Il Palazzo dell’Acquedotto Pugliese nell’architettura italiana del Novecento

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IL PALAZZO DELL’ACQUEDOTTO PUGLIESE NELL’ARCHITETTURA ITALIANA DEL NOVECENTO

a cura di

Emanuela Angiuli - Gian Paolo Consoli - Fabio Mangone

Mario Adda Editore


Consiglio regionale della Puglia LEGGI LA PUGLIA Pubblicazione n. 18 della linea editoriale Categoria: Studi e Ricerche

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Il tema dell’arrivo dell’acqua in Puglia attraverso la costruzione di ingegneria idraulica dell’Acquedotto Pugliese, considerato il più grande del mondo, oggi d’Europa, è di straordinaria rilevanza nella storia del Mezzogiorno italiano poiché rappresenta un unicum nei processi di modernizzazione dell’Italia della prima metà del 1900. Come Consiglio Regionale abbiamo considerato di grande interesse offrire un contributo alla conoscenza dei fenomeni che derivano da quella straordinaria impresa, assumendo l’impegno di offrire un contributo scientifico verso un pubblico sempre più interessato alla conoscenza della propria storia. Il progetto che porta il titolo generale di Acqua madre della vita, proposto da Emanuela Angiuli e che ha visto la partecipazione di eminenti studiosi, oggi si realizza con la pubblicazione dei volumi dedicati al palazzo dell’Acquedotto Pugliese nell’ambito del dibattito sull’architettura italiana del Novecento, e all’album dei disegni del suo progettista Cesare Brunetti. Ci è sembrato infatti di fondamentale importanza contribuire a colmare un vuoto storiografico nella cultura italiana, sui significati stilistici, tecnici, simbolici e sociali che il Palazzo dell’Acquedotto Pugliese esprime sul nostro territorio e nell’Italia della prima metà del XX secolo. La costruzione del Palazzo sorto al centro di Bari su progetto dell’ingegner Cesare Brunetti, ha infatti ridisegnato i percorsi sulla valenza comunicativa della sede barese dell’Acquedotto. Esso, come si legge nei saggi del volume, non costituisce soltanto un solido palazzo eretto per rappresentare il prestigio dell’Ente, nel quale collocare funzioni e attività complesse che vanno dagli apparati amministrativi ai laboratori alle officine. La grande mole in candida pietra locale è, intenzionalmente, un’occasione per fare rivivere un sistema formale di grande significato identitario per la città e la regione. Interpretandone le esigenze provenienti dai protagonisti che si muovono sullo scenario politico, tecnico ed artistico – Gaetano Postiglione, Cesare Brunetti, Duilio Cambellotti – si colgono ancora oggi i “linguaggi” espressivi di un manufatto celebrativo ideato per sacralizzare l’acqua, elemento della natura che, unico, garantisce alle assetate terre pugliesi vita e progresso. Va sottolineato in particolare l’unicità della costruzione concepita come un apparato scenico-architettonico messo in atto dall’ingegner Brunetti e dall’intervento artistico di Duilio Cambellotti impegnati entrambi a dar forma e decoro a quella che verrà considerata la cattedrale laica dell’acqua non soltanto in Puglia ma nell’Italia intera. Va inoltre dato merito alla ricerca condotta in entrambi i volumi, che deriva dalla fruibilità del ricco patrimonio archivistico e documentario che l’Ente possiede, con particolare approfondimento dedicato agli anni della progettazioni del Palazzo, intercorsi fra il 1925 e il 1934. La pubblicazione dell’album dedicato alle tavole tecnico-progettuali chiariscono infine l’iter operativo di Cesare Brunetti che attraverso gli elaborati figurativi ci consegna una vera e propria “scrittura” dal linguaggio ricco ed articolato, un vero e proprio sistema di segni in grado, a distanza di un secolo, di parlare al mondo. Mario Loizzo Presidente del Consiglio Regionale della Puglia



Opera ciclopica è stata definita la costruzione dell’Acquedotto Pugliese fin dal suo nascere. Quando nel 1906 fu dato il primo colpo di piccone per lo scavo della grande galleria che avrebbe aperto il varco al primo tronco del Canale Principale per trasportare le acque del Sele dalle gole dell’Appennino, sul versante del Tirreno, all’Adriatico, si dava il via alla costruzione di una rete idrica unica al mondo che avrebbe contrassegnato l’intera storia della Puglia nel Novecento. Sotto la direzione dell’ingegner Michele Maglietta si scavano 38 gallerie in oltre 80 chilometri: la Galleria dell’Appennino corre per oltre 15 km, quella delle Murge con oltre 16 km diventa la più lunga d’Europa. Nel primo ventennio del ‘900 lavorano oltre 60 ingegneri, 400 geometri e disegnatori. Con un esercito di 22.000 operai si scava nelle viscere delle montagne, scendendo a una profondità di oltre 192 metri per la costruzione dei pozzi, si lavora a forza di braccia per sterrare trincee negli stretti passaggi di avanzamento delle gallerie, nel buio di soffocanti condotti che avanzano per chilometri a fronte di argille cedevoli, infiltrazioni d’acqua, strati di pietra compatta difficile da scalfire. La costruzione dei ponti-canale impiega le braccia di quanti sono addetti per tutto il giorno a sbozzare e squadrare a colpi di scalpello il calcare bianco e massiccio della pietra portata a spalla sulle armature. Novantuno ponti sulla trasversale appenninica e la dorsale pugliese, diventano opere d’arte realizzate in pietra squadrata che raccordano i dislivelli, superano lame, fossati, valloni, rupi, fiumare, torrenti. Il lavoro condotto sugli Archivi Storici dell’Acquedotto Pugliese e sulla inerente bibliografia scientifica, grazie agli studi di illustri studiosi raccolti in questo volume, consente dunque una lettura articolata sulla scelta e gli esiti costruttivi che portarono all’edificazione del Palazzo dove hanno sede dal 1932 gli Organi di rappresentanza e le attività tecnico-amministrative. Definito fin dal suo sorgere il Palazzo delle Acque, esso si impone come simbolo eloquente della grandiosità e della maestosità di quanto realizzato nel sottosuolo del territorio pugliese, dove scorre l’acqua benefica, sanguis terrae come si legge in una delle lunette sulle sue facciate esterne. Il Palazzo, dunque, rappresenta un grande palinsesto celebrativo dell’evento storico, di ciò che è compiuto. Attingendo alle linee architettoniche di un antico passato, esso si impone anche come narrazione, negli esterni delle facciate, nelle decorazioni, negli arredi, di una lunga storia di riscatto e di progresso. Nel novero delle Sette Meraviglie del Mondo Antico descritte da Erodoto si legge che i greci non erano indifferenti alla natura, ma al centro del loro universo stava l’uomo, e che quelle meraviglie erano tutte e solo opere umane. Nelle meraviglie del mondo contemporaneo credo non sia azzardato assegnare all’Acquedotto Pugliese e al Palazzo delle Acque che lo rappresenta un posto rilevante nella storia sociale come in quella dell’architettura del Novecento Italiano. Simeone di Cagno Abbrescia Presidente Acquedotto Pugliese


Sommario

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Introduzione di Emanuela Angiuli

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L’Acquedotto Pugliese. Storia e politica di Mimma Gattulli

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Il quartiere dell’Oriente della Bari ‘nuovissima’ di Giuseppe Carlone

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Cesare Brunetti ingegnere civile: gli anni della formazione al Politecnico di Milano di Ornella Selvafolta

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Cesare Brunetti: ingegnere-architetto dell’Acquedotto Pugliese di Gian Paolo Consoli

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Dal romanico al neoromanico, dalla koinè al regionalismo di Fabio Mangone

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Sommario

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“Il palazzo delle acque di Bari…”: un’opera d’arte totale tra tradizione e innovazione di Antonio Labalestra

139

Di-segni e identità. Le facciate del palazzo dell’Acquedotto Pugliese di Bari di Valentina Castagnolo

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La piccola reggia del Presidente di Emanuela Angiuli

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Duilio Cambellotti e l’Acquedotto Pugliese. Genesi di una “opera d’arte totale” di Matteo Fochessati e Gianni Franzone

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Le grammatiche dell’acqua negli arredi e negli interni di Cambellotti all’Acquedotto Pugliese. La dialettica tra rappresentazione e conformazione di Rossana Carullo

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Il progetto brunetti della cascata terminale dell’acquedotto pugliese (1930-’39) di Giuseppe Carlone

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Bari. Il Palazzo dell’Acquedotto Pugliese negli anni ’30


L’Acquedotto Pugliese. Storia e politica

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Introduzione

Il Palazzo dell’Acquedotto Pugliese iconografia di un racconto, lo definirei, composto di spazio, di linee, volume, luce, colore, dove una serie di figure completano il testo del linguaggio architettonico: fasci di spighe, anfore, rami di ulivo, grappoli d’uva, foglie d’acanto, fontane, stemmi, città, incastonati come cammei su pagine di pietra. “Da un massiccio basamento di pietra viva e grezza, si alzerà una massiccia muratura di pietra bugnata a conci rustici rettangolari e quadrati, come in molti castelli medievali pugliesi.” Inizia con queste parole la relazione di Cesare Brunetti per la costruzione del Palazzo progettato al centro della città. “Il portone d’accesso a tutto l’edificio – continua l’ingegnere mostrerà il cortile, dove fra verdissimi arbusti lo zampillo perenne di una fontanella sgorgherà tra figurazioni simboliche del rigoglioso rifiorire delle Puglie dissetate dall’acqua del Sele.” La fontana dunque metafora della rinascita. Nobiltà e slancio, dirà più avanti, questo il senso da assegnare alla mole della fabbrica simbolo dell’acqua. Soprattutto nobiltà come investitura di progresso e di modernità per il popolo pugliese, riscattato dalla sete e dalla miseria delle sue terre. Sul progetto per la costruzione del Palazzo che lui stesso ha redatto, Brunetti aggiunge che l’assieme sarà serio e grave ma pittoresco, in grado cioè di esprimere una capacità evocativa che sottolinei il legame fra il territorio beneficiato dalle acque e le città, espressione del rapporto con la terra, la materia, ma anche con la bellezza, la natura, l’ordine delle cose. È il 1925. In una città avara di opere celebrative, il Palazzo che sta per sorgere, è il primo grande monumento destinato a rendere memorabile l’impresa compiuta, a dar corpo a una sorta di mito di fondazione da cui far nascere se non una nuova città, sicuramente un mondo nuovo. Gli anni che corrono fra il 1927 quando ha inizio la costruzione e il 1931 con l’intervento dell’artista romano Duilio Cambellotti, sono ricchi di ripensamenti, di riflessioni, di rimandi, di aggiornamenti che mettono a fuoco la facies definitiva del manufatto ormai in grado di esprimere tutta la carica innovativa coniugata fra tradizione e innovazione, fra funzionalità e magnificenza. Nell’incarico assunto nel 1931, Cambellotti dichiara: “assumo l’incarico di decorare alcuni ambienti nell’edifizio destinato a nuova sede per l’Ente Autonomo Acquedotto Pugliese in Bari. L’impegno che assumo consiste nel concepire immagini, soggetti ed espressioni ornamentali riferentesi all’impresa dell’Acquedotto in Puglia che possa risultare permanente sulle pareti a decorazione degli ambienti e a ricordo dell’impresa compiuta”. Le immagini, i soggetti, le espressioni cui allude l’artista sono probabilmente assimilabili a parole del tutto nuove nate dall’acqua, lavorate a scalpello sulle facciate, incise nelle lunette dei finestroni, disegnate sulle tarsie degli uffici, affrescate sulle pareti delle stanze del lavoro e della vita privata, quasi un codice di antiche saggezze e memorabili eventi. L’acqua come le parole, fluide e correnti, liquide e preziose, entrano – trama e ordito - nella tessitura materica e simbolica nella storia del Palazzo, nello scenario dell’architettura italiana del Novecento. Emanuela Angiuli

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• Mimma Gattulli


L’Acquedotto Pugliese. Storia e politica di Mimma Gattulli

“Vengo dalla Puglia assetata di acqua e di giustizia” Renato Matteo Imbriani, Camera dei Deputati, 4 giugno 1889

Il percorso dell’acqua nel dibattito dell’Italia unita

L’acqua! Quale turbine di idee non desta nella nostra mente questa semplice parola! Cominciava così il discorso di Sabino Scocchera, relatore al Consiglio Provinciale di Bari, pronunciato il 30 novembre 1868, e proseguiva “… incredibile ma vero, quale è la gente che meno se ne dà pensiero? Siamo noi, cioè i discendenti di quei romani che ebbero le acque in tanto pregio…” Siccità: era questa la parola che nel corso del XIX secolo aleggiava sinistra nei discorsi dei politici e sulla bocca degli abitanti delle province pugliesi. Come un fantasma, la siccità annunciava eventi funesti, magri raccolti, epidemie. Nei secoli passati, era la siccità che aveva piegato l’intero territorio pugliese e la sua popolazione che non sapeva come dissetarsi: non aveva acqua per lavar-

si, cucinare, bere, in molti casi coltivare la terra e produrre sufficientemente in agricoltura. Oggi non si ha più memoria delle immagini della Puglia assetata, delle processioni invocanti la pioggia e delle scene popolari di fanatismo religioso dietro statue e quadri di santi. Il Tavoliere, la Terra di Bari, la Terra d’Otranto, gli altopiani della Murgia, il Gargano, erano periodicamente colpiti dal fenomeno dell’aridità, foriera di sterilità. Si tratta di un territorio fatto di calcari dolomitici molto duri e da calcari compatti che non trattengono l’acqua, lasciandola scendere a grandi profondità e perciò inutilizzabili. Orazio ci parla dei boschi e di immense foreste d’ischi e querce di Lucania e Puglia nelle quali vagavano lupi e orsi. Le Murge erano ammantate di verde e irrigate da corsi d’acqua, piccoli rivoli e

L’Acquedotto Pugliese. Storia e politica

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