era ancora tornata, per quanto si sforzasse di ricordare cos’era successo quel maledetto lunedì mattina. Con Janet avevano appurato che non era stata la sua chiamata a provocare l’incidente, perché, sul cellulare, tra la chiamata ad Andrew (che Elaine ricordava perfettamente) e la chiamata di Janet trovarono il numero della scuola: evidentemente Rachel aveva avuto un’urgenza o si era dimenticata di dirle qualcosa quando Elaine le aveva annunciato che sarebbe andata a Edimburgo per delle commissioni. Janet fece sulla spalla dell’amica un pianto a dirotto, cosa rarissima per lei, liberandosi così dei sensi di colpa che l’avevano tormentata per tutta la settimana. Ad ogni buon conto, Elaine non sapeva nemmeno dire se fosse stato il cellulare a distrarla dalla guida, o che cosa. Le dissero che c’entrava un 96


camion che stava facendo un sorpasso azzardato e aveva invaso la sua corsia, ma davvero, per lei era il nulla assoluto. L’importante, ora, era essere a casa. Il dottor Morrison l’aveva dimessa il pomeriggio precedente, dopo che Elaine gli aveva assicurato che sarebbe andata da lui per un controllo una volta alla settimana per almeno un mese: i traumi cranici andavano tenuti costantemente sotto controllo, soprattutto nel suo stato. Elaine in realtà si sentiva bene: la ferita alla testa si stava ben rimarginando, anche se sarebbe rimasta la cicatrice; le costole le davano sempre meno fastidio, e doveva stare attenta solo quando si piegava; i vari tagli erano in via di completa guarigione e i mal di testa erano spariti. L’ecografia aveva rassicurato tutti anche sull’ottimo stato del feto, e ciò era per Elaine e Andrew la cosa più importante. L’unica cosa negativa era che le erano tornate le nausee mattutine, anche se non così violente come quelle precedenti l’incidente. I suoi genitori erano tornati ad Ashlington: in un serio e lungo colloquio col padre, Elaine era riuscita a convincerlo a non lasciare la moglie a Broxburn così, dopo un ultimo saluto e la promessa che Elaine avrebbe chiamato in caso si fosse resa conto di non farcela da sola, i signori Kincaid erano tornati in Inghilterra la domenica pomeriggio, con un sospiro di sollievo di Elaine. Sapeva già che avrebbe ricevuto almeno quattro o cinque telefonate 97


al giorno dalla madre, ma sarebbe stato tutto molto controllabile. Christopher era tornato a Londra il sabato mattina, non prima di aver avuto la certezza (come se fosse stato necessario) che Andrew si sarebbe occupato costantemente di lei. In un estremo gesto di gentilezza, aveva anche depositato nel garage di Elaine l’auto che lui teneva a Edimburgo per gli spostamenti dei week-end in Scozia con Nicholas, dicendole che poteva tenerla fino a che non avesse pensato a comprarne una nuova per sostituire quella andata distrutta nell’incidente. Della lite con Andrew non si fece mai menzione, con grande disappunto di Elaine, che ogni volta che lo vedeva avrebbe volentieri voluto dirgliene quattro. Ma Andrew le aveva fatto giurare che non l’avrebbe fatto e lei mantenne la promessa. Per un attimo Elaine pensò che l’ex-marito volesse intavolare il discorso sulla sua gravidanza, ma evidentemente, a volte, anche lui ritrovava il controllo del cervello, e si limitò a chiederle se ‘anche per l’altra faccenda’ (ammiccando alla pancia di Elaine) era tutto a posto. Elaine odiò moltissimo sentir parlare della sua bambina come ‘dell’altra faccenda’, ma si limitò ad un semplicissimo e fermissimo ‘tutto a posto, grazie’ e tirò un doppio sospiro di sollievo quando vide uscire Christopher dalla porta della camera dell’ospedale per andare finalmente in aeroporto. Al rientro dall’ospedale, quando ormai il lunedì stava volgendo al termine, Elaine trovò Janet, Kevin, Josh e Nicholas ad aspettarla a casa sua: i 98


due bambini avevano disegnato un grosso cartellone di bentornata a casa e addobbato la porta d’ingresso con palloncini colorati. C’era stato un attimo in cui Elaine temette di non reggere la situazione, pur essendo estremamente felice della festa con cui l’accolsero: voci alte, rumori forti e confusione le davano ancora un po’ fastidio, e temette, ad un certo momento, di essere sull’orlo di gridare un fortissimo ‘Silenzio!’, ma riuscì a trattenersi. Poi Kevin, Janet e Josh tornarono a casa e Andrew ordinò delle fantastiche pizze per loro tre, liberando tutti dall’arduo compito di pensare a cosa fare per cena. Il frigorifero in realtà era stato riempito dai genitori di Elaine, ma chi avrebbe mai avuto voglia di mettersi ai fornelli? Andarono a letto molto presto, ma non prima di un lungo bagno caldo per Elaine; Andrew rimase a dormire sul divano, deciso a non mollare l’attenzione su Elaine nemmeno per un attimo, soprattutto di notte. La mattina aveva svegliato lei e Nicholas annunciando che un’abbondante e ricca colazione li attendeva in cucina: l’avevano fatta tutti insieme, poi aveva accompagnato Nicholas a scuola e quindi preso la strada per Edimburgo, dove l’aspettava il suo corso di Storia della Riforma. E ora eccola là, Elaine. Finalmente sola, finalmente a casa, finalmente in silenzio, finalmente… Finalmente cosa? Questo si stava chiedendo Elaine quella mattina. 99


Il dottor Morrison le aveva prescritto riposo assoluto per almeno una settimana, ma questo riposo assoluto stava agitando Elaine: cosa poteva fare tutto il giorno? Andrew era all’università, sarebbe tornato solo nel pomeriggio, dopo aver recuperato Nicholas a scuola. Poteva leggere, farsi un bagno caldo, guardare la televisione, poteva mettersi con calma a cucinare qualcosa per la sera, mentre ascoltava un po’ di musica a basso volume… In realtà non aveva voglia di fare nulla di tutto ciò. Essere completamente sola anche soltanto da un’ora in quella casa silenziosa le stava provocando dei problemi. La sua mente si stava soffermando un po’ troppo sulle reminiscenze del grigio in cui era stata immersa nei giorni del coma, e non erano sensazioni piacevoli. Il ricordo le faceva accelerare i battiti del cuore e doveva distogliere al più presto la mente da quelle immagini, per non cadere nel panico. Allora cercava di concentrarsi sul giorno dell’incidente: ricordava una bella mattina di sole, ricordava che c’era poco traffico, e le sembrò anche di ricordare il suono del cellulare… sentiva che la sua mente si stava avvicinando alla realtà del fatto, ma quando era sul punto di rivedere tutto, sentiva che si ritraeva velocemente per paura che i ricordi affiorassero. Non voleva che succedesse mentre era sola, per qualche motivo non voleva che succedesse mentre era sola. 100


…ma il suo destino dei prossimi giorni sarebbe stato quello di passare lunghe ore di solitudine… e capì di non potercela fare. Non era nella sua indole rimanere statica tutto il giorno, già in ospedale era stato faticosissimo. Si alzò dal divano e saggiò molto criticamente le sue condizioni: non le girava la testa, le nausee erano passate, si reggeva in piedi magnificamente. Andò in bagno e si guardò altrettanto criticamente allo specchio: la ferita alla testa era ormai coperta solo da un grosso cerotto, il tutto nascosto dalla frangia dei capelli che erano finalmente in ordine dopo l’intensa lavata della sera precedente. Il viso era un po’ pallido, e c’era ancora un livido sullo zigomo destro, ma niente che un bel trucco ad opera d’arte non potesse rimediare. Prese fondotinta, fard e matita per gli occhi e in un attimo l’opera fu completata, dandole un aspetto più sano e brillante. Si diresse verso la sua camera e indossò un paio di jeans, una camicia bianca e un cardigan blu, abbinati agli stivaletti senza tacco che le piacevano tanto e tanto la facevano stare comoda. Un’ultima occhiata allo specchio dell’ingresso e poi mise un giaccone sportivo e prese le chiavi della macchina di Christopher: sarebbe andata a scuola, magari solo per un’oretta, ma sentiva il bisogno di andarci, di distrarsi, di riafferrare la normalità della sua vita. Aveva un bisogno quasi fisico di quella vita che aveva rischiato di perdere e che ora era per lei 101


preziosissima. E la scuola ne era una delle parti più importanti: voleva essere là, adesso. Guardò l’orologio: erano le nove e mezza, quindi Andrew non aveva ancora cominciato la lezione e decise di chiamarlo. Rispose al secondo squillo. “Elaine, tutto bene?” Si sentì un po’ di preoccupazione nella voce. “Sto benone, Andrew. Sto uscendo” gli disse con voce decisa che non ammetteva repliche, che comunque arrivarono. “Ma sei fuori?? E dove vorresti andare?” l’apostrofò Andrew. “Vado a fare un giro fino a scuola, mi fermò là un’oretta e poi rientro.” Silenzio e un sospiro dall’altra parte. “Mi sembrava di saperlo che sarebbe andata così… Sei incontrollabile!” “Sto bene, Andrew, davvero. Fidati. Siamo in due, qua, che te lo diciamo.” “Ma è proprio necessario? Voglio dire, io ti capisco, ma se tu aspettassi magari domani…” cercò di obiettare lui. “No. No. Qui è troppo silenzioso, mi vengono in mente cose spiacevoli, non ho nessuno con cui parlare perché giustamente siete tutti impegnati, quindi esco. Ti prego, stai tranquillo” ribadì lei. “Va bene” cedette Andrew alla fine, “però, per piacere, mandami un sms quando arrivi là e quando poi ritorni a casa chiamami, ok?” “D’accordo, promesso. Bacio!” “Anche a te, fuori di testa!” 102


Ok, ora poteva andare. Ora poteva cominciare a sentirsi di nuovo viva e libera.

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17 Elaine si affacciò silenziosamente e senza bussare alla porta dell’ufficio a fianco del suo, quello di Rachel, che era china e concentrata sul computer, digitando qualcosa. “Ciao, Rachel!” disse poi con voce gioviale. Rachel si girò di scatto verso la porta e quando la vide quasi lanciò un urlo. “Elaine! Cioè, voglio dire, signora Kincaid!” Si alzò dalla sedia e si diresse verso Elaine con l’intenzione di abbracciarla, ma si fermò incerta: non sapeva se poteva permetterselo. “Puoi abbracciarmi, Rachel…” le disse Elaine rassicurandola e allungando le braccia verso di lei. Rachel lo fece prontamente. “Bentornata! Dio, quanta paura ci ha fatto prendere. Non potevamo crederci, eravamo tutti sconvolti e preoccupatissimi! Nessuno di noi capiva più niente, non riuscivamo più a lavorare e… Oh mio Dio, come sono contenta di vederla!” Elaine rise ricambiando l’abbraccio di Rachel, che stava anche versando una lacrimuccia. “Sapessi quanto sono felice io di essere qui, oggi!” le disse. “Ma è ancora bendata!” disse Rachel scorgendo la garza sotto la frangia di Elaine. 104


“Sì, ma ormai praticamente lo possiamo chiamare cerotto, dai! Perlomeno non ho più quel mezzo turbante in testa che avevo in ospedale!” “Si sieda per favore, non si stanchi troppo!” continuò Rachel porgendole una sedia. “Oh no, cara. Sono venuta qui proprio perché non avevo più voglia di starmene sdraiata o seduta a casa, quindi non mi siederò proprio da nessuna parte! C’è qualcuno nel mio ufficio?” chiese poi. Non vedeva l’ora di entrarci. “Sì, è appena salito il signor Hamilton…” lasciò un attimo in sospeso la frase, che continuò dopo aver ricevuto un’occhiata incoraggiante di Elaine. “Non mi piace molto lavorare con lui… o è burbero o tenta di fare il cascamorto con me… no, decisamente non mi piace molto.” L’espressione di Rachel fece ridere di gusto Elaine. “Bene, vorrà dire che adesso vado di là e lo sbatto fuori!” “Ma… non avrà mica intenzione di fermarsi a lavorare, vero? Non è un po’ presto?” chiese Rachel stupita. “No, non posso ancora per tutta la settimana. Ma verrò qui lo stesso un paio d’ore al giorno, se me la sento, così da recuperare il tempo perso e capire cosa è successo in questa settimana” rispose Elaine, prendendo la strada per il suo ufficio. “Hamilton non avrà bisogno che tu gli annunci il mio arrivo, vero?” chiese poi a Rachel strizzandole un occhio. “Lo colga in flagrante a cazzeggiare, signora Kincaid!” rise Rachel. 105


“É quello che spero!” stette al gioco Elaine. Quando arrivò alla porta, Elaine decise di non essere delicata come aveva fatto con Rachel. La aprì con forza e decisione, dicendo: “Allora Hamilton, hai fatto andare in malora questa baracca o siamo ancora a galla?” Bruce Hamilton fece un balzellone sulla sedia. “Porca vacca, Elaine, che cazzo di spavento!” Aveva decisamente perso tutto l’aplomb di cui andava fiero. “Ma cosa ci fai qui???” Elaine si mise di nuovo a ridere di gusto, non senza sentire la necessità di tenersi le costole doloranti con la mano. Come si sentiva bene, e com’era contenta di aver deciso di uscire! Abbracciò Hamilton, che la fece sedere al suo posto. “Rimettiti pure lì, e tienitela, quella sedia. Non avrei mai pensato che fosse così pesante, il tuo lavoro. Anche perché non sei mai stata assente così a lungo, da che sono vicedirettore. Allora, come stai?” “Meglio, molto meglio grazie. Soprattutto oggi che sono riuscita ad uscire da sola e a venire qui” confessò Elaine. “Janet dice che non ricordi ancora niente…” “In effetti qualcosa sta riemergendo, ma veramente poco. Anche se ti dirò la verità, Bruce: preferirei non ricordare. Diciamo che la mia macchina è completamente distrutta, e ho rischiato davvero di morire. Me la sono vista brutta, credo” ammise Elaine. 106


“Così pare. Ci hai veramente fatto stare in pena. E non sai quanto sono contento di vederti, ora, sempre bella e affascinante, anche con quella ‘cosa’ sulla fronte, quel livido sullo zigomo e quella smorfia che hai fatto sedendoti” le disse con gentilezza Hamilton. “Ci stai già provando, Bruce?” chiese Elaine scherzando. “Assolutamente no… anche perché arrivano voci che ormai sei veramente, come dire, off-limits per tutti. Oppure ho sbagliato a capire?” chiese Hamilton un po’ sornione. “E da dove arriva questa voce?” “Si parla di una presenza costante accanto al tuo letto in ospedale. Un bell’uomo alto e moro che non ti mollava un attimo.” Rimasero a guardarsi a lungo, scrutandosi. “E cos’altro si sa?” chiese Elaine, stando al gioco. “Che molto probabilmente è l’uomo della pizza.” A questo punto Elaine si mise a ridere. “Già, dimenticavo! L’uomo della pizza! Non è molto carina, detta così.” “Ma lui a quanto pare sì…” continuò Hamilton. “E… chi lo dice?” indagò Elaine. “Le rappresentanze femminili della scuola. Non tutte, buona parte. Rachel in testa.” “E si sa anche nome e cognome?” “Sì.” “E…” lo incoraggiò Elaine. “E anche la precedente professione.” Ancora lunghi sguardi indagatori. 107


“Naturalmente siete tutti scandalizzati” disse seria Elaine guardandolo fermamente. “Non è il termine giusto.” “E quale sarebbe, allora?” “Stupiti. Increduli. Ma non scandalizzati. In fondo ha preso una decisione, non sta tenendo il piede in due scarpe, e questa cosa gli fa onore, a mio modo di vedere la cosa” ammise Hamilton. Elaine rimase in silenzio e portò lo sguardo sulle sue mani che si erano istintivamente appoggiate sul grembo dove stava crescendo la figlia di Andrew. “Non pensavo che avrei dovuto affrontare subito questo discorso” disse quasi sottovoce a Hamilton. “E non lo devi fare, se non vuoi. Volevo solo avvisarti che il tuo non è più un segreto, adesso” le rispose con molta gentilezza Hamilton. “E io non volevo che rimanesse un segreto. Anzi, sia io che lui non volevamo” ammise Elaine. “La maggior parte di noi è contenta per te, davvero, Elaine. Pare che lui ci tenga davvero tanto a te, e che tu ne sia davvero molto innamorata, e noi siamo finalmente contenti di vederti di nuovo felice, perché te lo meriti.” “Scusa, ma cosa vuol dire ‘la maggior parte di noi’?” chiese Elaine. “Beh, sai, c’è chi pensa che sia stata una cosa un po’ troppo… azzardata? Fuori dal normale? Poco consona? Non saprei in che altro modo dirtelo” ammise Hamilton, “ma noi che parteggiamo per te li stiamo mettendo a tacere” aggiunse poi. “Quindi c’è subbuglio, in questa scuola?” chiese un po’ agitata Elaine. 108


“Nooo, subbuglio direi proprio di no. Ci sono persone che hanno conosciuto bene il tuo Andrew nell’altra veste e che ora fanno un po’ di fatica ad accettare questa situazione. Ma è tutta questione di tempo. Voi avete intenzioni serie, mi sembra di capire. Ho parlato un po’ con la Locker” rivelò Hamilton. Elaine respirò profondamente, poi le sembrò corretto e soprattutto doveroso chiarire appieno la faccenda con il suo sostituto. “Io e Andrew McPherson, tempo fa, avevamo avuto una breve storia… ‘clandestina’ se vuoi chiamarla così, finita poi in niente: pensavamo che fosse meglio dimenticarci e seguire ognuno il proprio destino. Ma evidentemente ci sbagliavamo, perché quando ci siamo visti, prima di Natale, dopo tanti anni, abbiamo capito che le cose non erano cambiate per niente. E che forse il nostro destino era quello di passare la vita insieme. Quindi abbiamo fatto, o meglio, lui ha fatto i passi necessari affinché ciò fosse possibile. E non è stato facile, né per me né per lui, credimi. E sono convinta che non sarà facile per molto tempo. Ma io non mollo, Bruce, non mollo. Io ora non ho nulla da nascondere, abbiamo fatto delle scelte, che possono essere in parte approvate e in parte no, ma sono le nostre scelte.” Elaine stava buttando finalmente fuori tutto: era l’inizio, pensò, di un lungo periodo in cui avrebbero dovuto mantenersi saldi e forti. Ma mentre parlava, si rendeva conto di quanto fosse convinta delle 109


parole che stava pronunciando e si sentì salda e forte. “Sembra quasi che tu ti senta in dovere di chiarirmi la tua questione che, se vuoi, è e può rimanere personale, Elaine. Io non ti giudico, davvero. Anzi, sono e sarò sempre uno dei tuoi più accaniti sostenitori. Soprattutto ora che sei tornata e mi toglierai da sotto il sedere questa poltrona molto scomoda!” aggiunse ridendo, cercando di alleggerire il discorso quasi intimo che si era aperto tra lui ed Elaine. Ma lei sapeva di dover andare fino in fondo. “Non per molto, Bruce, non per molto, se accetterai di rimanere il mio vice” gli disse, scuotendo la testa. “E perché mai? Mi sembri sulla strada di un ottimo recupero e i tuoi giorni di malattia scadono settimana prossima, quindi?” chiese Hamilton. “Sono incinta, Bruce” gli rivelò finalmente Elaine, senza più usare mezzi termini. “Oh” fu l’unica parola che Hamilton riuscì a pronunciare. “Mhm, adesso sì che sei rimasto a bocca aperta, vero?” disse Elaine, aspettando la reazione di Hamilton. “Oddio Elaine, hai veramente fatto tutto molto in fretta, a dire il vero” commentò lui, lievemente in imbarazzo. “Effettivamente sono stati tre mesi molto intensi” ammise Elaine. “E sta bene? Intendo, il bambino, non ha avuto danni o problemi per l’incidente, vero?” “No, sta benone. Ed è una femmina, Bruce.“ 110


“Una femmina? Come fai a saperlo? Non mi sembri così avanti nella gravidanza da poterlo sapere” chiese Hamilton sempre più stupito. “No, certo, ma l’ho vista, mentre ero in coma. Mi ha riportata qui lei, mi ha preso per mano e mi ha fatta tornare.“ Hamilton era sempre più interdetto. Tirò un lungo respiro e la guardò intensamente, quasi scrutandola, quasi come se avesse una nuova Elaine davanti. “La tua vita ha assunto dei tratti quasi soprannaturali, Elaine, che io fatico a cogliere. Ma ne sono estremamente affascinato, mi credi? E sto cominciando a pensare che ci sia qualcosa di straordinario, in te. Mi stai dicendo delle cose stupefacenti, alle quali difficilmente crederei se non fossi tu a parlare, perché ti conosco da anni e so che non diresti nulla se non fosse vero.” “É tutto vero, Bruce, è tutto vero. Nei prossimi giorni, se avremo tempo e ne avrai voglia, ti racconterò dove sono stata, chi ho visto, con chi ho parlato mentre ero in coma. E io credo che sia veramente successo tutto. É assurdo, ricordo perfettamente i giorni del coma e non ricordo per niente l’incidente… sapessi come mi sento strana, quasi diversa, ultimamente.” Era la prima volta che si rendeva conto che quello che stava dicendo al collega era la realtà esatta del suo stato attuale. Era vero, Elaine si sentiva in qualche modo diversa, ed era una sensazione strana, come se in quella 111


diversità avesse d’ora in poi potuto capire molte più cose e vederle soprattutto molto più chiaramente. “Lo farò davvero con molto piacere, Elaine” accettò Hamilton. “Ora” aggiunse, “vuoi essere aggiornata o per oggi ti sembra abbastanza? Mi sembri già un po’ affaticata, e sei ancora un po’ troppo pallida, per i miei gusti…” “No, nessun aggiornamento Bruce. Mi sembra di ricordare che la scorsa settimana non ci fosse un granché da fare, o mi sbaglio?” “No, non un granché. E qui la situazione è stata estremamente tranquilla: anche i ragazzi erano un po’ sotto choc per il tuo stato, quindi si sono comportati con estremo rispetto e sono stati tutti molto calmi e buoni, credimi.” “Beh, allora vedi che non tutti i mali vengono per nuocere…” cercò di scherzare Elaine. “Non dirlo nemmeno per scherzo Elaine, per l’amor di Dio! Avrei preferito che tu fossi andata in vacanza lasciandomi un sacco di menate da risolvere! Non è stato bello pensare di poterti perdere, sai?” confessò Bruce Hamilton, guardandola negli occhi quasi con tenerezza. “Ehi, Bruce, sono fidanzata, adesso, non provarci con me, già l’hai fatto con Rachel!” “Non ti si può proprio nascondere niente, vero? Non fai in tempo ad arrivare e già tutti ti fanno un resoconto dettagliato del mio operato! Comunque non ci ho provato con Rachel, è troppo giovane per me… anche se è molto carina… e un pensierino ce lo farei volentieri…” 112


“Le mie orecchie hanno sentito già abbastanza, Bruce” disse Elaine alzandosi, “vado a salutare Janet e a dare un bacio a mio figlio e me ne torno a casa. Credo di non essere ancora al massimo dello splendore.” La stanchezza l’aveva colta all’improvviso e Bruce si avvicinò a lei per sostenerla amichevolmente. “Ci vediamo domani?” le chiese. “Sì, ci vediamo domani. Nel pomeriggio, però” disse Elaine avviandosi verso la porta a braccetto con Hamilton. “Bene, ti aspetto” le disse questi baciandola su una guancia. “E, Elaine, un’altra cosa.” “Cosa?” “Saremo tutti con te, vedrai.” Elaine sentì la commozione salirle agli occhi. “Grazie, Bruce, grazie davvero.”

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18 “Allora Janet, fammi capire bene” disse Elaine all’amica, mentre erano sedute tranquille davanti ad una tazza di tè. Era giovedì mattina, e Janet cominciava alle undici, dopo l’intervallo. Elaine voleva fare un po’ il punto della situazione. “Chiedi e ti sarà dato, anzi, risposto, in questo caso.” “Voglio sapere esattamente chi sa di me e Andrew, come, perché, e tutto quanto. Ieri mattina Bruce mi ha detto che a scuola tutti lo sanno, ma non tutti sono contenti della storia e quindi voglio da te notizie più approfondite, prima di parlarne con Andrew.” “Sei pronta a qualsiasi cosa?” chiese Janet di rimando, scrutando a fondo l’amica. “Oh, piantatela di guardarmi come se dovessi morire da un momento all’altro! Sto benone, ficcatevelo in testa!” si lamentò Elaine. “Bene, allora, comincerò dall’inizio. Nei giorni in cui sei stata in coma, Andrew non si allontanava mai dal tuo letto, se non per le rapide incursioni in università. Ergo, chiunque venisse a trovarti lo vedeva. E vedeva pure che non era una presenza… come dire… occasionale, ma che era qualcuno che 114


a te ci teneva molto. Così la voce ha cominciato a girare” cominciò Janet, subito interrotta da Elaine. “Figuriamoci se a Broxburn non si diffonde velocemente una notizia di tale portata!” ironizzò Elaine “Come se a tutti dovesse interessare chi c’è in ospedale accanto al letto di Elaine Kincaid!” “Non devi stupirti, sai dove viviamo. Anche se le cose sono leggermente migliorate a Broxburn, rispetto a qualche anno fa. Comunque. Chi è, chi non è, naturalmente qualcuno l’ha riconosciuto e il nome di Padre Andrew McPherson è cominciato a saltare fuori. E tutti si chiedevano come mai proprio lui al tuo capezzale. Al che, la tua amica qui presente, ha fatto una veloce visita a Padre James a St. John per chiedere consiglio su come fosse meglio agire” raccontò Janet. “Ottima mossa” approvò Elaine. “Esatto. Il quale Padre James mi ha detto che ormai era inutile sorvolare o tenere ulteriormente il segreto che Andrew avesse fatto richiesta di rinuncia al sacerdozio e il perché: meglio dirlo apertamente, piuttosto che aspettare che qualcuno lo venisse a sapere e distorcesse in qualche modo e soprattutto a suo piacimento la storia” continuò Janet. “Saggio, come sempre” commentò Elaine. “Così, sempre la qui presente Janet Locker, a chiunque chiedesse, ha cominciato a dire le cose come stanno e, non dico a divulgare la notizia, ma a non nascondere più nulla, anzi. Con chi chiedeva, ho cercato di essere il più chiara possibile, 115


ripetendo il concetto magari due o tre volte, tanto perché fosse ben chiaro.” “Come sempre, se non ci fossi tu…” disse Elaine prendendo una mano di Janet, che gliela strinse. “E beh, lo so… A parte gli scherzi. Puoi immaginare quanto una notizia così succosa faccia in fretta a girare. Quindi, nel giro di tre o quattro giorni la maggior parte della scuola ne era a conoscenza, e quindi, di conseguenza, tutto il quartiere, e quindi, di conseguenza, credo la maggior parte degli abitanti di Broxburn” concluse Janet. “Ah, fantastico!” esclamò Elaine. ”E sai se Padre James ha ricevuto ‘interrogazioni parlamentari’ a tal proposito?” ironizzò poi. “Non ne ho idea. Non ho più avuto occasione di parlargli.” “Beh, allora mi rispondo da sola a questa domanda, visto che ieri sera Andrew mi ha detto che oggi pomeriggio Padre James lo aspetta in parrocchia perché ha bisogno di dirgli un paio di cose. Presumo che la faccenda abbia già preso una bella svolta, e forse un po’ troppo velocemente. Così eccoci buttati nell’occhio del ciclone, merda! E, contrariamente a quanto pensavamo, prima del tempo e per causa mia” disse Elaine piuttosto nervosa e agitata, alzandosi in piedi e cominciando un rapido andirivieni nel salotto. “Senti, non cominciare a farti venire l’ansia, per favore. Ti devi ancora riprendere bene e oltretutto sei incinta. Quindi risiediti, versati un altro tè e piantala” la rimproverò Janet. “Fai in fretta a parlare, tu!” sbottò Elaine. 116


“No, Lennie, non faccio in fretta. Il fatto è che so già i commenti e i pensieri della maggior parte di quelli con cui ho parlato, quindi ti posso tranquillamente dire che, secondo me, non avete da preoccuparvi tantissimo, un po’ forse, ma non tantissimo” tentò di rassicurarla Janet. “Sentiamoli, allora, questi commenti” disse Elaine un po’ piccata. “Beh, sai, tu dici che è colpa tua se la notizia si è diffusa tanto in fretta. Io dico il contrario. É un bene che questa storia sia venuta fuori con il tuo incidente, il coma e la tua degenza in ospedale, per quanto io ti avrei risparmiato tutto quello che hai passato negli ultimi dieci giorni. Vedi, sta succedendo un po’ come nel reparto intensivo dove eri ricoverata. Lo sai che là tutte le infermiere, oltre a sbavare per Andrew (scusa, lasciatelo dire perché è vero), una volta saputo com’era la situazione tra voi due, hanno cominciato a vagare con la fantasia e a pensare a quanto fosse romantico che un uomo facesse un gesto così importante per la donna che ama, su quanta dedizione e quanto amore lui stava dimostrando, bla bla bla, tutte ‘ste sdolcinature da commedia rosa" e qui Janet fece una faccia un po’ schifata, “senza soffermarsi sul punto cruciale della faccenda, e cioè che Andrew effettivamente e tecnicamente è ancora un sacerdote. Ma: Dio com’è romantica e bella la vostra storia!!” esclamò con enfasi alla fine, per poi aggiungere ”Ed è davvero un po’ così, no?” “Ammettiamo che sia romantico e bello e bla bla bla. Suppongo che non tutti la penseranno così, e 117


che una volta finito l’effetto romanticismo, le cose cominceranno a cambiare. O, comunque, non tutti coglieranno l’aspetto romantico della cosa, bensì quello un pochino più peccaminoso, per chiamarlo come lo chiameranno quelli che non si troveranno d’accordo” constatò Elaine. “Altroché! Non ti ho mica detto che son tutte rose e fiori. Lo zoccolo anziano del corpo insegnanti si è già scandalizzato, elementi tipo la Ferguson, la Kerr e la Macfarlane alle primarie, oppure Montgomery e la Anderson alle secondarie, Sinclair compreso…” “Ah, ma lui lo farà di certo per vendicarsi dei miei no!” si intromise Elaine. “Sicuramente. Ma io, Rachel, Meggie, Kevin, Hamilton e tutti quelli che non ti ho nominato prima stiamo lavorando con costanza e tenacia per te, fidati di noi” le disse Janet. “Bastano poche persone a rovinare tutto…” si lamentò Elaine. “Lennie, io capisco che tu ti senta ancora un po’ confusa, un po’ debole fisicamente e psicologicamente. Hai avuto un carico di problemi non indifferente negli ultimi tempi, incidente e coma compreso. Mi sembra abbastanza per un bel po’ di tempo. Ricordi però quella sera della cena a casa tua, quando hai parlato di questa cosa a Kevin? Ricordi cosa ti avevamo detto? E che poi avevamo detto anche ad Andrew? Che avremmo lottato per voi. E lo stiamo facendo, con tutte le nostre forze. Quindi, fidati, stattene buona e in silenzio, comportati come sempre, vai a testa alta: nessuno avrà il coraggio di affrontarti di petto o 118


chiederti spiegazioni faccia a faccia. Siamo proprio noi che dobbiamo fare questo lavoro, credimi. E fidati di noi.” “Il famoso lavoro sporco…” tentò di ironizzare Elaine. “Esatto, il lavoro sporco. Ma sai, in fondo ci stiamo divertendo… escono di quelle cose che nemmeno ti immagini! Ma non chiedere nulla, per ora. Perché potrebbero farti dire cose che non vorresti mai dire in presenza delle persone che le dicono. Sono solo un mucchio di cazzate. Comprensibili, ma un mucchio di cazzate. Ripeto: fidati e basta” ribadì Janet, cercando di tranquillizzare al massimo l’amica. “Ok, mi fido. Nicholas si è ripreso, secondo te? Come lo vedi a scuola? Qui a casa sembra normale” disse Elaine passando a un argomento che le stava più a cuore. “Tranquilla, si vede ancora che è rimasto un po’ traumatizzato: da silenzioso che era nei giorni in cui eri in coma, è passato ad uno stato di intensa euforia e iperattività. Ma si sta assestando, ora che sei a casa” rispose Janet. “É iperprotettivo, con me, e io e Andrew non facciamo altro che rassicurarlo che va tutto bene, ora. Credo ci vorrà un po’ di tempo, per lui.” “Io credo che ci vorrà un po’ di tempo per tutti, Elaine, me compresa” disse Janet guadagnandosi un abbraccio di Elaine. Anche lei sembrava un po’ strana, tanto da indurre Elaine a domandare se ci fosse qualcosa che non andasse. 119


“Al di là del fatto che hai subito anche tu un bel trauma, va tutto bene?” “Vuoi una risposta di circostanza o vuoi la verità?” le chiese di rimando l’amica. “Chiaro che voglio la verità!” Janet rimase un attimo pensierosa. “C’è qualcosa che non va, Lennie” disse poi. “Cosa, santo cielo?” “É… Kevin” disse poi sommessamente. “Kevin???” domandò incredula Elaine. “Sì, Kevin. É un po’ strano… non so, sfuggente. Ma non riesco a capire” confessò Janet. Elaine rimase un po’ interdetta: tutto poteva pensare, meno che ci fosse qualcosa di poco chiaro in Kevin e nel matrimonio di Janet. “Strano in che senso?” chiese, insistendo. “Strano. Non ti posso dire nulla di più preciso, ma è un mese, ormai, che è un po’ più silenzioso del normale. E non molla un attimo il cellulare.” “O Dio, Janet, non sospetterai certo che…” “Non lo so. Devo capire meglio” disse, poi si alzò per congedarsi dall’amica. “Devo andare, adesso, Lennie. Avremo senz’altro modo di parlarne meglio. Ti inviterò una sera di quelle in cui lui esce per andare in palestra per le lezioni private, che, guarda che caso, sono aumentate… “ buttò lì la frase, sperando che Elaine ne capisse la portata. Ed Elaine capì. Abbracciò l’amica e l’accompagnò all’ingresso.

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“Tranquilla, Janet. Ne riparleremo un po’ più approfonditamente e risolveremo anche questa, vedrai!” le disse. “Certo, come no! Io e te, sempre unite contro il nemico!” scherzò Janet, fingendo un’allegria che in realtà non c’era. Si abbracciarono ancora una volta prima che Janet uscisse da casa di Elaine per dirigersi a scuola. Elaine chiuse la porta e vi si appoggiò. “Non c’è mai pace, in questo inferno di mondo” mormorò davvero un po’ sconsolata e stanca.

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19 Quella stessa sera, dopo cena, Elaine e Andrew sedevano sullo stesso divano che aveva accolto Janet alla mattina, aggiornandosi sulle ultime novità e parlando quasi sottovoce per non svegliare Nicholas che era già a letto. “Credo proprio che la situazione sia precipitata” stava dicendo Elaine ad Andrew ”e tutto a causa mia.” “O mia. Se ci pensi bene, sono io a essere stato tutto il tempo accanto a te, fregandomene delle conseguenze. Suppongo che anche i tuoi si siano fatti un sacco di domande, no?” chiese Andrew. “Sì, in effetti, mio padre ha accennato a chiedermi qualcosa, e io non ho negato niente, anche se gli ho detto che ci sarà tempo, modo e luogo per parlarne approfonditamente. Non avevo certo voglia di intavolare il discorso in ospedale” rispose Elaine. “Beh, senti, sai cosa ti dico? Che sono dello stesso parere di Janet. Secondo me tutto quello che è successo ci ha risparmiato molto di tutto: molto tempo, molte spiegazioni, molte giustificazioni” le disse lui, circondandole le spalle con un braccio per farla appoggiare al suo petto. Elaine si rannicchiò meglio vicino a lui, non senza fatica, perché le costole davano ancora un po’ di problemi. “E Padre James? Che cosa ti ha detto? É incazzato per tutto questo?” chiese un po’ ansiosa. 122


“No, non direi. Innanzi tutto mi ha detto che l’Arcivescovo l’ha chiamato più volte per avere notizie sulla tua salute…” “Veramente??” “Giuro. Non ci volevo credere nemmeno io.” “Che storia!” “Gigantesca, oserei dire. Poi mi ha detto che qualcuno è andato di persona a chiedergli spiegazioni su noi due” aggiunse, con un sorrisetto sarcastico stampato sulla bocca. “Mio Dio… siamo l’argomento del giorno! Non so se ridere o piangere” ammise Elaine. “Né ridere né piangere. É normale che stia succedendo ed è normale un po’ di agitazione nell’aria, a questo punto” disse molto calmo Andrew. “Ehi, ma tu chi sei? Sei sulla bocca di tutti e non ti senti nemmeno un po’ preoccupato?” chiese Elaine con un tono quasi un po’ contrariato. “No, non lo sono. Nemmeno un po’, se devo essere sincero.” “E come fai? Io invece, se vuoi saperlo, lo sono molto” gli svelò Elaine. “E per quale motivo? É vero, sta succedendo tutto molto in fretta, molto più di quanto mi aspettassi, e forse anche a causa del tuo incidente, è vero. Ma ci hanno forse beccato in qualcosa di losco o di sporco o di poco chiaro? Non credo, Lennie. Io ho fatto dei passi ben precisi, ho fatto una scelta ben chiara. Ho scelto te, e l’ho fatto con trasparenza e decisione. E questo, Padre James lo sta dicendo con altrettanta chiarezza e decisione a chi va a chiedere e a cercare 123


di scoprire di più” disse Andrew, sempre con molta pacatezza. “Di più? Che cosa ci sarebbe da sapere di più?” si stupì Elaine. “La morbosità del genere umano non ha limiti, Elaine. Te lo dice uno che fino a un paio di mesi fa era costretto a stare ore nei confessionali. Vogliono sapere il perché, il quando, il come, il come mai; vorrebbero avere storie succose e perverse da raccontare in giro. Dobbiamo essere proprio per quello tranquilli e sereni: non c’è nulla da dire, ormai. Così è e così sarà. Chi lo accetterà, bene, chi non lo accetterà… pazienza. Noi non abbiamo bisogno né degli uni né degli altri, ci basterà avere vicino chi realmente ci vuole bene. Tutto il resto non conta, e lo sai.” Andrew le diede un leggero bacio sulla testa appoggiata alla sua spalla. “So che, dopo quello che hai passato, ti sembrerà tutto più difficile e più pesante da sopportare, ma io sono qui, Lennie. E non ti lascerò sola, mai più. E se arriverai a un punto che non potrai più farcela, ce la farò io per te,”la fece girare con delicatezza verso di lui “perché io ho scelto te. E non ti ho scelto sull’onda di una pazzia improvvisa o di un fulmine a ciel sereno, ma dopo lunghi anni di solitudine in cui il mio pensiero era costantemente con te e lunghi anni di riflessioni su cosa fosse meglio fare. E ho scelto te.” Il lungo bacio che le diede non lasciava spazio ad alcun tipo di dubbio. 124


Elaine lo ricambiò con trasporto e quando si staccò dalle labbra di Andrew rimase a guardarlo a lungo. “C’è qualcos’altro che ti preoccupa? O non stai bene? Hai mal di testa?” chiese Andrew. “Sto bene… Ma…” iniziò titubante Elaine. “Ma… cosa??” “Sta succedendo qualcosa a Janet” decise di rivelare lei. “Avanti, parla. Non mi sembra il caso che tu debba tenerti dentro anche i suoi problemi, come se non ne avessimo già abbastanza, di cose a cui pensare!” Elaine si rimise seduta in modo da poterlo guardare bene. “Janet dice che Kevin è strano, ultimamente. É un po’ sfuggente, non molla mai il cellulare. Poi, sai che fa il personal trainer in quella palestra di Edimburgo, no? Ecco, ha preso allievi in più ed è fuori quasi tutte le sere. Il tutto da un paio di mesi a questa parte. E Janet è un po’ preoccupata.” Andrew rimase un attimo in silenzio, riflettendo. “Tu che ne penseresti?” chiese Elaine. Lui decise di rispondere con una domanda che di certo Elaine non si sarebbe mai aspettata. “Cosa sai di Margareth Jordan, tu?” Elaine lo guardò interdetta. “Margareth? Che diavolo c’entra Margareth Jordan, adesso? Che cosa dovrei sapere?… Oh, no, Andrew! Cosa sai tu?” Elaine si portò una mano sulla bocca, sospettando già dove voleva arrivare Andrew. “Un pomeriggio, in ospedale, mentre tu eri ancora in coma, Kevin ed io stavamo chiacchierando 125


nell’attesa dell’arrivo di Christopher e Nicholas. Sinceramente sono andato io sull’argomento Margareth Jordan, chiedendo se ne avevate più avuto notizie.” “E cosa cavolo te ne frega di Margareth, scusa?” domandò Elaine stizzita e con una leggera punta, anzi, forse una grossa punta di gelosia. “Oooh, Lennie! Per favore! Era per fare conversazione e basta, ok? Non mi fare menate, ti sembra il caso?” Elaine sospirò. “No” ammise “no, scusa. Ok, continua.” “Aspetta. Dimmi cosa sapete tu e Janet di Margareth” insistette lui. Elaine scosse la testa stupita. “Ma niente, cosa dovremmo sapere? Aveva insegnato come supplente per un paio di periodi, nemmeno troppo lunghi, dopo che tu eri partito per Inverness. Dopodiché si è laureata, si è vista in giro quando la sua mamma era malata, e c’eravamo fermate a parlare con lei al funerale di Petunia. Ci aveva detto che avrebbe venduto la casa e si sarebbe trasferita definitivamente a Edimburgo. E così è stato, e di lei non abbiamo più saputo nulla” spiegò dettagliatamente Elaine. “Scusa, perché?” “Quindi nessuna di voi due sa che lavora nei laboratori scientifici dell’università, nel team che fa ricerche sulle cellule staminali?” indagò Andrew. “No, non io perlomeno. E se non lo so io, stai certo che non lo sa nemmeno Janet. Ma mi vuoi spiegare, per favore?” insistette Elaine. 126


“Ecco, vedi, Kevin sembra essere molto informato sulla vita e sul lavoro di Margareth” rivelò finalmente Andrew. Elaine rimase a guardarlo, scuotendo leggermente la testa, in un tentativo quasi disperato di negare ciò che Andrew le aveva detto e soprattutto quello che c’era di implicito nella frase che aveva pronunciato. “No, no, no. Dimmi che stai tirando cazzate” lo supplicò. “Mi piacerebbe potertelo dire, ma non è così. Ne parlava animatamente, mi spiace. E se devo dirtela tutta, mentre lui parlava, ho sentito suonare dentro di me un campanello d’allarme” concluse Andrew, dandole una carezza quasi di conforto sulla guancia, seguita da un leggero bacio ricambiato distrattamente da Elaine, che era ammutolita. “E adesso?” chiese poi lei. “Mio Dio, Elaine! Non è che possiamo risolvere tutti i problemi nostri e di Janet stasera! E poi non è detto che sia questo il problema di Kevin” disse Andrew cercando di attenuare la piega che aveva preso la loro conversazione. “Ma ci sarà qualcosa che possiamo fare per capirlo, no?” insistette lei. “Certo. Tu dimentichi sempre che il rettore dell’università è uno dei miei migliori amici, e lui sì che può sapere molto! O, perlomeno, può informarsi su molte cose.” “Peter Campbell! É vero!” s’illuminò Elaine. Andrew rise. 127


“Se Peter sapesse quanto poco tu lo tenga in considerazione, ne soffrirebbe molto, sai? Ti adora, quel maledetto!” Nonostante tutto, dopo le parole di Andrew, anche Elaine si mise a ridere di gusto. “É vero! Poverino! Mi ha anche portato i Sonetti in ospedale… Oh! Giusto! Devo restituirglieli e ringraziarlo!” “Già” ammise Andrew annuendo. Elaine aveva già trovato il modo giusto e l’occasione giusta per parlare a Campbell. “Chi lo chiama? Tu o io?” le chiese, sornione. “Mhm, non so” disse Elaine fintamente pensierosa e già divertita dallo sguardo che le stava lanciando Andrew, ”direi io, però.” “Doveroso da parte tua, cara“ ironizzò lui. “Vuoi il numero dell’ufficio o del cellulare? Con l’ufficio devi passare attraverso la sua segretaria, col cellulare sarà una cosa un po’ più intima.” “Cellulare, allora” lo stuzzicò Elaine ridendo. “Infame di una donna!“ esclamò Andrew quasi saltando addosso a Elaine e facendola ribaltare sul divano. Elaine emise un gemito di dolore. “Oh, scusami, ti prego!” le disse Andrew, che, però, non cambiò posizione ma cercò solo di non appoggiarsi troppo a Elaine, ormai sdraiata sotto di lui. Un lungo silenzio rimase in sospeso tra di loro. “Ti desidero, sai? Ti desidero da impazzire” le disse poi Andrew. “C’ è Nicholas, Andrew…” “Lo so. Ma domani?” 128


“Mi devi accompagnare dal dottor Morrison per la visita di controllo” gli ricordò Elaine. “Mhm. Domani mattina alle nove e trenta, lo so. Ma non durerà in eterno, e io avrò lezione solo nel pomeriggio, alle sedici e trenta…” “Bene. Sempre meglio programmare al meglio le giornate, no?” Anche Elaine cominciava a desiderare di fare di nuovo l’amore con Andrew, anche se psicologicamente c’era qualcosa che la bloccava un po’, ma di questo, per ora, non ne fece parola. Si baciarono a lungo, con dolcezza, sentendo crescere la voglia di fondersi l’uno con l’altra. “Meglio dormire, che ne dici?” disse poi Elaine. “A questo punto, per me, sarebbe meglio una doccia fredda” ironizzò Andrew, “ma sì, devo ammettere che hai ragione, meglio dormire.” Si alzò e aiutò Elaine ad alzarsi a sua volta: i suoi movimenti erano ancora un po’ rigidi, ma dovette sinceramente ammettere che le capacità di recupero di quella donna erano state straordinarie. La accompagnò fino alla porta della camera da letto, la baciò e poi tornò in salotto, al suo posto sul divano. Rimase un bel po’ di tempo sveglio, pensando a tutto quello che stava accadendo nella loro vita ultimamente: ammise con se stesso che c’era molto caos, ma è dal caos che nasce l’ordine, pensò. Non era vero che non fosse preoccupato che la gente avesse cominciato a parlare di lui ed Elaine, lo era, in realtà, ma tutte le sue preoccupazioni erano rivolte a lei, non a se stesso. 129


Lui poteva reggere, ma Elaine? Era incinta, aveva fatto un bruttissimo incidente ed era stata tre giorni incosciente, aveva avuto visioni inquietanti (Angus, e la bambina che lei asseriva fosse la loro figlia), ed ora stava cercando in tutti i modi di apparire più forte di quanto in realtà fosse, forse per non far più preoccupare lui e Nicholas. Ma c’erano dei grossi punti di domanda: avrebbe ricordato l’incidente? Quando Andrew rivedeva nella mente l’auto completamente distrutta di Elaine, si sentiva rabbrividire: l’impatto doveva essere stato violentissimo e pensò ancora una volta che davvero Qualcuno l’aveva salvata mettendole un’amorevole mano sulla spalla, altrimenti non si sarebbe potuto risolvere tutto in questo modo quasi miracoloso. Avvertiva che in Elaine c’era qualcosa che non andava, qualcosa che la rendeva più rigida, in alcuni momenti addirittura sfuggente, e si chiese cosa potesse fare per riuscire a farla parlare davvero, facendole buttare fuori quello che, lui lo sapeva, si stava tenendo dentro. Ammirava sempre di più la forza di reazione che aveva avuto e tuttora stava dimostrando ma, se non si fosse sfogata e non avesse permesso ai ricordi di riaffiorare, non sarebbe stato un bene, per lei, perché non sarebbe più stata la stessa. Doveva riuscire a trovare il modo giusto per aiutarla. Forse l’indomani, dopo la visita di controllo, avrebbe potuto tentare qualcosa, usando il massimo della delicatezza e della dolcezza, non con 130


qualche dubbio, poiché aveva già notato che quando tentava con Elaine un approccio più dolce, lei si ritraeva: forse aveva paura di lasciarsi andare, perché capiva che rilassando la mente tutto sarebbe saltato finalmente fuori. Prima o poi doveva succedere. Sì, decise, avrebbe tentato.

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20 “Hai visto? Sto bene, e potete smettere di preoccuparvi per me, adesso” disse Elaine entrando in casa e posando la borsa sulla cassapanca in anticamera. Andrew chiuse la porta e la prese tra le braccia. “Vero, ma il dottor Morrison ha anche detto che se avessi voluto ti avrebbe dato un’altra settimana di malattia…” le disse baciandola con uno schiocco sulle labbra. “No, per favore, no! Non posso stare a oziare tutto il giorno, che palle!” rispose Elaine cercando di divincolarsi dalle braccia di Andrew, che la lasciò andare. Si diressero verso la cucina, dove cominciò subito a trafficare tra frigorifero e fornello. “Non potremmo concederci un’oretta di relax?” le chiese Andrew ammiccando. “Bisognerà pur nutrirsi anche oggi, no?” chiese Elaine di rimando, continuando nelle sue faccende. Andrew capì subito che stava cercando ancora una volta di sfuggire. “Elaine” disse con voce ferma e decisa. “Dimmi. Che cosa vuoi mangiare?” chiese Elaine senza voltarsi verso di lui, ma fermandosi davanti al lavello. “Elaine, guardami.” 132


La vide tirare un lungo respiro e poi girarsi verso di lui con un sorriso un po’ forzato. “Dimmi cos’hai” le disse Andrew, rimanendo sempre a debita distanza. “Niente. Sto bene. Tac perfetta, nessun ematoma tardivo, costole in via di guarigione, punti tolti dalla ferita alla testa, ecografia nella norma e anche la bambina sta bene. Quindi, non ho niente” disse Elaine, rimanendo poi a guardarlo in silenzio. Silenzio che Andrew si guardò bene dallo spezzare: rimase a guardarla, e lei non abbassò mai gli occhi, lasciando che la sfida tra i loro sguardi durasse per qualche momento. Andrew vedeva la mascella di Elaine contrarsi continuamente. Attese paziente. “Ho solo fatto un incidente, Andrew, come succede a molti nella vita. Ma sono viva. E sto bene” disse poi con voce che voleva sembrare ferma, ma che cominciava a cedere. “Lo vedo che stai bene, Elaine. Fisicamente stai benone già da un paio di giorni” disse lui, ”ti vedo che stai bene. Ma non stai bene, lo so.” Elaine abbassò lo sguardo, titubante. “O sì o no, Andrew, deciditi.” “Dimmelo tu.” “Sì.” “Ok.” “Ok” confermò Elaine. Ma Andrew vide che le tremava leggermente un labbro. Poi Elaine cominciò a tremare tutta, si accovacciò per terra e quando Andrew si mosse per 133


raggiungerla, lo fermò con un deciso gesto della mano e un imperativo no. Allora si accovacciò anche lui, tendendole solo una mano che lei prese e strinse con forza; alzò lo sguardo pieno di lacrime. “Potevo morire, Andrew! Sarei potuta morire, lasciare mio figlio solo, lasciare te solo, dopo tutto quello che hai fatto per me, e poteva morire anche la nostra bambina! Come ho potuto essere così idiota da voler rispondere ad uno stupido cellulare mentre stavo guidando? Non l’ho mai fatto, perché quella maledetta mattina invece sì?” Le parole le stavano uscendo quasi con un rantolo di terrore. “Lennie…” incominciò lui. “No! Zitto! Non ho pensato a mio figlio, non ho pensato a proteggere questa creatura che ho dentro di me, non ho pensato a nulla e ho agito come un’incosciente! E non mi ricordo ancora niente, non so ancora se è colpa mia e se avrei potuto evitarlo, e quando mi sono sentita sprofondare nel nero, non sarei mai più ritornata! E Angus? Angus era vero? Angus mi ha parlato veramente? Che cosa è successo davvero là dentro? Perché non sono stata capace di ricordare da sola che avevo un figlio, che avevo te, che ero incinta?” Elaine non stava piangendo, nonostante gli occhi pieni di lacrime, e la sua voce stentata e ansimante stava facendo preoccupare Andrew. Era sull’orlo di quella crisi che lui aspettava da qualche giorno. Si avvicinò a lei, quasi con circospezione, per non farla scappare ancora via, lontana, per non farla 134


rifugiare ancora nella freddezza che aveva tenuto tutto sotto controllo per tutto quel tempo. Le cinse le spalle con un braccio e insieme si sedettero sul pavimento della cucina, appoggiati all’armadietto del lavello. Elaine si dondolava un po’ avanti e indietro, stringendosi le mani in mezzo alle gambe, affannata, con lo sguardo quasi vacuo. “Ascoltami, Elaine. Ascoltami bene e guardami, adesso” con voce calma e tranquilla era riuscito a farle girare la testa verso di lui. Le sorrise. “Prima di tutto non ti devi incolpare di niente, credimi. Non è stata colpa tua, anzi, hai evitato un impatto frontale con un camion che stava sorpassando nell’altra corsia. La macchina si è ribaltata perché hai incontrato un grosso sasso sul ciglio della strada. Ti sei salvata, hai salvato nostra figlia, e hai evitato che Nicholas perdesse la mamma. É vero, potevi ignorare il suono del cellulare, ma avrebbe anche potuto essere una cosa importante. Tutti lo facciamo, anch’io spesso, anche se non si dovrebbe. Ok?” Elaine annuì, deglutendo rumorosamente e cercando di trattenere un singhiozzo. “Poi, là, nel nero, come lo chiami tu, io credo che sia successo esattamente quello che ha detto Nicholas.” Andrew lasciò in sospeso la frase. “Nicholas? Cos’ha detto Nicholas?” chiese Elaine, un po’ più calma. “Vedi, quando è venuto a trovarti in ospedale e tu eri ancora in coma, ha detto che stavi dormendo e che il motivo per cui non ti volevi svegliare era 135


perché avevi ancora tanto male e non volevi sentirlo” le disse dolcemente Andrew. “É vero, aveva ragione. Come tentavo di risalire sentivo dei dolori lancinanti” confermò Elaine, con le lacrime che le scendevano dagli occhi silenziosamente. “Ma tutto quello che ho visto e sentito?” chiese poi appoggiandosi alla spalla di Andrew. “Io ci credo, Elaine. Io credo che fosse davvero Angus. Era l’unico che poteva davvero sapere che se non fossi tornata sarei impazzito di dolore” le disse abbracciandola stretta. “Allora anche la bambina che ho visto era davvero nostra figlia…” “Sì, potrebbe essere. Non ci è dato sapere che cosa c’è nel mondo accanto al nostro, ma Dio opera in modi misteriosi e, chissà, forse ti ha dato la possibilità di vedere come sarà nostra figlia, per farti tornare da noi. Non farti troppe domande, non angustiarti. Ritorna a vivere davvero e a essere la nostra Elaine. Accetta quello che ti è successo, come se fosse stata una prova che dovevi superare. L’hai superata, credimi, con una forza e una determinazione che solo tu potevi avere. L’hai fatto per noi: per me, per Nicholas, per…” A questo punto Andrew si fermò, le prese il viso tra le mani e la guardò intensamente negli occhi. “…lei ti ha detto il suo nome?” chiese, riferendosi chiaramente alla visione della bambina che aveva avuto Elaine. “No… Però…” “Però?” 136


“L’ho avvertito, il suo nome, l’ho sentito” rivelò Elaine. “E qual era?” chiese Andrew. “Elizabeth. Lizzie…” il viso di Elaine si aprì in un sorriso repentinamente luminoso “…sì, Lizzie, è questo il nome che ho sentito dentro di me.” Improvvisamente Andrew sbiancò e per un attimo chiuse gli occhi. “Che cosa c’è? Cosa ti succede, Andrew?” chiese Elaine un po’ preoccupata. “Lennie… non te l’ho mai detto, credo. Prima di avere me, mia madre aveva avuto un aborto spontaneo al terzo mese di gravidanza” rivelò Andrew, quasi con il respiro spezzato. “I miei genitori avevano deciso di chiamarla Elizabeth, se fosse stata femmina.” Si guardarono e in quell’attimo capirono che le loro vite erano state travolte da un ineluttabile destino. Ogni cosa aveva ora un posto, ogni tassello si incastrò con l’altro a formare quel mosaico che aveva portato a quello che erano in quel preciso istante, su quel pavimento di quella cucina in una casa di Broxburn, in quelle terre remote e a volte selvagge che erano la loro Scozia. Si abbracciarono stretti, increduli e sopraffatti da quanto poteva davvero essere misterioso il corso della vita, senza capire, ma sapendo che tutto ciò che erano stati, tutto ciò che era stato fatto, tutto ciò che era successo, poteva ora avere un senso. Rimasero stretti a lungo: ora, la preparazione del pranzo non era più la priorità di Elaine. 137


Si lasciò abbracciare, si lasciò baciare, si rilassò completamente e si lasciò portare in camera, dove Andrew la fece adagiare sul letto e con movimenti delicati e lenti iniziò ad amarla, ancora una volta come se sotto le sue mani ci fosse una donna nuova. Capirono in quel momento di aver raggiunto la pienezza del loro rapporto: ora erano esattamente come dovevano essere; non c’erano più tappe da raggiungere, scopi da cercare, significati da trovare. Ora erano esattamente quello che tanto avevano sperato, quello per cui tanto avevano aspettato, sofferto e anelato. Fecero l’amore sorridendosi, sussurrandosi frasi solo a loro comprensibili, ritrovarono se stessi e iniziarono in quel momento, in quel giorno, la loro vita insieme. E poi, con la mente finalmente sgombra, rannicchiata sotto le coperte con Andrew, successe quello che Elaine tanto aspettava. “Mi ricordo” disse, con voce pacata. Andrew la guardò, preoccupato, ma lo sguardo di Elaine era sereno. “Mi ricordo tutto. C’era il sole che mi batteva sul finestrino. Era caldo. Ero felice, stavo venendo da te per dirti del bambino, ed era una giornata bellissima. Poi è suonato il cellulare e con la mano sinistra l’ho cercato nella borsa. Ho staccato gli occhi dalla strada e ho visto che la chiamata era della scuola, ma siccome ero appena venuta via, ho pensato che non dovesse essere così urgente e ho deciso che avrei richiamato dopo. Così ho interrotto la chiamata e ho lasciato il cellulare sul sedile. Ho rialzato gli occhi sulla strada e ho visto il camion 138


sulla mia corsia, in sorpasso. Mi sono spaventata, ho sterzato verso l’esterno della strada e ho urtato qualcosa, sì, forse un grosso sasso. Ho perso il controllo dell’auto e si è capovolto tutto. Ho sentito un dolore lacerante alla testa quando l’auto ha sbattuto contro una delle grosse querce che ci sono sotto il viadotto della ferrovia. Ricordo di aver pensato a Nicholas, e a te, e di essermi messa una mano sulla pancia per proteggere Lizzie. Poi mi è venuto freddo, tanto freddo. Ho visto il cielo, che era di un azzurro quasi commovente, ho pregato e sono sprofondata nel nero. Mi ricordo tutto, Andrew.” “Sono contento, Elaine. Ora non c’è più nulla che ti deve preoccupare. Hai ricordato l’incidente, sai che non devi più cercare significati in quello che hai visto quando eri in coma, la nostra bambina è salva. Ora devi tornare a vivere davvero, ora devi essere ancora la nostra forza, la nostra ragione di vita, la nostra roccia” le disse Andrew. “Sì. Lo farò. Perché mi ricordo benissimo che quando ho pregato, ho chiesto a Dio di darmi la possibilità di tornare da voi. Lui l’ha fatto e io non posso sprecare questa seconda opportunità. Ho rischiato di morire ma non sono morta. Quindi vivrò, e lo farò forse meglio di quanto io abbia mai fatto finora.”

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21 Dopo poco più di due settimane, Elaine, Andrew e Peter Campbell sedevano ad un tavolo di un pub di Edimburgo, e chiacchieravano allegramente del più e del meno. “Mi spiace, Elaine, di averti fatto aspettare così a lungo per quest’appuntamento” stava dicendo Campbell. “Figurati, Peter. Sono direttrice di una scuola e so quanto dà da fare, figuriamoci un’università!” scherzò Elaine. Ormai erano passati ad un tono molto confidenziale e Andrew li osservava divertito. “Mi piace parlare con persone che sanno cosa può voler dire essere infilati nelle burocrazie scolastiche ad ogni livello. A volte dire che sei il rettore di un’università suscita invidia… ma non sanno quanto può essere frustrante, soprattutto quando si passa al lato economico della faccenda, sovvenzioni, entrate statali, e soprattutto uscite!” “Santo cielo, non me ne parlare, è terribile, si cozza sempre contro dei muri invalicabili!” confermò Elaine. “Scusate se vi interrompo” si intromise Andrew, ”Volete che vi lasci soli o posso rimanere e magari parlare anche io?” Campbell rise di gusto dando una pacca sulla spalla ad Andrew mentre Elaine nel frattempo scuoteva la testa. 140


“Non sarai ancora geloso, Andrew! Questa meravigliosa donna mi sa che è proprio tutta tua, sai?” lo rassicurò l’amico bonariamente. “Scherzavo, Peter. Lo so bene che è tutta mia… anzi, ti dirò di più, sono tutte mie!” disse Andrew guardando Elaine che gli sorrideva. Si erano già accordati per dare quella sera la notizia della gravidanza di Elaine a Campbell. “Come tutte? Quante ce ne sono di queste meraviglie, al mondo?” chiese Peter senza capire. “Tra sette mesi, due, Peter, due meraviglie tutte mie” disse Andrew prendendo la mano di Elaine. Peter guardò prima uno e poi l’altra, e un brillio di comprensione apparve nei suoi occhi; scoppiò in un’altra fragorosa risata. “Andrew, Elaine! Congratulazioni!” Campbell strinse vigorosamente la mano di Andrew e baciò sulle guance Elaine. Poi si sedette e tornando improvvisamente serio, disse: “É un bel casino, però…” “No, perché?” disse Elaine. Era una Elaine rilassata, tranquilla. Da quando aveva ricordato tutto e aveva dato un significato a tutto ciò che le era capitato, viveva diversamente. Aveva scoperto di aver quasi azzerato le sue ansie, non se la prendeva più per un nonnulla, qualsiasi cosa che prima poteva essere un problema veniva ora affrontato con calma e serenità sotto tutti gli aspetti. Era tornata a ridere, sentiva di amare come non mai suo figlio e Andrew, parlava alla bambina che stava crescendo dentro di lei e si sentiva 141


totalmente appagata. Ogni cosa veniva affrontata con un sorriso sulle labbra. “Beh, lo capiranno tutti, prima o poi” disse Campbell ”e se, come mi dice Andrew, stanno già parlando di voi, penso che poi le cose peggioreranno ulteriormente.” “E noi li lasceremo parlare. E faremo la nostra vita, non curandoci di loro. Prima o poi smetteranno di zabettare, no? Si stancheranno quando l’argomento sarà trito e ritrito. É sempre così” disse Elaine. “Questa tua calma è coinvolgente, Elaine. Pensare che tu, Andrew” disse rivolgendosi all’amico ”me l’avevi descritta come una donna un po’ inquieta e ansiosa!” “Veramente, Peter, dopo tutto quello che è successo, è come se avessi una nuova donna. Ma è questo il bello di Elaine: tutti i giorni ne scopri una diversa” rivelò Andrew. “Bene, adesso la piantiamo di parlare di me, per favore!” disse decisa Elaine. “Parliamo di questa creatura, allora. A quando l’evento? E perché siete così sicuri che sia femmina?” chiese Campbell. Elaine raccontò brevemente ciò che aveva visto durante il coma ad un Peter Campbell sempre più stupito. “…e nascerà agli inizi di novembre, se tutto va bene. Ma andrà tutto bene, lo so” affermò Elaine. Campbell rimase a guardarla incantato. Poi si girò verso Andrew.

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“Adesso credo proprio che la mia promessa di darti una cattedra dovrà diventare realtà. E proprio di questo ti dovrei parlare, Andrew.” “Peter, lo sai che non ti ho chiesto miracoli, mi va bene anche qualche corso ogni tanto” gli disse Andrew. “No, Andrew, assolutamente no. Si libera una cattedra, l’anno prossimo. Jason Portland va in pensione. Voglio darti il suo posto, ma c’è un problema, anzi due: se non mi arrivano in fretta i nuovi finanziamenti dovrai accontentarti di uno stipendio minimo per un po’ di tempo, e poi… so che ami particolarmente la storia medioevale e rinascimentale, ma come tu sai, Portland…” “No, Peter, non la storia contemporanea, ti prego!” gemette Andrew, che conosceva il collega e sapeva il periodo storico che aveva sempre trattato. “No, non tutta. Si tratta del periodo dalle rivoluzioni del ‘48 alla fine della seconda guerra mondiale. Per un anno, Andrew, solo per un anno. Poi penserò ad altro. Tu aiuti me che non dovrò andare a cercare qualcuno in fretta e furia, e in cambio avrai un posto di lavoro sicuro.” Andrew rimase pensieroso per un momento, mentre arrivava la cameriera a portare via i piatti vuoti. Ordinò un’altra birra, insieme ad un caffè e ad un tè per gli altri due, guardò Elaine che annuì impercettibilmente e alzò le sopracciglia. “Devo farlo, vero?” le chiese Andrew. “Non puoi lasciarti scappare un’occasione così, Andrew” confermò Elaine. 143


“Storia contemporanea, Lennie” ribadì lui arricciando il naso. “Ma storia, Andrew. Insegnamento. Menti da nutrire. Per un anno intero. Vita nuova. La vita che cercavi” gli disse Elaine. Non staccavano gli occhi uno dall’altra, e Campbell stava assistendo affascinato a questa muta conversazione che si stava svolgendo tra Elaine e Andrew, che andava oltre alle parole, e che durò per molti secondi. Era come se comunicassero con la mente: intuì che tra loro c’era davvero un legame molto profondo e ne fu quasi incantato. Poi i loro occhi persero il contatto e Andrew si rivolse a Campbell. “Accetto. Ne sono onorato, Peter” disse convinto. “Bene! E c’è un’altra cosa.” “Spara!” “Il tuo corso di storia della Riforma sta andando a gonfie vele. Gli studenti sono entusiasti. Qualche docente ha assistito a qualcuna delle tue lezioni e ne ho avuto solo, come se fosse necessario dirtelo, commenti positivi. Sono rimasti tutti affascinati dal tuo modo di presentare i fatti: la storia, la leggenda, la vita politica affiancata a quella quotidiana; la tua impostazione ha colpito nel segno. Quindi, devo per forza chiederti di mettere insieme tutto, di scriverlo come tu sai fare, e lo farò diventare un libro di testo a cui tutti dovranno poi fare riferimento per insegnare nella mia università questo periodo storico.” Non era una proposta. Era quasi un ordine. 144


“Questo sì che è un progetto serio, Peter!” disse Andrew trovando parole alternative per accettare il nuovo lavoro, in realtà per lui molto più interessante di quello appena ufficialmente assunto. “Accidenti!” intervenne Elaine a questo punto, ”Va a finire che non lo vedo più: scrivere il libro sui clan scozzesi, il testo di storia, dovrà pur studiarsi approfonditamente il periodo storico moderno in cui ho paura che sia un somaro pazzesco… e io? Peter, non è stata una buona idea uscire a cena con te stasera!” disse fintamente preoccupata. “Ci sarà tempo anche per te, Lennie, vedrai. E se no, manderò a quel paese il rettore della più importante università scozzese!” Risero di nuovo tutti insieme alla battuta di Andrew. L’atmosfera era rilassata, e Elaine prese la palla al balzo per parlare a Campbell della questione spinosa che le premeva più di tutte. “Peter, scusa, cambiando argomento, tu sai tutto ciò che succede in Università?” chiese. “Ho le mie spie, sì” ammiccò Campbell, ironico “ Perché me lo chiedi, Elaine?” “Tu sei informato e segui il progetto dello studio sulle cellule staminali?” “Diciamo che non me ne occupo personalmente. Fa parte delle facoltà di scienze e biologia, ma ho un validissimo collaboratore che mi tiene informato. É un progetto che funziona bene, con persone molto capaci che ci lavorano” confermò. 145


“Compresa una certa Margareth Jordan?” indagò Elaine, mescolando con fare quasi indifferente lo zucchero nel tè che si era fatto portare. Campbell rimase pensieroso un momento, sorseggiando il caffè. “Sì, il nome non mi è nuovo. Me se dovessi dirti che la conosco, mentirei. Chi è?” “É una stronza che forse sta portando via il marito alla mia amica Janet” rivelò Elaine senza mezzi termini. “O cavolo, cosa mi dici, veramente?” chiese Campbell un po’ stupito. ”Vuoi che chieda bene di lei e prenda informazioni precise? Posso sapere tutto, se vuoi, dove vive, cosa fa nel tempo libero, se è fidanzata… tutto quello che vuoi.” “Allora tutto il possibile, Peter, ti prego” gli disse Elaine, “non che io voglia poi fare qualcosa in proposito, non temere, ma è davvero importante che io chiarisca questa cosa. Janet mi è sempre stata vicina, in ogni momento della mia vita. É sempre stata il mio sostegno nei momenti difficili. Ho sempre pensato che niente e nessuno avrebbe potuto turbare la sua felicità, perché mentre io affrontavo problemi e crisi profonde, la sua vita scorreva serena, senza guai, senza intoppi: un marito che la amava sempre al suo fianco, un figlio che cresceva sano e forte, sempre la battuta pronta in ogni momento. Vederla ora turbata, confusa e impaurita da quello che le sta succedendo, non mi piace, non mi piace per niente e devo fare qualcosa io, adesso.” 146


“Perché tu pensi che sia questa… Jordan, giusto? a turbare la sua tranquillità?” chiese Campbell. Andrew si intromise nella conversazione, vedendo già nello sguardo di Elaine quel fuoco che forse l’avrebbe portata a dire un po’ troppo. “Questa Margareth Jordan è stata fidanzata con Kevin, il marito di Janet, per un paio d’anni, prima che lui s’innamorasse e decidesse di sposare Janet. Margareth è molto conosciuta a Broxburn… da giovane era un tipo su cui certo non si potevano fare conversazioni di ordinaria amministrazione… se mi capisci, Peter…” disse, guardando Elaine e pregandola mutamente di non intervenire nel discorso. “Non voglio” continuò poi, “dire più del necessario. Se riuscirai a prendere informazioni dettagliate penso che uscirà un bel po’ di roba, e giudicherai tu, ma, e su questo voglio essere ben chiaro, non stiamo parlando di incompetenza o scarsa professionalità nel lavoro che sta svolgendo.” Elaine fremeva un po’; si capiva che avrebbe voluto aggiungere altro, ma lo sguardo fermo di Andrew la bloccò un paio di volte. In fondo la gelosia atavica che provava nei confronti di quella donna sviava davvero un po’ quello che, in quella situazione e in quel momento preciso, doveva essere ancora e comunque un giudizio equo e oggettivo. Peter rimase a riflettere un po’ su quanto detto da Andrew, poi guardò entrambi. “Va bene. Ho capito che si tratta di qualcosa di molto delicato e mi sembra di capire che sia anche 147


una specie di ordigno un po’ pericoloso… giusto, Andrew?” chiese Campbell. “Giusto” confermò Andrew. Elaine annuì, bloccata ancora dagli occhi di Andrew. “D’accordo, allora. Datemi una settimana di tempo e vi saprò dire qualcosa” terminò Peter. Nel frattempo anche la loro cena pareva conclusa: tra una chiacchiera e l’altra era quasi arrivata l’ora di chiusura del pub. Campbell insistette per offrire la cena agli amici e, dopo aver pagato, uscirono tutti e tre nella tiepida aria di aprile, si salutarono calorosamente con la promessa di rivedersi a cena da Elaine una settimana dopo, e poi ognuno tornò alla propria casa. Durante il breve tragitto di ritorno a Broxburn, Elaine rimase piuttosto silenziosa. “Che cosa c’è, Lennie? Ti sei incazzata perché non ti ho lasciato parlare di Margareth con Peter?” chiese Andrew. Elaine gli sorrise. “No… Hai fatto bene, in realtà…” ammise Elaine. “Dunque?” insistette Andrew. “Stavo pensando, così, in generale, alla situazione. C’è davvero un po’ troppa carne sul fuoco ovunque, Andrew” disse Elaine. “Sei preoccupata?” le domandò, accarezzandole una spalla con la mano libera dalla guida. “No, preoccupata no. Però preferirei se tutto si potesse risolvere con… un colpo di bacchetta 148


magica?” chiese Elaine guardandolo con occhi sereni e innamorati. Andrew rise. “Chiamiamo Harry Potter?” propose Andrew scherzando. “Oh! Nicholas ne sarebbe entusiasta!” commentò Elaine ridendo a sua volta “Ma non è possibile, purtroppo.” Lo guardò di nuovo seria. “Ce la faremo, Andrew, lo so per certo. Lo sento dentro di me. Come sento tutte le preoccupazioni e le inquietudini che mi stai nascondendo… E vorrei non lo facessi. Tu hai aspettato con pazienza che io mi sfogassi, che i miei ricordi tornassero, che mi risentissi bene. Ora sono io che sto aspettando che tu cominci a parlare con me di quello che hai dentro. Come hai fatto tu, non ti forzerò, non te lo imporrò, non ti chiederò nulla. Ma sappi che sto aspettando” gli disse con quella calma che ora possedeva dentro di sé, e che era quasi disarmante. Andrew non rispose. Erano arrivati a casa ormai, e stava imboccando la strada laterale dove aveva sempre messo la macchina perché fosse un po’ meno visibile dalla strada principale. “Andrew, io abito come sempre al 37 di Wyndford Avenue, e davanti a casa mia c’è il posto per parcheggiare la macchina. Ed è lì che la devi mettere, per piacere” gli disse. “Dai, Elaine, per favore…” cominciò Andrew. “É lì che la devi mettere, Andrew” ribadì Elaine. 149


Andrew, lasciandosi convincere, mise l’auto davanti al vialetto d’ingresso della casa di Elaine, fermò il motore e si girò a guardarla. “Va bene?” chiese tranquillamente. “Sì Andrew, va bene. É esattamente il posto dove deve stare stanotte, e tutte le altre volte che verrai in questa casa. Tutte le volte che arriverai a casa nostra.” Scesero dall’auto e si diressero abbracciati verso la porta del numero 37 di Wyndford Avenue.

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22 La riunione dei docenti che Elaine aveva fissato per il lunedì si stava protraendo ormai da quasi un’ora. In realtà non ci sarebbe stato nulla di particolare di cui discutere. Elaine l’aveva programmata con due ben precise intenzioni: prima di tutto per assicurare il corpo insegnanti che stava bene ed aveva potuto riprendere la situazione in mano, ma soprattutto per averli tutti riuniti davanti a sé, scrutare i loro volti e cercare di percepire se la storia sua e di Andrew stava provocando problemi di sorta nella scuola che dirigeva. Si stava svolgendo tutto molto serenamente, tutti sembravano ben contenti di vederla. Anche le persone nominate da Janet come possibili ‘avversari’ non sembravano voler far nascere problemi di alcun tipo: forse erano state meno espansive degli altri, ma di certo sempre molto corrette e rispettose nei suoi confronti. L’unico che si era rivelato molto freddo e distaccato e che aveva parlato guardandola rarissimamente negli occhi era stato Sinclair, ma, essendo stato per molto tempo un suo ‘spasimante', Elaine pensò che potesse averne tutte le ragioni e non ci fece caso più di tanto. Dal canto suo volle far percepire per bene a tutti loro quanto fosse serena e tranquilla e quanto si fosse rimessa in perfetta forma. Sorrise spesso, ringraziò ognuno di loro dopo ogni intervento, e 151


cercò di infondere loro quella calma che ormai era il suo stile di vita. L’unica a preoccuparla, ma per altri motivi, era Janet. Da quando l’amica le aveva rivelato i suoi dubbi sul marito, aveva lasciato cadere quella tipica spensieratezza che era sempre stata il suo marchio di fabbrica, per lasciare posto a lunghi silenzi e sguardi spesso persi nel nulla. Elaine sperò che le indagini di Campbell su Margareth Jordan portassero a qualche tipo di risposta, ma dentro di sé, con quel sesto senso che sembrava essersi sviluppato dopo i giorni di coma, sentiva che nell’aria non c’era nulla di buono, riguardo a quella storia. Mentre la Anderson stava facendo un resoconto sullo svolgimento del programma di letteratura alle secondarie, qualcuno bussò alla porta dell’aula docenti. “Scusa, Katherine…” la interruppe Elaine, vedendo però che il viso dell’insegnante si era leggermente alterato: quando la Anderson aveva la scena per sé, non amava essere interrotta. “Avanti!” disse con voce un po’ più alta. Quando alla porta si affacciò il viso di Andrew, rimase senza parole. Sollevò le sopracciglia, con un muto interrogativo che rimase in sospeso tra loro. “Scusami” disse Andrew allegramente. “Mi spiace avervi interrotto” aggiunse poi rivolgendosi a tutti i presenti, ”Ciao, Janet!” Janet, ammutolita, ebbe solo la forza di alzare una mano e fare un ciao titubante. 152


Elaine era basita e una risata, che pensò bene di trattenere con tutte le sue forze, le stava salendo in gola. “Figurati, Andrew… Avevi bisogno di me?” chiese. “Sì… anzi no. Volevo solo dirti che mi è saltato l’appuntamento che avrei dovuto avere col rettore, così sono passato da qui per recuperare Nicholas, ci facciamo un giro al parco e andiamo a casa. Tu stai pure tranquilla e impiega tutto il tempo di cui avrai bisogno, tanto noi ce la caviamo, ok?” Elaine notò lo sguardo divertito di Andrew e lo maledisse bonariamente dentro di sé. Allargò ulteriormente il sorriso che aveva stampato sulle labbra. “Perfetto, grazie!” gli disse “Ci vediamo dopo!” “Ok, a dopo!” ribatté Andrew; poi si rivolse al folto gruppo presente nell’aula: ”Scusate ancora e buona serata a tutti!” Detto questo, com’era apparso, sparì. Nell’aula era calato un silenzio di tomba, e in quel silenzio, il suono dei messaggi del cellulare di Elaine sembrò rimbombare come in una caverna profondissima. Elaine guardò Janet, i cui occhi sembravano aver improvvisamente ripreso il consueto luccichio, poi volse lo sguardo a Hamilton, che sorrideva molto svagato e divertito. “Scusate ancora un attimo” disse Elaine prendendo il cellulare dalla tasca dei jeans e leggendo il messaggio… di Andrew! Ma cosa aveva mai in testa quell’uomo? 153


‘Se hai fatto questa riunione per sondare l’ambiente, adesso lo potrai fare veramente. Guardali bene tutti adesso che sono apparso, e capirai davvero’ Ecco svelato il mistero. Quel disgraziato l’aveva fatto apposta: infatti Elaine non ricordava che Andrew le avesse mai parlato di un appuntamento con Campbell… aveva macchinato tutto perfettamente. Ma forse non era stata una mossa sbagliata del tutto. Rialzò il viso, sorrise di nuovo, e ricominciò a parlare. “Penso che la maggior parte di voi conosca Andrew McPherson, e chi non aveva ancora avuto il piacere di conoscerlo, l’ha avuto poco fa” disse con molta calma. Poi si rivolse ancora a Katherine Anderson, il cui ormai anziano volto si era irrigidito in una maschera di granito. “Perdona l’interruzione, Katherine, so quanto ti dia fastidio. Continua pure nella tua esposizione, ti prego.” La Anderson esitò molto, in evidente imbarazzo. Nel frattempo Hamilton le aveva passato un foglio con scritto sopra: ‘sta per scoppiare la bomba’. “Katherine, ti prego” la incoraggiò di nuovo Elaine, “parla pure liberamente.” La Anderson si mise ben dritta sulla sedia, cambiando atteggiamento. “Bene, signora Kincaid” disse con durezza. 154


“Ci diamo del tu, o sbaglio, Katherine? Mi sembra che ci conosciamo da quindici anni, vero? Da che ho incominciato a insegnare qui” le disse con fare fintamente innocente Elaine, che nel frattempo aveva risposto a Hamilton sullo stesso foglio: ‘lo so.’ “Ho trovato la cosa molto inopportuna, Elaine” disse la Anderson, ”e penso di non essere l’unica.” “A cosa ti riferisci, Katherine? Ad una piccola interruzione del tuo discorso? Capita spesso, durante le riunioni, di essere interrotti e disturbati, lo sai.” Elaine rimase con lo sguardo ben fisso negli occhi dell’insegnante di letteratura, non senza vedere con la coda dell’occhio i vari movimenti intorno al lungo tavolo della riunione: chi si muoveva imbarazzato sulla sedia, chi tossiva, chi si metteva comodo in attesa degli sviluppi, chi guardava nella borsetta cercando in realtà niente… “Non mi riferisco all’interruzione, Elaine.” “A cosa, allora?” “Alla situazione.” “Beh… ho ascoltato tutti molto attentamente. Mi sembra che l’andamento di questa scuola sia ottimale, non ho rilevato grossi problemi, siamo tutti in linea con lo svolgimento dei programmi, i ragazzi sono perlopiù disciplinati e con una buona resa. Le rette semestrali sono state tutte pagate, il bilancio è al momento in attivo, anche se di poco” disse Elaine, quasi con tono provocatorio. “Sai benissimo che non mi riferisco alla scuola” disse la Anderson molto freddamente e molto irritata dalla risposta di Elaine. 155


“Ah, no? A cosa ti riferisci, allora?” chiese Elaine. “Alla tua situazione.” “Alla mia situazione? Quale? Non ho forse assicurato tutti voi che sto bene?” Nel frattempo le comunicazioni scritte tra Elaine e Bruce erano continuate: ‘la stai provocando di brutto’ - ‘lo so è quello che voglio’ - ‘non esagerare' ‘tranquillo’. “Insomma Elaine!” sbottò finalmente Katherine Anderson, paonazza in viso e con un tono di voce molto alto “Lo sanno tutti che commetti peccato con un prete! É una situazione vergognosa! Inaccettabile!” A queste parole, tutti, tranne Bruce e Janet sembrarono diventare molto più piccoli nelle loro sedie. Finalmente il dado era tratto. Dal suo canto Elaine si erse ben dritta, appoggiò le braccia al tavolo e guardò fermamente la Anderson. “Katherine, quando ho cominciato a lavorare in questa scuola quindici anni fa, tu ci insegnavi già da altri quindici. Questa tua anzianità non ti permette comunque di usare questo tono di voce con me.” “Stai mettendo in cattiva luce la Queen Mary’s e tutti quelli che ci lavorano, Elaine, con questa tua storia torbida e vergognosa!” “Ehi, Katherine” intervenne Bruce Hamilton ”dimentichi che stai parlando alla nostra direttrice! E comunque chi ti dà il diritto di giudicare? Chi ti dà il diritto di parlare così?” “Figuriamoci se non ti saresti messo dalla sua parte, Hamilton, libertino e immorale come sei!” 156


A questo punto, scoppiò l’inferno. Elaine assistette silenziosa e incredula ad una serie di battibecchi e frasi pronunciate sopra le righe tra le due fazioni che si erano formate in aula docenti, notando che le due diverse correnti di pensiero si erano già divise dall’inizio, occupando i due diversi lati del lungo tavolo da riunione. Margie Ferguson, Fiona Kerr, Winona MacFarlane delle primarie, insieme a Brian Montgomery, Edward Sinclair e Katherine Anderson si erano già dall’inizio sistemati da una parte e tutti gli altri dall’altra, come se si fossero aspettati che la loro riunione si sarebbe trasformata in quello che stava effettivamente succedendo. Elaine li lasciò sfogare. Lanciò qualche occhiata a Janet, l’unica che se ne stava zitta in mezzo a quel putiferio, che alzò le spalle come per dirle ‘te l’avevo detto’. Elaine in realtà non perse minimamente la calma e lasciò che tutti loro buttassero fuori a parole quello che sentivano. Dopo cinque minuti buoni, mentre Sinclair stava dichiarando che sarebbe stato opportuno porre dei seri rimedi a questa situazione incresciosa, minacciando di interpellare un suo amico vescovo dell’arcidiocesi di Edimburgo, Elaine si alzò in piedi e batté una mano sul tavolo. Improvvisamente tutti si acquietarono, tranne Bruce Hamilton, che stava rispondendo in malo modo a Sinclair, dandogli dello sporco aristocratico sempre pronto a far vedere ai poveri mortali quanto alte fossero le sue presunte e inutili amicizie. 157


“Bruce, per favore!” lo redarguì Elaine. Quando finalmente il silenzio totale ritornò nell’aula, Elaine si risedette e parlò guardandoli in faccia uno a uno. “Avevo sperato che non si arrivasse a una simile disgustosa situazione” disse lanciando uno sguardo durissimo a Sinclair che stava per ribattere. “Katherine” disse poi volgendo gli occhi all’insegnante di letteratura, “io non ‘commetto peccato’ con un prete. Andrew McPherson ha chiesto la riduzione allo stato laico. La sua domanda è già stata inoltrata a Roma e l’Arcivescovo di Glasgow, vista la situazione, parrebbe ben intenzionato a spingere la cosa favorevolmente, in modo che si risolva in breve tempo. Andrew McPherson è attualmente già dispensato dai suoi obblighi sacerdotali, insegna storia all’Università di Edimburgo, ha appena scritto e pubblicato un libro e non credo che tu lo abbia visto recentemente ufficiare Messe e ascoltare confessioni. Ti ricordo, anzi, ricordo a tutti voi, che stiamo comunque parlando della mia vita privata.” Elaine disse le ultime tre parole mettendo un grosso accento su ognuna di loro. “Io in questo momento sto dando delle giustificazioni a persone come te Katherine, o come te Edward, che non fanno parte della mia vita privata; con voi non ho nulla da spartire se non il tentativo di mantenere il buon andamento che questa scuola ha sempre avuto. É vero, è una scuola cattolica. Quindi, Edward, se tu volessi, potresti benissimo far intervenire tutti gli 158


amici vescovi che vuoi, innescando però una reazione a catena interminabile: il tuo vescovo lo direbbe all’Arcivescovo di Edimburgo, il quale prenderebbe contatto con l’Arcivescovo di Glasgow, il quale ricontatterebbe a sua volta il nostro caro Padre James, che è, diciamo così, incaricato di vegliare sul buon comportamento di Andrew. E lo metteresti nei casini, cosa che nessuno di noi vuole fare credo, vista la bontà, la serenità e soprattutto l’età del nostro carissimo parroco. E se vogliamo dirla tutta, vista anche la sua apertura mentale, dato che lui per primo tra tutti ha cercato di capire le intenzioni di Andrew e le ha accettate, dandogli sostegno e conforto in un momento così difficile.” A questo punto si fermò un attimo, lasciando che tutti metabolizzassero le parole appena pronunciate. “Io non vi sto chiedendo di accettare a cuor leggero quello che mi è capitato. Tra l’altro, cosa mi è capitato? Di incontrare una persona che mi fa felice? Di iniziare un nuovo capitolo della mia vita? La possibilità di essere forse un po’ più serena di quanto lo sia stata negli ultimi cinque anni?” domandò retoricamente Elaine. “Ce l’avevi qualcuno che ti avrebbe resa felice…”si intromise sarcasticamente Margie Ferguson, da sempre grande ammiratrice di Christopher e ora fan sfegatata della sua rock band. “Ti ricordo, Margie, con tutto il rispetto, che è stato Chris a mollare tutto e a partire per Londra con Rebecca. O il fatto che l’ultimo CD di Chris è miracolosamente al ventesimo posto delle 159


classifiche ti ha aperto un buco nero nella memoria?” Margie Ferguson arrossì e tornò zitta, sferzata dalle parole di Elaine, che vide nel frattempo un moto di esultanza partire dagli occhi di Janet, che da sempre considerava la Ferguson una ‘scema di prima categoria’. “Voglio comunque ribadire il concetto che non vi sto chiedendo di accettare la mia storia con Andrew McPherson, perché forse non sono fatti vostri. Vi sto chiedendo di giudicare con coscienza quello che vi deve interessare come insegnanti della Queen Mary’s School. Nonostante io abbia rischiato di morire in mezzo a delle lamiere poco meno di un mese fa, nonostante io sia rimasta tre giorni in coma, nonostante io abbia subito un trauma non indifferente, nonostante io commetta peccato” e qui mimò con le dita le virgolette, “con un ex-prete, mi sembra che la scuola non ne abbia subito conseguenze, anzi, al contrario, non ho mai sentito, in due anni che sono direttrice, delle relazioni così positive. Sempre che non mi abbiate mentito…” Attese con pazienza. “Mi avete mentito? Questa scuola è un disastro? Siamo indietro coi programmi? Gli alunni sono indisciplinati? Siamo economicamente in rosso? Allora? Cosa mi dite?” Nessuno rispose, tranne Janet. “Io credo che sia davvero tutto a posto, Elaine, e che la Queen Mary’s non abbia mai conosciuto prima un periodo così prospero e sereno. Vero, Katherine? Edward?” 160


I due interpellati da Janet non poterono far altro che annuire, abbassando la testa. “Confermo” disse Bruce Hamilton. Altri insegnanti seduti dalla parte dei ‘buoni’ annuirono e confermarono a loro volta. “Datemi una chance” proseguì Elaine, ”donatemi il beneficio del tempo. A me e ad Andrew McPherson. Non fossilizzatevi sul concetto dello scandaloso e immorale, vi prego. Sarebbe stato così se avessimo tenuto nascosta la nostra relazione, se lui avesse deciso di tenere il piede in due scarpe. Non lo ha fatto. Ha scelto di uscire allo scoperto prendendo una decisione non facile e sapendo di dover sopportare conseguenze ancora meno facili. Dateci una possibilità. Ma soprattutto date a me la possibilità di dimostrarvi che il buon nome e il buon andamento della scuola non verranno intaccati minimamente dalla mia vita privata. Farò tutto ciò che è in mio potere perché nessuno di voi si possa sentire minacciato nella sua reputazione di insegnante di una scuola cattolica. Datemi fiducia, e vi prometto che sarà ben riposta.” Elaine vide ampi sorrisi nei membri della fazione pro-Kincaid, contrapposti a sguardi forse un po’ vergognosi del miserabile comportamento dimostrato, nei membri della fazione opposta. “Facciamo una cosa. Pensiamoci, pensiamoci tutti e bene per una settimana. Riflettiamoci sopra serenamente e con mente aperta. Non voglio risposte adesso, non voglio che mi diate ragione o torto. Concludiamo questa riunione e fissiamone un’altra per lunedì prossimo alle 17. Nel frattempo 161


io mi rendo disponibile in qualsiasi momento per rispondere a chiunque voglia sottopormi domande o dubbi di qualsiasi genere. Mi direte allora cosa avrete deciso, e sappiate che sono pronta a qualsiasi vostra risposta. Ma perlomeno saprò che ci avrete riflettuto con anche la mia versione dei fatti. Vi sta bene?” Tutti acconsentirono e confermarono la loro presenza per il lunedì successivo. “Bene, vi ringrazio. Dichiaro chiusa la riunione, siete liberi. A domani, buona serata e buon proseguimento di lavoro” disse Elaine, mettendo fine all’incontro. Si alzarono tutti abbastanza in silenzio ed uscirono dall’aula salutandola educatamente, fino a che non rimasero che Janet e Bruce Hamilton. Elaine li guardò interrogativamente, alzando le sopracciglia e allargando le mani per un muto ‘allora?’ “Sei una grande Elaine, meriti tutta la mia fiducia e la mia amicizia… Ma non l’avevo mai messo in dubbio” disse Janet. Bruce rimase a guardarla con un mezzo sorriso sulle labbra. “Beh?” chiese Elaine. “Senti…” disse titubante Hamilton “non c’è una mezza possibilità che McPherson ti pianti? Ti vorrei sposare, se possibile.” Una risata liberatoria smorzò finalmente la tensione. “No, Bruce, non credo proprio!”

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23 Quella stessa sera Andrew era sdraiato sul letto di Elaine, mentre lei era in camera di Nicholas per compiere i riti pre-nanna: qualche chiacchiera, qualche coccola, il rimbocco delle coperte, il bacio della buonanotte. Teneva le mani intrecciate dietro alla testa e fissava, nella fioca luce della lampada alogena accesa al minimo, un punto indefinibile del soffitto. Stava cominciando a sentirsi un po’ sopraffatto dagli eventi: aveva tenuto nascosto un po’ di cose ad Elaine, più che altro perché non voleva turbare quella serenità che lei emanava da tutti i pori negli ultimi giorni. La invidiava, avrebbe voluto averne un po’ anche lui. In effetti, da che era tornato dal ritiro a Whithorn gli sembrava che la situazione stesse un po’ precipitando. Da un lato. Dall’altro sembrava potersi invece sviluppare in modi molto più tranquilli di quanto non si sarebbe aspettato. Cercò di fare ordine nella mente: quando avrebbe terminato, tra poche lezioni, il corso di Storia della Riforma, si sarebbe messo all’opera con la stesura del libro sullo stesso argomento; avrebbe messo insieme e riordinato le tracce e gli appunti delle sue 163


lezioni e li avrebbe trasformati nel testo universitario commissionatogli da Campbell. Avrebbe potuto farcela in un mese. E sarebbe arrivata la fine di maggio, più o meno. Durante l’estate si sarebbe dedicato, in ugual misura, alla stesura del suo secondo libro, quello sulla storia dei clan scozzesi, e allo studio un po’ più approfondito della storia contemporanea. A settembre avrebbe cominciato quindi il suo nuovo e definitivo lavoro di docente di storia all’Università di Edimburgo. …e sarebbero mancati solo due mesi alla nascita di sua figlia… Sembrava non esserci tempo per altro; invece c’era molto altro da fare, ed era su tutto il resto che non sentiva di avere le idee molto chiare. Lo aspettavano prove né semplici né tantomeno leggere. La prima cosa che avrebbe dovuto fare, e con quella serenità che al momento non sentiva per nulla, era un bel viaggio su nelle Highlands, a Dingwall, dai genitori e dalla sorella. Senza dimenticare Mary, la moglie di Angus. Prima o poi, meglio prima che poi, doveva dare loro la notizia di quello che poteva essere ormai considerato il suo rapporto con Elaine, senza tralasciare il marginale (disse ironicamente a se stesso) particolare della gravidanza che l’avrebbe portato ad essere padre all’inizio di novembre. Come diavolo l’avrebbe presa sua madre? Da Padre Andrew a papà… Forse sarebbe stata una bella 164


batosta. Doveva a tutti i costi trovare il modo giusto per dirglielo, ma soprattutto per farglielo accettare. Questo era il primo problema. Il secondo era Nicholas. Il bambino era ormai molto tranquillo: si era ripreso dal trauma di aver visto la madre completamente incosciente in ospedale, ferita, fasciata e pallida come se la morte se la stesse portando via. Giorno dopo giorno, con un po’ di aiuto da parte sua e vedendo che Elaine ridiventava la mamma di sempre (anzi meglio, come gli aveva confidato Nicholas stesso, perché ‘la mamma non si arrabbia più per niente!’), era ritornato a essere il giocoso e allegro bambino di sempre. Nick lo vedeva rimanere a dormire e lo accettava senza far domande di sorta. Sembrava sereno, ma sarebbe stato ancora così quando avrebbe saputo che stava per avere una sorella? Era una cosa che impensieriva molto Andrew. Il terzo problema era Christopher. La situazione non lo preoccupava più di tanto per se stesso, ma per come si sarebbe comportato Christopher con Elaine: avrebbe inacidito ulteriormente i suoi rapporti con l’ex-moglie? Avrebbe cercato qualche tipo di ritorsione legale? Christopher era molto impulsivo e sanguigno, e lui non poteva mettere il becco in quelle che erano le questioni legali tra Christopher ed Elaine. Ma non poteva certo non sostenere la sua donna. E: quanto gli avrebbe permesso di dire e fare Elaine? Sperava che tutto potesse svolgersi con tranquillità, si 165


sentiva già abbastanza in colpa per aver gettato mille complicazioni sulle spalle di Elaine Il quarto problema era Broxburn, vale a dire un paese intero, il che non era poco, a dire il vero. Elaine gli aveva raccontato della riunione. Andrew aveva pensato molto se fare o no quella apparizione che avrebbe scatenato il caos, ma il disappunto e il pettegolezzo su di loro covava troppo in sottofondo, e lui aveva pensato bene di porvi fine e far scoppiare la bomba, almeno a scuola. Elaine se l’era cavata egregiamente, come si era aspettato, ma, nonostante questo, Andrew non ne poteva già più di sentirsi scrutato dai vicini ogni volta che arrivava a casa di Elaine, oppure essere il protagonista dei mormorii sentiti fuori da St. John ogni volta che andava da Padre James a fargli il dettagliato resoconto delle sue attività, cosa che Andrew doveva fare un paio di volte alla settimana, così da permettere a Padre James di riferire direttamente all’Arcidiocesi di Glasgow com’era la situazione. In verità, pensò onestamente, sul problema numero quattro non aveva potere: non poteva certo andare in giro porta a porta a zittire la popolazione di Broxburn! Forse su questa questione aveva visto giusto Elaine: alla fine si sarebbero stancati di parlare e avrebbero trovato qualche altro argomento su cui spettegolare. Sul problema numero quattro, quindi, era meglio rassegnarsi, per il momento, e subire con pazienza gli eventi, lasciando che il tempo svolgesse il compito al suo posto. 166


Problema numero cinque: era il progetto della casa dei poveri che voleva tanto mettere in cantiere, ma non trovava il come, il dove e il quando. Nessuno, in realtà, gli stava mettendo fretta, ma era una cosa che da quando gli era balenata in testa non lo abbandonava; ci pensava e ripensava, aveva tutto ben chiaro in testa ma mancavano due cose fondamentali: il luogo giusto e il denaro. Sapeva che con una maggiore stabilità economica che poteva prospettarsi da lì a un anno (il lavoro fisso, le rendite dei libri), una parte di problema avrebbe potuto risolversi, ma Andrew era fatto così: quando progettava qualcosa, non si dava pace finché non vedeva la cosa stessa realizzata. Problema numero sei: Kevin e Janet. Si erano dimostrati talmente amici ed erano stati così vicini a lui ed Elaine, che non se la sentiva di lasciare la questione in mano solo ad Elaine. Avrebbe certo aspettato il risultato dell’‘indagine’ di Peter Campbell, ma poi avrebbe dovuto muoversi e parlare con Kevin, c’entrasse o no Margareth Jordan in tutta la faccenda. Qual era il modo migliore per affrontare l’amico? Ripristinare le sue abilità di sacerdote o parlargli schiettamente da uomo a uomo senza tirare in ballo prediche e sermoni sul valore dell’unione matrimoniale e argomenti simili di cui fino ad un paio di mesi prima era maestro? Il problema numero sei era seguito da un bel punto interrogativo grosso come una casa. Ed ecco arrivare il problema più spinoso, più grosso e quello che gli stava più a cuore: Elaine. 167


Avrebbe voluto dirle quanto desiderasse vivere con lei, ma… Avrebbe voluto dirle quanto desiderasse che tutto andasse a posto il più in fretta possibile, ma… Avrebbe voluto dirle quanto fosse grande la sensazione di impotenza che sentiva dentro di lui: l’unica cosa che poteva darle era il suo amore e il suo sostegno, ma al di là di quello, poco aveva da offrile, se non forse la speranza, anzi, la certezza che non l’avrebbe mai più lasciata. Ma forse davanti a tutti i problemi materiali che avrebbero dovuto affrontare nel futuro, era ben poca cosa. Elaine era così cambiata! Ogni volta che la vedeva ne rimaneva affascinato: il volto tranquillo, gli occhi sereni, sicura ma sempre pacata in quello che diceva. Aveva quasi paura a parlarle di tutto quello che gli passava per la testa, timoroso di rovinare questo stato di grazia… perché non si poteva certo chiamarlo in altro modo. Mai prima di allora l’aveva vista così imperturbabile. Andrew sapeva che lei aspettava che lui le parlasse, gliel’aveva anche detto e fatto capire più volte, ma perché sobbarcarla di problemi quando era così bello e piacevole vederla così? Starle vicino faceva stare così bene… In quel preciso istante, quasi evocata dai pensieri di Andrew, Elaine entrò nella camera e si sdraiò sul letto vicino a lui, dandogli un bacio schioccante sulle labbra e, girandosi a pancia in giù, abbracciò il cuscino, e gli sorrise. 168


“Povera Lizzie, la schiacci!” le disse Andrew. “Oh santo cielo, no! È ancora un gamberetto, non soffrirà per niente!” rispose Elaine ridendo di gusto. ”Non fare già l’ansioso come tutti i futuri papà, Andrew!” Poi tornando seria si avvicinò un po’ di più a lui, che gli fece scivolare un braccio sulle spalle e la tenne così, con la testa appoggiata al suo petto, inalando il profumo dei suoi capelli. “Stai diventando papà, Andrew. Ti rendi conto bene di questa cosa? Lizzie è nostra figlia.” “Già. È un po’… boh… incredibile?” “L’avresti mai detto dodici anni fa, quando mi avevi baciata per la prima volta quella domenica di gennaio, che sarebbe andata a finire così?” gli chiese con voce dolce. “No, proprio no, Lennie. Se poi me l’avessi chiesto otto anni fa, quando ti avevo vista uscire dalla porta del mio studio di Inverness, men che meno” confessò Andrew. “Il destino è veramente imperscrutabile.” Elaine si sollevò su un braccio e lo guardò dritto negli occhi. “Senti, Andrew…” iniziò titubante. “Che c’è, Lennie? C’è qualcosa che non va?” “No, no, assolutamente. Ti volevo solo chiedere una cosa.” “Chiedi, avanti.” “Questo week-end Nicholas è con Christopher, dal venerdì pomeriggio al lunedì mattina; lo porta lui a scuola.” “Bene. Quindi?” 169


“Quindi…” “Dai, Elaine, su! Che cosa mi devi chiedere? Sembra quasi che tu voglia essere portata sulla luna!” scherzò Andrew. “No, non sulla luna, Andrew. Semplicemente a Dunkeld, nella nostra locanda. Se puoi. Se vuoi.” Dunkeld! Andrew si sollevò seduto e guardò Elaine intensamente. Nei suoi occhi gli sembrò di rivedere e rivivere tutte le volte che erano stati in quel posto quasi magico per loro: la prima volta durante l’inverno dei loro primi mesi di idillio, mentre andavano a Dingwall dai genitori di Andrew; la notte terribile e sofferente dopo il funerale di Angus; quei tre giorni estivi sempre dello stesso anno, quando Elaine lo aveva riportato alla ragione, spingendolo a continuare a percorrere la strada del sacerdozio, nonostante lui volesse già lasciare tutto, perché aveva capito più di lui che non era ancora ora, non era il momento giusto per prendere una decisione diversa; un paio di veloci e fugaci incontri prima che Elaine sposasse Christopher, sempre intensi ma nello stesso tempo angoscianti; e quell’ultima volta, otto anni prima, quando Elaine era già sposata e si erano visti per quella che credevano l’ultima volta, uno dei momenti più dolorosi delle loro vite. Sempre la stessa locanda, sempre la stessa camera, che conteneva i loro segreti più intimi, raccontava la loro storia e trasudava del loro amore. Andrew capì che era l’unica cosa da fare in quel momento. 170


Dunkeld era davvero l’unico posto dove avrebbero potuto tirare le fila del loro percorso e vedere tutto con chiarezza. E intuì che Elaine l’aveva già capito da tempo, l’aveva già pensato da giorni. “Sì, Lennie. Ti ci porto. Ci andremo, io e te da soli, ancora una volta, per ricominciare tutto da capo.”

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24 Quando Elaine scese dall’auto quel venerdì sera, appena arrivati a Dunkeld, il sole stava tramontando e gettava riflessi dorati sulla pietra dei muri della locanda. Chiuse la portiera e vi si appoggiò pigramente, rimanendo a guardare quello spettacolo suggestivo. Era quasi emozionata: otto lunghi anni erano passati da che si era fermata l’ultima volta in quel luogo con Andrew. Quel giorno lontano era arrivata da sola ed era ripartita sempre da sola verso Broxburn con la morte nel cuore, perché ancora una volta avevano deciso di troncare il loro rapporto. Ricordava ancora quante volte aveva dovuto fermarsi perché le lacrime le annebbiavano gli occhi e le impedivano di vedere la strada. Vide Andrew avvicinarsi a lei e prenderla per le spalle, facendola poi appoggiare con la schiena al suo corpo caldo e avvolgente: sapeva che anche lui stava pensando le stesse cose, stava provando le stesse emozioni, e non ebbe il coraggio di pronunciare nemmeno una parola, per non spezzare l’incantesimo di quel momento. Inclinò la testa all’indietro, appoggiandola nell’incavo del suo collo, abbandonandosi alla stretta delle sue braccia e lasciando che la mano di Andrew scendesse sulla sua pancia, per abbracciare anche la loro bambina. 172


“Entriamo?” mormorò poi lui. Elaine annuì, e si diresse verso l’entrata della locanda, riconoscendo dietro ai vetri della porta il volto della signora Maclachlan, già pronta ad accoglierli col sorriso, come suo solito. Anche lei sembrava non essere cambiata: stesso volto rubizzo, stessa sconvolgente tinta rossa dei capelli, stessa stazza imponente e stessa voce stentorea. “Signori McPherson! Quanto tempo!” esclamò a gran voce. Elaine le strinse la mano vigorosamente. “Signora Maclachlan! Si ricorda ancora di noi??” “Eccome no! Siete sempre stati la mia coppia preferita! Quanto tempo è passato, però!” esclamò la locandiera quasi con un rimprovero nella voce. “Otto anni!” disse Andrew entrando dalla porta con le borse. “Eh no, signor McPherson… noi ci siamo visti un paio d’anni fa, lei era da solo in viaggio di lavoro. Ma, come mi aveva detto, la signora era sempre in ottima forma… e migliorata, direi!” La risata che seguì fu coinvolgente, ma permise ugualmente a Elaine di lanciare uno sguardo interrogativo ad Andrew, che le fece l’occhiolino. “Altrettanto vale per lei, signora Maclachlan! Se non fossi già impegnato con questa signora, le farei la corte!” La battuta di Andrew fece ulteriormente arrossare il volto della locandiera, che si schernì come una quindicenne, e, un po’ imbarazzata, girò dietro il bancone per prendere la chiave della stanza. “Camera numero 3, come sempre. Avete cenato?” 173


chiese poi rivolgendosi ad Elaine. “No, ma non si preoccupi, adesso lasciamo le borse in camera e andiamo a cercare qualcosa” rispose Elaine. “Sicuri di non voler restare da me?” “Non ci perderemmo per nulla al mondo il suo manzo stufato con la crema di patate, ma stasera abbiamo voglia di girare un po’ per i dintorni. Facciamo così: ci limiteremo nel riempirci la pancia, perché sono sicuro che nella sua dispensa ci saranno sicuramente dei fantastici shortbread da inzuppare in un ottimo Darjeeling, vero?” disse Andrew continuando il suo ‘lavoro’ di adulazione e prendendo la chiave che la signora le stava tendendo. “Ma certo che sì!” gongolò la signora Maclachlan ”Allora ci vediamo più tardi!” Andrew ed Elaine salirono la corta scala che portava al primo piano, dove c’erano le pochissime camere della locanda, tutte vuote, visto il periodo dell’anno non proprio di alta stagione. “Apri tu?” chiese Andrew porgendole la chiave, quando arrivarono davanti alla porta che recava il numero 3. “Aspetta” rispose Elaine ignorando il gesto di Andrew, “che cosa vuol dire ‘noi ci siamo visti un paio di anni fa’?? Quand’è che sei venuto qua?” “Esattamente il giorno prima di stabilirmi definitivamente a Glasgow, con un’auto piena di bagagli e l’angoscia nel cuore, perché mi recavo dove non volevo andare e soprattutto mi stavo riavvicinando a te. Nel senso del chilometraggio e 174


della distanza da cartina geografica, chiaro. La cosa m’impensieriva molto, in un certo senso mi… turbava? Sì, credo di sì… quindi avevo pensato di fermarmi qui e dormire nel ‘nostro’ letto per capirci qualcosa in più.” Cercando di sorvolare sull’argomento, Andrew rifece il gesto di dare le chiavi a Elaine, gesto ancora una volta del tutto ignorato dalla stessa. “E?” domandò infatti lei. Andrew sospirò rumorosamente. “Vuoi sentirmi dire che è stata una delle stronzate più grosse che abbia fatto? Vuoi anche che ti spieghi il perché? Vuoi che ti dica che mi sono sentito il più cretino degli esseri umani? O magari prendi ‘sta dannata chiave ed entriamo?” Finalmente Elaine capì che Andrew non ne voleva parlare, per il momento. Prese la chiave, aprì la porta e si sentì improvvisamente sollevare da Andrew, che la prese in braccio e rimase sulla soglia della camera. “Sei impazzito?” chiese Elaine ridendo e cingendogli il collo con le braccia. “Beh? Non si fa mica così, quando ci si sposa?” domandò di rimando Andrew. “Ma non ci siamo sposati, oggi!” “No, è vero, oggi non ci siamo sposati. Però è la prima volta che entriamo in questa camera senza essere due clandestini. Ora possiamo farlo ufficialmente, no? Non ci saremo sposati, magari non lo faremo mai, chi può dirlo, ma magari potremmo considerarci… fidanzati? Tu che dici?” 175


Lo sguardo di Andrew era talmente tenero da indurre Elaine a prendergli il viso tra le mani e dargli un bacio a stampo sulla bocca, con tanto di schiocco. “Ok. Consideriamoci fidanzati. Ma meglio non dirlo alla signora Maclachlan…” disse Elaine ridendo. “No, no, meglio di no, farebbe confusione” disse ironicamente di rimando Andrew “e diventerebbe ancora più rossa!” Varcarono quindi la soglia della camera, e Andrew posò senza troppa delicatezza Elaine sul letto. “Ehi!” si lamentò lei. “Ohi! Pesi, siete in due!” si lamentò lui, prendendola in giro. Entrambi continuarono a ridere per un po’: erano felici e sereni come non lo erano da settimane, ormai; si stavano gradualmente rilassando, il luogo e l’atmosfera stavano già funzionando come la migliore delle medicine. Dopo aver velocemente messo a posto il contenuto delle borse, uscirono di nuovo e cenarono al Taybank Pub di Dunkeld, dove c’era sempre qualcuno che suonava musica dal vivo, ma non ci impiegarono molto tempo: quello che desideravano più di tutto era di chiudersi nella loro camera a chiacchierare e fare l’amore. Al loro rientro trovarono la signora Maclachlan pronta con una fumante teiera piena di un profumato Darjeeling e un piatto ricolmo di shortbread, che si portarono in camera. Velocemente si cambiarono e si misero a letto. 176


“Da quanto tempo non ci facciamo un tè a letto, soli io e te?” chiese Andrew. “Esattamente dall’inizio dell’anno, Andrew, o giù di lì. Comunque, dalle vacanze di Natale” rispose Elaine. “E oggi è il 13 di aprile” costatò Andrew. “Esatto. E per la precisione sono le 10 di sera, è sereno e c’è la luna quasi piena. Il week end si prevede bello fino a sabato sera…” disse Elaine inzuppando un biscotto nel tè e assaporandone poi intensamente profumo e sapore, socchiudendo gli occhi “…e la signora Maclachlan deve avere un segreto per questi shortbread, perché a me non vengono mai così buoni, nonostante tutti mi considerino un’ottima cuoca.” Andrew non sembrava intenzionato a seguire il flusso della conversazione di Elaine. Si appoggiò alla testiera del letto con la tazza in mano. “Ti rendi conto di quante cose sono successe negli ultimi quattro mesi? Se ci penso, mi sembra tutto impossibile, mi sembra di vedere delle puntate di Beautiful o Coronation Street, poi ci rifletto e mi dico che no, sono tutte cose successe veramente a noi due.” Elaine continuò imperterrita nel filo del suo discorso. “Secondo me, la signora Maclachlan fa sciogliere completamente il burro, non lo lascia solo ammorbidire, perché sono molto meno ‘granulosi’ dei miei” disse, ignorando le parole di Andrew. 177


“Elaine, ti sto parlando di quello che abbiamo passato in quattro mesi, io.” “E io ti sto parlando di questi shortbread fantasmagorici” disse Elaine prendendo il terzo biscotto. Andrew ebbe quasi un moto di stizza. “Sono i soliti biscotti, Elaine.” Allora lei, vedendo Andrew quasi offeso dalla sua scarsa attenzione in quello che stava dicendo, posò la tazza sul vassoio e si pulì le dita nel tovagliolino di carta. Poi lo guardò dritto negli occhi. “Ascoltami bene, Andrew McPherson. Non sono voluta venire a Dunkeld per fare il resoconto e il riassunto degli ultimi quattro mesi. So benissimo e ricordo perfettamente tutto quello che è successo dal 22 di dicembre dell’anno scorso in poi” disse con voce ferma e chiara, interrompendo con un gesto l’intervento di Andrew. “E so esattamente” continuò poi “qual è l’esito di questi ultimi quattro mesi: Elaine Kincaid grazie a Dio viva e vegeta, Andrew McPherson sciolto dai suoi obblighi sacerdotali, Elaine Kincaid e Andrew McPherson liberi di muoversi insieme sotto la luce del sole, una figlia di Andrew McPherson che sta crescendo nella pancia di Elaine Kincaid. Quello che conta è questo risultato: il percorso fatto per ottenerlo è passato, per quanto sia stato faticoso e a volte terrificante. Sono voluta venire a Dunkeld proprio per lasciarmelo alle spalle.” Si avvicinò ad Andrew, lo baciò leggermente sulle labbra mentre gli prendeva la tazza dalle mani e la 178


posava accanto alla sua sul vassoio, per poi spostare il tutto sul pavimento e riavvicinarsi a lui, sempre guardandolo fermamente negli occhi. “Questo era il nostro rifugio, il nostro nido d’amore. Qui staccavamo la spina dalle nostre angosce, dai nostri doveri, dagli obblighi che le nostre diverse vite imponevano, e dimenticavamo tutto e tutti. Ricordi, Andrew, cosa dicevamo sempre? Qui non c’erano l’insegnante della Queen Mary’s, l’amante del prete, la moglie di Christopher. Qui non c’era nessun docente di storia, nessun sacerdote, nessun amante segreto. Qui c’erano Elaine Kincaid e Andrew McPherson, e cercavamo solo di crederci veramente. Oggi quelle due persone sono qui ancora, e oggi non dobbiamo far finta di essere qualcosa d’altro. Oggi siamo anche in tre.” Andrew inghiottì più volte. Non sapeva cosa dire ma capiva che non poteva interrompere Elaine: qualsiasi cosa avrebbe detto, sarebbe sembrata stupida. “Tu parli degli ultimi quattro mesi” continuò Elaine imperterrita, “io invece vorrei parlare degli ultimi dodici anni. Dodici anni, Andrew, per arrivare a quello che siamo ora, qui, in questa camera di Dunkeld. Dodici anni. Pesanti ognuno come le fatiche di Ercole. E tu vorresti che io passassi il tempo per fare resoconti e riassunti? No, Andrew, mi spiace. Voglio pensare al futuro, non al passato. Voglio passeggiare con te sulla riva del fiume, facendo sentire il profumo di questi posti alla bambina tua che ho dentro di me. Voglio fare l’amore con te, voglio mangiare a sazietà, voglio 179


ridere e chiacchierare con te di cose futili stasera e magari importanti domani. Voglio addormentarmi nelle tue braccia e voglio essere svegliata dal sole che entra dalla finestra, sentendo te che fai la doccia o ti radi in bagno.” A questo punto fece una pausa. Andrew annuiva, sempre in silenzio, pensando che Elaine aveva una dannata ragione. Ma non aveva ancora finito. “E soprattutto voglio una cosa, se possibile.” Qui Elaine fece una lunga pausa. “Cosa?” osò domandare a quel punto Andrew. “La maledetta ricetta degli shortbread della signora Maclachlan!” Dopo alcuni secondi di serietà attonita, la loro risata iniziò molto sommessamente, per poi scaturire fragorosamente dai loro petti scossi dai sussulti. Andrew prese il cuscino che aveva dietro alla schiena e lo tirò a Elaine, poi si spostò verso di lei e l’abbracciò stretta, baciandola con molta intensità. Le sue mani iniziarono ad accarezzarla e ad esplorare il suo corpo che già rispondeva con passione al suo tocco. Quando la sua mano si insinuò tra le sue gambe, Andrew la sentì calda e bagnata, e quasi perse la ragione. “Quando comincerà a essere un problema fare l’amore con una donna incinta?” le chiese con la voce già arrochita dal desiderio. “Tu fa’ le cose con dolcezza, Andrew, e non sarà mai un problema… Toccami, accarezzami, prendimi piano, fammi sentire quanto sei felice di essere qui 180


con me e di essere quello che sei per me…” gli rispose Elaine. Andrew non se lo fece ripetere due volte: iniziò a spogliarla, inondandola di baci ogni volta che le scopriva una parte, soffermandosi a lungo sui capezzoli inturgiditi, per trasmettere vibrazioni in tutto il suo corpo. Elaine respirava affannata, rispondendo alle carezze e ai baci di Andrew con altrettanta passione e abilità. Le loro lingue si intrecciavano e si spostavano poi sulle parti più sensibili dei loro corpi, aumentando sempre di più il desiderio e rendendoli sempre più impazienti. Si diedero piacere con le mani, con la bocca e la lingua, facendo vibrare le sensazioni fino nel più profondo di loro stessi. Seppero frenare a lungo la fretta di possedersi, fino a quando, col respiro ansante e la voce quasi afona, Andrew le disse che non poteva più aspettare. Allora la penetrò con delicatezza e dolcezza, quasi avesse paura di violare quello che era il nido della loro bambina. Portò Elaine con talmente tanta lentezza all’orgasmo, che lei lo sentì arrivare da lontano, come se fosse un’onda lunga, che si infranse poi dentro di lei con la violenza di uno tsunami. A questo punto anche Andrew non resistette più, e venne pronunciando il nome di Elaine più volte, come un naufrago che, dopo essere stato per molto tempo in balia delle ingiurie del mare, trova una spiaggia sicura su cui approdare, e, sdraiandosi 181


sulla sabbia e guardando il cielo, non può far altro che sentirsi finalmente salvo e al sicuro. Rimasero abbracciati a lungo, lasciando che i loro respiri si calmassero e lasciandosi assorbire dalle intense emozioni provate, gli occhi chiusi, le bocche socchiuse talmente vicine da respirare la stessa porzione di aria. “Wow” disse poi Andrew. “Già” confermò Elaine, ”wow. Ed era proprio questo che intendevo col mio lungo discorso di prima.” “Mhm. Credo di averlo capito.” “Bravo. Ad ogni modo, tanto per non sbagliare, penso che tra un paio d’ore te lo farò un’altra volta, se questo è l’effetto che ti ha fatto…” E così finì com’era cominciato: con una sonora, rilassata e liberatoria risata.

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25 “Certo che qui il tempo sembra essersi fermato” costatò Elaine passeggiando mano nella mano con Andrew nel parco sulla riva del fiume Tay. Quel sabato mattina avevano poltrito a letto per un po’ di tempo, attendendo che le nausee di Elaine si calmassero e cercando di contrastarle con una abbondante colazione che Andrew le aveva portato direttamente dalla cucina della signora Maclachlan. Elaine aveva mangiato ogni cosa, non senza lamentarsi del fatto che sarebbe sicuramente ingrassata come una botte se fosse vissuta a Dunkeld, incolpando l’aria del luogo per il suo appetito quasi famelico, con Andrew che diceva di sì in continuazione, prendendola apertamente in giro. Il tutto aveva fatto iniziare la giornata all’insegna del buon umore e dell’ironia. Poi con calma uscirono e si diressero immediatamente lungo le rive del fiume. Era una tiepida giornata primaverile, la neve si era quasi sciolta del tutto, e il sole brillava in cielo accompagnandoli nella loro tranquilla passeggiata. “É vero” confermò Andrew, “è sempre tutto uguale, tutto nello stesso posto: le panchine, gli alberi, il ponte. É quasi… confortante, no?” “Molto confortante, direi. Da questo senso di pace che difficilmente trovo in altri luoghi” disse Elaine. 183


Si sedettero su una panchina, lasciando che i raggi del sole penetrassero la loro pelle. “Sai, dopo il divorzio, anch’io avevo pensato di tornare qui, da sola” confessò Elaine. Andrew sorrise. “Meno male che ieri quasi mi son beccato dello scemo per averlo fatto davvero” commentò. “No, caro. Sei tu che hai detto che era stata una delle cose più stupide che tu avessi mai fatto” gli ricordò Elaine. “Ma il tuo sguardo era stato eloquente” le fece notare lui. “Ok. Infatti non ero venuta, allora, perché avevo capito che sarebbe stata una cazzata grossa come il mondo. Ma la cosa che desideravo di più in quel periodo era la pace, e mi sembrava che questo fosse l’unico posto in cui io mi fossi mai sentita in pace.” “Certo” confermò Andrew, “ma quando ci venivamo insieme. Da solo per me è stato un inferno.” Rimasero in silenzio per un po’ guardando le acque del Tay, alte e un po’ impetuose: il disgelo primaverile era iniziato, promettendo giornate più calde e luminose. “Oddio!” saltò su all’improvviso Elaine “Hai disdetto la cena con Peter?” “Certo che sì, Elaine! Mi hai fatto venire un colpo!” rispose Andrew, non senza mimare un attacco cardiaco. “Scusa. Ma non ci avevo pensato tutta la settimana, e ora improvvisamente mi è venuto in mente che avevamo fissato la cena per questo weekend. Meno male ti sei ricordato…” 184


“L’avevo incontrato mercoledì mattina in università e gliel’avevo detto. Poi l’ho visto ancora ieri mattina all’ultima ora del mio corso… sai, è venuto per parlare agli studenti e per congratularsi con me” le disse Andrew non senza una punta di orgoglio nella voce. “É vero! Ieri mattina erano le ultime due ore! Oh, ma che testa bacata che ho in questi giorni!” “Che pensieri hai, così importanti da farti dimenticare tutto il resto?” chiese Andrew. Elaine sorrise e scosse la testa. “Nessuno, Andrew. Ero solo emozionata come una ragazzina al pensiero di tornare qui con te. La mia mente ha galoppato per tutta la settimana in fantasie molto piacevoli” svelò Elaine. “Ah, sì? E non mi hai mai reso partecipe?” “Invece sì. Perché tutto quello che immaginavo si è avverato stanotte, e la storia sta continuando, a dirti la verità. Essere di nuovo qui con te è bellissimo.” “A chi lo dici…” Si strinsero ancora di più l’uno all’altra, seduti sulla panchina. “Dai però, parlami di ieri all’università!” Andrew le raccontò del breve discorso fatto da Campbell a chiusura del suo corso di Storia della Riforma, delle lodi che l’avevano messo anche un po’ in imbarazzo, e di quanto si era sentito orgoglioso quando, dopo che Peter Campbell aveva annunciato la presenza definitiva di Andrew in facoltà con la cattedra di storia contemporanea dal 185


successivo anno, gli studenti presenti si erano alzati, applaudendolo calorosamente. Elaine ascoltava estasiata e lo guardò con due occhi brillanti come stelle. “Che bello, Andrew! Sono felicissima per te!” lo abbracciò stretto ”Sarà tutta una storia fantastica, vedrai, d’ora in poi” Andrew abbassò gli occhi: quanto avrebbe voluto confidarle tutti i suoi dubbi e le sue angosce. “Ma adesso?” chiese poi Elaine, senza smettere di guardarlo. “Adesso cosa? Adesso preparerò il testo di Storia della Riforma. È la prima cosa che voglio fare, glielo devo, a Peter.” “Giusto, ma io non intendevo questo.” “E cosa, allora?” “In teoria, l’alloggio all’università l’avevi per il periodo del corso, no?” “Beh, sì. Però Peter mi ha detto che se non ho dove andare, posso restare ancora là…” Andrew continuava a sfuggire allo sguardo di Elaine. “Ma tu ce l’hai un posto dove andare” affermò lei a quel punto. “Non ho voglia di andare in parrocchia da padre James, preferisco accettare la proposta di Peter” disse lui. “Guardami” gli impose Elaine ”Tu ce l’hai un posto dove andare. È casa mia.” Andrew non sapeva cosa ribattere. “Casa nostra” si corresse subito Elaine. 186


Andrew chiuse gli occhi, per evitare di incrociare quelli di Elaine. “Non posso, Lennie” le disse con un filo di voce. “Sì che puoi, invece. L’ho già detto a Nicholas.” La frase di Elaine gli fece immediatamente riaprire gli occhi. Elaine ci vide sconcerto e incredulità. “Io parlo, con mio figlio, Andrew. Tutte le sere prima di dormire, da un po’ di giorni, io e Nicholas facciamo lunghi discorsi, molto importanti.” Elaine si alzò dalla panchina, per andare a mettersi cavalcioni ad Andrew, in modo da potergli prendere il viso tra le mani e fissare i suoi occhi direttamente. Lui le circondò la vita con le braccia. “Ho raccontato a Nicholas la nostra storia … quello che potevo raccontargli, chiaramente.” “Lennie, io non so cosa dire… non immaginavo…” iniziò a dire lui titubante. “La stai prendendo troppo male, Andrew. Nicholas è un bambino intelligente, più di quanto tu non creda. Mi ha ascoltato attentamente, ogni sera mi ha fatto le sue due o tremila domande, ha capito e ha accettato. Voleva dirtelo lui di venire a vivere con noi, ma gliel’ho impedito io. Ti sarebbe venuto un infarto, penso” gli disse Elaine quasi ridendo. “Come in questo esatto momento, se devo essere sincero” rivelò Andrew, che davvero sentiva i battiti del cuore accelerati. ”Ma cos’ha detto? Sarà rimasto scioccato, non mi vedrà più con gli stessi occhi…” “Andrew, perché? Perché sei così ansioso? L’aveva già capito da solo.” 187


“Cosa???” “Vuoi le sue parole? -Sai, mamma, neanche il papà ti ha mai guardata come ti guarda Andy. Per me è proprio innamorato!-” disse Elaine non senza ridere un po’ al ricordo dell’espressione seria e compita di Nicholas mentre le diceva queste parole. “Veramente? Davvero ha detto così?” si stupì Andrew. “Certo. Chi stava giorno e notte con me in ospedale? Chi ha fatto notti e notti a dormire sul divano pur di starmi vicino? Chi preparava le cene con lui i primi giorni dopo che ero tornata dall’ospedale? Nicholas ti osservava, e capiva. Andrew, noi abbiamo sempre lavorato con i bambini, io più di te, ma anche tu ci hai passato molto tempo. Non abbiamo sempre detto che comprendono molte più cose di noi adulti e soprattutto ne sanno cogliere il lato puro?” “É vero” ammise Andrew. “Mio figlio non è diverso dagli altri, anzi, non perché è mio, ma lo ritengo un po’ superiore alla media. Aveva capito, Andrew, e mi ha detto che aveva cercato di farlo capire anche a te in ospedale, quando ti ha detto che -la mamma sorride sempre quando ci sei tu ed è più bella-. Ti ricordi anche tu queste parole?” Andrew annui, quasi commosso, al ricordo di Nicholas seduto vicino alla mamma in coma, che stringeva una mano a lei e una la teneva nella sua. “Sì. Sì me l’aveva detto. Io tuo figlio lo adoro. Dal primo momento che l’ho visto” riuscì a dire Andrew. 188


“Allora, tornando a monte del discorso. Vogliamo cominciare a mettere a posto una questione e iniziare a vivere sotto lo stesso tetto? E se accetti, ho una proposta da farti.” “Lennie, non so cosa dire… vedi, io… ora non ho ancora molte disponibilità economiche e…” “Dobbiamo farne una questione di soldi o una questione d’amore? Scegli, Andrew, e non offendermi, ti prego” disse un po’ duramente Elaine alzandosi di colpo e scostandosi un po’ da lui. Andrew si alzò a sua volta e la raggiunse, prendendole le mani. “Perdonami Lennie, non volevo offenderti, ma è la realtà” le disse sconsolato. “Va bene, ma non sarà così per molto, anzi. Sarà così per poco tempo, poi avrai le rendite dei libri e la tua cattedra all’università. Quindi, ripeto, ne facciamo una questione di soldi o d’amore?” richiese Elaine. Andrew respirò profondo, a occhi chiusi, e quando li riaprì, la guardò e le sorrise. “Con te è solo una questione d’amore, Elaine. E accetto. Accetto la tua proposta, tua e di tuo figlio: verrò a vivere con voi.” Il sorriso tornò sulle labbra di Elaine, che si lasciò baciare con dolcezza. “Veramente” disse poi scostandosi da lui “la mia proposta era un’altra, che tu venissi a vivere con noi, io e Nicholas l’avevamo già deciso.” “E quale sarebbe, allora, la proposta vera?” Si misero a camminare di nuovo lungo la riva del fiume, verso il ponte. 189


“Ti sei mai chiesto cosa c’è sopra il garage?” chiese Elaine. “Una soffitta? Un ripostiglio? Sì, me lo sono chiesto.” “Quando i miei abitavano a Broxburn, e papà era avvocato penalista alla corte di giustizia a Edimburgo, c’era il suo studio. Ora quel locale è pieno di vecchi giochi di Nicholas, senza contare carrozzina, culla, fasciatoio e attrezzature varie da neonato che presto dovranno ritornare in uso.” Il sorriso che lei gli fece a questo punto fu quasi disarmante: Andrew sentì che stava riacquistando poco a poco fiducia nel futuro, contagiato dalla serenità di Elaine. “Quindi” continuò, “ti propongo di lavorarci insieme, eliminare quello che si può eliminare, mettere quello che dobbiamo tenere in garage, dare una bella imbiancata, una bella lucidata ai vecchi mobili e farci uno studio per te, per quando avrai bisogno di lavorare ai tuoi libri e alle tue lezioni di storia. Che ne dici?” “Elaine… Davvero… io non so cosa dire…” “Dì di sì, Andrew, sarà sufficiente.” “Ok. Sì. A un patto” disse Andrew. “Quale?” chiese Elaine. “Siccome credo che la culla alla fine dovrà entrare in camera tua… scusa, nostra… vorrei che tu togliessi la tua scrivania da là e dividessi questo studio con me.” “Fantastico. Accetto! Avevo sempre pensato di trasferirci le mie cose, lassù, ma quando Christopher è andato via, in realtà, si è creato molto 190


spazio in quella casa e non ci avevo pensato più. Però mi piace l’idea. Accetto.” “Allora va bene. Forza, torniamo subito a Broxburn e iniziamo a lavorare, allora!” disse ironicamente Andrew, tornato all’improvviso di buonumore. “Sarai impazzito, ma veramente, eh!” disse Elaine guardandolo malissimo. “Sì, Lennie, sono pazzo. Sono pazzo di gioia. E di te.”

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26 Come spesso succede in Scozia, nonostante le previsioni nel pomeriggio il tempo peggiorò all’improvviso e una leggera ma insistente pioggia scese su Dunkeld e dintorni. Sul presto, Elaine e Andrew si spostarono in auto verso Perth e, nell’unica ora in cui non cadde acqua dal cielo, girarono il mercato all’aperto, fermandosi alle bancarelle e comprando qualche piccolo regalo per Nicholas, Janet e Josh. Al ritorno, anche se erano appena passate le quattro, decisero di rimanere in camera, leggendo e chiacchierando davanti ad un bel tè caldo. Elaine era sulla poltrona e leggeva un libro, mentre Andrew era seduto sul letto, in mezzo a decine di fogli scritti a mano. Elaine alzò gli occhi dal libro. “Dovevi proprio farlo, Andrew?” chiese. “Cosa?” rispose distrattamente lui, senza interrompere la consultazione dei fogli. “Portarti il lavoro qui” rispose lei. “Non sto lavorando, Lennie. Sto riordinando gli appunti di storia e sto dandogli un senso logico. A volte, durante le lezioni, mi permettevo qualche salto temporale, che non posso fare su un testo scritto. Quindi, sto solo tentando di rimettere in ordine la cronologia dei fatti.” 192


“Quindi stai lavorando” concluse Elaine. “Ti dà così fastidio? Se vuoi, smetto” disse Andrew guardandola sconsolato. Elaine sorrise. “No che non mi dà fastidio, dai. Mi piace molto vederti lavorare. Mi sembra quasi di sentire tutti gli ingranaggi del tuo cervello che girano e girano per produrre, mi piace il tuo sguardo assorto, e mi piace anche guardarti quando tu non guardi me” rispose Elaine “perché vedo le cose che mi stai nascondendo.” “Non ti sto nascondendo proprio niente” le disse Andrew facendo quasi lo gnorri. “Invece sì. Una cosa di queste era la tua paura di venire a vivere a Wyndford Avenue… infatti quella non la vedo più. Ma ce ne sono altre. Molte altre.” “Bene, fammi un esempio” “Se ti va, ti faccio un elenco” disse di rimando Elaine quasi ridendo. Andrew raggruppò i fogli sparsi sul letto, li mise via e si sedette comodo. “Avanti! Sono pronto!” dichiarò. Elaine posò il libro e iniziò il ‘lungo elenco’. “Sei preoccupato per la mia riunione di lunedì, temi che mi possano togliere il posto di lavoro; sei preoccupato per Christopher perché sai benissimo, come lo so io, che alla fine romperà le palle per qualcosa, sai che lo farà con me e questa cosa ti dà un fastidio tremendo; hai paura ad affrontare i tuoi genitori e i miei per dire loro che avremo un bambino; e temi che la gente continui a parlarci dietro e a trattarci da miserabili emarginati per 193


chissà quanto tempo e questa cosa ti rende ansioso in maniera esponenziale. Ed evito di menzionare il progetto della casa per i poveri.” Andrew rimase silenzioso a lungo. Quando si decise a parlare, lo fece quasi con difficoltà. “Come fai a sapere tutte queste cose? Pensavo di essere bravo a mascherare i miei pensieri, ma a quanto pare non è così.” “Oh no, sei bravissimo. Infatti Janet continua a dirmi di quanto sei forte e bravo a tenere duro e a comportarti così naturalmente davanti a tutti. Ma Janet è Janet, io sono io. Ed io, da quando mi sono risvegliata dal coma, è come se ‘vedessi’ quello che provano le persone che mi stanno accanto. Non so cos’è e come si sia sviluppata questa cosa, ma il mio sesto senso è diventato molto attivo e presente. E sento tutto il peso delle tue ansie.” “Adesso allora sono fregato!” scherzò Andrew cercando di alleggerire un po’ la conversazione. “Però,” continuò poi tornando serio “si capisce che hai qualcosa in più Lennie, si capisce benissimo. E hai ragione, l’elenco è esatto e preciso.” “Non avevo bisogno che me lo confermassi” gli disse lei “e vorrei che non ti angosciassi così tanto. Io sono qui con te, e, fidati, come vedo quello che provi, sento anche che tutto si definirà per il meglio, soprattutto se ti ricorderai che siamo in due a risolvere i problemi.” Andrew capì che quello di Elaine era un velato rimprovero nei suoi confronti; non era stato capace di rivelarle le sue preoccupazioni perché temeva di appesantirle la vita, ma in realtà si accorse in quel 194


momento che Elaine non fingeva di stare bene o di essere tranquilla: lo era veramente, più di quanto lui pensasse. E davvero, i tre giorni di coma avevano risvegliato qualcosa di atavico in lei, come un terzo occhio che le permetteva di vedere con più lucidità il nocciolo di ogni questione. Era qualcosa di assolutamente avvincente. Elaine emanava qualcosa di indefinibile, che aveva anche il potere di far stare bene chi le stava accanto. Come d’incanto Andrew si sentì sgravato dalle sue pene. “Me ne ricorderò” le disse, “e ti prometto che non ti nasconderò più nulla… Anche perché mi sa che sarà impossibile, ormai!” Elaine rise, riprendendo in mano il libro e aprendolo alla pagina che stava leggendo. “Esattamente!” confermò. Andrew riprese il lavoro, ma non fece in tempo a consultare due o tre pagine, che il suo cellulare squillò. Prendendolo, vide che era il rettore dell’università. “É Peter” disse rivolto ad Elaine, e rispondendo poi alla chiamata. “Ehilà Peter, qual buon vento?” La voce stentorea di Campbell usciva talmente forte dal cellulare che Elaine sentì i saluti di rimando che lui fece. “Sì, tutto molto bene, Peter, grazie, e la signora è… direi in splendida forma e mangia come un lupo. Riporterò a casa un grasso maialino!” disse Andrew 195


a Campbell ridendo e prendendo al volo il cuscino che Elaine gli aveva tirato, come protesta alle parole che aveva ascoltato. La conversazione rimase su argomenti banali per qualche secondo, poi Elaine vide Andrew cambiare espressione. “Sì… Bene… Aspetta. Elaine, Peter ha tutte le informazioni su Margareth, metto il vivavoce?” le chiese. Elaine chiuse un attimo gli occhi, sospirò e annuì. “C’è il vivavoce, Peter” fece sapere all’amico. “Ciao Peter” lo salutò Elaine. Ora la voce di Campbell era talmente forte e chiara che lo si poteva immaginare lì con loro. “Ciao, Elaine. Non ti chiedo se stai bene perché mi ha già informato Andrew. Mi spiace solo un po’ per la tua forte inappetenza… ahahaha!” scherzò. “Ti ci metti anche tu, Peter?” finse di irritarsi Elaine. “Perdona, solo un piccolo e innocente scherzo. Allora, so tutto quello che si può sapere di questa Margareth Jordan. Comincio?” “Vai” lo incoraggiò Elaine. “Innanzi tutto, grazie, Andrew, di non avermi detto che era l’amante del mio predecessore…” disse Campbell lasciando in sospeso la frase. “Dai, Peter, non potevo presentartela subito così, cerca di capirmi” si giustificò Andrew. “Sì, forse hai ragione. Comunque, fatti quattro conti, e calcolati i tempi, io penso che l’entrata nel team di ricerca sulle staminali se lo sia guadagnato un po’ anche grazie a quello, visto che la sua 196


carriera universitaria, anche se di tutto rispetto, non brillava con molte lodi, nemmeno la laurea” annunciò Campbell, suscitando lo stupore di Elaine. “Ma come!!! Quando l’avevamo vista al funerale di sua mamma ci aveva detto che si era laureata con la lode e aveva anche ottenuto un master di tre anni!” disse infatti. “É vero” confermò Campbell, “ma nella norma, non certo con risultati stratosferici. Continuo. In effetti, le sue capacità si sono di certo accresciute, perché ad ogni buon conto svolge egregiamente il suo lavoro ed è apprezzata dai colleghi, che le attribuiscono anche un paio di buoni risultati nelle sperimentazioni. Perciò, per quanto riguarda il lavoro, nulla da eccepire.” “E per quanto riguarda la vita privata?” Elaine cercò di arrivare al nocciolo della questione. “Sembra fare una vita molto ritirata, ultimamente. La storia con McIntyre è chiusa da un pezzo… credo per superamento dei limiti di età del vigore fisico dello stesso McIntyre” qui Campbell si interruppe con una risatina ironica abbastanza coinvolgente. “Se non è bello sodo non lo vogliamo!” disse Elaine suscitando le proteste di Andrew. “Lennie!” “É vero!” confermò lei, trasformando la risatina di Campbell in una sonora sghignazzata. “Devi ammettere che ha ragione, Andrew, anche perché sembra che la Jordan sia diventata una 197


sfegatata del fitness e frequenti una palestra di Edimburgo tre volte a settimana.” Elaine si lasciò scivolare giù dalla poltrona fino a ritrovarsi seduta per terra, con le mani sul viso, facendo no con la testa. Aveva già tirato le conclusioni. “E questa palestra è per caso il Millenium Sport Resort?” chiese, quasi inutilmente, perché era già convinta che lo fosse. “Esatto! E come fai a saperlo, tu? Ho fatto lavorare i miei informatori per niente, allora” disse Campbell. “No, Peter. Speravo ardentemente che tu mi dicessi di no. Il marito di Janet è insegnante di educazione fisica nella mia scuola e personal trainer in quella palestra” gli rivelò Elaine non senza manifestare tutto lo sconforto che sentiva dentro di sé. “Si chiama per caso Kevin McDougall?” le chiese Campbell. Elaine non ebbe la forza di rispondere e lo fece Andrew al suo posto. “Si, Peter” confermò Andrew. “Oddio… McDougall! Ora ricordo! Alla presentazione del tuo libro a Edimburgo un paio di mesi fa… la tua amica si chiama McDougall!” esclamò Campbell. “Esatto, l’hai anche chiamata mentre stavamo uscendo, Peter” gli ricordò Elaine. “É vero. Quindi…” “Quindi continua, per favore” lo pregò Elaine. “Ecco… non avevo collegato il nome… mi rincresce, Elaine, ma pare che questo McDougall sia il suo 198


personal trainer e si mormora che tra i due ci sia qualcosa. Mi dispiace da morire, Elaine.” “Cazzo” fu l’unica parola che uscì dalla bocca di Andrew, che sembrava molto alterato. Elaine si alzò in piedi e cominciò ad andare avanti e indietro nello stretto spazio della camera, mormorando continuamente: ‘L’ammazzo, l’ammazzo’. A questo punto Andrew tolse il vivavoce e parlò più sommessamente con Peter, che gli diede altre due o tre informazioni di poco conto (l’indirizzo, gli orari di lavoro e palestra) e gli ribadì il concetto di quanto fosse rattristato dalla faccenda. Andrew lo ringraziò, gli disse che si sarebbero visti il lunedì in università e chiuse la telefonata. Rimase a guardare Elaine, che ora si era fermata a braccia conserte nel bovindo della finestra. “Ti calmi, per favore?” le chiese retoricamente, sapendo che era impossibile. “Calmarmi?” esplose Elaine a voce alta ”Calmarmi? Ma è mai possibile che quella stronza si debba sempre mettere in mezzo alle palle mie o di Janet?” Aveva ricominciato a vagare per il ristretto spazio della camera. “Cerchiamo di capire…” tentò di intromettersi Andrew. “Non c’è niente da capire, Andrew, proprio un bel niente. Quella si scopa il marito della mia amica, e il marito della mia amica, stronzo pure lui, si scopa la sua ex fidanzata. Punto. Nient’altro da capire.” “Ok, hai dipinto un quadro perfetto della situazione. Ma cerchiamo di andare al di là dei fatti, 199


di capire perché, cosa può essere successo. Pensiamo magari di parlare con Kevin, e cosa dirgli, soprattutto.” “Che è uno stronzo” ripeté Elaine imperterrita. “Vuoi sederti, per favore?” La domanda di Andrew fu completamente ignorata da Elaine. “Margareth Jordan, Margareth Jordan, Margareth Jordan! Sempre lei che fa casini, sempre lei! Nella sua immonda vita non c’è mai stato niente di regolare, niente di pulito, niente di normale. E chissà come se la gode, quando scopa il marito di quella che le aveva portato via il fidanzato! La rappresentazione perfetta del detto ‘la vendetta è un piatto che va mangiato freddo’. Brutta stronza che non è altro!” A questo punto Andrew si alzò e si avvicinò a Elaine, prendendola per le braccia e cercando di portarla seduta sul letto vicino a lui. Ma lei si divincolò con tutte le sue forze: la sua furia era dirompente. “Lasciami stare, Andrew, per favore!” quasi gli urlò dietro, e detto questo prese il giubbotto e uscì dalla camera con la velocità di un fulmine. Andrew sospirò rumorosamente, ma pensò di far passare qualche minuto, prima di raggiungerla. Capiva lo stato d’animo di Elaine, lui stesso era molto arrabbiato e deluso dal comportamento dell’amico. Decisamente avrebbe potuto scegliere un’altra donna. Non che giustificasse il tradimento di Kevin, ma certo, con Margareth era proprio diabolico. 200


Ecco quindi che una delle sue preoccupazioni aveva preso corpo ed era diventata reale. Si rese conto che, al momento, la prima cosa da fare era calmare Elaine, se no non ci avrebbe pensato due volte, una volta ritornati a Broxburn, a prendere l’auto e dirigersi come una furia a Edimburgo per, come minimo, strappare la pelle a Margareth. Guardò fuori dalla finestra, e la vide andare verso il fiume, col cappuccio alzato sulla testa per ripararsi dalla pioggia. Camminava in fretta, senza dubbio con l’intento di sfogare la rabbia che giustamente le era montata dentro. Decise di muoversi, se no entro pochi minuti Elaine sarebbe stata zuppa d’acqua: prese a sua volta il giubbotto e uscì dalla camera. Prima di uscire bussò alla porta della signora Maclachlan per chiederle un ombrello, cercando di ignorare la muta domanda che traspariva dal suo volto: doveva aver sentito la voce alta di Elaine e si stava chiedendo cosa mai fosse successo. Andrew non aveva nessuna intenzione di rendere partecipe la signora Maclachlan del fattaccio, quindi fece finta di nulla, la ringraziò dell’ombrello e raggiunse di corsa Elaine.

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27 La trovò in riva al fiume, in piedi e a braccia conserte. Si avvicinò a lei con l’ombrello aperto e le mise un braccio intorno alle spalle. “Ora, Lennie, non puoi umanamente rischiare di prendere un accidenti solo perché Kevin e Margareth vanno a letto insieme. Sei incinta, santo Dio, e ci tengo a voi due, io!” le disse con dolcezza. “E poi” continuò stringendola un po’ di più, “ti sei arrabbiata! Dov’è andata a finire la tua invidiabile calma delle ultime settimane?” Elaine aveva gli occhi pieni di lacrime. “Lo sapevo che sarebbe andata a finire così, lo sapevo fin dal principio. Ormai le mie stramaledette percezioni non sbagliano più. Ne ero certa dal momento stesso in cui ne avevamo parlato la prima volta. Lo sentivo dentro di me, e tutte le volte che ho guardato Janet in questi giorni, avrei voluto già dirglielo, perché ero già sicura di tutto. Mi dispiace da morire per lei: già sapere che il proprio marito ha un’amante non è il massimo della vita, ma se dovesse anche capire che la donna in questione è la Jordan, non so quanto reggerebbe. É forte, ma anche tanto sensibile. Dobbiamo fare qualcosa, Andrew, ma non so cosa.” Finalmente sciolse le braccia e le mise attorno a Andrew, che con una mano teneva l’ombrello, con 202


l’altra le accarezzava la schiena cercando di confortarla. “Lo so, Lennie, faremo qualcosa. Ma non oggi, e nemmeno domani. Ne parleremo con calma e decideremo come muoverci. Ora, per favore, torniamo in camera, ti va?” “Sì, andiamo. Scusami se sono uscita così, ma per un attimo sì, ho davvero perso quella calma che tu dici invidiabile… ho creduto di impazzire. Scoprire di sapere le cose ancora prima che diventino realtà, non è poi così bello, sai? E poi mi sono troppo incazzata con la Jordan,” Ormai si capiva che Elaine cercava di mantenere le distanze anche solo parlandone, perché non l’aveva più chiamata Margareth, ma solo e sempre col cognome. Ritornarono nella locanda senza dire una parola. La signora Maclachlan era rimasta sulla porta ad aspettarli, e questa volta osò fare la domanda. “Tutto bene, signora McPherson?” “Sì, signora Maclachlan, non si preoccupi… solo una piccola nube passeggera” le disse Elaine col migliore dei sorrisi che riuscì a trovare. Una volta ritornati in camera, Andrew convinse Elaine a fare una doccia calda. Quando sentì l’acqua scorrere, si spogliò e la raggiunse. Elaine era immobile sotto il getto dell’acqua, e quando vide Andrew, accolse con piacere questa irruzione. Si lasciò abbracciare e baciare, e le carezze di Andrew, insieme al massaggio benefico dell’acqua, non impiegarono molto a farla in un primo 203


momento calmare, e poi ad eccitarla al punto da volerlo sentire subito dentro di sé, saltando quei preliminari che a loro piacevano tanto. Si amarono velocemente ma con molta intensità, e l’orgasmo che ne scaturì ebbe qualcosa di liberatorio, quasi fosse necessario per schiarire la mente: la naturale perdita di lucidità di quel momento le fece riacquistare la ragione, scremò la rabbia che aveva sentito dentro di sé e le permise di rivedere razionalmente tutta la situazione. Avvolti in un caldo accappatoio, si misero nel letto e cominciarono a valutare tutte le possibilità. “Io spero che Kevin non abbia intenzione di lasciare Janet e Josh” disse Elaine, “secondo me non lo farebbe mai, ma a questo punto non so proprio più cosa dire e cosa pensare.” “Non lo so neanche io” confermò Andrew, “Secondo me è stato solo irretito da Margareth.” “Dalla Jordan, Andrew. Non merita di essere chiamata per nome.” “Va bene, dalla Jordan. E secondo me è capitato tutto per caso. La Jordan ha iniziato a frequentare la palestra, si sono ritrovati, e lei ha visto un’occasione succulenta per fare quello che le riesce meglio.” “E cosa? La puttana?” chiese con sarcasmo Elaine. “No, l’amante, il terzo incomodo, l’altra. E credo le piaccia vendicarsi. In fondo, che io sappia, l’unica relazione regolare l’ha avuta con Kevin e le è stata rovinata da Janet. Come non prendere la palla al balzo?” “Oho, uno splendido stile di vita, non trovi?” 204


“Il suo stile di vita.” “Bella roba” commentò Elaine in malo modo e arricciando il naso, lasciando che poi ci fosse un lungo momento di silenzio, in cui entrambi pensarono a quanto detto. Poi Elaine si tirò su di scatto e si appoggiò ad un gomito, girandosi verso di lui. “Devi andare a parlarle, Andrew” gli disse con decisione. “Prego? Tu mandi me a parlare con Mar.. con la Jordan?” Nella domanda si sentì tutto lo stupore di Andrew. “Sì. Assolutamente.” “Perché?” “Perché non se lo aspetta. Non credo che Kevin sia stato così poco furbo da parlarle di noi. Se lo ha fatto lo riclassificherò negli invertebrati, perché non meriterebbe niente di più” rispose Elaine. “Ok. E il fattore sorpresa che cosa giocherebbe secondo te?” “Che la puoi mettere al muro. L’hai già fatto una volta quando tampinava te, no?” “Vero. Invece non pensi che il fatto che io abbia lasciato il sacerdozio per te la inviperisca ulteriormente?” “Certo che sì. Ma si sentirebbe una merda, rispetto a me. E sentirsi una merda la indebolirebbe e ti permetterebbe di massacrarla a parole, cosa che quando vuoi sai fare benissimo. In fondo è una donna debole, credo. Si butta in queste storie solo perché è insicura e ha bisogno continuamente di apprezzamenti, e il fatto che riesca a distogliere gli 205


uomini dalle loro famiglie la fa sentire, in un modo sicuramente meschino, molto potente.” Elaine accompagnò l’ultima parola con il gesto delle virgolette, per far capire meglio ad Andrew il concetto che stava tentando di esprimere. “Va bene, se vuoi lo faccio. Ma pensi che possa risolvere qualcosa? Io non credo, Elaine” disse allora lui. “No, forse no, ma proviamoci. Io personalmente non posso fare niente, visto che aspetto un bambino ed essere accusata di omicidio per aver sgozzato una ricercatrice scientifica mi metterebbe un po’ nei casini” rispose Elaine, dimostrando di aver riacquistato calma e ironia. “E tutto questo entro quando?” domandò Andrew. “In settimana?” propose Elaine. “Chi ha tempo non aspetti tempo” enunciò lui. “Senti, non credere che Janet starà ferma e immobile ancora per molto a subire gli eventi. Se sospetta già da un po’, non è escluso che stia in qualche modo cercando di scoprire di più.” “Posso lavorarmela come meglio credo? Mi dai carta bianca?” chiese Andrew, non senza un sorrisetto sardonico. Elaine fece partire uno dei suoi famosi pizzicotti da livido immediato. “Ahia!” “Ti do carta bianca, ma fai attenzione, McPherson, fai molta attenzione a come ti muovi!” “Tanto tu non ci sarai, là con me” ci tenne a precisare Andrew. “Ma ormai sai che ‘vedo’ tutto…” 206


“Porca miseria, è vero!” La risata mise definitivamente a posto nervosismi e tristezze. “Sei più tranquilla, adesso?” le domandò Andrew. “Sì, dai! Inutile rovinare questi giorni tutti nostri. Tra poche ore saremo di nuovo a Broxburn e prenderemo in mano la situazione. Quindi sì, sono tranquilla” rispose. “E affamata” aggiunse poi. Andrew alzò gli occhi al cielo. “Mi costerai un patrimonio in cibo, se vai avanti così.” “Meglio cibo che medicine, Andy” disse lei usando il nomignolo con cui lo chiamava Nicholas. “Tornando a Kevin e la Jordan, secondo te da quanto va avanti questa storia?” chiese Andrew. “Non lo so. Sinceramente mi sento un po’ in colpa. Ero talmente concentrata su quello che stava succedendo a me, che temo di essere stata un po’ distratta nei confronti di Janet che, peraltro, ha dovuto subire tutte le mie paturnie degli ultimi tempi. Ma secondo me lei se n’è accorta un paio di mesi dopo Natale. Quando abbiamo avuto quella famosa discussione, la mattina del mio incidente, penso lo sospettasse già. Aveva reagito con troppa irritazione alla notizia della mia gravidanza, come se la cosa avesse fatto travasare un vaso già troppo pieno di problemi” rifletté Elaine. “Potrebbe essere. Certo, poi è stata brava a tenersi dentro tutto quanto, durante il periodo dell’ospedale…” 207


“Sì, ma vedi che appena mi sono rimessa in sesto è stata la prima cosa che mi ha detto” gli ricordò. “Vero anche questo” concordò Andrew. “Com’è vero che ho fame, e vorrei andare a mangiare quel famoso stufato di manzo con la crema di patate della signora Maclachlan” dichiarò Elaine, mettendo fine a tutte le supposizioni e le congetture che stavano posticipando la cena. “Oh santo cielo, vestiamoci e andiamo giù. Non sono ancora le sette, ma ti va bene che più ci si addentra nelle Highlands, prima si cena, quindi sarà già tutto pronto!” disse Andrew alzandosi e cominciando a rivestirsi. “Meno male!” disse Elaine imitandolo “Sai, Lizzie non ce la fa più!” “Sì, sì, diamo la colpa a lei, vero?”

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28 “Forza, Elaine, andiamo!” disse Andrew, prendendo Elaine per la mano e cercando di portarla verso la macchina, dove aveva appena messo il loro bagaglio. Era domenica sera ormai. L’ora di tornare a Broxburn. “Un momento ancora, Andrew” gli rispose Elaine. ”Lasciami assaporare ancora per qualche momento questi profumi, quest’aria leggera. Lasciami sentire il rumore del fiume là dietro. Fammi godere di questo tramonto.” Era stata una domenica di completo relax. Il sole era andato e venuto, ma la pioggia non era più caduta. Avevano iniziato la giornata con una colazione in camera: Elaine si era alzata prestissimo, in preda alle nausee, ed era scesa in cucina, dove la signora Maclachlan stava già lavorando alacremente, infornando biscotti e preparando il pranzo per i turisti che si fermavano alla locanda a mangiare durante il giorno festivo. Aveva visto subito il colorito verdognolo di Elaine e si era preoccupata moltissimo; ma il suo stato d’animo cambiò subito quando Elaine aveva deciso di spiegarle il perché della sua momentanea pessima forma fisica. 209


L’allegria della locandiera aveva coinvolto Elaine a tal punto da farle dimenticare quei fastidiosi episodi mattutini che non accennavano a diminuire. Elaine, mentre la signora Maclachlan le preparava un’abbondante colazione da portare in camera, aveva deciso, quasi impulsivamente, di raccontarle la vera storia sua e di Andrew: la rubizza padrona di casa era una donna talmente genuina, sincera e amichevole nei loro confronti, che le era sembrato quasi un atto dovuto. Mentre procedeva con il racconto, aveva visto la signora Maclachlan diventare sempre più lenta nei movimenti, fino a sedersi per ascoltare attentamente fino in fondo. Elaine aveva sorriso quando aveva visto i suoi limpidi occhi azzurri velarsi di qualche lacrima di commozione. “Oh, che bella storia! Sembra quasi una fiaba, signora McPherson!” aveva esclamato, per poi correggersi subito “Oh no, suppongo che le faccia piacere venire chiamata così, ma non è il suo nome… ma sa cosa le dico? Per me lei è e sarà sempre la signora McPherson… e non credo di sbagliare a continuare a chiamarla così, vero?” Poi Elaine, con la colazione, si era diretta in camera, dove Andrew stava ancora dormendo alla grande. “Ehi, pigrone!” gli aveva detto scuotendolo dopo aver posato il vassoio sul piccolo tavolo accanto alla finestra. Andrew si era girato con un brontolio incomprensibile. 210


“Povero McPherson! Non reggi più certi ritmi, vero? Non ce la fai più… dodici anni in più sono pesanti sulle spalle, eh?” l’aveva canzonato Elaine. A quelle parole, il risveglio di Andrew era stato praticamente simultaneo: aveva afferrato Elaine e l’aveva spinta sotto di sé senza tante cerimonie, minacciandola con un ‘te lo faccio vedere io!’. Avevano fatto l’amore con molta leggerezza, quasi divertendosi, quella mattina: erano entrambi di buon umore e ben decisi a non lasciarsi incupire da tutto ciò che li aspettava al ritorno a Broxburn. La giornata era così passata dolcemente tra passeggiate e tranquille chiacchierate: stavano finalmente riequilibrando il loro rapporto, stavano davvero mettendo le solide basi che avrebbero permesso loro di costruire la ‘casa’ che avevano sempre sognato, tanto agognato e tanto aspettato. E così la sera era arrivata e con essa il momento di ripartire. Andrew aveva caricato il bagaglio in auto e insieme si erano soffermati a parlare un po’ con la signora Maclachlan, che fece promettere loro che sarebbero tornati presto portando anche Nicholas: adesso che sapeva tutta la storia era proprio ansiosa di conoscerlo, così come si preoccupò di assicurarsi che Elaine avrebbe avuto cura della bambina che portava in grembo. Ed eccoli quindi in partenza. Ma Elaine non voleva decidersi. “Io credo che i tramonti saranno belli anche a Broxburn, ormai. Basta andare all’Union Canal 211


insieme, e ce li potremmo godere anche là” le disse Andrew. “Perché sai, Lennie” continuò poi prendendola per le braccia e facendola girare verso di lui, ”ogni cosa è più bella da quando sei tornata nella mia vita. Ogni cibo ha un sapore più buono, ogni profumo è più intenso.” Smise un momento di parlarle per darle un bacio breve ma molto dolce. “Io sono innamorato di te, Elaine. Lo sono da sempre e penso che non smetterò mai di esserlo. Scegliendo te ho preso una delle decisioni migliori della mia vita e non mi pentirò mai e poi mai. E…” le diede un altro lieve bacio “…penso di essere già innamorato anche di mia figlia, che sarà sicuramente bella come te.” Elaine ricambiò i baci di Andrew. “Veramente, Andrew, se quella che ho visto era realmente lei, avrà dei bellissimi occhi verdi; verdi come…” “Verdi come le Highlands d’estate?” “Sì. Verdi come le Highlands d’estate, verdi come i tuoi. Gli stessi occhi che hanno fatto innamorare me” e dicendo questo, posò il viso sulla spalla di Andrew e si lasciò stringere da lui. Poi Andrew le prese la testa tra le mani, intrecciando le dita nei suoi lunghi capelli biondi. “Torneremo presto qui, te lo prometto. Troveremo il tempo di farlo ancora. Ma ora, Lennie, torniamo a casa nostra?” le chiese, sorridendole e mettendo l’accento sull’ultima parola, come per affermarle 212


che ormai aveva del tutto deciso di trasferirsi in Wyndford Avenue. Elaine gli sorrise con occhi luminosi. “SĂŹ, torniamo a casa nostra, Andrew.â€?

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29 Andrew stava percorrendo i corridoi della facoltà di scienze e biologia dell’Università, dirigendosi verso l’ufficio di Margareth Jordan. O meglio, l’ufficio che condivideva con i colleghi, sperando di trovarla da sola. Si sentiva molto determinato a trovare una soluzione alla brutta situazione di Janet. Intanto rifletteva sugli ultimi quattro giorni della settimana: le cose si stavano gradualmente sistemando, grazie soprattutto alla serenità che Elaine riusciva ad infondergli… ma… non si sentiva ancora per nulla tranquillo. La riunione del lunedì a scuola era andata a meraviglia, e anche lo zoccolo duro del corpo insegnanti si era moderatamente schierato dalla parte di Elaine, che quella sera era tornata a casa raggiante: Edward Sinclair aveva preso la parola per tutti e le aveva accordato quella che lui aveva definito ‘una totale fiducia nei tuoi confronti, visto l’ottimo andamento della scuola e visto con quanta bravura hai gestito l’istituto negli ultimi due anni, sperando che le tue questioni private non interferiranno, non susciteranno troppe polemiche e non andranno a ledere il buon lavoro fatto’, come aveva citato testualmente Elaine. In caso contrario, aveva ancora asserito Sinclair, avrebbero dovuto ‘rivedere’ la questione. 214


Elaine, certa di poter gestire al meglio la situazione, gli aveva confessato di essersi sentita molto inorgoglita da queste pompose e tipicamente ‘sinclairiane’ parole, e di aver fatto fatica a trattenere un pacchiano gesto di esultanza, sicuramente fuori luogo in un momento così topico… ma di averlo fatto poi a porte chiuse e riunione terminata, alla sola presenza di Janet e Bruce Hamilton. Certo, aveva pensato Andrew, ancora non si sapeva nulla della gravidanza di Elaine… per il momento si poteva solo chiudere un capitolo. Il martedì mattina Andrew aveva invece avuto un lungo colloquio con Peter Campbell. Prima di tutto gli aveva comunicato la decisione di lasciare libero l’alloggio al campus entro breve, non appena sistemata la casa di Elaine, accendendo una delle roboanti risate dell’amico, che accolse la buona notizia con grande piacere. Poi gli aveva presentato una sommaria bozza del libro di testo che stava per mettere in opera, ottenendo però una scarsa attenzione: Peter si fidava di lui ciecamente, e aveva dato ad Andrew carta bianca per quanto riguardava l’impostazione e lo sviluppo dell’argomento. Si erano poi soffermati a lungo sul problema Margareth Jordan. In realtà, gli aveva rivelato Campbell, c’era molto di più di quanto non avesse detto durante la telefonata fatta mentre Elaine ed Andrew erano a Dunkeld. 215


In realtà la Jordan stava convivendo con un collega del team di ricerca, un valentissimo e famoso biologo conosciuto ben oltre la Scozia, gratificata dalla visibilità che questo rapporto poteva portarle. Stavano insieme ormai da un paio d’anni e sembravano andare d’amore e d’accordo… e per una volta non era una relazione clandestina ma ‘ufficiale’. La Jordan lavorava molto, dando il massimo in ogni momento e in ogni tentativo di progresso nel campo delle staminali, e ormai, grazie sia alla sua effettiva bravura, sia alla sua relazione col famoso collega, anche il suo nome appariva spesso sulle riviste scientifiche. Una buona cosa per l’Università, tutto sommato. Ma scavando a fondo era venuto fuori molto sporco: la sua relazione col precedente rettore, il master ottenuto in maniera non proprio cristallina, la sua predilezione giovanile per feste e party di ogni genere, i suoi numerosi arresti per guida in stato di ebbrezza, e, purtroppo, questa storia con il personal trainer del Millenium Sport Resort. Che, ancora purtroppo, era proprio Kevin McDougall. Andrew aveva insistito molto sul fatto che aveva bisogno di essere sicuro al cento per cento che fosse veramente lui, prima di intervenire in qualsiasi modo, ma Campbell gliel’aveva confermato senza dubbi: le informazioni cha aveva erano sicure. Da lì, quindi, la decisione di Andrew di sorprendere Margareth con una visita.

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Aveva pensato di prendere un appuntamento, ma, scaltra com’era, magari Margareth avrebbe sospettato qualcosa e avrebbe alzato le difese. Non sapeva ancora cose dirle e come, ma sicuramente avrebbe trovato il modo. Si era preparato una sommaria strategia, che avrebbe potuto funzionare… tenendo ben presente le minacce perpetrategli da Elaine quella mattina, che proprio non riusciva a nascondere la sua avversione per la Jordan. Ora stava bussando alla porta del suo ufficio. Una voce dalle intonazioni spesso false e melliflue che ben si ricordava disse un ‘Avanti!’ ed Andrew entrò. “É questo l’ufficio della famosissima dottoressa Jordan?” esclamò Andrew con voce allegra. Margareth, con i soliti voluminosi capelli rosso tiziano, stava china sulla scrivania, leggendo qualcosa. Quando alzò gli occhi, ebbe un attimo di sconcerto. “O mio Dio… Padre Andrew McPherson… ma sei proprio tu?” disse posando una rivista e alzandosi per andargli incontro. Andrew allungò le braccia, facendosi vedere molto disponibile. “Certo che sono io, Margareth!” La donna lo abbracciò, un po’ troppo caldamente, pensò lui, ricambiando però di buon grado. “Che piacere vederti di nuovo!” esclamò Margareth mollando la presa, ma non del tutto: infatti lasciò le braccia intorno alla vita di Andrew, il quale, però, le scostò educatamente. 217


“Cosa ti porta da queste parti?” chiese, facendolo accomodare su una delle sedie poste davanti alla scrivania e mettendosi di fianco a lui, avendo ben cura di lasciare in evidenza le gambe, poco coperte da una corta e attillata gonna. Andrew dovette ammettere che, in ogni caso, Margareth ci sapeva ancora fare mica male, era comunque una gran bella donna e il tempo non aveva ancora lasciato segni su di lei. Gli venne da sorridere pensando ad eventuali commenti di Elaine in merito. “É già un mese che sono qui, ho tenuto un corso di storia della Riforma per tutto marzo e l’inizio di questo mese. Poi per caso mi hanno parlato del lavoro di questo team e ho scoperto che una delle ricercatrici eri tu… Non ho potuto fare a meno di venirti a salutare e a complimentarmi con te!” “No! Non mi dire che è già un mese che sei qui e vieni solo adesso! E poi tu non eri su nelle Highlands? Sembravi sparito nel nulla!” “Ero. Hai usato il tempo verbale giusto Margareth. Non lo sono più.” “E dove sei adesso?” chiese curiosa. “Sono momentaneamente qui a Edimburgo” Andrew lasciò la risposta un po’ sul vago. “Ma dai! E… quanto momentaneamente?” “Ancora per una settimana, credo. Ma dimmi di te, ti prego!” la implorò Andrew, mettendole amichevolmente una mano su un braccio. ”Una carriera luminosa, oserei dire! Ho visto anche qualche articolo su una rivista scientifica e, anche se non ci ho capito molto non essendo la mia 218


materia, dava l’impressione di essere un grande scritto.” Andrew scatenò così il racconto della carriera di Margareth: si finse molto interessato, pose domande molto intelligenti e la lasciò parlare a ruota libera, dandole tutto il tempo per vantarsi e mostrare la sua ben scarsa modestia. Quando il racconto sembrò terminato, Andrew si alzò, si diresse verso il giubbotto che aveva posato su uno scaffale e fece apparire una copia del suo libro, che consegnò nelle mani di Margareth. “Non sei l’unica che si è data da fare, Margareth: ti onoro di una copia del libro che ho scritto.” “Caspita! Padre Andrew! Che sorpresa!” Margareth prese il libro e quando aprì la copertina vide che c’era una dedica: ‘A Margareth, che ha fatto parte della mia vita.’ “Wow, che bella dedica, Andrew…” ecco che magicamente era sparito il ‘Padre’ davanti al nome. La tattica era buona, pensò Andrew. “Dici che non è così? Pensi di non aver fatto parte della mia vita? Io direi che, bene o male, tranne che su nelle Highlands, dov’ero io c’eri anche tu: Broxburn, la Queen Mary’s School, Edimburgo sia anni fa che adesso… bene o male le nostre strade si sono sempre incrociate” disse Andrew, pensando in realtà ‘mi hai sempre rotto i coglioni in qualche modo’… Margareth sorrise e lo guardò con strani occhi: ci stava cascando come una pera cotta. “É vero, Andrew, e avrei voluto essere qualcosa in più per te, ma…” 219


“Ma non era stato possibile, vero?” chiese Andrew. “Non per mia volontà” rispose Margareth con un leggero tono di accusa. “Oh, lo so, ricordo ancora benissimo quante volte ti sei buttata nelle mie braccia. Se avessi voluto approfittare di te, sarebbe stato facile.” “Approfittare… che brutta parola stai usando. Non mi sembra quella giusta. E forse non era il momento giusto.” “Forse. Ma ora tu sei felicemente… che termine vuoi che uso? Fidanzata? Mi hanno detto che vivi con il famoso professore di biologia Brian Ross. Hai fatto un bel colpo anche lì, Margareth” le disse Andrew, lasciandole intendere che non pensava proprio che fosse tutto amore. “Beh… sì… diciamo fidanzata, se vuoi. Io la chiamo relazione aperta: lui spesso è via per conferenze in tutto il mondo, e, quando è qui, la maggior parte del tempo lo passa in laboratorio e alle varie associazioni che sostengono finanziariamente il progetto del team. Non è proprio un ‘essere fidanzata’. I primi tempi andavo sempre con lui, poi la cosa ha cominciato a diventare un po’ noiosa, e ho diradato molto questi impegni sociali.” “Margareth! Non mi vorrai dire di essere diventata tutta casa e chiesa, vero?” chiese Andrew ironicamente, posandole una mano sul ginocchio. Vide Margareth molto perplessa. “Andrew… cosa stai cercando di farmi capire?” gli chiese scrutandolo avidamente e avvicinandosi a lui. 220


“Sai, le cose cambiano in dodici anni. E fai bene a non mettere il ‘padre’ davanti al mio nome.” Margareth inclinò il viso, piuttosto interdetta, ora. “Non sono più un sacerdote, Margareth” le annunciò finalmente lui. La faccia di Margareth cambiò ancora di tre o quattro espressioni. “No?? Non mi prendi in giro, vero?” chiese incerta. “Perché dovrei? Pensi che te lo stia dicendo solo perché finalmente voglio portarti a letto, come avresti voluto tu allora?” “Andrew, cavolo, mi lasci senza parole. Comunque no, ti credo e per il portarmi a letto… sei stato uno dei miei sogni proibiti ricorrenti, anche in tutti questi anni…” Margareth stava lasciando intendere che, se solo Andrew avesse chiesto, lei avrebbe dato. Ma ora Andrew decise di giocare a carte scoperte. “Ho lasciato il sacerdozio, e nemmeno molto tempo fa. Ho capito che non era più la mia vita, che desideravo altro. Così ho mollato tutto e ora sono solo un professore di storia che scrive libri” le disse. “É davvero una notizia clamorosa, sai? E come mai hai scelto di tornare al sud?” fu la domanda vagamente insinuante di Margareth. Ma davvero, si chiese Andrew, pensava di avere una chance? “Perché l’attuale rettore Peter Campbell è un mio carissimo amico e mi ha offerto prima questo corso che ho appena terminato, e poi una cattedra definitiva di storia per l’anno prossimo.” 221


“Allora” disse Margareth sorridendogli ”lavoreremo nello stesso posto, ci potremo vedere spesso, e magari frequentarci e conoscerci un po’ di più, non credi? Suppongo che abiterai nel campus.” “No” rispose Andrew, ”torno a vivere a Broxburn.” “Oh no! Non puoi fare una cosa così! Perché proprio un posto terribile come Broxburn?” “Perché lì c’è il motivo vero per cui ho lasciato il sacerdozio, Margareth.” “E cioè?” chiese lei ridendo ”I tuoi vecchi parrocchiani che te ne hanno sempre dette dietro di tutti i colori?” “No, di loro non m’interessa proprio niente. Torno a Broxburn perché c’è la donna di cui mi sono innamorato, quella per cui ho deciso di lasciare la mia precedente vita: Elaine Kincaid.”

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Margareth rimase in silenzio per un lunghissimo momento, completamente spiazzata dalle parole di Andrew. “Ti vedo sconvolta, Margareth. Credevo avessi una maggiore apertura mentale, su queste cose” le disse Andrew sorridendo e con un po’ di sarcasmo nella voce. “Elaine Kincaid… c’erano in giro storie già quando eri a Broxburn dodici anni fa… ah! La Kincaid! La maestrina ha colpito bene, vero?” ribatté Margareth con durezza. “Hai problemi con Elaine, Margareth?” chiese lui, decidendo di togliersi dalla bocca il falso sorriso di circostanza che aveva sempre cercato di tenere. “No, figurati. Ma non mi è mai stata particolarmente simpatica. La trovo un po’ saccente e piena di sé. Non si rende ancora conto che non è altro che una semplice insegnante elementare” rispose Margareth senza fare il minimo sforzo per nascondere l’antipatia che provava per Elaine. Andrew pensò che se lei fosse stata presente, a questo punto si sarebbero già prese per i capelli. Senza volerlo, al pensiero di una così gustosa scena, fece un risolino sardonico. 223


“Ti fa ridere? É vero, Andrew, non è nulla di eccezionale. Si è anche fatta portare via da sotto il naso un gran bel marito, che non ci ha pensato due volte ad andarsene lontano il più possibile.” Andrew dovette contare fino a dieci per non esplodere, dopo la frase di Margareth. “Vista dall’esterno, sì, la cosa potrebbe apparire proprio così. E a te piace vedere le cose solo dall’esterno, vero?” “La conosco, Andrew, la conosco da più tempo di te. E ti dico una cosa: potevi pretendere di meglio per te.” “Per esempio potevo pretendere una biologa che ha ottenuto un master con tre esami in meno grazie al fatto di essere stata l’amante del precedente rettore dell’università di Edimburgo?” Margareth arrossì, e Andrew non capì se era rabbia o vergogna. “Che diavolo stai dicendo, Andrew?” chiese la Jordan. “Così mi è stato detto da una fonte certa” rispose Andrew. “E che fonte sarebbe?” “Margareth!” esclamò quasi divertito Andrew ”Si dice il peccato ma non il peccatore! Proprio a me fai dire queste cose?” “Non sei spiritoso per niente, Andrew. I tre esami non sono semplicemente stati registrati” puntualizzò Margareth. “In tutto questo tempo? Dai, Margareth, per favore!”

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A questo punto la donna si alzò e ritornò al suo posto dietro la scrivania, quasi volesse prendere le distanze da lui. “Non ho capito perché sei venuto qui, Andrew. Solo per darmi l’annuncio del tuo imminente matrimonio con la Kincaid? Ne facevo volentieri a meno, credimi, e non mi interessa minimamente” disse, cercando di sviare il discorso. “Sei tu che hai fatto domande, Margareth. Io ho solo risposto. Se le risposte non ti piacciono, non è colpa mia. É così e basta” disse tranquillamente Andrew, preparandosi gradualmente ad arrivare al punto che più gli premeva. “Bene. Senti, è stato un piacere rivederti, ma ora ho da fare, se non ti spiace” cercò di congedarlo Margareth. “Che cosa devi fare? Devi andare in palestra?” chiese con nonchalance Andrew, sorridendole. Margareth socchiuse gli occhi e lo scrutò attentamente: forse stava iniziando a capire il vero motivo della visita di Andrew. “Non sono affari tuoi” gli disse seccamente. “Hai un fisico invidiabile, sai? Hai un personal trainer che ti cura da vicino?” Ora le intenzioni di Andrew erano più che chiare. Margareth non rispose; si appoggiò allo schienale della sua sedia, a braccia conserte, continuando a guardarlo con aria di sfida. “Rispondimi, Margareth. Hai un personal trainer? E, per caso, è Kevin?” insistette Andrew “Quello stesso Kevin McDougall con cui sei stata fidanzata molto tempo fa? Quello che ora è felicemente 225


sposato da anni con Janet Locker? …Rispondi, Margareth.” Ci fu una lunga pausa. “E perché dovrei farlo?” “Perché te l’ho chiesto, perché io ho risposto alle tue domande e perché lo voglio sapere.” “E con che diritto?” “Col diritto di essere molto amico di Janet e Kevin, col diritto di chi ci tiene alla loro serenità e si sente in dovere di fare qualcosa.” “Perché, il fatto che Kevin sia il mio personal trainer sta minando la loro felicità? Dio, come mi dispiace!” disse con tanta falsità Margareth da provocare un moto di disgusto da parte di Andrew, che scosse la testa, guardandola quasi con pietà. “E poi non l’ho certo cercato io. Quando mi sono iscritta in quella palestra, non sapevo che lavorasse là. É stato un puro caso, una coincidenza.” “Di cui tu hai subito approfittato, leccandoti le dita, vero, Margareth? Ci vai a letto? Non ti sembra vero di poterti vendicare con la donna che ti ha portato via l’unico vero fidanzato che tu abbia mai avuto, eh?” “Oh! Janet Locker! Un’altra stupida donnetta con ben poche ambizioni… una casetta a Broxburn, un bel maritino e un moccioso da tirare su. Almeno la Kincaid è diventata direttrice della scuola, questa se ne sta ancora a fare l’insegnante alle primarie!” “Beh, allora facciamo in modo che soffra, no? É tutto quello che si merita una donna insulsa come lei.” 226


“Piantala Andrew! Per scopare bisogna essere in due… oh, scusa, dimenticavo che adesso lo sai anche tu, finalmente non hai più bisogno di fare tutto da solo…” Il sarcasmo, il cinismo e la cattiveria di Margareth uscivano da tutti i pori della sua pelle e quasi trasmettevano sensazioni negative a Andrew. “Sei una persona disgustosa, Margareth.” “E tu sei un’ipocrita, Andrew. Cosa ne diresti se tutti venissero a sapere che ti scopavi già la Kincaid dodici anni fa, quando la tua più grande preoccupazione era fare il bravo predicatore, il bravo insegnante di religione, il bravo padre confessore? Ti rendi conto, Andrew? Ti rendi conto che tu sei qui a fare menate a me, quando tu sei stato falso e ipocrita per un lungo periodo, andandotene in giro per il paese con la maschera dell’integrità morale dipinta sulla faccia? Chi è che fa più schifo, tra me e te?” Margareth aveva alzato la voce, ma Andrew non intendeva perdere la calma. “Sai qual è la differenza, Margareth? Ammettiamo che io ed Elaine fossimo insieme già dodici anni fa. Era un problema solo delle nostre coscienze che, molto probabilmente, saranno dannate. Ma, oltre a me e a lei, non c’era coinvolto nessun altro. Qui ci sono di mezzo una famiglia e un bambino di sette anni. Non dirmi che non vedi la differenza, Margareth” disse sempre molto pacatamente Andrew. “E chi vuole farci entrare nella storia un bambino di sette anni, scusa? Che se lo tenga ben stretto, la 227


Locker. Non credo che Kevin ci tenga tanto, non ne parla mai” A questo punto Andrew capì che la Jordan non era diversa e non era minimamente cambiata da quella che aveva sempre conosciuto: egocentrica, fredda, calcolatrice, vendicativa. Ciò che interessava a Margareth era sempre e ancora solo se stessa: il mondo doveva ancora girare intorno a lei. “Stai esagerando, Margareth, stai superando il limite. Lascialo in pace. Lascialo tornare dalla sua famiglia. Cambia palestra. Cercatene un altro con cui andare a letto, se il tuo professorone non ti fa più godere abbastanza.” “Perché dovrei farlo, scusa? Perché me lo stai chiedendo tu?” la frase fu seguita da una sonora risata, che aveva un che di isterico. “Non perché te lo sto chiedendo, perché così è sbagliato e basta. Pensaci bene. Tu ti stai solo vendicando, non penso t’interessi davvero Kevin.” “Che cosa ne sai, tu, Andrew? Ah, già, dimenticavo un’altra volta che ora sai cosa vuol dire essere innamorati… Ma già lo sapevi tempo fa, vero? Sai cosa ti dico? Sei tu che devi lasciare in pace me. Esci dal mio ufficio, e non farti vedere mai più. E soprattutto fatti gli affari tuoi.” Andrew si alzò in piedi e si rimise il giaccone. “Bene, Margareth, se è così che la pensi. Ma a questo punto, visto che io e Campbell siamo molto amici, gli dirò di controllare più che bene questa faccenda degli esami. Non penso voglia avere tra i piedi una che ha ottenuto un master solo grazie alla sua abilità nel fare sesso.” 228


Margareth divenne paonazza. “Fallo, Andrew, e ti giuro che tu e la tua bella Elaine dovrete scappare nel punto più sperduto della Scozia, per non trovare nessuno che sappia davvero da quanto dura la vostra storia: il bel prete insegnante di religione e storia, e la bella e integra direttrice di una scuola sputtanati a vita. Pensaci, Andrew.” Andrew fece una risatina. “E cosa credi che cambierebbe? Nulla, Margareth, proprio nulla. Mi dispiace, io e Elaine non abbiamo bisogno più di nasconderci e fuggire, la gente parla già abbastanza e sta già facendo abbastanza supposizioni su di noi: ma prima o poi si stancheranno di parlare. Invece se saltasse veramente fuori che il tuo master è stato ottenuto con tre esami in meno… beh, la storia cambia. Non credo che Campbell potrà tenerti ancora nella sua Università e tantomeno in questo team. E cosa direbbe poi, il tuo bel fidanzato professore tanto famoso e conosciuto nel mondo, quando saprà davvero chi sei e di che cosa sei capace? Sei tu che ci rimetteresti di più, Margareth: niente più fama, niente più visibilità e molto probabilmente niente più lavori prestigiosi. Forse saresti costretta anche tu a diventare una stupida e banale insegnante di matematica e scienze alle primarie. Che tristezza, vero?” le disse Andrew, girandosi per uscire dall’ufficio. Margareth si alzò in piedi, si appoggiò con le mani alla scrivania e si protese in avanti, mandandogli fulmini con lo sguardo. 229


“Non lo faresti mai, Andrew McPherson!” disse con una voce dai toni un po’ troppo alti, in cui trapelavano molti sentimenti, tra cui l’incertezza e forse la paura. Andrew si avvicinò alla porta, mise la mano sulla maniglia per aprire e si girò di nuovo verso Margareth. “Non mettermi alla prova, Margareth” le disse con voce ferma e dura. “Non puoi farlo!!” quasi urlò di rimando lei. “Lascia stare Kevin. E per il resto, spera solo che io ricordi ancora che cos’è la carità cristiana, Margareth.” E, detto questo, uscì. Appena girato l’angolo del corridoio, Andrew diede un violento pugno al muro: l’atteggiamento e la supponenza di Margareth l’avevano schifato completamente. Si rese conto che, nel caso la cosa non si fosse risolta, era davvero intenzionato ad andare in fondo alla storia del master, anche se la paura che aveva avvertito nella sua voce lo fece ben sperare in una rapidissima soluzione della faccenda. Almeno così si augurava ardentemente, perché a questo punto si rese anche conto di non sapere davvero dove sarebbe potuta arrivare quella donna.

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Nel primo pomeriggio, di ritorno dalla spedizione nell’ufficio di Margareth Jordan, Andrew si diresse direttamente alla Queen Mary’s. Erano le due, la pausa mensa era terminata e sperava di trovare Elaine sola e in un momento di calma, così da poter discutere tranquillamente di quello che era successo. Quando arrivò al secondo piano della scuola, capì subito che era un momento azzeccato: Rachel stava bevendo un caffè mentre guardava lo schermo del pc e, appena lo vide apparire dalle scale, gli fece un ampio sorriso. “Signor McPherson, buongiorno!” lo salutò allegramente. “Ciao Rachel! Tutto tranquillo, eh? C’è un silenzio di tomba, in questo momento…” le disse ricambiando il sorriso, un po’ imbarazzato dallo sguardo adorante con cui ormai Rachel lo guardava ogni volta: si ricordava benissimo quando, le poche volte in cui era andato nell’ufficio di Elaine poco dopo le vacanze di Natale, lei lo squadrasse con fastidio, sicuramente pensando ‘è arrivato il rompiscatole’. Ora, invece, era tutta un’altra storia. “Adesso sì, ma non le avrei augurato di essere qui stamattina… io e la signora Kincaid abbiamo 231


deciso di ricordarla in eterno con il nome ‘la mattina in cui ogni pazzo è fuggito dal manicomio e si è presentato alla Queen Mary’s’, tanto per farle capire…” ciarlò allegramente Rachel. “Non mi dire che la signora Kincaid ti ha detto che non vuole vedere più nessuno, ora…” insinuò Andrew con una strizzata d’occhio che fece ridacchiare Rachel. “Beh, certo che me l’ha detto…” affermò la ragazza. “Allora penso che dovrò girare i tacchi” dichiarò Andrew. “…ma non penso si riferisse a lei…” continuò Rachel con uno sguardo furbo ”Ad ogni modo in questo momento non è da sola. C’è Padre James MacGregor con lei.” “Padre James! Santo cielo, dici che si starà confessando?” le chiese serio Andrew. Rachel lo guardò un po’ stupita, senza capire che lui la stava prendendo in giro. “Non credo… Credo stiano parlando di alcune questioni ammin… ooooohhh! Perché mi prende in giro?” chiese all’improvviso, rendendosi conto dello scherzo di Andrew, che si mise a ridere e le diede un buffetto sul braccio. “Dai, Rachel, scusami! Non prendertela! Chiamala all’interfono, chiedile se posso entrare” le disse. Mentre aspettava che Rachel annunciasse ad Elaine la sua presenza, Andrew rifletté sulle ultime parole della ragazza, e si chiese quali mai fossero le ‘questioni amministrative’ di cui dovessero parlare James ed Elaine. 232


“Dice se può aspettare dieci minuti” gli comunicò poi Rachel. Andrew si sedette meditabondo: era la prima volta che Elaine lo faceva aspettare, in genere quando arrivava lui, si liberava immediatamente… In realtà non passò molto tempo e dall’ufficio di Elaine uscì Padre James, che lo salutò calorosamente. “Andrew! Tutto bene?” gli chiese dandogli una pacca sulla spalla. In una mano stringeva una voluminosa cartella piena di documenti: la curiosità di Andrew era alle stelle, anche perché James cercava di tenere nascosta ai suoi occhi un’etichetta dove c’era sicuramente scritta la natura di tutto quel fascicolo. “Ciao James! Sì tutto bene, e tu? Caspita, che volume di documenti!” rispose Andrew. “Eh sì, Elaine mi sta aiutando a fare un inventario preciso delle proprietà della parrocchia, aggiornando i documenti e archiviandoli a computer… sai che io ci capisco ben poco di quelle macchine infernali!” affermò Padre James ridendo, ma sempre ben attento a non scoprire nulla. “Quando ti aspetto in parrocchia per quattro chiacchiere?” gli chiese poi. “Penso venerdì sera” rispose Andrew, ”quattro chiacchiere e un bicchierino di scotch, naturalmente!” “Ma ben volentieri! Ci vediamo, Andrew! Arrivederci, Rachel!” e detto questo infilò velocemente le scale per scendere. 233


Andrew era un po’ interdetto: James sembrava un bambino colto con le mani nella marmellata; rimase a guardarlo per qualche secondo, pensieroso, fino a che non lo vide più e quando si voltò, si trovò faccia a faccia con Elaine e un grande sorriso disarmante. “Che ti frega di quello che facciamo io e James, scusa?” gli chiese senza nemmeno salutarlo. “No… niente… pensavo che le questioni amministrative della Parrocchia le risolvesse Brian Thornton, come è sempre stato… che c’entri tu? Come se non avessi già abbastanza da fare!” Elaine lo prese sottobraccio e lo portò nel suo ufficio, dove gli diede un lungo bacio sulla bocca… forse per farlo tacere. “Ci sono alcune faccende che si sovrappongono con la Queen Mary’s, e stiamo cercando di capire bene” disse poi Elaine mentre si sedeva sulla scrivania, facendo dondolare le gambe e guardandolo con occhi che dicevano ‘chiuso il discorso’. “Dimmi tutto” gli ordinò infatti poi. “Ah, così, senza nemmeno farmi riprendere. Non è stato molto piacevole” le disse Andrew. “Non è mai piacevole avere a che fare con la Jordan, e sono sicura che tra 5 minuti sarò incazzata nera. Ma tu racconta dettagliatamente, per favore.” Andrew iniziò così il resoconto dell’incontro con Margareth Jordan, senza tralasciare nulla, come lei gli aveva chiesto, e vedendola davvero adombrarsi sempre di più man mano che il racconto procedeva. “Ecco tutto, non ho tralasciato niente e, se vuoi saperla tutta, sono un po’ disgustato e…” “E…?” lo incoraggiò Elaine. 234


“E poco fiducioso che sia una cosa risolvibile” le confessò Andrew. “Ci ho riflettuto mentre tornavo qui” continuò poi, sotto lo sguardo attento di Elaine. ”Ora che abbiamo la conferma che Kevin e Margareth hanno una storia, cosa potremmo fare? Cosa dovremmo fare? Parlare con Kevin? Ok, e poi? Non è una cosa facile, sai, e potrei rispolverare tutto il mio repertorio da buon sacerdote cattolico, ma… forse non sono più la persona più indicata per farlo. Forse…” “Forse quella cretina è stata talmente brava da farti credere che tutta la merda che ha buttato addosso a te e a me sia vera. Bravo, Andrew. Le tue convinzioni vacillano, dopo solo una mezz’ora a tu per tu con quella strega?” gli domandò Elaine. Andrew non rispose. Elaine scese dalla scrivania e si mise a camminare nell’ufficio, fermandosi poi davanti alla finestra che dava sul cortile. “Quanto potere malvagio ha, quella donna! Quanta cattiveria!” disse, con un tono molto sconsolato. Andrew continuava a rimanere in silenzio. “Hai intenzione davvero di andare a fondo sulla questione del master? Io non credo” gli chiese Elaine, dando già anche la risposta, confermata da Andrew. “No, non lo farò. Mi piacerebbe, ma non lo farò. Il fatto è che mi sento molto impotente; Margareth è peggiorata. Ha come un alone di perversione e cattiveria, intorno a sé, e mi sentivo molto male vicino a lei. Andare a fondo nella storia del master 235


servirebbe solo a farla incattivire ulteriormente e, credimi, non lo voglio fare. Non perché non ne avrei il coraggio, no. Solo perché sono certo che non farei altro che peggiorare le cose.” Elaine e Andrew rimasero silenziosi per un po’, riflettendo. “Cosa proponi?” chiese poi sommessamente Elaine, che nel frattempo si era seduta sul divano ed era stata raggiunta da Andrew. “Secondo te, è meglio che Janet scopra da sola che Kevin e Margareth si vedono ancora, o preferiresti dirglielo tu, che saprai sicuramente come prenderla e come, eventualmente, farla ragionare?” chiese Andrew di rimando. Elaine rimase silenziosa per un po’. “Sai” disse poi, “non è mai piacevole venire a sapere che tuo marito ha un’altra donna. Quando io ho saputo di Rebecca, Christopher era già fuori di casa, e, nonostante ciò, ero stata malissimo. Quindi, non lo so, non so cosa fare.” Ci fu ancora un lungo silenzio. “Che palle” aggiunse poi, “perché non si può sempre essere tutti felici?” domandò retoricamente, senza aspettarsi una risposta di Andrew. Lui le cinse le spalle col braccio e la attirò a sé. “Vieni qui” le disse dolcemente, “Vedila così: le tue esperienze passate, la tua serenità di oggi e la vostra grande amicizia che dura una vita ti permetteranno di fare la cosa giusta, di trovare le parole giuste e di starle vicino e consolarla nel modo giusto, non credi?” le domandò Andrew. 236


“É vero, hai sicuramente ragione” ammise Elaine. “Che palle, però!” ribadì poi. “Gigantesche, direi!” confermò Andrew, facendola girare verso di sé e dandole un bacio. “E come sta la mia bambina, oggi?” chiese cambiando argomento e mettendole una mano sulla pancia. “Bene! Non ti sei accorto che stamattina non ho avuto le nausee?” “Beh, ero un po’ di corsa, però sì, non ho visto il solito colorito verdognolo…” rispose ridacchiando. “Buon segno? Sai, non è che ho avuto a che fare tutta la vita con donne incinte…” “Spiritosone… Certo che è un buon segno, vuol dire che tutto si sta assestando e procede a meraviglia. Settimana prossima devo andare dalla ginecologa, vuoi venire anche tu?” gli chiese sorridendo. “Certo che sì! Voglio proprio vedere com’è cresciuto il mio ‘gamberetto’!” rispose Andrew. “Bene. E adesso che abilmente hai cambiato argomento per farmi pensare a qualcosa di più piacevole…” disse Elaine, che aveva intuito la mossa di Andrew e gliene era grata “come intendiamo muoverci?” “Senti, io credo che dovrai essere tu a valutare la situazione, trovando quello che secondo te sarà il momento opportuno per parlare con Janet. Da parte mia tenterò un approccio con Kevin. Ma se non troverò una ‘apertura’, non credo di andare oltre. È vero, siamo amici, ma non abbastanza, credo, da potermi permettere più di tanto” rispose Andrew, valutando attentamente il suo ruolo. 237


“Ok… sarà dura, ma ce la farò.” “Bene” disse Andrew alzandosi. “Ora torno a Edimburgo, e vado ad aggiornare la situazione con Campbell, mi sembra doveroso nei suoi confronti.” “Sì, credo proprio di sì. E salutamelo. Io invece ho giusto il tempo di sbrigare due pratiche, poi recupero Nicholas e vado a casa” lo informò Elaine. “Pratiche che riguardano la parrocchia o la Queen Mary’s?” chiese Andrew, ancora molto incuriosito dai ‘movimenti’ visti prima della chiacchierata con Elaine. Una Elaine che ora lo squadrò per bene, con un sottile sorriso ironico stampato sulla bocca. “Ci vediamo a cena” gli disse semplicemente. Andrew se ne andò decisamente un po’ scornato.

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32 “Oddio! Che cos’è quel… coso???” “Lennie! Cosa fai sulle scale con uno scatolone in mano???” “Mamma! Guarda cos’abbiamo trovato io e Andrew!!!” Queste tre frasi furono pronunciate quasi contemporaneamente, un tranquillo sabato che di punto in bianco si stava trasformando in un caos assoluto. Nel primo pomeriggio Andrew e Nicholas erano usciti per andare a fare una giocata al pallone al parco: il tempo era bello e la gradevole temperatura di metà aprile invogliava a stare all’aria aperta. Elaine aveva sonnecchiato un po’ sul divano e poi si era diretta nel locale sopra al garage, che lei e Andrew avevano cominciato a riordinare e ristrutturare il giorno prima. Aveva perso un po’ di tempo tra i ricordi, decidendo poi quali cose tenere e quali eliminare. E fu proprio nel momento in cui scendeva le scale per portare giù uno scatolone pieno di vecchi giochi da portare in parrocchia, che Andrew e Nicholas erano rientrati in casa, e… Nicholas teneva in braccio qualcosa di peloso e visibilmente molto sporco. “Mamma, guarda!” 239


Nicholas fu il primo a riprendere la parola dopo lo stupore generale per quell’improvvisa rottura della tranquillità. ”Io e Andy stavamo giocando a pallone al parco, e poi all’improvviso è sbucato lui e mi è venuto vicino, e mi faceva le feste! Mamma, forse si è perso o è stato abbandonato, ma non potevo lasciarlo là! Guarda mamma com’è bello! Dai mamma lo possiamo tenere?” Elaine, senza parole, guardò prima Andrew, (che al momento aveva uno sguardo falsamente innocente e stava allargando le braccia come per dire ‘non è stata colpa mia, è lui che è venuto da noi’), poi suo figlio, i cui occhi brillavano di un entusiasmo disarmante, e poi quell’ammasso peloso e arruffato con occhi imploranti affetto. “Ma… Nick… è terribilmente sporco, ti prego mettilo giù!” In quell’esatto momento il cagnolino, che la stava guardando aspettando forse un verdetto, emise un suono dalla bocca, suono che assomigliava molto, anzi era sicuramente un rutto. “Oh santo cielo! Oltre che sporco e magari malato e pieno di pulci, rutta anche!” disse fintamente sconvolta Elaine “Mettilo giù, Nick!” Il bambino ubbidì, ma non appena ebbe posato il cane per terra, questi si mise a correre verso la sala e, con grande orrore di Elaine, fece la pipì sul vaso del Ficus Benjamin che teneva vicino alla finestra. “Oh no!” disse Elaine inorridita. 240


A questo punto si scatenò il panico nei due maschi umani presenti in casa. Nicholas si precipitò verso il cane e lo riprese in braccio, quasi certo che sua madre l’avrebbe sbattuto fuori di casa in un batter d’occhio, mentre Andrew correva in cucina a prendere uno straccio e cercava di rimediare il più velocemente possibile al danno fatto dal cane. Elaine rimaneva zitta. In realtà le veniva da ridere, ma sarebbe stato troppo facile, per quei due. “Mamy, perdonalo, si è solo emozionato…” disse Nicholas. “Sì, sicuramente è così” confermò Andrew asciugando il pavimento e trattenendo a stento una risata. La guardava, e sapeva benissimo che il cipiglio di Elaine era una finta. Lei rimase a guardarli con sguardo truce, dopo di che disse: “Seduti! Tutti e due! Anzi, tutti e tre!” Nessuno osò discutere, cane compreso. Peccato che quest’ultimo posò il suo sporco culotto sullo zaino di Nick, abbandonato come sempre sul tappeto della sala. “Adesso mi spiegate bene questa storia” ordinò Elaine, cercando di ignorare la discutibile scelta del cane. Nicholas guardò titubante Andrew, che raccontò di nuovo come si fossero imbattuti nel cane, e come nessuno dei due avesse avuto il coraggio di lasciarlo ancora abbandonato nel parco. Il cane, dal canto suo, con le orecchie basse, scrutava Elaine: aveva già capito, in caso di resa e 241


di un suo possibile accomodamento in quella casa, chi sarebbe stato il capobranco. “Non avete pensato che potrebbe essere di qualcuno? Che si è semplicemente perso? Che forse sarebbe meglio portarlo al canile?” chiese Elaine. “Certo” rispose Andrew, “infatti ci siamo già andati. Nessuno ha denunciato la scomparsa o lo smarrimento di un cane. Quindi possiamo affermare” e diede un’occhiata a Nick “che nessuno lo rivorrà indietro.” “Eh già. Pensa mamma, magari arriva da chissà dove, avrà fatto mesi al freddo, avrà dormito in mezzo alla neve tutte le notti. Adesso avrà bisogno di tanto affetto…” disse Nicholas. “Non cercare di impietosirmi. Non succederà. Avrà sicuramente bisogno di una visita accurata di un veterinario, suppongo.” “Oh no, abbiamo già…” iniziò allegramente Nicholas, subito interrotto da una leggera gomitata di Andrew. “Vedi,” disse questi molto più pacatamente, “in realtà non avevamo nemmeno iniziato a tirare un calcio al pallone, che ‘lui’ è arrivato… quindi le due ore che siamo stati fuori le abbiamo passate al canile, e tu sai, naturalmente, che là hanno un veterinario. Quindi, è già stato visitato e rivaccinato per precauzione. Pare sia un maschio di tre anni, in buone condizioni fisiche, solo un po’ denutrito e spelacchiato a causa della sua misera vita degli ultimi tempi.” Elaine e Andrew stavano in realtà conducendo un ottimo gioco di squadra. 242


“E quindi?” chiese Elaine, rivolgendosi questa volta proprio a suo figlio. Un po’ intimorito, Nicholas la guardò con occhi che avrebbero fatto smuovere una montagna di ghiaccio. “Possiamo tenerlo con noi?” ebbe finalmente il coraggio di chiedere. “Tu sai, vero, che avere un cane non è proprio un gioco?” chiese Elaine. “Sì, lo so.” “Tu lo sai, vero, che un cane deve mangiare, avere un posto dove dormire che non è il tuo letto, passeggiare, fare la pipì e la cacca almeno tre volte al giorno, deve essere lavato” e qui diede un’occhiata più attenta al cane, vedendo che era di pelo piuttosto lungo, “spazzolato e quant’altro? Curato, insomma?” “Sì. Lo so mamma.” “E allora? Cosa ne vogliamo fare?” “Teniamolo, ti prego, mamma, ti prego ti prego ti prego!” Nicholas guardò Andrew in cerca di conforto: lui gli strizzò l’occhio, come per dirgli ‘è fatta, amico’. Ma il responso di Elaine tardava. Nicholas si sentì però un po’ più tranquillo quando vide sua madre avvicinarsi al cane, sollevargli il musino e guardarlo attentamente. “E come lo vogliamo chiamare?” e mentre formulava la domanda, lo spelacchiato, forse dall’emozione perché aveva capito che gli era andata alla grande e quel giorno per lui era come aver vinto alla lotteria, ruttò di nuovo. 243


Nessuno osò fiatare, tranne Nicholas, che con voce un po’ tremula disse: “Forse Burp, mamy, che ne dici?” Finalmente scoppiarono a ridere tutti e tre, con l’appena battezzato Burp che partecipava ai festeggiamenti abbaiando e correndo qua e là. “Fermate quell’ammasso di pelo lurido e mettetelo nella vasca da bagno. I vostri compiti col vostro nuovo amico iniziano esattamente in questo momento!” Elaine si prese un veloce abbraccio da Nicholas e un altrettanto veloce bacio da Andrew, che si diressero verso la stanza da bagno per rendere presentabile Burp, prima che lei cambiasse idea. Decisamente, il 37 di Wyndford Avenue stava diventando un posto affollato.

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33 Non erano state ore molto facili e Burp aveva portato non poco scompiglio in casa; il sabato era finito a un’ora notevolmente molto tarda. In realtà Burp era l’unico veramente tranquillo tra tutti quelli che abitavano in Wyndford Avenue: ben lavato e profumato, abbondantemente nutrito e coccolato, aveva finalmente potuto addormentarsi pacifico e al caldo nella cuccia che Andrew era andato ad acquistare subito dopo il rito del bagnetto. Ma sia Elaine sia Andrew, quella notte, avevano visto Nicholas uscire dalla sua camera per dirigersi furtivamente in cucina, dove si era insediato Burp, almeno tre o quattro volte. Assistettero divertiti a questo continuo via vai, con Elaine che ringraziava il cielo che non ci si dovesse alzare presto per la scuola. La domenica mattina Nicholas recuperò tutto il sonno perduto, mentre Elaine vide arrivare Burp alle sette del mattino, con la chiara intenzione di uscire per i suoi bisogni. Non ci fu da discutere su chi dovesse farlo: diede una bella scrollata ad Andrew e quando questi aprì mezzo occhio per vedere cosa stesse succedendo, sentì Elaine pronunciare una semplice ma chiara frase: 245


“Sono sicura, Andrew, che ieri, quando hai deciso di portare qui quell’essere, eri ben conscio del fatto che ogni mattina deve fare la cacca.” E, detto questo, si girò dall’altra parte rituffandosi nel piumone e lasciandolo all’arduo compito. Nel pomeriggio erano arrivati in visita Janet, Kevin e Josh, che il giorno prima era stato immediatamente informato da Nicholas del nuovo arrivo e che non vedeva l’ora di conoscere Burp. Ora tutto il reparto maschile era partito per una spedizione al parco, mentre Janet ed Elaine sedevano sul divano davanti ad una tazza di tè. “Miseria, Elaine, ti mancava anche un cane! Come hai potuto cedere?” chiese Janet ridendo. “Beh, a te devo proprio dire la verità, Janet: anche se con loro due ho fatto un po’ la dura, in realtà come l’ho visto e lui mi ha guardata con occhi spaventati e orecchie basse avevo già deciso che sarebbe rimasto qui… e credo che Andrew l’avesse capito subito, perché mi ha apertamente presa in giro tutta la sera sulla mia ‘fermezza e autorità nel prendere le decisioni in questa casa’!” rispose Elaine ridendo a sua volta. “Allora, facciamo il punto della situazione: all’inizio di dicembre, cioè cinque mesi fa, ricordo una nostra conversazione in mensa, durante la quale ti lamentavi del fatto che stava arrivando Natale e che l’avresti passato da sola come un relitto in una casa vuota. Ora hai Andrew, un bambino nella pancia e un cane. E, nel frattempo, sei quasi morta e quasi resuscitata. Potrebbe avere del surreale, questa cosa, se non vi avessi assistito personalmente in 246


tutte le sue fasi. Tranne il concepimento, grazie a Dio…” affermò Janet, che stava cercando, comprese Elaine, di essere allegra e scherzosa come sempre, mascherando ciò che la assillava in quel periodo. “Eh già! Ma non sono minimamente preoccupata” dichiarò con un gran sorriso. Elaine capì che era il momento giusto per affrontare il discorso Kevin-Margareth. “E tu?” chiese tornando seria “Non sei venuta nel mio ufficio a rompere nemmeno una volta, questa settimana” aggiunse, guardandola dritta negli occhi, nonostante quelli di Janet fossero un po’ sfuggenti. “Non va molto bene” confessò Janet, “Kevin è sempre più schivo. Non è molto bravo a nascondere che gli sta succedendo qualcosa. E tutte le volte che gli chiedo spiegazioni l’unica risposta che mi dà è che è un periodo in cui si sente molto stanco.” Doveva dirglielo. Sarebbe stata dura per lei, ma Elaine capiva che era arrivato il momento di parlare, e lo fece con la serenità che ormai le era consona. “Janet” disse. L’amica la guardò: anni e anni di affiatamento facevano capire molte cose anche solo con uno sguardo. “Sai qualcosa, vero?” domandò Janet con una voce quasi impaurita, forse mai uscita dalla donna che Elaine conosceva da più di trent’anni. “Sì” fu la semplice risposta di Elaine. “É brutta, Lennie? Devo sedermi?” 247


Il tentativo estremo di Janet di alleggerire la conversazione suonò molto difficoltoso. “Sei già seduta, scema… Ma rimanici pure.” “Ok. Vai. Sono pronta, credo. Basta che non ci giri intorno e parli chiaramente” disse Janet con un sospiro molto forte. Elaine la guardò e si sentì un po’ rattristata da quello che stava per fare, ma il suo nuovo modo di vedere il mondo le diceva che Janet sarebbe stata in grado di affrontare questa crisi senza crollare. Quindi, in modo molto diretto come le aveva chiesto l’amica, enunciò le parole che avrebbero dato ad una delle persone al mondo a cui teneva di più, una delle più grosse bastonate della vita. “Ti racconterò dettagliatamente dopo, come siamo arrivati a questa conclusione Janet, ma… Kevin ha una relazione con un’altra donna” disse, scrutando attentamente le reazioni dell’amica. Janet si irrigidì e inspirò a lungo per poi trattenere il fiato per molti secondi. “Ok” disse. “Ti conosco molto bene per credere che non sia un pettegolezzo ma una cosa accertata. E … chi è questa donna?” “Margareth Jordan” rispose Elaine, senza aggiungere altro. Né un ‘mi dispiace’, né un ‘sii forte’, niente: erano cose e frasi fatte che non servivano, tra loro due. In apparenza non ci fu nessuna reazione visibile, tranne un leggero tremore alle mani, ma Elaine ‘avvertì’ chiaramente la miscela di emozioni che stava provando l’amica: incredulità, negazione, dolore, rabbia. 248


“Puoi ripetere, per favore?” chiese a voce appena percepibile Janet. “Margareth Jordan.” “Margareth Jordan.” “Sì.” “Sì. Ma come… voglio dire… dove si sono rincontrati? No… cioè… lo so che la Scozia non è certo il Canada, lo so che Kevin lavora a Edimburgo, ma come… quando? Perché?” Janet guardò sperduta Elaine. “Perché, cazzo? Perché proprio lei???” disse con voce che si stava gradualmente alzando di tono e gli occhi pieni di lacrime che stava faticosamente trattenendo. “In palestra, Janet. E non so perché proprio lei.” Così, prendendole le mani chiuse a pugno, Elaine cominciò il racconto dettagliato, dalla conversazione di Kevin con Andrew in ospedale mentre lei era in coma, i primi sospetti di Andrew, le ricerche e le indagini di Peter Campbell e il colloquio di Andrew (e qui pensò bene di mitigare un po’ quello che lui le aveva raccontato) con la Jordan. Janet ascoltava in silenzio, con una freddezza quasi glaciale. Ogni tanto scuoteva la testa e alzava gli occhi al cielo in segno di disapprovazione di quello che stava sentendo, e quando Elaine finì il racconto, si alzò e si diresse alla finestra che dava sul fazzoletto di prato davanti alla casa di Elaine. Gli occhi non erano più umidi, ora, e osservavano l’esterno della casa vagando velocemente da un angolo all’altro. 249


“Hai già messo i narcisi, vedo…” disse distrattamente. Elaine si alzò e la raggiunse. “Non far finta di voler parlare d’altro, Janet” replicò prendendola per le spalle. Janet si lasciò abbracciare, ma rimase molto rigida. “Non è che voglio parlare d’altro. É che non so proprio cosa dire. Non so nemmeno cosa sto provando in questo momento” disse scuotendo la testa. ”Sai, non so se è rabbia. No, no, non lo è. É… delusione, ecco. Sì, una profonda delusione. Così profonda che sembra…” La voce di Janet tremò. “…che ti abbiano messo un coltello nella pancia?” finì la frase Elaine, ricordando quello che aveva provato lei quando si era trovata nella stessa situazione. “Sì. Esattamente così. E non mi viene nemmeno da piangere” confermò Janet, ”non mi viene nemmeno da andarlo a prendere e spaccargli la faccia. Oppure farlo con lei. Sai qual è l’unica cosa che ho pensato mentre parlavi, prima?” “Cosa?” “Che non meritano nemmeno una lacrima: lei e la sua stronzaggine, e lui e la sua debolezza. Mi ha deluso, ecco. Mi ha profondamente deluso. Fosse stata un’altra donna, avrei magari potuto cercare di capire. Sai, un momento di stanchezza, un periodo di confusione, qualsiasi cosa. Ma con lei no. Con la sua ex-fidanzata che sembrava odiare, no. É 250


inammissibile, e non so nemmeno come comportarmi, ora.” “Beh, Janet. Tu lo sai che queste cose non vanno prese di petto, vero? vanno lasciate decantare qualche giorno, in modo che tutti i pensieri vadano al posto giusto e ritorni tutto un po’ più chiaro…”consigliò Elaine. “Sì, lo so. Non so quante volte l’ho detto io a te.” “Vero.” Elaine sospinse l’amica fino al divano, dove la fece risedere e le versò un’altra tazza di tè. “É tutto così assurdo” disse porgendogliela. “Assolutamente. Ma la cosa più assurda è che non sto reagendo in nessun modo… mi sembra quasi di non capire più nulla.” “Datti qualche ora di tempo, poi vedi se non reagirai! Lo sai…” Janet bevve il tè, posò la tazza e poi guardò l’amica dritta negli occhi. “E adesso? Cosa faccio?” “Di certo niente per stasera. Vai a casa e cerchi di essere abbastanza forte da sembrare normale e passare una serata normale. Accusa stanchezza e vai a letto presto, magari, così intanto rifletti.” “Io non voglio più dormire con lui!” si lamentò animatamente Janet, riacquistando quel po’ di grinta che le era innata. “Piantala! Ti ho detto che devi essere normale. Ci pensi e poi domani ne riparliamo. E poi ti dirò: se conosco bene Andrew, starà cercando di affrontare lo stesso argomento con Kevin, quindi domani mattina, quando ci vedremo a scuola, potremo fare 251


il punto della situazione e trovare una linea di comportamento adeguata. Stasera devi solo pensare a una cosa. Anzi, d’ora in poi dovrai pensare solo a questo: a tuo figlio. Mi sembra di non dirti niente di nuovo, vero?” “No, hai ragione” ammise Janet. Stettero un po’ in silenzio, ognuna immersa nei propri pensieri. “Perché non si può essere sempre tutti felici?” chiese Janet. Elaine accennò a una sommessa risatina. “Non ci crederai, ma è la stessa domanda che ho fatto io, parlando con Andrew. E non credo ci siano risposte… cosa confermata da uno che è stato sacerdote per anni…” le confessò Elaine. “Ci credo. E no, no. Davvero non ci sono.”

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“Non posso credere che Nicholas abbia accettato di andare a dormire da Josh, lasciando il suo nuovo amico Burp” disse Andrew, lanciando un pezzetto di prosciutto al cane. Lui ed Elaine erano a tavola, avevano finito di cenare e parlavano delle ultime ore. Burp, seduto in posizione strategica, guardava prima l’uno e poi l’altra, ma soprattutto afferrava al volo quello che gli arrivava di commestibile. “Piantala, Andrew! Ha già mangiato!” lo redarguì Elaine. “Sembrerebbe quasi di no” replicò Andrew ridendo. “E poi, poverino, è denutrito, per il momento. Avrà fatto non so quanto tempo in giro da solo…” “…sì, sì, in giro da solo per la Scozia, al freddo, senza cibo e un posto dove dormire…” finì la frase Elaine. “Guarda che ormai non mi devi più convincere di niente.” “Ok. Allora? Nick? Mi sembravi stupita pure tu, quando Janet gli ha proposto di andare da loro, prima.” “Penso sia stata una mossa in extremis per avere qualcuno in più in casa di cui occuparsi. Poi Burp riempirà di certo tutte le loro conversazioni. 253


Conosco Janet. Quando deve elaborare qualcosa, si chiude nel mutismo più assoluto” spiegò Elaine. “Ma come ti sembra l’abbia presa?” chiese Andrew. “Di certo non bene. É ancora troppo incredula. Quando realizzerà bene tutto, allora sì che sarà un bel casino. Tu hai parlato con Kevin?” “Beh, non è stato facile trovare il modo per affrontare il discorso. E quando mi sono deciso a farlo, prima di tutto è rimasto senza parole, poi si è un po’ arrampicato sugli specchi, prima cercando di negare, poi di minimizzare. Poi si è decisamente incazzato” raccontò Andrew. “Incazzato? Veramente?” “Sì. Non trovo un’altra parola per descrivere una persona che cambia immediatamente atteggiamento nei confronti di un’altra. Mi ha accusato di non essermi fatto i cazzi miei e mi ha pregato di pensare ai fatti miei che ne ho già di che preoccuparmi. Ma tutto ciò perché il suo stupore iniziale non era altro che una finta: Margareth gli aveva già parlato della nostra conversazione, e lui aspettava solo che io trovassi il coraggio e la faccia di merda (testuali parole) di parlare anche con lui. E, da ultimo, mi ha rinfacciato che non sono certo nella posizione per fare prediche o dare buoni consigli. Questo è quanto.” La faccia di Andrew era molto sconsolata. Era chiaro che non si era aspettato un tale atteggiamento di chiusura totale. “Però! Complimenti vivissimi a Margareth Jordan e alla sua capacità di rincoglionire gli uomini!” disse con un tono molto amaro Elaine. 254


“Purtroppo credo che tu abbia ragione. Comunque, Kevin ha eretto quel famoso muro che temevo, e, credimi, non penso di poter fare più niente, per ora, perché a questo punto potrei solo peggiorare le cose. Spero solo che, con anche Nick in giro per casa, non gli venga in mente di affrontare l’argomento con Janet proprio stasera.” “A questo punto non so proprio cosa pensare” ammise Elaine. Seguì un lungo silenzio, riempito solo dai guaiti di Burp in cerca di altro cibo. “Domani mattina quando Janet verrà nel mio ufficio vedremo cosa fare” decise Elaine, lanciando nel frattempo un’occhiataccia a Andrew che stava dando un’altra fetta di prosciutto a Burp. “Ora è tutto in mano loro. Noi dobbiamo solo essere spettatori esterni, cercando di aiutare là dove ci verrà chiesto” consigliò Andrew, facendo intanto una faccia da ‘abbi pietà di questo povero animale’. “Sicuramente” approvò Elaine, alzandosi e cominciando a riordinare la cucina, evitando così che quella pattumiera di cane che si erano tirati in casa mendicasse altro cibo. “Lascia che faccia io, Lennie. Mi sembri un po’ stanca. Vai a sdraiarti sul divano, dai!” si offrì Andrew. “Ma figurati, non sono stanca! Certo è stato un week end intenso, eh?” “Altroché!” confermò Andrew mettendo i piatti in lavastoviglie.

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“E venerdì sera da Padre James com’è andata? Tra una cosa e l’altra non mi hai ancora detto niente” gli chiese Elaine. “Bene, direi. Non passa una settimana senza che il caro Arcivescovo chieda di me e di te, la mia pratica è sollecitata continuamente con chi di dovere, e sembrerebbe che i pettegolezzi, poco alla volta, stiano scemando” spiegò Andrew. “Ottimo. Questo resoconto sarà stato fatto nei primi cinque minuti, dopo di che vi sarete fatti la vostra dose di scotch, ti avrà scroccato ‘l’unica sigaretta della settimana’ e avrete cominciato voi a spettegolare sulle ultime vicende di Broxburn, immagino” disse Elaine guardandolo divertita, ben sapendo che questi colloqui settimanali con Padre James altro non erano che incontri tra amici di vecchia data. Il compito di Padre James di ‘sorvegliare’ Andrew non era mai stato assolto pienamente: la fiducia che avevano l’uno nell’altro faceva sì che non ce ne fosse bisogno. “Immagini bene” confermò Andrew strizzando un occhio a Elaine e ridacchiando. “Che impuniti…” disse Elaine ridendo e tirando ad Andrew lo strofinaccio dei piatti. Lo mancò, perché lui, afferrando al volo Burp, si diresse velocemente verso la sala. Li raggiunse poco dopo e si fermò a guardare la scena che le si presentava davanti agli occhi: Andrew spalmato sul divano con un bicchiere di scotch in mano e ai suoi piedi, occupando ciò che 256


rimaneva del divano, Burp stava già russando sonoramente. “Spodestata senza pietà da un essere peloso” costatò Elaine sorridendo. “Ah no!” disse Andrew dando un buffetto al cane che scese e a malavoglia e raggiunse la sua cuccia. ”Magari tra qualche mese, quando nascerà, ti farò spodestare da un’altra donna, ma da un cane proprio no!” Le tese le braccia ed Elaine si accoccolò vicino a lui, prendendogli il bicchiere e facendo un sorso. “Elaine, non vorrei che nostra figlia sentisse il bisogno di iscriversi agli Alcolisti Anonimi appena nata” le disse riprendendo il bicchiere. “Esagerato! Martedì, quando mi faranno l’ecografia e la potrai guardare, vedrai come sarà in salute!” Andrew rimase a guardarla per un attimo, con un leggero e appena accennato sorriso. “Beh? Che c’è?” chiese Elaine. Ma il silenzio durò ancora qualche secondo. “Mi sembra ancora tutto così… strano. No. Non è la parola giusta, aspetta. Incredibile. Ecco, sì. Incredibile è la parola giusta. Sai, sembra tutto così cambiato, da un po’ di tempo. Forse anche a te sembrerà così” iniziò Andrew. “Non credo…” “Aspetta. Non ho finito.” “Ok. Vai, allora.” “Vedi, soltanto quattro mesi fa, durante le vacanze di Natale, tutto aveva l’aria di essere molto più… eccitante. Ci vedevamo di nascosto, facevamo l’amore molto spesso… a letto, nel tuo ufficio, in 257


cucina… Telefonate e messaggi ‘roventi’ nel mezzo della notte… Si usciva a cena… Ora sembra essere tutto caduto nella routine e nella regolarità: ci vediamo quando vogliamo, dormiamo insieme quando vogliamo, abbiamo un bambino e ora anche un cane sempre tra i piedi, ci telefoniamo per sapere chi porterà Nicholas a nuoto o per sapere se manca qualcosa nel frigorifero.” Mentre parlava, Andrew avvolgeva Elaine con le braccia e le appoggiava la guancia sulla testa, a volte inspirando più profondamente per sentire il profumo dei suoi capelli. Elaine, con gli occhi chiusi, sorrideva. “Da qualche sera, appena tocchiamo il letto ci addormentiamo secchi, e non so chi comincia prima a russare.” Elaine sogghignò sussurrando un ‘Tu, naturalmente’. “Quindi, sembra essere diventato tutto molto banale e scontato. Ma non è così. Non è proprio così. Perché se prima ti amavo, ora ci sono momenti che quasi mi sento soffocare da questo amore. Mi riempie completamente il petto, tanto da non avere più il posto per l’aria che respiro. Sapere che avrò una figlia nostra mi riempie di uno stupore che credo non proverei nemmeno davanti al più grande dei miracoli. E anche se ho ancora molte cose da concludere e definire, non ti deluderò, Elaine, credimi. Tutto andrà a posto nel migliore dei modi, non dubitare mai di me.”

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Elaine non cambiò posizione, solo accentuò un po’ di più il sorriso che lui non poteva vedere, ma che sicuramente intuì nel tono con cui Elaine parlò. “Ti credo. E non dubiterò di te. Tu cominci a russare per primo, e per il momento niente mi sembra banale e scontato. Mi sembra tutto fantastico, ad essere sincera.” “Davvero?” “Davvero, parola di scout” disse Elaine sganciandosi da Andrew e mettendosi seduta con una mano sul cuore. “Meno male. E allora… se io ti proponessi un viaggio a Dingwall, cosa ne diresti? Questo weekend, mentre Nicholas è con Christopher.” Elaine stava già per ribattere, ma Andrew la fermò. “Ti spiego: non ti sto proponendo di presentarti subito a casa dei miei come la mia fidanzata, e incinta per giunta… hihihi!” “Ci mancherebbe anche, razza di scemo!” “Appunto. Ho parlato con Mary, ieri. Invece di andare dai miei, ci potremmo fermare da lei a dormire. Io tasterei il terreno con i miei genitori e vediamo come va la cosa” propose infine. “E se la… ‘cosa’… va bene? Mi tiri fuori dal cappello come i maghi col coniglio?” chiese Elaine, le cui sopracciglia avevano raggiunto altezze vertiginose dallo stupore. Sapeva che per Andrew il pensiero di parlare di tutto questo a sua madre era il problema maggiore di tutti, e questa soluzione le sembrava un po’ troppo semplicistica. 259


“Senti Lennie, le cose stanno così e non si possono certo cambiare. Non posso dire a nostra figlia ‘scusa, dovresti aspettare un annetto o due a uscire dalla pancia di tua madre, affinché la mia si faccia una ragione della tua venuta al mondo’, ti pare?” “Certo che no!” “E allora è così. Mary sarebbe felice di ospitarci, e dice che lo sarebbe stato anche Angus, quindi, andiamo e poi sarà come Dio vorrà.” Silenzio. Sbuffata di Elaine. Alzata di sopracciglia, questa volta di Andrew. Lungo sguardo perplesso di Elaine. Finalmente uno dei due iniziò a parlare. “É un bel viaggetto, non credi?” Elaine “Infatti. Tanto per uscire un po’ dalla routine.” Andrew. “O per pararti i colpi.“ E. “Forse anche quello” A. “Mi stancherei… Non ho più vent’anni e sono incinta.” E. “Anche io. I vent’anni, intendo” A. “Tu poi lunedì te ne puoi stare a letto quanto vuoi” Elaine. “Oh, piantala! Anche tu lo puoi fare. Sai bene che a scuola se la cavano anche senza di te. Venerdì avvisi che lunedì ti presenterai nel pomeriggio. Hanno fatto due settimane senza di te e la scuola non è né crollata né bruciata” Andrew. “E Burp?” Elaine. “Viene con noi o va con Nicholas e suo padre” Andrew. 260


Sonora risata. Elaine. “Ok, viene con noi. Le Highlands sono un bel posto dove portare un cane, c’è un sacco di spazio per fare cacca-pipì.” Andrew. “Va bene. Ma ad un patto.” “Quale? Patto, hai detto, non ricatto, bada bene.” “Infatti. Patto. Non dovrai costringere i tuoi a vedermi. Non mi offenderò, capirò e me ne tornerò a Broxburn senza traumi, credimi.” “Promesso. Ma l’avevo già deciso senza che tu me lo chiedessi. Ho ancora un cervello funzionante, nonostante il caos in cui vive al momento.” “Ok. Allora va bene. Sono davvero contenta di rivedere Mary. E le Highlands, naturalmente.” “Ooooh, e anche questa è fatta! Ora: possiamo approfittare del fatto che siamo soli, e andare di corsa a letto, giusto per riuscire a fare qualcosa prima di iniziare a russare? Tra parentesi: non sono certo di essere il primo a russare; da quando sei incinta, tu dormi come un sasso, ti sveglierebbe soltanto un terremoto” disse infine Andrew alzandosi, tappando le proteste di Elaine con un bacio profondo e impetuoso. “Bacio da Vacanze di Natale, McPherson…” “Ah ah ah… cosa fai adesso? Hai deciso di catalogarli?” chiese Andrew, continuando a mordicchiarle le labbra, spingendola verso la camera ed entrando senza accendere la luce. “Mmmmh, sì. Quasi quasi lo faccio. Bacio da Vacanze di Natale… Bacio Distratto… Bacio Dunkeldiano…” 261


“Bacio Dunkeldiano???” chiese Andrew senza interrompere un difficoltoso lavorio sui gancetti del reggiseno di Elaine. “Già. Più ci si addentra nelle Highlands, più diventi irruente e passionale, non ti sei accorto? Una benedizione, quella locanda…” “Una benedizione il prossimo viaggio a Dingwall, allora…” Nel momento stesso in cui Andrew fece adagiare Elaine sul letto, un guaito spezzò l’incantesimo e un grido ruppe la quiete serale della casa. “Burp! Fuori!” Elaine rise di gusto: forse non era più frizzante come nelle vacanze di Natale, ma di certo era davvero molto, molto entusiasmante, la sua vita con Andrew.

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Erano arrivati a Dingwall appena passato il mezzogiorno, dopo essere partiti da Broxburn praticamente all’alba. Si erano sistemati da Mary e avevano fatto un pranzo veloce. Ora Andrew era andato dai genitori, lasciando Mary ed Elaine a chiacchierare tranquille nel salotto di casa Finley. I figli di Mary, ormai grandi, compreso Brian tornato dall’università di Aberdeen per stare un paio di giorni con Andrew, erano impegnati con gli amici, e in casa regnava una serena pace. Andrew era uscito visibilmente teso per il colloquio che avrebbe dovuto affrontare di lì a poco con i suoi, ma ben determinato, e soprattutto munito dell’ecografia fatta da Elaine il martedì di quella settimana, quell’ecografia a cui aveva assistito di persona e che l’aveva emozionato moltissimo: certo, le immagini non erano nitidissime, ma la sagoma della minuscola bimba si vedeva chiaramente e, soprattutto, i suoi velocissimi battiti del cuore lo avevano riempito di stupore puro. Naturalmente c’era stata anche la conferma che fosse femmina. 263


Questo stava raccontando Elaine a Mary, con un radioso sorriso sulle labbra. Incontrare di nuovo la moglie di Angus era stata una rivelazione: Elaine aveva avuto solo un paio di incontri con lei: quando l’aveva conosciuta durante il primo viaggio a Dingwall con Andrew, e poi nella purtroppo tragica occasione del funerale del marito. Eppure, appena si videro, fu come ritrovare un’amica di vecchia data, e le loro chiacchiere iniziarono con molta naturalezza e spontaneità. Mary era sempre stata una persona capace di trasmettere serenità, in qualsiasi momento, e il tempo e le naturali difficoltà del dover crescere due figli da sola non l’avevano cambiata. “Sai Elaine” stava dicendo, “non so se Andrew te l’abbia mai detto… anzi, credo di no se lo conosco bene… ma negli ultimi anni siamo stati perennemente in contatto, io e lui; soprattutto negli ultimi mesi, da quando sei tornata nella sua vita. E ti prego di non esserne gelosa!” “Assolutamente no, Mary! Ti dirò, avevo questo sospetto. Lui fa sempre il duro, ma credo che da qualche parte avesse bisogno di sfogare tutte le tensioni degli ultimi avvenimenti che sono stati a dir poco incalzanti! E ho sempre pensato che lo facesse con te. Ti nomina spesso… e sapessi quanto ne sono felice!” la rassicurò Elaine. “Sì. É dal giorno della morte di Angus che lui è diventato il mio… beh, non saprei nemmeno che termine usare, ma direi che ‘sostegno’ è quello più appropriato. I primi tempi era una cosa un po’ univoca, ero solo io ad avere bisogno di lui. Poi i 264


ruoli si sono gradualmente modificati. Penso di essere l’unica vera custode dei cambiamenti spirituali di Andrew, e ne venivo a conoscenza nel momento stesso in cui succedevano, credo” disse Mary, confermando quello che Elaine aveva sempre sospettato, essendosi accorta di quanto affetto e attenzione dimostrasse Andrew quando parlava dell’amica. “Sai, voglio essere schietta con te” continuò Mary. “Credo che Andrew al momento sia un po’ in accumulo di tensione, ma se la sta cavando bene. Magari lo stai vedendo un po’ strano, ma non sei tu la causa di tutto questo. Io credo che quello che provi per te sia assolutamente sincero, le sue scelte sono state ben ponderate e le sue decisioni determinate.” “Mary, non preoccuparti. Lo so” disse Elaine. “Mentre eri in coma, Andrew era disperato, completamente perduto. Avrei voluto prendere un aereo e arrivare il più velocemente possibile a Edimburgo, ma non potevo lasciare soli i ragazzi. O meglio, avrei potuto… ma anche se sono grandi ne sento sempre molto la responsabilità. Ma l’avrei fatto: Andrew era veramente sull’orlo di un preoccupante cedimento, sia fisico che spirituale. Aveva appena ottenuto lo scioglimento dei vincoli che lo tenevano lontano da te, e la casuale somiglianza del tuo incidente con quello di Angus l’avevano fatto davvero sbandare paurosamente. Io credo che non sia stressato tanto per il mese di ritiro, il cambiamento dello stile di vita o quant’altro. Ciò che lo ha fatto arrivare a questo 265


punto quasi di rottura è stata la paura di perderti. Il terrore di perderti, per essere precisi. Però oggi ho potuto vedere che le cose stanno migliorando.” “Sì” iniziò Elaine, “sono perfettamente consapevole di tutto quello che mi hai detto, Mary. Infatti quello su cui sto ‘lavorando’ molto in questo periodo è il rassicurarlo continuamente che va tutto bene, sono qui e sono certa che Dio non lo metterà più alla prova, per il momento. Io so, non posso spiegarti come lo so, ma so che tutto si sistemerà nel migliore dei modi. Io lo… vedo” le rivelò poi. “Già. Mi ha raccontato di questo aspetto curioso che ha preso la tua mente. E dice che ne è affascinato e, e qui devo dargli piena ragione, trasmetti qualcosa di diverso. É assolutamente vero!” dichiarò Mary. “Non so cosa sia, Mary, non lo so proprio. Forse la botta mi ha rincretinito” scherzò Elaine, “ma percepisco le cose come ad un livello superiore. E sento una pace, dentro, che nemmeno ti potresti immaginare!” “Che bello!” esclamò Mary. “Sì, molto!” confermò Elaine. Poi cambiò argomento. “Dimmi una cosa, Mary. Tu che conosci bene la signora McPherson, come lo vedi, questo colloquio con Andrew?” Mary sospirò, incerta su come affrontare la questione. “Devo essere sincera, Elaine. Heather… la signora McPherson, ha fatto fatica ad accettare la rinuncia 266


ai voti di Andrew. Nel periodo di ritiro di suo figlio era venuta spesso da me” disse Mary. “Ma sa di me… almeno così mi ha detto lui.” “Certo che sa di te, e si ricorda anche benissimo di te. Ma sai, quassù, nelle Highlands, hanno tutti la mentalità un po’ chiusa, molto tradizionalista, direi quasi un po’ puritana. Per quanto tu sia sempre piaciuta a Heather, sei comunque una donna divorziata, con un figlio, che ha portato via Andrew dal sacerdozio, cosa che la rendeva molto orgogliosa. E ora sei pure incinta… non è facile Elaine, mettiti nei suoi panni per un momento” le disse Mary. “Lo so, lo capisco. Infatti ho accettato di venire a Dingwall con Andrew, ma con la promessa che non fosse imposta la mia presenza a casa sua. Sai, anche io con mia madre dovrò andare cauta. Mio papà è già informato di tutto, e dopo un primo naturale piccolo choc, è davvero felice per me. Con mia mamma, che ha un carattere molto ansioso, ci vorrà più tatto e diplomazia. Sono cose che bisogna avere il tempo di elaborare, nella calma, e raggiungere poco a poco la consapevolezza che non è un colpo di testa. Ma questo lo dovremo dimostrare noi, coi fatti concreti.” “Esatto” confermò Mary, “quindi tornando alla tua domanda iniziale ti dico: no, non sarà per niente facile, e ho la certezza che Andrew tornerà scornato da questo colloquio. E tieni conto anche della sorella Ann, che non è molto diversa dalla madre.” L’alzata al cielo degli occhi di Mary spiegò molto più delle parole. 267


“Ma” continuò, “abbiamo dalla nostra parte il signor McPherson che, per quanti acciacchi possa avere e per quanto poco parli, quando prende una posizione non la molla più!” “Ah!” rise Elaine, “Un po’ come il signor Kincaid di Ashlington, Northumberland!” disse riferendosi ironicamente al padre. “Presumo di sì! Una volta partito Andrew, ha passato una vita in un gineceo: la moglie, la figlia e poi due nipoti femmine! Sapessi come adorava giocare con i miei due maschi, quando erano più piccoli!” disse Mary unendosi alle risate di Elaine. “Vabbè, che ti devo dire, Mary? Attendiamo con fiducia il ritorno di Andrew” concluse Elaine. “Non si può far altro. O forse un té?” propose Mary alzandosi. “Uh, quello sempre!” accettò Elaine, alzandosi e entrando in cucina con lei. Era una giornata buia e piovosa, uno di quei giorni in cui la primavera sembra spazzata via da uno spirito maligno che sembra divertirsi sfogando le sue ire sulla natura, togliendole colori e profumi. Accesero la luce e Mary mise il bollitore sul fuoco e tazze, zuccheriera, latte e biscotti sul tavolo. “E la tua amica Janet, Mary? Scusami, ma so anche questo… Più o meno, insomma: so che siete preoccupati per la sua situazione familiare.” Elaine sorrise. “Sai, Mary? Stiamo chiacchierando da un’ora e abbiamo parlato solo di situazioni caotiche. Mi chiedo come riusciamo a stare tranquille davanti ad un tè caldo e a ridere comunque.” 268


“Beh, se non si fa così…” accennò Mary. “Oh, lo so bene! Beh, Janet è ancora in sospeso. É sempre stata veloce nel prendere decisioni, ma in questo caso, e non so perché, si definisce ‘in attesa degli eventi’. É stata un po’ criptica con me, questa settimana, ma mi ha chiesto di darle fiducia e di attendere. E io farò così. So che quando prenderà una posizione e deciderà come agire non la smuoverà nessuno.” “Speriamo! Certo che ha ragione, però, Andrew…” “Non sempre, Mary. A volte pontifica un po’ troppo… vecchio retaggio del sacerdozio, credo” la interruppe Elaine ridacchiando. “Ma dimmi su cosa credi abbia ragione.” “Su tutta questa serie di situazioni in sospeso che gli mettono ansia” disse Mary. “Se si concentrasse un po’ di più sulle certezze della sua vita e godesse la bellezza di quello che siamo ora io e lui, forse sarebbe un po’ meno ansiolitico” ribadì Elaine, e Mary avvertì una piccola e umana nota di risentimento nel suono delle sue parole. “Siamo insieme dopo anni di attesa” continuò Elaine sorseggiando il tè, “siamo davvero felici, mio figlio l’adora e sta per nascere la sua, ha il lavoro che ha sempre desiderato. Mi chiedo cosa vada cercando. Non si può sempre salvare l’intera umanità.” In quel momento squillò il suo cellulare. Era Andrew. “Ciao! Allora, tutto ok?” trillò Elaine, subito gelata dalle parole di Andrew. 269


“Metti qualcosa addosso, Elaine. Tra cinque minuti ti passo a prendere. Ho bisogno di parlare solo con te.â€? La sua voce non prometteva un granchĂŠ.

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Elaine ed Andrew erano fermi in auto, sotto una battente pioggia, davanti ad una sterminata distesa di erica fiorita che con il rosa e il bianco spezzava il grigiore che sembrava uniformare terra e cielo in un tutt’uno. Era un luogo sperduto, ma evidentemente aveva un significato particolare per Andrew, che vi si era diretto senza indugio dopo aver fatto salire Elaine in macchina. Al di là di un veloce bacio che si erano dati, nessuno aveva ancora parlato. Con la coda dell’occhio Elaine, durante il tragitto, aveva avvertito la rabbia di Andrew e aveva intravisto la sua mascella contrarsi più volte. Era molto dispiaciuta e sapeva già cosa, prima o poi, avrebbe cominciato a raccontare Andrew. Ancora lunghi silenzi rimasero in sospeso tra loro. Elaine si mosse: girò la schiena contro la portiera dell’auto e incrociò le gambe sul sedile, posandosi le mani sulla pancia che cominciava ad arrotondarsi, lasciando trasparire ciò che conteneva. “Su, avanti, parla” lo incitò alla fine, con calma, Elaine.

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Lui si voltò verso di lei ed Elaine, guardandolo, non seppe decidere cosa ci fosse nei suoi occhi: sembrava un vulcano che stesse per eruttare. “Sono stato invitato a lasciare la casa dove sono nato, Elaine” disse. Lei annuì, facendogli capire di continuare. “Ho lasciato una madre in lacrime, una sorella che non ha voluto nemmeno sentire quello che avevo da raccontare, e un padre che non sapeva più cosa dire e come dirlo mentre mi accompagnava fuori. E questo è tutto.” “E quindi?” chiese Elaine, “E quindi cosa? Me ne sono andato, dopo che mio padre mi ha abbracciato facendomi capire di avergli lasciato sulle spalle il più grosso casino della sua vita. E quindi come vuoi che mi senta? Una merda” rispose lui con molta rabbia, girando la faccia verso il finestrino. “Ok, grazie” gli disse Elaine con freddezza. Andrew riportò gli occhi su di lei, guardandola senza capire. “Grazie di cosa?” chiese. “Di sentirti una merda. Quindi, aver preso la decisione di lasciare il sacerdozio per me che mi hai sempre amata, avere un figlio nostro che hai sempre sognato, ritornare ad insegnare in una università che è sempre stata la tua più grande ambizione, scrivere e creare dei libri tuoi che vengono comprati ed apprezzati... tutto ciò è una merda. Ripeto: ok, grazie.”

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“Senti Elaine. Non sparare parole a vanvera, per favore. É la mia famiglia, cazzo! E mi hanno voltato le spalle, senza nemmeno sentire le mie ragioni!” “No. Mi spiace, Andrew, è qui che ti sbagli, non è la tua famiglia. Non più. La tua famiglia ora siamo io, Lizzie che sta per nascere e in parte anche Nicholas. Questa, è la tua famiglia, ora.” Andrew rimase un po’ interdetto. “I figli si mettono al mondo già sapendo che prima o poi prenderanno la loro strada” continuò Elaine, “una madre deve solo fare il meglio che può per orientarlo su quella giusta… e poi lasciarlo andare. E così avrà fatto sicuramente tua madre. Ora deve solo rendersi conto che la prima strada che hai imboccato, e che a lei piaceva tanto, forse non era quella giusta per te, e devi darle il tempo di farsi piacere quella nuova che hai deciso di prendere.” “Non lo farà mai, ha detto” affermò con veemenza Andrew. “Beh, non è vero, se è la donna che ho conosciuto e se ti ama come ho capito.” “E mia sorella, allora?” “Oh! Tua sorella lo fa solo perché pensa così di attutire lo choc e il dolore di tua madre, fidati. Se no, con tuo padre dalla tua parte, sarebbe stato un po’ come metterla con le spalle al muro. Già era stato difficile accettare la tua rinuncia ai voti, ora una donna e un figlio in arrivo… dai, Andrew, su, dalle tempo!!” “Tempo, tempo, tempo! Sempre il maledetto tempo! Non c’è tempo!” esclamò Andrew alzando la voce. 273


“Per cosa non c’è tempo, me lo vuoi dire Andrew, accidenti?” chiese Elaine alzando i toni a sua volta. “Per essere felici!” rispose lui, con ferma convinzione. A questo punto, Elaine si mise in ginocchio sul sedile, si sporse verso di lui e lo prese per le spalle, inchiodando lo sguardo nel suo. “E io chi sono, Andrew? E questa, chi è?” gli domandò prendendogli una mano e mettendola sulla rotondità del suo ventre “Chi diavolo siamo noi? Non è che, per caso, siamo noi la tua felicità? Pensaci bene e poi, per piacere, dammi una risposta sicura!” Andrew si sentì colpito come da una scossa elettrica. Gli occhi che solo un momento prima sembravano appannati dalla rabbia e dalla delusione di essere stato respinto dalla madre, ritornarono all’improvviso lucidi, e guardarono Elaine quasi con dolore. “Dio, che stupido sono! Perdonami, Elaine” la pregò, abbracciandola stretta, “certo che siete voi la mia felicità! Perdonami!” Elaine ricambiò l’abbraccio, mettendo finalmente da parte i toni duri che aveva usato con lui solo per riscuoterlo dal momentaneo torpore emotivo in cui era caduto. “Pensavo ti fossi trasformato in un mostro sconosciuto…” disse ridacchiando contro il suo collo, “va’ che non ti lascio più venire, nelle Highlands, se ti fanno questo effetto!” 274


“Scusami, Lennie” disse lui finalmente sorridendo un po’, “ma sono stati davvero dei brutti momenti, credimi.” “Lo posso immaginare… Le madri vorrebbero sempre figli perfetti. Anche la mia, quando le avevo detto del divorzio, aveva sragionato per un po’, ma poi tutto si aggiusta. Perché poi, le madri, accettano anche sempre tutto, dei propri figli.” “Col tempo…” disse Andrew alzando gli occhi al cielo. “Sì, Andrew, il maledetto tempo. Noi non dobbiamo dimenticare di vivere la nostra vita: il tempo ora per noi dovrà solo essere quello che passeremo insieme ad aspettare che nostra figlia nasca. E poi, chissà… i bambini fanno sempre dei grossi miracoli, senza nemmeno saperlo.” “Hai ragione. Come sempre, ultimamente” ammise Andrew. “Stai tranquillo, calmati, fatti passare le ansie e le preoccupazioni. Vivi sereno con me… Oh, guarda! Ha anche smesso di piovere!” E in effetti, cosa tipicamente scozzese, le nubi si erano aperte e i raggi del sole illuminavano l’infinita distesa di erica bagnata, che ora sembrava incastonata di diamanti. “Senti… ma dove diavolo siamo, qui?” chiese Elaine portando la conversazione su argomenti un po’ più futili. “Qui venivamo sempre io e mio padre quando volevamo fare discorsi importanti, con tranquillità. É qui che gli avevo detto per la prima volta che volevo diventare sacerdote” spiegò Andrew. 275


“É veramente un bel posto, pieno di pace” confermò Elaine. Poi videro un auto arrivare verso di loro, rompendo l’isolamento. “O santo Dio” mormorò Andrew. “Chi è?” chiese Elaine un po’ preoccupata. “É mio padre!” esclamò Andrew stupito. L’auto si fermò, un po’ scostata dalla loro. Ne scese un uomo di cui Elaine si ricordò bene, solo un po’ più invecchiato e un po’ più curvo. Mise le mani nelle tasche del giubbotto, e rimase in attesa. “Vai!” disse Elaine ad Andrew, incitandolo e spingendolo fuori dalla loro auto. Rimase seduta al suo posto e li guardò parlare per alcuni minuti. Poi Andrew si voltò verso di lei e le fece cenno di raggiungerli. Quando si trovò davanti al signor McPherson, Elaine si aprì in un sorriso luminoso. “Signora Kincaid… mi fa piacere rivederla” disse in un modo un po’ formale il padre di Andrew. “Signor McPherson… anche io sono contenta di rivederla. Mi può ancora chiamare Elaine, però!” Entrambi erano un po’ titubanti, ma quando Elaine allungò la mano, il signor McPherson gliela prese solidamente con entrambe le sue, negando il distacco che aveva dimostrato con le parole. “Signora Kincaid… Elaine… mi dispiace che…” Elaine stava per intervenire, ma Andrew la fermò con uno sguardo e un impercettibile movimento della testa. 276


“Mi dispiace per quello che le avrà già sicuramente riferito mio figlio. Ma sono sicuro che lei capirà che non è assolutamente facile. E per il momento io non ho potuto far altro che dissentire con tutto ciò che hanno detto mia moglie e mia figlia.” Il signor McPherson sembrava essere piuttosto provato e in difficoltà, ma ben deciso a finire il suo discorso, intercalato da diversi tentativi di schiarire la voce, per farla sembrare più sicura. “Sono andato subito a casa di Mary, ma quando mi ha detto che Andrew era passato a prenderla e che eravate fuori, ho subito capito che vi avrei trovato qui.” Andrew e suo padre si scambiarono un’occhiata complice. “Io… ehm…” continuò, “io volevo solo dire a mio figlio… in realtà ad entrambi… che, pur essendo anche io un po’ confuso, ecco… io spero che con lei mio figlio possa trovare quella serenità che sapevo perduta da un po’ di tempo. In lei e nella figlia che state per avere, naturalmente.” Il lungo respiro che tirò fu il segnale che il breve ma difficilissimo discorso era finito. Il signor McPherson puntò gli occhi dritti in quelli di Elaine, iniziando un altro tipo di conversazione, muta, più profonda, più intima, tra lui e la donna a cui stava affidando la felicità del figlio. Elaine non abbassò mai lo sguardo. “Faremo del nostro meglio, signor McPherson, mi creda.” Lui rimase a guardarla, cercando di capire se fosse sincera. 277


Decise di sì. “Mi chiami Vincent, Elaine.”

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37 “Mamy, lo sai che hai una pancia davvero gigantesca?” disse Nicholas. “Ahahaha! Non hai ancora visto niente, Nick! Aspetta a fine ottobre, quando tua sorella starà per nascere, e poi mi dirai!” gli rispose Elaine. Era un pomeriggio di un caldo sabato di metà giugno, e Nicholas e la mamma erano seduti sul dondolo nel giardinetto nel retro della casa, l’uno mangiando patatine al bacon, l’altra dando un’occhiata alle prove scritte di alcuni alunni della Queen Mary’s, sui quali le avevano chiesto un parere gli insegnanti. Si era nel pieno del periodo degli esami per il diploma di educazione secondaria: molti alunni che Elaine conosceva dalla prima elementare sarebbero usciti definitivamente dalla sua scuola, prendendo la loro strada. Elaine viveva sempre questo periodo con gioia mista a malinconia, perché per lei era un po’ come staccarsi da ‘tanti figli’. E forse era anche per questo che amava molto supervisionare le loro prove scritte ed assistere agli orali. Dopo il viaggio di fine aprile a Dingwall, le cose sembravano essersi quasi sistemate del tutto. Finalmente Andrew era gradualmente guarito dalle sue innumerevoli ansie, ed era tornato ad essere 279


quell’uomo ironico, intrigante e affascinante che Elaine adorava. Si era buttato anima e corpo nella stesura del libro di testo di Storia della Riforma; molto spesso Elaine, di sera, aveva lavorato con lui, consigliandolo soprattutto sulle immagini da inserire, ed insieme erano riusciti a fare ‘davvero un ottimo lavoro’, come aveva commentato Peter Campbell dopo la lettura della prima bozza. Ora il progetto era in dirittura d’arrivo, ed ecco perché Andrew non era in giardino con loro: voleva assolutamente mettere il punto finale entro quel giorno. “Allora scoppierai!” continuò Nicholas, ridendo alla sua stessa battuta. Burp era seduto sul prato, pronto a intercettare i lanci delle patatine in sua direzione. “Oh Nick! Piantala! Come se non avessi mai visto una donna incinta!” finse di offendersi Elaine. “Dai, mamy! Scherzavo!” Nicholas si sporse verso di lei e le strizzò una guancia. “Ahia!” esclamò Elaine ricambiando il favore “Non penserai di farlo anche a tua sorella, poi, vero?” “Nooooo! Non di certo appena nata… ma quando sarà grande di sicuro!” ridacchiò il bambino. “Si sta muovendo, adesso?” chiese poi, lanciando un’occhiata furtiva alla pancia di Elaine. “No. Credo stia dormendo. Certo, se continui a parlare con quel tono di voce...” Nicholas le mise una mano sulla pancia, ormai ben pronunciata. “Ehi Lizzie! Sveglia!” urlò, scuotendola un po’. 280


“Nick, basta!” si lamentò scherzosamente Elaine. “Vattene via e fammi finire di lavorare, per piacere! Fai qualche tiro a basket.” “Uffa, che barba! Tu lavori, Andy lavora, Josh è con Kevin…” “…e tu t’inventi qualcosa per un’oretta, fino a che arriva la zia Janet per cena. Puoi sempre dare una ripassata a scienze per la verifica di martedì…” “No, no. La so. Vado a giocare con la Play.” “Bravo ragazzo!” Già. Erano in attesa dell’arrivo di Janet… Lei e Kevin avevano deciso di prendersi un ‘periodo di riflessione’, e non abitavano più sotto lo stesso tetto. Questa soluzione era stata presa dopo pacate discussioni, e sia Janet sia Kevin si erano comportati davvero in maniera molto civile. Elaine ed Andrew non erano più intervenuti direttamente: Elaine era, come sempre, l’appoggio di Janet, e Andrew era stato ricontattato da Kevin il quale, riflettendo sulle parole un po’ troppo dure che gli aveva rivolto dopo il loro primo colloquio sullo scottante argomento, si era scusato ed aveva cercato in lui un amico con cui parlare e affrontare la situazione. Andrew sapeva che i rapporti con Margareth Jordan continuavano, ma non riusciva ancora a capire bene se ci fosse qualcosa di serio o se la vipera gli stesse costantemente montando la testa, irretendolo in ogni modo per tenerlo legato a sé. 281


Entrambi ne erano usciti cambiati: Janet si era rafforzata nella stessa misura in cui Kevin si era indebolito. Janet affrontava la sua nuova vita solitaria con determinazione: Elaine rivedeva se stessa appena dopo il divorzio da Christopher, con la differenza che Janet era molto meno stressata, non dovendo affrontare in continuazione inutili discussioni sfiancanti come aveva dovuto fare lei con l’ex marito. Kevin dimostrava di voler sempre essere comprensivo con le esigenze di Janet e del figlio e, secondo il parere di Andrew, aveva una gran paura di perderli. Nello stesso tempo non sembrava voler risolvere in alcun modo l’altra faccia della medaglia… questo continuo sdoppiarsi tra una vita e l’altra l’avevano reso un po’ meno sicuro e risoluto di quanto non fosse mai stato. ‘Ha perso le palle!’ era il ricorrente ironico commento di Janet, anche se pronunciato sempre con una profonda nota di tristezza. Il fatto che fossero comunque rimasti molto amici e che si trovassero sempre un paio di volte alla settimana per cenare insieme a Josh, faceva ben sperare che tutto potesse risolversi per il meglio. Il tempo avrebbe definito anche questa faccenda, nel bene o nel male. Già, il tempo… Il maledetto tempo che quando fai qualcosa di piacevole quasi ti sfugge di mano, mentre quando vorresti vedere la soluzione di qualche problema sembra dilatarsi all’infinito. 282


Andrew e suo padre si sentivano un paio di volte alla settimana, ma il ghiaccio in casa McPherson a Dingwall era ancora, purtroppo, un iceberg, senza segni di scioglimento. Andrew ormai sembrava accettare la cosa cosi com’era, senza più farsene un grosso cruccio. Viveva lietamente la sua vita con Elaine e Nicholas (e Burp!), chiuso molte ore nel suo nuovo studio sopra il garage, immerso nei libri e nella storia. Non ne usciva mai stanco, anzi, sempre munito di una grande vitalità e un grande entusiasmo per questo nuovo capitolo di un vecchio libro che era la sua storia personale. Da Roma, ahimè, ancora nessuna notizia sull’ espletamento della sua pratica: ma anche questo non sembrava più infastidirlo o preoccuparlo. Era come inabissato nei suoi lavori, tanto da aver anche diradato le incursioni alla Queen Mary’s per far visita a Elaine durante le pause pranzo, e le rare volte in cui era andato a recuperare Nicholas al pomeriggio non si era nemmeno accorto che erano cominciati misteriosi lavori di ristrutturazione dell’annesso dietro alle secondarie, quell’edificio per il quale Elaine aveva detto di avere in mente il progetto per un laboratorio di musica. Erano lavori molto discreti, in realtà: imbiancatura interna, ristrutturazione degli infissi e cambio dei vetri alle finestre, più un abbellimento che una vera e propria ristrutturazione: dopo una visita accurata delle autorità sanitarie, era stato dichiarato assolutamente agibile e adatto allo scopo a cui Elaine voleva destinarlo. 283


Spesso Padre James, dopo le lezioni di religione che teneva alle elementari, ci faceva veloci incursioni di controllo, mandando poi segnali di approvazione ad Elaine. Anche le chiacchierate del venerdì tra Padre James e Andrew proseguivano, ma sempre in modo molto informale… e Padre James si guardava bene dal parlargli di questi lavori, lasciandolo nell’ assoluta inconsapevolezza di quanto stava accadendo. I genitori di Elaine erano venuti in visita un paio di volte da Ashlington, e la signora Kincaid, pur accettando la nuova vita della figlia, aveva sempre trattato con un po’ di freddezza e distacco Andrew, tanto da portarlo a dichiarare che sia lui che Elaine si ritrovavano a doversi confrontare con ‘madri molto coriacee’. Ma anche questo non sembrava più essere un problema. Elaine, sotto il tepore del sole di quel pigro e lento pomeriggio, si sentiva in un assoluto stato di grazia; i profumi dei fiori e degli alberi saturavano l’aria, il dondolo si muoveva impercettibilmente e con la mente stava tornando all’unica visione ancora nitida che le fosse rimasta dal periodo del coma: il volto di quella bambina e la sua piccola mano che si tendeva verso di lei per portarla verso la luce. In sottofondo sentiva il cinguettio degli uccelli, il suono che faceva la brezza tra le fronde degli alberi, e ogni tanto la voce di Nicholas che all’interno della casa giocava con la Playstation e incitava se stesso a qualche vittoria. 284


Il suo piccolo mondo era infinito, in quel momento di pace quasi paradisiaca. Non si accorse dei passi di Andrew, ma si rese conto che lui era vicino a lei da un lieve cambiamento di luce, e dal leggero profumo del suo dopobarba. Aprì gli occhi. “Sei l’immagine della serenità, lo sai?” le disse Andrew sorridendole con dolcezza, in piedi accanto al dondolo, con il viso leggermente inclinato per cogliere ogni particolare della sua donna. “Forse perché lo sono?” ribatté Elaine ricambiando il sorriso. Finalmente lui era tornato a sorridere spesso, non solo con la bocca: le sottili rughe si erano forse un po’ accentuate negli ultimi sei mesi tanto pesanti per lui, ma ne facevano la cornice perfetta per quegli occhi in cui Elaine adorava perdersi. “Hai finito?” chiese lui. “Sì. In questi scritti di letteratura inglese i ragazzi sono andati tutti molto bene, sono davvero contenta. E tu?” Andrew fece apparire da dietro la schiena le mani che le porsero il fascicolo del suo lavoro. “Finito!” dichiarò sonoramente sedendosi accanto a lei e facendo muovere più velocemente il dondolo. “Wow! Fammi vedere!” disse Elaine prendendolo. “Fantastico! Guarda come sta bene in copertina la foto che ho scelto!” disse quasi orgogliosamente, per poi portare improvvisamente la sua espressione allo stupore puro. 285


“Ma Andrew… cos’è ‘sta cosa?… Andrew McPherson-Elaine Kincaid… ma sei impazzito? Che significa?” Sulla bozza del frontespizio, oltre al titolo e all’immagine scelta da lei, c’erano entrambi i loro nomi. “Hai contribuito anche tu alla stesura di questo libro…” le spiegò Andrew. “Assolutamente no! Io ho dedicato solo un po’ di tempo alla scelta delle immagini e alle didascalie, e basta. Ci avrò lavorato al massimo una ventina di ore. Non mi sembra il caso che tu faccia una cosa del genere e Peter non sarà d’accordo!” “No, Lennie. É qui che ti sbagli. A parte l’effettivo lavoro materiale che ci hai messo, io ritengo che mi sia stato possibile portarlo a termine così velocemente solo grazie a te. Sei tu che mi hai fatto riacquistare la fiducia in me stesso… solo un paio di mesi fa non facevo altro che piangermi addosso cercando soluzioni a problemi che dentro di me sembravano giganteschi. Ero sfibrato, sfinito, adombrato e non so quant’altro. Ma tu non hai mollato, tu hai continuato a passarmi la tua serenità, il tuo entusiasmo, la tua rinnovata vitalità, tanto da farmi tornare ad essere quello di prima” disse lui guardandola con intensità “Tu e Lizzie. Prendilo come un regalo… anni di sacerdozio mi hanno reso un po’ incapace di trovare i regali giusti per una donna, ma io credo che se accetterai questa… cosa… come la dimostrazione della mia gratitudine e del mio profondo amore, 286


beh… mi renderai davvero felice. E Peter lo sa già ed è d’accordo.” “Santo cielo” disse Elaine commossa, “io davvero non so cosa dire…” “Dì che accetti!” disse lui prendendola per le spalle e abbracciandola. “E i diritti d’autore? Sono tuoi, non miei” obiettò. Andrew le prese il viso tra le mani. “Ne facciamo una questione di soldi, o una questione di amore, Lennie?” le chiese. Elaine si rese conto che era la stessa frase detta da lei a Andrew alcuni mesi prima, e abbassò gli occhi, sorridendo. Si accoccolò contro il suo petto. “Con te è solo una questione di amore Andrew. Grazie.” “Bene, meno male. Ora: per festeggiare la fine di questa impresa, ti andrebbe domani di andare tutto il giorno al castello di Stirling, con degli ottimi panini da mangiare su un bel prato, con i nostri marmocchi?” propose lui “…visto che le previsioni del tempo danno un’ altra miracolosa giornata di sole…” aggiunse poi. “Mhm, non sarebbe una brutta idea! È un sacco di tempo che non vado a Stirling, praticamente dall’ultima volta che ci siamo stati a cena, e c’era la neve!” ricordò Elaine. “Già! E allora? Che ne dici?” “Ma dico ancora di sì, naturalmente!”

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Nessuno dei due avrebbe immaginato che la tranquilla domenica a Stirling che avevano progettato si sarebbe trasformata in una specie di riunione di famiglia allargata. Durante la cena con Janet, Andrew aveva proposto all’amica di andare con loro e Nicholas, senza pensarci due volte, aveva supplicato perché lei lo dicesse anche a Kevin e Josh: un po’ a malavoglia, ma spinta dall’entusiasmo del bambino, Janet aveva fatto una telefonata al marito, che aveva accettato. Dopo cena, poi, come tutti i sabato sera, aveva chiamato Christopher, per chiacchierare un po’ col figlio… e anche qui, senza né uno né due, con la tipica innocenza dei bambini e dopo aver saputo che il papà era arrivato con Rebecca a Edimburgo da Londra per una settimana di pausa da una tournèe, Nicholas aveva esteso l’invito anche a loro. E anche loro avevano accettato. Si sarebbero ritrovati tutti alle porte del castello di Stirling, muniti di colazione al sacco, per mezzogiorno. Quando la sera prima Elaine e Andrew si erano finalmente trovati soli sul divano della sala, si erano guardati, commentando la faccenda come 288


una ‘querelle di stato’ ma facendoci anche sopra una sonora risata: tanto ormai il danno era fatto. Così, in quel soleggiato pomeriggio a Stirling, dopo aver mangiato, il folto gruppo era sparso per il parco intorno all’imponente castello, diviso in gruppi: Andrew chiacchierava con Rebecca, lanciando ogni tanto delle occhiate perplesse ad Elaine; Nick, Josh, Kevin e Janet giocavano a pallavolo, con Burp che si infilava tra le gambe prima di uno e poi dell’altro, abbaiando come un forsennato; Elaine era sdraiata su un plaid, dormicchiando beata con le mani sulla pancia, ed era stata raggiunta da Christopher, che si era seduto accanto a lei appoggiandosi al tronco di un albero. Aprì un occhio e vide che la stava fissando. “Che c’è?” chiese. “Stai bene” rispose lui. “Sì, molto” confermò lei. “Infatti la mia non era una domanda, ma un’affermazione. Credo di non averti mai vista così bella.” “Grazie!” Gli sorrise, ma per il momento Christopher non sembrava voler aggiungere altro. Elaine allora cercò di incominciare una conversazione amichevole. “Come va la tournèe estiva?” chiese, fingendo di essere molto interessata. “Molto bene. Abbiamo fatto il pienone nelle quattro tappe al sud e tra una settimana abbiamo 289


Liverpool, Sheffield, Glasgow e Aberdeen. Perché non venite anche voi, a Glasgow?” “Non credo che Andrew voglia rimettere piede là entro breve tempo” gli disse Elaine cercando con molto tatto di rifiutare. “Veniteci senza di lui, allora. Mi farebbe davvero piacere. E poi, perché non dovrebbe?” “Glasgow è l’ultima diocesi dove è stato e dove ha chiesto la rinuncia ai voti, sai com’è…” lo informò Elaine. “No, non so com’è e sinceramente non mi interessa moltissimo. Ma suoniamo in un parco molto lontano dalla cattedrale, e penso che non sia un posto frequentato da alti prelati parrucconi. Potreste fare un tentativo. Credo che Nicholas sarebbe contento.” Elaine rimase pensierosa ad occhi chiusi, cercando di non sentire il leggero astio nelle parole dell’exmarito. “Tu fammi sapere le date, poi glielo dico e vedo cosa posso fare. Da sola, incinta, di sera, io non guido di certo.” “Viviamo in Scozia ed è estate, Elaine. Ti ricordo che il sole tramonta alle dieci di sera e non è buio per un’altra ora, poi.” “Esatto. Ma non penso che i tuoi concerti finiscano alle undici, quindi poi è buio e sai che ho problemi di visione notturna” replicò lei senza minimamente scomporsi. “Ok, hai ragione. Allora dillo a McPherson, dai, e cerca di convincerlo.” 290


“Non potresti chiamarlo semplicemente Andrew, come facciamo tutti, Rebecca compresa, ora?” chiese Elaine con molta calma. Sei mesi prima avrebbe già potuto spazientirsi, ma adesso era la nuova Elaine. “Non mi viene proprio facile, sai?” disse Christopher, con un tono di voce stranamente basso. “Sei tu che l’hai menato, non certo lui te” gli rispose Elaine ricordandogli l’increscioso episodio successo in ospedale mentre lei era in coma. “Appunto. Mi sento tutt’oggi un po’ coglione per quello che ho fatto, se devo essere sincero con te.” “…e piuttosto che chiedere scusa, preferisci mantenere le distanze. Tipicamente tuo, questo atteggiamento. Da quell’arrogante che sei. O meglio, che sei diventato” gli fece notare lei. Un lungo momento di silenzio aleggiò sopra di loro. Elaine si mise seduta, appoggiandosi al tronco dell’albero, vicina a lui, ma in modo che non si potessero guardare direttamente. Capiva che Christopher aveva bisogno di dire qualcosa che l’avrebbe messo in difficoltà. Era pronta ad ascoltarlo, ma senza affrontarlo direttamente con lo sguardo, perché sapeva che altrimenti lui avrebbe rialzato il muro dell’arroganza e della freddezza. “Credo di non essere stato molto lucido, quel giorno, e quello che ci eravamo detti non mi era piaciuto per niente” iniziò Christopher. ”Non mi era piaciuta l’idea che tu fossi incinta di lui… e soprattutto non mi piaceva l’idea che tu fossi 291


in coma. Ed ero molto angosciato all’idea che in quell’incidente tu avresti potuto…” s’interruppe. “Morire?” suggerì Elaine. “Sì. Non l’avrei sopportato. E incolpavo stupidamente lui, per l’incidente, perché in fondo era da lui che stavi andando. Se lui non fosse entrato nella tua vita, tu quella mattina saresti stata nel tuo ufficio a scuola” concluse un po’ caoticamente Christopher. “Quanti condizionali, Christopher… se, se, se. Le cose accadono e basta. Se era destino che io mi dovessi fare tre giorni di coma, magari sarei caduta dalle scale, e magari proprio quelle della scuola… quindi dilla giusta, per favore. Non sopporti l’idea che aspetto una bambina sua.” “Non è vero. Non adesso, per lo meno. Certo venirlo a sapere era stato un po’ scioccante, soprattutto in quel dannato modo in cui me l’aveva detto lui” ammise Christopher. “Vi siete semplicemente comportati come due galli nel pollaio, punto. Non pensare che io abbia dato ragione a Andrew, quando me l’aveva raccontato.” “E poi…” Christopher tentennò “…e poi non voglio che mi sostituisca come padre.” “Oooh! Finalmente l’hai detto! Ce n’è voluto, di tempo” esclamò Elaine, non senza una mezza risatina. “Non c’è niente da ridere, Elaine!” le disse quasi un po’ offeso e cambiando già il tono di voce. Elaine si voltò verso di lui e lo guardò dritto negli occhi, adesso. 292


“Ma Chris” gli disse usando il diminutivo del suo nome, cosa che non faceva da anni, “ti sembra che io potrei permettere che succeda una cosa del genere? Hai veramente così poca fiducia in me? Sei tu il papà di Nicholas, non lui. Lui avrà già il suo bel da fare con la sua, quando nascerà. Quindi, ti prego, non pensare a queste idiozie e ragiona da persona matura quale sei” gli disse fermamente Elaine, ma senza toni duri. Christopher non rispose, così Elaine pensò di affrontare un altro discorso, sul quale stava meditando da un po’ di tempo. “Vuoi l’affidamento congiunto, Chris?” L’ex marito si voltò a guardarla, quasi interdetto: decisamente non si era aspettato questa domanda. “L’ho sempre voluto, Elaine. Cosa ti ha fatto cambiare idea?” le chiese “Non lo so. Ma sicuramente il fatto che in tutti questi anni hai avuto ragione nel dire che non mi hai mai dato modo di preoccuparmi seriamente quando ti affidavo nostro figlio. Ero piena di astio nei tuoi confronti, Christopher, te ne eri andato via di casa quando Nick aveva solo tre anni, apparentemente senza farti troppi problemi, e non l’ho mai accettato, credo” confessò Elaine molto pacatamente. Christopher abbassò gli occhi. “Per un lungo periodo della mia vita mi sono comportato come un fesso, Elaine. Cercare di rimediare, poi, è sempre stato difficile. Ma ero andato via perché tu eri sempre molto fredda con 293


me, non eri più innamorata di me… o forse non lo sei mai veramente stata” le disse. Elaine decise di essere sincera con lui: era il momento di mettere alcune cose a posto. “É vero, non lo sono mai stata. Io sono sempre stata innamorata di Andrew, perderlo mi era costato come una vita intera. Ma ti volevo bene, e ho cercato di essere una buona moglie. Non ce l’ho fatta, mi spiace. E forse credo di aver incolpato te delle mie mancanze. Mi dispiace, Chris, davvero.” “E io volevo farti del male, andandomene di casa, senza pensare che chi ci avrebbe sofferto di più era nostro figlio. Ma sposarti non era stato un errore, lo credo davvero, Lennie.” Anche lui aveva usato il diminutivo di Elaine, e traspariva dolcezza dalle sue parole, come se improvvisamente il vero Christopher avesse finalmente trovato il modo di scacciare quello arrogante, litigioso e sempre in astio con Elaine. “No” confermò Elaine, “non è stato un errore. Guarda che figlio meraviglioso siamo riusciti a mettere al mondo!” Un sincero sorriso complice apparve sulle labbra di entrambi. In quel momento davanti a loro comparve improvvisamente Rebecca, con i lunghi e vistosi capelli rossi che le svolazzavano davanti al viso. “Ehi, voi due!” disse con finta allegria, scrutandoli per cercare di capire di cosa stessero parlando e perché si stessero guardando in quel modo. “Ti spiace girare i tacchi e lasciarmi parlare in pace ancora un po’ con Elaine, per favore?” le disse 294


Christopher, facendole subito cambiare l’allegra espressione in una smorfia poco simpatica. “Ok, ok, scusate!” disse con tono offeso, e se ne andò verso il gruppo dei giocatori di pallavolo, ai quali si era unito anche Andrew, che aveva certo un bel po’ più di intelligenza per capire che Christopher ed Elaine avevano bisogno di stare soli. “Ma poverina, dai!” esclamò Elaine quando se ne fu andata, non senza una risata sardonica. “Lasciala perdere, ok? Poi mi farà una scenata di gelosia, e la manderò a quel paese. Purtroppo non definitivamente, visto che canta da dio.” Elaine non indagò oltre sulle parole di Christopher, che lasciavano affiorare un certo disagio per la situazione sentimentale in cui lui era messo: affari loro, pensò. Continuò invece il discorso che più le stava a cuore. “Allora? L’affidamento congiunto?” richiese. “Sì, Elaine, certo che lo voglio!” affermò con convinzione e ancora quasi incredulo Christopher. “Bene. Allora contatta il tuo avvocato, presenta la richiesta con tutte le scartoffie occorrenti, e quando è tutto pronto chiamami, così vengo dal giudice a firmare.” “Così??? Senza nessuna condizione?? Oddio, Elaine, ma cos’è successo?” chiese sempre più stupito Christopher. “Beh, Chris… sinceramente preferirei che tu rimanessi a Edimburgo quando vorrai stare con lui, mi piacerebbe che non passasse troppo tempo con Rebecca (e non perché ho paura che mi sostituisca come madre, ma, scusami, perché non la ritengo 295


proprio un esempio di vita), e vorrei che Nick passasse sempre il Natale con me… ma non voglio porre condizioni e darti la mia piena fiducia, sperando che sia ben riposta” gli disse guardandolo dritto negli occhi, dicendo molto più delle parole. “E vorrei che tu” aggiunse poi, “quando parli della mia bambina con Nick, ne parlassi come sua sorella, o Lizzie, e non come la bambina che la mamma ha nella pancia.” Christopher abbassò gli occhi e arrossì leggermente. Era capitato un paio di volte, ed era stato stupido a non pensare che Nick non lo riferisse alla mamma. Si sentì un verme. “Scusami” mormorò. “Sei scusato. Non darmi più modo di dubitare di te, Chris, per favore. Chiudiamo questo lungo dissidio mettendo entrambi la volontà di farlo davvero, per favore.” “Ce la faremo, Lennie, fidati.” Elaine vide sincerità, nei suoi occhi. “Va bene. Ora vai a raggiungere la tua fidanzata, prima che si metta ancora appiccicata ad Andrew, per favore. Ci è già stata troppo tempo” gli disse Elaine, stortando il naso. “Chi è geloso, scusa?” chiese ironicamente Christopher, facendola ridere. Le diede un leggero bacio all’angolo della bocca, mormorando un -grazie-, e si alzò, chiamando suo figlio che corse verso di lui. Elaine sentì di aver fatto la cosa giusta: era ora di chiudere molte storie in sospeso che avrebbero potuto disturbare l’arrivo della sua ‘nuova’ 296


bambina. Ma si accorse che non solo aveva fatto felice Christopher, quel giorno, ma anche se stessa. Era stanca dei dissapori che per anni li avevano divisi, in fondo si erano davvero voluti bene, ed erano anche stati felici, per qualche tempo: continuare con i loro battibecchi avrebbe finito col rovinare anche quel poco di buono che c’era stato. Elaine si sentì come più leggera, e proprio in quel momento Lizzie le tirò un poderoso calcio che la fece quasi sobbalzare, ma la riempì di felicità. Si rimise sdraiata, guardando il cielo pieno di nuvole bianche e spumose che correvano veloci sospinte dal vento del nord. E con il sottofondo delle voci dell’insolita compagnia domenicale sparsa intorno a lei, si assopì di nuovo beatamente.

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Tanto era stata calda la giornata, così la serata era piacevolmente tiepida e luminosa: una luna quasi piena e un firmamento di stelle creavano giochi di luce e ombre nel piccolo giardino di Elaine, dove lei e Andrew sedevano tranquilli quella domenica sera. Era quasi mezzanotte, ma il sonno tardava ad arrivare per entrambi: Andrew era un gran tiratardi, di sera, ed Elaine era ancora abbastanza riposata dopo il lungo sonnellino pomeridiano, che era ricominciato dopo la chiacchierata con Christopher. “E così gli darai l’affidamento congiunto. Sì, tutto sommato mi sembra una buona mossa” commentava Andrew, parlando delle decisioni di Elaine. “No, non la chiamerei proprio ‘mossa’… io direi che ora è un atto dovuto, Andrew. Posso capire i timori di Christopher, anche se so benissimo che mai e poi mai ti verrebbe in mente di scavalcarlo nel suo ruolo di padre” affermò Elaine, allungando le gambe e posandole su quelle di Andrew, seduto vicino a lei. “Certo che no!” confermò Andrew. “Lo so. Ma c’è da pensare una cosa, però: ora io ho un’ altra famiglia, che tu mi sposi o meno non ha 298


importanza. Lui no. Lui si trova a 44 anni a fare il rocchettaro, con una donna di… quanti anni hai detto che ha?” chiese Elaine, visto che Andrew, parlando con Rebecca nel pomeriggio, era venuto a sapere molte cose di lei. “Ventotto” disse lui. “Ecco… con una donna di ventott’anni che di metter su famiglia non lo se lo sogna nemmeno, in più credo non vadano più d’amore e d’accordo, e in più non è certo una promettente figura materna.” “Sì, effettivamente è così. Anche se parlava un gran bene di Nicholas, mi devi credere” cercò di rassicurarla Andrew. “Lo so. Ma di Rebecca poco m’importa. M’importa invece del padre di mio figlio, che voglio che si senta tale a tutti gli effetti, e capisca che qui da noi troverà sempre una porta aperta.” Rimasero in silenzio, ognuno perso nei propri pensieri. “A quanto pare sei riuscita a mettere a posto un’altra cosa, Lennie” commentò poi Andrew. Un cono d’ombra copriva il volto di Elaine, ma lui sentì il suo sorriso nella voce. “Andrew, non sono mica poi così brava… sto solo cercando di fare un po’ d’ordine dal caos” rispose. “Il caos che ha generato quella magnifica stella che sei tu” le disse Andrew, intento a massaggiarle le caviglie. “Oh no, non disturbare Nietzsche, per l’amor del cielo! E poi guardami bene, più che una stella sto diventando un pallone aerostatico!” scherzò Elaine. Andrew ridacchiò alla battuta. 299


“Sai una cosa?” disse. “Quando me la dirai, sì, penso che la saprò…” “Spiritosa… penso che quando nascerà Lizzie sarà tutto perfetto, a questo ritmo” disse, “tranne mia madre, ovviamente” aggiunse con un po’ di amarezza nella voce: i silenzi materni da Dingwall perduravano, e il padre di Andrew durante le telefonate col figlio non accennava mai alla spinosa questione. “Pazienza, Andrew… abbi pazienza e vedrai che si risolverà pure quella, fidati. Purtroppo io non ci posso fare molto, se non sfornarle una nipotina tra quattro mesi, e poi vedremo” lo consolò Elaine, che era comunque fiduciosa nello scioglimento del ghiaccio tra madre e figlio. Ci fu ancora un lungo momento di silenzio tra i due, ma tra loro era bello anche così. “Andiamo a Dunkeld” propose poi all’improvviso Elaine. “Perbacco che decisione! E quando? Il prossimo weekend?” “No, no. Intendo proprio a fare una bella vacanza, quando chiuderò con grande gioia le porte della scuola a luglio. Io, te e Nicholas. E per almeno una settimana! E ti lascerò anche portare i tuoi benedetti libri di storia, se vorrai.” “Beh, mi sembra una buona idea, anzi, ottima. Ma senza libri, per carità! Cavolo, Elaine, non devo mica dare un esame!” “Lo so quanto sei pignolo, Andrew, piantala.”

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“Ah, io sarei pignolo?” scherzò lui “senti chi parla, quella che a momenti si faceva trasportare nel suo ufficio con ancora dei punti in testa!” Elaine rise, ammettendo che Andrew aveva ragione. “Allora? 27 luglio chiusura della Queen Mary’s, 28 luglio partenza?” richiese poi conferma. “Senza indugiare oltre, milady! Però credo sia meglio chiamare la signora Maclachlan, non si tratta di una notte, ma di un trattamento completo di una settimana, andrà prenotato” le fece notare Andrew. “Eh, certo! Lascio a te il compito, visto il fascino che eserciti su di lei… Ma lascia in sospeso il ‘quanto tempo’, per favore.” “Cos’è, vuoi stabilirti lì per tutte le vacanze?” “No di certo! Ma metti che io possa starci così bene… e soprattutto mangiarci così bene…” A questo punto la risata di Andrew scoppiò fragorosa. Elaine si levò a sedere e lo guardò con aria fintamente seria e scandalizzata. “Lizzie deve crescere, Andrew!” “Sì, vero” ammise lui tra una risata e l’altra ”ma non deve diventare necessariamente un cucciolo di ippopotamo!” Si beccò uno dei proverbiali pizzicotti di Elaine, che lo fecero subito sussultare. “Ahi, cavolo!” si lamentò, sfregandosi il braccio ”spero che tu non abbia trasmesso questo brutto vizio nel DNA di Lizzie!” Elaine stava trattenendo le risa. 301


Poi all’improvviso Andrew tornò serio. La tirò verso di sé e le prese il viso tra le mani. “Oggi ti ho già detto quanto ti amo, Elaine?” Lei rimase assorta un attimo. Poi la sua faccia si fece triste. “No, oggi no, cavolo. C’era un tempo in cui non facevi che dirmelo, ora invece…” disse assumendo un’aria molto contrita. “Io ti amo, Elaine Kincaid” disse Andrew, accompagnandolo con un sorriso luminoso. “Un po’ anche io, Andrew McPherson” disse Elaine arricciando il naso, aveva ancora voglia di scherzare. Poi gli sorrise. “Un po’ tanto, a dire la verità.”

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Furono davvero delle vacanze, come disse poi Elaine, straordinarie. Un paio di settimane prima della fine delle scuole, Elaine era riuscita a convincere Andrew ad andare al concerto di Christopher a Glasgow; sulle prime Andrew non ne era stato molto entusiasta: l’idea di tornare nella città che per lui aveva significato tanti affanni e tante ansie non gli andava per nulla. Era stato però poi contento di aver acconsentito e, dovette ammetterlo, avevano passato una serata molto piacevole, oltre che fuori dal normale. Per Nicholas era stata una gioia senza fine: era la prima volta che vedeva il papà suonare dal vivo, e, visto il numeroso pubblico, era gasatissimo ed eccitatissimo, soprattutto quando fu portato nel backstage prima dell’inizio del concerto per assistere ai preparativi. Anche Elaine dovette ammettere di aver preso la giusta decisione: vedere il figlio così felice l’aveva riempita della stessa gioia, e vedere l’ex marito che riscuoteva tanta popolarità l’aveva fatta sentire anche un po’ in colpa. Aveva sempre denigrato la nuova strada intrapresa da Christopher, dando per scontato che dovesse essere un disastro totale. 303


Ma quella sera aveva dovuto ammettere esattamente il contrario; una volta tolta la patina di rancore con cui erano stati a lungo velati i suoi occhi, era riuscita a vedere con chiarezza che il padre di suo figlio stava avendo una discreta carriera e un discreto successo, tanto da poter decidere in tutta serenità di togliere l’aggettivo ‘fallito’ per definire l’ex-marito. Le scuole erano finite con un bilancio positivo: gli alunni che avevano sostenuto gli esami erano stati tutti promossi e, come tutti gli anni, la cerimonia della consegna dei diplomi era stata molto ben predisposta e aveva avuto un ottimo esito. Il temporale che si era scatenato a metà serata non aveva colto nessuno impreparato; con grande tranquillità si erano tutti trasferiti all’interno della scuola dove una previdente Elaine aveva fatto già allestire la solita aula magna per un eventuale buffet all’interno. Alla cerimonia aveva partecipato anche Andrew, tenendosi a discreta vicinanza di Elaine, ormai in evidente stato di gravidanza: entrambi avevano un po’ temuto l’impatto coi genitori dei ragazzi, ma nessuno si era dimostrato ostile o polemico, anzi! molti di loro si erano soffermati a chiacchierare con Elaine, e, confermando quanto la stimassero e quanto le fossero grati per l’educazione ricevuta dai figli alla Queen Mary’s School, si erano complimentati e le avevano fatto sinceri auguri per la maternità: d’altra parte Elaine appariva in così splendida forma e così radiosa e serena che non sarebbe stato possibile fare altrimenti. 304


Così Elaine si era potuta rilassare sempre di più, al punto da versare anche qualche lacrima quando alcuni degli studenti l’avevano salutata per l’ultima volta, promettendole di tornare a farle visita durante il successivo anno scolastico. Andrew era stato sempre molto riservato, non si era intromesso mai nelle conversazioni di Elaine coi genitori e si era limitato a brevi chiacchierate con gli insegnanti della scuola, alcuni dei quali già attivi alla Queen Mary’s quando ci insegnava anche lui dodici anni prima. L’unico momento di vera tensione si era avuto quando Edward Sinclair si era avvicinato a Elaine e Andrew, con un cipiglio molto poco promettente e con dipinto sulla faccia la voglia di lanciare frecciate ad Andrew, che dall’inizio della cerimonia si era sentito addosso il suo sguardo non molto benevolo: con grande prontezza era intervenuto Bruce Hamilton, che aveva dirottato il collega verso un angolo un po’ isolato e aveva parlato con lui pacatamente e col sorriso sulle labbra, ma evidentemente anche con abbastanza chiarezza e fermezza da fargli perdere qualsiasi proposito avesse avuto in mente. Lo stesso aveva fatto Janet, che aveva tenuto sotto stretto controllo le parole e gli sguardi delle poche colleghe più dure a sciogliere la loro quanto ormai isolata ostilità per la situazione sentimentale della loro direttrice. Janet era stata anche molto impegnata a tenere Andrew lontano dall’edificio che Elaine aveva fatto ristrutturare, i cui lavori erano quasi giunti al 305


termine, e a sviarne le domande che lui faceva a tal riguardo. Con due bodyguard di tale livello, aveva detto poi Elaine alla fine della serata, si era sentita in una botte di ferro. Ed era arrivato così l’ultimo giorno di scuola, e alle 17 di quel pomeriggio estivo, accanto all’amica Janet, Elaine aveva chiuso con grande sollievo il cancello della Queen Mary’s, consegnandole le chiavi in custodia, con il compito di sorvegliare l’ultimo lavoro all’annesso: la successiva settimana avrebbero dovuto sostituire dei vetri, dopo di che l’opera materiale si poteva dire compiuta. Padre James, complice nel progetto, aveva potuto rassicurarla che la sua parte di lavoro (un po’ meno materiale) era a buon punto ed Elaine, fidandosi ciecamente del sacerdote che ormai poteva considerare un ottimo amico, aveva potuto davvero porre la parola fine su un anno di lavoro soddisfacente. Aveva ammesso con se stessa che era stato faticoso il triplo, rispetto ai precedenti, a causa delle sue vicissitudini personali, ma questo non le impedì di riconoscere in tutta onestà di aver fatto un buon lavoro. Avevano potuto così partire serenamente per le vacanze a Dunkeld: Elaine, Andrew, Nicholas e Burp. L’auto era costipata da bagagli, giochi e cuccia, e prima di partire Andrew aveva manifestato grandi perplessità circa eventuali future vacanze dopo la nascita di Lizzie, esprimendo il sincero 306


timore di dover essere costretto a comprare un SUV. Così la vacanza era iniziata con il buon umore, che era durato per tutti i dieci giorni che avevano trascorso nella tranquillità della loro locanda che si era trasformata da tranquillo rifugio d’amore a allegro e vivace luogo di relax per l’intera famiglia. La signora Maclachlan ci aveva messo del suo: era diventata una specie di nonna adottiva, viziando madre, figlio e cane sotto lo sguardo fintamente severo di Andrew, che in realtà se la stava spassando come pochi. Ci fu solo un giorno, che Elaine avrebbe poi definito strano e preoccupante, in cui delle piccole nubi si addensarono sulla serenità di quel viaggio: il giorno in cui Andrew aveva annunciato che sarebbe stato via fino alla sera, senza dire dove fosse diretto. Alla sera poi, sotto le incalzanti e preoccupate domande di Elaine, aveva rivelato di essere andato ad Aberdeen, dove era stato confermato sacerdote, e di essere rimasto tutto il giorno nei luoghi dove aveva compiuto la sua opera pastorale per due anni prima di arrivare a Broxburn per la prima volta. Era stata la prima e forse unica volta in cui Elaine l’aveva guardato con aria smarrita e, quasi impaurita, mettendosi entrambe le mani sulla pancia dove Lizzie aveva iniziato a muoversi e agitarsi come non mai, aveva chiesto ad Andrew se stava avendo dei ripensamenti. In quella frazione di secondo impiegata da Andrew per rispondere, Elaine si era sentita come sull’orlo di un baratro, si era sentita sprofondare in un nero 307


peggiore del coma che aveva sperimentato per tre giorni, e aveva provato un terrore puro: la sua vita non avrebbe più avuto un senso senza di lui, ormai ne era più che certa. Non aveva mai pensato davvero che Andrew potesse tornare sui suoi passi, ma in un attimo brevissimo le era passata davanti agli occhi quella eventualità, e si era sentita perduta. Andrew l’aveva guardata negli occhi e aveva pronunciato un ‘no’ deciso e risoluto, e le aveva chiesto come avesse potuto pensare una cosa del genere… era andato ad Aberdeen proprio per ricordare con serenità i primi momenti del suo sacerdozio, per capire meglio che abbandonandolo non aveva certo rinnegato quella fondamentale tappa della sua vita, e per lasciarsela serenamente ma in modo definitivo alle spalle; come fosse stato un saluto, le aveva detto, per essere ancora meglio ciò che sarebbe diventato di lì a pochi mesi: il padre della loro bambina, forse non cercata, forse concepita un po’ frettolosamente (come aveva ricordato sorridendole) ma sicuramente con tanto amore e tanta passione; l’amore e la passione che provava per Elaine in ogni istante dei suoi giorni. E così la vacanza era proseguita spensieratamente, tra passeggiate sui lochs con Nicholas e Burp che sprizzavano allegria da tutti i pori, sane mangiate con gli ottimi cibi semplici e genuini della signora Maclachlan, profondi e salutari sonni beati, e qualche ora notturna con il naso all’insù, nella veranda della locanda avvolti dalle coperte, per vedere le stelle cadenti di agosto. 308


Ma Elaine aveva ben pochi desideri da esprimere. In quelle meravigliose serene notti stellate aveva intorno a sé tutto ciò che si poteva volere: un uomo che l’amava, un figlio, un’altra nel calore del suo ventre e… ma sì, va’, pure un cane! Al ritorno da Dunkeld, per Nicholas c’era stato un veloce cambio di valigia e un’altra partenza, questa volta al mare con Christopher e Rebecca. Come aveva detto alla mamma ridendo prima di salutarla, a volte conveniva avere genitori separati, ci si guadagnavano doppie vacanze! Ora che Elaine e Christopher avevano raggiunto accordi amichevoli sulla custodia del figlio e avevano sotterrato l’ascia di guerra, anche Nicholas era più tranquillo: in fondo vedere mamma e papà litigare per ogni cosa non era mai stato piacevole, per lui. Così Elaine e Andrew avevano guadagnato una settimana di intimità, e se l’erano goduta proprio tutta: avevano fatto lunghe camminate al parco, trascorso pacifiche sere sul divano davanti alla tv intramezzate da qualche uscita a cena nel ‘loro’ ristorante di Stirling, intense notti piene di amore e di chiacchierate e progetti per il futuro. Il giorno prima che ricominciasse la scuola Elaine si era sentita riposata, ricaricata e pronta per lo sprint finale: la riorganizzazione dell’anno scolastico e la relativa consegna degli incarichi a Bruce Hamilton che l’avrebbe sostituita durante la maternità (anche se Elaine non aveva certo intenzione di starsene a casa per troppo tempo…), gli ultimi due mesi di gravidanza (a fine agosto la pancia di Elaine 309


cominciò ad avere, come disse Andrew, ‘davvero una considerevole consistenza’…), il corso preparto, l’approntamento di culla, vestitini e equipaggiamenti vari necessari alla prossima neonata Lizzie, ma, soprattutto, il compleanno di Andrew il 5 di settembre, la data che ormai Elaine stava organizzando e aspettando con crescente impazienza da più di quattro mesi, da quando cioè erano iniziati i lavori di ristrutturazione dell’edificio all’interno della Queen Mary’s School.

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“A che ora arrivano Janet, Josh e Nick?” chiese Andrew ad Elaine, che stava apparecchiando la tavola. Erano quasi le sette di sera del 5 di settembre, il giorno del compleanno di Andrew. Era appena tornato da Edimburgo, dove da pochi giorni aveva iniziato il corso di storia contemporanea del primo semestre all’università. Tornava tutti i giorni felice e soddisfatto: come aveva detto ad Elaine il primissimo effettivo giorno di lavoro, era tornato ad essere un professore di storia, ‘la cosa più bella del mondo’! Elaine era rimasta a casa dal lavoro, quel giorno, e aveva detto ad Andrew di essere stata impegnata nel cucinare e approntare la festa di compleanno che lei e Nick gli avevano organizzato. “Tra un’oretta, credo” rispose Elaine. “E cosa hai preparato di buono? Qui non si vede in giro niente di niente” disse Andrew guardandosi intorno perplesso in una cucina pressoché intonsa, senza tracce di cibo da nessuna parte. “Ehi! Non essere troppo curioso, è una sorpresa anche il menu!” disse Elaine pilotandolo fuori. Al settimo mese di gravidanza appariva in splendida forma: al di là del pancione e del seno un po’ 311


ingrossato, aveva messo su un paio di chili che la rendevano solo un po’ più morbida di quanto non fosse prima di rimanere incinta. “E la torta?” insistette Andrew. “Ah, ma allora vuoi proprio rompere, eh? La portano loro, ha voluto preparala Janet. E ora basta perché non avrai più nessuna informazione!” rise Elaine, facendolo sedere sul divano e mettendosi vicino a lui. Lo baciò dolcemente sulla bocca e gli sorrise, un sorriso che coinvolgeva anche gli occhi. “Allora, sentiamo… puoi dirmi se alla veneranda età di quarantacinque anni sei felice?” “Lo sono, Lennie. Lo sono davvero. Sei mesi fa ero in una crisi pazzesca: credevo che, con tutto quello che era cambiato e tutto quello che era rimasto in sospeso, non sarei riuscito a cavarmela. Mi sembrava di essere sopraffatto dagli eventi. Invece ce l’ho fatta, anzi, ce l’abbiamo fatta. Se solo arrivasse da Roma la notifica definitiva…” sospirò Andrew “Arriverà presto, vedrai. Abbi pazienza. Tanto a me non serve avere quella per sentirti mio” lo consolò Elaine. “Sai chi mi ha chiamato, oggi, miracolosamente, per farmi gli auguri?” “No… dimmelo!” “Mia mamma” annunciò Andrew. “Wow!” esclamò Elaine esprimendo con un largo sorriso la sorpresa e la felicità per quell’evento quasi inaspettato “Davvero?? E com’è andata?” chiese poi. 312


“Beh… sinceramente non ha espresso il massimo dell’entusiasmo, ma mi è sembrata un po’ meno dura di quando ci siamo lasciati in malo modo a Dingwall in aprile” ammise Andrew. “ Mi ha fatto gli auguri, mi ha chiesto come state…” “Al plurale?” chiese Elaine. “Sì, al plurale, credo riferendosi a me e a te.” “Vedi? É già un progresso!” “Notevole, direi” concesse Andrew, “ma non si è dilungata oltre.” “Va bene, dai, meglio così che niente: io vedo aprirsi uno spiraglio, magari è merito di tuo papà” “Non credo. Papà è un bell’osso duro peggio di lei. Se decide di non parlare di qualcosa, sta’ pur certa che non lo fa.” “Allora ci sta ragionando sopra da sola, e arriverà alla conclusione che, se sei felice, dovrà per forza accettare la tua nuova vita.” “Sì, sarà sicuramente così. Ancora nulla da mia sorella, però.” “C’è ancora qualche ora di tempo, abbi fiducia.” Elaine si sdraiò alzando i piedi sul bracciolo del divano, per riposare le caviglie un po’ gonfie, l’unica cosa che le desse veramente fastidio in quel periodo. “Girati, vieni qui che te le massaggio” le disse Andrew. “Sei stata tutto il giorno in piedi, eh?” la rimproverò iniziando a strofinargliele delicatamente, dando un po’ di sollievo ad Elaine. “In effetti sì” ammise Elaine, “ma avevo un sacco di cose da fare…” 313


“…e io ti avevo detto che non era necessario. Questo mio quarantacinquesimo compleanno è già una festa così: con te e una figlia che sta arrivando, cosa potrei chiedere di più?” Andrew non perdeva occasione per confermare continuamente ad Elaine il suo amore, e ormai uno dei suoi momenti preferiti della giornata era la sera, quando finalmente potevano accoccolarsi sul divano da soli e tranquilli, e lui appoggiava le mani sul pancione di Elaine per sentire la bambina che si muoveva e tirava energici calci. L’ultima ecografia, fatta pochi giorni prima, aveva confermato che andava tutto bene: Lizzie era già nella giusta posizione, era vivace, non le mancava nemmeno un ditino (li avevano contati uno per uno fino ad arrivare a venti… era una delle maggiori preoccupazioni di Elaine, una fobia che aveva avuto anche durante la gravidanza di Nicholas) e pesava già più di due chili e mezzo. Mentre procedeva il massaggio di Andrew alle caviglie, Elaine divenne un po’ irrequieta e cominciò a guardare l’orologio in continuazione. “Che c’è?” chiese Andrew che si era accorto della crescente inquietudine di Elaine “devi fare qualcosa? Devi mettere qualcosa nel forno o, peggio, c’è qualcosa nel forno che sta per bruciare? Ti prego, non nel giorno del mio compleanno!” “Come se io bruciassi sempre la cena, razza di impunito!” si indignò Elaine, facendo scattare il pizzicotto al braccio. “Ahi! Cavolo! Mi mancava quello del compleanno! Ma la pianterai mai??” si lamentò Andrew. 314


“No. E comunque no, non c’è niente da far cuocere e quindi non c’è niente che possa bruciare nel forno.” “Come, non c’è niente da cuocere? Cosa si mangia, allora, stasera? La torta di Janet e basta?” “Ooohh, cheppalle Andrew!” disse Elaine alzando le sopracciglia fino al soffitto e alzandosi con un po’ di lentezza ed impaccio dal divano. “Vado in camera a prendere il tuo regalo, va’, così ti metti il cuore in pace e capisci che intendiamo davvero farti la festa.” “Ma figurati!” disse con aria falsamente indifferente Andrew. Elaine scomparve per un attimo in camera, da dove uscì quasi subito dopo con un’aria afflitta sul volto. “Andrew…” disse. Lui la guardò interrogativamente. “Che c’è?” domandò senza capire. Elaine stava iniziando a ridere. “Senti… non è che mi puoi accompagnare a scuola?” gli chiese. “A scuola?? E perché??” “Perché credo di aver dimenticato là il tuo pacchetto, ieri.” “No, ti prego, non ho più voglia di uscire! Fa niente, dai, me lo dai domani.” “No! Non se ne parla neanche, Andrew! Oggi è il tuo compleanno, stanno per arrivare i ragazzi con Janet, e voglio assolutamente darti il mio regalo! Cavolo, ci ho impiegato quattro mesi a trovare quello giusto!” 315


“Quattro mesi??? É così difficile trovare un regalo per me?” chiese Andrew divertito, ma senza accennare ad alzarsi dal divano. Ricevette uno scossone da Elaine. “Dai, su, per favore! Non vorrai farmi guidare di corsa, da sola, incinta, vero? Dai, ci vogliono solo dieci minuti!” A questo punto Elaine divenne così insistente, che Andrew, un po’ di malavoglia, acconsentì a portarla una volata a scuola per il benedetto pacchetto. Mentre erano in auto, Elaine telefonò a Janet, per avvisarla che stavano andando una corsa nel suo ufficio, e che sarebbero arrivati entro un quarto d’ora al massimo. Poi si accertò che fosse tutto pronto e infine, soddisfatta, chiuse la chiamata. “Tutto pronto? Cosa, tutto pronto?” domandò Andrew. “Andy, lo sai che sei curioso come una vecchia zitella?” lo canzonò Elaine “Hai finito di fare domande o no? Abbi quel minimo di pazienza per ancora qualche minuto e vai avanti a far finta di non volere festeggiamenti, come stai facendo da una settimana senza convincere nessuno.” Intanto erano arrivati davanti al cancello della scuola e Andrew si fermò col motore acceso. “Dai, vai! Ti aspetto qui.” “Parcheggia.” “Ma Lennie…” “Parcheggia, per favore. Accompagnami.” “Ma…” “Allora? Lo fai o no?” chiese Elaine con un tono che non ammetteva più repliche. 316


Andrew, a questo punto, cedette, e decidendo di non chiedere più nulla fino al giorno dopo, cioè passato il compleanno, parcheggiò l’auto ed entrò a scuola, accompagnando Elaine nel suo ufficio. Quando entrarono, per poco ad Andrew non venne un colpo: al centro della stanza troneggiava un pacco gigantesco, un cubo di almeno un metro per lato, con un altrettanto gigantesco fiocco blu. Elaine ci si mise di fianco, molto seria e compita. “Ma, scusa” disse Andrew interdetto, “questo sarebbe il pacchetto che tu hai dimenticato oggi?... il pacchetto? Ma come si fa a dimenticare un pacchetto cosi’?!” “Capita” rispose Elaine, sempre con molta serietà. “Ok. Ora cosa facciamo?” chiese Andrew. “Ora lo prendi, per favore, perché è pesantissimo, e torniamo a casa.” Andrew si avvicinò con circospezione al pacco e lo afferrò saldamente per sollevarlo. Era leggerissimo. Lo posò immediatamente. Guardò Elaine. In qualche modo lei stava riuscendo a non muovere nemmeno un muscolo facciale. “Perché mi stai così clamorosamente prendendo per il culo?” “Non ti sto prendendo per il culo. È leggerissimo ma contiene una cosa pesantissima e importantissima. Fidati. Ora: lo vuoi prendere, per favore, così ce ne andiamo?” Sempre in linea con la decisione di non chiedere nulla e non far domande, giusto per non sentirsi 317


più idiota di quello che si sentiva già, Andrew prese il benedetto pacco e uscì dall’ufficio, seguito da Elaine. “Sù, sù, forza. Vai sempre dritto che ci sono le scale…. e stai attento ai gradini, per favore.” Andrew obbedì in religioso silenzio, e scese le scale mettendosi il pacco sulla testa. Appena arrivati a pianterreno, Elaine lo bloccò. “Ehi, già che siamo qui, ti va di vedere i lavori all’annesso? Finalmente sono finiti, questa settimana!” “Scusa, Lennie. Io ti amo da impazzire, ma non è che ti sei fatta di qualcosa di pesante, oggi? È un sacco di tempo che ti chiedo di vedere quei lavori, e tu mi dicevi sempre che non avevi tempo e l’avresti fatto in un altro momento. Ora sono qui, con un leggerissimo ma pesantissimo pacco grosso come un divano in mano, e tu mi vuoi portare all’annesso??” “Appunto. Ora ho tempo e non c’è nessuno che ci possa disturbare” affermò Elaine. “Ma non è vero che hai tempo. A casa saranno già arrivati Janet e i ragazzi e ci staranno aspettando, visto che dieci minuti fa hai detto che saremmo arrivati in un quarto d’ora.” “O santo cielo, come la fai lunga. Non è che piove, o nevica o è notte fonda… possono aspettare cinque minuti in più. Allora, ci vuoi venire o no?” Più che una domanda, ad Andrew sembrò una minaccia. “Va bene, andiamo” capitolò Andrew, posando il pacco. 318


“No, quello portalo. Vorrai mica lasciarlo qui, così poi mi tocca aprire ancora la porta per prenderlo!” Senza dire altro e ormai rassegnato, Andrew riprese in mano il pacco e seguì Elaine nel cortile della scuola, fino all’annesso. Non osò nemmeno posarlo mentre Elaine litigava con il mazzo di chiavi, apparentemente senza trovare quella giusta. “Ma che strano” mormorava intanto, “la chiave dell’annesso è sempre stata in questo mazzo con tutte le altre.” Stava provando una chiave dopo l’altra, ma nessuna era quella giusta. “Ma cavolo!” disse poi un po’ alterata. “Dai, lascia perdere!” quasi la supplicò Andrew “Ci vengo domani pomeriggio quando torno da Edimburgo, e tu intanto risolvi questo mistero.” “No, la chiave è qui, lo so. A meno che…” “A meno che… cosa?” Andrew tentava in tutti i modi di non perdere la pazienza, ma poi decise che in fondo si stava divertendo come un pazzo. “A meno che non sia finita nel pacco” affermò Elaine. Andrew guardò Elaine e finalmente lasciò uscire quella fragorosa risata che stava trattenendo da molti minuti. “Non credo che ci sia così tanto da ridere” gli disse Elaine piccata. “Nel pacco!” disse lui, che ormai aveva le lacrime che gli uscivano dagli occhi ”Nel pacco! Elaine, ma ti senti? Ma come fa a essere nel pacco? Ma sei fuori?” 319


“Beh, io ci guarderei” rispose Elaine, quasi offesa dalle risate di Andrew. Cercando di smettere di ridere, Andrew posò il pacco. “Vuoi che ci guardo dentro? Cioè, lo vuoi davvero? Seriamente?” “Sì che lo voglio! Se no non te l’avrei detto.” “Ok. Da che parte si apre ‘sto coso?” “Dal fiocco, Andrew. E poi lo scarti. È un pacco, non una bomba.” “Oh beh, a questo punto non ci metterei la mano sul fuoco…” mormorò lui, iniziando a scartare. Sotto alla semplice carta da pacchi c’era una scatola di cartone: Andrew aprì i lembi superiori e guardò dentro… e rimase di sasso. “C’è una chiave… anzi, c’è solo una chiave” disse sommessamente, e, alzando il volto, vide che Elaine aveva perso tutto il cipiglio di prima e stava sorridendo. “Certo che c’è una chiave” disse con dolcezza. “E… perché? Che cos’è? Non capisco, Lennie. Proprio non capisco.” “É il tuo regalo di compleanno, Andrew.” “Una chiave?” “La chiave che forse apre l’annesso. Perché non ti decidi a prenderla e a provarla?” “Nella serratura dell’annesso?” “Sì. Dai, avanti!” Andrew inclinò un po’ lo scatolone e pescò dal fondo la chiave. Poi si avvicinò alla porta dell’annesso e la infilò nella serratura… e funzionò. “É la chiave giusta. Che storia è, Elaine?” 320


“Fossi in te aprirei” gli disse Elaine strizzandogli un occhio, “magari è come una caccia al tesoro, e troverai un altro pacco gigantesco con un altro indizio. Che ne sai?” Andrew capì che per svelare i misteri di Elaine in quell’ ormai surreale giorno del suo compleanno, doveva continuare a stare al gioco. Così, dopo aver dato ancora un paio di giri di chiave, prese la maniglia e aprì la porta.

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Quello che colpì Andrew appena aperta la porta, lui stesso più avanti l’avrebbe paragonato ad uno tsunami. L’ampio locale d’ingresso dell’edificio era letteralmente invaso da un sacco di persone che gli gridavano “Buon compleanno!”, e tra queste, in prima fila, c’erano Janet, Nicholas e Josh, che a quanto ne sapeva lui avrebbero dovuto essere a casa in Wyndford Avenue. Quindi no, decisamente Andrew non capì un accidente di cosa stava succedendo. Si voltò verso Elaine, che in quel momento stava sorridendo a 64 denti, e quando quella marea di gente smise di usare toni di voce troppo alti, le chiese: “Scusa, ti spiacerebbe spiegarmi? O meglio, era la festa a sorpresa, il vero regalo?” “Assolutamente no” rispose Elaine. “E quindi?” insistette lui. “E quindi…” Andrew si voltò nella direzione di provenienza di quella ben nota voce, cioè quella di Padre James. Lo guardò venirgli incontro. “James?” 322


“Sì, sant’Iddio Andrew, sono io! Non guardarmi come se fossi un fantasma!” “Ok” disse Andrew, rivolgendosi prima a James e poi ad Elaine. “É il tuo regalo di compleanno, Andrew” gli rispose Elaine facendo un ampio gesto per indicare praticamente tutti i muri che la circondavano. “Cosa, esattamente?” “Tutto quanto!” Padre James gli mise tra le mani un grosso fascicolo pieno di incartamenti. “É il tuo Centro di Aiuto per i Bisognosi, Andrew. Qui ci sono tutte le carte relative alla donazione dell’edificio alla parrocchia di St. John… il mio placet a Elaine per i lavori che sono stato fatti… i resoconti, le fatture e i pagamenti degli stessi da parte della Banca di Edimburgo di Broxburn che ha sponsorizzato il progetto… le registrazioni allo Scottish Social Services Council di Dundee in tempo record grazie alla tua amica che ci lavora…” Mentre parlava, Padre James sfogliava un documento dopo l’altro, per farli vedere ad un Andrew che in realtà era completamente frastornato e quindi assolutamente disattento e impegnato a guardare Elaine, che continuava a sorridergli con le mani beatamente appoggiate al pancione. Padre James richiamò la sua attenzione. “Seguimi, Andrew, non distrarti negli occhi di quella donna! hihihi…” sghignazzò, contento di 323


essere riuscito a fare tutto, complottando con Elaine, senza che lui se ne fosse mai reso conto. “Abbiamo predisposto al pianterreno una cucina e una sala da pranzo, per la mensa dei poveri, e un locale guardaroba, dove potrai raccogliere il vestiario che i nostri buoni concittadini ti porteranno da domani in poi e che tu distribuirai a chi ne avrà bisogno. Al piano superiore ci sono alcune camere, con letti a castello… potrai dare asilo a chi ne ha più bisogno nelle freddi notti invernali.” James parlava velocemente, trasportato dall’entusiasmo per il progetto ideato da lui e da Elaine, dopo che quest’ultima aveva astutamente indagato per settimane, facendo ogni tanto una domanda dal tono casuale ad Andrew. Lui si ricordò benissimo, in quel momento, di tutte quelle domande, e vide dentro ai suoi occhi esattamente quello che avrebbe voluto realizzare, ma che non aveva mai intrapreso per mancanza di tempo, di fondi, di idee precise tra tutte quelle che gli erano passate in testa negli ultimi mesi. Andrew si accorse che ora erano tutti in silenzio. Si voltò a guardarli e vide gli amici di sempre: Janet e Kevin, Peter, altri insegnanti della Queen Mary’s, il volto dei parrocchiani di St. James che gli avevano già da tempo espresso la loro solidarietà e gli stavano offrendo, ora, anche il loro aiuto e il loro tempo. 324


Poi, dietro a tutti, quasi con sgomento, scorse un viso che non si sarebbe mai immaginato di vedere. Il capannello di persone si aprì. “Eminenza…” mormorò Andrew, rivolgendosi all’ Arcivescovo di Glasgow. “Andrew” ricambiò l’Arcivescovo con un sorriso davvero sincero, guardando prima lui e poi Elaine, quasi complice anche lui. “Beh, Andrew, vedo che forse per la prima volta in vita sua è senza quel dono della parola che faceva di lei un sacerdote eccezionale e difficile da lasciarci scappare” disse porgendogli la mano e stringendo energicamente quella di Andrew quando questi si ricordò di dargliela. “Sì, Eminenza, credo proprio di sì!” rispose Andrew. Poi, ritrovando finalmente la padronanza di se stesso, disse: “Lei è l’ultima persona che immaginavo di poter vedere, qui. A parte il fatto che nemmeno immaginavo di vedere qualcuno oggi, o di essere in questo posto, o… non so che altro, a dirla tutta giusta.” Tutti ridacchiarono, rivelando così ad Andrew che la creazione del centro era stato un progetto ampio e che durava da parecchio tempio con la partecipazione di parecchia gente, tutti quelli che Elaine e Padre James erano riusciti a coinvolgere. “Lei aveva fatto un ottimo lavoro alla Mungo Foundation, anzi, tutti quanti sentono ancora la 325


sua mancanza e le mandano i loro saluti! Credo quindi che saprà gestire al meglio, con i nuovi collaboratori, questo nuovo centro. Padre James sapeva quanto ci tenesse, e anche la signora Kincaid, quindi non hanno fatto altro che farmi una telefonata per mettere in moto il tutto con qualche mia piccolissima spintarella qua e là… ma nulla di che, in realtà, in confronto al loro lavoro e al loro impegno.” L’Arcivescovo fece una pausa permettendo ad Andrew di metabolizzare meglio quello che gli era piombato addosso. “Non l’ho mai persa di vista, Andrew” continuò poi, “le mie molte telefonate con James avevano come argomento principale la sua persona. Sono stato convinto per molto tempo che il suo non fosse altro che uno spudorato colpo di testa, ma, e mi duole un po’ ammetterlo, mi ero sbagliato e credo di averla rivalutata parecchio, soprattutto dopo aver conosciuto la signora Kincaid e aver parlato a lungo anche con lei.” L’espressione sbigottita con cui Andrew guardò Elaine fu ricambiata da una strizzata d’occhi molto divertita, da una risatina e da uno ‘Scusami’ che fece ridere un po’ tutti quanti. Ma tutti quanti ritornarono seri quando l’Arcivescovo tornò a parlare. “Lei ha iniziato una nuova vita, e a questo punto so che l’ha fatto davvero con coscienza e convinzione. 326


Ci sarà sempre qualcuno che disapproverà a lungo le sue scelte, ma qui vedo solo persone che le vogliono molto bene, che la stimano profondamente e la sosterranno credo sempre. Non sprechi il dono che Dio le ha fatto, Andrew, e cerchi di vivere la sua nuova vita pienamente, riempiendola di cose piccole ma preziose. Glielo auguro, Andrew, di cuore. E buon compleanno, naturalmente!” Un fragoroso applauso riempì il nuovo Centro Aiuti di Andrew, che finalmente si mosse incontro alle persone che stavano andando verso di lui, stringendo mani, abbracciando e ringraziando. Elaine, seduta sul tavolo apparecchiato per la festa di compleanno, si metteva in bocca un bignè dopo l’altro, godendosi la scena, e ricambiando gli sguardi di Andrew, intrappolato tra una ventina di persone ma ansioso di andare da lei. Quando finalmente, dopo aver invitato tutti a servirsi dei molti dolci disponibili, riuscì a raggiungerla, la prese tra le braccia, senza imbarazzo pur essendo sotto gli occhi di Padre James e dell’Arcivescovo. “E ora cosa ti potrei dire, di più di quello che già immagini?” le disse sorridendole. “Buon compleanno, Andrew” rispose lei semplicemente, ricambiando il suo sorriso con uno altrettanto luminoso. “Vorrei baciarti” le sussurrò lui. 327


“Sei impazzito? C’è la crème de la crème del clero cattolico scozzese!” scherzò lei, ricambiando però il bacio a fior di labbra che le diede. “Ormai abbiamo il placet, no? …e forse tu lo sai meglio di me, o sbaglio?” “Sì, beh, io e lui abbiamo fatto un paio di chiacchierate, ma niente di che. É simpatico!” “Qualche mese fa non mi sembravi dello stesso parere… l’avresti scorticato!” “Sì, vero, ma l’ho rivalutato… Eminenza!” disse poi Elaine rivolgendosi all’alto prelato che si era avvicinato a lei, cercando nel contempo di saltare giù un po’ goffamente dal tavolo dove era sempre rimasta. “Stia pure, signora Kincaid.” “Elaine, la prego. Non stia a formalizzare. Ah ecco, Eminenza, le volevo presentare la mia cara amica Janet… Janet!!” la chiamò a gran voce, incitando l’amica ad avvicinarsi. L’occhiataccia che Janet le mandò fece sorridere sotto ai baffi Andrew, che ben sapeva l’allergia che aveva Janet per le tonache. Ma lo scambio di battute tra i due fu molto amichevole, anche se Janet cercò di allontanarsi il più presto possibile con una banale scusa. 328


La festa continuò allegramente per un po’, tutti si fermavano a parlare con Andrew, ognuno di loro con una proposta o con un suggerimento per il nuovo Centro di Andrew, che prometteva di tener conto di qualsiasi parere o consiglio che, al momento, sembravano vitali e assolutamente necessari a quell’uomo ancora a dir poco disorientato. Ma quando poi tutti iniziarono a chiedergli quando avrebbe avuto intenzione di far partire concretamente il progetto, allora Andrew prese la parola, zittendo tutti gentilmente. “Era ora che dicessi qualcosa” gli sussurrò Elaine. “Ma ti diverti?” le chiese con sarcasmo Andrew. “Non sai quanto!” Andrew cercò di ignorarla. “Vi ringrazio tutti, ma in particolare ringrazio Padre James e, naturalmente, Elaine. So che dopo tutto il lavoro che hanno e, credo, avete fatto, siete ansiosi di mettere un inizio a questo progetto, ma al momento mi sento un po’ spiazzato e credo di aver bisogno di un paio di giorni di tempo per capire meglio tutto quanto. Oggi è martedì, mi rendo disponibile per una riunione un po’ più seria di una festa di compleanno, con chiunque di voi” e fece ruotare lo sguardo di 180 gradi soffermandosi su ogni viso sorridente che aveva intorno, ”sarà disponibile ad aiutarmi, diciamo… sabato sera? 329


Qui, visto che ormai ho le chiavi! E già da ora vi dico che in queste cose non è importante solo la quantità di tempo, ma bensì la qualità del tempo che vorrete mettere a disposizione di questo… luogo… non so ancora come chiamarlo… anche se, forse, miracolo andrebbe più che bene.” “Giusto!” si intromise Nicholas a gran voce, “Miracolo! Perché non lo chiami così, ‘sto posto, Andy?” Dalle persone riunite intorno ad Andrew si alzò un leggero mormorio : la proposta di Nicholas non era male. Andrew si voltò verso le uniche due persone che aveva di spalle e che non aveva potuto guardare prima, mentre parlava: Elaine allargò le mani come per dirgli che l’idea poteva andare, e Padre James accennò ad un sì con la testa. Ma fu più veloce l’ospite più importante della serata. “Mi sembra che questo giovanotto abbia avuto davvero un’ottima idea, Andrew!” disse l’Arcivescovo avvicinandosi a Nicholas e mettendogli una mano sulla spalla. Tutti annuirono e diedero la loro approvazione. “Bene!” disse allora Andrew ”Le cose sono sempre più semplici di quanto si pensi!” Prese un bicchiere di spumante e invitò tutti ad imitarlo. 330


“Al nuovo Centro Il Miracolo!” proclamò alzando il calice. Tra gli applausi generali e mentre l’Arcivescovo di Glasgow stringeva la mano a Nicholas, Elaine si girò verso Padre James, anche lui intento a godersi la scena e ad applaudire. Lo toccò sul braccio. “Che c’è, Elaine?” le chiese. “Ora, Padre James, non vorrei mai dire, ma non è che mi stia immanicando troppo col Clero, negli ultimi tempi?” La fragorosa risata di Padre James dava ormai il grado di quanto rilassante e amichevole fosse la serata e di come proseguì per le due successive ore.

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Una settimana dopo il giorno del suo compleanno, Andrew sedeva sul divanetto dell’ufficio di Elaine, un po’ meno frastornato di quanto non lo fosse quel memorabile giorno, con le idee un po’ più chiare in testa, ma consapevole che le sorprese non erano ancora finite. “Quindi, quando hai deciso di aprire?” gli stava chiedendo Elaine, seduta alla scrivania e intenta a firmare un po’ distrattamente dei documenti. Mancava ormai poco tempo alla nascita di Lizzie, un mese e mezzo, e cominciava ad avere voglia di starsene a casa tranquilla a fare tutte quelle piccole cose che ogni futura madre ha bisogno di fare e che solo una futura madre sa di dover fare. Bruce Hamilton era pronto a fare ancora le sue veci per tutto il tempo in cui Elaine sarebbe rimasta in maternità, ma lei sapeva di dover lasciare tutto in 332


perfetto ordine anche a scuola, e possibilmente con il minor numero di fastidi per Bruce, che comunque avrebbe continuato ad insegnare matematica alle secondarie. Janet era stata nominata d’ufficio sua stretta collaboratrice, quindi Elaine avrebbe potuto già lasciare a loro tutto l’ambaradan, ma, tutto sommato, la forma fisica era ottima, le forze non mancavano di certo, quindi, perché mai non fare ancora qualche ora di quel lavoro che le piaceva tanto? “Pensavo tra una decina di giorni… a meno che questo incontro che mi hai fissato per oggi con questa persona che dici che mi stupirà molto, oltre che servirmi, non cambi le cose” rispose Andrew. “Ciao!” Dalla porta entrò una Janet allegra e gioviale come non lo era da mesi. “Bussare mai, tu, eh?”chiese Elaine ridendo. “Ma figurati!” rispose Andrew al posto di Janet. “Ho interrotto qualcosa? Non mi sembra. Vi stavate forse baciando? Non mi sembra. Quindi, visto che tra qualche giorno questo ufficio sarà per metà anche mio, non mi pareva il caso di fare tanti salamelecchi” fece loro notare Janet. “Non fa una piega!” constatò Andrew. 333


“A che ora arriva?” chiese Janet, così Andrew capì che anche lei era al corrente del misterioso (ma solo per lui, a quanto pareva) visitatore che sarebbe arrivato di lì a poco. “Dovrebbe arrivare tra un quarto d’ora” rispose Elaine consultando l’orologio. “Bene! É un bel po’ di tempo che non lo vedo!” affermò Janet. “E, tanto per cambiare” si intromise Andrew, “l’unico rimbecillito che non sa niente di niente sono io. Elaine, mi devi promettere una cosa, e che Janet mi sia da testimone” “Cosa?” chiese “Non mettermi in mezzo” ci tenette a precisare Janet. “Mi devi promettere, anzi, giurare” e rimarcò molto l’ultima parola ”che questa sarà l’ultima, ma proprio l’ultima ‘sorpresa’, come le chiami tu, che mi farai“ chiese quasi supplicando Andrew. “Non posso, Andrew” disse Elaine. “Oh sì, che puoi, cavolo! Devi potere, non ce la faccio più!” “Beh, se intendi sorprese per quanto riguarda il tuo Centro Aiuti, sì, va bene, ti prometto che questa è l’ultima sorpresa. Per il resto non garantisco, perché anche se il termine della gravidanza è il 31 334


ottobre, non so davvero quando tua figlia deciderà di nascere, quindi sarà una sorpresa” gli spiegò Elaine. Andrew, al quale ormai si illuminava lo sguardo tutte le volte che si nominava sua figlia, tirò un lungo respiro. “Mi basta aver sentito le parole ‘per quanto riguarda il Centro Aiuti’, tutto il resto non conta. L’hai sentita, vero, Janet?” “Sì, sì, tranquillo, poi fidati, tra un po’ avrà ben altro a cui pensare. Io invece posso chiedervi un piacere?” “Certo” risposero praticamente all’unisono Elaine ed Andrew. “Potreste tenere Josh stasera a cena e magari anche a dormire?” Elaine ed Andrew si guardarono di sottecchi, ed Elaine, che non si era mai fatta alcun tipo di problema con l’amica, non ci pensò due volte a esternare la domanda che era balenata nella loro testa in simultanea. “Dipende… hihihi… con chi devi uscire? Non hai una riunione col Club dell’Uncinetto, stasera?” Il Club dell’Uncinetto era stata una battuta ricorrente tra le due amiche al tempo del divorzio da Christopher, e stava ad indicare quanta poca vita sociale faceva Elaine in quel periodo; era 335


ritornata in auge con la separazione di Janet quando, superato il trauma iniziale, aveva trovato la forza di cominciare a scherzarci sopra. “Nooo, niente Club dell’Uncinetto… lo lascio a te, visto che tra università, Centro Aiuti ecc. ecc., voglio vedere quanto tempo rimarrà a casa con te questo bel tipo” rispose Janet, eludendo la domanda dell’amica e indicando con un dito Andrew. “Il bel tipo è presente e non sa di cosa state parlando” fece notare Andrew. “E non deve saperlo” disse di rimando Elaine, tornando però alla carica con Janet. “Allora? Se mi rispondi Josh viene da noi, in caso contrario contatta suo padre, per il babysitteriato…” “Che sporco e vile ricatto!” “Allora?” insistette Elaine. Janet guardò prima uno e poi l’altra dritto negli occhi, con un gran sorriso che stava nascendo sulle labbra. Poi si decise. “Ok. Bruce.” L’alzata di sopracciglia di Elaine fu molto eloquente, tanto quanto quasi il ‘EH?’ di Andrew. “Hamilton?” chiese attonita. 336


“Hamilton” confermò Janet. “Ma… non dico che ti è sempre stato un po’ sul culo, ma più o meno sì… o sbaglio?” “Più o meno… ma in verità non è poi così male. Bisogna conoscerlo a fondo, per capirlo bene.” Il sorriso di Janet si stava facendo un po’ sornione. “Quanto ‘a fondo’?” si intromise Andrew. Janet lo guardò stranita. “Hai bisogno che mi confessi?” “Janet? Ricordi? Rinuncia dei voti?...” “Oh già. Cavolo, mi piacevi talmente tanto prete, che non me ne faccio ancora una ragione” lo prese apertamente in giro Janet. “Seriamente, Janet” decise Elaine. “Ok, seriamente. Sì, è Bruce Hamilton, sì mi stava sul culo ma non più, sì c’è qualcosa tra me e lui, ma è ancora talmente tanto allo stato embrionale che, fossi in voi, non comincerei a farmi tutti i film sdolcinati in testa, per di più che non sono Meg Ryan e tantomeno lui Hugh Grant! Usciamo stasera, andiamo a cena, magari facciamo una scappata al pub dopo cena, e poi vediamo” chiarì alla fine Janet.

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“Cavolo, ‘sta frase l’ho già sentita” commentò Elaine. “Pure io, il Natale scorso” ribatté prontamente Janet. “Colpita e affondata, Janet. Va bene, portami Josh all’ ora che vuoi” accettò Elaine. Andrew sorrideva divertito. “Mi piace questa cosa. Mi piace molto” disse. “Cosa, di preciso?” chiesero le due amiche. “Questa allegria, questo stuzzicarvi come non facevate da un bel po’ di tempo… forse possiamo avere solide speranze che tutto vada a posto, non è così?” “É così, fidati. L’happy end ce lo meritiamo!” affermò Elaine, proprio mentre si sentì un leggero bussare alla porta. “Avanti!” disse Janet avviandosi verso la porta. Apparve un ragazzone coi capelli rossi e il viso pieno di lentiggini, un gran sorriso stampato sulla bocca e luminosi occhi azzurri, che abbracciò Janet. “Ehilà, Tommy!!” esclamò Janet dandogli pacche sulla schiena.

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“Ciao Janet! Direttrice…” disse poi un po’ impacciato rivolgendosi ad Elaine, che si alzò e si diresse verso di lui a braccia aperte. “Ma che direttrice, va là! Allora, come stai?” chiese abbracciandolo. Andrew era un po’ sconcertato da questo scambio di allegre cerimonie, ma un guizzo di intuizione gli balenò negli occhi. Era anche lui in piedi al centro della stanza, scrutando, ricambiato, il nuovo venuto, il cui sorriso si stava ulteriormente allargando. “Tommy?? Tommy McBride??!!” chiese, sapendo già che la risposta sarebbe stata affermativa. “Eh, sì… e ora come ti devo chiamare, scusa? Io ero abituato a ‘padre Andrew’, ma adesso?” Andrew si ricordava benissimo di Tommy McBride, il pestifero ragazzino che frequentava le elementari ai tempi della sua prima storia con Elaine, quando entrambi erano insegnanti alla Queen Mary’s. Se lo ricordava iperattivo, piantagrane, sempre pronto a tirare calci al pallone e a interrompere le rare conversazioni tra lui ed Elaine durante le pause e gli intervalli. Quante volte l’avrebbe voluto mandare via a calci nel sedere! Invece l’aveva sempre trovato così incredibilmente spontaneo che finiva sempre per lasciare Elaine per parlare o giocare con lui. 339


E ora eccolo lì, una spanna più alto di lui. “Andrew andrà benissimo” gli disse strizzandogli un occhio. “Quindi saresti tu l’ospite misterioso di oggi?” chiese poi. “Sì, proprio io” confermò Tommy. “Direi che vi potete sedere tranquillamente, così ti spieghiamo, Andrew” propose Elaine. “Ok, sono proprio ansioso di sapere tutto, ora!” “Parli tu o parlo io, Tommy?” chiese Elaine. “Vai, Elaine, parla tu” disse il ragazzo. “Bene. Un mesetto fa, parlando con Janet, ci è venuto in mente che Tommy, il nostro allievo più scapestrato ma anche quello che poi si è fatto più onore crescendo, proprio l’anno scorso ha ottenuto il Master in Sviluppo della Comunità all’università di Glasgow, a pieni voti. E lì ci è venuto il flash che molto probabilmente avrebbe potuto esserci… scusa, esserti utile nell’organizzazione e nella gestione del tuo Centro Aiuti. Quindi mi sono permessa di contattarlo e di illustrargli un po’ il progetto, e devo dire che la risposta è stata pronta ed entusiasta.” “Vero” si intromise Tommy, “purtroppo non ho potuto partecipare all’inaugurazione perché ero a fare un corso in Inghilterra, ma ora eccomi qui, pronto a cominciare!” 340


“Eh… dici bene tu…” intervenne Andrew un po’ sconsolato, “incominciare è la parola giusta! Per ora ci sono un sacco di idee, un sacco di persone che si stanno offrendo volontarie, un sacco di roba che sta arrivando, vestiti, cibo e quant’altro, ma in realtà nulla di preciso, nulla di organizzato, nulla di ben definito, purtroppo” confessò Andrew, ammettendo così anche un po’ la confusione iniziale in cui girava al momento il Centro Aiuti. “Ma hai già aperto?” chiese Tommy. “No, purtroppo. Ma la mia intenzione sarebbe di aprire e avere tutto ben predisposto e funzionante prima che…” guardò Elaine “prima che nasca la bambina, perché non ho intenzione poi di trascurarla, o di aver poco tempo a disposizione per lei. Per loro” si corresse poi subito. Il sorriso di Elaine era disarmante, tanto che anche Tommy si lasciò coinvolgere in questo quadretto familiare, finendo poi per dare il suo punto di vista. “Hanno detto un sacco di cose su di voi, e non tutte piacevoli. E figuratevi che io le ho sentite stando in Inghilterra… mia madre era rimasta un po’ perplessa, dopo averlo saputo, ma era anche molto arrabbiata con chi vi dava contro. Posso dirvi una cosa?” chiese quasi con imbarazzo. “Dì quello che vuoi, Tommy” concesse Elaine. Lui era però un po’ titubante. 341


“Nonostante questo rapporto di amicizia che c’è ora, io con voi mi sento sempre un po’ il bambino delle elementari a cui insegnavate. Ma… vorrei dirvi che quando avevo otto anni e vi vedevo chiacchierare e ridere seduti sulla cattedra, o fuori in cortile, mi sarebbe piaciuto vedervi sposati” arrossì abbassando il viso, “e quando lo dicevo alla mamma, mi rispondeva sempre che non sarebbe mai stato possibile… e ne rimanevo sempre deluso. Ma adesso è successo, e quando me l’ hanno detto… beh, ecco…” “Forza Tommy, Andrew.

sputa

il

rospo”

lo

incoraggiò

“Beh, io ho fatto un gran salto di gioia e ho esultato come un matto!” Il rossore era salito alle stelle, mentre Andrew ed Elaine ridevano di gusto, immaginando quel pezzo di ragazzo saltellare qua e là, felice per loro. Janet aveva assunto invece la parte della polemica per forza: “Bella roba, Tommy, cavolo, tu non sai in che casini hanno messo tutti quanti!” disse seria. “Oh, Janet, non mi sembri messa meglio, ultimamente” azzardò Tommy arrossendo ancora di più, se possibile. Un gelido silenzio avvolse l’ufficio di Elaine per dei lunghi secondi. 342


“Touché” commentò poi Janet, riportando le risate. “Grande Tommy, vedo che non hai perso la tua impagabile sincerità!” gli disse Andrew. “Quindi” continuò poi, “giusto per capirci meglio, che ne dici di scendere al Centro Aiuti a dare un’occhiata? Così ti rendi conto in prima persona e decidi se ci vuoi davvero mettere mano.” Tommy accettò, e dopo alcuni saluti non meno cordiali dei primi, i due uomini uscirono parlando rumorosamente, già tornati amici (Elaine ricordò con dolcezza tutte le volte che Tommy si era rivolto ad Andrew tirandogli la tonaca e chiedendogli ‘ma tu sei mio amico?’ con la tipica semplicità dei bambini), nonostante il tempo e i cambiamenti. L’ufficio sembrò vuoto all’improvviso. “Happy end, Elaine?” chiese Janet sedendosi come al solito sulla scrivania. “E perché no, Janet?” “Già, perché no? Le cose cambiano, ma non è detto che non debbano prendere una buona strada” commentò Janet con un velo di malinconia nella voce. Elaine chiuse gli occhi e si sentì improvvisamente molto stanca. “Ve la sentite di iniziare a prendere le redini della scuola, tu e Bruce?” chiese. 343


“Direi di sì. E tu mica parti per il Polo Sud, no? Il tuo cellulare è sempre raggiungibile, se dovessimo aver bisogno di qualcosa.” “Vero. Allora da domani è tutto vostro” annunciò. “Va bene. Vai a casa, e restaci, è ora che tu lo faccia. Pensa a te, a Nicholas, alla tua bambina. Goditi questi giorni di pace e serenità prima di iniziare un’altra volta con pannolini e biberon. Te lo meriti, Elaine, te lo meriti davvero. Sei stata una roccia” disse Janet andandola ad abbracciare. “Sì. E se non mi fermo davvero, ho paura che mi sgretolerò. È ora di mettere uno stop e tirare le fila di questo lungo periodo. Vado a casa, Janet. Vado a casa mia, con mio figlio, il mio uomo e il mio cane. Grazie.” “Ti porto Josh” le disse Janet con una strizzata d’occhi. “Ti aspetto.”

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44

Quell’anno la Scozia stava scivolando in modo particolarmente dolce nell’autunno. Il freddo arrivava senza bruschi sbalzi di temperatura, e le notti coloravano le foglie di giallo e rosso, così che ogni mattino la natura potesse regalare nuovi intensi tocchi di colore al buio che cominciava ad irrompere, quel buio che presto avrebbe predominato per parecchie ore al giorno. Elaine dedicava ogni giorno molto tempo alla casa, riordinando, pulendo, facendo in modo che tutto potesse essere pronto per l’arrivo di Lizzie, e lo fece fino a che la casa non fu completamente linda, profumata e perfetta. Per ora aveva fatto un po’ di spazio in camera di Nicholas per il fasciatoio, ma aveva preferito mettere la culla nella camera sua e di Andrew, per avere più a portata di mano la piccola durante le ore notturne. 345


Cucinava dolci e gustose cenette per i due uomini di casa che gradivano sempre molto, andava a spasso con Burp nel parco e si godeva la pace ed il silenzio nelle ore in cui era sola in casa. I mesi passati erano stati teatro di molti avvenimenti, a volte incalzanti, e ora, mentre sfaccendava per casa o passeggiava, aveva tanto tempo per ripensarci. Aveva quarant’anni, un matrimonio fallito alle spalle, un figlio di nove anni, una carriera che all’interno della Queen Mary’s School non poteva certo andare oltre ma che la soddisfaceva completamente. Una donna avrebbe anche potuto decidere di aver raggiunto un periodo di stabilità, un periodo in cui ci si poteva fermare per consolidare quello che era il presente. Invece no. Invece, un po’ per sua spontanea volontà, un po’ per gli strali del destino, si stava rimettendo in gioco: una nuova convivenza (anche se era quella che in cuor suo aveva sempre desiderato), una bambina che stava per nascere con tutto quello che ne scaturiva (pannolini, carrozzine, poppate, magari notti insonni e quant’altro), il dover ancora una volta far coincidere lavoro e casa, e sicuramente meno, ma molto meno tempo per se stessa… cosa che, da quando Nicholas era cresciuto un po’, era quello che aveva apprezzato di 346


più tra ciò che aveva riguadagnato nel momento stesso in cui aveva riposto ciucci, passeggini e lettini nel locale sopra il garage. Ora, ristrutturato e rimesso a nuovo come studio di Andrew, era proprio quel locale che la faceva sentire più in pace con se stessa: spesso Elaine si accoccolava nella poltrona che vi avevano messo e, chiudendo gli occhi e beandosi della pace interiore che sentiva, pensava, sognava, progettava il futuro, con la compagnia di Burp che ormai la seguiva passo dopo passo, senza mai perderla di vista, come una fedele guardia del corpo. Riflettendoci, sapeva di essere proprio felice… felice degli sconvolgimenti dell’ultimo anno, felice dei cambiamenti che erano arrivati e che sarebbero arrivati, felice di aver dovuto affrontare tanti problemi e di essere riuscita a superarli… forse non ancora tutti, ma una gran parte. In fondo ne aveva messe a posto, di cose, in quegli ultimi mesi! Nicholas si era ripreso completamente dal trauma di averla vista quasi morta in un letto di ospedale e, ora che i rapporti tra lei e suo padre erano più rilassati, era diventato un bambino ancor più aperto e gioviale, con un impagabile senso dell’umorismo che spesso faceva scoppiare in grandi risate Elaine ed Andrew, anche nei momenti più inaspettati. 347


La convivenza con Andrew gli aveva fatto esplodere un intenso amore per lo studio e i libri, e dedicava con più passione il tempo a compiti e lezioni, alternandolo con l’amore per la musica che gli aveva passato suo padre, il sempre caro gioco del calcio, e il nuoto, suo sport preferito. Quando si soffermava nella sua camera, prima di dormire, per fare quelle lunghe chiacchierate che tra loro erano un’abitudine ormai consolidata da tempo, aveva modo, parlando con lui, di capire che era davvero un bambino molto sereno, nonostante quello che aveva già dovuto sopportare nella sua breve e giovane vita. Il suo ex-marito Christopher, che fino a qualche mese prima aveva sempre rovinato i pochi stralci di vita che avevano ancora in comune, era ritornato ad essere la persona che aveva conosciuto e che le aveva fatto prendere la decisione, nonostante tutto, di sposarlo e avere un figlio con lui. E che dire di Andrew? Inutile parlarne ancora, forse. Negli ultimi tempi lo vedeva davvero luminoso e in grande forma, sia fisica che mentale. La cattedra di storia all’Università lo appassionava e il progetto del Centro Aiuti si era pienamente messo in funzione, anche grazie all’entusiasmo e alle tante idee scaturite dalla mente di quell’ impagabile ragazzo che era Tommy. 348


I volontari si alternavano giorno dopo giorno, prendendo confidenza con le varie realtà che incontravano: senzatetto, madri single, qualche clandestino, ma soprattutto anziani bisognosi di assistenza o magari solo di calore umano. Durante il giorno si distribuivano capi di vestiario e cibi caldi (Tommy addirittura era riuscito a recuperare un vecchio e scrostato furgoncino Volkswagen, malandato ma perfetto per consegnare pasti caldi a un paio di anziani in sedia a rotelle che a stento riuscivano a muoversi da casa); la sera, due o tre volontari a turno, accoglievano nelle due stanze che fungevano da dormitorio una decina di senzatetto, non più costretti a rifugiarsi nella stazione della ferrovia per trovare un posto tiepido dove passare la notte. Tommy e Andrew prevedevano che, con l’ arrivo dell’ inverno, il numero sarebbe aumentato… già si stava spargendo la voce, del Centro Aiuti ‘Il Miracolo’ di Andrew McPherson e Tommy McBride! I parrocchiani di St. John, stimolati dal caloroso incoraggiamento di Padre James, stavano rispondendo con entusiasmo al progetto: procuravano viveri e vestiario, a volte presi direttamente dalle aziende produttrici, altre semplicemente dalla loro buona volontà e dal loro buon cuore. Le signore in pensione (che Andrew aveva già soprannominato le allegre comari di Windsor, e per giunta con il loro beneplacito) facevano a turno per cucinare, pulire il centro, distribuire, riparare e rimettere in ordine i vestiti donati… e chi più ne ha più ne metta. 349


Andrew e Tommy, pieni di coinvolgente entusiasmo ma soprattutto pieni di buonumore, avevano supervisionato tutti i movimenti fin dal primo momento, e poi, vedendo che le cose cominciavano ad ingranare bene, avevano imparato l’arte di chi sta al vertice: la delega dei vari compiti alle persone più affidabili, e così, rimboccandosi le maniche, si erano inseriti nei turni e avevano cominciato a fare la loro parte di lavoro. Anche Elaine partecipava abbastanza attivamente, e, in previsione dell’arrivo di Lizzie, aveva preso in carico insieme a Janet il lato meramente burocratico dei registri contabili e del registro delle scorte di magazzino, un lavoro che era stato agevolato grazie a dei vecchi computer che giacevano inutilizzati nelle cantine della scuola e rimessi in funzione gratuitamente da un paio di amici di Tommy esperti in informatica. Ciò le permetteva di stare comodamente seduta, di andarci quando trovava il tempo e, soprattutto, di fare quelle lunghe chiacchierate con Janet che le erano mancate tantissimo negli ultimi mesi, prese com’erano entrambe con i loro problemi personali, Spesso, dopo aver aggiornato i vari files, sedevano davanti ad un tè e, mentre Nick e Josh aiutavano chiunque fosse di turno (piccoli compiti che li rendevano molto orgogliosi), parlavano e ridevano come non facevano da tempo. Janet stava lasciandosi alle spalle la brutta faccenda della separazione, aveva ritrovato il 350


buonumore e l’ironia, e, come diceva lei, tutto questo ‘grazie a Bruce, su cui non avrebbe puntato un penny un mese prima’, e che invece si stava rivelando un uomo pieno di attenzioni e talmente dolce da ‘scatenare, a volte, crisi di diabete’… diceva ridendo e facendo finta di esserne quasi infastidita. Ma Elaine non ci cascava. Sapeva quanto faceva piacere ricevere qualche coccola in più… Andrew era sempre pieno di attenzioni per lei, e la faceva sentire la donna più desiderata e più bella del mondo, anche ora che, con quel pancione, non aveva nulla di affascinante o di attraente. Quindi, tutto filava liscio, finalmente. O quasi. C’erano solo un paio di cose che non si volevano assestare. La prima era il gelo di mamma McPherson: papà Vincent la chiamava spesso dalle Highlands, per scambiare due cordiali chiacchiere, ma finiva sempre con la frase ‘niente di nuovo dal fronte, che ormai stava a voler dire che mamma McPherson rimaneva sempre molto sulle sue. La seconda non era mai stata per Elaine un grande cruccio, soprattutto da quando era entrata in 351


contatto e nelle grazie dell’ Arcivescovo di Glasgow, ma da un po’ ci pensava parecchio. Lizzie stava per nascere, e le sarebbe piaciuto che potesse essere tutto fatto nella perfetta legalità; non che cambiasse nulla, in realtà, ma ci pensava. Ogni giorno attendeva con ansia l’arrivo della posta, ma… Da Roma ancora non si muoveva nulla e della tanto attesa notifica che attestava che Andrew poteva ritenersi sciolto dai vincoli sacerdotali non c’era traccia.

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Il giorno di Ognissanti il freddo la faceva da padrone, a Broxburn. Aveva graziato, la sera di Halloween, i bambini in maschera impegnati nel tradizionale ‘scherzetto o dolcetto’, ma nella notte era sceso un vento prepotente dal nord della Scozia e la brina aveva rivestito alberi e campi con una candida coperta. Elaine si era svegliata molto presto e con uno strano diffuso malessere. Nicholas ed Andrew dormivano ancora e lei, avvolta da un soffice piumino, si era diretta in cucina a farsi un buon tè caldo. Sentiva dentro di sé la bambina un po’ inquieta, e ogni suo movimento le schiacciava un po’ lo stomaco e le premeva un po’ sulla schiena. Andrew la sorprese così, mentre sorseggiava il tè e ogni tanto sbuffava. 353


Si soffermò sulla soglia della cucina, sorridendo. “Stai bene, amore?” le chiese facendola un po’ sobbalzare. “Sì… sì, abbastanza” rispose ricambiando il sorriso. A piedi nudi e con indosso solo una maglietta e i pantaloni della tuta, Andrew si diresse verso di lei e l’avvolse nel suo caldo abbraccio. “Ma tu non hai mai freddo?” ridacchiò Elaine, volgendo lo sguardo ai piedi di lui, “guarda fuori che roba tremenda, oggi!” Andrew scostò le tende della finestra e guardò fuori dai vetri un po’ appannati. “Wow! Qualcuno ha portato le Highlands nel Lothian!” “Veramente! Cavolo, speravo aspettasse ancora un po’ ad arrivare” commentò Elaine. Andrew si sedette vicino a lei, versandosi una tazza di tè ancora fumante. “La mia Lizzie ha geni delle Highlands, sopporterà bene, vedrai!” disse Andrew.

lo

“Vero… ma tu potevi rimanere a letto ancora un po’, sono solo le sei e mezza” gli disse Elaine. “E tu invece cosa ci fai qui?” chiese retoricamente lui dandole un lieve bacio. 354


“Sai?” continuò poi “Ho avuto il flashback della mattina in cui avevi scoperto di essere incinta e non mi avevi ancora detto niente, la domenica mattina prima …” tentennò un po’ prima di proseguire e la voce gli tremò un poco. Elaine continuò per lui. “La mattina prima dell’incidente. Perché ancora non riesci a parlarne serenamente? È tutto passato, no? Hai sentito anche tu il dottor Morrison, questa settimana. La testa è a posto, le costole sono perfettamente ristabilite, posso partorire senza problemi.” Forse il tono di Elaine era stato un po’ brusco. “Ehi, calma! Lo so, c’ero e ho sentito tutto. Ma tutte le volte che penso a quel giorno, ancora mi vengono i brividi, non posso farci niente, scusa” si giustificò lui. “Ci credo… beh, in effetti qualche volta succede anche a me. Scusami tu, oggi mi sento tesa come una corda di violino, e ho questo freddo nelle ossa che non mi passa.” “Vieni qui” le disse Andrew mettendosi dietro la sua sedia, avvolgendola con le sue braccia e facendole posare la testa sul suo torace, “che c’è? Sei stanca?” “Sì, un po’. Mi sento ingombrante, goffa, impacciata. E in questi giorni continua a venirmi in mente il parto di Nicholas e comincio ad avere un po’ di strizza” confessò Elaine. 355


Gli occhi le si erano riempiti di lacrime che cercò di scacciare prima che Andrew se ne accorgesse. Ma non fu abbastanza veloce. “Ehi, ehi, ehi! Che succede? Dov’è la mia donna di granito?” le chiese con dolcezza Andrew. “Scusami” rispose Elaine, passandosi una mano sugli occhi e tirando un po’ su col naso “Sono stanchissima. Non so se ce la farò.” “A fare cosa? A partorire?… ad avere cura di nostra figlia?... a essere la solita forte ed esuberante Elaine?... io dico di sì, io dico che ce la farai.” Andrew la fece alzare dalla sedia della cucina, la accompagnò in salotto e l’aiutò a mettersi seduta sul divano. La coprì bene col piumino, recuperò le tazze in cucina e si mise accanto a lei. Il tutto mentre Elaine non smetteva di lacrimare. “Dai, Lennie, piantala! È tutto a posto, no?” Le avvolse le spalle con il braccio, se la strinse al petto e la sentì borbottare qualcosa da sotto il piumino che l’aveva sommersa: “mmbfo” o qualcosa di molto simile. “Non bofonchiare, Lennie. Cos’era quella cosa?” chiese lui ridendo. Elaine riapparve. “No. Era un no. Perché non è tutto a posto.” 356


“O santo cielo. Sono dieci giorni che te ne vai in giro fiera e orgogliosa, e tirandotela mica male, dicendo a destra e a manca che non ti sei dimenticata di fare nulla, che è tutto a posto, ogni benedetto giorno controlli la borsa dell’ospedale, ciucci, culle, biberon, pannolini, c’è tutto qui, tutto a posto là, tutto fatto giù e su… e ora dici di no! Allora?” “Ma sì, quello è tutto a posto.” “Ok, quello è tutto a posto. Quindi?” L’unica risposta fu un’altra tirata di naso. “Quindi?” insistette Andrew. “Tu sei ancora un prete, cazzo” sbottò finalmente. Lo sbuffo di Andrew fu molto sonoro. “Fai finta di no. Mica è colpa mia.” le disse. “Ma come faccio? E poi metti caso che non arrivi la notifica, intendo mai, che non ti permettano di lasciare la Chiesa, che…” “Ohi! Stop, per favore. Stai perdendo il senso della realtà. Per fortuna sei diventata culo e camicia con l’Arcivescovo. Ma ti senti? Secondo te, durante tutti questi mesi, nessuno ha informato Roma che tu aspetti un figlio mio? Ti sembra una persona così idiota, il caro amico tuo e di James? Non credo proprio. Sarebbe ben peggio tenere nella Chiesa un prete con un figlio, che rinunciare ad un sacerdote, non ti sembra?” 357


“Sì” ammise Elaine. “E allora? I tempi sono lunghi, lo sapevo e lo sapevi pure tu. Arriverà, fidati.” “Va bene. Ma non è tutto a posto lo stesso” piagnucolò Elaine. Per Andrew sarebbe stato uno choc trovarsi di fronte una donna così stordita e frignona, se non avesse saputo che gli ormoni fanno brutti scherzi e se non avesse avuto modo già da qualche settimana di sperimentare le lacrime improvvise e senza senso di Elaine. Si armò di santa pazienza. “Va bene, non è tutto a posto lo stesso. Dimmi.” Elaine si scostò un po’ da lui, e gli si rivolse molto seriamente, con un tono quasi apocalittico. “E se tua madre non ti parlasse mai più per causa mia?” Andrew ricambiò per un lungo momento lo sguardo serissimo di Elaine. “E se tu la piantassi di dire stronzate, questa mattina?” Questo gli fece guadagnare un pugno sul bicipite. “Non sto scherzando, Andrew!”

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“Nemmeno io. Quindi… e se mia madre non mi parlasse mai più per causa tua? Pazienza. Che ci potrei fare? Nulla.” “Ma come fai a dire così, come fai a essere così tranquillo? Ma ti sembrerebbe una cosa bella?” La raffica di domande di Elaine si interruppe solo grazie ad un dito di Andrew che le chiuse la bocca. “Basta, Lennie, per favore. La notifica arriverà e mia madre mi parlerà ancora. Basta angosciarti con questi problemi che al momento per me sono marginali. Sta per nascere nostra figlia, tu pensi che il mio pensiero di oggi vada a Roma o a mia madre? No, cara, proprio no. Va solo in una direzione: sto aspettando solo di poterla vedere e toccare, stringere te e lei tra le braccia, e il resto non mi provoca la minima preoccupazione, credimi. Smettila anche tu di tormentarti per delle cose che solo un mese fa ripetevi che si sarebbero messe a posto. O ci credi ancora, o posticipi il problema di qualche giorno, meglio. Ok? Dai su, vieni qui.” Andrew le diede un profondo bacio. “Mi manca…” le disse con voce roca e sguardo perso. “La mamma? ecco!” disse Elaine col tono del ‘vedi che avevo ragione a preoccuparmi’. Andrew invece in quel momento pensò che una donna che stava per partorire si poteva trasformare 359


in un essere sconosciuto e ammise la propria sconfitta davanti alla mente femminile. “Il sesso, Lennie, non la mamma” disse totalmente sconsolato, mentre una risata gli stava salendo dalla gola. Il contrito ‘oh, scusa’ di Elaine la fece definitivamente uscire, talmente coinvolgente che anche lei si mise a ridere, mischiando lacrime di preoccupazione a lacrime di buonumore. Nicholas li trovò così, e li guardò un po’ stranito. “Mamy? Che succede?” chiese, vedendo ancora qualche lacrima uscire dagli occhi di Elaine “stai male?” “Cucciolo, no! Vieni qui con noi!” disse allargando le braccia e cercando, con un po’ di fatica, di scostarsi da Andrew per fare spazio al figlio. “Donne, Nick! Stanne alla larga quando stanno per avere un bambino!” scherzò Andrew. “Sto bene Nick” lo tranquillizzò Elaine, “sono solo un po’ affaticata dal pancione e dal peso di tua sorella.” “Ah bene. Ho fame, e stamattina vorrei una cioccolata” disse il bambino andando sul pratico. “Te la scordi, con tutte le schifezze che hai già mangiato ieri sera!” lo redarguì Elaine. 360


“Uffaaaa!” “Facciamo così, ragazzone… se la mamma è d’accordo… facciamo colazione con un bel tè che lava via tutti i dolci di ieri sera, poi io e te ci inventiamo qualcosa mentre lei se ne sta ancora un po’ nel letto a riposare, e dopo nel pomeriggio si va a Edimburgo al Fountain Park: cinema e pizza! Che ne dici?” “Io dico di sì! Mamy?” chiese Nicholas già eccitato alla prospettiva. Elaine stortò un po’ il naso. “Non so…” disse. “Scusa, cosa vorresti fare?” chiese Andrew. “Partorire, possibilmente” rispose. “Pensi che possa succedere oggi?” “Che ne so, non credo. Sì. Boh.” “Allora l’alternativa è cinema e pizza. Se vuoi mettiamo la valigia dell’ospedale in macchina, così se succede ci andiamo, e risparmiamo anche benzina, visto che siamo già a Edimburgo” organizzò Andrew, mettendola un po’ sull’ironico, per farle passare la crisi. Finalmente Elaine si decise ad accantonare paure e preoccupazioni ancora per qualche ora e il suo sorriso fu sincero e spontaneo. 361


“Ecco, questa sì che è una buona idea!” “Bene, deciso?” chiese Andrew. “Deciso” confermò Elaine. “Yeah!” sigillò Nicholas.

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Nessuno di loro andò al Fountain Park, il giorno di Ognissanti. Nicholas fu portato in fretta e furia appena prima di pranzo da Janet, e sempre in fretta e furia Elaine fu portata in ospedale da Andrew. Verso le dieci di quel freddo mattino iniziò a sentire delle lievi contrazioni, dopo un’oretta le si ruppero le acque e dopo un’altra mezz’ora, davanti ad un Andrew già in confusione totale, decise che forse sarebbe stato meglio andare all’ ospedale, pur asserendo che mancasse ancora molto tempo. Elaine ricordava il primo parto, quando le ci vollero più di ventiquattr’ore prima che Nicholas nascesse… ma questo era il secondo parto e la bambina era più piccola di Nick di quasi mezzo chilo. Quella volta si svolse tutto abbastanza velocemente: per le sei di sera la piccola Elizabeth veniva messa ancora bagnata, appiccicosa e urlante sul seno di 363


Elaine, che aveva accanto un Andrew che l’aveva aiutata e sostenuta per tutto il parto, e che piangeva senza ritegno davanti a quell’esserino strepitante, ancora un po’ rugoso, pieno di capelli scuri come la notte e senza dubbio con un bel carattere che faceva presagire un futuro di lotte e battaglie. Poi entrambe furono ripulite e portate nella loro camera, dove iniziarono le visite. Il primo a varcare la soglia fu Nicholas, Andrew era subito andato a prenderlo mentre venivano portate a termine le procedure post parto. Il bambino abbracciò forte la mamma e rimase per un po’ di tempo e un po’ inquieto a guardare quella nuova minuscola creatura che si catalogava come sorella, chiedendosi già se prima o poi avrebbe cominciato a rompere e portare seccature nella sua vita. Ma gli occhi con cui la guardò fecero subito intuire che si era già calato nel ruolo di fratello maggiore, colui che l’avrebbe protetta dai guai e difesa a spada tratta dalle avversità della vita. “Ha delle belle guanciotte” disse alla mamma ridendo. “No! Nicholas, ti avevo avvisato! Niente pizzicotti!” disse di rimando Elaine.

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“Lo so, mamy, scherzavo!” rise Nicholas e poi tornando serio “É bellissima, sai?” “Lo so, Nick, lo so, ed è tutta nostra” rispose Elaine abbracciandolo. Era un’atmosfera serena, un momento molto particolare e intimo tra una madre e i suoi figli, mentre Andrew era fuori impegnato in mille telefonate. Elaine aveva tra le braccia la piccola Lizzie che dormiva beata e dall’altra parte Nicholas seduto sul bordo del letto accanto a lei. Si sentiva la donna più appagata del mondo, e in quel momento pensò di non poter desiderare nulla di più. Poi arrivò Janet con Josh, e mentre i due amici si misero a discutere sul ruolo fratello maggioresorella minore con tutte le varianti possibili, Janet prese subito la piccola dalle mani di Elaine e la studiò attentamente. “Wow, Lennie! Hai fatto un capolavoro! O meglio, l’ha fatto Andrew, perché è una McPherson in miniatura. Senza quel naso un po’ storto, intendo.” “Meno male!” “Sì, sì… anche il mento, guarda lì… un po’ meno sfuggente, certo.” “Eh, certo” Elaine attese il commento successivo. 365


“Che belle manine… speriamo non diventino ossute come quelle di suo padre.” “Janet, hai finito di elencare tutti i presunti difetti di Andrew?” chiese ridendo. “Presunti… è tutto vero, devi ammetterlo. Ma rimane il fatto che è una bellezza!!” disse con entusiasmo. Poi guardò l’amica con tanto affetto, facendo domande più serie. “Com’è stata? Dura come con Nicholas?” chiese ricordando le sofferenze di Elaine. “Niente affatto. Quando sono arrivata ero già dilatata di otto centimetri, qualche spinta… sì, beh, dolorosa… ed è scivolata fuori come una scheggia. Niente lacerazioni, niente punti.” “Fantastico! È già una brava bambina. L’ hai già allattata?” “No, ci proviamo tra un paio d’ore, ma sento il latte che arriva.” “Perfetto. E anche questa è fatta, socia, eh?” disse Janet strizzandole un occhio e dandole un cinque. “Fatta, sì!” risero di gusto, abbracciandosi. “Pensare che per colpa di questo mostriciattolo abbiamo litigato!” ricordò Janet. 366


“Potrai raccontaglielo tu quando arriverà nell’età della ragione“ le concesse Elaine. “Puoi dire lo giuro!” In quel momento rientrò Andrew, che letteralmente strappò dalle braccia di Janet la sua bambina. “Stai già cominciando a traviarla, zia Janet?” scherzò. “Hai avvisato tutti?” chiese Elaine. “Tutti” confermò Andrew senza mai togliere gli occhi dalla figlia. “Christopher?” “Fatto.” “Padre James?” “Fatto.” “Mary?” “Sì, fatto.” “Tua mamma?” chiese poi apprensiva Elaine. Andrew la guardò. “Fatto, Lennie. Ha risposto proprio lei al telefono e credo di averglielo detto con un grande entusiasmo, senza nemmeno dover fingere.” “E… ?” 367


“E vedremo.” “Cioè?” “Vedremo, Elaine. Abbi fede. I tuoi arrivano domani, Christopher arriverà col primo volo da Londra, ha detto che si fermerà qui una settimana e penserà lui a Nicholas mentre noi ci sistemiamo con la piccola. Ah, ci ha tenuto a dirmi che Rebecca rimane a Londra.” “Oh!” commentò Janet “Quell’uomo non smetterà mai di stupirmi, sia in negativo che in positivo!” “Già. Molto carino da parte sua” disse Elaine, che poi improvvisamente tirò un grosso sospiro e si accasciò sul cuscino. “Beh, mamma, vedo che finalmente si è esaurita l’adrenalina e ti è uscita la stanchezza!” disse Janet ”Prendo i due maschietti e vado a casa, l’ora è tarda anche per loro.” “Sì, grazie, brava Janet. Anche tu, Andrew, se vuoi vai pure a riposarti.” “Non ci penso neanche” rispose, “cosa andrei a casa a fare se Nicholas è da lei?” chiese indicando l’amica che stava già mettendo i giubbotti a Nicholas e Josh. ”E poi il dottor Morrison mi ha dato incarico di curarti a vista, sai com’è il coma e tutto il resto…” aggiunse fintamente serio.

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Quando Janet e i bambini se ne andarono, il silenzio la fece da padrone per alcuni minuti, nella stanza di Elaine. “Guarda cosa abbiamo fatto” disse Andrew guardando la sua bambina ancora stretta tra le sue braccia, sottovoce, quasi per non rompere l’incanto e l’atmosfera quasi magica che si era creata con il silenzio e le luci che aveva abbassato per permettere ad Elaine di riposarsi meglio. “Non è stato proprio un guaio alla fine, questa figlia, vero?” chiese Elaine con dolcezza. “No, direi proprio di no.” “Come ti senti, papà?” Andrew accennò un sorriso un po’ stordito. “Un po’ frastornato, se devo essere sincero” disse. “Ma con dentro una felicità che non ha limiti” aggiunse poi. Strinse forte una mano ad Elaine e la baciò lievemente sulle labbra. “Posso farti una domanda?” le chiese. “Certo.” Era un po’ titubante.

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“Era lei? Voglio dire, era così ma più grande? Intendo la bambina che hai visto e che ti ha parlato quando eri in coma.” Elaine guardò a lungo Lizzie e poi spostò gli occhi sul padre di sua figlia. “Sì” disse con molta serenità, “era lei. È lei che mi ha salvata.”

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Dopo un paio di settimane terminarono le varie visite, telefonate, invii di fiori e regali, e finalmente Elaine potĂŠ godersi in pieno la sua maternitĂ . Era stupita di quanto fosse buona e tranquilla Lizzie: dormiva, mangiava, e quando non dormiva se ne stava bella pacifica nel suo infant-sit a guardarsi in giro mentre Elaine sfaccendava in casa o leggeva un libro. Ad Elaine sembrava quasi impossibile che potesse essere cosĂŹ: ricordava ancora una per una tutte le notti perse a cullare Nicholas, per il quale fino a tre anni il sonno era stato quasi un optional. Nel pomeriggio, quando il capriccioso tempo scozzese lo permetteva, la copriva bene, uscivano e facevano lente passeggiate fino a St. John o a volte anche fino a scuola, dove poi attendevano Andrew che veniva a prendere lei, Lizzie e Nicholas per 371


tornare tutti insieme a godersi la pace della loro casa. Sembrava che nulla la potesse più turbare, nemmeno la potente nevicata che a metà novembre tenne tutti in casa per un intero weekend: l’armonia e la serenità regnavano sovrani al 37 di Wyndford Avenue ed era un piacere immenso per loro stare tutti insieme. Una sera di fine novembre suonò il telefono durante l’ora di cena; rispose Nicholas, che tornò poi in cucina annunciando che c’era una certa signora McPherson che chiedeva di Andrew. Lui ed Elaine si erano guardati straniti, chiedendosi se mai, per caso, Nick avesse capito male. “Tua mamma???” mormorò Elaine incredula. “O magari mia sorella” rispose tranquillo Andrew alzandosi da tavola e andando in salotto, “ora sento.” “É la mamma di Andy, mamy?” chiese Nicholas intanto “quella che è tanto incazzata e non vuole parlare con lui?” “Nick! Per cortesia modera i termini!” si alterò Elaine. “Dai! Se uno è tanto tanto tanto arrabbiato, che parola vuoi usare, scusa?” disse di rimando Nicholas. 372


“C’è tua sorella!” disse Elaine tanto per dire qualcosa, perché in realtà l’espressione di Nick la stava facendo scoppiare a ridere. “Sì, figurati! Dai mamy, come se capisse! Allora, credi che sia lei?” “Lo spero.” “E che cosa vorrà?” Nicholas, come sempre, era prodigo di domande. “Ti pare che io possa saperlo, Nick? Quando torna Andrew sentiremo.” “Ma chi le ha dato il nostro numero di telefono?” continuò il ragazzino. “Ma che domande fai? Lo sai che il papà di Andrew ci chiama sempre!” “Ah, già, giusto! Bene, lei lo avrà trovato e avrà pensato bene di chiamare, visto che suo figlio è diventato papà e non si era ancora fatta sentire” commentò Nicholas finalmente soddisfatto di aver inquadrato perfettamente la faccenda. La logica di quanto detto dal figlio fece sorridere Elaine. Poi, passati dieci minuti, Andrew rientrò in cucina. Il viso era serio e non lasciava trasparire nulla.

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Nicholas ed Elaine si guardarono e Lizzie fece un basso gorgoglio dall’infant-sit. “Allora?” chiese mamma?”

Elaine

impaziente

“Era

tua

“Sì.” “E cosa ti ha detto?” domandò Nicholas curioso, andando al punto cruciale. “Abbiamo parlato un po’…” ricominciando a mangiare.

rispose

Andrew

“E… ??” insistette Elaine. “Solite cose. Come va, come non va, il tempo.” Andrew li stava tenendo sulle spine. Finalmente guardò prima Nicholas e poi Elaine. “Mi chiedevo una cosa” disse poi, “a voi piacerebbe passare un po’ di tempo nelle Highlands?” Elaine si alzò di scatto in piedi e Nicholas batté le mani sul tavolo, facendo sobbalzare la piccola Lizzie che accennò ad un piccolo pianto, subito concluso perché non era tipo da scomporsi per così poco. In compenso Burp si mise ad abbaiare. “Che cosa, che cosa, che cosa??? Vuole che andiamo a Dingwall?? Non stai scherzando, vero Andrew, non mi stai prendendo per il culo?” disse 374


agitata Elaine, dimenticandosi di non usare i famosi termini inappropriati. “Mamma! Le parolacce!” si indignò Nicholas, alzandosi anche lui dalla sedia e scatenando un altro giro di abbaiate del cane. “Zitto, Nick, quando ci vogliono si possono usare! Allora, Andrew? Mi stai prendendo in giro?” “Calma, ragazzi, calma” disse Andrew ridendo “state disturbando la mia principessa… e pure il mio fedele cane. Seduto Burp! E siediti anche tu Elaine, e pure tu Nicholas” aggiunse cercando di far tornare l’ordine e il silenzio. Tutti si sedettero. Quasi a sottolineare la gravità del momento, Burp ruttò. “E allora parla!” “Sì, era mia madre. E sì, mi ha chiesto di andare a Dingwall con tutta la mia famiglia, quando voglio e posso, se ne abbiamo voglia anche per tutte le vacanze di Natale.” “Ma sìììììì!!!!” Nicholas aveva già accettato l’invito. “…stavo dicendo… per tutte le vacanze di Natale, ma se per favore, per ora, le posso mandare le foto di Lizzie per e-mail all’indirizzo di mia sorella, che le farebbe tanto piacere vedere com’è sua nipote.” Elaine si appoggiò come esausta allo schienale della sedia. 375


“Sia lodato Dio! É successo, è successo davvero, alla fine!” “Sì, è successo. Chi aveva detto che i bambini fanno miracoli?” le chiese Andrew, ricordando la conversazione avuta con Elaine subito dopo essere stato scacciato da casa McPherson da una madre delusa, offesa e amareggiata. “Scommetto Elaine” rispose Nicholas facendo del sarcasmo. “Esatto” disse Andrew allungando un cinque a Nick, “la stessa Elaine che il giorno che tua sorella è nata aveva paura che la mia mamma non mi avrebbe mai più rivolto la parola.” Andrew aveva imitato il tono da apocalisse usato da Elaine quella mattina. “Non l’ho mai pensato veramente, ma quella mattina stavo per partorire, avrei voluto vedere te!” si giustificò Elaine. “Bene. Ora che anche questa tessera si è inserita nel puzzle, cosa decidiamo di fare?” chiese Andrew a entrambi. “Andiamo!” risposero all’unisono Nicholas e Elaine. “Davvero vi va?” “Certo!” 376


“E ci andiamo veramente a Natale?” “E perché no?” disse Elaine “Optare per un weekend sarebbe molto più stancante con i bambini, mentre durante le vacanze ce la potremmo prendere comoda, magari fermarci a dormire dalla signora Maclachlan a Dunkeld per spezzare il viaggio… scuole chiuse e università ferma… e magari nel frattempo qualche altra telefonata tra te e lei giusto per assottigliare il ghiaccio, ti pare?” “A me pare sì” disse Nicholas che a momenti preparava la valigia. Andrew rise. “Anche a me pare sì” disse, “e Lizzie?” “La portiamo!” disse Nicholas senza capire che la domanda di Andrew era rivolta ad Elaine per sapere se Lizzie fosse troppo piccola per un viaggio così lungo e senza nemmeno rendersi conto che se lui fosse partito per le Highlands a Natale, lo sarebbe stato proprio grazie a sua sorella. Andrew ed Elaine risero di gusto e l’atmosfera era tanto serena e rilassata che lo fecero fino a farsi uscire le lacrime. “Sì, Nick, portiamo anche lei!” confermò Elaine, rispondendo così anche al vero senso della domanda di Andrew. “Giusto. E portiamo anche Burp?” 377


“No, lui magari lo lasciamo al tuo amico Josh per qualche giorno, credo sia meglio” disse Andrew chiedendo muto consenso ad Elaine. “Sì, decisamente meglio. Nick, arriveremo là già in quattro, non possiamo farla diventare un’invasione e sai quanto caos fa a volte Burp.” L’interessato scelse proprio quel momento per tentare di scavare una buca nel tappetino sotto al lavello, poi vi si lasciò cadere con uno strano verso. “Ahahahah! É vero, ma credo che Josh sarà contento! E i miei compiti delle vacanze?” “Quelli li portiamo” dichiarò Elaine. “Ecco, devi sempre rovinarmi le feste!” dichiarò Nick abbracciandola e scatenando un’altro giro di risate.

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Un venerdì pomeriggio, in un giorno in cui Andrew non aveva lezioni all’università e stranamente nessun turno al centro aiuti Il Miracolo, Elaine uscì, lasciando lui e Lizzie a pisolare sul divano, e si diresse alla Queen Mary’s. Rachel, come sempre, fu molto contenta di vederla e scambiarono due chiacchiere prima che Elaine bussasse alla porta del suo ufficio ed entrasse per aggiornarsi con Bruce dell’andamento dell’istituto. Ne parlarono per una mezz’oretta, soffermandosi più che altro sul problema di un ragazzino che aveva appena perso la madre per una malattia grave e che aveva iniziato l’ anno scolastico con un brusco calo di rendimento rispetto al precedente. Sia Elaine che Bruce conoscevano bene e da tempo il ragazzino ormai alla fine delle secondarie, ed entrambi ci tenevano tantissimo a trovare un aiuto e una soluzione per il loro studente.

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Poi, finiti gli argomenti puramente scolastici, si rilassarono facendosi portare un tè da Rachel, e la conversazione ruotò su argomenti più personali. “Come va a casa?” chiese Bruce “La tua Lizzie è sempre la bimba più brava e dormigliona del mondo?” “Sì, e ogni giorno mi stupisce. Ma il brutto della faccenda è che McPherson pensa che i bambini siano tutti così, e dice che ne vorrebbe fare ancora tre o quattro” rispose Elaine facendo una faccia terrorizzata. “Ci ha preso gusto!” commentò Bruce ridendo. “Penserò bene come distoglierlo proposito” assicurò Elaine.

da

questo

“E tu con Janet?” domandò poi. “Che razza di domande fai, come se non ne parlaste di continuo, tu e lei!” “Non è vero!” affermò Elaine con finta innocenza, mettendosi la mano sul cuore e sbattendo le ciglia. ”Figurati!” “Bene, visto che vuoi fare la finta tonta, ti dirò che tutto procede a meraviglia. La tua amica mi ha fatto scoprire lati di me stesso di cui nemmeno io ero a conoscenza, cara direttrice” ammise Bruce.

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Elaine, sentendosi chiamare con il titolo che le spettava tra quelle mura, prese la palla al balzo per parlare del vero motivo della sua visita. “Ecco, a proposito di direttrice…” “Fantastico! Vuoi già tornare?” si rallegrò Hamilton. “No, in effetti no, Bruce. In effetti vorrei mollare tutto.” La notizia rimase in sospeso tra loro per qualche istante. “Stai scherzando, vero, Elaine?” le chiese incredulo. ”Mi stai prendendo in giro, non è vero?” “No.” “Ma… non capisco… perché? Ne hai parlato con Andrew? Scusa, non voglio intromettermi nei vostri affari, ma avete due bambini, forse per un po’ sarebbe bene continuare ad avere due stipendi… scusa, sono sicuro che Andrew sia ben pagato, ma, voglio dire…” Elaine lo tolse in fretta dall’imbarazzo. “Non voglio diventare una casalinga disperata, Bruce, tranquillo. Solo vorrei tanto ritornare ad essere una semplice maestra elementare, ecco.” “Beh. Questo cambia le cose” si rallegrò Bruce.

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“Sì e no. Il mio mandato scade fra sette anni e io non ho intenzione di aspettare così tanto” dichiarò Elaine. “Quindi? Ci sarà una procedura da seguire, no? In effetti io sto facendo le tue veci ma sono un po’ all’oscuro di queste faccende burocratiche” ammise Hamilton. “Sì c’è una procedura specifica. Dovrei convocare il consiglio scolastico al completo, comunicare la mia decisione e indire nuove elezioni… ma la cosa dovrebbe passare per l’ispettorato all’educazione e, siccome la nostra è anche una scuola cattolica e in teoria, anche se non presente, abbiamo un cappellano scolastico come supervisore, la richiesta dovrebbe anche pervenire ai vertici della Chiesa Romano Cattolica nella Diocesi di St. Andrews e…” “Alt, stop!” la fermò Hamilton “non potresti ripensarci? Ti prego! Non pensavo ci fosse stato tutto sto movimento quando sei stata eletta!” “Questo perché il buon vecchio Stone aveva usato la via più semplice, cosa che ho intenzione di fare anche io.” “Cioè?” si informò attento Bruce. “Dare, al momento della richiesta, il nome di chi voglio proporre come mio sostituto, dichiarando che questa persona è pronta ad accettare l’incarico. Questo comporterebbe solo una riunione straordinaria del consiglio direttivo all’interno della 382


nostra scuola, togliendo mesi di quel fastidioso iter burocratico di cui parlavo.” Elaine rimase a guardarlo, sperando che Hamilton capisse dove lei voleva andare a parare. “Ma se tu ne parlassi anche con Andrew, prima? Non è che stai prendendo una decisione un po’ troppo affrettata?” chiese invece senza ancora capire. “No, Bruce. Non è affrettata, anzi, ci ho riflettuto molto, per mesi, anzi, per quasi un anno ormai, ed esattamente da quando Andrew mi aveva comunicato la sua decisione di lasciare la chiesa. Lo ha fatto per molti motivi che non ti starò a raccontare, ma di sicuro uno di questi ero io.” “Ne sono sicuro anche io” confermò lui sorridendo, ”e l’avrei fatto anche io.” “Piantala!” “É vero! E quindi… le tue riflessioni?” “La storia mia e di Andrew è stata un pochino troppo sopra le righe, non credi? Troppo veloce, troppo complicata… Andrew ora si comporta come un padre, un marito, un qualunque docente universitario, ma tecnicamente è ancora un prete… io dirigo una scuola cattolica e tecnicamente sono madre di una bambina nata da una relazione con un prete… è davvero un po’ troppo, non credi?” 383


La domanda rimase in sospeso tra di loro per un bel po’ di tempo. “Vorrei dirti di no, Elaine, in fondo colleghi e genitori alla fine ti hanno accettata così come sei per la tua bravura, le tue grandi capacità gestionali… e credo anche che la nostra diocesi di giurisdizione ne abbia discusso a lungo e in largo con quella di Glasgow che si è occupata di Andrew.” “Puoi giurarci, Bruce, me lo ha confermato anche l’arcivescovo…” “Infatti è come pensavo, ma… sì, riflettendoci bene è stato davvero un po’ troppo.” Hamilton le sorrise prendendole una mano, per farle capire quanto comunque le volesse bene, la stimasse e quanto poco gli importasse tutto quello che era successo. Elaine lo capì, ricambiò la stretta e finalmente si decise a fare la sua proposta. “Forse la notifica da Roma arriverà presto, rendendo tutto un po’ più legale, non so, ma comunque voglio lasciare. E lo voglio fare con il minor rumore possibile e il più velocemente possibile. Sono sicura che nel momento stesso in cui comunicherò il nome, lo accetteranno tutti. Sperando che accettino anche di farmi tornare una semplice insegnante alle primarie.”

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“Sicuro come l’oro, questo, se no vado personalmente a lamentarmi! Allora, chi vorresti proporre come sostituto?“ Era proprio di coccio, pensò Elaine che rimase a guardarlo fino a che non vide un barlume di comprensione nei suoi occhi. “No! No, Elaine, non me lo puoi chiedere, non io!” Finalmente ci era arrivato. “Sì, Bruce, tu. È la strada più veloce di tutte: sei già il mio vice, tutti ti conoscono e ti apprezzano, nel giro di un mesetto tutto sarebbe finito.” “Elaine, cazzo…” Hamilton si mise una mano nei capelli, e si alzò in piedi cominciando a vagare per l’ufficio. “Per favore, Bruce” continuò Elaine, “fammi questo enorme favore” lo supplicò. “Cazzo, Elaine, anche a me piace insegnare!” “Lo puoi fare. Io non avevo scelto questa opzione, perché ero divorziata e con un bambino di sei anni da gestire completamente da sola, visto che suo padre aveva deciso di andarsene a Londra. Ma tu lo puoi fare, puoi continuare ad insegnare. Vorrà dire che delegherai più pratiche al vice che ti sceglierai. Ti prego Bruce, pensaci, parlane con chi vuoi, con Janet, con qualche tuo collega delle secondarie, ma pensaci, per favore.” 385


Hamilton si risedette accanto ad Elaine e la guardò serio. “E tu, scusami, perché non hai parlato con nessuno di questa tua decisione? Perché non ne hai parlato con Andrew?” le chiese. “Perché lo appesantirei di un senso di colpa che non deve avere. Non voglio che arrivi a pensare che faccio questa scelta per causa sua. È vero, potrebbe anche essere così, penso che sia più giusto così, ma in realtà è anche perché sto talmente bene, ora, sono talmente appagata di quello che ho dentro le mura di casa mia, che non voglio tornarci alla sera con i problemi di una intera scuola sulle spalle, ma voglio tornarci serena, dopo una giornata tra i banchi e tra i bambini. Ho passato anni molto pesanti, ora voglio che sia tutto più… lieve. Mi sento bene, mi sento sicura di quello che ho, soddisfatta… ora voglio vivere una qualunque vita di una qualunque famiglia in un qualunque posto del mondo.” Bruce sorrise, capendo. “Una famiglia da picnic domenicale al parco, passeggiate in bicicletta, cioccolata davanti ad un film mentre fuori nevica, canti di Natale sullo stereo mentre si aprono i pacchetti sotto l’albero?” “Si” fu la semplice risposta di Elaine. Hamilton sospirò. 386


“Mi lasci un paio di giorni per parlarne con Janet? A questo punto, dovessi accettare, vorrei continuare a lavorare con lei come mia vice, potremmo far coincidere meglio i nostri orari e…” “Una semplice famiglia in un qualunque posto del mondo?” chiese Elaine, che già sapeva quanto stesse diventando seria la relazione tra la sua amica ed Hamilton. “Sì. Ed è proprio perché capisco cosa stai cercando e cosa vuoi, che alla fine quasi per certo accetterò la tua proposta. Ma non sono più da solo, e così ne voglio parlare anche con Janet, se non ti spiace.” “Assolutamente no, anzi!” “E poi, mi prometti una cosa?” “Dimmi, se posso…” “Stasera ne parlerai anche con Andrew, me lo assicuri?” “Certo che sì, Bruce! L’avrei fatto comunque. Oggi avevo solo bisogno di capire che risposta avrei avuto da te. Andrew comprenderà e accetterà, vedrai. È diventato un pantofolaio incredibile, tutto università, casa e pc per scrivere il libro. Abbiamo entrambi bisogno di calma e serenità, nient’altro.” “Va bene, allora. Domani ti chiamo, così potremo avviare le pratiche e magari dopo le vacanze sarà tutto a posto, ok?” 387


“Perfetto, Bruce. Grazie.” Elaine si alzò e lo abbracciò con calore, poi Bruce la scostò un po’ da lui. “Magari” le disse “potremmo venire anche io, Janet e Josh a metterci davanti ad un film con una cioccolata calda?” Elaine rise. “E cosa cambierebbe da quello che abbiamo sempre fatto io e lei coi bambini?” “Me” rispose Bruce un po’ timidamente, timoroso di intromettersi in una lunga amicizia ma anche lui ormai bisognoso di affetti forti e duraturi. “Ci sarà posto anche per te, Bruce, vedrai. Come dicevamo poco tempo fa io e Janet, tutti prima o poi si meritano un happy end.”

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La recita di Natale di quell’anno alla Queen School e il successivo rinfresco per gli sarebbero rimasti segnati per sempre negli scolastici come i meglio organizzati e i riusciti nella storia dell’istituto.

Mary’s auguri annali meglio

Già da fine ottobre gli studenti delle secondarie avevano iniziato le prove per un musical da loro ideato con canzoni e balli anni ’80, mentre i bambini delle primarie si erano dedicati alla recitazione, scegliendo di mettere in scena un’accurata versione del Canto di Natale di Dickens. L’entusiasmo dei piccoli era salito alle stelle quando nel progetto s’inserì anche Tommy McBride, che pensò bene di coinvolgere in pieno anche i volontari e gli ospiti del centro Il Miracolo. Le allegre comari di Windsor si erano messe a cucire un’infinità di abiti di scena, mentre agli 389


uomini era stato assegnato il compito dell’allestimento delle scene e degli effetti speciali. Quando i piccoli avevano capito che sarebbe stato uno spettacolo senza precedenti, si erano messi a studiare con grande impegno le parti, e il programma aveva coinvolto talmente tanto gli insegnanti, che spesso avevano interrotto le lezioni per ripassare le battute coi piccoli. Chi avrebbe dovuto recitare ripeteva fino alla nausea la parte, chi non avrebbe recitato veniva spedito in palestra a dare una mano a ritagliare pannelli, a colorare sfondi, a provare giochi di luci e fumo insieme ai vari ‘nonni’ che per un lungo periodo furono gratificati da uno stuolo di ‘nipotini’ schiamazzanti. L’atmosfera che si era creata era stata talmente coinvolgente che anche i genitori si erano interessati e avevano partecipato più del solito, non limitandosi al compito di semplici spettatori: le mamme ‘truccatrici’ avevano ricevuto un encomio speciale dal direttore Hamilton durante i ringraziamenti alla fine della serata. Il ruolo di Tommy, felicissimo di poter ancora far parte della sua vecchia e amata scuola (tanto da portarlo a chiedere se c’era la possibilità di lavorarci davvero) era stato fondamentale, e grazie a lui e a un gruppetto di altri ex allievi che era riuscito a coinvolgere nelle varie mansioni di tecnici audio390


luci per il musical dei più grandi, il risultato finale fu veramente strepitoso. Le mitiche canzoni degli anni ’80 avevano coinvolto talmente tanto gli spettatori che qua e là si erano viste coppie di mamme e papà alzarsi dalle sedie e sbracciarsi a ritmo di musica, ringiovaniti di una ventina d’anni, quasi fossero alla storica data di Wembley del Magic Tour dei Queen, anziché alla Queen Mary’s. Ma la chicca della serata era stato il protagonista della recita dei più piccoli: Tommy era riuscito a convincere il più burbero e scontroso ospite del centro aiuti ad interpretare Ebenezer Scrooge: questi non dovette recitare poi molto, a parte qualche mugugno e qualche indimenticabile ‘bah, bubbole’, la parte gli venne una meraviglia e fu senz’altro più attendibile di un qualunque bimbo travestito. Le altre parti erano state tirate a sorte tra chi si era offerto per recitare, e a Nicholas era toccato il ruolo del Fantasma del Futuro: recitò con fervore, promettendo a Scrooge le pene dell’inferno con una cadenza quasi istrionica e con voce stentorea, riuscendo anche a non inciampare nella lunga veste nera. Gli applausi a scena aperta per entrambi gli spettacoli si erano succeduti uno dopo l’altro e infine si erano tutti ritrovati (attori, tecnici, lavoranti, insegnanti e spettatori) nella solita aula 391


magna, addobbata personalmente da Elaine con gusto e raffinatezza; calcolando tutte le persone in più coinvolte nel progetto, non c’era stato lo spazio sufficiente per il solito grandissimo albero di Natale, ma le ghirlande decorate che pendevano dal soffitto lo avevano sostituito egregiamente, e tovaglie rosse e stoviglie colorate davano intense pennellate di allegria in tutto il salone. Il cibo era di qualità superba ed era servito dagli insegnanti che avevano accettato di trasformarsi in pomposi e perfetti camerieri. Andrew, di fianco a Elaine e con in braccio la sua Lizzie, non aveva perso né una canzone né una battuta, ed era allegro più del solito. Attorno a loro tre, si mescolavano tra la folla gli amici di sempre e anche quelli appena acquisiti. C’era Kevin, con una quanto mai inspiegabilmente pacata Margareth, tanto che Andrew ed Elaine si chiesero come avesse fatto a ‘domarla’ così bene: elegante ma senza strafare, pantaloni e camicetta dignitosamente abbottonata fino al punto giusto, capelli lisci raccolti in una coda, scarpe basse. “Magari sono innamorati davvero, e l’amore fa miracoli” aveva commentato Andrew all’orecchio di una Elaine quanto mai attonita che si limitò ad alzare un sopracciglio. C’era Christopher, che finalmente aveva deciso di assistere ad una recita di Nicholas, ma non 392


Rebecca, rimasta a Londra per delle prove in sala d’incisione. Stava per uscire un nuovo CD, ed Elaine apprezzò molto lo sforzo del suo ex marito per partecipare ad un evento così importante della vita di loro figlio. Con la piena approvazione di Andrew, lo aveva fatto sedere vicino a loro, e i suoi occhi si riempirono di tenerezza quando lo vide prendere in braccio Lizzie, togliendola con gentilezza dalle braccia di Andrew che aveva dato il suo muto consenso: pace era fatta anche tra i due uomini, e l’antico livore era scomparso, alla fine! C’era Tommy, osannato e contornato da gruppi di ragazzine adoranti: un grande rientro nella vita di Elaine, per la quale era sempre stato una specie di ‘preferito’, anche se lei non lo aveva mai dato a vedere… chissà che non potesse davvero trovare un’occupazione definitiva all’interno della scuola, sarebbe stato un grande guadagno per tutti! C’era Bruce, che presto sarebbe diventato in modo ufficiale e definitivo il nuovo direttore della Queen Mary’s, dopo la domanda inoltrata da Elaine e che sicuramente sarebbe stata approvata in tempo record, e accanto a lui, finalmente anche lei di nuovo sempre sorridente e luminosa, Janet, l’amica di sempre, la spalla su cui aveva tante volte pianto Elaine ricambiando il ‘favore’ nell’ultimo anno, la sorella mai avuta, il punto fermo di una vita intera.

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C’erano i suoi genitori arrivati da Ashlington per passare il Natale con loro, prima che si preparassero le valigie per le Highlands, dove i genitori di Andrew attendevano di conoscere la nuova nipotina. Tra il chiacchiericcio generale, le urla un po’ sopra le righe dei ragazzi ancora ribollenti di entusiasmo, Elaine osservava un po’ in disparte, un po’ assorta, come se volesse imprimere per sempre quel momento perfetto nella sua mente. Non si accorse che Andrew era al suo fianco finché lui non parlò. “Soddisfatta?” le chiese facendola un po’ sobbalzare e distogliendola dai pensieri. “Completamente! In fondo la direttrice sono ancora io, per il momento, no?” “Sì, e direi che hai chiuso con un gran botto! E tra un po’ potrai ricominciare con l’inglese e la geografia.” “Aaaah, che meraviglia!” sospirò Elaine pregustando il ritorno all’insegnamento.

già

“Ehi!” disse poi, quasi risvegliandosi all’improvviso da un bel sogno “Dove hai lasciato Lizzie?” “É con tua mamma, là a quel tavolo, la vedi? Vicino a Christopher e a Nick, tranquilla!” “Lo sono… scherzavo” disse Elaine sorridendo. 394


“Ti va di fare una cosa? In ricordo dei vecchi tempi” disse Andrew con fare cospiratorio. “E che cosa?” si incuriosì lei. “Una fuga nel tuo ufficio… mi piace da morire quel divanetto rosso…” le disse facendole l’occhiolino e posandole di soppiatto una mano sul sedere. “Ma sei fuori???” chiese Elaine sgranando gli occhi. “No, sono serissimo, chi vuoi che si accorga?” “Oh, solo quattro o cinquecento persone.” “Dai!” insistette lui e andò avanti finché Elaine non cedette. Mentre salivano le scale ridacchiavano come due ragazzini, e appena varcata la soglia dell’ufficio Andrew la blocco contro la porta e la baciò profondamente e con trasporto. “Wow!” fu il commento di Elaine alla fine del bacio. “Sei bella come il sole, lo sai? Sei una donna fantastica e io credo di essere l’uomo più fortunato del mondo, ad averti, e ogni giorno ti desidero sempre di più” le sussurrò mordicchiandole il lobo dell’orecchio. “Andrew, cavolo, hai ancora il potere di mettermi un po’ in imbarazzo, a volte, lo sai?”

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Poi lui si scostò quel tanto che bastava per infilare una mano in tasca e tirarne fuori una piccola scatoletta di velluto blu. Elaine lo guardò e aprì la bocca come per dire qualcosa, ma fu subito fermata da Andrew che alzò la mano libera e disse: “No, Elaine, lasciami parlare. Io sono un uomo un po’ rozzo, poco abituato a queste cose… a queste situazioni… ma tenterò di fare del mio meglio.” Tirò un lungo respiro. “Mi vuoi sposare?” Elaine rimase interdetta per qualche secondo. “Ma… Andrew… sì, ma non… non possiamo” disse un po’ confusa. “Ti prego, accetta. E accetta questo. Non sono ricco, non posso regalarti diamanti, non ancora, ma questa… questa cosa sì. Prendila, per favore, e aprila.” Elaine prese la scatoletta e se la rigirò tra le mani prima di decidersi ad aprirla. E quando lo fece rimase ancora più esterrefatta: dentro c’era un foglio piegato non sapeva nemmeno lei quante volte, tante da riuscire a stare in quei pochi centimetri. Lo guardò. 396


“Che diavolo è?” chiese. “Aprilo, Elaine, aprilo” disse lui pieno di tenerezza. Allora Elaine si spostò verso la scrivania, vi posò la piccola scatola e prese il foglio. Cominciò a svolgerlo una, due, dieci volte e finalmente vide di cosa si trattava. Le lacrime le salirono agli occhi: era la tanto sospirata notifica da Roma, quella che attestava che Andrew aveva riguadagnato il suo stato di laico, quel pezzo di carta che significava la fine di tutto e l’inizio di tutto. “Andrew…” ora stava piangendo senza ritegno. “Mi vuoi sposare, Elaine?” richiese lui. “Oh sì, sì, sì!” disse Elaine perdendosi nel verde dei suoi occhi e buttandosi nelle braccia che non l’avrebbero mai più lasciata.

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THE

(HAPPY!)

END

Grace Freeman B.A.M.17 luglio 2012

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Appunti di viaggio e ringraziamenti

Credo che ogni libro abbia tra le righe un’altra storia. Questo è rimasto bloccato a metà per molto tempo, mentre alcune carissime Amiche Lettrici, ogni volta che mi vedevano, mi chiedevano “Allora? È finito?” Ho inventato mille scuse, lo ammetto.

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In realtà era difficile, per me, staccarmi dai protagonisti di questa storia: erano ‘cresciuti’ per quasi tre libri, capitolo dopo capitolo, in un periodo faticoso, ed erano stati in qualche modo gli inconsapevoli custodi delle mie tristezze, delle mie solitudini, diventando quasi i miei amici più intimi. Nella vita ho dovuto separarmi da un giorno all’altro e in modo definitivo da molti, troppi affetti: staccarmi anche da Andrew ed Elaine sarebbe stato quasi rovinoso. Ci voleva il momento giusto. Poi, all’improvviso, ecco una nuova consapevolezza: nella vita non ci sono solo separazioni e tristezze. Bisogna credere che prima o poi tutto si aggiusti e vada per il meglio. Così, pagina dopo pagina, ho ‘messo a posto’ la loro vita e ho dato loro l’happy end… perché ora credo fermamente che ognuno di noi se lo meriti anche nella realtà, prima o poi, anche se la strada per arrivarci è lunga e tortuosa. Come sempre ringrazio Beatrice, per le sue brillanti correzioni, per avermi ricordato spesso che chi ha già scritto tre libri è una scrittrice (…magari col ‘blocco’, ma lo è sempre), e per essere la figlia che è. Soprattutto per essersi commossa. Grazie, quando me l’hai detto mi sono venute le lacrime… Love. Ringrazio tutte le mie appassionate Lettrici e chiedo ancora scusa per il ritardo… …e tra queste ringrazio in modo particolare Chiara, che detiene di diritto il copyright delle parole Happy End, da lei richiesto a gran voce appena terminata la lettura di ‘Sotto il Cielo della Scozia’. Questo happy end te lo dedico completamente, Chiara! In questo libro, con varie e veloci citazioni, troverete anche il mio ‘tributo’ personale ai Queen e a Freddie Mercury, la loro musica

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ha accompagnato ogni momento della mia esistenza: Freddie, you will live forever… Chiudiamo così il sipario sulla lunga storia di Andrew ed Elaine: mi è piaciuto raccontarvi la loro storia, ma è ora di lasciarli alle loro occupazioni, ai loro figli, alla loro vita nella loro Scozia, la loro “qualunque vita di una qualunque famiglia in un qualunque posto del mondo”… si meritano un po’ di discrezione da parte nostra, ora, non credete? E se avete dubbi sul fatto che continuerò a scrivere, tranquilli: mi leggerete ancora, magari in altri luoghi e in altri tempi. A presto! Grace

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Grace Freeman nasce nel 1961 in Italia, dove attualmente vive in compagnia di un pesce rosso, Apollo, e di una cagnolina, Ingrid. Grande estimatrice di musica, da Mozart ai Queen, trascorre le giornate scrivendo, cucinando, insegnando inglese e curando il piccolo giardino della sua casa, nel quale riesce a far crescere ogni tipo di pianta. Si dedica con passione ad attività culturali e di volontariato ed è amante del canto, al quale si dedica appassionatamente da molti anni. È madre di un'unica figlia, Beatrice, che sta svolgendo studi artistici. IN QUESTE TERRE REMOTE chiude la ‘trilogia scozzese’, iniziata con QUI, NELLE HIGHLANDS e proseguita poi con SOTTO IL CIELO DELLA SCOZIA. Il primo libro, IL LUNGO INVERNO DELL’ANIMA, ha tratti fortemente autobiografici. Sono tutti editi da Boopen-Photocity e li potete trovare al sito ww2.photocity.it.

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