GLI SCRABEI - Kahara (Anteprima)

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Gli scarabei 1


Giusy Ferrara

KAHARA

Marotta & Cafiero editori


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©Marotta & Cafiero editori Via Andrea Pazienza, 25 80144 Napoli www.marottaecafiero.it ISBN: 978-88-88234-87-8 Copertina di Gennaro Monforte


Ai miei genitori, a Maria e Gianni, le persone pi첫 importanti della mia vita. Grazie.



Prologo

“M

amma, cosa mi hai regalato per Natale?” chiese insistentemente. “Lo vedrai domani, Laura, pazienta un po’.” Si, facile a dirsi, ma non per una bambina americana di cinque anni che adorava il Natale. All’improvviso la piccola fu attratta da una figura scura nascosta nell’ombra: lei e sua madre camminavano in un vicolo stretto, del tutto privo di luce, tranne che per il fioco bagliore emanato dalla luna. “Mamma, che ci fa quel vecchio signore lì a terra?” “Vieni via, tesoro” sussurrò premurosa la donna. La bimba continuava a guardare incuriosita il vecchio. Lui alzò il viso, tanto da consentire alla luna di inondare di luce i suoi occhi, nascosti fino a poco prima dal cappuccio del mantello nero come la notte, mimetizzato nell’oscurità. Fissava la piccola con uno sguardo intenso, ma allo stesso tempo vuoto. Lei lasciò la mano della madre e tirò fuori dalla tasca del cappotto un torroncino. Continuava ad avanzare lentamente, con la madre alle spalle. Davanti a quell’uomo non fu insospettita né impaurita, ma anzi gli sorrise e gli offrì il dolce che stringeva nella mano. Il vecchio le afferrò il braccio senza lasciare che il suo volto tradisse alcuna emozione, la fissò intensamente con i suoi occhi neri. Con calma si tolse una catenina dalla quale pendeva un medaglione e la infilò al collo della bambina, le posò una mano sulla guancia e cominciò a recitare quella che sembrava una litania fatta di parole incomprensibili, poi aggiunse: “Fai attenzione! Mille pericoli ti attendono, giovane Kahara”. La mamma tirò a sé Laura: “Non la toccare!” Si voltò e corse via con la bambina tra le braccia.

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Lo straniero

M

i svegliavo nel cuore della notte. Il volto di quell’uomo era diventato il mio incubo ricorrente. Non riuscivo a capire perché continuasse a tormentarmi quell’incontro di tredici anni prima. C’era qualcosa di diverso nell’ultimo sogno. Il vecchio mi aveva chiamata in modo strano: Kahara. Mi aveva scambiata per qualcun’altra? Allora quel medaglione non era per me? Mi alzai e, stiracchiandomi, mi avviai verso il cassetto della scrivania dove nascondevo il ciondolo, nel doppio fondo del portagioie della nonna. Me lo rigirai tra le mani e lo guardai: era bello, dava l’impressione di essere molto antico e di avere un grande valore, con tutte quelle iscrizioni che non capivo. Lo indossai come tutte le mattine. Il mio portafortuna. La voce di mia madre mi riportò alla realtà: “Laura, sono le sette e trenta. Stai facendo tardi!” Dovevo correre a scuola. Accidenti! Le mie mattine erano sempre un dramma, una corsa contro il tempo. Mi vestii in fretta e mi lanciai giù per le scale, afferrai lo zaino, baciai mia madre e presi la merenda dal tavolo. La ficcai in borsa mentre volavo fuori dalla porta. Un altro ritardo. Mi sembrava già di sentire la voce stridula di quella racchia della professoressa di matematica. Mentre camminavo qualcosa si mosse dietro di me. Mi girai di scatto, ero sicurissima di aver sentito qualcosa, ma non vidi niente di strano. Sentii la campanella della prima ora e iniziai a correre.

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La libreria

“H

o finito di leggere il libro che mi ha prestato zio Rob. Per favore vorresti portarlo tu alla libreria?” Mia madre guardò mio padre, impaziente di ricevere una risposta. Fuori era ormai buio e l’aria era gelida. Potete immaginare dunque la mia reazione quando mio padre disse: “Vorrei, tesoro, ma ho da fare. Potrebbe portarcelo Laura.” Mi voltai con l’espressione più infuriata che riuscii a trovare nel mio repertorio e lui mi restituì uno sguardo che la diceva lunga sulla sua capacità di sviare compiti noiosi. Pronto a trovare mille scuse per non uscire. Mi arresi. Non avevo voglia di mettermi a discutere. Mi infagottai per bene e uscii. Appena fuori un vento gelido mi penetrò fin nelle ossa. Frugai in tasca alla ricerca del mio iPod, che mi teneva sempre compagnia. Mi ci voleva un po’ di sano rock per riscaldarmi. Arrivata in piazza alzai lo sguardo per leggere l’insegna luminosa che indicava “La casa del libro”. Spinsi la porta ed entrai in un ambiente accogliente e caldo. “Buonasera Laura!” mi disse una voce sottile proveniente da un corpo che non vedevo. Mi avvicinai al bancone e sbirciai. Gli occhi grandi di zia Alice mi guardarono sorridenti e cordiali come sempre. “Ciao zia, ho riportato il libro che zio Rob prestò a mamma la settimana scorsa.” Accidenti! La libreria era sempre stata molto grande, ma dovevano aver aggiunto qualche scaffale. Curiosai tra i libri per bambini e un titolo mi balzò agli occhi: “La Sirenetta”. Era la mia favola preferita. Mamma era costretta a raccontarmela più 11


di una volta per farmi addormentare. La conoscevo a memoria, a volte ero io che la raccontavo a lei. La Sirenetta alla fine del libro si trasformava in schiuma per aver rivelato il suo amore. Morire per la persona amata, non riuscivo a immaginarlo. Alzai gli occhi al cielo sorridendo e sentii zia Alice che mi chiamava: “Laura, ti piace il nostro nuovo acquisto?” Il suo dito affusolato era puntato su un quadro enorme appeso alla parete dietro il bancone, lo guardai e rimasi impietrita. Il dipinto rappresentava un vecchio barbone con un mantello seduto sul ciglio di una strada. Mi avvicinai per guardarlo meglio e notai che al collo portava un medaglione lucente. Un senso di nausea mi assalì e il bisogno di fuggire via si impadronì di me. Salutai la zia che ricambiò con una smorfia, forse credeva che il quadro non mi fosse piaciuto. La piazza era tutta illuminata, correvo verso casa quando un uomo ubriaco si avvicinò. “Dove vai bella?” disse tirandomi per la giacca, l’alito puzzava di alcol. Ebbi paura, con uno strattone mi liberai dalla presa e scappai via. Continuavo a scorgere ombre dietro di me, ombre che mi rincorrevano. O che correvano con me.

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Esperienza notturna

M

i rigiravo nel letto, inquieta. Non riuscivo ad addormentarmi, continuavo a pensare a quelle ombre e al quadro che avevo visto in libreria. Decisi di andare in cucina a prepararmi una tisana, ma appena aprii gli occhi vidi un uomo. Mi guardava dall’altro lato della stanza con aria pensierosa. Quando si accorse che lo fissavo imbambolata, sul punto di gridare, piangere e svenire, sgranò gli occhi e si affrettò a sussurrare: “Ti prego non urlare, non voglio farti del male.” Nella mia testa il buonsenso e la paura avevano mandato in vacanza la curiosità e così provai a strillare, ma dalle mie labbra spalancate uscì solo un vagito strozzato, che non rassomigliava neanche lontanamente a un grido d’aiuto. L’uomo mi sussurrò ancora: “Ti prego, posso spiegarti tutto, ma non urlare.” Mi stupiva il tono pacato con cui parlava. Mentre il buonsenso e la paura decidevano il da farsi, la stupidità prese il comando dei miei pensieri e risposi a quello sconosciuto che era apparso nella mia stanza buia alle tre di notte: “Chi … chi sei tu?” riuscii a dire con voce spezzata. “Laxarus.” La sua risposta non mi soddisfaceva affatto. “Chi sei?” ripetei, stavolta con maggiore fermezza. L’uomo si avvicinò al letto e notai che era molto alto, mi guardò e si espresse con una voce profonda e decisa, che emanava sicurezza e mi infondeva tranquillità. Rimasi sorpresa dalle sue parole. Non potevo, da diciottenne, credere a quello che diceva. “Sono Laxarus. Ero un angelo del Signore.” Sgranai gli occhi. Mi diedi un pizzicotto. Chiusi, strofinai e riaprii gli occhi, più volte, ma lui era sempre lì. 13


Non poteva essere. Insomma: come faceva a essere un angelo? Nonostante il suo aspetto a dir poco perfetto e la sua voce profonda e calda non riuscivo a credere che fosse un angelo. Decisi di alzarmi e andare in bagno per sciacquarmi la faccia, ma appena fui in piedi scattò davanti a me. Ok, era il momento di urlare a squarciagola. Aprii la bocca e inspirai tutta l’aria che poteva entrarmi nei polmoni. Sentii solo che sospirava: “Non farlo!” Ormai le mie corde vocali erano tese e dalle mie labbra uscì un suono che fece tremare persino me. Quello sì che non era umano! A mia madre raccontai di un incubo mostruoso, dato che quando entrò in camera mia lui non c’era più. Mio padre per sicurezza volle controllare la finestra e chiuderla bene. Io fui contenta di quella decisione, anche se dentro di me si facevano strada una miriade di domande. Chi era quello? Che cosa voleva da me? Se non voleva farmi del male perché era scappato? E se voleva farmi del male, poteva trovarmi in qualsiasi momento? D’un tratto mi venne in mente il quadro dello zio Rob. Non sapevo perché, ma l’immagine mi fece rabbrividire. Un angelo del Signore. Beh, poteva anche inventarsene una migliore. *** A scuola cercai di distrarmi in tutti i modi possibili, non volevo allontanarmi da un luogo così affollato, almeno lì non avrebbe potuto trovarmi, ammesso che mi stava cercando. Da lontano qualcuno mi chiamò: “Bella Briciola!” “Hey, Scream! Tutto bene?” “Ok, sorella. Bella giornata per una fuga, ti va? Trey, Sara, CJ e Flo sono già dei nostri. Ci stai?” “Ok, ci sto!” Scream, grande amico, quasi un fratello. A molti poteva sembrare un tipo strano. Beh, lo era. Io lo conoscevo da tempo, uno sempre pronto ad ascoltare, uno che non si tirava mai indietro. 14


Scream, come se sapesse leggermi nel pensiero, era arrivato al momento giusto. Andammo al Meeting Park a prendere un frullato. Avevo tanta voglia di raccontare a qualcuno quello che mi era successo, ma non mi andava di coinvolgere tutti nei miei problemi. Avrei rovinato la giornata a tutti. No, meglio lasciar correre. Nel pomeriggio tornai a casa distrutta. Non avevo voglia di studiare. Non avevo voglia di rimanere da sola. Ero seduta nella mia stanza e dalla finestra fissavo gli uccelli che svolazzavano liberi. Come avrei voluto poter volare via, lontano dai miei problemi, avere le ali, come un angelo. Rabbrividii. In un istante mi erano tornate in mente le immagini della sera prima, più reali di quanto non fossero mai state. Aprii il portagioie e presi tra le mani la catenina dorata, guardai il medaglione. “Tu non dovevi portarmi fortuna?” gli chiesi sottovoce, come se potesse rispondermi. Mi ripromisi che, semmai quel tizio fosse tornato a cercarmi gli avrei chiesto spiegazioni prima di scappare. Almeno mi sarei liberata dai dubbi. Un rivolo freddo mi scese giù per la schiena. Il cuore iniziò a battermi nel petto in modo preoccupante. Alzai lo sguardo e lo fissai nello specchio davanti a me: “Laxarus!”

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Laxarus

A

ccidenti. Come diavolo aveva fatto ad entrare? E proprio quando mi ero ripromessa di ascoltarlo. Sembrava che mi stesse spiando. Mi feci coraggio e mi voltai, restai a bocca aperta: era veramente stupendo. Alla luce del sole era tutto ciò che di più bello potesse esistere al mondo. Iniziai a pensare che fosse veramente un angelo. “Parla!” gli dissi quando riuscii a riprendermi. Lui mi guardò con aria interrogativa, ma il suo sguardo non tradiva né timore, né impazienza. Freddo come il ghiaccio. “Mi hai detto che potevi spiegarmi tutto: parla, dunque.” “Urlerai?” “Dipende da ciò che mi dirai.” “Cosa vuoi sapere, Kahara?” “Oh, milioni di cose, credimi. Innanzitutto chi sei, cosa ci fai qui, cosa vuoi da me e perché mi chiami Kahara?” “Però! Quante domande piccolina” mi disse sorridendo. Di fronte a quel sorriso non potei far altro che restare senza fiato, ma volevo delle risposte. “Mi spiace Kahara, ma per ora non credo di poter soddisfare tutte le tue curiosità. Non so se saresti pronta.” Pronta? Con chi credeva di aver a che fare? Diventai furiosa, rossa in viso. Contrariamente a quello che pensavo, Laxarus scoppiò in una risata tranquilla, piena e giocosa, che mi fece infuriare ancora di più. Mi avvicinai con passo pesante e lui per scherzo indietreggiò. Non la smetteva di ridere e questo mi dava sui nervi. “Che grande bugiardo! Chi cavolo sei? Piombi in casa mia di notte, mi fai prendere uno spavento che rischio l’infarto, torni qui il giorno dopo, mi chiami 16


con nomi strani e dici di essere un angelo! Eppure ti posso toccare!” dissi, tirandogli un pugno con tutta la forza che avevo. Ottenni quello che volevo. Lui smise di ridere e mi guardò serio. “È vero, hai bisogno di risposte. Io cercherò di essere esauriente, ma tu dovrai fidarti di me. Promettimelo!” Come facevo a fidarmi di uno che non conoscevo e che era entrato di forza nella mia vita? Tuttavia volevo delle risposte ed ero disposta a tutto per averle. “Promesso!” Laxarus mi guardò con aria seria, anche se non capivo perché. Mi prese dolcemente la mano e mi fece sedere sul bordo del letto. Bene, ero preoccupata. Lui rimase in piedi di fronte a me e iniziò a raccontarmi una delle storie più strane che avessi mai ascoltato: “Io ero un angelo del Signore e mai mi fu data possibilità di conoscere i piani divini, piani che molto spesso non comprendevo. Il mio animo si riempì di orgoglio. Credetti di poter essere più giusto, di poter fare di meglio. Decisi di andarmene e di spogliare la veste candida. Venni a sapere delle schiere degli Angeli Caduti e mi unii a loro. Combattei per anni per le Armate Nere. Fu allora che capii quanto avevo perso, il perché delle azioni divine e compresi quanto mi sarebbe costata la mia scelta. Oltre che stupido fui codardo. Per anni ho cercato un rimedio a ciò che avevo fatto, senza mai trovarlo. Ero stato la mia Apocalisse. Non potevo tornare né restare con le Armate Nere. Non credere che fu facile. Tutt’ora fuggo ancora”. Ero esterrefatta. Con gli occhi spalancati ascoltavo la melodia che usciva dalle sue labbra e che mi raccontava con voce straziata e addolorata la sua storia. Volevo che andasse avanti, volevo sapere. “Chi ti dà la caccia?” Laxarus mi sorrise (o meglio, sorrise della mia curiosità), ma mi accontentò: “Coloro a cui la pace è stata tolta per sempre, coloro che vestono di nero.” “Perché?” incalzai appena terminò la frase. “Ai tempi della Grande Guerra, quella che l’uomo non potrà mai dimenticare, ma che ha volutamente ricacciato indietro nella memoria, le forze che si erano coalizzate con le Armate Bianche del Bene riuscirono a rinchiudere Lucifero nell’oscurità. La sua prigione è bloccata da tre sigilli che se riuniti nelle 17


mani sbagliate riporteranno il Male sul suo trono e sarà la fine dell’umanità intera, che verrà rimpiazzata dalle tenebre eterne, sovrastata dalle Armate Nere.” Non potevo credere alle mie orecchie. “E io che c’entro in tutto questo?” domandai d’un fiato cercando di tenere a bada le mani che tremavano di paura per qualcosa che stranamente mi immischiava in una faccenda infinitamente più grande di me. “I sigilli sono tre medaglioni. Le fedeli armate di Lucifero sono riuscite a prenderne solo due e sono intenzionate a trovare anche il terzo.” Un pensiero mi sfrecciò nella mente, un pensiero tetro, che purtroppo trovò conferma nelle parole dell’uomo davanti a me. “Quello che loro vogliono, Kahara, ce l’hai tu.”

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Incontro mostruoso

R

estai a lungo in silenzio sperando di riuscire ad assimilare il concetto che mi aveva appena spiegato, ma le parole scorrevano nella mia testa senza trovare alcun appiglio. Come facevo a sapere che non mentiva? E che cosa voleva dire con quel discorso? Ero in pericolo? E lui che ruolo aveva in questa storia? “Come posso fidarmi di te?” provai a dire per cercare chiarimenti. Ricevetti una risposta banale e paralizzante allo stesso tempo. “Dovrai farlo. È l’unico modo.” Accidenti, volevo assolutamente uscire da quella situazione, aprire gli occhi e scoprire che era stato solo un brutto sogno. *** Guardai l’orologio: erano le sette del mattino e dovevo andare a scuola. Quasi automaticamente mi alzai dal letto. Mi diressi in bagno nonostante il mal di testa. La giornata a scuola fu lunga, ogni minuto sembrava durare un’eternità e io riuscivo a malapena a rispondere all’appello. Tremila pensieri mi turbinavano nella testa. Inoltre sapevo che lui era lì fuori ad aspettarmi, per proteggermi da altri che mi cercavano o, cosa probabile e inquietante, per portarmi verso di loro. A quel pensiero rabbrividii e fui grata che il tempo passasse così lentamente, piano piano. Non volevo andare via, non volevo lasciare quel rifugio, quella protezione, quello che mi aspettava là fuori, nell’ignoto, nel buio, mi spaventava. 19


“Laura? Ti senti bene? Sei pallidissima! Andiamo a casa, ti accompagno.” La mia amica Flo, sempre premurosa. Mi accorsi con troppo ritardo che era suonata la campanella dell’ultima ora. Uscii a malincuore, decisa ad arrendermi al mio destino. Non volevo per nessun motivo che succedesse qualcosa a Flo. Inventai una scusa su due piedi: sarei passata in biblioteca e ci sarei stata un po’ di tempo per una ricerca, il che non era del tutto una bugia. Avevo infatti deciso di andarci e usare il computer in pace. Salutai Flo e i ragazzi del gruppo con un senso di inquietudine e mi diressi verso la biblioteca. Camminando sentivo la presenza di qualcuno alle mie spalle. Mi guardai indietro varie volte, ma non vidi nulla. Eppure sapevo di non essere sola. In biblioteca svolsi delle ricerche e scoprii che la storia che mi aveva raccontato Laxarus combaciava su per giù con alcune leggende tramandate dai popoli antichi: il Bene e il Male in lotta, Lucifero rinchiuso, il sigillo. Non ce la facevo a tenermi tutto dentro. Andai da Scream. Sapevo che qualunque cosa, anche la più banale che avessi potuto dire, lui l’avrebbe ascoltata. Mi fidavo di lui e sapevo che poteva mantenere il segreto. Dopo qualche ora avevo finito di raccontare la storia di Laxarus e il resto. Scream mi ascoltava in silenzio e quando ebbi finito mi abbracciò. “Laura, capisco che tu sia preoccupata, ma non posso crederci: un angelo? E se ti stesse solo prendendo in giro? Forse quel tizio si è documentato bene e ha deciso di farti uno scherzo.” “E come faceva a sapere del medaglione?” “Beh, uno scherzo crudele. Ti sta prendendo in giro!” “Si, ma non posso escludere neanche che sia tutto vero. Accidenti! Sono così confusa!” Scream mi strinse. Mi guardò e disse dolcemente: “Io sono con te. Se tu credi che possa essere un angelo ci crederò anche io. E fidati, rimarrà un segreto. Ti voglio bene Briciola!” “Anche io te ne voglio Scream. Grazie mille fratellone.” Quando decisi di tornare a casa era ormai sera. Avevo ancora paura di quelle ombre. Forse avevo paura che Laxarus non fosse vero, che non fosse 20


qui per aiutarmi, che ci fosse qualcuno che mi inseguisse per farmi del male. Dubbi laceranti mi perseguitavano. Mentre voltavo l’angolo mi accorsi che un uomo si avvicinava con l’auto. Mi misi sulla difensiva, ma pensai ingenuamente che volesse delle indicazioni. Purtroppo mi accorsi che non era così. “Hey, ragazzina, ti va di fare un giro? Avanti salta su!” Iniziai a indietreggiare con la paura dipinta sul volto. A un tratto accadde qualcosa che non avrei mai creduto possibile. Due figure alte e magre si avvicinarono con fare sicuro e una di loro spinse letteralmente via l’auto. Sorrisi pensando all’angelo, ma mi resi subito conto che quelle cose erano tutto quello da cui sarei dovuta scappare. Esseri dal volto sfigurato, il cui corpo era fatto solo da ossa e pelle, eppure capaci di muoversi, alti e sicuri, avanzavano minacciosi verso di me. Una mi afferrò il braccio prima che fossi abbastanza lucida da poter correre via. A quel tocco gelido tentai di liberarmi, ma quel mucchietto d’ossa era più forte di quanto lasciasse credere. Una voce alle mie spalle, troppo familiare perché non la riconoscessi nel giro di un secondo, gridò: “Lasciala andare!” “Scream, no!” Troppo tardi. Stava già correndo verso di noi quando la seconda creatura lo fece volare via, scaraventandolo contro il muro. Mi divincolavo freneticamente, ma non riuscivo a liberarmi da quella morsa. Il mostro che mi teneva ferma aprì la bocca deformata, sentii subito che le forze mi mancavano, i pensieri mi scivolavano via dalla mente. Chinai la testa all’indietro e solo allora vidi una figura correre verso di me, prima di cadere in un sonno profondo.

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Domande

M

i ritrovai in un prato pieno di fiori, ma il cielo era nuvoloso. Ero felice e correvo in quella magnifica distesa di verde. Da lontano, un ragazzo dalla carnagione scura si avvicinò: era Scream. Gli sorrisi, ma lui mi afferrò un braccio. D’un tratto qualcuno apparve accanto a me e mi sentii sicura. Aprii gli occhi e mi ritrovai in un letto. Mi guardai intorno e capii di essere in una stanza dall’aria familiare: ci avevo dormito tante volte, ero a casa di Flo. Due occhi di un grigio profondo mi fissavano, era un viso troppo bello da dimenticare. Forse ero in Paradiso, altrimenti perché mai avrei dovuto vedere un angelo? In realtà non sapevo bene chi o cosa fosse Laxarus, ma di una cosa ero certa: chiunque egli fosse, mi aveva salvato la vita. Ben presto capii che la stanza nella quale mi trovavo era abbastanza affollata, il sorriso bianco di Scream mi comparve davanti dandomi il bentornato, Flo aveva un’aria un po’ preoccupata perché non aveva idea di chi fosse l’uomo che era seduto sul suo letto, CJ era al suo fianco con aria sollevata. “Briciola! Bentornata tra noi!” “Cosa è successo?” “Beh, sei svenuta e ti abbiamo portata da Flo. Non preoccuparti, ai tuoi abbiamo detto che ti eri addormentata qui e che non volevamo svegliarti. Ti hanno dato il permesso di rimanere per la notte. Riposati ora.” Non volevo riposare. Mi voltai a guardare Laxarus. “Tu mi hai salvata” dissi dimenticando di non essere sola. Lui sorrise e mi sfiorò il viso. “I tuoi amici hanno ragione: riposati, ne parleremo domattina. Se avrai bisogno di me sarò qui fuori.” 22


Il suo sorriso questa volta non era irritante, ma lasciava trasparire dolcezza e preoccupazione. In quella stanza, da sola, ebbi modo di pensare alle cose guardandole sotto diversi aspetti e arrivai a due conclusioni. La prima era che Laxarus mi aveva salvata e, pertanto, era degno di fiducia. Ammettere questo significava ammettere che mi avesse detto le verità e, quindi, accettare la sua natura di angelo. La seconda conclusione a cui giunsi era che non potevo rivelare quanto sapevo a nessuno. Lo avevo fatto con Scream e lui aveva rischiato parecchio. Non potevo mettere a rischio la vita di altre persone. Inoltre, se lo avessi detto in giro mi avrebbero probabilmente rinchiusa in manicomio. Decisi, dunque, di continuare a far finta di niente, vivere la mia vita con questo nuovo segreto e cercare di apparire normale agli occhi della gente, ma soprattutto ai miei. Per mettere in moto il mio piano dovevo, per prima cosa, spiegare al mondo intero la presenza di Laxarus al mio fianco. Capii che sarebbe stato meglio presentarlo come un amico d’infanzia. Infanzia: quella parola mi portò indietro nel tempo, l’immagine del medaglione mi riaffiorò alla mente. Mi alzai con cautela dal letto. La testa mi girava, ma riuscii ad arrivare alla borsa e presi il medaglione. Avevo in mente di costringere l’angelo a darmi informazioni sul suo significato. Lo guardai bene: una figura alata schiacciava la testa di un demone. Pensai alla storia di Laxarus, allo scontro tra il Bene e il Male e fui colpita da una fitta allo stomaco. Dovevo sapere! Se lui non avesse voluto spiegarmi, lo avrei scoperto da sola. Posai il medaglione e uscii dalla stanza. La porta dava su un grande salone con le pareti color oro. Mi aveva sempre colpito la bellezza del grosso lampadario di cristallo, che scindeva la luce in milioni di strisce colorate. Appena mi videro, Laxarus e CJ, mi scattarono davanti cercando di sorreggermi: “Ce la faccio ragazzi, non vi preoccupate, sto bene!” I due si scambiarono uno sguardo e mi lasciarono andare, ma io traballai e caddi in avanti tra le braccia di CJ. Laxarus alzò gli occhi al cielo e gli diede una mano a portarmi sul divano. Volevo restare sveglia, trovare due minuti per parlare con Laxarus (che nel frattempo si era presentato ai miei amici come Lex), chiedere a Scream il perché di quello sguardo cupo, ma in breve tempo mi ero addormentata nuovamente, addentrandomi in un sonno profondo e, per fortuna, senza incubi. 23


Il medaglione

I

n poco tempo a scuola si era diffusa la notizia dell’aggressione da parte di un maniaco e tutti sembravano preoccupati, tutti cercavano di apparire interessati. Dopo qualche settimana se n’erano già dimenticati. Io, invece, mi ritrovavo ad essere scortata ovunque da quell’irriverente e antipatico di Lex. Chiunque, vedendomi con quell’essere fisicamente perfetto mostrava invidia, ma non poteva immaginare quanto fosse insopportabile per me essere sempre in presenza di un sapientone che mi prendeva in giro in ogni occasione. “Ma gli angeli non dovrebbero essere buoni e gentili?” “Ma io sono buono! E poi non sono più un angelo.” “E cosa dovresti essere?” “Non lo so.” “Beh, i non-lo-so non hanno mai niente da fare, a parte assillare me?” “A me piace assillarti!” rispondeva ridendo. All’uscita dalla scuola vidi Scream, aveva un’aria corrucciata e io sapevo perché. Non volevo crederci neanche io, l’unica differenza era che io dovevo farlo. Iniziai a correre verso di lui, ma non si mosse. Gridai: “Ciao Scream!” Lui mi guardò quasi volesse dirmi di stare zitta. Era incredibile, per quante scuse potessi trovare, per quante parole potessi dire a me stessa, lui con un solo gesto mi stava facendo stare male, male davvero. “Scream, andiamo amico, che c’è che non va?” “Ah! Sei comica! E hai il coraggio di chiedermelo anche?” Sbuffai. “Lo so. È complicato, ma vedrai che si sistemerà tutto!” 24


Lui iniziò a urlarmi contro: “È complicato?! Si sistemerà?! Che diavolo dici? Ti ascolti quando parli? Accidenti Briciola! Devi aver perso la memoria, ma se vuoi te la rinfresco io: stavi per essere uccisa! E pure io! E tutto per colpa di quello lì!” Poi abbassò il tono: “Si finge un angelo, ma un angelo avrebbe mai permesso che ti succedesse questo? Se tu ci vuoi credere, fai pure, ma io non ci sto. Ti voglio un casino di bene Briciola. Non te ne rendi conto, quello è pericoloso. Sappi che ci sarò sempre per te, sempre. E la prossima volta che ti servirà una mano io sarò lì al tuo fianco. Sempre, ma se ti succedesse qualcosa non te lo perdonerei mai!” Mi guardò ancora una volta, poi si voltò e iniziò a camminare velocemente. Via da me. Via da quella minaccia ambulante. Ero così sconvolta che non mi resi nemmeno conto delle lacrime che mi scendevano copiose sulle guance. La mia vita stava andando in pezzi. Il mio mondo stava crollando. Avevo perso il mio migliore amico. O peggio, rischiavo di fargli del male. Più di quanto non gli avessi mai fatto. Lo guardai andare via e tentai di urlare il suo nome, ma l’unica cosa che mi uscì di bocca fu un singhiozzo. Crollai su me stessa e caddi in ginocchio. Sentii due braccia forti che mi sostenevano, Lex mi portò via tra milioni di sguardi. *** Per due giorni non feci altro che piangere e lui era lì. Non facevo altro che fargli domande su di me, su di lui. La mia vita era cambiata e io non l’avevo mai voluto. Volevo solo che tornasse tutto come era prima. Mentre ero seduta sul letto a pensare a quanto fosse potuta ancora peggiorare la mia vita, Lex mi sorprese: “Scusami. Hai ragione. Non avrei mai dovuto darti questo peso. Non sei tu. Non sei tu quella che cercavo. Non sei abbastanza forte come credevo. Perdonami se ti ho portato disturbo, ma è stato comunque bello conoscerti.” Scattai in piedi e lo fissai. “Che cosa credi di fare? Lasciarmi così? Senza spiegazioni? Piombi nella mia vita in piena notte, mi dici che ho le sorti del mondo nelle mani, mi salvi 25


la vita e non so come, mi chiedi di fidarmi di te e per questo io perdo il mio migliore amico e poi credi che io ti lasci andare così? No, caro mio! Non se ne parla proprio! Ora tu mi dici tutto quanto!” Accidenti se ero furiosa! Parlando, o meglio, urlando, mi avvicinai così tanto da riuscire a guardarlo dritto negli occhi. Credevo che il suo sguardo fosse impenetrabile, ma in quel momento la sua barriera crollò e riuscii a vedere tutto quanto c’era in lui. Quello che provava: rabbia, tristezza, paura, agitazione, dubbio. Non ero io quella che gli faceva provare quei sentimenti, era quello che stavo per chiedergli. “Chi mi ha dato quel ciondolo?” “Io.” “Non prendermi in giro, nel mio sogno era un vecchio.” “Lo so. Dovevo nascondermi.” “Da chi?” Non rispose. “Da chi?!” urlai più forte. “Volevano prendermi. Non sai cosa…” Sembrava esitare. Anche io esitavo, ma mi ero spinta troppo oltre per tornare indietro. “Chi voleva farti cosa?” “Non posso, Laura. Non posso proprio, mi dispiace. Saprai quando sarà il momento.” “No! Fermo! Laxarus!” Troppo tardi. Era già sparito. Se non era un angelo, e non era un demone, per quale motivo riusciva a fare quello che faceva?

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La pistola

“C

laire! Tesoro, sono tornato prima!” disse con voce felice l’uomo. “Josh che ci fai a casa?” Claire si avvicinò al marito e gli stampò un dolce bacio sulle labbra. “Beh, c’è stato un corto circuito improvviso e il capo ci ha mandati via. Visto che sono qui vado a farmi una doccia. Poi potremmo stare un po’ insieme, che ne dici?” Sorrise alla moglie con aria maliziosa , abbracciandola. Josh si voltò a guardare sua moglie distesa sul letto affianco a lui. Era bellissima. D’improvviso si ricordò di quando l’aveva conosciuta: era la figlia del padrone del poligono. Era lei che gli aveva insegnato a sparare. Appena l’aveva vista aveva pensato: “Che donna!” Una strana malinconia si fece strada in quel letto, dentro Josh. Claire dormiva. “Approfitterò del tempo libero per fare un po’ di esercizio, come una volta. Ero piuttosto bravo e se riprendessi l’allenamento potrei sfidare Billy al tiro a bersaglio” pensò. Si liberò piano dalle lenzuola e si vestì. Salì in soffitta. Ricordava bene di aver lasciato la Smith&Wesson nel baule accanto alla finestra. Lo aprì e cercò la scatola di latta con i proiettili. Non c’era. Pensò di averla riposta in qualche altro scaffale. Iniziò a svuotare il vecchio baule. Vecchie foto, un vestito a fiori, una parrucca. Nessuna traccia del contenitore di latta né della scatola di legno intagliato che custodiva la pistola. Che sbadato era diventato. Col tempo, forse, stava dimenticando delle cose. No, non gli era mai capitato. Poi gli venne in mente una cosa: qualche notte prima Laura aveva sentito dei rumori nella sua stanza. Aveva gridato, credendo che fosse un brutto sogno. E se non lo fosse stato? 27


Si rialzò di scatto, gli occhi spalancati per lo stupore. Avevano rubato la sua pistola. Forse c’era un pazzo che si aggirava per Weyburn con un’arma da fuoco. Corse in cucina e afferrò la cornetta del telefono. Digitò 911 sulla tastiera e attese. Una voce metallica rispose dall’altro lato dell’apparecchio. “Per parlare con un nostro agente digiti tre.” Josh schiacciò il tasto e attese due squilli. “Pronto, polizia.” “Salve, sono Josh Abbel. Hanno rubato la mia pistola.”

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Addestramento

A

vevo esaminato ogni scaffale, ogni cassetto, ogni mobile e messo a soqquadro la soffitta, ma alla fine l’avevo trovata. Ricordavo che papà la tenesse da qualche parte: una Smith&Wesson 459. Papà la usava al poligono quando era giovane. Ok, Lex non mi voleva dare delle spiegazioni, ma io dovevo pur proteggermi in qualche modo, no? Dovevo solo imparare a farlo. Conoscevo un posto dove non andava più nessuno da anni. Papà mi ci portava quando doveva esercitarsi. Gliel’avevo visto fare migliaia di volte e sapevo come comportarmi. Presi l’autobus che mi portava al parco giochi. Alle spalle del parco c’era una strada il cui ingresso era sbarrato. Scavalcai facilmente la staccionata e iniziai a camminare. Era quasi mezzogiorno quando arrivai a un incrocio. Era tutto come lo ricordavo. Certo non era da me spendere un sabato mattina soleggiato in un posto deserto, avrei preferito stare con Scream e CJ e Flo. Sospirai. Mi guardai in giro. La vecchia tavola che papà usava come bersaglio era ancora lì. Forse ci era stato di recente. Oh no! Se avesse cercato la pistola e non l’avesse trovata avrebbe di certo chiamato la polizia. Poi mi venne in mente che quel sabato papà lavorava. Meno male. Iniziai a caricare la pistola. Ci riuscivo bene. Tolsi la sicura e iniziai a concentrarmi. Fuoco. Fuoco. Fuoco. Provai per tutto il pomeriggio. Cavoli! Non l’avevo centrato neanche una volta. Ero lì da ore e iniziavo a essere stanca. Presi meglio la mira e… “Sei una schiappa!” 29


“Lex! Porca miseria! Mi hai spaventata a morte.” Lui rise di gusto e aggiunse: “Che cosa credi di fare con quella?” “Sto tentando di proteggermi. E poi, è vero che non sono brava, ma migliorerò. Per questo mi sto allenando, no?” “Beh, comunque sia, non puoi combatterli con quella. Non puoi combatterli tu.” “Sono forte!” “Non abbastanza. Non puoi farcela da sola.” Eccolo che ricominciava. “Forse se Vossignoria si degnasse di dirmi chi è che mi dà la caccia saprei come sbarazzarmene.” Gli puntai contro la pistola e gli dissi piano: “Dimmi chi è, Lex!” “Woh, woh, woh, ferma lì Lara Croft! Che vuoi fare? Uccidermi? Ah ah ah!” Non lo sopportavo quando rideva di me. Lo guardai male, senza abbassare la pistola. “Se sei veramente un angelo, o un demone…” “Dunque è così? Credi che sia un demone?” “Non so cosa sei! Forse è arrivato il momento di scoprirlo, che ne dici?” Feci due passi avanti e lui indietreggiò. “Mi fai paura” disse. Questa volta, però non stava scherzando. Era serio. Abbassai l’arma. “Anche io ho paura. Chi sono? Non lo so più. Lex, chi diavolo è Kahara?” Alle mie parole quell’essere meravigliosamente perfetto posò il suo sguardo triste su di me e sussurrò: “Non sei ancora pronta per questo, ma su una cosa hai ragione: devi sapere chi è il predatore per proteggere la preda. C’è qualcuno che ti cerca, ti dà la caccia. Ed è pericoloso.” “Chi?” “Kewitched. Creature oscure nate dalla perversione del male puro. Sono in grado di fare le cose più spregevoli. Non hanno anima, non hanno cuore. Niente li spaventa, niente può far loro del male.” “Come si combattono?” “Non c’è battaglia. Sono stati creati per uccidere. Portano a termine il loro compito, sempre.” “Tu come hai fatto?” dissi, ricordando l’episodio dell’aggressione. 30


“Io sono stato con i demoni. So come prenderli, ho imparato a difendermi. Se sono troppi, però, non ce la posso fare.” “Quindi non possiamo vincere?” Mi voltai verso il mio bersaglio di legno e feci partire un colpo. Laxarus ricominciò: “C’è solo un modo di provare a sconfiggerli. Sono malvagi e quindi odiano tutto ciò che è bene. Esiste una pietra risalente alla Grande Guerra, nata dal Bene per opera del Bene, può distruggere il Male e tutte le sue forme. Grazie a quella pietra, anni orsono, il bene trionfò. È la nostra unica risorsa.” “Beh? Che aspettiamo? Prendiamola e facciamola finita.” “Non è così facile. Non ce l’ho.” Ero sconcertata. Confusa. Insomma, c’era un modo per vincere la battaglia, per salvarmi, ma non sapevo dov’era. Certamente, visto la sua importanza non sarebbe stata facile da raggiungere. “Dov’è?” “Non lo so, ma conosco qualcuno che ci può dare una man….” Non riuscii a sentire altro perché il suono della sua voce fu sovrastato dal suono assordante di un allarme. Guardai Lex e lo vidi portarsi le mani ai capelli. Mi ci vollero almeno dieci secondi per capire che quelle che sentivo erano le sirene della polizia. In quel momento una volante svoltò l’angolo. Con lo sguardo piantato sul mio viso, Lex mi afferrò la mano e gli sentii dire: “Corri!” Iniziai a correre insieme a lui, ma ben presto non riuscii più a stargli dietro. Gli gridavo di rallentare, di fermarsi, ma non mi ascoltava. Aveva preso a correre più velocemente, quasi come se non stesse scappando da due macchine della polizia, delle quali poteva facilmente sbarazzarsi. Doveva esserci qualcos’altro. Provai a voltarmi indietro e mi sembrò di vedere delle ombre scure, come quelle che avevo incontrato tempo prima. Ripresi a correre. Il mio fiato si faceva sempre più corto, le gambe mi facevano male, Lex non si fermava e, per di più, forse c’era qualcosa di molto più pericoloso della polizia a darci la caccia. Improvvisamente ci fermammo. Quella che fino ad allora mi era sembrata una macchia informe ora si stava focalizzando davanti a me: eravamo di fronte a un vecchio casale. Avevo i polmoni a pezzi. Lui nemmeno un po’ di fiatone. Era davanti a me e mi squadrava cercando di capire se stessi bene. Alla fine si decise a chiedermi: “Come stai?” 31


“Come se mi fosse passato addosso un treno!” Lui mi guardò con aria preoccupata e un po’ divertita: “Hai bisogno di qualcosa?” Lo guardai e, abbozzando un sorriso, che sembrava più una smorfia, dissi: “Sinceramente? Di una bombola di ossigeno.” Aspettò che mi fossi ripresa e poi entrammo nel capanno. “Da cosa scappavamo?” “Non era la polizia che mi dava problemi.” “K…Kewitched?” pronunciai quella parola con un nodo alla gola. “Non lo so. Non ne sono sicuro, ma non era niente che mi piacesse.” “Forse era solo un topo, o un ragno. A me non piacciono i ragni.” “Ah, si? Beh, fai attenzione perché ne hai proprio uno qui!” disse facendomi il solletico. Per fortuna aveva colto il mio tentativo di sdrammatizzare. Ero paralizzata dalla paura. Alzai lo sguardo per ringraziarlo e quello che trovai non mi piacque: il suo viso era rilassato, ma i suoi occhi tristi e preoccupati. “Forse è meglio che ti porti a casa.”

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Decisioni

F

ui svegliata da un fruscio improvviso, come di foglie alzate dal vento, guardai l’orologio ed erano le quattro del mattino. Il mio letto era così comodo, così caldo e io avevo così tanto sonno che mi addormentai in un secondo. Sentii un risolino soffocato. Con un sussulto mi girai verso la finestra e, come quella notte, una figura alta e scura mi venne incontro. Stavolta, però, non avevo paura. “Scusa, ti ho spaventata?” mi chiese con tono formale. A dire la verità stavo per rispondere di si. Perché aveva quella pessima abitudine di piombare in camera mia di notte? Lo guardai con aria assonnata, feci uno sbadiglio e sussurrai: “Che c’è?” Ancora quel risolino. “Lo sai che sei carina quando dormi?” “Stai cercando di dirmi qualcosa o sei solo venuto a prendermi in giro? Perché, sai, è notte fonda…” “Scusa. Sono solo venuto a vedere come stavi.” Dopo un attimo di lucidità dissi: “Lo voglio fare, Lex.” Pronunciai quella frase tutta d’un fiato. Lui mi guardò come se parlassi un’altra lingua: “Come, scusa? Di che parli?” Sorrisi del suo tono preoccupato, ma ero sicura di quello che dicevo: “Ho deciso, Lex: se il mondo dipende da me, sono pronta.” Lui rise ancora, ma la sua era una risata stizzita: “Come no? Tu ti sentiresti pronta. Non dire sciocchezze, ragazzina, non si è mai pronti per la morte.” Cavoli, quando era così diretto mi faceva gelare il sangue. Si accorse della mia reazione e mi chiese scusa. Ero nervosa. Non mi andava di spiegargli le mie ragioni, ma ne avevo, e anche di buone. Insomma, non potevo permet33


tere a quegli esseri mostruosi di vincere. Mi avevano fatto male, e nessuno mi fa del male e la passa liscia! Inoltre, se l’oscurità si fosse impossessata del mondo i miei genitori, i miei amici, tutto sarebbe scomparso. Come avrei fatto a dormire la notte sapendo di essere l’unica che può cercare di cambiare le cose, standomene con le mani in mano? “Forse non sono abbastanza forte, come dici tu, ma devo almeno provare. Se morirò…” “…lo avrai fatto con onore? L’onore. Non c’è onore nel farsi ammazzare. Ci penserò io. Tu dovrai solo tenere al sicuro il medaglione.” “E se mi attaccano? Mi lasceresti da sola? Non ti lascerò fare da solo. Se avessi voluto proteggermi, avresti dovuto tacere nell’ombra.” “Beh, mi pento di non averlo fatto. Dimentica.” “Dimenticare?” Dimenticare, la faceva facile lui. Non mi andava di litigare ancora. Sbuffai: “Non ti lascerò. Argomento chiuso.” Lui mi guardò con il suo solito sguardo impenetrabile. Non riuscivo a capire se stava male o era arrabbiato o deluso. D’improvviso sparì, come al solito senza salutare. Mi sentii prendere dall’ansia, era come se mi sentissi vuota. Poi realizzai. La mia non era ansia, era paura; paura di restare da sola, paura di non farcela, paura di restare senza di lui. Ripensai a quel pomeriggio, nel bosco, quando gli avevo puntato la pistola contro, al suo sguardo. Avrei potuto fargli male? Si può far male agli angeli? Lui non era più un angelo. Pensai a noi, nel capanno, ai suoi occhi color perla, alla risata che mi stizziva, quella che invece mi faceva star bene. Mi addormentai cullata dal suono di quella voce gentile, entrando in un sogno che non volevo finisse. *** Il pomeriggio seguente andammo a trovare il professor Oreste Laurenti, un ometto canuto, basso, elegante e piuttosto loquace, di origini italiane. Purtroppo il professore aveva perso la vista quando era ancora giovane, ma aveva una grande forza di volontà e una fede ancora più grande, grazie alla quale era stato in grado di andare avanti con la sua vita e con gli studi di psicologia. Col 34


suo lavoro aveva sempre cercato di aiutare gli altri. Ora, però, non lavorava più e passava le giornate nel suo appartamento in Rilway Avenue. Era lì che Lex mi stava portando. Voleva che conoscessi il professore, diceva che sarebbe stato l’unico capace di darci una mano. Quando arrivammo di fronte all’edificio Lex chiese del signor Laurenti: “Gli dica che Angelo ha bisogno di lui.” Non so come i due si conoscessero, né da quanto, ma forse il mio amico Angelo in passato se ne andava a spasso per tutta Weyburn dando in giro nomi falsi. Non credevo che ci avessero lasciati passare, ma mi sbagliavo, ancora una volta, e qualche minuto dopo eravamo nell’ufficio del professor Laurenti. Appena Lex parlò, l’anziano signore si voltò verso di noi, quasi potesse vederci, col sorriso stampato sulle labbra: “Angelo! Amico mio! Stai bene? Lo sapevo che saresti tornato!” Lex sorrise e gli strinse la mano. Passammo le due ore successive a parlare di me, di come avessi avuto il ciondolo e di come fossi stata aggredita dai demoni. Il professore non sembrava incredulo e non si stupì neanche quando seppe delle mie intenzioni di seguire Laxarus, ma si mostrò sconcertato di fronte alla mia giovane età. “Santo Cielo! Solo diciotto anni? Sei una bambina.” Di solito mi infuriavo quando me lo diceva Lex, ma ora, in quella situazione, mi rendevo conto che aveva ragione. Ero molto giovane e si parlava di rischiare la vita. Era un prezzo altissimo, ma se non lo avessi pagato io, sarebbe stato il resto del mondo a subirne le conseguenze. Laxarus gli chiese se sapesse dove trovare informazioni sulla Pietra di Luce. Il signor Laurenti iniziò a far scivolare la mano sull’enorme quantità di libri che tappezzavano la stanza, fino a fermarsi su uno con la copertina di cuoio, un libro che dava l’idea di avere molti più anni del professore. Lo prese e lo porse a Lex, che iniziò a sfogliarlo. Il canuto signore se ne stava fermo sulla sua poltrona, cercando di capire la posizione di Lex; non riuscendoci lo chiamò: “Angelo?” Lex rispose pronto: “Mi dica professore.” “Posso parlare da solo con la ragazza?” A quella strana richiesta Laxarus arricciò la fronte. Poi decise di fidarsi e si alzò, ringraziò il professore e si congedò. 35


Quando ebbe udito il leggero fruscio che Lex era solito fare quando si dissolveva nel nulla, lasciandomi sola, sospirò: “Fa ancora così?” Sorrisi. Mi stava simpatico il vecchietto. Il professore si sporse sul tavolo, trovò le mie mani e le prese nelle sue. Aveva un’aria preoccupata, come se fosse a conoscenza di cose che non sapevo, come se avesse potuto guardare nel futuro.

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Contatto

L

axarus era sulla soglia della porta dello studio del professore. Era preoccupato. Per Laura. Aveva menzionato la Pietra di Luce e Kahara. Sicuramente adesso avrebbe chiesto spiegazioni. Aveva ragione. Aveva il diritto di sapere. In fondo si stava parlando della sua vita. Del suo passato. Sarebbe stata in grado di sopportare la verità e portare a termine la missione? D’improvviso una sensazione di pericolo si fece strada dentro di lui. Laura! Doveva capire da dove venisse il pericolo, Laura e il professore erano in quella stanza e qualcuno, o qualcosa, li stava cercando. Volò giù in strada, diede un’occhiata in giro e sgranò gli occhi. “Lo sapevo! Brutti bastardi!” Corse verso una Jeep nera parcheggiata sull’altro lato della strada. L’autista lo guardava con un ghigno malizioso e gli occhi scuri come la pece. Avrebbe riconosciuto ovunque quell’odore nauseante e quello sguardo maligno. I Gordon, tra i demoni più viscidi e subdoli, anime dannate che si vendevano ai più potenti in cambio di una vita sulla terra. Non avevano più nulla di umano, ormai. Laxarus lo afferrò per la gola e lo trasse fuori dall’auto; quello rise sguaiatamente, facendogli capire che non era solo. Nello stesso istante scesero dalle auto vicine dieci, forse quindici schifosi Gordon. Era circondato. Nel giro di qualche secondo due di loro lo afferrarono, iniziando a mordergli le braccia. Lui, spingendoli via, schivò un paio di colpi, ma alla fine fu preso di sorpresa da un colpo violento alla testa. Cadde in avanti e, spingendosi con le braccia, si alzò sulle ginocchia. Non fece in tempo a scrollarsi un 37


Gordon dalle spalle che in quindici gli furono addosso. Non aveva scampo. Si disse che era finita per lui. Un attimo dopo, un dolore atroce lo colpì sulla nuca. Non seppe bene che cosa fosse, ma trattenne un grido di dolore e cadde. Non ce la faceva più. Stava combattendo con tutte le sue forze, ma loro erano in tanti, troppi. Se fosse stato un angelo avrebbe potuto farli fuori tutti in un batter d’ali ma… Non era il momento di piangersi addosso. Ne aveva distrutti tre, ma gli altri non lo lasciavano andare. Laura. Il professore. Non poteva lasciarsi andare, doveva distrarre quei bastardi finché loro non fossero stati in salvo. “Avanti, Laura, esci di lì. Corri! Vai via!” gridò. Tentò di aggrapparsi all’ultimo brandello di forza che aveva, inutilmente. Forse era davvero arrivata la sua ora.

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Un dolore atroce

“L

aura, sai che puoi fidarti di lui? Certo che lo sai. Ha salvato la vita anche a te, non è così. E ora ti senti riconoscente. Non devi aiutarlo solo per questo” disse il professore con aria seria. Come? Che stava dicendo? Che ne sapeva lui di me e Laxarus? “No, certo. Lo so che si tratta di qualcosa di molto più importante. Si tratta di me. Si tratta del mondo. Loro contano su di me. Sono l’unica che…” “L’unica, dici?” mi interruppe lui, stordendomi con poche parole: “Dunque sai ciò che sei. Sai perché sei stata scelta?” Non riuscii ad ascoltare oltre. Un fischio assordante mi riempì le orecchie, lasciandomi sorpresa e incredula. Iniziai a urlare, la testa mi scoppiava. Il professor Laurenti mi stingeva la mano e diceva qualcosa, ma non capivo. Il fischio era troppo forte. Caddi in ginocchio sul pavimento. Poi, d’improvviso, cessò. Mi guardai spaventata le mani, sporche di sangue. Le mie orecchie stavano sanguinando. Il professore era sconvolto. Non poteva vedere cosa mi stesse succedendo, sapeva solo che stavo male. Una voce mi sorprese: “Corri Laura! Muoviti, scappa!” Laxarus? Lo sentivo così vicino, ma non riuscivo a vederlo: era nella mia testa! Non sapevo perché, né come mi stesse chiamando, ma mi fidavo di lui. Diceva di scappare. Perché? Dove? Presi per mano il professore e, senza pensarci, corremmo fuori dalla stanza e poi giù per le scale. Feci per uscire in strada, ma la voce nella mia testa gridò: “Non uscire fuori! Vai via!” Mi bloccai all’istante e mi guardai in giro. Guardai il professore e gli chiesi 39


se ci fosse un posto sicuro dove nasconderci. Lui non mi chiese spiegazioni, mi sussurrò piano: “Garage.” Le scale! Dietro una porta che indicava l’uscita d’emergenza si intravedeva una ringhiera. Ci precipitammo oltre la porta e poi scendemmo al piano inferiore. Ci ritrovammo in un grande spazio avvolto nella penombra. Scelsi una macchina gialla. Forse era troppo appariscente, ma era l’unica aperta e in quel momento ne avevamo urgente bisogno. Appena nell’auto abbassai le sicure e mi voltai a guardare il professore. Mi sentivo più tranquilla, ma non ancora al sicuro. “Ragazzina, che è successo? Dimmelo per favore.” Strano che non me lo avesse ancora chiesto. Aveva tutto il diritto di sapere, insomma, non solo era cieco e vecchio, ma gli avevo fatto prendere uno spavento mortale urlando in quel modo e poi correndo via, senza che lui sapesse niente. Tuttavia si era fidato di me. Gli spiegai della voce nella mia testa, del presentimento che avevo sentito e che tutt’ora avevo, gli dissi che eravamo in una macchina ad aspettare Angelo. Sospirai. “Laxarus che fine hai fatto?” pensai, appena un attimo prima che un’ombra apparisse davanti alla macchina. “Oh mio Dio! Non si muova professore!” sussurrai, cercando qualcosa per potermi difendere. Accidenti! Dovevamo trovare quella Pietra. L’ombra si avvicinò lentamente, barcollando. “Bene, è ferita!” “Cosa c’è Laura?” mi sussurrò il signor Laurenti. “Laura, sii i miei occhi.” Cavolo. Nessuno mi aveva mai dato tanta fiducia. Tanto meno un cieco. Era veramente una persona speciale, ecco perché Laxarus gli aveva rivelato di lui. “Ok. Professore, mi ascolti. Davanti alla macchina c’è un’ombra che fa per avanzare verso di noi, ma barcolla un po’, deve essere ferita. Lei stia giù.” Neanche mezzo secondo dopo alzai lo sguardo e la figura nera non c’era più. Un rumore metallico, uno scatto. Le sicure erano scattate. Lo sportello era aperto. Mi strinsi al professore, immobile, mentre guardavo quella… quello… Laxarus? “Lex!” 40


Lui fece una smorfia di dolore e mi guardò: era una maschera di sangue, gli occhi erano viola, come le labbra; si teneva una mano sull’addome, il braccio ferito. Le aveva prese di santa ragione. “Sei ferito, stai male! Oh no, se sei ferito, loro…” “Loro sono morti, Laura.” “Come?” Lui mi guardò dolorante e impaziente. “Ok, ok, andiamo a casa.” Tranquillizzai il signor Laurenti: “Va tutto bene, ora siamo salvi.”

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Inferno e paradiso

N

on riuscimmo mai a spiegarci come fosse potuto accadere, forse nel momento del bisogno si era scatenato in noi un potere particolare, ma da quel giorno io e Lex fummo collegati. Cioè, lui almeno. Era l’unico in grado di entrare nella mia testa e farsi sentire. Nelle notti seguenti alla fuga non riuscii a togliermi dalla testa l’immagine di Laxarus che mi veniva incontro sanguinante, il suo viso, il tentativo di sorridermi per rassicurarmi. Non potevo tenermi tutto dentro. Dovevo parlare con qualcuno. Dovevo andare da Scream. Era arrabbiato con me. L’ultima volta avevamo litigato e non ero certa che volesse vedermi. Quando fui da lui, tuttavia, mi salutò con aria felice, come faceva una volta: “Hey, Briciola! Come va? E’ una vita che non ci si sente!” “Benone, Scream. Devo parlarti.” “Certo, lo sai che a me puoi dire tutto!” disse con il suo solito sorriso. “Bene, perché vedi, Lex...” Errore. Che errore andare da lui sapendo quello che provava per me e per Lex, ma se non a lui, a chi mai avrei potuto parlarne? Il suo sguardo lasciava trasparire risentimento, preoccupazione, ansia, non era quello di prima. Quella sera, fuori casa sua, qualcosa era cambiato. Lui era cambiato. “Briciola, sai che ti voglio bene, ma…” “Ok, scusa, non c’è bisogno che continui. Ho sbagliato a venire. Sei l’unico a conoscere la verità e dovevo parlare con qualcuno. Fa niente. Scusa.” 42


Aprii la porta, decisa ad uscire, non potevo certo rovinare anche la sua vita, aveva ragione. Lui mi fermò: “Hey, aspetta. Dai, vieni qui. Racconta.” Non so perché, ma il mio viso si illuminò e forse era evidente perché il suo sorriso si allargò come sempre. Bello quel sorriso, da troppo tempo non lo vedevo! Gli raccontai del professore, di quello che aveva detto, di come aveva riconosciuto il mio nome, della Pietra, dell’attacco e della fuga, ma soprattutto gli raccontai di come Lex fosse entrato in contatto telepatico con me. Lui mi ascoltò paziente, senza dire una parola. Ci capiva meno di me, ma almeno quando ero con lui non mi sentivo sola. Non sarei mai riuscita ad abbandonarlo. “Scream, lo so che ti fidi poco di lui, ma non è cattivo. Lui mi ha salvata più di una volta. Ha dimostrato di tenere a me.” “Beh, ti voglio troppo bene, piccolina. Se per te è importante ci credo anche io. Però se partirai voglio venire con te. E poi come faresti a tirarti fuori dai guai con i tuoi? Se sanno che sei con me saranno più sicuri, no? Così potrò tenere io gli occhi aperti per te!” Ero mai stata più felice? Gli saltai al collo e lo abbracciai forte. “Ti voglio bene Scream.” Ora che avevo il mio migliore amico come alleato ero carica e pronta a partire. Quella pietra doveva essere mia. E poi dovevo capire chi era Kahara. Sapevo che non avrei cavato un ragno dal buco, ma decisi di fare un altro tentativo con Laxarus. “Lex. Lex, avanti, lo so che puoi sentirmi.” Ecco fatto: stavo diventando pazza. Parlavo da sola nella mia stanza! “Non c’è bisogno di gridare tanto, sai?” disse, apparendo come un riflesso nello specchio. Stavo per arrabbiarmi, ma stavolta il suo sorriso era particolare. C’era qualcosa di diverso nel suo sguardo. Paura? No, perché avrebbe dovuto averne? “Lex, volevo…” “Lo so cosa stavi per chiedermi. Lo sai che non posso dirti niente, non crederai mica di convincermi a parlare?” Uff. Ci avrei scommesso. Avrei fatto di tutto per sapere. Tentai una manovra femminile. Mi avvicinai a lui con aria sensuale, lentamente. Una volta mi 43


aveva detto di essere in parte umano ora, o comunque di dover sottostare alle esigenze del corpo, mangiare, bere, riposare. Evidentemente non si aspettava quella mossa da me, perché il suo sguardo era palesemente sorpreso. Sorrisi. Lex indietreggiò, sedendo sul letto. Scacco matto! Mi sedetti sulle sue ginocchia e lui sembrò andare in escandescenza. “Hey, che fai?” “Avanti, ti prego, dimmelo.” Lo sapevo che stavo solo fingendo, ma lui era proprio bello! Quanto mi sarebbe piaciuto fare sul serio. Non potevo credere di averlo pensato. Mi bloccai improvvisamente. Lo guardai e i suoi occhi erano piantati nei miei. “Imbrogliona” sussurrò con quella voce magnificamente melodiosa. O la stanza girava come una trottola o io stavo per svenire. Mi accorsi di aver fatto una faccia buffa perché lui rise. Mi fece scendere dalle sue gambe e disse: “Avanti, piccolina, torna a studiare.” Odiavo quando mi trattava come un’ingenua. Chi credeva di essere per comportarsi così? “Hai visto cosa sono capace di fare per conoscere la verità. Avanti dimmi chi è Kahara e perché mi chiami così. Dimmelo!” Nessuna risposta. Ostinato silenzio. “Il professor Laurenti mi ha detto che sono stata scelta.” “E presumo che ti abbia anche detto perché.” “Beh, no, perché il signorino ha deciso di farmi fischiare le orecchie così violentemente che non riuscivo a sentire più niente!” “Scusa se ho cercato di salvarti la vita!” “Presuntuoso!” “Ingrata!” Mi sentivo rodere dalla rabbia. Rise ancora una volta e poi sparì. La sua voce rimbombò nelle mie orecchie: “Lo sai che quando ti arrabbi sei più carina? Quasi all’altezza della ragazza che fingevi di essere prima!” Gridai a pieni polmoni: “Non ti sopporto Laxarus!”. Stavolta, però, ero sola nella stanza. Finalmente.

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La missione

Q

uella notte sognai Laxarus che mi veniva incontro, elegante come lo avevo visto la prima volta, io ero semplicemente stupenda, avvolta in un abito da sera di seta rossa. Ballavamo un lento, abbracciati, sulle note di una dolce canzone. Poi lui mi guardava, mi accarezzava il viso, io tentavo di baciarlo e lui rideva. Odiavo quella risata! Mi svegliai di soprassalto, immaginandomi di sentirlo ridere, ma lui non era lì. Posai la testa sul cuscino e provai a rilassarmi. Perché ultimamente lo sognavo quasi tutte le notti? Mia nonna mi diceva sempre che i sogni sono l’unico modo che ha la nostra anima per comunicarci qualcosa. Che stava cercando di dirmi la mia? Perché mi capitava di pensare a lui in modo diverso, di far caso a sguardi diversi, comportamenti che prima non aveva o che non avevo notato? Accidenti, non avevo nessuna spiegazione plausibile. La mia amica Flo mi avrebbe di sicuro detto: “Laura, lui ti piace, è per questo che stai così.” Per Flo era uno spasso pensare di farmi entrare in varie love story, giocare a fare Cupido. No, era impensabile che potesse piacermi Lex. Insomma, era bello, bello davvero, premuroso, forte, mi aveva salvato più di una volta e quando mi sorrideva… No! Che cosa stavo facendo? Non potevo innamorarmi di un angelo. Il mio cuore mi diceva che lui ormai non lo era più, che era umano, ma la mia testa mi ricordava che aveva comunque poteri soprannaturali e che per questo non era umano affatto. Non avrei mai dato retta al mio cuore. Ero troppo orgogliosa per farlo. E poi avevo paura che, se lo avesse scoperto, sarebbe scoppiato a ridere, come 45


al solito. Avevo imparato che tutto quello che si pensa di notte, la notte se lo porta via. La mia doveva essere solo un’ansia passeggera che avevo scambiato per molto di più. Quando finalmente mi riaddormentai dormii un sonno così profondo che mi sembrò che un attimo dopo aver chiuso gli occhi suonasse la sveglia. Mi alzai svogliatamente, mi guardai allo specchio. Cos’erano quelle macchie violacee sotto gli occhi? Accidenti, non potevo permettermi di farmi vedere in giro in quel modo! Ecco un altro segno che il mio corpo mi stava dando. Non ce la facevo più a star sveglia tutte le notti, dovevo pur riposare. Mentre correvo in tutta la stanza, cercando di vestirmi il più in fretta possibile, mi chiedevo perché mai la mattina mi dimenticassi sempre della scuola. Scesi di corsa le scale e mi precipitai in strada. Mentre correvo un clacson mi salvò. Era Scream. “Briciola, serve un passaggio?” Come faceva ad essere sempre preciso? Era bello avere un amico così. Quando vidi Laxarus appoggiato al muro davanti all’entrata della scuola aveva un’aria abbastanza annoiata. Forse era un po’ che mi aspettava. Lo salutai e lui mi porse un libro, lo stesso che avevamo preso nello studio del professore. Lo guardai con aria interrogativa. Cosa voleva che facessi? Notai che alcune pagine erano segnate. Feci per guardarlo di nuovo e chiedergli cosa avesse scoperto. Il suo sguardo era preoccupato. “Sei sicura?” “Di cosa?” “Di voler partire con me?” “Sicura è poco. Quella Pietra mi serve. Quei bastardi stavano per uccidermi, ti hanno ferito e hanno fatto male a Scream. Non la passeranno liscia. Conosceranno la mia furia!” Lex e Scream scoppiarono a ridere contemporaneamente. “Oh, no, Scream, pure tu no!” “Andiamo Briciola, non te la prendere!” “Si, stiamo solo scherzando” si scusarono. Mi sarei dovuta arrabbiare, ma ora avevo tra le mani qualcosa di più importante. 46


Guardai il libro. Lo aprii alla pagina segnata. Era scritto in una lingua che non conoscevo. Scorsi con il dito la pagina, in fondo c’era il disegno di una donna nuda con una sola ala, sembrava che piangesse. Guardai preoccupata Lex, sentivo addosso il suo sguardo corrucciato e la sua tensione. Non andava bene, era come se avesse paura. Cominciavo davvero a credere che ne avesse. Gli diedi il libro e gli dissi scoraggiata: “ Non riesco a capirlo. Dovrei tradurlo, altrimenti non ne vedo l’utilità.” “Non puoi. Questa lingua non si può tradurre: o la conosci oppure no. Non la si impara. Davvero non riesci a leggerlo?” Scream era spazientito: “Beh, tu la conosci? Se si perché non lo traduci e la facciamo finita?” Lex lo guardò severo: “L’ho fatto. Volevo solo… Niente, lascia stare. Comunque non c’è scritto dove si trova la Pietra, solo che è custodita in un luogo sicuro, impenetrabile per qualsiasi umano o demone. Dice: la fonte del potere assoluto risiede tra le fiamme vorticose e gelide, là dove la natura e i suoi elementi sono in una pace perfetta. Non ho idea di dove sia” disse scuotendo la testa, scoraggiato. Scream ebbe un lampo: “Aspetta un attimo.Hai detto che nessun uomo o demone può raggiungere la Pietra. Se anche la trovassimo come faremmo a prenderla?” “Non preoccuparti di questo. Troveremo un modo. So che insieme ce la possiamo fare. Fidati di me!” dissi, speranzosa. “Io mi fido di te, Briciola, è di lui che non mi fido.” Mi avviai verso la biblioteca per fare una ricerca. Lex fermò Scream. “Tu sei sicuro? Ti metterai in pericolo. La mia missione è proteggere lei.” “Io non la lascio da sola. Non preoccuparti, ti starò fuori dalle scatole. Non dovrai occuparti anche di me, me la cavo da solo, grazie.” “Stavo solo dicendo che è pericoloso anche per me. Se dovesse accaderti qualcosa non esiterei ad aiutarti. Potresti mettermi in pericolo, ecco tutto.” “Tu promettimi che non la lascerai sola. Promettilo!” “Va bene.” Avevo sentito tutto, nascosta dietro la siepe. Non riuscivo a pensare a quanto fosse maledettamente pericolosa quella situazione. Mi rifiutavo di cre47


dere che uno dei miei amici si sarebbe potuto far male a causa mia. Volevo chiudere gli occhi e sparire. L’unica nota positiva era che Scream e Laxarus ora avevano trovato un accordo e riposto momentaneamente le armi.

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Partenza

“L

a foresta Amazzonica è un luogo dove tutte le creature vivono in completa armonia ed equilibrio. Si può dire che sia un vero e proprio Paradiso terrestre.” La voce di Jade Nicholson in tv attirò la nostra attenzione. Scream, Lex ed io eravamo seduti nella mia stanza, sulla scrivania miliardi di mappe e carte geografiche, il mappamondo continuava a girare. Pochi secondi prima eravamo sul punto di perdere le speranze, dopo ore ed ore di ipotesi su quale potesse essere la nostra meta. Era come se quelle parole ci avessero ridato la vita: Paradiso terrestre. “Dove tutte le creature vivono in armonia” ripeté Lex . “Fermi, fermi, aspettate solo un istante. Come facciamo ad arrivare in Amazzonia? Come sappiamo che quello è il posto giusto? E come lo spiego ai miei genitori?” Guardai Scream in cerca di supporto, ma lo sguardo severo di Laxarus era irremovibile: “Tu, io e Laura faremo un piccolo viaggetto istruttivo immersi nella natura. Consideratelo un regalo per il vostro compleanno.” “Ok. Solo un problema” precisò Scream. Io e Lex lo guardammo contemporaneamente alla ricerca del particolare che avevamo tralasciato. “Io compio gli anni a marzo.” Guardai il mio angelo che gli dava uno scapaccione. Era proprio meritato. “Ho io una domanda: come facciamo ad andare fin laggiù?” “Semplice: con l’elicottero.” Numerose erano le persone che Laxarus aveva salvato e che erano felici di dargli una mano. 49


Una di queste era il signor Barkley. Stava per morire schiacciato da un camion e, guarda caso, il mio amico angelo si trovava a passare proprio di lì. Barkley era proprietario di un’enorme catena di alberghi e possedeva anche un comodissimo elicottero privato. Credo bene che non avrebbe avuto problemi a prestarcelo per un po’. Anche se attraversammo il paese in aereo per andarlo a trovare. Il viaggio fu particolarmente stressante oltre che molto lungo e stancante. Dovetti sopportare i continui battibecchi dei miei due compagni di viaggio. Al nostro arrivo, tuttavia, un nuovo mondo si aprì ai nostri occhi: alberi altissimi, verde sconfinato, un fiumiciattolo scorreva poco lontano e poi milioni di uccelli di specie diversa che volavano via spaventati dal frastuono del nostro atterraggio. “Il Paradiso!” esclamai quasi senza fiato per l’emozionante visione. “Non proprio” sorrise Lex. Il suo umorismo non era quasi mai divertente, ma avevo altro per la testa in quel momento. Mi tornavano alla mente le parole che avevo sentito alla televisione. Quello era per davvero un luogo di pace assoluta. Camminammo tutto il giorno senza una direzione precisa. Il sole era ormai tramontato quando mi resi conto che Scream non aveva pronunciato neanche una parola da quando avevamo messo piede in quel posto. Dovevo parlargli, ma lui camminava troppo velocemente per me. Mi sentivo stanca, ero ridotta a uno straccio. Chiesi a Lex di fermarci, ma lui mi rispose freddamente di no, che dovevamo continuare a camminare se non volevamo dormire con gli animali allo scoperto, che dovevamo trovare un posto sicuro dove passare la notte prima che fosse completamente buio. Accipicchia, non ne potevo proprio più, le gambe cominciavano a tremare. Finalmente, verso sera, scorgemmo da lontano una baracca di legno. “Siamo salvi!” esclamai. La mia salvezza era quella casa. Non mi importava se in quel posto ci fossero indigeni, cannibali o bestie, volevo solo arrivare fin lì. Di colpo iniziai a camminare più velocemente e sentii Lex sghignazzare dietro di me. “Kahara, hai così tanta fretta di mangiare che quasi ti metti a correre!” “Non ho fretta di mangiare sono solo contenta di trovare un altro essere umano!” 50


Mi aveva chiamata Kahara. Di nuovo. Era da tanto, troppo tempo che non mi chiamava così. Quella parola mi ricordò il motivo per cui stavo facendo quel viaggio, mi ricordò chi fosse Laxarus. Non lo avevo mai davvero dimenticato, tuttavia da un po’ di tempo era come se lo considerassi più un amico che una creatura soprannaturale. E poi c’era Scream. Perchè avevo lasciato che venisse con me? Perchè lo avevo trascinato in una situazione così pericolosa? Forse se ne era reso conto e non mi parlava per questa ragione. Mentre riflettevo tra me e me, mi sentii pizzicare la gamba, vidi un buffo bambino scuro che correva verso di noi e urlava qualcosa. Poi mi venne un sonno terribile e caddi addormentata.

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Notte magica

Q

uando riaprii gli occhi ero in una specie di stalla. Mi guardai intorno per cercare di orientarmi. Sopra la mia testa c’erano delle tegole di legno ricoperte di paglia. Nella stanza solo un letto sul quale stavo sdraiata, un tavolino di legno con sopra una brocca e una ciotola. Mi faceva male la gamba e mi allungai sul letto per cercare di toccarmela, ma qualcuno mi strinse la mano. “Sei sveglia, finalmente!” Oh, come avrei potuto confondere una voce così soave, così melodiosa? A parlare era stato il mio angelo, Laxarus. Saperlo vicino a me mi fece sentire più al sicuro, ormai sapevo di non essere sola. Mi misi a sedere sul letto. Volevo fare tante domande, eppure la prima cosa che mi uscì dalla bocca fu: “Sei qui! Che bello. Ma dov’è Scream?” Lex mi guardò con la sua solita espressione impenetrabile e, dopo qualche secondo di silenzio, mi tranquillizzò: “Sta bene, è nella stanza accanto a dormire, era molto stanco”. Stetti in silenzio cercando di capire cosa potesse essere successo. Ricordavo il nostro atterraggio, la stanchezza e un bambino dalla carnagione scura, poi tanto sonno. Possibile che fossi stata drogata da quel bimbo? Forse era un indigeno. Sicuramente lo era. Perché mi avrebbe attaccato? E perché Laxarus non si era reso conto di quanto fosse vicino il pericolo? Mentre riflettevo notai un’espressione strana sul viso di Lex, come di preoccupazione. Aveva la fronte arricciata, le labbra strette e mi guardava come se stesse cercando di sentire i miei pensieri. “Che cosa è successo? Dove siamo? Ricordo un bambino. La gamba…” dissi lasciandomi andare ai dubbi e cercando una risposta nei suoi occhi. Invece vidi soltanto un sorriso. 52


“Vedo che stai bene, dopotutto” mi interruppe. “Mi fa piacere. Sembra che in questo viaggio non manchino imprevisti.” “Che vuoi dire?” “Dico che prima siamo stati catturati da un indigeno e poi abbiamo trovato un salvatore” rise. “Sai, Lex, non riesco a seguire il tuo sarcasmo. Vorresti spiegarmi dove ci troviamo e come abbiamo fatto ad arrivare fin qui?” dissi con una punta di acidità. Mi dava sempre sui nervi quando rideva in quel modo. Lui mi rispose, questa volta un po’ più serio: “Dopo essere atterrati, abbiamo camminato per molto e mentre stavamo decidendo di fermarci siamo stati attaccati da un indigeno che ti ha addormentata con un sonnifero. Ho creduto che fosse un demone, ma mi sono subito reso conto che non era altro che un piccolo Piraha. Si è spaventato a morte, poverino, e ci ha accompagnati in questo posto.” Questo posto dove? Mentre stavo per chiedere ulteriori spiegazioni, la porta della stanza si aprì lentamente e uno sconosciuto entrò salutandomi cordialmente: “Ciao, ben alzata!” L’uomo era alto, di carnagione chiara, aveva i capelli biondo cenere e gli occhi scuri, portava un pizzetto poco curato. Dall’accento sembrava inglese. Si presentò subito: “Io sono Daniel. Sono un ricercatore inglese e questo è il mio osservatorio. Sono desolato per il comportamento di Kaja e lui vorrebbe scusarsi personalmente.” Si schiarì la voce e la porta si schiuse, un visino buffo si affacciò timidamente. Era il bimbo che avevo visto. Il piccoletto, vestito solo di un perizoma e di una grossa collana di pietre, si avvicinò al mio letto. Mi guardò con un’espressione mortificata e iniziò a dire qualcosa nella sua lingua, sembrava che stesse fischiando. Stupita e allo stesso tempo confusa guardai Lex che rise della mia espressione e mi sussurrò all’orecchio che il linguaggio dei Piraha era fatto di poche parole il cui suono somigliava ad un fischio. Sorrisi mentre Daniel si affrettava a scusare il suo piccolo amico. “Kaja credeva che foste pericolosi. Appena ti ha colpita è corso da me scusandosi perché non era riuscito a proteggermi. Era spaventato. Credeva che ci avreste fatto del male.” 53


“Non devi scusarti oltre, Daniel. Ho già perdonato quest’ometto quando è entrato in questa stanza!” Kaja e Daniel si scambiarono qualche parola e il piccolo uscì dalla stanza, tornando poco dopo con un bicchiere di succo giallo. Mi sentivo bene. Sapevo che il viaggio era lungo, ma avevo trovato dei nuovi amici. Quando anche Scream fu sveglio, parlammo a lungo con Daniel e lui ci raccontò del suo lavoro e del suo incontro con la tribù dei Piraha. Sentivo di potermi fidare di lui, ma in questa occasione Scream e Lex la pensavano diversamente da me. Per loro io mi fidavo troppo presto di tutti. Dedussi che non avremmo raccontato a Daniel della nostra missione. Quando, infatti, ci chiese la ragione per cui eravamo lì, fummo costretti a raccontare di un viaggio di piacere tra amici appassionati della natura. Lui sembrò credere al nostro racconto dicendo: “Vi capisco, io per questo posto meraviglioso ho abbandonato la cara Inghilterra e ho dovuto crearmi una nuova vita. Per fortuna c’era Kaja con me”. Scream era spazientito, voleva a tutti i costi trovare quella Pietra, il più in fretta possibile, per poter tornare a casa. Lex, invece, era abituato e nascondere i suoi sentimenti e fingeva attenzione o forse era interessato davvero ai racconti di Daniel. Fui, tuttavia, più tentata di affidarmi alla prima impressione, perché a un certo punto Lex domandò, come fosse stata la conversazione a portarli su quel punto: “Mi hanno parlato bene di un posto stupendo, dove la natura è in sintonia”. Daniel sembrò abbastanza sorpreso, ma sorrise ed esclamò compiaciuto: “Beh, sai, tutta la foresta Amazzonica è così, ma credo di conoscere un luogo in cui queste caratteristiche si moltiplicano. È davvero magnifico! Ci sono delle cascate mozzafiato!” “Davvero? Potresti indicarci come ci si arriva? Siamo molto interessati a vederlo!” “Si! Ci piacerebbe molto!” sbottò Scream. Io non riuscivo a crederci: ero l’unica ad essere stata distratta. Tutti si erano ricordati della missione, ma io ero stata talmente attratta dal fascino della situazione che me ne ero completamente scordata. 54


Daniel prese un pezzo di carta e tracciò una specie di mappa. Lex e Scream seguirono attentamente le sue spiegazioni. Ci provai anch’io, ma mi arresi dopo poco. La sera arrivò presto. Uscii dalla casa. L’aria era fresca, respirai a fondo, tanto che mi venne da tossire. Alzai lo sguardo e in un attimo fui rapita da uno spettacolo mai visto: migliaia, miliardi di stelle illuminavano il cielo, brillando come non mai. Non so per quanto tempo rimasi travolta da quel vortice, ma fu Laxarus a tirarmene fuori. Un angelo, tanto per restare in tema. “Hey, c’è qualcosa che non va?” disse con aria sinceramente preoccupata. “No, è solo che pensavo che il cielo non è mai stato così bello.” “Beh, il cielo lo è sempre stato, solo che ora lo guardi da un’angolazione diversa, tutto qua.” “Oh, grazie della spiegazione, signor Sotuttoio! Mi hai distrutto l’atmosfera!” “Perdonami, volevo solo chiarirti le idee” disse sorridendo. Poi stranamente tornò serio: “Hey, perché non vai a dormire? Il viaggio è stato lungo e sfiancante e domani sarà peggio. Riposati, è meglio.” Non avevo sonno, avevo riposato abbastanza quel pomeriggio a causa del sonnifero di Kaja. E poi, anche se stentavo ad ammetterlo, in fondo mi piaceva stare con Laxarus, quell’amico irriverente che mi infondeva tranquillità, mi faceva sentire sicura. Alla luce delle stelle era ancora più bello del solito, la brezza leggera gli soffiava i capelli sottili sul viso. Accidenti era davvero stupendo come un angelo e pericoloso come un demone. Speravo solo che la sua parte malvagia non si scatenasse con me. Persa nei miei pensieri non mi ero accorta che la sua espressione era cambiata. Non guardava più il cielo, guardava me. Avrei voluto dirgli: “Che hai da guardare? Che stai pensando?” Non so perché, ma riuscii soltanto ad arrossire. Per fortuna fu lui a rompere quell’ imbarazzante silenzio: “Sei carina quando arrossisci, soprattutto se poi sono io a farti arrossire!” disse ridendo. Pensai che mi stesse prendendo in giro. Sentivo le guance bruciare, perciò feci un’espressione imbronciata e mi girai per andarmene, quando lui mi afferrò il braccio tirandomi a sè e dicendo: “Aspetta”. 55


Mi girai di scatto e guardai il mio riflesso nei suoi occhi. Lui continuò: “Io… Mi dispiace se qualche volta sono insopportabile.” “Cos’è, l’atmosfera romantica che ti fa dire queste cose?” dissi sgarbatamente. “No, sto solo cercando si scusarmi, ok? Sono qui per proteggerti da cose terribilmente cattive, tu non sai neanche quanto. Il periodo che ho passato con loro mi ha trasformato. Il mio carattere si è indurito, ma tu non sei come me, tu non sai cos’è il Male, e sono distrutto se penso che sono stato io a fartelo conoscere.” Si passò le mani nei capelli e volse lo sguardo altrove. Sembrava sinceramente commosso. Mi avvicinai a lui e gli presi il viso perfetto tra le mani, costringendolo a guardarmi. “Hey, tu sei qui per proteggermi e lo stai facendo alla grande. Io so di essere al sicuro quando sono con te.” Accidenti! Non potevo credere di averlo fatto! Avevo decisamente parlato troppo! Sentii che stavo di nuovo arrossendo. I nostri visi erano troppo vicini, pericolosamente vicini, meravigliosamente vicini. Lui si avvicinò ancora e io chiusi gli occhi. Le sue labbra erano calde e morbide, la sua mano mi sfiorava la guancia. Sentivo la terra ferma sotto i miei piedi, eppure mi sembrava che il mondo girasse. Era come se fossi sparita insieme a lui nella notte più bella di tutta la mia vita. Lui si staccò dolcemente da me e mi guardò, sul volto un sorriso mozzafiato. Io, neanche a dirlo, ero senza parole. Balbettai un: “Forse sarebbe meglio che io…” Lui sorrise. “Sogni d’oro”. Come potevo dormire dopo aver ascoltato una voce così, dopo aver guardato dentro due occhi di ghiaccio, dopo aver provato una tale sensazione? Mi allontanai lentamente, continuando a fissarlo e poi gli augurai la buona notte con un tono che non avevo mai usato. Lo vidi mordersi il labbro inferiore e mi venne una voglia matta di correre tra le sue braccia. Invece andai nella stanza di Kaja, dove Daniel mi aveva preparato un letto. Per tutta la notte non feci altro che pensare e ripensare a quella notte e a quando, a casa mia, nella mia stanza, lui e io fummo vicinissimi per la prima volta. Nella mia mente risuonava solo una frase: “Non posso essermi innamorata di lui!” 56


Il giorno dopo fui svegliata da una melodia fischiettata. Kaja era già all’opera da un pezzo. Mi aveva portato la colazione, se così si poteva chiamare un bicchiere di succo scuro. Non era molto invitante, ma per far felice Kaja che mi guardava con il sorriso stampato in faccia, feci un’espressione lieta e ringraziai il piccolino. Non appena fu fuori dalla stanza tirai fuori dallo zaino una barretta ai cereali e la mangiai con gusto. Il sapore del succo scuro era strano, ma abbastanza gradevole. Mi aggiustai un po’ i capelli e uscii sul porticato poiché da lì venivano le voci dei miei amici. Quella mattina dovevamo iniziare il lungo viaggio. Daniel aveva insistito per accompagnarci alla cascata, ma Lex era riuscito a dissuaderlo dicendogli che era abituato a quelle cose perché praticava trekking da tempo. Quando uscii dalla casa la luce del sole illuminava debolmente il cielo. “Siete sicuri di non volere il mio aiuto? Conosco la Foresta meglio di voi, potrei darvi una mano” insisteva Daniel. Lex scuoteva la testa e Scream, consapevole del segreto, continuava a rifiutare. Alla fine arrivarono ad un accordo: il piccolo Kaja sarebbe venuto con noi fino alle cascate. “Sono d’accordo. Potrebbe farci comodo questa piccola guida” dichiarai, contenta. Scream era preoccupato: “Come faremo a comunicare?” “Oh, non dovete preoccuparvi. Il mio piccolo amico sa bene come farsi capire!” ci tranquillizzò Daniel.

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Chiarimenti

“S

ono ore che camminiamo! Quanto è lontano, fratello?” chiese Scream, la fronte scura imperlata di sudore. Quella mattina avevo mangiato solo una barretta di cereali e, a dire il vero, cominciavo anch’io a sentire i crampi allo stomaco. “Non ne ho idea. Non ditemi che siete già stanchi?” “Non parlavo con te, Lex. Hey, piccoletto! Dove ci porti? Accidenti, ti vuoi fermare?” Il piccolo indigeno continuava a camminare finché Scream gli poggiò una mano sulla spalla. Solo allora si fermò e lo guardò come se non riuscisse davvero a capire cosa dicesse. Io mi unii al mio amico e per farci capire iniziammo a gesticolare. Kaja, vedendoci fare tutte quelle smorfie scoppiò in una grossa risata, alla quale si aggiunse Laxarus, che ci osservava poco più in là. “Che ridi? Cosa c’è da ridere? Forza, fammi vedere se sai fare meglio di noi!” gridò Scream. Lex smise di ridere e si avvicinò a Kaja. “Beh? Che aspetti?” chiese, insistente, ma ci rimase di stucco quando si accorse che lui sapeva parlare la lingua dei Piraha. Non c’era da stupirsi. Strinsi le spalle in segno di rassegnazione, ma Scream non fece altrettanto: “Certo, chissà cosa gli hai detto. Vuoi continuare a pavoneggiarti? Avanti allora, prego”. Mi chiedevo quando sarebbe finita la guerra tra quei due. Io, intanto, non avevo ancora avuto modo di parlare con Lex riguardo la scorsa notte. A quel pensiero si scatenarono nella mia mente ricordi ed emozioni. Cosa avrei dovuto dirgli? Di restare amici, forse? La frase più scontata e stupida dell’universo. Che per me non aveva significato quel bacio? Non ci credevo neanche io. Accidenti, ma guarda tu! Dovevo proprio andarmi a innamorare di un an58


gelo o di un demone o di qualunque altra cosa fosse. Come poteva piacermi qualcosa che non conoscevo. Lui non voleva parlarmi del suo passato né di lui né di me. E poi c’era questa Kahara, la missione. E se una volta finita la missione fosse sparito? Non potevo, non volevo pensarci. Intanto Scream continuava a borbottare seguendo la nostra piccola guida. Non so come successe, forse Lex doveva essere parecchio infastidito perché riuscii a risentire i suoi pensieri, ma questa volta fu diverso. La voce nella mia testa borbottava: “Perché non la smette e se ne sta un po’ buono e in silenzio? Non ce la faccio più. Quasi quasi gli strappo la lingua come fece Beltamhor.” Non potevo crederci: avevo temuto questo momento e alla fine il lato demoniaco di Laxarus si era risvegliato. I suoi pensieri non potevano essere davvero così cattivi. Fui assalita da una paura tremenda. Temevo per me, per il mio amico, temevo di non conoscere Laxarus, temevo di essermi fidata di un malvagio. La mia testa stava andando in fumo. Lex riuscì a percepire la mia paura e mi guardò preoccupato. Mi si avvicinò in un baleno e mi tirò per un braccio. Io tentai di divincolarmi, ma la sua stretta era troppo forte. Lui sussurrò: “Che c’è?” Gli risposi, sempre sottovoce: “Lasciami, mostro!” No! Non volevo dire davvero che fosse un mostro. Cavoli, lo avevo ferito. Nei suoi occhi potei leggere tutto il suo stupore e il dolore. Perché? Perché lo avevo fatto? Lui mi liberò immediatamente dalla presa e sembrò capire cosa fosse successo. Il rimprovero sostituì la sorpresa sul suo volto, dalle sue labbra strette uscì un sibilo: “Smettila di ascoltare i miei pensieri!” “E tu smettila di farmeli ascoltare! E non ti azzardare mai più a pensare di fare del male al mio amico!” risposi e lui sorrise spazientito toccandosi la fronte. “Che state confabulando voi due?” chiese Scream che si era accorto che eravamo rimasti indietro e noi accelerammo per raggiungere lui e il piccolo Kaja. Il cammino fu lungo e Lex era l’unico che poteva parlare con la guida. Il sole tramontò e il cielo divenne blu scuro. Kaja si rivolse a Lex, il quale dopo averlo ascoltato, ci disse che per quella sera il viaggio era finito. Dove59


vamo trovare un posto dove passare la notte. Il piccolo bimbo dalla pelle color ambra a fianco di quell’uomo dalla carnagione chiara e vellutata sembrava un bonsai al fianco di una quercia. Lex ci disse di rimanere lì finchè loro due non sarebbero ritornati dopo aver trovato un riparo sicuro. Era l’occasione che aspettavo, avrei potuto parlare tranquillamente con il mio migliore amico. “Hey, Scream. Ascolta, mi dispiace di averti coinvolto in tutta questa situazione. Non avrei dovuto. Era un peso che dovevo sopportare da sola e…” “Che dici, Briciola? Lo sai che ti adoro e che sarò sempre con te. Sono felice che tu me lo abbia detto. Condividerei tutto con te. Di me ti puoi fidare, credimi!” “Lo so, ma è una situazione pericolosa.” “Sono felice di accompagnarti in questo viaggio. Sono felice di starti accanto. Ci sono sempre stato per te e ci sarò sempre. Ti voglio bene, Briciola e non ti devi scusare di niente con me.” Detto questo Scream mi abbracciò forte. Quanto mi piaceva abbracciare il mio amico! Era più di questo, era il mio complice, mio fratello! Gli volevo un bene dell’anima. Lui mi guardò e si accigliò: “Fai attenzione, però. Ieri ti ho vista con lui. Io continuo a non fidarmi. Ti ha salvato la vita e anche a me e gli sono riconoscente. Voglio solo che non ti faccia male. Insomma, cosa succederà dopo la missione? Dopo che tutto questo sarà finito?” “Non lo so. Lui mi fa stare bene. Mi sento sicura quando sto con lui, ma devo ammettere che a volte mi fa paura.” Lui mi guardò con aria preoccupata e prima che potesse chiedermi qualsiasi cosa, mi affrettai a chiarire: “Non mi ha fatto niente, non ti preoccupare. Solo che non lo conosco. È così misterioso.” “Hey, io sarò sempre con te. Non permetterò che ti faccia del male. Ci tengo troppo a te!” Fui felice di parlare con lui come una volta. D’un tratto sentimmo un rumore, un fruscio provenire dagli alberi alle nostre spalle. Afferrai di scatto la mano di Scream e la strinsi. Lui mi guardò e capii che aveva paura come me. Per fortuna dopo qualche secondo sentimmo due persone parlare. La voce di Laxarus era inconfondibile per me, così mi tranquillizzai e lasciai la mano di Scream. 60


“Finalmente!” gridai, con il tono leggermente alterato dalla paura. Lex si accorse del mio scatto e fingendosi indifferente cercò di parlare in modo naturale, ma, chissà perché, non gli riuscì bene. “Dobbiamo andare. A meno di venti metri da qui c’è una radura. Passeremo la notte lì. Qui intorno è tranquillo.” Mi ero accorta del tono della sua voce, del fatto che si esprimeva freddamente e, nonostante io non gli dovessi alcuna spiegazione, mi sentii in imbarazzo. Era come se sentissi il bisogno di giustificarmi, così decisi che dopo aver risolto con Scream, sarebbe stato il caso di parlare anche con Laxarus. Dovetti tuttavia rimandare la chiacchierata a più tardi. Gli altri si erano già incamminati e io non vedevo l’ora di arrivare. Camminavamo in fila. Il piccolo Kaja era davanti con Scream che lo osservava e cercava di imitare i suoi movimenti nell’intricata foresta, dietro io e Laxarus, che camminava a qualche passo di distanza. Sembrava che mi evitasse. Poteva accelerare e raggiungermi, ma non lo faceva. Finalmente arrivammo in una radura dove la vegetazione era meno fitta. Era buio pesto e riuscivo a vedere poco. Kaja era veramente in gamba, ci aiutò a costruirci dei giacigli e accese il fuoco. Ci sedemmo tutti vicini, cercando di scaldarci. Avevo fame. Cercai nello zaino, ma avevo solo una bottiglina d’acqua. Il mio stomaco fece un rumore abbastanza forte, tanto che Scream sorrise. Solo per poco, però, visto che il suo stomaco faceva lo stesso. Mi rivolsi a Lex chiedendogli se avesse qualcosa da mettere sotto i denti e lui mi rispose con un grugnito e con la testa fece un cenno indicando il posto vuoto accanto a Scream. Dov’era la nostra guida? Saltai in piedi e col cuore che batteva forte iniziai a guardarmi in giro. Poi notai che Lex era tranquillo. Possibile che fosse così freddo da non preoccuparsi di un bambino? No, certo che no. A volte si comportava da stupido, ma finora era stato degno della mia fiducia. Mi tranquillizzai e mi misi a sedere. Sì, lui era stato sempre giusto con me, mentre io… Mi si strinse il cuore. Insomma, non gli dovevo una spiegazione, ma dopo quel bacio mi sembrava di essere più legata a lui. Se era vero che aveva significato qualcosa non potevo permettermi di lasciare che un malinteso rovinasse tutto. 61


Dovevo parlare con Laxarus. Ma come? Scream non ci toglieva gli occhi di dosso. Poi, d’improvviso realizzai che mi serviva la sua complicità. Evidentemente la chiacchierata che avevamo fatto servì a qualcosa perché a un mio cenno di lasciarci soli lui si alzò, scusandosi. “Vado in bagno. Cioè, dietro i cespugli. Voglio dire…” disse dileguandosi. Io mi avvicinai a Lex, lui rimase indifferente. Sarebbe stata più dura del previsto. “Hey. Come sei serio!” Niente. “Sai, ho avuto modo di parlare con Scream. Abbiamo chiacchierato come facevamo una volta. Non parlavamo così da quando…” “Sono arrivato io” mi interruppe. Pessimo, pessimo modo di iniziare delle scuse. Tentai di rimediare. “Beh, abbiamo chiarito tutto. Gli ho spiegato come stanno le cose tra noi e lui ha capito. Ora si fida di te un pochino di più.” “Non ho bisogno che tu mi protegga.” “Lui vuole solo che non mi accada niente.” “Beh, la sai una cosa? Io sono in parte demone, perciò non c’è motivo per cui tu ti fidi di me. Non ho bisogno che mi racconti quello che vi dite tu e il tuo amico.” Si avvicinò a me, il suo viso a un centimetro dal mio: “Sono pericoloso. Fatti proteggere da lui. Ho giurato di proteggere il sigillo e lo farò. Dopo…” Io trattenni il fiato. Non volevo ascoltare, ma lui mi finì in un sol colpo, terminando la frase come si affonda una spada nel cuore di un uomo: “Non mi interessa quello che sarà di te.” Il dolore fu immenso. Il mondo intero mi era crollato addosso e pesava sul mio petto come un macigno. Il mio cuore avrebbe mai sopportato tanto? Dunque per lui io non ero niente. Aveva solo giocato con me? Usai il fiato che mi rimaneva per balbettare: “Qu… Quello che c’è stato, il…” “Il bacio? Bah, mi andava di farlo. Era una bella serata e non mi andava di sprecarla. Non c’è stato niente” aggiunse con un risolino. Ero morta. Il mio cuore batteva, ma sentivo che di lì a poco si sarebbe fermato. Mi alzai con cautela, cercando un accenno di equilibrio e con tutto l’orgoglio che mi rimaneva sussurrai: “Abbastanza intenso per un demone. Mi fai schifo”. 62


Non ce la facevo più a trattenermi, ma non potevo piangere davanti a lui e corsi verso il mio giaciglio. Quella notte piansi tutte le mie lacrime. Era sparita la fame, la fiducia in me stessa, la fiducia in lui. Era sparito il sorriso sulle mie labbra. Non avevo voglia di restare ancora lì. Dovevo portare avanti la missione e rischiare la mia vita per cosa? Per lui? O per me? Per l’umanità? Sì, certo. L’avrei fatto solo perché mantenevo le mie promesse. Sempre. “Laura! Laura!” gridava Scream. Io lo sentivo, però non mi andava di rispondere. Alla fine lui mi trovò. “Briciola, che succede? Stai male?” “Voglio restare da sola. Vai via.” “Lo sapevo. Quel verme bastardo ti ha fatto del male! Ora ci penso io a te” disse abbracciandomi forte. Mi cullò tra le sue braccia finché mi addormentai.

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Amici e nemici

S

cream corse verso il fuoco. Laxarus era ancora seduto lì. Lo afferrò per la maglia e sibilò con tutto il disprezzo che aveva dentro: “Brutto schifoso! Viscido verme! Che le hai fatto, maiale?” L’altro non si mosse. Kaja poco lontano osservava la scena. “Lasciami, moscerino!” disse Lex dando un violento spintone a Scream, poi sorrise impertinente: “Che vuoi fare? Non puoi vincere contro di me!” “Lo vedremo!” Scream gli si lanciò contro, il corpo scuro come la notte teso per lo sforzo. Laxarus ci mise poco a immobilizzarlo in una morsa. Nonostante avesse il suo stesso fisico era notevolmente più forte. “Calmati adesso. Non l’ho toccata” cercò di spiegare. “E allora perché piange?” “Abbiamo discusso. Io sono stato un po’ duro e lei ha reagito male.” “Che cosa è successo?” “Forse è meglio che tu non lo sappia” disse, lasciandolo andare. “Vi ho visti. Lo so che l’hai baciata. Lei ha creduto che fosse importante. Le piaci lo sai. Eppure hai solamente giocato! Come hai potuto? Dovevi immaginarlo che è fragile. Lei non è così forte come si sforza di sembrare” disse Scream abbassando gli occhi. Lex tentò di giustificarsi: “Quel bacio era vero. Lo sentivo davvero, ma è pericoloso. Io non sono umano, almeno non del tutto. Lei ha diritto a una vita tutta sua. Una vita normale, con un uomo normale che non la faccia soffrire. Non è al sicuro con me. Io posso proteggerla, ma quando sarà tutto finito vorrei che continuasse la sua vita. Lei è importante. Non posso legarla a me, non è giusto. Potrei metterla in pericolo.” 64


“Anche adesso lo è. E comunque mi pare un po’ tardi, no? Andiamo. Già mi pento di quello che sto per dire, ma nel mio quartiere devi far attenzione alle macchine, ai serial-killer, agli stupratori, ai ladri. Lei è in pericolo ogni singolo giorno. Ti ho visto salvarle la vita. So che sei in grado di farlo ancora. Lex, dovresti vedere il suo sguardo quando parla di te. Gli occhi le brillano così intensamente e le guance le si colorano di rosso. Conosco Laura da una vita, conosco i suoi pensieri, i suoi sentimenti e l’ho vista solo una volta così, quando a cinque anni lei mi portò nel suo posto segreto e mi mostrò quel ciondolo. Non lo faceva vedere mai a nessuno e lo mostrò a me, mi disse che ero l’unico degno di vederlo. Aveva negli occhi la stessa luce che ha quando guarda te. Quella era la cosa più preziosa che aveva. Se ora sei tu quello che può farle rivivere quelle emozioni, devi andare da lei.” Scream prese una pausa e guardò Lex. I suoi occhi neri si perdevano nell’oscurità. “Solo di una cosa ti prego, se non provi le stesse cose per lei, se lei non è la cosa più bella e più importante che tu abbia mai visto, se non faresti di tutto per lei, anche toglierti la vita, lasciala andare. Non farle ancora del male. Quando ci incontrammo ti dissi che se l’avessi ferita te la saresti vista con me. Ora ti avverto: tu prova ancora a farla piangere, e ti giuro che se esiste un modo per ucciderti lo troverò e porrò fine alla tua esistenza con le mie mani!” Lex non rise di quel ragazzo che poco poteva contro di lui, perché sapeva quanto fosse serio in quel momento e quanto gli costasse lasciarla andare. “Lei dovrebbe stare con te.” “No. Io per lei sono un fratello. E io provo gli stessi sentimenti. Abbiamo condiviso troppe cose per essere di più. Se puoi farla felice, fallo. Subito. Non permetterò che pianga ancora per te.” Laxarus si alzò, lo sguardo pieno di riconoscenza e di nuova fiducia.

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Minaccia tra gli alberi

M

i sentii accarezzare i capelli da una mano dolce e delicata. Aprii gli occhi e vidi il suo viso. Il viso dell’uomo che mi aveva spezzato il cuore. Perché il mio cuore batteva ancora così forte quando lo vedevo? Stavo per arrossire. Calmati, cuoricino, calmati, pensai. Non riuscivo ad alzarmi, sentivo la testa pesante. Volevo vomitargli addosso tutto il mio disprezzo, tutto il mio dolore, ma mi limitai a guardarlo. Nei suoi occhi tanto dolore. Perché mi guardava in quel modo? Mi sforzai di mettermi seduta e lo ascoltai. “Buongiorno. Senti, mi dispiace per ieri. Ho perso le staffe perché ho visto te e Scream insieme e ho capito che avevi diritto a una vita normale, il più lontana possibile dal pericolo. Sono io il pericolo. Se starai con me non sarai mai al sicuro. I demoni continueranno a darci la caccia. Non potremo stare mai in un posto troppo a lungo. Neanche quando tutto questo sarà finito.” Avevo capito. Voleva allontanarmi per il mio bene. Come diavolo aveva potuto pensare che sarei stata meglio lontano da lui? Pazzo! Mi alzai piano, la testa mi pesava sul collo come un’incudine. La sera prima era troppo buio perché potessi rendermi conto della bellezza del luogo in cui mi trovavo. Un fiumicello divideva in due la vegetazione, un prato stupendo, popolato da milioni di farfalle colorate, circondava i nostri giacigli improvvisati. Mi diressi verso il fiume e mi sciacquai la bocca. Mi avvicinai a Laxarus che mi guardava stordito, gli buttai le braccia al collo e gli dissi: “Ti perdono!” Lui sorrise e le nostre labbra si unirono nuovamente, tra le milioni di farfalle che ci danzavano intorno. 66


“Non piangerai più per me. Te lo prometto. Io non ti lascerò mai più!” “Lo spero proprio!” Stemmo abbracciati per un po’, senza dirci niente. Più tardi provai ancora ad avere chiarimenti: “Lex?” “Mmh?” “Perché mi chiami Kahara?” “Ancora questa domanda. Lo sai che non posso risponderti.” “Ma perché?” “Perché non sei ancora pronta.” Non ce la facevo più a sentire quella frase. Ero decisa a provare il tutto per tutto. Gli sussurrai una frase all’orecchio avvicinandomi a lui e cingendogli la vita: “Sai, ho imparato ad avere fiducia in te, ad accettare passivamente quello che mi dici.” Iniziai a baciargli il collo, lentamente. Poteva funzionare. “Che stai tentando di fare?” “Niente! Tu, tu non ti fidi di me?” “Certo che mi fido, che dici? Solo che …” tentennava, staccandosi da me. Lo guardai e le mie intenzioni svanirono. Mi sentii scoperta: “Solo che cosa?” “Solo che mi dà sui nervi quando fai la bambina! Hai intenzione di usare quello che provo per te per i tuoi scopi? Scordatelo! Non me lo sarei mai aspettato da te!” “Scusa. Hai ragione. Comportamento meschino. È solo che non ce la faccio più a sentirmi dire che non sono pronta! Che potrà mai succedere di tanto più brutto di quello che è già successo? Ho affrontato prove più grandi, no?” “Sì, e sei stata molto brava. Sei in gamba, Laura, ma non posso dirti tutto quello che vuoi sapere perché non so come reagiresti. Certe cose non possono essere rivelate, devono essere comprese.” Che rabbia! Non lo sopportavo quando si comportava da angioletto. Le mie pretese vacillarono e finii per abbassare lo sguardo e sussurrare: “Perdonami”. Lui mi si avvicinò, mi strinse le sue forti braccia intorno al corpo e mi baciò dolcemente la fronte. Non disse niente. Perché rovinare un momento tanto dolce? Non feci in tempo a pensarlo, che un urlo terrificante squarciò il silenzio della foresta. Guardai il viso dell’uomo che mi teneva abbracciata, lo 67


vidi corrugare la fronte e, un attimo dopo, sgranare gli occhi: “Corri!” Mi sentii spinta da una forza enorme. Non era Laxarus che mi teneva per mano, veniva da dentro di me, era la paura forse o il bisogno di salvare… “Scream!” Iniziai a gridare il suo nome mentre ormai eravamo accanto al mucchietto di cenere dove la sera prima c’era stato il fuoco. Né lui né il piccolo Kaja erano lì. Sentii il panico impadronirsi di me e iniziai a piangere, i singhiozzi si ripetevano insistenti nonostante il mio tentativo di ricacciarli indietro. Iniziammo nuovamente a correre. Questa volta, però, Lex sapeva bene dove andare. “Lo sento! Lo sento! Calmati, ci siamo!” gridava la voce nella mia testa. Lex non riusciva ancora a trattenere i suoi pensieri quando erano così forti, e non ha mai saputo quanto questo mi facesse comodo in quel momento. Non andammo molto lontano. Lex si fermò in un punto strano della foresta, dove avevamo cercato di non andare, dove la vegetazione era fittissima. Faceva caldo, sentivo il cuore affaticato per la corsa, il fiato corto, mi mancava l’aria. Di fianco a me lui era una statua. Il suo corpo era rigido, il suo sguardo fermo indicava un punto preciso, un albero di fronte a noi. Notai che l’espressione del suo viso stava cambiando: le narici dilatate, la fronte accigliata, i denti stretti. Vidi un muscolo guizzare sulla sua mascella perfettamente liscia. Era davvero arrabbiato! Io mi mossi verso l’albero. Pensai che mi avrebbe fermata, ma non lo fece. Lo guardai in cerca di spiegazioni e capii che non ne avrei ottenute. Continuava a tenere lo sguardo fisso davanti a sé. Avanzai con cautela e osservai la scena. Scream se ne stava beatamente seduto, con la schiena appoggiata al tronco e le braccia dietro la testa. Kaja era tutto intento a scavare nel terreno. Incredula balbettai: “Che cosa?” Scream mi guardò con quel suo viso scuro e sincero, i grandi occhi neri pieni di sorpresa. “Oh! Sapevo che ti saresti arrabbiata, ma lasciami spiegare: Kaja si è incamminato e per non lasciarlo da solo l’ho seguito. Voleva solo trovare dei vermi, credo. Scusa se non ti ho avvisata.” Tranquillo. Lui era tranquillo. Io avevo corso per mezza foresta, avevo il cuore in gola per lo spavento e lui era tranquillo. Stavo per arrabbiarmi dav68


vero, ma un pensiero mi congelò, le parole uscirono quasi automaticamente: “Se non sei stato tu ad urlare, chi è stato?” Mi fermai. Sentii Laxarus grugnire. “Che c’è?” sussurrai. “Kewitched” rispose a denti stretti, l’odio negli occhi. “Chi?” chiese Scream, che per fortuna ebbe il buon senso di tener bassa la voce. “Corr…” “Non fare un passo!” mi fermò Lex. Lo guardai con un punto interrogativo stampato in faccia. Poi capii. Lo guardai negli occhi e mi allarmai. Con una sola frase riuscì a gettarmi nel panico più totale: “Siamo circondati!”

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Silenzio

N

eanche tre secondi, il tempo di comprendere le parole di Laxarus e il mio cuore iniziò a battere velocemente e più forte. Sentivo la paura crescere, e più mi proponevo di non lasciarmi prendere dal panico, più lo sentivo impadronirsi di me, delle mie idee. Ero completamente incapace di formulare altri ragionamenti sensati, a parte: “Scappa!” Che fare? Il mio istinto mi urlava di correre il più velocemente possibile, ma Lex aveva detto chiaramente di rimanere fermi. In ogni caso, qualsiasi nostro tentativo sarebbe servito solo a tardare di qualche minuto il momento fatale. Mi arresi e decisi di restare lì impalata ad attendere lo svolgersi degli eventi, anche perché le mie gambe rifiutavano di muoversi. Mi guardai intorno, lentamente, e mi resi conto che Laxarus adesso era al centro di una specie di triangolo formato da noi altri, con le braccia aperte e il viso rivolto in su. Kaja, la nostra piccola guida coraggiosa, sembrava un vero guerriero e non un bambino, con le gambe divaricate e la cerbottana in mano. Scream, avendo capito che si trattava di combattere aveva sospirato e si era portato i pugni davanti alla faccia, in posizione di difesa. Io, paralizzata, mi accorsi che iniziavo a tremare. Cercavo di star zitta e non fare rumore, tuttavia i miei tentativi erano decisamente inutili. A un tratto sentii una voce delicata nella mia testa che mi sussurrava: “Non temere, piccola, ci sono io. Stai tranquilla. Fidati”. Era lui. Il mio angelo impertinente che cercava di darmi coraggio. Il mio orgoglio stava andando in frantumi. Non potevo permetterlo. Decisi di farmi forza e, nonostante il tremore, cercai di imitare Scream, divaricai le gambe e lasciai le braccia lungo il corpo, tenendole pronte a reagire, cercando di restare attenta a ogni minimo cambiamento della situazione. 70


L’improvviso rumore delle foglie mi fece sobbalzare. Laxarus, immobile nella sua posizione, poi, d’un tratto, abbassò lo sguardo, il volto che esprimeva una ferocia degna di un predatore. Un attimo dopo un cerchio nero ci avvolse: decine di figure scure ci circondavano. Kaja digrignò i denti. Laxarus attese un altro secondo: sembrava squadrarli tutti, uno per uno. Disse qualcosa nella lingua Piraha e si mosse. Kaja scattò, agile al comando di Lex, mi prese la mano e con l’altra afferrò la giacca di Scream che si lasciò guidare. Iniziammo a correre, più veloce di quanto avessi mai fatto prima, più di quanto mi ritenessi capace, ma subito uno sciame di esseri neri ci fu alle calcagna. Laxarus emise un ringhio feroce e quella fu l’ultima cosa che sentii perché, alla velocità con cui ci muovevamo per fuggire dai Kewitched, ci allontanammo subito. Stranamente non provavo più niente, né rabbia né paura né preoccupazione. La mia mente e i miei movimenti erano tutti volti allo sforzo che stavo compiendo. Seguivo Kaja, ombra piccola e agile, senza sapere dove mi stesse portando. Scream era dietro di me. Almeno credevo che lo fosse. Non potevo voltarmi a controllare: ogni istante avrebbe potuto compromettere la mia fuga. Quale istinto animalesco era il mio, quale bestia potevo essere diventata? La paura mi aveva forse resa folle? Ero sicura che avrei fatto qualsiasi cosa per il mio amico, e ora mi sorprendevo a pensare solo a me. “Scream! Hey Scream!” urlai senza smettere di correre, né rallentare. “Si! Sono dietro di te. Non ti fermare! Vai! Vai!” mi rispose ansimando alle mie spalle. Bene, era salvo. Ingranai la marcia e tesi tutti i muscoli nello sforzo di correre più veloce. “Laura!” gridò la voce nella mia testa. “Lex!” risposi istintivamente. Sapevo che era inutile, che era lontano e in pericolo. Non avrebbe potuto sentimi. Non ero lì con lui. Se gli fosse successo qualcosa… Non riuscivo neanche a terminare il mio pensiero, tanto mi faceva rabbrividire. “Parlami, parlami ancora, ti prego!” pensai sapendo bene che lui non poteva sentirmi. Quanto avrei voluto essere in grado di fargli sentire che c’ero, che ero salva, per il momento, che gli ero vicina. Il fiato mi mancò improvvisamente. Impegnata com’ero a pensare a lui non mi ero resa conto che stavo per svenire. Il mio corpo non sopportava tutto quello sforzo: correvamo da 71


molto tempo e ormai non ce la facevamo più. Saremmo riusciti a salvarci? La paura mi strinse il cuore in una morsa, il dolore era tale che mi fece cadere al suolo. “No! Laura!” urlò Scream, fermandosi per tornare indietro e aiutarmi. Mi prese per un braccio e mi sollevò di peso. Anche lui era senza fiato, ma mi guardò per accertarsi che ce la facevo. Feci segno di sì con la testa, anche se sapevo bene di mentire. Accidenti, non riuscivo neanche a respirare. Pensavo solo una cosa: aria, aria, per favore! Il piccolo Kaja, molto più allenato di noi, urlò qualcosa da poco lontano. Lo guardammo spaventati e corremmo a vedere. Scimmie. Milioni di scimmie. “Ci mancavano altri guai!” sibilò Scream a denti stretti. Pensavo che ci attaccassero, invece furono più attratte da quelle cose nere alle nostre spalle. Continuammo a correre senza fermarci. Le scimmiette si spaventarono e iniziarono a saltare contro quelle creature. I Kewitched le lanciavano lontano, ma loro si rialzavano e riattaccavano. Sembravano possedute. Di certo non erano normali. E non era normale neanche il numero. Insomma, io non ne sapevo molto, ma non credevo che un branco potesse essere così numeroso. Tuttavia le ombre mostruose non smisero di inseguirci, furono solo infastidite. Pensai di arrampicarci sugli alberi, anche se sarebbe servito a poco. Quelle cose avevano un fiuto incredibile. Io però non ce la facevo più. Dovevo tentare di riprendere fiato. “Approfittiamo! Saliamo sugli alberi!” gridai. “Sei pazza? Ci uccideranno!” rispose Scream, senza nascondere la paura che si era impossessata di lui. Ormai eravamo nel panico. “Fai poco rumore! Devo fermarmi!” dissi iniziando a salire su un albero altissimo. Non credevo di essere così agile! Le lezioni di ginnastica a scuola erano servite a qualcosa. Ricordai a me stessa di ringraziare il professor Mayers una volta tornati a casa. Semmai fossimo tornati a casa. Notai con sollievo di essere quasi arrivata a un ramo altissimo ricoperto di foglie; lì avrei potuto nascondermi. Mi guardai intorno e vidi i miei due amici che mi imitavano. Pregai che non ci trovassero, mentre tentavo di regolare il respiro. 72


L’aria mi arrivava sempre più fredda sulla faccia e mi asciugava il sudore. Si era fatto buio e io temevo che da un momento all’altro gli animali sarebbero venuti a reclamare il loro posto. Osai un po’ e feci un lieve fischio. Dopo qualche secondo sentii il fischio ritornare indietro e capii che i miei amici stavano bene e mi avevano sentita. “Ragazzi! Scendiamo!” dissi piano, ma con la voce abbastanza alta da farmi sentire. Poco dopo sentii il fruscio delle foglie e dei rami che si agitavano sotto i movimenti di due corpi sul grande tronco alla mia destra. Scesi giù a mia volta, mi avvicinai a Scream, lo guardai e sussurrai: “Ce l’abbiamo fatta!” Lui mi fece cenno di sì con la testa. Io accarezzai i capelli del piccolo Kaja, che non era più sicuro come prima. Aveva avuto molta paura, erano successe cose che non aveva mai visto e, per di più, ci eravamo allontanati di molto dalla parte della foresta a lui familiare. “E ora che si fa?” dissi io con ansia sempre crescente. Ce l’avevamo fatta, ma per quanto ancora avremmo resistito? Laxarus dov’era? Avevo un disperato bisogno di sentirlo accanto a me. L’ultima volta che lo avevo sentito era nella mia testa e gridava il mio nome. Era in pericolo, lo sapevo. Cosa potevo fare? Come potevo aiutarlo? Non sapevo neanche dove fosse. Mi accorsi che il mio amico mi guardava con apprensione. Ricambiai il suo sguardo e capii che era in pensiero come me. Non sapevo come comportarmi. Dovevo fare qualcosa. Non potevamo rimanere in quel posto, non era sicuro. Mi avvicinai al piccolo indigeno e gli presi leggermente la mano, Scream mi imitò e ci incamminammo nel buio.

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Anche i grandi hanno paura

“A

ccidenti! Non ce la faccio! Stavolta sono troppi!” pensò Laxarus mentre respingeva l’ennesimo attacco di quelle bestie. Stava per cedere. Lottava da un bel po’. Aveva tentato di conservare le forze per quel momento. Sapeva che sarebbe arrivato, ma ora tutta quell’energia sembrava averlo abbandonato. Erano troppi e lui non era più né pienamente angelo né altrettanto demone. I suoi poteri erano limitati. E, come se non bastasse, ora li avevano trovati, sapevano dove erano diretti e avrebbero fatto di tutto per ucciderli prima che ottenessero la Pietra. “Piccolo Kaja mi dispiace averti fatto questo. Scream, Laura!” In un momento di sconforto quel pensiero forte lo spinse a lottare ancora, con tutte le sue forze. Non poteva lasciare che le accadesse qualcosa. Aveva giurato di proteggerla e lo avrebbe fatto, a ogni costo! Un ricordo si fece strada nella sua mente, tra le zone più remote della memoria. “Laxarus, ti affido un compito molto impegnativo. Non devi accettarlo solo perché …” “Perché cosa? Perché mi sento in colpa? Perché ho sbagliato? Certo che lo accetto per questo. Ho fatto un errore e, anche se non posso rimediare, farò di tutto pur di redimermi.” L’uomo anziano davanti a lui che si passava lentamente la mano sulla lunga barba, con aria pensierosa. “Sono molto preoccupato Laxarus. Figliolo, tu non sei più né bene né male, però puoi scegliere. Stai attento però: sappi che non si arrenderanno mai. Ti troveranno e tu potresti non essere in grado di difenderti.” Laxarus abbassava lo sguardo per incrociare i suoi occhi con quelli del74


l’uomo anziano chino su di lui. Non sospirava, il suo sguardo era fermo e glaciale, le sue parole decise nascondevano perfettamente il suo animo straziato: “La proteggerò. A costo della mia stessa vita!” Un flash lo riportò alla realtà. Quel pensiero si era materializzato all’improvviso, reale come non mai e gli aveva ricordato il giuramento pronunciato anni prima. Quell’errore che lo aveva portato fin qui bruciava ancora dentro di lui, vivido, deciso, come le fiamme dell’Inferno. “È colpa mia” pensò. Non si capacitava. Chiamò a raccolta tutte le sue energie, tentando di prendere dalla rabbia la forza necessaria per difendersi. Erano in troppi. Poteva tentare solo una cosa, un’antica magia che era convinto di non poter più usare, ma che, se avesse funzionato, avrebbe potuto garantirgli la vittoria. In caso contrario, avrebbe perso tutte le energie e per lui sarebbe finita. Si concentrò, gli occhi chiusi, incurante degli attacchi delle ombre intorno a lui, le braccia aperte a formare una croce. Il suo corpo iniziò a tremare, dapprima piano, poi sempre più intensamente; sentiva il flusso dell’energia nel sangue e si sentiva pervaso da gioia e forza nuova. Le sue mani iniziarono a emanare un bagliore azzurro intenso. Stava funzionando. Si sentiva forte, sicuro, come non si sentiva da tempo. Le sue paure erano svanite. D’un tratto, così come era arrivato, il flusso energetico sembrò affievolirsi, le sue mani non brillavano più, un senso di nausea lo invase e la debolezza si impadronì di lui. “No!” urlò. In quel momento un vortice di fuoco gli arrivò in pieno viso e lo scaraventò a terra, qualche metro più avanti. Laxarus aprì gli occhi in tempo per vedere le ombre avanzare verso di lui, esseri spaventosi che si protendevano per afferrarlo. Poi il buio si chiuse su di lui. Quando si riprese era steso a terra, supino. Impiegò un po’ per rendersi conto di dove fosse e perché. L’unica cosa sicura era che tutti i muscoli, anche il più piccolo, gli dolevano. Non aveva funzionato. Aveva fallito miseramente nel tentativo di salvare Laura e gli altri. “A proposito: a quest’ora dovrei già essere morto” si disse. Tese le orecchie per scorgere ogni minimo rumore; non sentendo niente si sollevò su un braccio e restò sbalordito guardandosi in giro: non c’era più nessuno. Niente Kewitched, niente ombre, era assolutamente solo. 75


Quel vuoto lo assalì. Era stanco, solo, non aveva la più pallida idea di quello che era successo. L’unica cosa che gli veniva in mente era che doveva rialzarsi per andare a cercare Laura. L’aveva lasciata da sola. Come aveva potuto? Non erano in grado di combattere contro quelle ombre. Nessuno di loro lo era. Si rialzò con il cuore pieno di ansia, che batteva tanto forte da far male. Non osava immaginare cosa sarebbe successo se avessero trovato i ragazzi. Lui sarebbe dovuto restare con loro. Improvvisamente capì che era stato salvato. Erano stati loro, per la seconda volta. Chissà che non fossero salvi anche i suoi amici. Si impose un po’ di contegno. La testa gli girava violentemente. Stava per cadere, ma si trattenne. Chiuse gli occhi per concentrarsi su quello che stava cercando. Dopo solo qualche secondo gli parve di sentire l’odore della pelle di Laura. Prima era debole come un ricordo e poi, man mano, lo sentì farsi più intenso. “L’ho trovata!” disse a denti stretti. Il vuoto e l’ansia si tramutarono in adrenalina pura. Iniziò a correre in una precisa direzione.

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Di nuovo insieme

“D

ove sei, Lex? Mi manchi” provai a pensare. Forse dovevo riprovare più forte, con un pensiero più intenso. Me ne stavo lì seduta sotto un albero, cercando di mettermi in contatto con il mio angelo. Insomma se poteva farcela lui significava che tra noi c’era una specie di legame e io avrei potuto utilizzarlo a mio favore per rintracciarlo. Niente. Tutti i miei patetici tentativi fallivano inesorabilmente. Doveva essere mezzogiorno. Non lo sapevo con certezza perché il mio orologio si era fermato, potei ipotizzarlo solo perché il sole era un cerchio luminosissimo proprio sopra la mia testa. Avevo paura. Paura di restare troppo in un posto, paura di essere scoperta, paura di perdere Laxarus, paura di non rivedere più i miei genitori, i miei amici. Ci eravamo fermati solo da poco, ma per me era già troppo. Scream in quel momento si sedette accanto a me facendomi sobbalzare. Lo guardai sorridere senza riuscire ad imitarlo, senza riuscire a parlare. Dissi solo una cosa prima di scoppiare in singhiozzi: “Abbracciami!” Sentii le sue braccia forti che mi stringevano e lui che tentava di rassicurarmi. “Andrà tutto bene, vedrai. Ce la siamo sempre cavata, siamo i migliori, noi!” Riusciva a mettere da parte la sua paura per consolarmi. Era proprio un grande amico. Sollevai il viso dalla sua spalla e lui mi asciugò le lacrime che mi bagnavano gli occhi e le guance. Alzai lo sguardo e vidi Kaja che da lontano ci guardava con gli occhi pieni di paura. In quel momento pensai di essere una grande egoista. Il piccolo doveva avere una famiglia, gli doveva mancare molto Daniel. Era un bambino, accidenti! Io ero adulta e avevo una paura maledetta che quasi mi esplodeva dentro, mentre lui era da solo, trascinato in 77


un’avventura soprannaturale con degli sconosciuti, e per di più contro la sua volontà. Aprii le braccia con un atteggiamento materno, invitando il piccolo ad avvicinarsi. Per fortuna quel tipo di linguaggio è universale e lui mi capì avvicinandosi prima piano, poi più velocemente, quasi correndo e mi raggiunse in un abbraccio. Lo strinsi tra le braccia e Scream ci strinse entrambi. Mi sentivo malissimo per quello che stava vivendo quel bambino. Qualcosa dentro di me fremeva, un impeto che partiva dalle viscere e raggiunse la bocca. Sussurrai: “Andrà tutto bene, piccolo. Tornerai a casa sano e salvo, te lo prometto!” Un brivido mi percorse la schiena. Mi ero impegnata in una promessa che non ero sicura di mantenere. Sicuramente avrei fatto tutto quanto in mio potere per proteggerlo. Ora dovevamo ripartire. Mi alzai pensando a Laxarus. Quanto avrei voluto che fosse vicino a me in quel momento. Poi l’illuminazione: il fiume! Ecco cosa dovevamo fare. Avremmo seguito il corso del fiume, sperando che Laxarus facesse altrettanto. Così sarebbe stato più facile per lui ritrovarci e Kaja si sarebbe potuto orientare meglio da lì. Tesi l’orecchio. Il fruscio era lieve, ma si sentiva in lontananza. Ed era verso quel fruscio che mi diressi, Scream e Kaja dietro di me. Ci districammo tra la vegetazione, lottando con la stanchezza finchè la luce del giorno cominciò ad affievolirsi e il sole iniziò a tramontare. Camminavamo, da quanto ormai? Tre ore forse. Non ne potevo più: volevo trovare Laxarus e tornare a casa. Non mi importava più neanche della Pietra. Avevo completamente dimenticato la mia missione. Ero concentrata a ricacciare indietro le lacrime che pungevano gli occhi. Mi accorsi che lo scrosciare dell’acqua era più vicino, ormai avevamo raggiunto il fiume. “Possiamo riposare qui, credo. Va bene per voi? Io sono stanca.” “Anch’io sono stanco e ho fame” mi fece eco Scream. Guardai il piccolo Kaja, che nel frattempo sembrava aver riacquistato la sua sicurezza, evidentemente perché conosceva quella parte della foresta. Si teneva una mano sulla pancia e guardava in giro, come se cercasse qualcosa. D’un tratto sorrise. Un sorriso che voleva dire : “Ecco, ci sono! So io come farvi stare meglio!” Infatti il piccoletto mi lanciò uno sguardo d’intesa e corse a prendere un 78


grosso ramo caduto lì vicino. Si avvicinò al fiume, si immerse fino alla vita e piantò il grosso bastone sul fondo. Lo vidi aspettare paziente e poi all’improvviso abbassarsi velocemente e afferrare qualcosa. Le sue mani però riemersero vuote. Capii che la nostra giovane guida ci stava procurando del cibo. Scream l’aveva capito prima di me e mi disse: “Io vado a fare legna. Non ti muovere da qui per nessun motivo”. Ebbi un fremito. Non volevo che si allontanasse. Avevamo già perso Lex, non volevo restare da sola. Tuttavia sapevo che era necessario un fuoco per mangiare qualcosa e il mio stomaco continuava a borbottare ininterrottamente. Annuii lentamente e lo lasciai andare. Eravamo rimasti soli, io e il piccoletto. Era più in gamba di quello che mi aspettassi. Non come i bambini della sua età. Sembrava essere cresciuto prima, più in fretta per far fronte alle necessità di una vita in quella parte del mondo. Chissà se aveva amici. Avrei voluto vedere il suo villaggio, conoscere sua madre. In quel momento mi accorsi che Kaja mi guardava agitando le braccia e tra le mani aveva un pesce che sembrava essere abbastanza corposo. Lo guardai e sorrisi lasciandomi influenzare dalla sua euforia. Com’e bello essere bambini, avere l’innocenza e la forza necessarie per affrontare le situazioni. Quelle che stava affrontando quel Kaja, però, non erano situazioni normali, ma difficilissime e spaventose anche per un adulto. Venne la sera e qualche stella iniziava a illuminare la notte. Io e Kaja, stavamo seduti l’uno vicino all’altra aspettando che Scream portasse la legna per il fuoco. Cercavo di comunicare con il piccolo indigeno, con scarsi risultati. Gli chiedevo della famiglia, della casa. Facevo strani gesti con le mani e in risposta lui mi guardava con aria interrogativa. A volte provava a farsi capire gesticolando, ma neanche io capivo molto di quello che cercava di dirmi. “Ho perso le speranze” dissi scoraggiata. Guardai l’ometto davanti a me che aveva capito la mia espressione e mi stava sorridendo. D’un tratto un rumore improvviso e inaspettato ci mise in agitazione. Qualcosa nella vegetazione dietro di noi si mosse. Il cuore ebbe un sobbalzo e poi parve fermarsi del tutto. Trattenni il fiato istintivamente. Il bambino al mio fianco mi si strinse addosso, impaurito. Mi alzai lentamente, sentivo che stavo per svenire dalla paura. La cosa avanzava sempre di più verso di noi. Spinsi Kaja dietro di me, nel tentativo di proteggere almeno lui. Avevo paura, ma 79


eravamo soli e dovevo farmi coraggio perché il piccolo doveva averne più di me. Un passo dopo l’altro la cosa si avvicinava sempre più e io costringevo Kaja a indietreggiare. “Arriva. Sta arrivando. Devo scappare” pensavo. Era tardi ormai. Un’ombra nera apparve di fronte a me continuando ad avanzare. Non avevo la più pallida idea di cosa dovessi fare. Presi il coraggio a due mani e gridai: “Fermo!” Fermo? Che razza di sciocca. C’erano tre milioni di frasi che avrei potuto dire per intimorire il mio avversario e, invece, gridai: “Fermo”. Tuttavia funzionò. L’ombra si fermò davanti a me e pareva osservarmi. Era una figura scura, alta circa un metro e settanta, muscolosa. Era … “Hey, Briciola! Sono io!” Era Scream! “Scream! Accidenti a te! Mi hai fatto prendere uno spavento incredibile!” Come ero contenta che fosse lui! Corsi ad abbracciarlo forte e Kaja mi imitò. “Non mi lasciare mai più da sola nel bel mezzo della Foresta Amazzonica!” gridai e gli diedi uno scapaccione. Più tardi accendemmo il fuoco e cucinammo i pesci. Dovevano essere buoni, ma io avevo talmente tanta fame che non riuscivo a distinguere i sapori. Mangiavo con una voracità che non avevo mai avuto e notai con sollievo che anche gli altri facevano lo stesso. Scream faceva delle battutine e mi faceva sorridere, però non riusciva a togliermi l’inquietudine dal petto. Mi mancava Lex. Se fosse stato lì avrebbe iniziato a prendere in giro Scream e mi sarei sentita subito a casa o, quantomeno, più sollevata. Proprio in quel momento un altro rumore zittì Scream, fece stringere i denti al piccolo Kaja e interruppe i miei pensieri. Le foglie dietro di noi si erano mosse. Guardai il mio amico con aria impaurita e allo stesso tempo preoccupata. Lui con la fronte corrucciata si sforzò di dire: “Dai, sarà stato il vento, o qualche animale”. “Scream se è un animale non credi che dovremmo preoccuparci?” gli feci notare. “Hai ragione. Prendi il bambino e andate dietro quell’albero, io vado a vedere.” Chi poteva essere questa volta? Chi o cosa. Eravamo tutti lì. Accidenti! 80


Quel posto ci stava solo portando disgrazie e problemi. Forse non era il posto giusto dove cercare la Pietra. Forse stavamo solo perdendo tempo prezioso. Dovevamo muoverci o i Kewitched avrebbero trovato noi e il sigillo e allora… Distolsi la mente da quel pensiero e mi accorsi che Scream si era avvicinato al fuoco e aveva acceso una torcia. “Vieni fuori, avanti” disse come per farsi coraggio. La sua pelle era scura e nella notte buia sarebbe stato difficile distinguere la sua figura se non fosse stata illuminata dalla luce del fuoco. Mentre avanzava una voce lo fermò, congelò i suoi passi e il sangue nelle mie vene. “Sei coraggioso, ma cosa credi di poter fare?” disse la voce nel nulla. Scream non rispose. Era un uomo. O meglio, poteva parlare come un uomo. La voce aggiunse: “Però vedo che siete tutti salvi, ho fatto bene a lasciarla con te!” A queste parole tutto mi fu più chiaro, molto più chiaro. Uscii dal mio nascondiglio nonostante Kaja mi trattenesse. Lo tranquillizzai accarezzandogli la testa e uscii allo scoperto.

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Pensieri

U

na figura alta e muscolosa avanzò lentamente verso di noi, uscendo dai cespugli. Si teneva una mano sul fianco, l’altro braccio penzolante. Quando fu abbastanza vicino al fuoco potei finalmente riconoscere quel sorriso, quell’amabile sorriso che non rivedevo ormai da troppo tempo, nonostante il sangue che gli scendeva dalle labbra rotte. Rividi i suoi capelli neri, bagnati di sudore, il suo petto marmoreo e ferito, le sue mani piene di sangue. Eppure nulla di questo mi importava. Era da troppo che non lo vedevo. Il cuore mi fece una capriola nel petto e il sorriso mi si allargò sulla faccia, proprio mentre le lacrime iniziavano a scendere copiose sulle guance. “Laxa…rus” balbettai. Corsi tra le sue braccia e lo strinsi forte. “Sei vivo! Sei vivo! Sei con me!” singhiozzai incredula. Lui si lasciò stringere, ma non ricambiò il mio abbraccio. Lo sentii gemere di dolore e mi staccai subito. “Non così forte, piccolina” disse con la sua voce angelica. Come avevo fatto a non riconoscere quel suono melodioso? Mi era mancato. Tanto. Per troppo tempo eravamo stati separati. “Credevo di non farcela! Senza di te.” “No. Ve la siete cavata alla grande.” “Tu mi hai lasciata da sola!” “Dovevo.” Strinse i denti, per il dolore fisico e, soprattutto, per quello che la mia affermazione gli aveva provocato. “Non avrei mai voluto.” “Fa niente. Sei ferito! Siediti accanto al fuoco!” 82


Non se lo fece ripetere due volte. Si sedette con noi e io strappai un pezzo di stoffa dalla mia maglia e iniziai a medicargli le ferite. Purtroppo non avevo né disinfettante né bende con me. Kaja, felice di poter nuovamente parlare con qualcuno che lo capisse, riferì a Lex che avrebbe potuto trovargli delle erbe mediche. Insieme decidemmo che non era il caso di spostarsi con quel buio e che avremmo provveduto l’indomani all’alba. Dovevo chiedergli un sacco di cose, ma non ne ebbi il coraggio. Stava male, e per colpa mia. Ero debole, non ero in grado di badare a me stessa e così lui doveva intervenire in mia difesa continuamente. Lui sembrò percepire il mio umore e mi chiamò. “Hey, non sei contenta di rivedermi? Se vuoi sparisco di nuovo” disse nel tentativo di scherzare. “No! Che dici? Tu non ti muoverai mai più da qui!” “Vuoi farmi restare qui? Agli ordini, ma sarà un po’ difficile poi trovare la Pietra.” “Andiamo, lo sai cosa intendo. Non mi devi mai più lasciare da sola.” Lui mi guardò negli occhi per un lungo secondo, poi mi disse sicuro: “Lo giuro.” Io mi sdraiai accanto a lui e poggiai cautamente la testa sul suo petto ampio. Lex iniziò ad accarezzarmi i capelli. “Sono stato davvero preoccupato. Temevo di perderti.” “E io invece? Ho creduto che fossi morto. Non sentivo più i tuoi pensieri.” “Non avevo sufficiente energia per chiamarti.” “Mi sei mancato.” “Andiamo! Sono stato via solo per poco.” “Mi è sembrata un’eternità. Ho avuto paura.” “Anch’io.” Dopo un lungo silenzio Lex sospirò e mi disse lentamente, sottovoce: “Laura?” “Si?” “Ricordi la battaglia con i Kewitched nello studio del professor Laurenti?” “Certo.” “Io stavo per essere sconfitto. Mentre ero a terra e quei mostri mi stavano per finire, ho visto una luce abbagliante e mi sono sentito pieno di gioia.” 83


Mi alzai su un braccio per guardare meglio Laxarus con un’espressione confusa. Lui continuò: “Dopo quel lampo abbagliante sono svenuto e al mio risveglio i Kewitched non c’erano più”. “Sai cos’era?” “Non ne ho idea, ma la stessa cosa è successa ieri notte. Credo che…” “Credi che siano gli angeli?” Alla mia domanda non rispose, rimase pensieroso.

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Insicurezze

D

ormimmo abbracciati e il mattino seguente ci mettemmo in viaggio molto presto. Dovevamo a tutti i costi trovare la Pietra prima che i Kewitched trovassero noi. Durante la notte, tuttavia, avevo fatto uno strano incubo e da allora un’ idea continuava a ronzarmi nella testa, sempre la stessa: se avessimo sbagliato posto? Insomma, avevamo agito da stupidi. Spinti dall’urgenza della situazione eravamo partiti per l’Amazzonia, basandoci solo sulle parole dette alla tv da un giornalista che magari non sapeva neanche perché fossero scritte sul gobbo. Ci eravamo fiondati come un gruppo di scalmanati ragazzini che non hanno mai fatto un viaggio e vedono la cosa come un gioco. Ero finita nella Foresta con il mio pazzo migliore amico, che mi segue ovunque, un altro pazzo che si è precipitato in casa mia a dirmi che era un angelo, che ero in pericolo e che dovevo salvare il mondo, e un bambino Piraha di poco più di nove anni. “Sto per impazzire, lo sento!” dissi con rassegnazione, sospirando. Lex soffocò una risata. “Odio quel ghigno! Che stai pensando? Pensi che sia pazza davvero, eh?” “La verità? Si, lo penso” disse sorridendo. “Odio quel ghigno!” ripetei. In ogni caso nessuno dei miei amici si era posto lo stesso problema. D’altra parte avevamo incontrato mostri ovunque in quel posto, come se stessero proteggendo qualcosa. Era pur vero che volevano il mio medaglione. Ne avevano già presi due. “Hey, Laxarus?” dissi d’un tratto, spuntando dai miei pensieri. “Come mai sei venuto a cercarmi solo dopo che avevano preso gli altri due sigilli? E come hanno fatto ad averli?” 85


Lui mi guardò per un lungo attimo prima di rispondere lentamente. “Vedi, Laura, le persone preferiscono scegliere la strada più facile. Solo che non è sempre quella giusta.” Lo guardai accigliata, ma lui non sembrava capire il mio sguardo, che lo incitava ad andare avanti. Alla fine glielo dovetti chiedere esplicitamente: “Che intendi dire con questo? Non credo di capire”. “Sono sempre stato restio a coinvolgerti in questa situazione. Non volevo rovinarti la vita, sarebbe stato meglio per te restare all’oscuro di tutto. Non credere di essere rimasta sola, però.” Si era fermato e io con lui. Mi prese la mano, si avvicinò a me e abbassò il tono di voce, segno che stava iniziando a parlare di qualcosa che non avrebbe dovuto dirmi. Proseguì: “Dopo la Grande Guerra i sigilli furono distribuiti in posti diversi del mondo. Uno di quelli appartiene alla tua famiglia da generazioni. Gli angeli furono divisi in dipartimenti, ognuno doveva tenere d’occhio una famiglia. A me foste affidati voi. Ti ho sempre seguita, ma dopo che i discendenti della prima famiglia persero la battaglia e furono catturati, il discendente della seconda, un ragazzino di qualche anno più giovane di te, decise di tradirci e si unì volontariamente alla schiera di demoni che gli dava la caccia, favorendo il lavoro dell’Oscuro. Allora ho dovuto per forza maggiore coinvolgerti”. Mi prese le spalle e mi sussurrò nell’orecchio: “Ora non posso dirti di più, dobbiamo andare”. In quel momento Kaja e Scream ci chiamarono da lontano.

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Nuova speranza

C

amminammo per circa tre ore, facendo qualche sosta per riposarci i muscoli, ormai tanto indolenziti che quasi non li sentivamo più. Io ero immersa nei miei pensieri. Continuavano a ronzarmi nella testa le cose che Laxarus mi aveva detto quella mattina. Ero talmente impegnata a commiserarmi, a chiedermi perché mai questa sfortuna fosse capitata a me, che non mi resi conto che Scream si era chiuso in un insolito silenzio. Da un bel po’ aveva smesso di prendere in giro Lex e tirare in ballo il piccolo Kaja. Scream era un ragazzo d’oro e io lo conoscevo come le mie tasche. Una delle cose che sapevo meglio di lui era che gli piaceva parlare. Da piccolo aveva imparato a parlare tardi rispetto agli altri bambini della sua età, ma da quando aveva cominciato non aveva smesso un attimo! I genitori e gli insegnanti impazzivano per questa sua smania di parlare. Io, invece, l’ho sempre trovata divertente. Il fatto che, all’improvviso, diventasse così muto poteva voler dire solo due cose: o era concentrato a risolvere un problema o pensava a qualcosa che lo preoccupava. Sapevo bene cosa potesse preoccuparlo. Tra me e lui c’era sempre stata una specie di telepatia, per la quale lui riusciva a sapere cosa pensavo, prima che lo dicessi e viceversa. Tuttavia decisi di chiederglielo lo stesso. Attesi che ci fermassimo per un’altra pausa e mi avvicinai per intavolare il discorso. Era seduto su un grosso tronco cavo, i gomiti sulle ginocchia, la testa tra le mani. Mi avvicinai e gli misi una mano sulle spalle. A quel tocco lui sobbalzò e si girò a guardarmi. “Ah, sei tu, Briciola. Mi hai spaventato.” “Credevo che non avessi paura!” “Beh, prima era così. O meglio, prima volevo crederlo.” “Ora, invece?” 87


“Ora ho una gran paura di perderti. Ho paura che quei mostri ti facciano del male. Io non me lo perdonerei. Mi sento male al solo pensiero di non poter più rivedere i miei genitori, Flo, CJ, Trey. Pensare che non potrebbe più essere come prima. E Kaja, il piccolino, è così...” Iniziò a singhiozzare violentemente. Era sull’orlo di una crisi di panico. Lo tirai per un braccio e lo strinsi a me, iniziando a cullarlo. “Calmati! Andrà tutto bene, ok? Andrà tutto per il meglio.” Accidenti. Il nodo che avevo alla gola si fece ancora più grande, quasi mi strozzava. Ero stata così egoista. Ancora una volta il mio amico stava male, aveva bisogno di me e io non me ne ero resa conto. Promisi a me stessa che non avrei mai più trascurato i miei amici. Avrei portato a termine la missione. Riguardo al luogo, se Lex sentiva che quello era il posto giusto, allora era certamente così. Non avrei più dubitato di loro. Quella notte, nella foresta, fu la più lunga di tutta la mia vita. Mi rigiravo continuamente nel mio giaciglio pensando a quanto avessi sofferto credendo che Lex fosse morto. Mi svegliai di soprassalto, con l’immagine di un Kewitched ancora stampata nella mente. Stavo piangendo. “Ti sei svegliata, finalmente! Si può sapere cosa sogni?” La voce di Lex mi riportò alla realtà. “Oh, Lex!” Corsi verso di lui. Era seduto accanto al fuoco, teneva tra le mani il libro che gli aveva dato il professor Laurenti. Mi accovacciai accanto a lui, come fossi un piccolo gattino impaurito. “Hey, ma tu stai piangendo. Che succede?” chiese dolcemente. Mise via il libro e si sdraiò accanto a me, stringendomi. Mi sentii al caldo, al riparo da tutto e tutti, al sicuro. Lui mi baciò la guancia e iniziò a sussurrare piano: “Va tutto bene. Sei con me ora. E io non ti lascerò mai.” Restai per un po’ in silenzio e poi mi rivolsi a lui con un filo di voce: “E se non dovesse finire come vogliamo? Se dovessimo morire?” Dissi l’ultima parola quasi senza fiato per il grosso nodo alla gola. Lex mi fece girare verso di lui e mi guardò con un’aria seria che prima non aveva. I suoi occhi, davanti alla luce del fuoco, avevano cambiato colore. Avvicinò la sua bocca al mio orecchio, sussurrandomi con un tono di voce che avrebbe fatto rabbrividire chiunque: “Io non lo permetterò mai!” 88


Mi diede un lungo bacio sulle labbra. Un bacio che sembrò durare per l’eternità. Un bacio magico. Proprio in quel momento, infatti, mentre ero tra le sua braccia, la voce dei suoi pensieri, quelli più forti, quelli che ancora non riusciva a governare, risuonò nella mia testa. Diceva: “Tu sei mia!”

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Sopravvivenza

I

giorni si susseguirono così, velocemente, portando monotonia e stanchezza. Eravamo sfiniti. Il viaggio non sarebbe dovuto durare così tanto, ma per sfuggire dai Kewitched ci eravamo allontanati di molto e per ritrovare la strada fummo costretti a risalire il fiume. La stanchezza ci stava sopraffacendo e ormai perdevamo le speranze a poco a poco. La paura insediava i nostri cuori. Io trovavo conforto solo tra le braccia di Laxarus, che pure appariva pensieroso e, ultimamente, non era raro trovarlo a leggere il libro del professore. Kaja era stanco, ma era un bambino e, come tutti i bambini, ci metteva poco a distrarsi. Scream stava anche peggio, perché era costretto a subire le smancerie mie e di Lex, i capricci di Kaja, la malinconia e la stanchezza, tutto da solo. Dava spesso in escandescenza, ma poi, sbollita la rabbia, chiedeva sempre scusa. Le nostre sofferenze, però, non erano ancora finite. Il peggio cominciò una sera, quando, dopo esserci rintanati alla meglio da un temporale, scoprimmo che Kaja se ne stava abbattuto in un angolo, senza parlare né muoversi. Tremava come una foglia. Il piccoletto, già molto stanco, provato dalla fame e dalla pioggia, si era preso un febbrone da cavallo! Non saprei dire esattamente quanto fosse grave, ma la sua fronte scottava ogni momento di più, lui era sempre debole, nonostante cercassimo di riservargli la maggior parte del cibo, e non la smetteva di tremare. Per tre giorni lo portammo in braccio un po’ a turno, ma era abbastanza pesante e fummo costretti a fermarci molto più spesso e molto più a lungo. Continuammo a risalire il fiume, convinti e speranzosi di trovare la fatidica cascata. E fu così. 90


Un mattino, quando le luci dell’alba avevano da poco schiarito il cielo e la nebbia non era ancora così fitta, il piccolo Kaja iniziò a tossire forte. Ci accorgemmo presto, però, che non tossiva a causa dell’influenza, ma lo faceva per attirare la nostra attenzione. Iniziò a indicare freneticamente un punto lontano, in mezzo alla vegetazione. In quel momento era Lex a portarlo in braccio e così non riuscì a muoversi velocemente quando Scream gridò: “Hey, ragazzi! Venite a vedere!” Scream continuava a guardarsi intorno incredulo. Stava su un sentiero che sorgeva, come per magia, dagli alberi, un sentiero del quale nessuno si sarebbe mai potuto accorgere se non sapesse esattamente dove guardare, un sentiero che portava nel bel mezzo del nulla, un sentiero che, sfortunatamente per noi, era quello che Kaja ci diceva di seguire. “Non lo so. Non mi pare una buona idea” disse Scream guardandomi. Negli occhi del mio amico lessi tutta la sua paura e la sua ansia, addirittura mi sembrava di sentire lo stomaco sottosopra, provando quelle stesse emozioni. Guardai Laxarus in cerca di un consiglio ed entrambi guardammo il piccolo che portava tra le braccia in cerca di un’indicazione. Era così debole. Febbricitante. Chi mai poteva dire se non si fosse sbagliato, se non avesse avuto un’allucinazione per via della febbre alta? Lui però era l’unico che conoscesse la strada, l’unico che potesse indicarcela. Mi feci coraggio e presi una decisione. Mi schiarii la voce prima di comunicarla agli altri, con il cuore in gola, sperando che fosse quella giusta. “Io dico di fidarci. In fondo è l’unico che conosce la strada. Non abbiamo scelta. Dobbiamo seguire quel sentiero.” Gli altri furono d’accordo. Camminammo per circa tre quarti d’ora, o forse di più, senza mai staccare gli occhi dal sentiero, per due semplici motivi: il primo è che non riuscivamo a vedere niente oltre il nostro naso per via della nebbia che era calata, il secondo è che se pure fossimo riusciti a vedere qualcosa, sarebbe stato solo verde, foglie, rami e alberi infiniti e avremmo finito per scoraggiarci. Decidemmo allora all’unisono di procedere fino a che non avessimo trovato la cascata. Dopo un po’ ci rendemmo conto di camminare con più sforzo di prima perché la strada era in salita. Laxarus inciampò un paio di volte e Scream si offrì di portare Kaja altrettante volte, ricevendo sempre una risposta nega91


tiva. Alla fine decise di non domandarglielo ancora e quasi gli strappò il piccolo dalle braccia, ma questa volta Lex non oppose resistenza. Proseguimmo fino a mezzogiorno circa, quando decidemmo di fermarci a riposare. Eravamo stanchi morti, le gambe mi facevano talmente male che sentivo dolore solo stando in piedi. Avevo fame e niente da mangiare. Per fortuna avevamo l’acqua. Ora che la nostra piccola guida si era ammalata non sapevamo cosa si potesse mangiare e cosa no. Guardai Laxarus con ansia e lo vidi stanco, ma non atterrito come noi. Più che altro era preoccupato. Scattò in piedi e temetti che ci avessero attaccati. Non mi tranquillizzai sentendolo dire: “Ragazzi, d’ora in poi sarà dura”. “Come se fosse stata una passeggiata fin qui!” esclamò Scream. “Non vorrete litigare? Non ce la faccio proprio a sentirvi” intervenni. “Volevo solo dire che abbiamo bisogno di nutrirci. Siete capaci di accendere un fuoco?” “Si, l’abbiamo già fatto, prima” annuii. “Io vado a caccia. Vi procurerò del cibo. Dobbiamo pur sopravvivere tutti, no? Poi se...” “Se cosa?” domandò Scream. “Se ci attaccassero i Kewitched non potremmo difenderci, morti di fame come siamo” sussurrò la voce nella mia testa. I mostri, li avevo dimenticati. Ci mancavano solo loro. Non ne potevo più di quella storia. Volevo urlare a perdifiato tutta la mia rabbia, la mia paura, la mia ansia, la mia stanchezza. “Prima hai detto che sarà dura d’ora in poi. Cosa intendevi?” “C’è una montagna. Dovremo scalare una montagna” mi rispose Scream, che nel frattempo guardava avvilito l’enorme ammasso di rocce di fronte a noi. Mi girai per guardare Laxarus, ma non c’era più.

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L’agguato

Q

uando Lex tornò trovò le facce più avvilite che avesse mai visto a guardarlo fisso negli occhi con la paura nel cuore. Non disse una parola, posò a terra le sue prede, due uccelli e un serpente, buttò uno sguardo a me e Scream, abbracciati per farci forza. Si diresse verso il piccolo Kaja, che se ne stava supino su un giaciglio a tremare violentemente, delirando nel sonno. Lex si inginocchiò accanto a lui. Lo guardava intensamente, poi prese la mano del piccolo tra le sue e chinò il capo. Io e Scream lo guardammo pregare. Non avevo visto mai nessuno pregare tanto e così profondamente. Pregava il Dio che aveva tradito, pregava gli angeli dai quali era fuggito. Non avevo mai visto un tale atto di sottomissione e pentimento. Si alzò, sotto i nostri sguardi stupiti. Non era più la stessa persona. Aveva negli occhi una luce nuova, diversa, quasi come se sapesse cosa stava per succedere. Si avvicinò a noi, sussurrando: “Non posso lasciarvi vedere. Scusate”. Così dicendo ci pose le mani sulla fronte e il sonno scese su di noi. Ci svegliammo come bambini che hanno appena fatto un sogno meraviglioso e non vogliono abbandonarlo. Mi sentivo rilassata, completamente confusa e stordita. Mi guardai in giro e ci misi un po’ a capire che quello che stava accadendo non era per niente possibile. Starò sognando ancora, pensai guardando la realtà contorta e per niente rassomigliante a quella che avevo lasciato prima. Kaja saltellava poco lontano, Laxarus sorrideva guardandolo accanto al fuoco, girando su uno spiedino dei pezzi di carne. Si accorse che ero sveglia e mi sorrise, il volto rilassato, ma negli occhi un po’ di preoccupazione. Poi il suo sguardo si spostò velocemente alle mie spalle. Anche Scream era sveglio e, forse, si stava ponendo le stesse domande. 93


Cercai lo sguardo di Laxarus per avere qualche risposta, ma quello che ottenni fu una cosa ancora più straordinaria e mi fece dimenticare ogni problema. “Microbo! Sei sveglia finalmente! Volete smetterla di dormire, fannulloni, e venire a mangiare?” Ironia. Non lo sentivo più ridere in quel modo da quando eravamo partiti. Quanto mi era mancata quella risata. Non avrei mai creduto di dirlo, ma anche la sua malizia non mi dispiaceva. Qualcosa era cambiato. Dovevo scoprire da dove venisse tutto quel buon umore. Forse, però, avrei potuto aspettare fin dopo mangiato, no? Mi alzai e mi avvicinai a Laxarus e, prima che mi sedessi, lui mi strinse in un abbraccio fortissimo. Alzò lo sguardo, incrociandolo col mio e mi baciò tanto intensamente da farmi girare la testa, un bacio pieno di parole silenziose. “Perchè tanta allegria?” Mi sorrise malizioso e con gli occhi indicò qualcosa alle mie spalle. Mi girai in quella direzione e vidi un’alta montagna. Seguii la ripida roccia con lo sguardo e sgranai gli occhi. In alto, proprio in mezzo alle rocce, si alzava una nuvola di vapore bianco che mi faceva ben sperare. “La cascata?” “Si” rise Lex. “Si!” gridò Scream. Kaja seguì l’esempio del mio amico e iniziò a saltellare in giro e urlare, ma Laxarus non fu tanto entusiasta di questo atteggiamento. Si affrettò a calmare Kaja e a trattenere Scream. Lo guardai incupirsi e isolarsi, chiudere gli occhi e riaprirli dopo un attimo con uno sguardo diverso. Con la voce piena d’ansia disse: “Sbrighiamoci. Dobbiamo andarcene. Andiamo via da qui!” Presi Kaja per mano e iniziammo frettolosamente a salire su per il sentiero roccioso. Ero stordita, impaurita. Ricordo solo che durante il viaggio nessuno parlò molto, tranne per chiedere aiuto se scivolava o per chiedere di rallentare il passo. Quando lo scrosciare della cascata fu tanto vicino da poter coprire il suono della nostra voce, feci per avvicinarmi a Lex e sussurrargli: “Siamo arrivati, ce l’abbiamo fatta!” 94


Mi accorsi, purtroppo, che non provava la stessa allegria. Il suo sguardo era cupo, i suoi occhi erano di un grigio scuro, la fronte corrucciata, i denti digrignati. La paura mi assalì. Quello era il volto di un animale. Laxarus era infuriato. Realizzai che eravamo in pericolo, ma sfortunatamente era troppo tardi. Lo guardai scattare in basso, curvare la schiena in una posizione d’attacco, un ringhio cupo risuonò tra i suoi denti. Mi girai insieme a lui e li vidi. Sagome deformi, corpi senza muscoli, ossa ricoperte da un mantello nero come la pece, volti che celavano morte. Kewitched. Non erano da soli. Questa volta erano un esercito. Ci circondavano, non c’era un angolo che non fosse occupato da una di quelle creature, non c’era via di fuga. Avrei voluto gridare per la paura, provare a fuggire. Sapevo di dover fare qualcosa, ma non riuscivo a muovere un muscolo. Ero rigida e inflessibile, ferma in piedi, spettatrice inerme del massacro imminente. Le creature della morte che avevamo tristemente conosciuto prima non erano sole. Fecero la loro apparizione mostri somiglianti a uomini senza occhi né orecchie, solo denti affilatissimi e pelle che a volte pendeva a brandelli. Cos’erano? Che volevano da noi? La Pietra. Ci eravamo evidentemente avvicinati alla salvezza e ovviamente il Male aveva mandato il suo esercito migliore a impedirlo. Cercai gli altri con lo sguardo e quello che vidi fu un’immagine pietosa: Scream, il mio amico, quel ragazzone scuro che mi aveva sempre suggerito sicurezza, ora era raggomitolato a terra e tremava come una foglia, in lacrime. Accanto a lui il corpicino di Kaja, svenuto per il terrore. E io che facevo? Ferma, immobile al mio posto. Aspettavo forse di morire? Laxarus continuava a scrutare quella massa di ombre che ci chiudeva in un vortice. Era come se fossimo chiusi in una scatola piena di dinamite. E d’un tratto, la bomba esplose. In un secondo l’ Inferno riemerse dalle viscere della terra e si scatenò intorno a noi. Non vidi altro che corpi e macchie scure che si scontravano e si scagliavano da una parte all’altra. Sangue ovunque. Ero nauseata, ma non riuscivo neanche a vomitare. Ogni cosa dentro di me si era annullata. 95


Una di quelle creature informi si scagliò su Lex e lo lanciò via, alzò il viso e mi fissò. Un secondo e scattò verso di me con un balzo felino. Era finita.

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Risposte

L

uce. Un bagliore accecante fu tutto quello che riuscii a vedere, ma bastò per confondermi. Ero pronta a morire e, d’improvviso, quell’ombra scura che si era scagliata su di me si era trasformata in pura, bianchissima luce. Dovevo essere già morta. Doveva essere così perché non trovavo altra spiegazione. Non sentivo più niente, né mani né piedi, né stanchezza né dolore, né paura né preoccupazione. Niente. Anzi, ero lieta. Doveva essere finita. Da lontano una figura circondata di luce mi apparve, come era solito apparire Laxarus, dal nulla. Il suo volto non mostrava emozioni, eppure più si avvicinava a me e più mi sentivo bene. Quando fu abbastanza vicina, pensai che fosse l’essere più spettacolare che avessi mai visto. Bello è dir poco. Stupendo come la luce che lo circondava. Puro come l’abito che indossava. Aveva lineamenti femminili, una bocca soffice e delicata che tuttavia non si era mai piegata in un sorriso, lo sguardo penetrante non aveva mai tradito un’ emozione. “Dio?” dissi con tono insicuro. “No, mia cara. Sono Michael” rispose quella voce soave, fatata, musicale. “Sono morta?” sussurrai con voce tremante. “No, è ancora troppo presto. Sono qui per darti le risposte che cerchi. Giunge il momento che hai aspettato.” “Dove sono?” “Dove sei sempre stata.” “Perché sono qui?” “Perché tu sola puoi salvarci tutti. Tu sola puoi sconfiggere i demoni che operano sulla terra. Sono tanti, troppi.” “Perché non potete aiutarci voi?” 97


“Noi non vi abbiamo mai abbandonati. Il Signore vi ha creati e vi ha posti sulla terra, con un’anima e una capacità di giudizio. Potete scegliere, ma siete troppo influenzabili, e questo vi rende deboli. Il Male sa che può usarvi per i suoi scopi e ci è quasi riuscito. Noi siamo stati creati per guidarvi nelle giuste scelte e sul giusto cammino. Se non scegliete la strada che vi indichiamo, il nostro compito è finito, abbiamo fallito.” “Che vi succede, allora?” “Svaniamo. Tu, Laura, hai scelto il bene e meriti di essere guidata. Le Armate Nere ci impediscono di combattere con voi, ci tengono impegnati in una battaglia altrove. Sanno che senza guida siete facili prede. Sulla vostra decisione niente possiamo.” “Laxarus...” “Lui è sulla via della redenzione. Il male è riuscito ad entrare in lui.” “Sta cercando di cambiare.” “Ormai è tardi. Altri piani sono in serbo per lui.” Abbassai il capo, scoraggiata. “Perché io?” “Sei l’ultima custode. Discendi da un’ antica famiglia di prescelti.” “Prescelti per cosa?” “Per custodire il sigillo. Gli altri sono stati deboli, ma la tua casata è sempre stata la più forte.” “Kahara?” “Kahara. Il nome del primo custode. Colui al quale fu consegnato il primo sigillo dopo la Grande Guerra. Fedele condottiero al fianco delle nostre armate. Dopo di lui, ogni discendente ha dovuto portare il peso di questo segreto e assumersi il compito di proteggere il sigillo.” “Perché ora? Perché me lo dite ora?” “Non potevamo costringerti. Se avessi saputo che è stato sempre così, che è nel tuo destino, ti saresti arresa. Ti saresti sentita in obbligo. Solo una tua libera decisione ci può salvare. Al tuo più piccolo dubbio, loro ti avrebbero trovata.” “La Pietra. Come la trovo? Sono umana. Nessun umano può...” “Tu sei la prescelta. Il Bene ti aprirà le porte. Vai. E ricorda: la verità sta nel mezzo.” 98


Tre secondi dopo il bagliore si spense, mi ritrovai catapultata a terra, ma incolume. Altre luci illuminavano la scena davanti a me. Una di quelle mi aprì un varco tra le ombre, così che potessi portare a termine ciò per cui ero stata scelta. Ero ancora confusa, sapevo solo che loro erano in vantaggio. Avrebbero vinto, senza di me. Ero l’unica piccola spina nel fianco del Male. Corsi verso quel varco e mi ci gettai in mezzo, facendomi largo a spintoni, correndo e urtando, graffiando e sanguinando. Alla fine uscii dal muro dei mostri e iniziai a correre più velocemente di prima, fino a farmi mancare il fiato, finché le gambe potevano reggermi. Arrivai davanti alla cascata. Che fare? Lex non mi aveva mai detto come passare oltre la cascata. E se non ci fossi riuscita? Dovevo almeno tentare o Laxarus sarebbe morto. Con il viso del mio angelo irriverente stampato nella testa, presi a raccolta tutto il coraggio che possedevo e mi lanciai con un grido tra le fauci d’acqua.

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Addii

M

i ritrovai in un fascio di luce che si affievolì a poco a poco. Caddi e mi rialzai subito. Ero in una grotta, al buio. Ero passata attraverso la cascata, ma ero asciutta. Attesi qualche secondo che i miei occhi si abituassero all’oscurità e vidi che davanti a me si aprivano tre cunicoli. “La verità sta nel mezzo” mi dissi, e mi incamminai verso il corridoio centrale. Tutto buio. I miei occhi si erano abituati alla mancanza di luce, tuttavia ci vedevo sempre meno. Più mi addentravo nella grotta, più avvertivo un odore intenso. Non era un odore spiacevole e lo seguii perché la vista mi aveva abbandonata. Notai che, dopo l’apparizione di Michael, non avevo più avuto paura. In nessun caso. Non avevo esitato a prendere una decisione. Non avevo perso tempo a sacrificare la mia vita per quelli che amavo. Per Scream, per Laxarus. Brancolando nel buio scorsi una luce bluastra, dapprima fioca, poi sempre più intensa. Proveniva dalla terra, da un cratere al centro della grotta. Mi ci affacciai e la luce mi fece male agli occhi. Non so spiegare come, ma ero sicura, sentivo che dovevo entrare nel cratere. Mi lanciai e mi sentii subito come avvolta dalle fiamme. Tutto intorno a me era caldo, il corpo mi faceva male, stavo bruciando. E così, non ero poi io la prescelta. Non potevo entrare in possesso di quell’oggetto magico. Avevo fallito. Era finita, per tutti. Nella mia testa iniziai a sentire le voci di Laxarus e Scream che gridavano, le urla e il pianto del piccolo Kaja, i guaiti di quei mostri, il pianto di tante persone. Poi parole, frasi dette o sussurrate, frasi che conoscevo, frasi che ricor100


davo si accavallarono nella mia mente. Non le distinguevo, così come non distinguevo i ricordi che ciascuna di esse portava con sé. Iniziai a gridare anch’ io, ma dalla mia bocca non usciva altro che aria. Come in un incubo, non smettevo di cadere. D’un tratto il fuoco divenne gelido. Iniziai a tremare dal freddo mentre il vento mi cullava, frenando la caduta. Le voci nella mia testa si affievolirono e sentii chiaramente la voce di Laxarus che mi chiamava. “Laura, non te ne andrai. Io non lo permetterò mai!” La mia bocca si aprì a gridare il suo nome. Laxarus. Laxarus. Laxarus. Mi sentivo leggera, svuotata di tutto. La luce mi avvolse e mi trascinò a fondo. Non avevo paura. Sapevo per cosa ero stata scelta. Era il mio destino, il mio dovere. Mi ritrovai fuori dalla grotta. Il cielo si era oscurato e davanti a me schiere di ombre e angeli si battevano. Tra quelle c’erano i miei amici. Li trovai cambiati. Forti. Un nuovo coraggio si era impadronito di loro. E non erano soli. Il piccolo Kaja ora brandiva un pugnale e lottava a fianco di un uomo stupendo con addosso un’armatura bianca. Scream teneva in mano un bastone, con sopra una pietra incastonata e ricacciava indietro quei mostri deformi che gli si paravano davanti. Laxarus, bello come il sole, stringeva tra le mani una spada dalla lama bianca. Non ero certa di chi avesse donato loro quelle armi, ma avevo una mezza idea. Mi avvicinai con passo spedito a Scream e Kaja e dissi loro quello che mai avrebbero voluto sentire. Baciai Kaja sulla fronte e strinsi forte Scream, mentre la battaglia infuriava intorno a noi. I Kewitched non osavano avvicinarsi a me. Guardai il mio migliore amico negli occhi e gli dissi: “Ti voglio bene. Te ne ho sempre voluto”. “Lo sapevo che avresti fatto di tutto per me. Perdonami, Briciola!” mi rispose tra le lacrime. Non avevo nulla da perdonargli, ma sapevo cosa intendesse. Pensava di non essere riuscito a mantenere la sua promessa, a proteggermi dal mio destino. Lo lasciai col cuore a pezzi. Sapevo, tuttavia, che il peggio doveva arrivare. Mi avvicinai a Laxarus, intento a schivare gli attacchi delle ombre deformi. 101


Nello stesso momento queste ultime si allontanarono gridando. Lex mi puntò addosso due occhi accusatori. Paura, ansia, dolore, terrore, rabbia, delusione. Tutto in quegli occhi. Scoppiò in lacrime. Non avevo mai visto un uomo tanto magnifico piangere tanto disperatamente. “Lo hai fatto, vero?!” singhiozzò. “Lo hai fatto?!” ripetè amaramente. Gli sorrisi, un sorriso che nascondeva il mio dolore più profondo. Un dolore che spezzava il fiato e non lasciava respirare. “Perché?! Perché?!” continuava a urlare. Lo strinsi a me. Lo sentii sussultare sotto i colpi dei violenti singhiozzi. Avvicinai la mia bocca al suo orecchio e sussurrai: “Non avere paura. Non averne mai. Loro hanno altri progetti per te. Questo è il mio destino, ma sarò sempre con te. Sempre. Ti amo, Laxarus”. “Io non volevo! Non lo sapevo!” gridò con tutto il fiato che aveva in gola. Gli diedi un bacio d’addio, sussultando sotto suoi singhiozzi disperati. Gli accarezzai i capelli neri e lo lasciai in lacrime, mentre mi posizionavo al centro di quel massacro. Mi lasciai andare a un vortice di potenza pura e mi annullai in esso, mentre lampi di luce abbagliante mi uscivano dalla bocca e dagli occhi e dalle mani e annientavano tutto il buio intorno. L’ultima cosa che ricordo fu l’urlo disperato di Laxarus nella mia testa: “Ti amo, Laura!”

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Un nuovo inizio

N

el cortile della scuola ormai non c’era più nessuno. Lex se ne stava sugli spalti del campo da basket, le ginocchia al petto, perso nei suoi pensieri. Il suo silenzio fu rotto da un ragazzo robusto che silenziosamente si sedette accanto a lui. “Ciao. Come va?” “Al solito, Scream. Passato l’esame?” “Si. Liscio come l’olio.” Lex si girò per stringere la mano dell’amico. Silenzio. Il passato era riuscito a legare due persone tanto diverse, a cambiare due destini. “E chi se lo poteva aspettare che dopo tutto questo, alla fine saresti diventato umano. Chissà cosa avrebbe avuto da dire Laura.” Scream pronunciò quel nome con emozione. Era passato più di un anno, ormai, ma per loro era tutto come quel giorno. Quel fatale giorno in cui tutta la loro vita era cambiata. Tutto il loro mondo era crollato. Avevano perso la loro amica e il dolore era ancora vivo dentro di loro. Lex guardò Scream e gli fece un cenno. “A chi va la tua vittoria di oggi?” “Che domande. A lei, naturalmente. Sarebbe stata orgogliosa di me.” “Si, lo sarebbe stata. Alla nostra Pietra di Luce, allora.” Entrambi alzarono gli occhi al cielo, le mani stringevano due pezzi complementari del medaglione dorato. Ma ne mancava uno. Nello stesso momento, in una capanna nella Foresta Amazzonica, Kaja si guardava in giro. Daniel non lo aveva visto entrare nella stanza. Si avvicinò silenziosamente al letto, si chinò a terra a sollevare un’asse del pavimento. La 103


scatola era ancora lì. La aprì lentamente, quasi con sacralità. Un oggetto dorato se ne stava adagiato sul fondo. Kaja prese tra le mani il suo frammento del medaglione, quello che aveva diviso con i suoi amici e compagni d’avventura, lo baciò in ricordo di quella ragazza meravigliosa, di cui ricordava perfettamente l’odore e il suono della voce. E non avrebbe mai potuto scordare il suo nome: Kahara.

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Note biografiche sull’autrice

Giuseppina Ferrara è nata a Napoli, il 15 Ottobre 1990. Nel 2009 si è diplomata al liceo “Giordano Bruno” di Arzano. Studia Scienze Biologiche all’Università degli Studi di Napoli “Parthenope”. Questo è il suo primo libro.

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Indice

Prologo

9

Lo straniero

10

La libreria

11

Esperienza notturna

13

Laxarus

16

Incontro mostruoso

19

Domande

22

Il medaglione

24

La pistola

27

Addestramento

29

Decisioni

33

Contatto

37

Un dolore atroce

39

Inferno e paradiso

42


La missione

45

Partenza

49

Notte magica

52

Chiarimenti

58

Amici e nemici

64

Minaccia tra gli alberi

66

Silenzio

70

Anche i grandi hanno paura

74

Di nuovo insieme

77

Pensieri

82

Insicurezze

85

Nuova speranza

87

Sopravvivenza

90

L’agguato

93

Risposte

97

Addi

100

Un nuovo inizio

103



SCHEDA DI AUTOCERTIFICAZIONE DELL’EDITORE CARATTERISTICHE Titolo: Kahara Autore: Giusy Ferrara Formato: 15 x 21 Pagine: 113 Anno: 2011 ISBN: 978-88-88234-87-8 Prezzo: 10,00 € DIRITTO D’AUTORE Licenza: Creative Commons Percentuale concessa all’autore: 10% PRODUZIONE Tipografia: Borè SRL, Tricase (Lecce) Carta: Avorio, 90 grammi Lavoratori: 7 (Autrice, 2 Editori, 2 Tipografi, Grafico, Ufficio Stampa) Tempi di realizzazione: 7 mesi Costi di realizzazione: € 4,00 a copia Sotfware utilizzati: QuarkXPress, Photoshop, Office Word REPERIBILITÁ Biblioteca: Biblioteca Popolare per Ragazzi di Scampia Rete: www.marottaecafiero.it POST-PRODUZIONE Utile: Gestito in modo responsabile con Banca di Credito Cooperativo


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