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Università e classi virtuali Di Mario Rotta Il modello è per definizione quello in cui non c’è niente da cambiare, quello che funziona alla perfezione; mentre la realtà vediamo bene che non funziona e che si spappola da tutte le parti; dunque non resta che costringerla a prendere la forma del modello, con le buone o con le cattive. Italo Calvino, Palomar, 1983. 1. Scenari virtuali e contesti educativi: tendenze e prospettive Parlare di università virtuale, e conseguentemente di classi virtuali, implica prima di tutto la soluzione di una controversia terminologica, analogamente a quanto accade quando si parla di altre istituzioni culturali, come i musei o le biblioteche. Che cosa significa, infatti, l'aggettivo "virtuale" una volta applicato a contesti da sempre identificabili soprattutto nella loro consistenza fisica e quindi nel loro essere "reali"? La risposta va cercata almeno in parte nelle interpretazioni del concetto di Realtà Virtuale, già definita solo una sorta di ambiguo ossimoro (Negroponte, 1995) e tuttavia tema ricorrente di ogni dibattito in cui si affrontano i significati delle nuove tecnologie e di Internet in relazione ai cambiamenti che essi introducono in ambito educativo e socio-culturale. Purtroppo, di Realtà Virtuale si discute spesso in modo eccessivamente semplicistico, evidenziando soprattutto gli aspetti più spettacolari o inquietanti del fenomeno. Il risultato è un caratteristico atteggiamento estremizzante, che produce, come spesso accade di fronte a innovazioni che mettono in crisi certezze e abitudini, facili e superficiali entusiasmi o, al contrario, incontrollabili timori. Ciò significa ad esempio che, quando si associa il termine "virtuale" ad un qualsiasi contesto educativo o a una qualsivoglia implicazione didattica, si delineano immediatamente due posizioni diametralmente opposte: la prima vede nel virtuale un potenziamento del reale e afferma che tutto questo costituisce un'opportunità preziosa per risolvere tutti i problemi, immaginando che grazie alle nuove tecnologie e alle reti si possa costruire una sorta di modello perfezionato della realtà, che non potrà che allargare gli orizzonti della creatività e della conoscenza1; la seconda posizione insiste invece proprio sulla distanza che separa il reale dal virtuale, per sottolineare come nella virtualizzazione di un qualsiasi processo si nasconda il rischio di una progressiva perdita di contatto con il mondo reale, fino a che non sapremo più distinguere tra realtà e "finzione", o, più semplicemente, perderemo il gusto di confrontarci con l'esperienza reale2. Appare difficile dar torto agli uni e ragione agli altri: c’è sicuramente del giusto nelle affermazioni dettate dall’entusiasmo così come negli atteggiamenti più scettici, ed è ancora relativamente presto per valutare se le esperienze virtuali di insegnamento e apprendimento hanno prodotto risultati positivi o aperto questioni irrisolvibili. In sostanza, per dirla con Philippe Queau, in questa fase siamo vittime della sindrome della moglie di Lot3. Dobbiamo quindi 1

Su queste posizioni è ad esempio Negroponte (1995, p.117), che arriva ad affermare, in senso lato, che "la Realtà Virtuale può rendere l’artificiale altrettanto realistico del reale, se non di più". 2 Tra coloro che si fanno interpreti di queste opinioni c’è sicuramente Elemire Zolla. Per quanto sia difficile inserirlo tra gli apocalittici e per quanto egli abbia compreso e subito il fascino degli scenari virtuali, Zolla mostra un sostanziale scetticismo non tanto nelle potenzialità della Realtà Virtuale, quanto nella nostra capacità di dominare i processi e i cambiamenti che un uso più intenso della Realtà Virtuale comporterà. Zolla si è occupato specificamente di Realtà Virtuale in uno dei suoi libri più noti: Uscite dal mondo. Si veda anche il suo intervento in La realtà virtuale cambierà la nostra vita? , in “Virtual”, I,1, settembre 1993, pp.8-17. 3 “...siamo sempre vittime della sindrome della moglie di Lot. Vogliamo sempre gettare uno sguardo sul passato al momento di fuggire. Stiamo vivendo una rivoluzione radicale, eccezionale, pari a rivolgimenti già verificatisi, come l’invenzione della stampa o la comparsa dell’alfabeto. È in atto una frattura drammatica, difficile da pensare, difficile da immaginare nei termini e con i concetti attuali. Tutti siamo la moglie di Lot e non lo sappiamo, tanto siamo immobili e pietrificati nel sale del passato.” Cfr. Queau P. (1995), Come statue di sale, “Virtual”, 3,20, p. 53.


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