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Le sfumature di un mosaico di Mario Rotta Quante sfumature ci sono in un mosaico? E che cosa sono le sfumature di un mosaico? Ne scelgo uno, reale, concreto, l’ho fotografato poco tempo fa in una giornata di sole invernale.

La luce ne scompone i pezzi e allo stesso tempo ne ricompone le forme. Le sfumature sembrano poche, ma in realtà sono moltissime, ogni elemento, ogni tessera, se vogliamo, è una sfumatura e può a sua volta scomporsi a seconda della luce. L’insieme, a volte, è quel miracolo di semplicità e allo stesso tempo complessità che spesso ci lascia stupiti, e che più spesso ancora ci disorienta, poiché anziché offrirci una visione sul piatto d’argento dell’apparenza ci costringe a ricomporla, a trovare incastri e armonie che possano esprimere un significato plausibile. A patto che si abbiano occhi per osservare e quella capacità ormai paradossalmente obsoleta che consiste nel cogliere relazioni, assonanze, quel tanto di somiglianza e quel tanto di diversità. Lo so, sono solo metafore. Potrei abusarne, giocando sulle ragioni per cui gli “ivaniani” hanno voluto definire “mosaico” la loro antologia. Ma non sarò così sciocco da cedere a questa facile tentazione, né vorrei apparire così presuntuoso da non farlo, in nome o per conto di un ruolo che probabilmente in tutta questa vicenda ho avuto, ma che non ritengo ormai così determinante. Più umilmente, vorrei cogliere quelle sfumature che in qualche modo accomunano i lavori qui raccolti, per capire se in certe costanti, nelle similitudini di certi approcci, c’è di che ragionare sullo stato dell’arte, o materia per riflettere su cosa è e cosa potrà diventare questo scenario che oggi chiamiamo momentaneamente e-learning. La prima assonanza che colgo è l’interesse attento, capillare, per alcuni temi cari al dibattito sulla società dell’informazione, e in particolare per tutto ciò che riguarda le modalità di elaborazione e le strategie per la diffusione dei contenuti digitali. Nella sostanza, in molte di queste tesi di master c’è una costante attenzione, ma forse sarebbe meglio dire “allusione”, all’idea che la significatività dell’e-learning sia legata anche alla produzione di contenuti digitali innovativi, con specificità proprie. Si insiste sulla necessità di elaborare nuovi modelli di organizzazione delle informazioni in Internet e nuove modalità di descrizione utili nella ricerca di risorse, o su quanto sia importante sperimentare tecniche di produzione di e-content o eknowledge basate su un nuovo “concept”, se così si può dire, segno che i contenuti non sono più percepiti solo come “materiali” funzionali a percorsi educativi in cui l’innovazione è assente o limitata a qualche spunto metodologico indiretto o astratto, ma diventano parte integrante del processo di insegnamento e apprendimento in rete, fino a esprimersi attraverso un linguaggio autonomo, pertinente. O per arrivare a immaginarne l’integrazione “virtuosa” con le strategie per la gestione, la condivisione e la distribuzione del patrimonio di conoscenze che


una qualsiasi organizzazione possiede, ma che non può più permettersi il lusso di sprecare o disperdere, considerando, per usare un eufemismo, che ci sono delle potenzialità nei sistemi informativi basati sulle reti. La seconda assonanza nel mosaico riguarda il tema della valutazione: molte tesi lo affrontano direttamente, altre più indirettamente, certo è che emerge un bisogno prioritario di capire cosa come e perché valutare: valutare per prendere delle decisioni utili a una buona progettazione o per migliorare l’organizzazione di un corso in rete, valutare per scegliere una piattaforma, dei contenuti, valutare per capire come supportare meglio gli studenti online o per capire se hanno raggiunto degli obiettivi. Può sembrare una tematica scontata, ma in realtà non lo è affatto quando se ne comincia a parlare in modo così esteso e diffuso in relazione a scenari in cui finora ha prevalso la dicotomia viscerale e manichea tra l’entusiasmo per l’innovazione fine a se stessa e la diffidenza nei confronti della novità: il contrario esatto di un reale approccio critico, che non può che fondarsi – come emerge finalmente in molti di questi lavori - sulla ricerca di rigorosi criteri di analisi e valutazione. Per estensione, la terza assonanza percepibile nel mosaico è il costante richiamo al problema della qualità. Si sa che è uno dei temi più attuali del dibattito sull’e-learning, ma in questi lavori è interessante notare come il concetto di qualità non sia percepito solo in relazione alle procedure di controllo, ma piuttosto come riflessione sul miglioramento e sull’eccellenza, identificazione degli elementi che possono rendere un corso, un contenuto, o l’azione di una figura professionale, più efficaci, o semplicemente più veri, più concreti. Si tratta di segnali importanti, talora legati anche a riflessioni sulle figure professionali innovative che l’e-learning sta alimentando, le più importanti delle quali, quell’e-tutor, quell’information broker e quel change manager a cui le tesi raccolte nel mosaico fanno costantemente riferimento, sono non a caso impegnate, sia pure su versanti diversi, proprio nella ricerca dell’eccellenza e nella “scansione” dei significati che l’impatto dell’e-learning può assumere negli scenari in evoluzione dell’educazione, della didattica e della formazione. Ma queste che ho voluto evidenziare non sono altro che le tessere più appariscenti del mosaico. Altri elementi, apparentemente più evanescenti, in realtà ben più consistenti, tornano con regolarità nei lavori degli “ivaniani”, anche se è più difficile parlarne. Penso ad esempio alla ricerca di strade, percorsi per immaginare se e come è possibile oggi “crescere” in quanto esperti e professionisti della società della conoscenza, filo conduttore che attraversa diagonalmente tutti i lavori raccolti: quanto contano in questa ricerca di miglioramento i saperi e le competenze dell’individuo, e le strategie per incrementarli, arricchirli? E che importanza può assumere, parallelamente, la ricerca di spazi per confrontarsi e condividere con altri la propria ricchezza intellettuale? In fondo è di questo che stiamo parlando: gli “ivaniani” sono pur sempre ex-studenti di un master che hanno cominciato a studiare da soli, ciascuno nella sua stanza o nel suo ufficio, leggendo libri, rovistando dentro una piattaforma per cercare tracce di esercizi e spunti su cui riflettere. Ma poi hanno trovato la forza e il coraggio di parlarsi, e di continuare a parlarsi ancora, di mettere in comune errori e successi, cercando un modo per sostenersi a vicenda dapprima, per mantenersi costantemente in contatto poi. E allora mi chiedo: è così che si diventa professionisti dell’e-learning? Percorrendo questa sorta di crinale sospeso – se mi è consentito cercare un linguaggio consono e allo stesso tempo evocativo – tra la coscienza individuale e l’intelligenza collettiva? Me lo domando, ma non riesco a dare una riposta “scientifica”. E mi vengono in mente, piuttosto, altre similitudini, ricordi, letture. Qualcuno si ricorda ancora delle “Operette Morali”? Venditore. Almanacchi, almanacchi nuovi; lunari nuovi. Bisognano, signore, almanacchi? Passeggere. Almanacchi per l'anno nuovo? Venditore. Si signore. Passeggere. Credete che sarà felice quest'anno nuovo? Venditore. Oh illustrissimo si, certo. Passeggere. Come quest'anno passato? Venditore. Più più assai. Passeggere. Come quello di là?


Venditore. Più più, illustrissimo. Passeggere. Ma come qual altro? Non vi piacerebb'egli che l'anno nuovo fosse come qualcuno di questi anni ultimi? Venditore. Signor no, non mi piacerebbe. Non potrebbe essere questo, magari opportunamente riadattato, il dialogo tra uno qualsiasi degli “ivaniani” e i loro nuovi colleghi, quegli stessi che ora sono impegnati in un percorso, simile e allo stesso tempo diverso, che li porterà un domani a riflettere sul significato di ciò che è stato e di ciò che sarà? E qualcuno si ricorda ancora dell’astronave Enterprise? In fondo osservare gli “ivaniani” è come cogliere il passaggio dalla generazione dei “pionieri” a una di più disincantati e allo stesso tempo attenti esploratori dell’e-learning. Perfino il nome evoca quei popoli strani ma non troppo, provenienti da mondi lontani eppure così vicini, saggiamente impegnati a usare tecnologie dal volto umano per arrivare finalmente là dove nessuno è mai stato prima. E forse è proprio questo il senso del mosaico: nelle infinte sfumature che legano in qualche modo perfino Leopardi e Star Trek. O più semplicemente, nelle tante sfaccettature di quelle tessere che oggi cominciano a emergere, a diventare via via più nitide: ciascuna con un suo colore, una sua densità, una sua forma, tutte insieme pronte a ricomporre una visione. MR, maggio 2005


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