Le mosche bianche 3
OsservAzione
La tutela dei diritti dei bambini rom nel sistema italiano di protezione dei minori
Marotta & Cafiero editori
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Ringraziamenti Il presente report è stato realizzato da osservAzione e dall’European Roma Rights Centre. OsservAzione ha elaborato diverse stesure del report e lo ha poi portato a conclusione. L’European Roma Rights Centre ha sviluppato la metodologia di ricerca su cui l’indagine si è basata e ha fornito nel corso della stesura del report commenti e contributi fondamentali. La realizzazione del presente report non sarebbe stata possibile senza la dedizione del gruppo di ricerca e la preziosa collaborazione di molte persone, in primis tutti gli intervistati che ringraziamo in modo particolare. Per il lavoro di ricerca sul campo, Barbara Pierro ed Emma Ferulano dell’associazione ‘Chi rom..e chi no’ hanno condotto le interviste a Napoli e dintorni; Giuseppe Fanizza ha condotto le interviste nella città di Milano mentre le interviste nella regione Lazio sono state condotte dallo staff del ‘Osservatorio sul razzismo e le diversità M.G.Favara’ dell’Università di Roma Tre, composto da Cristina Marotta, Ulderico Daniele e Francesco Pompeo. Le interviste a Bolzano e a Bari sono state condotte, rispettivamente, da Francesca Saudino e Daria Storia. Daria Storia ha anche scritto la relazione interinale e redatto il presente report in collaborazione con Francesca Saudino, entrambe hanno coordinato l’intero progetto di ricerca. Un contributo fondamentale è stato dato altresì dalle round table organizzate a Roma, Napoli, Bolzano e Milano, dai relatori 9
presenti e dalle discussioni scaturite. Le round table sono state realizzate grazie alla collaborazione, di nuovo, dell’Osservatorio sul razzismo e le diversità G. Favara a Roma, dell’associazione Chi rom e… chi no a Napoli, dell’associazione Nevo Drom a Bolzano e l’associazione Upre Roma a Milano. Inoltre, Angela Tullio Cataldo ha redatto la prima traduzione in italiano. Piero Colacicchi ha revisionato la bozza e redatto la traduzione finale in italiano. Luigi Sigona ha curato gli aspetti amministrativi del progetto di ricerca. La presente pubblicazione rientra nel progetto “La tutela dei diritti dei bambini rom nel sistema di protezione dei minori in Bulgaria, Repubblica Ceca, Ungheria, Italia, Romania e Slovacchia”, realizzato in collaborazione con l’European Roma Rights Centre, il Bulgarian Helsinki Committee, osservAzione e il Milan Simecka Foundation. Il progetto è stato finanziato dalla Commissione Europea nell’ambito del programma ‘Diritti Fondamentali e Cittadinanza’. Il contenuto della pubblicazione è di esclusiva responsabilità di osservAzione. La Commissione Europea non ne è in alcun modo responsabile.
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Introduzione In Italia, negli ultimi anni l’interesse politico, sociale e accademico si è concentrato su alcuni aspetti della vita dei rom, quali in particolare la condizione abitativa, l’istruzione, la partecipazione politica e l’accesso al lavoro. Tali questioni sono state all’origine di numerosi dibattiti e in alcuni casi hanno provocato, in risposta alle politiche e alle azioni intraprese dalle autorità nazionali e locali, forti critiche e addirittura denunce da parte della società civile. Tuttavia la condizione dei rom nell’ambito del sistema italiano di tutela dei minori non ha mai ricevuto particolare attenzione né da parte dell’opinione pubblica né da quella delle istituzioni. Benché esista una radicata convinzione che i bambini rom non siano sostenuti, educati e cresciuti in modo adeguato dai propri genitori, la situazione dei minori e quella delle famiglie rom coinvolte nelle procedure di adozione o di affido non sono state toccate dal dibattito attuale. L’obiettivo principale di questa ricerca è stato, quindi, verificare se i minori rom presenti negli istituti di tutela dell’infanzia siano, in proporzione, in numero maggiore rispetto agli altri minori e se il trattamento a loro riservato sia diverso e se, in particolar modo, lo sono i motivi di avvio delle procedure e le modalità d’intervento sociali e giudiziarie. Inoltre, la valutazione delle politiche sociali in senso generale ha voluto verificare fino a che punto le politiche indirizzate ai rom tengano effettivamente in considerazione la situazione di emarginazione socio-econo11
mica in cui vivono molte famiglie rom in Italia e il ruolo, decisivo, che ha quest’emarginazione sulle condizioni di vita dei minori. L’indagine in quest’ ambito specifico è nata in parte dallo studio di altre relazioni che hanno evidenziato quanto siano aggressive le misure intraprese dai pubblici ufficiali italiani nelle procedure di allontanamento dei minori rom dalle proprie famiglie, procedure che sono state spesso avviate in seguito al coinvolgimento di queste ultime in attività di accattonaggio o altrimenti illegali.1 Nelle stesse relazioni si sostiene che anche gli sgomberi dei campi rom condotti dalle autorità italiane senza che venga offerta ai rom una soluzione abitativa alternativa contribuiscano allo smembramento delle famiglie rom. Tali questioni possono essere interpretate come una conseguenza delle discriminazioni e dei pregiudizi di cui i rom sono stati oggetto per lungo tempo. D’altra parte, per quanto riguarda la questione della tutela del minore in generale, il sistema legislativo italiano è fortemente protettivo verso le famiglie e verso i minori, con particolare attenzione nei riguardi del diritto di vivere con la famiglia di origine e l’attiva eliminazione di ogni forma di discriminazione. La legislazione italiana sulla protezione dei diritti del fanciullo è relativamente recente. Il 4/5/1985 è stata infatti approvata la Legge 184, una norma dettagliata sull’affidamento dei minori e sull’adozione, successivamente emendata da diversi provvedimenti legislativi di cui l’ultimo risale al 28/03/2001 con la Legge 149. Storicamente l’adozione era un’istituzione che offriva a persone senza figli l’opportunità di trasmettere il proprio nome e lasciare le proprietà ai posteri. Attualmente, nella legislazione italiana è stato incluso un nucleo di diritti e principi fondamenCarlotta Saletti Salza, ‘Dalla tutela al genocidio? Le adozioni dei minori Rom e Sinti in Italia (1985-2005)’, CISU, Roma, 2010. 1
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tali mirato a garantire la protezione dei bambini; di conseguenza, anche la legislazione inerente l’affidamento e l’adozione è stata profondamente emendata. Il 5 settembre 1991 l’Italia ha ratificato la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia (CRC).2 Il Governo italiano, in base a tale Convenzione, ha l’obbligo di rispettare la responsabilità, i diritti e i doveri dei genitori o, all’occorrenza, dei membri della famiglia allargata o della comunità, a seconda di quanto previsto dalle usanze locali.3 Attualmente, sia a livello centrale che locale, le istituzioni sono responsabili della protezione e del monitoraggio dei diritti del fanciullo e la legislazione nazionale riconosce il principio del migliore interesse del fanciullo, usato dai tribunali italiani come criterio fondamentale per interpretare la legislazione nazionale in materia di minori. In quanto bambini, i minori rom sono ‘esseri umani al di sotto dell’età di diciotto anni’4 pienamente titolari dei diritti previsti dalla Convenzione. Tuttavia, come rilevato da una molteplicità di enti5, i rom costituiscono un gruppo vulnerabile e di conseguenza meritano particolare attenzione. Come affermato da una docente di Diritto Costituzionale, il Diritto Pubblico prevede la possibilità di garantire alle famiglie rom una tutela distinta e più solida.6 L’articolo 31 della Costituzione italiana dichiara infatti che: ‘la Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi, con particolare
Ratificato con Legge 176/1991. Articolo 5, CRC. 4 Articolo 1, CRC. 5 In particolare, le numerose associazioni che difendono i diritti dei rom, degli immigrati, dei bambini, delle donne, operanti sia a livello nazionale che internazionale. 6 Elisabetta Lamarque, ‘La tutela legale della famiglia’ (Atti della Conferenza Internazionale sulla situazione di Rom e Sinti in Italia, 16-18 giugno 2010, Università Bicocca di Milano). 2 3
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riguardo alle famiglie numerose. La Repubblica protegge le madri, l’infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo’.7 Poiché all’interno della comunità rom – spesso caratterizzata da gruppi familiari allargati – madri e minori spesso versano in condizioni sociali ed economiche svantaggiate rispetto a quelle del resto della popolazione italiana, è necessario che lo Stato adotti politiche adeguate che proteggano tali gruppi. Non si tratta di un diverso trattamento legale. Si tratta di applicare quei principi costituzionali che, attraverso azioni concrete, mirano ad offrire pari opportunità ai gruppi svantaggiati. Ciò nonostante, un piano d’azione sistematico che offra misure positive per i rom e i sinti non è stato ancora adottato. Durante la 38esima sessione della Commissione Parlamentare Straordinaria per la Promozione e la Tutela dei Diritti Umani sono stati discussi i risultati di una ricerca8, recentemente pubblicata, sul caso di bambini rom dichiarati adottabili9 con sentenza giudiziaria. In tale sede è stato denunciato che, da molto tempo, famiglie rom e sinte lamentano il fatto che i non-rom gli tolgano i figli e che spesso le sentenze attraverso le quali ciò viene fatto siano discriminatorie. Durante l’ultima Sessione parlamentare un membro della Commissione ha sottolineato che: ‘calcolando circa 3.000 nascite all’anno della popolazione rom e sinti e supponendo che queste ammontino a 100.000 unità (anche se attualmente sono di più), si arriva a circa 60.000 nascite in un pe-
Costituzione Italiana, consultabile su http://www.senato.it/documenti/repository/istituzione/costituzione_inglese.pdf (ultimo accesso: 11/03/2011). 8 Carlotta Saletti Salza, “Dalla tutela al genocidio? Le adozioni dei minori rom e sinti in Italia (1985-2005)”, CISU, Rome, 2010. 9 Senato della Repubblica “Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani, indagine conoscitiva sui livelli e i meccanismi di tutela dei diritti umani, vigenti i Italia e nella realtà internazionale”, 38esima Sessione, 20/04/2010, consultabile in rete all’indirizzo http://www.senato.it/commissioni/161968/166748/282040/sommariostenografici1.htm (ultimo accesso: 12/07/2010). 7
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riodo di venti anni e quindi le 300 adozioni rilevate rappresentano il 5 per cento delle nascite. Si tratta di dati consistenti. Al riguardo reputo interessante capire chi ha adottato questi bambini e qual è la proporzione di famiglie sinte e rom che ha adottato bambini sinti e rom’.10 La presente ricerca intende indagare in quale misura il pregiudizio nei confronti dei rom incide — nell’ambito del sistema di protezione dei minori — sulle decisioni di cui sono oggetto i bambini rom. L’obiettivo principale è esplorare le lacune e i difetti di una struttura che, a partire dai principi generali affermati nella legislazione nazionale, è stata poi ampiamente decentralizzata anche nella realizzazione delle politiche di supporto familiare e di tutela dei minori. La situazione delle famiglie e dei minori rom viene analizzata alla luce dell’emarginazione e dell’esclusione sociale ed economica che colpisce tale gruppo e che possono compromettere il trattamento che ricevono i rom durante le procedure riguardanti la patria potestà, l’affidamento e l’adozione. In secondo luogo, attraverso una mappatura delle sistemazioni e degli status giuridici dei minori rom, la ricerca vuole scoprire se i minori rom, piccoli e meno piccoli, presenti negli istituti di tutela dell’infanzia siano sovrarappresentati rispetto agli altri minori: a tal fine si tenterà di comprendere le ragioni delle loro collocazioni extra-familiari e se abbiano subito un trattamento discriminatorio. Infine, la ricerca si concentra sulle misure e sulle politiche intraprese per garantire il diritto fondamentale dei minori a vivere con la propria famiglia, così come il diritto dei genitori a scegliere il tipo di educazione che preferiscono impartire ai propri figli. Livi Bacci, membro del Senato, Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani, 38esima Sessione, 20/04/2010, Consultabile su http://www.senato.it/commissioni/161968/166748/282040/sommariostenogra fici1.htm (ultimo accesso 10/11/2010). 10
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Il metodo della ricerca Il metodo con cui si è svolta la ricerca è consistito nel condurre un’analisi del quadro legislativo e dei meccanismi delle politiche in vigore in Italia, al fine di paragonare la teoria con l’esperienza pratica. A questo tipo di analisi è seguita una serie di interviste condotte in cinque città italiane. Sono state prese in considerazione diverse regioni con l’obiettivo di evidenziare i differenti problemi e approcci locali. In particolare, le interviste sono state condotte a Bari (Regione Puglia), a Napoli (Regione Campania), a Roma (Regione Lazio), a Bolzano (Regione del Trentino Alto - Adige) e a Milano (Regione Lombardia). Per le interviste sono stati scelti territori la cui consistente percentuale di rom offre una panoramica complessiva della situazione nazionale. Le differenze, talvolta notevoli, tra le diverse città studiate, hanno comportato una varietà di strategie e di metodi usati durante la ricerca. Una completa visione di insieme delle realtà locali ha richiesto una profonda conoscenza delle situazioni particolari delle diverse comunità rom, così come una serie di contatti con le istituzioni, la società civile e le famiglie rom. Di conseguenza, le interviste sono state condotte da un gruppo di lavoro composto o da ricercatori del luogo o da ricercatori con una profonda conoscenza delle particolari situazioni locali. Il metodo utilizzato ha fatto ampiamente affidamento sui contatti personali, network, inchieste, conoscenze informali e simili. La parte più importante del lavoro sul campo è stata quella rap16
presentata dalle interviste, malgrado il fatto che diverse persone siano state reticenti e poco disposte a essere intervistate sul tema dei minori coinvolti in procedimenti di affido ed adozione, probabilmente a causa della delicatezza dell’argomento. In particolare, più volte le famiglie rom hanno preferito non condividere affatto le proprie esperienze in quanto dolorose. D’altro canto, anche alcuni giudici e rappresentanti delle istituzioni locali e nazionali responsabili della protezione dei minori, degli affidamenti e delle adozioni hanno evitato qualsiasi rapporto con i ricercatori una volta venuti a conoscenza dell’obiettivo della ricerca. Alcuni di questi hanno chiesto di poter leggere la ricerca prima di dare l’autorizzazione ad essere citati. I ricercatori hanno cercato di entrare in contatto con membri di istituti familiari, con le famiglie rom che rischiano l’allontanamento dei propri figli e con le famiglie i cui figli sono già stati allontanati, con i bambini rom in istituti di tipo familiare e con i bambini usciti da poco da tali istituti, con operatori sociali, con il personale di scuole, tutori, giudici del Tribunale dei Minori e rappresentanti del sistema di tutela dell’infanzia. In totale sono state condotte 92 interviste. Le prime ad essere interpellate sono state generalmente le organizzazioni no-profit, le quali hanno fornito preziosi informazioni e contatti.11 Entrare in confidenza con famiglie e minori rom disposti a raccontare la propria storia si è rivelato, per molte e diverse ragioni, un compito difficile. Inizialmente i ricercatori si sono rivolti alle istituzioni e alle figure responsabili della tutela dell’infanzia – in particolare alle associazioni che lavorano nei campi, ai servizi sociali locali e ai difensori dei diritti umani che assistono le famiglie rom. Generalmente, questo metodo non è stato efficace poiché ben poche
I ricercatori hanno condotto le interviste in 22 istituti di tipo familiare, presso 11 organizzazioni no-profit, 7 operatori sociali, 2 mediatori culturali, 5 insegnanti, 10 famiglie rom, 6 minori rom, 3 giudici del Tribunale dei Minori. 11
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associazioni hanno accettato di fare da mediatori tra i ricercatori e le famiglie rom. Inoltre, spesso i rom intervistati non avevano voglia di raccontare pubblicamente una storia privata che considerano dolorosa e vergognosa. Di conseguenza, a Roma come in altre città, i ricercatori, per entrare in contatto con le famiglie rom hanno fatto affidamento su contatti informali e personali. Hanno tentato di costruire un clima confidenziale con gli intervistati, a volte ampliando i temi dell’intervista, a volte conducendo l’intervista in presenza della persona che aveva fornito il primo contatto. Tuttavia, alla luce delle delicate situazioni cui sono continuamente esposti – in particolar modo alla minaccia degli sgomberi – alcuni rom non sono stati disposti a contribuire alla ricerca, non percependone l’utilità. Per quanto riguarda le istituzioni, i ricercatori hanno incontrato una diffusa riluttanza a parlare di minori rom. In molti casi il personale dei tribunali dei minori e dei servizi sociali ha evitato di essere contattato o intervistato; alcuni invece hanno offerto volentieri la propria disponibilità e preziosa collaborazione, dimostrando grande interesse per l’argomento della ricerca.
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Riepilogo del progetto Come è emerso dalla ricerca sul campo, il fenomeno dei minori rom nel sistema di assistenza statale è poco conosciuto sia dalle istituzioni che dai gruppi e dalle associazioni indipendenti; i dati ufficiali – ed anche non ufficiali –sono infatti lacunosi ed il numero di minori rom dichiarati adottabili o inseriti nei servizi di assistenza è completamente sconosciuto. La percezione espressa da un alto numero di intervistati è che il numero di minori rom nel sistema di assistenza statale sia in percentuale maggiore rispetto a quello di altri minori. La ricerca sul campo condotta nel corso del presente studio, seppur non rappresentativa, rivela che i bambini rom effettivamente lo sono: essi costituiscono il 10,4% di tutti i bambini residenti nelle case famiglia visitate nel corso della ricerca, laddove i rom e i sinti rappresentano solo lo 0,23% della popolazione totale italiana. Il lavoro sul campo ha indicato come i rom vengono spesso stigmatizzati, in quanto considerati incapaci di crescere i propri figli, anche a causa delle condizioni di vita in cui versano. Una delle conseguenze è la convinzione che i bambini rom in affidamento debbano essere educati, così da riempire le lacune lasciate dalla famiglia di origine, senza però che venga tenuta in considerazione la cultura e i costumi di appartenenza. Raramente vengono intraprese azioni mirate ad incoraggiare il reinserimento del bambino nella famiglia e solitamente non sono parte di un piano d’azione generale, ma piuttosto il frutto dell’iniziativa di associazioni no-profit o del personale dei centri familiari. 19
In ambito legislativo, la Legge 184/8312(‘Legge sull’adozione e sull’affidamento’) modificata dalla Legge 149/0113, la Legge 328/0014( ‘Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali’) e la Legge Costituzionale 3/0115 (‘Legge di modifica del Titolo V della Costituzione’) costituiscono un quadro di riferimento. In coerenza con gli standard internazionali, nello specifico la Convenzione sui Diritti dell’Infanzia, il sistema legislativo è, a livello formale, fortemente protettivo dei diritti dei minori, in particolare del diritto di vivere all’interno di una famiglia, considerata il nucleo fondamentale della società e l’ambiente naturale in grado di garantire la crescita del minore.16 Attualmente però non esiste in Italia una politica nazionale sulla tutela dell’infanzia ed il governo italiano non è riuscito ad adottare una politica unitaria che promuova l’inclusione sociale dei rom. In Italia non è prevista la sistemazione di minori negli istituti statali né a carattere permanente né di lungo periodo. La sistemazione in tali istituti può essere solo di natura temporanea. Soluzioni permanenti o di lungo periodo sono rappresentate solo dalla pratica dell’adozione. Dalle amministrazioni locali ai dipartimenti istituiti all’interno di diversi ministeri, dai servizi sociali alle autorità pubbliche, esistono numerosi attori dotati di competenze, a volte anche coin-
12 Consultabile in rete all’indirizzo: http://www.dirittoefamiglia.it/docs/Giuridici/leggi/1983_184.htm (ultimo accesso: 11/03/2011). 13 Consultabile su: http://www.camera.it/parlam/leggi/01149l.htm (ultimo accesso: 11/03/2011). Si tratta della Legge che ha modificato la normativa sull’adozione e l’affidamento. 14 Consultabile su: http://www.parlamento.it/parlam/leggi/00328l.htm (ultimo accesso: 11/03/2011). 15 Consultabile su: http://www.parlamento.it/parlam/leggi/01003lc.htm (ultimo accesso: 11/03/2011). 16 Disponibile su: http://www2.ohchr.org/english/law/crc.htm (ultimo accesso: 11/03/2011).
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cidenti e sovrapposte, relative alla tutela dell’infanzia. La mancanza di una direzione unitaria impedisce la coordinazione delle politiche, l’elaborazione di informazioni e l’implementazione di interventi in grado di prevenire situazioni pregiudizievoli per i minori. Tale situazione interessa in modo particolare i rom. In Italia, un numero consistente di rom vive in campi, solitamente distanti dalla società maggioritaria, creati a partire dalla metà degli anni ’80 e causa di una grave marginalizzazione. Quest’ultima è stata esacerbata da politiche locali e dalla dichiarazione dello stato di emergenza relativo ai ‘campi nomadi’17 nel maggio 2008, avendo determinato un numero maggiore di sgomberi forzati e quindi aumento del numero dei rom senza tetto. Tale condizione di marginalizzazione e segregazione, spaziale e sociale, limita la possibilità di costruire relazioni così come di adottare strategie economiche adeguate e, per quanto riguarda lo status legale dei rom, crea ulteriori difficoltà poiché a molti di essi mancano documenti regolari nonostante si trovino da molti anni in Italia o siano cittadini di altri paesi dell’Unione Europea. Una delle conseguenze più evidenti di questa situazione è che sia lo Stato sia le amministrazioni locali offrono alle famiglie in difficoltà sempre meno aiuti, che potrebbero invece essere funzionali alla rimozione di quegli ostacoli socio-economici che minano la crescita equilibrata del minore. Le azioni e le politiche statali non contrastano la situazione di rischio e pericolo in cui versano i minori in questione. Al contrario sono frammentarie e vengono sporadicamente intraprese in alcune situazioni giudicate dannose per i minori, in assenza di una struttura di riferimento di aiuto alle famiglie. La mancanza di
Dichiarazione dello Stato di Emergenza relativo alla presenza di campi nomadi. Le informazioni sono reperibili in rete al seguente indirizzo internet: http://www.errc.org/cms/upload/media/04/29/m00000429.pdf. Lo stato di emergenza è stato esteso fino alle fine del 2011 e comprende le Regioni della Campania, del Lazio, della Lombardia, del Piemonte e del Veneto. 17
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politiche capaci di analizzare i problemi delle comunità rom e di elaborare soluzioni sostenibili, insieme alla logica emergenziale, ha creato un sistema nel quale situazioni pregiudizievoli per i minori rom non vengono a conoscenza dei servizi competenti, mentre l’intervento giudiziario spesso si sostituisce a quello sociale. Nonostante alcuni intervistati riferiscano che l’accattonaggio, l’abbandono scolastico e le sempre più povere condizioni di vita non costituiscono le ragioni della dichiarazione di adottabilità di un minore rom, mentre lo sono i gravi casi di abbandono o di abusi, quali violenza fisica, pedofilia, prostituzione, tratta. Tuttavia, la ricerca sul campo ha messo in evidenza che le situazione sopramenzionate causano spesso l’intervento delle autorità pubbliche. In alcuni casi, le famiglie rom hanno una scarsa comprensione dei meccanismi di assistenza extra-familiare e di adottabilità per mancanza di comunicazione – e di fiducia – nelle istituzioni, prime fra tutte i tribunali e i servizi sociali. Di conseguenza, non è raro che i bambini rom vengano presi in affidamento dallo Stato, anche qualora un tipo di intervento diverso sarebbe stato sufficiente a risolvere situazioni di temporanea difficoltà familiare. La ricerca ha individuato un numero limitato di esempi in cui alle famiglie è stato offerto un reale supporto, mostrando così come un diverso approccio produca risultati migliori, soprattutto per quanto concerne la tutela dell’infanzia. In particolare, la cooperazione ed il dialogo con la famiglia si sono rivelati strumenti efficaci nell’affrontare situazioni di disagio e di pericolo per il minore. Il contatto diretto con assistenti sociali e operatori che coinvolgono le famiglie ed i minori rom in programmi volti a promuovere l’accesso al lavoro e la scolarizzazione si è dimostrato più efficace dell’allontanamento del minore dalla famiglia, situazione in cui quest’ultima è lasciata a superare le sue difficoltà senza alcun tipo di assistenza. 22
Le condizioni socio-economiche dei rom in Italia Negli ultimi anni, organizzazioni internazionali ed italiane hanno denunciato come i rom soffrano in Italia forme di esclusione e di segregazione in quasi tutti gli ambiti dell’esistenza, comprese le condizioni abitative, l’istruzione, la salute, la situazione occupazionale, la possibilità di ottenere protezione legale e status giuridico.18 Difatti, in Italia è diffusa l’errata percezione che i rom e i sinti siano popolazioni nomadi le cui culture seguano uno stile di vita errante. Tuttavia, nonostante siano ufficialmente etichettati come ‘nomadi’, i rom che vivono in Italia non lo sono, tant’è che una parte consistente di questi si è stabilita in modo stanziale in diverse città italiane.
Tra gli altri, cfr. ERRC (http://www.errc.org ), COHRE (http://www.cohre.org), OSCE (http://www.osce.org ), OsservAzione (http://www.osservazione.org ), Federazione Rom e Sinti Insieme. (http://comitatoromsinti.blogspot.com ); Cfr. anche la pubblicazione del progetto “The Forgotten”, promosso dalla sezione italiana e rumena dello SCI (Servizio Civile Internazionale), dal Centro Europeo Studi sulla Discriminazione (CESD), dall’associazione Arcilesbica Lady Oscar, e finanziato dalla Commissione Europea all’interno del Citizenship Programme, consultabile su http://www.theforgotten.eu (ultimo accesso: 23/06/2010). Cfr. il report dell’OSCE, Office Democratic Institutions and Human Rights-High Commissioner on National Minorities, Assessment of the human rights situation of Roma and Sinti in Italy. Report of a fact-finding mission to Milan, Naples and Rome on 2026 July 2008, (Warsaw, The Hague, marzo 2009) disponibile online sul sito http://www.osce.org/documents/odihr/2009/03/36620_en.pdf (ultimo accesso: 01/06/2010). 18
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Nel secondo e nel terzo report sull’Italia19, la Commissione Europea contro il Razzismo e l’Intolleranza (ECRI) ha denunciato che circa un terzo della popolazione totale rom in Italia – inclusi i cittadini italiani (prevalentemente sinti) e stranieri – vive in campi autorizzati o abusivi, generalmente collocati lontani dai centri cittadini, vicini a ferrovie, ad aree industriali o a discariche, in condizioni di marginalizzazione e di effettiva segregazione dal resto della società. L’accesso ai servizi scolastici è limitato notevolmente dalla collocazione dei campi, sia abusivi che autorizzati, in aree isolate e distanti dai centri urbani. Il mondo del volontariato ha assunto dunque un ruolo guida nel tentativo di colmare le lacune scolastiche dei bambini abitanti nei campi.20 Nel caso in cui le autorità forniscano gli insediamenti di alcuni servizi, quali l’acqua, vecchie roulotte o baracche, allora il campo diviene semiautorizzato. La situazione è recentemente peggiorata in quelle regioni italiane in cui è stato recentemente dichiarato lo Stato di Emergenza.21 Avvalendosi dei poteri speciali previsti per lo stato di emergenza, le autorità locali conducono continuamente sgomberi forzati, spesso accompagnati dalla distruzione delle baracche e dall’espulsione delle persone irregolari. Agli abitanti allontanati dai campi non viene generalmente offerta alcuna soluzione abita-
ECRI, Second Report on Italy, Commissione Europea contro il Razzismo e l’Intolleranza, Consiglio d’Europa, 23/04/2002 ; CRI (2006) 19: Third Report on Italy, ECRI, Consiglio d’Europa, 16/05/2006. 20 European Union Agency of Fundamental Rights, Incident Report – Violent Attacks Against Roma in the Ponticelli district of Naples, Italy, 2008, disponibile on line al seguente indirizzo web http://fra.europa.eu/fraWebsite/research/publications/publications_per_year/2008/incident_report_en.htm (ultimo accesso: 03/06/2010). 21 Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3676 , 30/052008. Consultabile su: http://www.interno.it/mininterno/export/sites/default/it/sezioni/servizi/legislazione/protezione_civile/0987_2008_06_03_OPCM_30_05_ 08.html (ultimo accesso: 10/11/2010). 19
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tiva. L’Italia è stata recentemente giudicata colpevole della violazione del divieto di discriminazione e delle violazioni al diritto dei rom ad un alloggio adeguato, alla protezione sociale, legale ed economica, alla protezione dalla povertà e dall’esclusione sociale, alla tutela e all’assistenza.22 Tra i rom, i primi a soffrire la segregazione, le discriminazioni e le limitazioni dei servizi di base cui hanno accesso sono i minori. Secondo l’Osservatorio Nazionale dell’infanzia e dell’adolescenza, i diritti fondamentali dei minori rom e sinti sono spesso violati per colpa delle condizioni di vita nei campi, dove a causa del freddo, della malnutrizione e delle pessime condizioni igieniche la mortalità infantile è alta e le malattie sono molto diffuse.23 Diverse ONG24 hanno denunciato casi di discriminazioni, in particolare in relazione al diritto all’alloggio e agli sgomberi, alle deportazioni e ai tentativi del governo di allontanare i bambini rom dai propri genitori al fine di proteggerli.25 Per quanto concerne l’istruzione, un numero notevole di quei bambini rom che abitano nei campi non è iscritto a scuola, men-
Per ulteriori informazioni cfr. il caso COHRE v. Italy, Comitato Europeo dei Diritti Sociali, Reclamo n. 58/2009, consultabile online all’indirizzo web http://www.coe.int/t/dghl/monitoring/socialcharter/Complaints/Complaints_en. asp (ultimo accesso: 10/11/2010). 23 Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento per le politiche della famiglia, Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, Osservatorio nazionale per l’infanzia e l’adolescenza, Centro nazionale di documentazione e analisi per l’infanzia e l’adolescenza, “Relazione sulla condizione dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia 2008-2009. Temi e prospettive dei lavori dell’Osservatorio Nazionale per l’Infanzia e l’Adolescenza”, Firenze, Istituto degli Innocenti, 11/2009. Consultabile su: http://www.minori.it/files/Relazione_biennale_Italia_anno2009.pdf (ultimo accesso 10/11/2010). 24 Ad esempio, la Federazione Rom e Sinti e la Federazione Romanì. 25 Cfr. con il seguente indirizzo web http://www.naga.it/index.php/notizienaga/items/rom-e-sinti-perseguitati-a-milano.html (ultimo accesso 24/03/2011), http://www.corriereromano.it/roma-notizie/9815/mercoled-lutto-cittadino-eveglia-per-i-quattro-bimbi-rom.html. 22
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tre tra gli iscritti si registra un tasso di abbandono scolastico abbastanza elevato e un rendimento scolastico generalmente scarso: solamente pochi infatti proseguono gli studi dopo le elementari.26 Una delle principali cause della discriminazione di cui i minori rom soffrono nell’ambito dell’istruzione risiede nelle condizioni di grave esclusione socio-economica in cui versano le loro famiglie. Tuttavia, l’entità quantitativa del fenomeno è, in realtà, a malapena conosciuta: infatti, poiché non sono mai stati raccolti dati statistici al riguardo, il numero esatto di bambini rom scolarizzati è sconosciuto.27 Secondo le ricerche condotte da associazioni come Opera Nomadi e Comunità di Sant’Egidio, i rom in età scolare sarebbero in Italia più di 36.000, sebbene solo un terzo di questi (12.342) sarebbe iscritto a scuola. Essi sarebbero così distribuiti: 2016 iscritti alla scuola materna, 6801 alle scuole elementari, 3299 alle scuole medie e 181 alle scuole superiori.28 La situazione emersa dalla ricerca sul campo condotta nelle cinque città italiane è la seguente: secondo statistiche recenti, seppur ampiamente dibattute, rese pubbliche dalle amministrazioni locali, Roma rappresenta la città col maggior numero di insediamenti rom della Regione Lazio, con 7.177 persone distribuite sul
26 Elena Rozzi, “Discriminazioni dei minori rom e sinti rispetto al diritto istruzione: uno sguardo socio-giuridico” (Università Bicocca di Milano, Conferenza Internazionale sulla situazione dei Rom e Sinti in Italia, 16-18 giugno 2010). Consultabile online al seguente indirizzo web: http://web.me.com/tommaso.vitale/Politiche_per_i_rom_e_i_sinti/Local_Policies_for_Roma_and_Sinti_in_Eur ope/Entries/2010/5/22_Papers_for_the_conference_on_the_legal_condition_ of_Roma_files/Rozzi.pdf (ultimo accesso: 10/11/2010). 27 Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, “Rapporto nazionale 2008 sullo sviluppo dell’educazione”, CIE-UNESCO, Ginevra, 25-28 Novembre 2008, 16. Consultabile online al seguente indirizzo web: http://www.ibe.unesco.org/National_Reports/ICE_2008/italy_NR08_it.pdf (ultimo accesso: 10/11/2010). 28 Ibid.
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territorio in più di 100 insediamenti29 e di conseguenza conta una forte presenza di minori rom, una realtà che ha giustificato il finanziamento negli ultimi 20 anni di numerosi progetti didattici indirizzati ai rom. Iniziative quali l’accompagnamento scolastico e il sostegno didattico si sono però rivelate insufficienti a raggiungere miglioramenti consistenti: negli ultimi anni, infatti, il tasso di iscrizione scolastica ha registrato buoni risultati in termini quantitativi, ma solo per quanto riguarda la scuola materna e la scuola elementare, mentre per quanto riguarda la scuola media e la scuola superiore il tasso di iscrizione di minori rom resta ancora molto basso.30 Per quanto riguarda Milano e dintorni, soprattutto negli ultimi due anni, la situazione dei rom è stata resa ancor più difficile dall’attuazione della politica degli sgomberi: secondo fonti ufficiali31, nel 2009 sono stati realizzati più di 170 sgomberi, mentre dall’inizio del 2010 sono stati sgomberati più di 100 campi abusivi.32 Ci sono famiglie che nell’arco di un anno sono state sgomberate dalle 10 alle 15 volte, senza che fosse stata offerto loro alcun tipo di alloggio alternativo.33 Associazione 21 Luglio, Esclusi e ammassati. Rapporto di ricerca sulla condizione dei minori rom nel villaggio attrezzato di via di Salone a Roma, Roma, Novembre 2010. 30 Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, “Gli alunni stranieri nel sistema scolastico italiano. A.S. 2008/2009”, dicembre 2009. Consultabile online al seguente indirizzo web: http://archivio.pubblica.istruzione.it/dg_studieprogrammazione/allegati/notiziario_stranieri_0809.pdf (ultimo accesso effettuato: 11/03/2011). 31 Vedi online il seguente indirizzo web http://www.riccardodecorato.it/comunicati/00_moratti/Sicurezza/Nomadi/nomadi.htm (ultimo accesso effettuato: 24/06/2010). 32 Per informazioni più aggiornate circa gli sgomberi a Milano vefi online il seguente link: http://www.naga.it/ (ultimo accesso 19/09/2010). 33 Intervista con Elisabetta Cimoli e Stefano Pasta, Comunità di Sant’Egidio, Milano, 29/09/2010. 29
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Nonostante il Governo italiano abbia ratificato diversi strumenti giuridici internazionali34, secondo le informazioni fornite dalle organizzazioni no-profit, dal 2007 le operazioni di sgombero hanno contemplato alloggi alternativi solo nel caso di madri con figli di età inferiore ai sette anni e sono state spesso effettuate durante la stagione invernale, senza previa notifica di alcun atto amministrativo35, mentre nel caso dei campi più grandi lo sgombero è preceduto, qualche giorno prima, da una comunicazione orale. A Milano e dintorni i rom che vivono all’interno dei campi sono indicati come i “nomadi” e sono trattati come stranieri senza che venga fatta alcuna distinzione fra rom e sinti italiani, rom rumeni e rom provvisti di permesso soggiorno e cioè, in particolare, provenienti dall’Ex Jugoslavia.36 A Napoli, gli insediamenti più antichi sono quelli abitati dai rom provenienti dall’Ex Jugoslavia, attualmente alle seconde e anche terze generazioni, mentre gli insediamenti più recenti sono abitati dai rom rumeni, arrivati nella città partenopea a cominciare dal 2003.37 I campi, sia abusivi che autorizzati e tutti di livello inferiore agli standard minimi, sono la soluzione abitativa più diffusa; fanno eccezione i pochi casi di rom che abitano in case private o i rom rumeni sistemati nell’edificio dell’ex scuola ‘Deledda’. Anche nella provincia di Bari la maggioranza dei rom vive in squallidi campi.38
In particolare, la Convenzione Europea sui diritti umani, la Carta dei diritti sociali e la Convenzione Internazionale sui diritti economici, sociali e culturali. 35 Intervista con Elisa Morellini, responsabile della sezione legale, Associazione “NAGA”, Milano, 18/10/2010. 36 Intervista con Dijana Pavlovic, “Federazione Rom e Sinti Insieme”, Milano, 27/09/2010. 37 Intervista con Marco Marino, membro NGO “Chi Rom… e chi no”, Napoli, 23/09/2010. 38 Andrea Mori, Arrivederci Roma!, Impatto Locale, Bari, ottobre 2010. 34
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La collocazione dei campi, lontani e segregati dal resto della popolazione, rende le famiglie rom dipendenti dall’assistenza anche soltanto per mandare i propri figli a scuola.39 Tali condizioni non aiutano a superare la situazione di marginalità sociale che anzi colpisce prevalentemente i minori. I giovani rom vengono visti come diversi dagli altri in quanto vivono in ambienti diversi, vanno a scuola con autobusi speciali e spesso soffrono di condizioni igieniche pessime; in alcuni casi, prima di entrare in classe, devono usufruire di uno speciale servizio docce. Le famiglie rom non sono sostenute da azioni pubbliche per superare le loro condizioni di povertà e spesso considerano gli operatori sociali dei nemici. In Alto Adige la situazione è abbastanza diversa: viene correntemente fatta una distinzione tra i rom e i sinti, vissuti per secoli in Italia e a tutti gli effetti cittadini italiani, diversamente dai primi, immigrati dall’ex Jugoslavia in seguito allo scoppio della guerra. La maggioranza dei rom a Bolzano è regolarmente residente in Italia. Molti di loro sono in possesso della carta di soggiorno e in alcuni casi hanno ottenuto la cittadinanza italiana. La maggior parte dei rom e dei sinti vive in case private o popolari. La loro condizione è caratterizzata da un migliore rapporto con la società maggioritaria.40
Intervista con Marco Marino, NGO “Chi Rom..e chi no”, Napoli, 23/09/2010. Intervista a Nigritella Pilat, educatrice ASSB, Bolzano, 23/07/2010.
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Il quadro legislativo, amministrativo e politico italiano La Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti dell’Infanzia è stata ratificata dall’Italia il 5 settembre 1991 (CRC).41 In base a tale Convenzione, il governo italiano ha l’obbligo di proteggere e rispettare le responsabilità, i diritti e i doveri dei genitori o, all’occorrenza, dei membri della famiglia allargata o della comunità a seconda di quanto previsto dalle usanze locali.42 Attualmente, sia a livello centrale che locale esistono istituzioni responsabili della protezione e del monitoraggio dei diritti del fanciullo mentre la legislazione nazionale riconosce il principio del migliore interesse del minore, usato dai tribunali italiani come criterio fondamentale per interpretare la legislazione nazionale in materia. In seguito al primo monitoraggio riguardante l’applicazione della Convenzione da parte dell’Italia, il Comitato sui Diritti dell’Infanzia ha dichiarato: ‘Il Comitato accoglie favorevolmente le misure legislative ed amministrative intraprese dal governo italiano per promuovere e tutelare i diritti dell’infanzia in seguito all’entrata in vigore della Convenzione del 1991. Apprezza che in Italia la Convenzione sia self-executing e che, in quanto tale, possa essere, e di fatto è stata, applicata direttamente dai tribunali italiani, e che l’Italia applichi, in caso di contrasti fra le leggi, il principio della Ratificato dalla Legge 176/1991. Articolo 5, CRC.
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supremazia degli standard internazionali dei diritti umani sulla legislazione nazionale’.43 In Italia, una regolamentazione esaustiva degli istituti dell’adozione e dell’assistenza al di fuori della famiglia è stata introdotta dalla Legge sull’Adozione e l’Affido44 che, in seguito a profonde modifiche apportate dalla Legge 149 del 01/03/200145, porta il titolo ‘Il Diritto del Minore a una Famiglia’. Come è chiaramente indicato dal nuovo titolo, il principio generale e fondamentale della legislazione è quello di tutelare il diritto del bambino di crescere ed essere educato all’interno di una famiglia. Poiché la famiglia biologica è considerata l’ambiente più adatto alla crescita46; l’allontanamento del minore dalla propria famiglia è considerato un provvedimento estremo che viene preso dall’ autorità giudiziaria solo in situazioni di reale pericolo per il minore. La Costituzione italiana47 contiene alcuni principi fondamentali riguardo alla tutela dell’infanzia e della famiglia e in particolare negli artt. 248, 349 e 3050 e 3151 dove è stabilito una specie di statuto dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza.52 Attraverso l’interpretazione congiunta degli artt. 2 e 30 della Costituzione, la
Comitato sui diritti dell’infanzia, 10° sessione, Osservazioni Conclusive del Comitato sui diritti di infanzia: Italia, CRC/C/15/Add.41, 27/11/1995. 44 Legge 184 del 4/05/1983, disponibile su http://www.governo.it/GovernoInforma/Dossier/adozioni/Legge_184.pdf (ultimo accesso: 22/01/2011). 45 Disponibile online su http://www.governo.it/GovernoInforma/Dossier/adozioni/Legge_184.pdf (ultimo accesso: 22/01/2011). 46 Alfredo Carlo Moro, Manuale di diritto minorile (Zanichelli, Bologna, 2008), p.149. 47 Italia, Costituzione della Repubblica Italiana, consultabile online su http://www.senato.it/documenti/repository/istituzione/costituzione_inglese.pdf. 48 L’articolo 2 della Costituzione Italiana afferma che ‘La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale’. 43
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Corte Costituzionale ha più volte sottolineato l’importanza di sostenere la formazione e la crescita degli esseri umani all’interno di quel gruppo sociale fondamentale e naturale, identificato con la famiglia biologica; solo nel caso in cui la famiglia biologica sia incapace di fornire cure adeguate, lo Stato si assume la responsabilità di assicurare le opportune cure alternative.53 Inoltre, per quanto riguarda il diritto internazionale, l’art.10 della Costituzione afferma che ‘l’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute’, inclusi i principi enunciati dalla CRC. Ciò significa che la legislazione italiana deve essere conforme al diritto internazionale e, qualora non lo sia, l’autorità giudiziaria è chiamata a interpretarla secondo i principi sanciti dal diritto internazionale così come il Parlamento è chiamato a modificare la legislazione nazionale affinché sia conforme a questo. Attualmente, bisogna che vengano assicurati i diritti di
L’articolo 3 della Costituzione Italiana afferma che ‘Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali di fronte alla legge , senza distinzione di sesso, razza, lingua, religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali. E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese’. 50 L’articolo 30 della Costituzione italiana stabilisce che ‘È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio. Nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti. 51 Il Governo italiano si impegna qui ad agevolare ‘con misure economiche ed altre provvidenze, la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi, con particolar riguardo alle famiglie numerose’. 52 Cosimo Di Bari, I minori in stato di abbandono. Aspetti giuridici e sociologici, disponibile su www.altrodiritto.unifi.it (ultimo accesso: 04/05/2010). 53 Corte Costituzionale, Sentenza n. 11 del 11/02/1981, disponibile su: http://www.cortecostituzionale.it/giurisprudenza/pronunce/schedaDec.asp?Comando=RIC&bVar =true&TrmD=&TrmDF=&TrmDD=&TrmM=&iPagEl=1&iPag=1 (ultimo accesso: 8/11/2010). 49
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tutti i minori senza discriminazioni relative a status familiari, nazionalità o appartenenza ad un particolare gruppo.54 L’art.1 della legge 184/1983 stabilisce che ‘Il minore ha diritto di crescere ed essere educato nell’ambito della propria famiglia’. La condizione di povertà dei genitori – o del genitore che esercita la potestà genitoriale – non può costituire un ostacolo all’esercizio del diritto del minore di vivere con la propria famiglia. Come principio generale, la povertà materiale o economica non dovrebbe mai costituire l’unica giustificazione dell’allontanamento del minore dai genitori, ma dovrebbe al contrario essere vista come il segnale del bisogno della famiglia di un sostegno adeguato.55 L’allontanamento del minore dalla famiglia è ammissibile solo nel caso in cui le carenze di questa mettano a rischio lo sviluppo del minore. Di conseguenza lo Stato, le Regioni e le autorità locali – ciascuna nella misura delle risorse e delle competenze di cui dispone – sono chiamate a perseguire e realizzare politiche che forniscano sostegno economico alle famiglie, aiutandole ad adempiere alle proprie responsabilità verso dei figli; tali provvedimenti prevengono l’abbandono dei figli, assicurano il diritto del bambino ad essere educato dalla propria famiglia e promuovono informazione e consapevolezza, sensibilizzando l’opinione pubblica su istanze quali l’affido, l’adozione e le attività intraprese dalle comunità di tipo familiare.56 La Legge Quadro del 2000 per la realizzazione del Sistema Integrato di Interventi e Servizi Sociali (Legge Quadro 328/2000)57 e la Legge del 2001 di modifica della disciplina dell’adozione e sull’affidamento dei minori58 hanno introdotto cambiamenti sostanziali nel sistema dei servizi sociali.
Vedi Articolo 1, Paragrafo 5, Legge 184/83 modificata dalla Legge 149/2001. Vedi Articolo 1, Paragrafo 2, Legge 184/83 modificata dalla Legge 149/2001. 56 Vedi Articolo 1, Paragrafo 3, Legge 184/83. 57 Legge 328/2000. 58 Legge n. 149, datata 28/03/2001: ‘Emendamento della Legge 184/83, in relazione alle regole di adozione e di affido dei minori’. 54 55
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D’altra parte, secondo l’art.117 della Costituzione italiana59, i servizi sociali e il welfare rientrano nella competenza legislativa delle Regioni determinando una situazione in cui le 27 Regioni e 2 Province Autonome hanno in vigore leggi e disposizioni diverse l’una dall’altra. Alcuni autori sostengono che la Legge 328/2000 abbia perso la sua iniziale funzione di stabilire principi fondamentali in seguito alle modifiche costituzionali (devolution) del 2001; tuttavia, la maggior parte delle Regioni italiane ha riprodotto nelle leggi regionali, direttamente o indirettamente, i contenuti della Legge sopramenzionata. Il risultato è stato una convergenza tra le direttive nazionali e quelle regionali verso obiettivi comuni, ovviamente con le differenze connesse al territorio.60
La Legge di modifica della disciplina sull’adozione e sull’affidamento dei minori indica in modo dettagliato le funzioni e i compiti che le Regioni e le autorità locali sono chiamate a svolgere, in particolare61:
- adottare misure adeguate a prevenire l’abbandono familiare, ad esempio assistendo le famiglie a rischio; - sostenere gli istituti di affidamento e di adozione, così come le comunità di tipo familiare62, ad esempio stipulando convenzioni con organizzazioni no-profit;
Come modificata dalla Legge 3/2001. Bellotti Valerio, eds, Accogliere i bambini, biografie, storie, famiglie. Le politiche di cura, protezione e tutela in Italia (Istituto Innocenti, Firenze, 2009). 61 Articolo 1, paragrafo 3, Legge 149/2001. 62 Una comunità è definita come un luogo (generalmente una casa o un appartamento) in cui un gruppo di adolescenti e bambini, generalmente non più di sette o otto, vive con degli adulti, in media quattro o cinque. Vedi: Documento 09/093/CR/C8, Roma 29/10/2009, intitolato ‘Nomenclatore interregionale degli interventi e servizi sociali’. 59
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- formare assistenti sociali sui temi dell’adozione e dell’affidamento. - definire gli standard minimi per i servizi e per le forme di assistenza da fornire alle comunità di tipo familiare come ad altri tipi di istituti, e verificare periodicamente che tali standard siano rispettati; - controllare che le leggi relative siano rispettate da parte degli amministratori di tali servizi; - assicurarsi che le famiglie disposte all’adozione e alla tutela rispondano ai requisiti necessari.
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Il sistema nazionale di protezione dell’infanzia I - Il quadro legale L’adozione di provvedimenti di affidamento63 è necessaria quando i minori si trovano, temporaneamente o permanentemente, in un ambiente familiare inadeguato nonostante i tentativi, antecedenti all’allontanamento del minore, di fornire servizi e sostegno alla famiglia.64 La legislazione italiana manca però di una definizione di ‘pregiudizio del minore’ o di ‘mancanza di un ambiente familiare idoneo’: la valutazione di tale viene fatta dai servizi sociali e dai magistrati, i quali, osservando lo stile di vita del minore e il suo comportamento nell’ambiente quotidiano, devono giudicare una situazione talmente difficile da giustificare la collocazione del minore lontano dalla famiglia.65 La condotta dei genitori viene tenuta in considerazione al momento di valutare se la situazione di allontanamento debba es-
La Risoluzione dell’Assemblea Generale dell’ONU A/RES/64/142 adottata nel febbraio 2010, l’affidamento è definito come ‘tutta l’assistenza fornita in un ambiente familiare, per ordine di un corpo amministrativo competente o dell’autorità giudiziaria, e tutta l’assistenza fornita in un ambiente residenziale, compresi i servizi domestici, sia in quanto risultato di misure amministrative o giudiziarie che non’. 64 Articolo 1,Paragrafo 3, Legge 184/83. 65 Francesco Milanese, “L’affidamento familiare”, disponibile su http://www.parlamento.it/documenti/repository/commissioni/bicamerali/infanzia/contributo %20Milanese.pdf. 63
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sere temporanea o se la potestà genitoriale debba essere revocata in modo permanente attraverso la dichiarazione di adottabilità.66 Il tribunale considera sia la situazione del minore (età, maturità, possibilità di aspettare che i genitori siano in grado di prendersene cura, etc.) che la possibilità effettiva dei genitori di occuparsi del minore. In una recente sentenza67, la Corte d’Appello di Salerno ha sottolineato l’importanza del diritto del minore a vivere con la famiglia di origine, considerata l’ambiente naturale per la crescita. Dunque, in situazioni di difficoltà o marginalizzazione, la priorità dovrebbe essere costituita da azioni e programmi volti a recuperare la famiglia; i servizi sociali non dovrebbero registrare passivamente le carenze di una situazione già esistente, ma dovrebbero aiutare la famiglia a costruire relazioni adeguate e funzionali al benessere del minore. Secondo la Corte di Salerno, giudicare che una situazione è di abbandono, requisito essenziale per la dichiarazione di adottabilità, dovrebbe essere il risultato di uno studio rigoroso che non può essere limitato alla constatazione dell’inadeguatezza dei genitori, a meno che non si provi che tale inadeguatezza abbia causato, o possa causare, gravi ed irreversibili danni ad una crescita equilibrata. La situazione di abbandono del bambino implica non solo il mancato adempimento dei doveri genitoriali, ma anche una situazione che ne pregiudica oggettivamente la crescita, sempre tenendo in debita considerazione, quando ciò sia possibile, anche l’opinione del minore.
L’articolo 330 del Codice Civile afferma che ‘Il giudice può pronunziare la decadenza della potestà quando il genitore viola o trascura i doveri ad essa inerenti o abusa dei relativi poteri con grave pregiudizio del figlio. In tale caso, per gravi motivi, il giudice può ordinare l’allontanamento del figlio dalla residenza familiare’. 67 Corte di Appello di Salerno – Sezione giovanile – Sentenza n.3/10 del 25 Maggio 2010. 66
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The inclusion of a child in the state-care system is triggered either by the request of the parents or by reporting on an abandoned, neglected or abused child to the municipal social services where the child resides by relatives, the child himself or professional figures in contact with the family, such as teachers, doctors and, policemen, or by private citizens.68 In the first case, when there is parental consent, the decision on alternative care is made by social services and is made official with a decree by the Guardianship Judge; in the case of parental disagreement or lack of consensus, the decision is made by the Juvenile Court.
L’inclusione di un bambino nel sistema di protezione dell’infanzia ha inizio o con la richiesta dei genitori ovvero con una denuncia ai servizi sociali del Comune di residenza del minore stesso. La denuncia di un caso di abbandono, noncuranza o abuso di minore può provenire dai parenti, dallo stesso minore o dalle figure professionali in contatto con la famiglia (come maestri, dottori etc.), dalla polizia o da privati cittadini.69 Nel primo caso, qualora ci sia il consenso genitoriale, la decisione dell’affidamento viene presa dai servizi sociali ed è resa esecutiva da una sentenza del giudice tutelare; nel caso di disaccordo dei genitori o in cui manchi il loro consenso, la decisione viene presa dal Tribunale per i Minorenni. Il Giudice Tutelare è parte dell’ordinamento giurisdizionale civile e nomina un tutore in caso di sospensione della potestà genitoriale.70 Il Tribunale per i Minorenni è un’istituzione giudizia-
Article 9, Paragraph 1, Law 184/1983. Articolo 9, Paragrafo 1, Legge 184/1983. 70 Il tutore si prende cura del minore sia nell’ambito della persona che nell’ambito patrimoniale e lo rappresenta in tutti gli atti amministrativi e civili. Il tutore esercita le sue funzioni senza recepire alcun salario, sebbene il giudice può decidere di remunerarlo per il lavoro compiuto. 68 69
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ria, autonoma e specializzata, che in prima istanza svolge le funzioni di tribunale per tutte le questioni penali, civili ed amministrative riguardanti i minori. In Italia ve ne sono 29, ciascuno con una specifica competenza territoriale. Lo staff dei servizi sociali, che comprende assistenti sociali, psicologi ed educatori, ha il compito di valutare le condizioni della famiglia e del minore. Qualora intraveda una situazione rischiosa per il benessere di quest’ultimo, deve depositare una denuncia presso il Tribunale per i Minorenni di competenza.71 Nel caso in cui i genitori non diano il proprio consenso all’allontanamento del bambino, il Tribunale ha il diritto di avviare la procedura di sospensione o di estinzione della potestà genitoriale.72 La Legge sull’Adozione e sull’Affido prevede che l’allontanamento del minore e la sua sistemazione in strutture di tutela sia una misura temporanea adottata allo scopo di rafforzare la relazione tra il minore e la famiglia di appartenenza. L’obiettivo fi-
Mauro Favarolo e Silvana Poloni, Italian country report, in 2008 Report Child abandonment: an emergency, (ed. Monica Barbotto), Amici dei Bambini, France Angeli, 2008, p. 285. 72 Secondo la Commissione Europea ‘il concetto di patria potestà comprende il dovere e il diritto di prendersi cura della persona e dei beni di un bambino, inclusa la responsabilità di assicurare al bambino un tetto, del cibo e dei vestiti così come la responsabilità di una crescita corretta. Il concetto di patria potestà include la responsabilità di salvaguardare i beni del bambino, qualora ci siano, ed il diritto di rappresentare il bambino dal punto di vista legale’. Vedi http://ec.europa.eu/civiljustice/parental_resp/parental_resp_gen_en.htm (ultimo accesso: 22/01/2011). La patria potestà può essere definita come il potere che la legge riconosce al padre e alla madre nel rispetto della persona e dei beni del minore, volto all’adempimento dei loro doveri di tutela, educazione e sostegno. I genitori esercitano la potestà congiuntamente: non si tratta di un potere esercitato sul minore ma di un potere esercitato per il bene del minore, non conferisce il diritto di essere genitori ma l’incarico. In questo senso, tale incarico non può essere esercitato liberamente e di conseguenza i genitori non ne possono usufruire in modo discrezionale. La potestà dura fino alla maggiore età, fino a che la persona non compia 18 anni. 71
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nale è infatti il reinserimento del minore nella famiglia di origine.73 La collocazione lontano dalla famiglia dovrebbe, di norma, durare non più di 24 mesi; tuttavia, qualora la sospensione della misura possa rappresentare un danno per il minore, essa può essere protratta per decisione del Tribunale per i Minorenni per un altro, purché limitato, periodo. La Legge ha inoltre fissato il 31 dicembre 2006 come termine ultimo per completare la de- istituzionalizzazione, ovvero la chiusura delle strutture residenziali di accoglienza dette ‘istituti per minori’ e abitate da un numero molto alto di giovani.74 Oggi questi istituti non esistono più, sebbene molti siano stati convertiti in comunità di tipo familiare. Nel caso in cui venga presa la decisione dell’allontanamento si dovrebbe dare la preferenza a soluzioni in contesti familiari e il minore dovrebbe essere collocato in un istituto residenziale di accoglienza (comunità di tipo familiare) solo nel caso in cui nessun altra soluzione sia possibile e ciò andrebbe fatto il più vicino possibile al suo luogo di residenza abituale, così da facilitare i contatti e il possibile reinserimento nella famiglia di origine e rendere minima l’interruzione della vita sociale, culturale e scolastica.75 Le famiglie affidatarie o le strutture residenziali di tipo familiare, insieme ai servizi sociali, dovrebbero infatti fare in modo sia di favorire che di preparare il reinserimento, rispettando la cultura, le origini e le abitudini dei minori e della famiglia.76
Articolo 2, Legge 149/01. La Conferenza delle Regioni, durante la sessione del 13 novembre 1997, ha definito un ‘istituto’ come una grande struttura residenziale socio-educativa, che può ospitare un alto numero di residenti - dodici o più minori - e dotata servizi educativi, ricreativi e di assistenza, come stipulato dall’ISTAT in accordo con il gruppo tecnico interregionale per le politiche sui minori. 75 Articolo 1 e 2, Legge 149/01. 76 Assante, Giannino, Mazziotti, Manuale di Diritto Minorile, 82-91, e Aldo Moro, Manuale di Diritto Minorile, 213-225. 73
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Le strutture istituzionali in cui risiedono temporaneamente i minori sono state classificate come segue in un documento elaborato nel 2009 dalla Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome77: DENOMINAZIONE
Centri d’accoglienza
Case famiglia
DEFINIZIONE
Strutture residenziali per una prima accoglienza dei minori in situazione di emergenza, idonee ad offrire immediatamente protezione, sostegno, ai minori abbandonati o a rischio o nelle condizioni di essere allontanati dalla propria famiglia, durante il periodo necessario alle autorità competenti per identificare soluzioni adeguate. Il numero dei minori presenti in tali strutture può arrivare ad essere abbastanza alto in caso in cui una soluzione alternativa non sia disponibile. Comunità residenziali ed educative dove un piccolo gruppo di minori vive affianco a due o più adulti affiancati eventualmente da uno staff composto da personale retribuito o volontario.
DENOMINAZIONE ITALIANA Comunità di pronta accoglienza; Centri di pronto intervento; Centro di primo accoglimento; Servizio di emergenza e pronto intervento; Centro o servizio di pronta accoglienza; Emergenza e pronto intervento assistenziale; Servizi Residenziali di pronta Accoglienza; Servizi di pronta accoglienza.
Comunità di tipo familiare; Case famiglia; Servizi residenziali di tipo familiare; Comunità familiare; Gruppo famiglia; Comunità a dimensione familiare
Documento 09/093/CR/C8, Roma 29 ottobre 2009, intitolato ‘Nomenclatore interregionale degli Interventi e Servizi Sociali’. 77
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Comunità socio-educative
Residenze autonome
Comunità multi-utenza
Strutture residenziali per adolescenti e pre-adolescenti privi di una figura genitoriale in grado di educarli. L’assistenza è fornita da educatori professionali, ciascuno assegnato a un piccolo gruppo di ragazzi (generalmente meno di 12). Strutture residenziali di piccole dimensioni e un basso livello di assistenza per giovani quasi o da poco maggiorenni (fino ai 21 anni) con gravi problemi familiari o senza famiglia.
Comunità educativa; Comunità educativo-assistenziale; Comunità alloggio; Comunità socio-educative; Comunità alloggio e casa albergo; Comunità alloggio socio-assistenziali; Comunità alloggioresidenziali. Alloggi ad alta autonomia
Strutture residenziali Comunità multiutenza volte a offrire un rifugio a persone prive di un ambiente familiare adeguato, fra questi ci sono anche minori e adolescenti, e la fascia di età va dai 0 ai 17 anni.
Il periodo di sistemazione lontano dalla famiglia di origine termina nel momento in cui le difficoltà temporanee che hanno giustificato il provvedimento vengono superate; la decisione viene presa dalla stessa autorità che ha ordinato la sistemazione al di fuori della famiglia (Giudice Tutelare o Tribunale per i Minorenni), tenuti conto gli interessi del minore. Viceversa, se la situazione di difficoltà viene giudicata permanente, l’assenza definitiva di un adeguato ambiente familiare produce una situazione di abbandono che giustifica la dichiarazione di adottabi42
lità.78 Nel caso non ci siano i genitori o parenti stretti o qualora non sia possibile rintracciare i genitori biologici, il giudice dichiara immediatamente lo stato di adottabilità; al contrario, se ci sono i genitori o dei parenti, questi devono essere ascoltati e possono difendere la propria posizione; dopo le dovute indagini, se ci sono le condizioni, l’autorità giudiziaria adotta la dichiarazione di adottabilità. I genitori naturali, il Pubblico Ministero o il tutore possono presentare ricorso contro la decisione di adottabilità dinanzi la Corte d’Appello del Tribunale per i Minorenni entro 30 giorni dalla data della notifica della decisione.79 La procedura termina con l’adozione del minore da parte di una nuova famiglia o nel momento in cui il minore diviene maggiorenne. In ogni caso, il minore di cui è stata dichiarata l’adottabilità deve vivere insieme alla famiglia adottiva proposta per un periodo di prova della durata di un anno (chiamato ‘sistemazione pre-adottiva’), durante il quale il Tribunale monitora la situazione con la collaborazione dei servizi sociali locali.80 Il periodo della sistemazione pre-adottiva può essere prolungato di un anno se ciò risponde all’interesse del minore. Il sistema italiano di tutela dell’infanzia contempla anche una procedura temporanea di urgenza che conferisce alle autorità pubbliche il potere di decidere l’allontanamento e la collocazione del minore senza l’intervento dell’autorità giudiziaria.81 Ciò significa che i servizi sociali, alcune autorità amministrative e di
Articolo 8, Legge 184/1983. Articolo 17, Legge 184/1983. 80 Articolo 22, Legge 184/1983. 81 L’Articolo 403 del Codice Civile italiano, incluso nel Titolo XI denominato ‘Dell’Affiliazione e dell’Affidamento’, stabilisce che ‘Quando il minore e` moralmente o materialmente abbandonato o è allevato in locali insalubri o pericolosi, oppure da persone per negligenza, immoralità, ignoranza o per altri motivi incapaci di provvedere all’educazione di lui, la pubblica autorità, a mezzo degli organi di protezione dell’infanzia, lo colloca in luogo sicuro, sino a quando si possa provvedere in modo definitivo alla sua protezione’. 78 79
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pubblica sicurezza, come la polizia municipale, il Sindaco, il Direttore della Azienda Sanitaria Locale, possono decidere di allontanare il bambino dai propri genitori in situazioni di emergenza, aggirando le procedure giudiziarie previste. Alcuni esperti hanno richiesto che tale provvedimento venga abrogato o per lo meno che la comunicazione al Tribunale dei Minori competente divenga obbligatoria.82 II - Il quadro amministrativo L’efficacia e l’efficienza del sistema di tutela dell’infanzia dipendono anche dalla realizzazione di mirate politiche locali. Azioni concrete sono infatti necessarie per garantire l’effettivo godimento di diritti, in particolare dei diritti sociali. In Italia, in base alla Legge Quadro per la realizzazione di un sistema integrato di servizi e di intervento sociale e in conformità con l’ultima riforma costituzionale, le funzioni amministrative – comprese l’organizzazione e la gestione di politiche sociali – sono decentralizzate e di competenza degli Enti Locali (Comuni e Regioni). Lo Stato rimane responsabile nel fornire assistenza tecnica su richiesta delle Autorità Locali e nello stabilire i principi e gli obiettivi delle politiche sociali, i criteri generali degli interventi sociali da attuare a livello locale e i requisiti basilari dei servizi sociali.83 A meno che non siano attribuite alle Province, alle città metropolitane, alle Regioni o allo Stato, le funzioni amministrative sono di competenza dei Comuni, in conformità con i principi di sussidiarietà, differenziazione e proporzionalità, in modo da assicurare una loro uniforme attuazione. Ciò si basa sul principio che l’attuazione delle politiche amministrative viene meglio reaAssante, Giannino, Mazziotti, Manuale di Diritto Minorile, 66-69. Aldo Moro, Manuale di Diritto Minorile, 91-92.
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lizzata dagli enti che operano a stretto contatto con i cittadini, i quali sono più informati e consapevoli delle situazioni, dei bisogni e dei problemi locali.84 Le Regioni (21 Enti locali) hanno il compito di convertire le indicazioni generali fornite, attuando programmi, norme e criteri di accreditamento, leggi regionali e piani di azione; coordinano i servizi tra i Comuni e il settore no-profit e regolano la distribuzione di risorse regionali (fondi e personale) tra i Comuni. Ogni Regione dunque può adottare delle proprie leggi regionali, dei propri sistemi organizzativi, delle proprie metodologie di intervento etc., in base al potere e all’autonomia di cui gode: da un lato, tale potere può certamente migliorare la gestione locale dei servizi; tuttavia, dall’altro lato, rischia di causare forti differenze tra i servizi offerti, disomogeneità nel Paese e difficoltà nell’attingere a dati simili per realizzare un quadro nazionale sulla condizione dei minori.85 I Comuni pianificano, organizzano e danno vita al sistema locale dei servizi sociali, in collaborazione con tutti gli altri attori sociali: sono chiamati a scegliere e a gestire i servizi offerti ai cittadini, così come i programmi e i piani d’azione al fine di raggiungere gli obiettivi stabiliti dai principi fondamentali. Gestiscono inoltre i fondi per i servizi sociali e possono anche stipulare accordi specifici con altri enti e delegare l’effettiva offerta di servizi a organizzazioni private come ad esempio ONG. Il rapporto necessario tra le politiche nazionali e locali è coordinato dalla Conferenza Permanente sulle Relazioni tra Stato, Regioni e le Province Autonome di Trento e Bolzano, incaricata del compito di sostenere la cooperazione tra gli attori coinvolti ed ampiamente riconosciuta come il fulcro della negoziazione politica tra il Governo centrale e le autonome amministrazioni reArticolo 118 della Costituzione Italiana, modificato dalla Legge 3/2001. EUROCHILD, Children in Alternative Care. National Surveys, 105.
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gionali.86 In particolar modo, la Conferenza fa sì che il Governo possa ricevere dalle Regioni consigli utili sulle principali leggi regionali e sulle norme amministrative.87 A livello statale, le politiche di tutela dell’infanzia sono soggette all’autorità di diversi ministeri: ad eccezione del Ministro della Giustizia, competenze e responsabilità in materia di tutela dell’infanzia non sono attribuite a un unico ufficio ma piuttosto a diversi uffici, senza che ci sia tra questi alcuna coordinazione. Il Dipartimento per le politiche della famiglia della Presidenza del Consiglio dei Ministri (Ministero senza portafoglio) è responsabile della pianificazione, dell’orientamento, della coordinazione e del monitoraggio delle misure a sostegno della famiglia così come degli interventi di sostegno alla maternità, alla paternità e alle nascite, volti a conciliare l’orario di lavoro con la cura dei figli. Inoltre è responsabile della gestione dei fondi per le politiche familiari e delle azioni intraprese dal Governo in linea con l’Osservatorio Nazionale della Famiglia, l’Osservatorio contro la Pedofilia e la Pornografia Infantile, l’Osservatorio Nazionale sull’Infanzia, il Centro Nazionale di Documentazione e Analisi per l’infanzia e l’Adolescenza e la Commissione per le Adozioni Internazionali.88 Il Ministero del Lavoro, della Salute e della Politiche Sociali è responsabile delle questioni inerenti l’infanzia, l’adolescenza, l’inclusione sociale, l’immigrazione e la disabilità. È inoltre incaricato di guidare, coordinare e monitorare le politiche sociali nazionali, alloca i fondi nazionali per le politiche sociali presso le Regioni e fornisce i servizi sociali basilari. La Direzione Generale per l’immigrazione del Ministero include il Comitato per i Bambini Stranieri, un corpo inter-ministeriale che salva-
Mauro Favaloro e Silvana Poloni, Child abandonment, an emergency, in: 2008 Italian Country Report. Amici dei Bambini, Franco Angeli 2008, Milano. 87 EUROCHILD, Children in Alternative Care. National Surveys. 88 Aldo Moro, Manuale di Diritto Minorile, 94-95. 86
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guardia i diritti dei minori stranieri non accompagnati residenti nel territorio italiano, e dei minori stranieri assistiti da strutture, come previsto dalla CRC.89 Il Ministero degli Interni è invece responsabile della lotta alla pedofilia e agli abusi sui minori: coordina attività di supporto a bambini in carico alle autorità locali e alle organizzazioni private del settore sociale, contrasta il fenomeno del bullismo, sensibilizza le nuove generazioni a rispettare gli individui vulnerabili e combatte la criminalità nelle scuole.90 Altri Ministeri coinvolti nella tutela dell’infanzia sono il Ministero dell’Istruzione, il Ministero della Giustizia (in particolare il Dipartimento della Giustizia Minorile), il Ministero degli Affari Esteri e il Ministero della Salute. La Legge 451 del 23/12/1997 ha inoltre creato importanti corpi istituzionali che sostengano le azioni di governo sulla tutela dell’infanzia:
1. La Commissione Parlamentare per l’Infanzia e l’Adolescenza: composta da 20 senatori e 20 deputati, è incaricata di monitorare l’effettiva applicazione degli accordi internazionali e della legislazione nazionale inerente la tutela dell’infanzia, avanza proposte legislative e approva i piani nazionali per l’infanzia.
2. L’Osservatorio Nazionale per l’Infanzia e l’Adolescenza: un corpo consultivo composto dai rappresentanti di tutti i Ministeri coinvolti nella tutela dell’infanzia (principalmente i Ministeri del Lavoro, della Salute, delle Politiche Sociali, della Giustizia etc.), da enti locali (Regioni e Comuni), da gruppi professionali (ad esempio i giudici del Tribunale per i Minorenni, assistenti sociali, psicologi infantili) e dalle ONG impegnate nel Ibid. Ibid.
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settore dell’infanzia. L’Osservatorio è incaricato di redigere ogni due anni il piano d’azione nazionale per l’infanzia e il report nazionale sulla condizione dei minori in Italia; coordina le pubbliche amministrazioni e le autorità locali e valuta le risorse finanziarie per le misure del caso.
3. Il Centro Nazionale di Analisi e Documentazione per l’Infanzia e l’Adolescenza: propone e conduce attività di ricerca sull’infanzia volte a monitorare la condizione dei minori in Italia e a definire politiche sull’infanzia. A livello statale, manca un ente che si occupi specificatamente di rom. Tuttavia, come dichiarato dal Ministro degli interni Roberto Maroni, l’obiettivo fondamentale del Governo è proteggere coloro che versano in condizioni precarie, in particolare i minori rom, così da garantire loro un futuro migliore.91 III - Le politiche sui rom: il quadro generale
In Italia, in base al Decreto per la riorganizzazione dell’Osservatorio Nazionale per l’Infanzia e l’Adolescenza e del Centro di Documentazione e Analisi per l’Infanzia e l’Adolescenza92, ogni due anni l’Osservatorio Nazionale deve predisporre un Piano d’Azione Nazionale per l’Infanzia e l’Adolescenza. Una volta acquisita l’opinione obbligatoria della Commissione Parlamentare per l’Infanzia e l’Adolescenza, il Piano viene proposto dal Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali, e dal sottosegretario di Stato della Presidenza del Consiglio dei Ministri responsabile delle politiche familiari. Il Piano d’Azione è
Vedi online http://www.interno.it/mininterno/site/it/sezioni/sala_stampa/speciali/censimento_nomadi/ (ultimo accesso: 08/08/2011). 92 Decreto Presidenziale 103/2007, disponibile su http://www.minori.it/dpr-1032007 (ultimo accesso: 25/04/2011). 91
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adottato per decreto del Presidente della Repubblica previa deliberazione del Consiglio dei Ministri. L’ultimo Piano d’Azione approvato risale al 21 Gennaio 2011 ed è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 9 Maggio. I minori rom sono menzionati solo nelle poche righe in cui il Piano riconosce l’importanza di un ‘approccio olistico’ nell’affrontare la situazione. Tuttavia, dall’Ottobre 2007 all’Ottobre 2009, il gruppo di lavoro dell’Osservatorio Nazionale si è incontrato regolarmente per discutere il nuovo Piano d’Azione. Sono stati prodotti diversi documenti politici, funzionali all’elaborazione del Piano d’Azione 2009-2011, tra cui il documento sui rom, i sinti e i camminanti.93 Il gruppo di lavoro sui rom, i sinti e i camminanti raccomanda di fare ricorso all’istituzione della tutela per sostenere i minori e le famiglie nel superamento di situazioni pregiudizievoli; in particolare, il gruppo di lavoro raccomanda di investire fondi nella formazione dei tutori disposti ad entrare nei campi o negli appartamenti privati dove abitano i rom, affinché possano costruire relazioni di fiducia con i minori e le famiglie di origine e creare interazioni tra le comunità rom e la società. Inoltre, nel documento si enfatizza l’importanza dei tutori rom – il cosiddetto tutore etnico’94 – e l’importanza di incoraggiare l’affidamento chiamato omoculturale, ovvero la temporanea sistemazione di un minore trovato in stato di difficoltà presso un’altra famiglia rom. Dall’altro lato, è precisato come l’istituto dell’adozione rappresenti una soluzione adatta solo in alcuni casi che non può essere assolutamente considerata come la forma di sostegno alle comunità rom. Nonostante tale impegno, il testo dell’ultimo
Disponibile online all’indirizzo http://www.minori.it/piano-azione-2009-2011materiali (ultimo accesso: 25/04/2011) 94 Il ‘tutore etnico’ è una figura professionale che agisce nell’interesse del minore, ricoprendo un ruolo di consulenza negli ospedali, nei tribunali ‘, negli uffici di polizia, etc. 93
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Piano d’Azione non contiene queste raccomandazioni nè affronta in modo specifico la situazione dei minori rom. Diverse associazioni – tra le quali Agesce, Arciragazzi, Cgil, CNCA, Ordine Assistenti Sociali, Save the Children Italia, UNICEF Italia – in occasione della Conferenza Nazionale sull’Infanzia e l’Adolescenza del novembre 2009 avevano firmato un documento esortando il Governo ad adottare un nuovo Piano d’Azione95 dal momento che nei sei anni precedenti non era stato prodotto nessun documento - l’ultimo Piano d’Azione prima del 2011 risaliva al periodo 2002-2004.96 IV - Valutazione: lacune e problemi del sistema Ogni volta in cui un’autorità giudiziaria è chiamata ad intervenire nel sistema di tutela dell’infanzia, i servizi sociali locali svolgono un ruolo fondamentale in quanto istituzioni incaricate, prima di ogni altra, di effettuare le dovute indagini sullo stato di abbandono o maltrattamento del bambino. Per questa ragione gli assistenti sociali dovrebbero mantenere un rapporto costante con il territorio di competenza ed i suoi abitanti. Invece un ampio numero di intervistati sottolinea come una delle maggiori mancanze “Batti il Cinque” disponibile su http://www.cgil.it/Archivio/Welfare/infanzia/BattiIlCinque-LePrioritaPerPianoAzione.pdf (ultimo accesso: 25/04/2011). 96 Disponibile su http://www.minori.it/files/Piano_Azione_2002-2004.pdf (ultimo accesso 25/04/2011). 97 Ad esempio, una di queste eccezioni è stata trovata a Bari, dove i servizi sociali del III Distretto ‘Poggiofranco’ hanno partecipato attivamente ad un progetto volto a fornire dei servizi ai Rom affinché i minori frequentino le scuole e non siano coinvolti nell’accattonaggio. Tale progetto è stato considerato positivamente, dal momento che si ritiene abbia ridotto il numero di minori a rischio sebbene uno degli assistenti sociali più coinvolti nelle attività reputa fondamentale superare la realtà dei campi e trovare soluzioni abitative alternative. Intervista con un assistente sociale del III Distretto ‘Poggiofranco’. Bari: 28/10/2010. 95
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del sistema italiano di tutela dell’infanzia sia la carenza di informazioni sulla realtà delle comunità rom da parte delle istituzioni dello Stato: gli assistenti sociali raramente entrano nei campi, mentre figure professionali come i tutori etnici e i mediatori culturali sono utilizzate di rado. Casi di assistenti sociali che hanno un contatto diretto con famiglie rom e che entrano nei campi rom sono un’eccezione.97 ‘Gli assistenti sociali non entrano nei campi, sia che siano abusivi che regolari; non sanno come e dove vivono questi bambini […] le istituzioni sono solite delegare quasi tutto il lavoro alle associazioni cattoliche’.98
‘Il problema più grande è rappresentato dalle persone che dimorano nei campi abusivi poiché i servizi sociali affermano di non avere alcuna competenza sui loro abitanti in quanto essi non sono formalmente residenti nel Comune di Milano’.99
Sembra che solo le organizzazioni no-profit siano a conoscenza della situazione del territorio e offrano aiuto, ed in effetti il compito e la responsabilità di intervenire in situazioni di vulnerabilità è lasciato alle associazioni chiamate del ‘privato sociale’ - associazioni ed individui spesso operanti in qualità di volontari. È necessario ricordare che le associazioni no-profit hanno spesso l’importante funzione di occuparsi delle strutture residenziali per minori.100 Dall’altra parte, i genitori rom in alcuni casi affidano i propri figli ad altri membri della famiglia, senza però che vi sia alcuna procedura legale o che il fatto venga ufficializzato.101
Intervista con Dijana Pavlovic, “Federazione Rom e Sinti Insieme”. Milano: 27/09/2010. 99 Intervista con Fiorenzo De Molli, “Casa della Carità” centro d’accoglienza. Milano: 30/09/2010. 100 Aldo Moro, Manuale di Diritto Minorile, 98-100. 101 Intervista con Stefano Pasta, Comunità di Sant’Egidio. Milano: 29/10/2010. 98
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Una situazione del genere ha un doppio effetto: da un lato la valutazione della situazione del minore raramente è compiuta dagli assistenti sociali e le autorità giudiziarie sono costrette a contattare le organizzazioni private ed il mondo del volontariato per raccogliere informazioni e valutare la situazione del minore102; dall’altro lato, dato che interi gruppi familiari sono sconosciuti alle autorità, molte situazioni pregiudizievoli restano sotto silenzio mentre vengono messe in moto procedure giudiziarie per mancanza di un diretto intervento dei servizi sociali.103 Alcune associazioni infatti hanno denunciato casi di gravi abusi perpetrati ai danni di minori rom a cui non è seguito alcun intervento dei servizi sociali. Per esempio, a Napoli nel 2009, al centro di accoglienza ‘Deledda’, una ragazza rom ha affermato di essere stata vittima di violenza sessuale da parte di un uomo ospite del centro; la situazione è stata gestita dallo staff del centro – la Protezione Civile – senza alcun intervento esterno. A quanto si sa la soluzione è stata raggiunta grazie solo alla reazione delle altre famiglie ospiti che hanno intimato alla famiglia del presunto colpevole di lasciare il centro.104 A Bari alcune associazioni di volontariato hanno denunciato ai servizi sociali del Comune presunti casi di pedofilia e violenza sessuale nei confronti di bambini rom abitanti nel campo di Modugno-San Paolo, ma ad oggi non è né partita un’indagine né è stato preso alcun provvedimento.105 Per di più, spesso le autorità giudiziarie devono fronteggiare situazioni che avrebbero richiesto un intervento degli operatori sociali. Intervista con Monica Del Maso, educatrice. Bari: 30/10/2010. Intervista con un avvocato esperto nella difesa dei Rom. Roma: 25/07/2010. 104 Intervista con Angelica Viola, responsabile della Cooperative Orsa Maggiore, zona di Soccavo, Napoli. Napoli: 01/10/2010. 105 Intervista con un rappresentante dell’associazione “Vox Populi” di Bari, 30/10/2010. 102
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‘Numerose questioni non dovrebbero arrivare qui, ma vengono scaricate sui giudici dal momento che, ovviamente, se non esiste un intervento sociale, economico e politico per gli italiani, figuriamoci se può esistere per i rom [..]. Questa faccenda costituisce un enorme problema politico ed amministrativo lasciato sulle nostre spalle. La mancanza di interventi incide su aspetti della vita di minori che richiederebbero dei correttivi di tipo sociale e si traduce invece in misure giudiziarie che, sebbene prendano in considerazione gli interessi dei minori, sono adottate senza che siano state messe in atto le necessarie azioni preventive – c h e s a r e b b e r o i n v e c e n e c e s s a r i e dal momento che tutela e assistenza dei minori non sono concetti astratti e dovrebbero essere applicati caso per caso tenendo conto della realtà’ dei fatti’.106 Come risultato della sovrapposizione degli interventi sociali e giudiziari, presunte situazioni di rischio in cui si trovano coinvolti i minori rom vengono spesso denunciate alle autorità giudiziarie da parte delle forze dell’ordine che entrano in contatto coi rom per ragioni molto differenti da quelle spettanti ai servizi sociali, come ad esempio in occasione di operazioni di sgomberi o durante ordinarie operazioni di pattugliamento delle strade, dove i bambini rom vengono trovati ad elemosinare. Questo mostra che attualmente, almeno per quanto riguarda i rom, non vengono intrapresi provvedimenti strutturati all’interno di un piano generale di sostegno alle famiglie e ai minori. Vi sono situazioni nelle quali togliere i bambini alle famiglie non è in alcun modo giustificato e ve ne sono altre in cui sarebbe importante e invece le istituzioni restano passive e non fanno niente. ‘Ho lavorato con un bambino [rom], cittadino italiano residente in un
Intervista con il Giudice Assante, Tribunale dei Minori di Napoli. Napoli: 7/10/2010. 106
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campo autorizzato, vittima, così come la madre, di violenza familiare poiché il padre è un delinquente e un tossico-dipendente. La madre non è in grado di gestire la situazione. Il bambino a 10 anni faceva già uso di sostanze psicotrope e una volte ha compiuto un gesto orribile: ha dato fuoco alla roulotte dei vicini. Ho fatto di tutto affinché fosse avviata una procedura per la sistemazione extra-familiare, ho denunciato la situazione ai servizi sociali e ottenuto pareri favorevoli dello psicologo e dello psichiatra, ma i servizi sociali non hanno fatto nulla, affermando che il bambino era irrecuperabile e dopo quattro, cinque anni il bambino è diventato un delinquente come suo padre…’107 Un ulteriore aspetto emerso durante il lavoro sul campo è la mancanza di collegamenti tra le istituzioni e le famiglie, di momenti di dialogo, di mediazione e di supporto concreto affinché le famiglie superino le situazioni che portano alla sistemazione extra-familiare del minore. Di conseguenza, in alcuni casi questa situazione ha determinato l’allontanamento definitivo, facendo sì che i minori si trovassero senza punti di riferimento ad eccezione del personale della struttura di accoglienza, privi di rapporti affettivi rilevanti e senza un’identità chiaramente definita. Nei casi in cui la sistemazione è temporanea e dura qualche mese, l’istituto e il suo personale, compresi gli assistenti sociali, vengono spesso considerati dei ‘nemici’ dalle famiglie rom.108 Inoltre, in alcuni luoghi come Napoli e Roma, alcuni intervistati hanno rivelato come abbastanza spesso le famiglie rom non siano a conoscenza delle procedure, dei loro diritti e doveri e neanche della possibilità di fare ricorso contro una sentenza giudiziaria; spesso non hanno accesso alla difesa legale e alle informazioni
Intervista con Dijana Pavlovic, ibid. Intervista con un mediatore sociale della ONG italiana “Save the Children”. Roma: 13/07/2010. 107
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anche solo generiche mentre, altre volte, hanno paura di avere contatti con le istituzioni giudiziarie.109 Il personale istituzionale si lamenta di come spesso i genitori rom non contattino i tribunali e non partecipino all’udienza in cui viene giudicata la situazione dei loro figli. Tale assenza viene interpretata come una mancanza di interesse dei genitori e di conseguenza, come una forma di negligenza e trascuratezza tale da giustificare la sistemazione in strutture residenziali ed, in alcuni casi, anche la sospensione o la revoca della potestà genitoriale.
‘Quando viene iniziata una procedura di limitazione o revoca della potestà genitoriale, i genitori sono chiamati da un giudice ad un colloquio. Tuttavia, spesso i genitori sono spaventati e non si presentano all’udienza; altre volte i giudici non sono ben informati circa la realtà dei rom e, ancora oggi, li definiscono col termine nomadi [..] ad esempio, i giudici non sono a conoscenza dello Stato di Emergenza’.110
Un mediatore sociale di Save the Children ha spiegato che le istituzioni spesso forniscono informazioni incomplete alle famiglie rom, dando per scontato che non siano in grado di crescere ed educare i propri figli. Un mediatore sociale ha riportato il caso di una famiglia rom denunciata per accattonaggio coi propri figli; dopo due mesi, le forze dell’ordine hanno visitato il luogo dove viveva la famiglia e, senza che vi fosse un mediatore culturale a spiegare cosa stesse accadendo, i figli sono stati allontanati dai genitori. A questi ultimi non è stato spiegato nulla e la prima notifica non è stata neanche indirizzata a loro, bensì ad un’altra famiglia.111
109 Intervista con un avvocato esperto nella difesa dei diritti dei Rom. Roma: 10/09/2010. 110 Intervista con un avvocato esperto nella difesa dei diritti dei Rom. Roma: 25/07/2010. 111 Intervista con un mediatore sociale, ONG “Save the Children”. Roma: 13/07/2010.
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Presenza significativa di bambini rom nel sistema di tutela dell’infanzia I - La reperibilità e la protezione dei dati. Un recente studio dell’Università di Firenze afferma che ‘in Italia i rom si sono ritrovati con uno ‘status’ preciso: hanno vissuto una storia di non-accettazione, di rifiuto, che ha influito sulle loro condizioni di vita e sui loro percorsi di integrazione’.112 Secondo gli autori, questo avrebbe creato ‘barriere’ importanti, compresa ‘l’impossibilità di reperire dati e informazioni’. Tant’è vero che le informazioni e i dati sui rom in Italia sono incerti, parziali, irregolarmente aggiornati e a volte totalmente mancanti. Infatti in Italia, come in molti altri paesi, è diffusa la convinzione che le leggi sulla protezione dei dati proibiscano la raccolta di statistiche a carattere ‘etnico’. Le stime sul numero di rom in Italia vanno dalle 170.000 presenze, come sostenuto da alcune organizzazioni non-governative, alle 150.000 secondo le informazioni fornite dal Ministero degli Interni. Ciò significa che i rom rappresentano lo 0.23% della popolazione totale in Italia, una delle percentuali più basse tra quelle europee.113 Si stima che circa 70.000 rom abbiano la citta-
Università di Firenze, I Rom e l’economia: la promozione dell’occupazione e dell’istruzione per i Sinti e i Rom in Italia, Ed. Parabolis, 2007, 11. 113 Marco Impagliazzo (edito), “Il caso ZIngari. Storia di una minoranza in Europa”, Leonardo International, 2008; Cittadinanza Imperfette, OsservAzione, Spartaco Ed. 2006 , 26; Lorenzo Monasta, “I pregiudizi contro gli zingari spiegati al mio cane”,BFS Edizioni, 2008, 60; Leonardo Piasere, “I rom d’Europa. Una storia moderna”, Laterza 2004. 112
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dinanza italiana e che più della metà provengano dall’Europa Sudorientale, l’Ex Jugoslavia, Bulgaria e Romania, mentre una percentuale non identificata sia composta da persone senza permesso di soggiorno.114 Nonostante la mancanza di dati ufficiali sul numero di rom, due importanti associazioni italiane, Opera Nomadi e Comunità di Sant’Egidio, stimano che circa il 70-80% di rom e sinti abbia meno di 25 anni e che fra questi più del 50% sia minorenne. Dunque, il numero di minori rom dovrebbe essere circa 70.000.115 In Italia, la raccolta e il trattamento dei dati sensibili è regolata dal Decreto Legislativo n.1996 del 30/06/2003, che definisce sensibili i dati personali idonei a rivelare l’origine razziale ed etnica, le convinzioni religiose, filosofiche o d’altro genere, le opinioni politiche, l’appartenenza a partiti, a sindacati, ad associazioni o organizzazioni a carattere religioso, filosofico, politico o sindacale, nonché quelli idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale.116 Sia la raccolta che il trattamento di dati sensibili sono sottoposti a condizioni particolari. Nello specifico, la legge permette ai soggetti privati di raccoglierli e trattarli solo con il consenso scritto dell’interessato e con l’autorizzazione del Garante per la Protezione dei Dati Personali.117 Per quanto riguarda invece i soggetti pubblici, questi non sono tenuti a richiedere il consenso scritto ma possono raccogliere tali dati solo per specifiche ragioni di interesse pubblico.118 Al giorno d’oggi la questione delle famiglie e dei minori rom potrebbe essere considerata di interesse pub-
Ibid. Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali, Ministero degli Affari Esteri, Diritti in Crescita. Terzo e quarto rapporto alle Nazioni Unite sulla condizione dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia, (Firenze, Istituto degli Innocenti, Febbraio 2009) 14. 116 Decreto Legislativo 196/2003, Articolo 4, lett. d. 117 Il Garante per la Protezione dei Dati Personali è stato istituito dalla Legge n.675 del 31/12/1996. 118 Decreto Legislativo 196/2003, Articolo 20. 114
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blico, anche alla luce del fatto che, quando nel 2008 è stata dichiarata l’ “Emergenza Nomadi”, poi prorogata fino alla fine del 2011, la protezione dei minori rom è stata inclusa tra i principali obiettivi da raggiungere. Nel panorama internazionale, secondo molte organizzazioni della società civile, ‘raccogliere dati su base etnica permette il monitoraggio delle discriminazioni e dell’attuazione di politiche anti-discriminatorie messe in atto dai governi. Serve anche a valutare se queste politiche siano efficaci, in modo da poter cambiare o correggere quanto che sia necessario’.119 Per quanto riguarda i dati sul numero totale di minori inseriti nel sistema di tutela dell’infanzia, secondo alcuni studiosi dei diritti dell’infanzia, in Italia vi è mancanza di dati sui minori presenti nelle strutture residenziali o di tipo familiare, così come sui bambini in stato di abbandono. Il cuore del problema risiede nel fatto che la raccolta di dati su minori è condotta a diversi livelli e coinvolge soggetti differenti, sia pubblici che privati, tra cui: l’ISTAT (Istituto Nazionale di Statistica), il Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali, il Ministero dell’Istruzione e il Ministero della Giustizia, le Regioni e le Province Autonome attraverso i Centri e gli Osservatori sull’Infanzia e l’Adolescenza e mediante il Centro Interregionale per i Sistemi Informatici, Geografici e Statistici (CISIS), il Centro Nazionale di Analisi e Documentazione per l’Infanzia e l’Adolescenza e le associazioni no-profit (come Papa Giovanni XXIII, Save the Children e Caritas). Poiché non esiste un ufficio di coordinamento o un’autorità centrale che raccolga e tratti la totalità dei dati è difficile ottenere informazioni sui bambini in affido. Il Dipartimento della Giustizia minorile del Ministero della Giustizia è in possesso di dati aggregati, riguardanti sia i minori in stato di adozione che quelli in stato di affido, distinguendoli tra coloro che
ECRI, Studio sulle statistiche ‘etniche’ e la protezione dei dati nei paesi del Consiglio d’Europa, Strasburgo, 2007, pag. 3. Disponibile online all’indirizzo: http://www.coe.int/t/dghl/monitoring/ecri/activities/themes/Ethnic_statistics _and_data_protection.pdf (ultimo accesso: 24709/2010). 119
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vivono in famiglia e coloro che vivono in strutture residenziali. Essi sono120: Tavola 1. Affidamenti familiari stabiliti dai Tribunali Minorili tra il 2000-2007 Tribunale dei minori
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Brescia
58
-
14
44
24
6
-
1
Cagliari
26
25
21
20
46
19
30
7
10
-
14
7
-
-
-
1
2
2
4
1
2
4
2
4
Catania
15
10
-
2
2
1
-
23
Catanzaro
1
2
-
-
-
-
-
2
Firenze
141
148
99
118
88
383
272
42
Caltanissetta Campobasso
120 Consultabile su: http://giustiziaminorile.it/statistica/approfondimenti/adozione_affidamento.html (ultimo accesso: 24/01/2011).
59
Genova
-
-
-
-
-
-
-
-
L’Aquila
-
35
57
27
70
47
8
0
Lecce
53
7
19
28
14
14
12
18
Messina
12
5
9
6
3
2
1
-
Milano
3
1
-
-
-
-
-
-
Napoli
-
-
-
-
2
-
-
-
Palermo
1
5
7
2
69
72
58
15
Perugia
1
-
2
2
3
-
24
2
Potenza
99
85
78
35
58
40
26
24
4
12
17
12
8
12
16
10
Roma
21
16
12
13
19
19
7
15
Salerno
90
64
132
144
150
77
84
91
Sassari
8
9
1
-
-
-
-
-
Taranto
110
144
168
187
84
123
86
91
Torino
110
144
168
187
84
123
86
91
Trento
37
10
8
2
4
1
3
1
Trieste
-
-
-
-
-
-
ND
-
Venezia
11
4
11
40
36
31
26
31
Totale
811
671
819
866
789
969
853
574
Reggio Calabria
60
Tavola 2. Affidamenti stabiliti dai Tribunali dei Minori tra il 2001-2007
Tribunale dei minori
2001
2002
2003
2004
2005
2006
2007
Ancona
16
14
21
14
-
1
2
Bari
-
72
89
112
173
96
140
Bologna
64
35
76
-
-
-
-
Bolzano
1
8
-
-
-
-
-
Brescia
2
31
63
32
1
-
1
Cagliari
11
3
46
51
9
6
1
-
24
3
-
-
-
1
21
21
14
10
9
18
10
Catania
-
-
-
-
-
-
-
Catanzaro
-
-
-
1
-
-
-
Firenze
83
81
66
52
34
31
15
Genova
-
-
-
-
-
-
-
L’Aquila
49
79
80
54
70
4
2
Lecce
182
51
16
3
29
21
25
Messina
27
6
14
3
1
1
1
Milano
-
-
-
-
-
-
-
Napoli
189
35
6
9
11
3
1
Caltanissetta Campobasso
61
Palermo
199
81
56
189
240
334
289
Perugia
13
1
1
4
4
3
6
Potenza
86
66
56
79
81
32
15
17
11
21
4
-
-
-
Roma
3
1
-
-
-
1
2
Salerno
56
66
42
69
64
85
83
Sassari
24
18
35
26
28
39
65
Taranto
35
-
-
-
-
-
-
Torino
93
7
-
-
-
-
-
Trento
17
8
2
1
-
-
-
Trieste
338
239
20
445
258
ND
434
Venezia
-
-
-
1
1
2
-
Totale
1526
958
727
1169
1013
667
1095
Reggio Calabria
II - La proporzione dei bambini rom affidati a strutture statali A causa della mancanza di dati raccolti sistematicamente non è possibile dare una stima del numero dei minori rom nel sistema italiano di protezione dell’infanzia. Alcuni dati sono raccolti a livello locale da parte di istituzioni responsabili della tutela dell’infanzia, sebbene poi essi non vengano solitamente resi pubblici. 62
Per esempio, alla domanda su quale tipo di dati siano stati raccolti sui minori, il responsabile dei servizi sociali di Scampia, Comune di Napoli, ha risposto che le origini etniche non fanno parte dei dati ufficialmente raccolti in quanto loro ‘non fanno distinzione tra gruppi etnici’, sebbene nei loro report e documenti interni tali informazioni siano poi indicate121. Inoltre, la stessa persona ha sottolineato come non ci siano né dati ufficiali né ricerche su questo tema, dal momento che sono i servizi sociali locali a valutare e stimare il numero di minori in affido. Durante la ricerca sul campo realizzata per questo report, sono state visitate 22 strutture residenziali per minori in 3 città (Napoli, Roma, Bari e i loro dintorni): su un totale di 144 bambini residenti in tali case, 15 (il 10,4%) erano immigrati rom. Questo risultato non offre un’assoluta rappresentazione dei fatti, ma indica la possibile esistenza di una significativa sovra-rappresentazione di bambini rom nelle strutture statali, considerato che i rom rappresentano solo il 0,23% della popolazione totale italiana. La mancanza di informazioni sull’appartenenza etnica è causa di malintesi ed inefficienze negli uffici responsabili della tutela dei minori. Un referente dell‘ “Ufficio Rom e Patti di Cittadinanza” del Comune di Napoli ha denunciato il caso di una madre rom, rivoltasi a loro per chiedere informazioni sul figlio scomparso. L’ufficio si è rivolto senza successo alle forze dell’ordine, per poi scoprire che il bambino era stato sistemato in un comunità di tipo familiare; l’Ufficio di Politiche per Minori del Dipartimento delle Politiche Sociali si è occupato del caso ma non ha informato l’Ufficio per i Gruppi Etnici dello stesso Comune,
Intervista con Rita Borgonovo, responsabile dei servizi sociali del Comune di Scampia, Napoli. Napoli, 20/09/2010.
1 21
63
dichiarando di non essere certo dell’appartenenza etnica del bambino122. Nel quarto Report di Aggiornamento sul Monitoraggio della Convenzione sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza in Italia 2007-2008, nel capitolo relativo ai bambini rom, sinti e camminanti si afferma che ‘la mancanza o l’incertezza di dati attendibili a livello nazionale riguardo aspetti specifici, come ad esempio la scolarizzazione o la fruizione dei servizi sanitari, evidenziano la scarsa volontà da parte delle Istituzioni di denunciare i problemi, di prenderne coscienza e di valutarli in modo coerente ed efficace, delegando totalmente al livello locale l’onere degli interventi che appaiono, generalmente, di carattere repressivo o assistenzialistico’.123 La stessa osservazione viene fatta da operatori del settore: ‘A volte è difficile conoscere i dati sui minori presenti [nei centri di tipo familiare] e sulla composizione del gruppo familiare. Stiamo gestendo la situazione solo grazie ad alcuni progetti e all’ accreditamento che la nostra associazione riceve dalla partecipazione a tali progetti. Se avessimo avuto qualche dato in più, magari avremmo potuto organizzare specifiche azioni per alcuni minori’.124 La ricerca sul campo ha indicato come, fino ad oggi, sia stato adottato un approccio universale nella raccolta dati e sia stata evitata qualsiasi distinzione basata sulla nazionalità o sull’etnia. La conseguenza è che l’attività di raccolta di dati sui minori rom non è né condotta in modo sistematico dalle istituzioni competenti, né delegata ad altri soggetti ufficialmente incaricati di tutela del-
Intervista con A.D.S., assistente sociale, funzionaria del “Ufficio Rom e Patti di Cittadinanza’ del Comune di Napoli, 1/07/2010. 123 Quarto rapporto di aggiornamento sul monitoraggio della Convenzione sui Diritti dell’Infanzia in Italia 2007-2008 I Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza in Italia, Gruppo di Lavoro per la Convenzione sui Diritti dell’Infanzia e dall’Adolescenza, disponibile su: http://www.gruppocrc.net/IMG/pdf/imp_Rapporto_CRC.pdf (ultimo accesso: 09/09/2010). 124 Intervista con Angelica Viola, Cooperativa “Orsa Maggiore”, Soccavo, Napoli. Naples: 01/10/2010. 122
64
l’infanzia. I pochi dati disponibili sono approssimativi, parziali, raccolti sulla base di bisogni momentanei e di solito su basi volontarie piuttosto che ufficiali. L’indagine condotta nell’ambito della ricerca ha evidenziato la mancanza di una chiara comprensione del fenomeno dei minori rom nel sistema nazionale di tutela dell’infanzia. Secondo alcuni intervistati l’incidenza dei minori rom coinvolti in pratiche di affido permanente o di adozione non è particolarmente alta, mentre altri hanno espresso esattamente l’opinione contraria. Viceversa, la maggior parte degli intervistati considera elevato il numero di rom collocati temporaneamente in strutture di tipo familiare. Nel corso delle interviste è emersa inoltre la tendenza di molti minori rom di fuggire da tali strutture dopo breve tempo. Ad esempio, nella città di Roma la responsabile di un struttura di tipo familiare ha riferito che in media i minori rom rappresentano il 45% del totale dei minori residenti temporaneamente nel centro e che la maggioranza di questi è coinvolta in processi penali – generalmente per furti, rapine o prostituzione; si stima anche che in media ogni 18 mesi un minore rom è collocato in struttura in conseguenza di una decisione di limitazione o estinzione della potestà genitoriale.125 A Napoli un dirigente di servizio del Comune ha dichiarato che il numero di minori rom coinvolti in procedimenti di affido e di revoca della potestà genitoriale rappresenta una percentuale molto bassa rispetto agli altri minori, mentre la percentuale di coloro coinvolti in procedure di adozione è ancora più bassa. Di contro, i minori rom – in particolare rumeni – rappresentano quasi la maggioranza, il 35-40%, dei minori comunitari ed extracomunitari temporaneamente presenti nelle strutture residenziali e nei Centri di Prima Accoglienza. Circa 180 minori sui 500 di età
Intervista con Vittoria Quondamatteo, responsabile del centro di tipo familiare“Fiore nel Deserto”. Roma: 08/07/2010. 125
65
compresa dai 3 ai 18 anni collocati annualmente nelle strutture residenziali sono stranieri e di questi la maggioranza è costituita da rom rumeni. ‘La ragione è che le condizioni abitative dei rom sono pessime per cui sarebbe necessario rafforzare le politiche in tale ambito. Tenendo in mente i compiti del Prefetto di Napoli come Commissario Speciale ( per l’Emergenza Nomadi), è necessario iniziare a costruire campi decenti e permettere a queste persone di vivere come facciamo noi’.126 A Milano, molti intervistati hanno sottolineato che nessuno dei bambini da loro conosciuti era coinvolto in procedure di affido dal momento che i rom, abitando in campi irregolari, non erano noti agli operatori dei servizi sociali. ‘Il grande problema riguarda i rom dei campi irregolari dal momento che non sono di competenza dei servizi sociali in quanto non formalmente residenti nel Comune di Milano’.127 A conoscere queste realtà e ad offrire un sostegno sono solo le organizzazioni no-profit, mentre in alcuni casi i genitori rom affidano i propri figli ad altri membri della famiglia allargata senza però seguire le procedure legali e burocratiche.128 Il risultato è che la città assiste ad un fallimento della strategia di intervento: pare, ad esempio, che nel 2009 “40 minori rom su un totale dei 93 sistemati nelle strutture gestite dai servizi del Comune” sono scappati dai centri, mentre altri vi sono stati sistemati fino a 20 volte nel corso di un anno.129 Una ricerca pubblicata recentemente analizza le dichiarazioni di adottabilità emesse da 7 Tribunali per i Minorenni nel corso di
Intervista con Giovanni Attademo, funzionario del “Servizio Politiche per i Minori, l’Infanzia e l’Adolescenza”, Comune di Napoli. Napoli: 20/09/2010. Dati più o meno uguali ci sono stati confermati da altri rappresentanti di centri di accoglienza, istituti a base familiare, servizi sociali e tutori. 127 Intervista con Fiorenzo De Molli, “Casa della Carità” centro d’accoglienza. Milano: 30/09/2010. 128 Intervista con Stefano Pasta, Comunità di Sant’Egidio. Milano: 29/10/2010. 129 Ibid. 126
66
20 anni (1985-2005); la ricerca rivela che 258 minori rom e sinti sono stati dichiarati adottabili. Le pratiche riguardanti questi minori sono state 227 su un totale di 8.830130, ovvero il 2,6% del totale delle pratiche di adottabilità a livello nazionale. Secondo la ricercatrice, tale dato è particolarmente significativo alla luce del fatto che la percentuale di minori rom e sinti in Italia rappresenta lo 0,1%.131 Sebbene la suddetta ricerca rappresenti qualcosa di nuovo e di molto interessante, essa è tuttavia parziale e non aggiornata. Molti intervistati, tra cui alcuni attivisti per i diritti dei rom, insegnanti e membri di ONG hanno dichiarato che sarebbero invece utili statistiche ufficiali sul numero di minori rom coinvolti in pratiche di adozione o di affido così da definire le reali dimensioni della situazione e valutare l’efficacia delle politiche sociali e l’impatto dei progetti e infine, laddove necessario, elaborare alternative e nuovi metodi di intervento. L’obiettivo non dovrebbe essere creare una differenziazione tra rom e non rom, ma piuttosto valutare se ulteriori azioni siano necessarie per garantire effettivamente pari opportunità per tutti, con particolare riferimento al diritto dei bambini di vivere nella propria famiglia. III - Fattori che contribuiscono alla sovra-rappresentazione dei minori rom nel sistema di tutela dell’infanzia Numerosi intervistati hanno confermato l’esistenza di diffusi pregiudizi contro i rom: comunemente si crede addirittura che i
Il numero di procedure di adottabilità riguardanti i minori rom differiscono dal numero dei minori rom adottati dal momento che a volte una singola procedura riguarda due o più minori rom. In questo caso, ciò significa che le procedure di adottabilità sono state 227 ed hanno portato alla dichiarazione di adottabilità per 258 minori rom. 131 Carlotta Saletti Salza, “Dalla tutela al genocidio?”, ibid., 73. 130
67
minori rom siano facilmente vittime di situazioni nocive per il semplice fatto di essere rom o di vivere nei ‘campi per nomadi’. Motivo di pericolo per il minore sarebbe quindi la sola appartenenza alla comunità rom: i membri di una famiglia rom sono infatti considerati privi di capacità genitoriali e non in grado di prendersi cura dei propri figli. Il Governo italiano ha affermato che: ‘[…] il Governo ha introdotto misure atte a migliorare, sia qualitativamente che quantitativamente, le condizioni di tutti i rom e sinti e in particolare quelle dei minori che altrimenti verrebbero costretti dai genitori o da altri rom a chiedere l’elemosina o potrebbero essere vittime di violenza o di sfruttamento sessuale’.132 Tuttavia a quest’affermazione del Governo non fanno seguito comportamenti concreti e capaci di cambiare le condizioni di vita dei minori rom. Al contrario in molte città italiane gli sgomberi dagli insediamenti abusivi sono stati portati avanti senza che alcuna soluzione alternativa fosse offerta alle famiglie rom interessate. Secondo molti intervistati, rappresentativi delle istituzioni incaricate della tutela dei minori o in particolare dei minori rom, le pratiche che portano alla dichiarazione di un’adozione o all’allontanamento permanente di un minore rom dalla propria famiglia – con la conseguente decisione di sospendere o revocare la patria potestà – sono generalmente intraprese solo in presenza di gravi casi di abbandono o di abusi pesanti, quali violenza fisica, pedofilia, prostituzione, tratta, o quando il minore sia responsabile di un reato. In questi casi:
‘La procedura è la seguente: quando un minore viene trovato in stato di abbandono viene condotto alla stazione di polizia dalle forze dell’ordine, le
132 Comitato europeo per i diritti sociali, Written Submission of the Government on the Merits, Reclamo n. 58/2009, Centro per i diritti abitativi e gli sgomberi (COHRE) V. Italia, disponibile su: http://www.coe.int/t/dghl/monitoring/socialcharter/Complaints/Complaints_en.asp (ultimo accesso: 02/09/2010).
68
quali tentano di capire la situazione cioè se i genitori sono vivi e se è accaduto qualcosa in particolare. Di solito il minore fornisce le informazioni necessarie e quindi la polizia contatta il Tribunale dei Minor che, per prima cosa, sistema il minore in un centro d’accoglienza, [tale decisione viene presa in caso di] rapina,accattonaggio e sfruttamento sessuale, come accaduto nel caso di alcune ragazze portate qui nel 2006 per essere sessualmente sfruttate’.133 Più di un intervistato ha affermato che né l’accattonaggio né la mancata iscrizione scolastica o la scarsa frequenza rappresentano ragioni valide per separare un minore dalla propria famiglia, almeno non in modo permanente. L’idea dominante è che ‘I Rom si sono sempre comportati così con i bambini’.134 Perciò situazioni che normalmente determinerebbero l’intervento sociale o giudiziario, come l’abbandono scolastico o l’accattonaggio, sono al contrario accettate quando riguardano i minori e le famiglie rom.
‘Le istituzioni italiane sono avvezze ai gruppi di zingari, cioè tollerano che i minori rom si iscrivano a scuola senza che poi frequentino regolarmente e non comunicano tali informazioni alle autorità competenti […] a volte il pregiudizio che la loro cultura sia diversa dalla nostra serve a nascondere reali inadeguatezze dei genitori […] esiste, si, una cultura, ma ci sono anche degli elementi oggettivi […]’.135
Da una parte i rom finiscono troppo spesso nel sistema di tutela dei minori a causa di problemi all’interno dello stesso sistema che producono questi risultati. Da un’altra parte, e contempora-
Intervista con il responsabile del C.P.A. (centro d’accoglienza) di Napoli. Napoli: 25/10/2010. 134 Intervista con Egidio Turetti, responsible Pronto Intervento Minori, Municipality of Milan. Milan: 13 October 2010. 135 Intervista con Valerio Pedrone, Associazione “Padri Somaschi”. Milano: 24/09/2010. 133
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neamente, lo stesso sistema, con le sue politiche di laissez faire, ignora i problemi che colpiscono i bambini rom, problemi che, a loro volta, nascono dal pregiudizio che i rom sono gente che sfrutta i loro bambini e i cui bambini non vanno a scuola. La tendenza è quella di giustificare alcuni comportamenti dei rom basandosi su degli elementi culturali diversi e così non prendere misure che potrebbero aiutare le famiglie a superare le difficoltà in cui versano.136
‘Le autorità trattano i rom così come trattano i non-rom; tuttavia, la cultura rom è differente e i pregiudizi fanno sì che la prospettiva cambi. Ad esempio, se un minore italiano viene trovato trasandato e sporco, le autorità avvertono immediatamente i servizi sociali e constatano la negligenza dei genitori. Se la stessa cosa accade con un minore rom, la soglia di tolleranza è più alta e l’essere sporco e trasandato non costituisce motivo sufficiente per considerare il comportamento dei genitori come negligente: vanno cercate ulteriori prove’.137
Un giudice con una lunga esperienza nel campo della tutela dei minori e delle famiglie ha affermato: ‘i criteri usati dai Tribunali per i Minorenni per valutare le capacità dei genitori sono gli stessi sia per i rom che per i non-rom, senza né ostilità né pregiudizi che possano più facilmente portare alla dichiarazione della revoca della potestà genitoriale’.138 Secondo il giudice, non è possibile e neanche desiderabile che dei minori rom coinvolti in attività di accattonaggio o con presenze scolastiche discontinue vengano separati dalle proprie famiglie. Ele-
Tra gli altri: intervista a Valerio Pedrone, cordinatore, Associazione “Padri Somaschi”. Milano: 24/09/2010; intervista con un assistente sociale del III Distretto del Comune di Bari. Bari: 28/10/2010. 137 Intervista con il coordinatore del centro di tipo familiare “Fiore nel Deserto”. Roma: 8/07/2010. 138 Intervista con Laura Laera, avvocato della Corte di Appello di Milano, Sezione minori e famiglie, e presidente dell’AIMMF. Milano: 15/10/2010. 136
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menti come il fatto di vivere in un campo o chiedere l’elemosina non vengono presi in considerazione. D’altra canto, secondo le associazioni e i difensori dei diritti dei minori e dei rom, in numerosi casi i genitori rom sono stati oggetto di pratiche di sospensione della potestà genitorile perché il figlio era stato trovato a chiedere l’elemosina da solo o perché non frequentava la scuola: ‘È possibile affermare che, rispetto al totale della popolazione [dei rom], la percentuale [dei minori rom in affido] è molto alta. I problemi principali sono costituiti dall’accattonaggio e dalla vita nei campi, si, sono queste le due questioni principali. Nel corso degli anni ci sono state decine di sentenze di sospensione della potestà genitoriale per accattonaggio e per le condizioni di vita nei campi. Ci sono stati perfino casi di sospensione preventiva, al momento della nascita dei figli. Il Tribunale prevedeva che una volta iniziata la vita in un campo, i figli avrebbero cominciato a chiedere l’elemosina e dunque giudicava opportuno sospendere la potestà genitoriale: una violazione dei diritti umani. Nel corso degli anni io ho personalmente visto decine e decine di casi di sospensione o di revoca della potestà genitoriale. Al momento ci sono più di dieci processi in cui la sospensione è contemplata.’139 La questione del coinvolgimento dei bambini rom in attività di accattonaggio scatena dibattiti e reazioni accese: è vista come una forma di sfruttamento, come una grave mancanza di responsabilità da parte dei genitori che, invece di mandare i propri figli a scuola, li usano per guadagnare. Un rappresentante della comunità rom di Bari ha dichiarato: ‘Se i genitori non hanno la possibilità di dare da mangiare ai propri figli, di offrire loro di che vestirsi e cose del genere, chiedere l’elemosina è un gesto normale per sostenere la propria famiglia. Se le istituzioni dessero alle famiglie rom in difficoltà un posto decente dove vivere e un lavoro, i bambini
Intervista con Cristian Valle, avvocato e tutore di bambini e famiglie rom. Napoli: 20/09/2010. 139
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non verrebbero mandati a chiedere l’elemosina’.140 D’altro canto, la ricerca sul campo ha scoperto che tra i rom è molto presente l’idea (non del tutto infondata) che i gagè sottraggano loro i figli.141 Da alcune dichiarazioni è emerso quanto sia difficile che si crei una relazione di fiducia tra le comunità rom e i servizi sociali, dato che gli assistenti sociali sono spesso visti come coloro che portano via i figli ai genitori e anche che la minaccia dell’allontanamento del figlio è a volte usata dalle istituzioni quando queste entrano in contatto coi rom. Sia le famiglie rom, sia le figure che dotate di diverse competenze sono a stretto contatto con loro parlano spesso di quanto potere discrezionale venga usato e ampiamente al momento di esaminare il grado di pericolosità della situazione in cui versa un minore rom. Inoltre emerge come in tali situazioni i genitori rom abbiano veramente paura, dal momento che spesso non ricevono informazioni complete e precise sulle procedure legali, sui loro diritti e sui loro doveri. La fase della valutazione delle capacità genitoriali rappresenta per le famiglie rom il momento più critico: le ragioni sono molte e di diverso tipo a partire dal fatto che chi è privo di un permesso di soggiorno teme di entrare in contatto con le istituzioni giudiziarie; questo, sommato alla reciproca diffidenza che intercorre tra i rom e gli assistenti sociali e alla mancanza di figure professionali che assicurino l’accesso, la consapevolezza e la partecipazione in questo passaggio importante, rende le famiglie rom di fatto escluse da tutte le procedure. È emblematico il caso di una minore rom di origini serbe residente nel campo ‘Salone’, a Roma, con la sua famiglia: all’età di 10 anni venne prelevata a scuola dalla polizia in seguito a denun-
Intervista con Danief Tomescou, Presidente dell’associazione“Artezian”. Bari: 29/10/2010. 141 Tra gli altri: intervista con Valerio Perdone, Milano, intervista con un assistente sociale, III Distretto, Bari. Vedi anche Carlotta Saletti Salza, “Dalla tutela al genocidio?”, citato. 140
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cia di presunta violenza perpetrata a suo danno dal compagno della madre. La bambina fu sistemata in un centro lontano dalla città. Sia la madre che il resto della famiglia non ricevettero alcun tipo di informazione da parte del Tribunale o dai servizi sociali e per più di 3 mesi non ebbero notizie, cioè fin quando la bambina, fuggendo dal centro, fece ritorno a casa. Dopo poche ore però gli assistenti sociali arrivarono al campo a riprenderla e la reazione della minore fu molto violenta, opponendo resistenza e arrivando addirittura a colpire ripetutamente uno degli assistenti sociali. In seguito fu messa in altri due centri, sempre a Roma, da ciascuno dei quali però fuggì.142 Un rom di 38 anni proveniente dall’Ex Jugoslavia ha raccontato che due dei suoi figli furono messi in due diverse case famiglia e che vi furono tenuti per più di 3 anni: ‘Un giorno un assistente sociale arrivò al campo, accompagnato dai agenti di polizia dell’ufficio immigrazione e dai vigili urbani, e mi ordinò di portare uno dei miei figli più piccoli in ospedale per una visita. Dopo la visita, però, il bambino venne portato in un centro di tipo familiare senza che ci fosse data alcuna spiegazione. Passata una settimana ricevetti dei documenti che mi informavano che il bambino era stato trovato in uno stato di trascuratezza e di abbandono. Dopo un’altra settimana, loro (gli assistenti sociali e gli agenti di polizia) tornarono a prendere anche il bambino di sette anni, ma io lo presi e tentai di scappare: ma arrivarono polizia e carabinieri e lo portarono via. In seguito, mia moglie partorì un’altra figlia e dopo tre giorni l’abbiamo lasciata a casa per andarla a registrare. Quando, dopo pochi minuti, siamo tornati, non siamo riusciti a trovarla da nessuna parte: più tardi è stata
142 Intervista con una ragazza rom di 15 anni. Roma: 27/09/2010. Ha riferito: ‘Non conservo brutti ricordi del centro in cui ho vissuto, in particolare nel periodo in cui avevo la possibilità di chiamare regolarmente mia madre. Nell’ultimo centro in cui sono stata, c’erano altre ragazze rom e mi sentivo trattata come tutti gli altri. Per quanto riguarda gli assistenti sociali ho dei bei ricordi, soprattutto dei più giovani, ai quali ho potuto confidare i miei problemi e i miei desideri; il problema era che non mi lasciavano tornare a casa’.
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adottata. […] Non ho mai ricevuto aiuto da nessuno ed ho speso molti soldi per gli avvocati. All’improvviso mi hanno ridato indietro i miei figli; non so per quale motivo’.143 Un’altra giovane coppia rom residente in Italia da più di 20 anni in un campo autorizzato di Roma ha raccontato come i suoi 5 figli, di 11, 9, 8, 6 e 3 anni, siano stati portati via pochi mesi prima che fosse condotta questa ricerca. Anche questi genitori non ne hanno mai capito il motivo. La madre ha raccontato che: ‘Una mattina, senza preavviso, un’assistente sociale donna è venuta a casa nostra per verificare che la baracca fosse pulita; poiché erano all’incirca le 11, avevo iniziato a preparare il pranzo per i miei figli. L’assistente sociale allora ha detto che era troppo presto per mangiare. Ho provato a spiegarle che noi non abbiamo degli orari prestabiliti per mangiare e che sia gli adulti che i bambini mangiano quando hanno fame. L’assistente sociale ha reagito nervosamente, dicendo che i bambini hanno bisogno di orari prestabiliti per i pasti e che devono mangiare insieme all’intera famiglia. Non ha aggiunto altro e se ne è andata. L’anno seguente verso le 6 di mattina arrivarono circa quaranta pattuglie di polizia e portarono tutta la nostra famiglia alla locale stazione di polizia dove trovammo ad aspettarci l’assistente sociale. Controllarono i nostri documenti: io e mio marito avevamo il permesso di soggiorno ma i nostri figli furono portati via lo stesso. Il più piccolo, di soli 2 mesi, non era nella lista di coloro che dovevano esser portati via solo perché l’assistente sociale non sapeva che fosse nato’.144 Entrambi i genitori sono analfabeti e non furono in grado di leggere i documenti che gli vennero dati. Alla stazione di polizia, gli fu detto che i loro figli erano sporchi e che il problema principale era, secondo l’assistente sociale, che il padre era tossicodipendente e violento nei confronti dei bambini. L’uomo ha dichiarato di non avere mai dato più di uno schiaffo ai bambini e solo perché andassero a scuola e di essere disposto a fare le Intervista con un Rom di 38 anni. Roma: 25/06/2010. Intervista con un Rom a Tor de’ Cenci. Roma: 25/07/2010.
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analisi del sangue per dimostrare di non far uso di droghe. Però l’assistente sociale non prese minimamente in considerazione le sue affermazioni.
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Adozione e Affido: La questione dell’identità etnica Gli esperti che lavorano con le coppie che intendono adottare dei figli definiscono i bambini rom dichiarati adottabili come ‘i più svantaggiati tra gli svantaggiati’, e in particolare quelli istituzionalizzati per aver subito maltrattamenti psicologici e fisici. Inoltre le ricerche parlano di una diffusa riluttanza ad adottare bambini rom poiché le coppie italiane li giudicano nomadi, privi di radici, tendenti naturalmente alla devianza e all’accattonaggio.145 Tale pregiudizio si riflette anche sulle procedure dell’affidamento: generalmente i bambini rom vengono collocati in strutture residenziali mentre la sistemazione in famiglie affidatarie è rara in quanto anche queste continuano a pensare che la cultura del popolo rom porti, come conseguenza naturale, l’attitudine all’accattonaggio, al furto, agli espedienti e, di conseguenza, che sia troppo difficile inserire i minori rom in famiglie affidatarie.146 Per quanto riguarda le adozioni, in una recente sentenza la Corte di Cassazione ha dichiarato discriminatoria la pratica di indicare, nel corso della richiesta di adozione, preferenze sull’origine etnica.147 Il caso in questione non riguardava direttamente i rom
Intervista con Chiara Lamagli, psicologa, AiBi. Bari: 28/10/2010. Intervista con Chiara Lamagli, ibid. 147 Corte di Cassazione, Sentenza n.13332 del 01/06/2010, emessa contro la sentenza del Tribunale di Catania che affermava l’idoneità per l’adozione di una coppia non disposta ad accogliere bambini con la pelle nera o non-europei. Consultabile su: http://www.cortedicassazione.it/Notizie/GiurisprudenzaCivile/SezioniUnite/SchedaNews.asp?ID=2746 (ultimo accesso: 02/09/2010). 145 146
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ma la sentenza ha stabilito un importante principio applicabile anche nel caso dei rom. Come già sottolineato, l’aspetto della diversità culturale viene usato per spiegare la difficoltà dei bambini rom ad integrarsi ed essere accettati nelle famiglie in cui nessun membro appartenga alle comunità rom. In altri casi, quando il reinserimento nella famiglia di origine è considerato possibile, le istituzioni competenti evitano di affidare il minore in famiglie non rom poiché ‘si tratta di un mondo troppo differente ed il minore, dopo aver vissuto per uno o due anni con una coppia italiana con possibilità economiche, una bella casa, una scuola adeguata, l’opportunità di fare sport e di andare in vacanza, non vuole tornare nella sua famiglia e diviene complessa la reintegrazione nella comunità di origine. Di conseguenza, è stato sperimentato l’affido in famiglie rom, possibilmente all’interno di famiglie allargate con caratteristiche idonee a preservare le radici culturali del minore e ad evitare pene familiari dovute alla perdita dei figli’.148 Una delle principali differenze tra i bambini in affido nonrom e quelli rom è che la maggior parte di questi ultimi scappa dai centri d’accoglienza dopo pochi mesi o addirittura dopo pochi giorni. Fatta eccezione per la città di Bolzano, questo fenomeno è diffuso in tutte le città in cui è stata condotta la presente ricerca. Gli assistenti sociali e il personale dei centri per minori hanno confermato questo trend, spiegandolo a volte in una prospettiva culturale: la cultura rom pone la famiglia come valore fondamentale e punto di riferimento essenziale e di conseguenza quando si tratta di minori rom il distacco dalla famiglia e la sistemazione in un centro sono considerati pericolosi. L’aspetto culturale viene infatti usato per spiegare comportamenti criminali o la tendenza a rifiutare l’affido: sono entrambi attribuiti alla fedeltà ai legami familiari e all’impossibilità di distaccarsi da tali vincoli e sperimentare un modo di vivere diverso
Intervista con Enrica Gazzaneo, tutrice, Comune di Roma. Roma: 21/06/2010.
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e indipendente dalle relazioni e dall’approvazione dei familiari. Un educatore con 14 anni di esperienza in un centro di tipo familiare a Roma sostiene che i minori rom abbiano un forte senso di appartenenza al clan e per questo motivo tendano a scappare dai centri.149 A Napoli un’altra responsabile di una casa famiglia con 10 anni di esperienza ha raccontato che una delle principali differenze tra i minori rom e gli altri è che i primi generalmente resistono poco nel centro, massimo 2 o 3 mesi, mentre i secondi di solito non lasciano il centro.150 Ha dichiarato: ‘Non conosco il motivo per cui non ci sono mai adozioni di bambini rom; credo che i rom siano eccessivamente legati alla propria cultura e che potrebbero resistere solo per breve tempo a contatto con altre famiglie’.
Intervista con un educatore di un centro di tipo familiare a Roma. Roma: 9 July 2010. 150 Intervista con un responsabile di un centro di tipo familiare a Napoli. Napoli: 27/09/2010. 149
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Discriminazione e Segregazione Il lavoro sul campo ha rivelato un forte pregiudizio contro i rom: lo staff dei centri, gli assistenti sociali e coloro che sostengono di non fare alcuna distinzione tra i rom e i non–rom spesso enfatizzano come la cultura rom consideri normale l’accattonaggio, la vita in un campo e situazioni di degrado al limite della dignità umana. A volte i rappresentanti delle istituzioni, quando entrano in contatto coi rom, fanno ricorso alla minaccia dell’allontanamento dei figli. È emblematico il racconto di un assistente sociale:
‘Quando due gruppi familiari di rom hanno costruito delle baracche sotto il ponte della ferrovia tra Pianura e Soccavo, queste sono state distrutte e noi (assistenti sociali) abbiamo detto loro di andarsene altrimenti, la volta seguente, avremmo messo i loro figli in un istituto. Un’altra volta, quando sono andato al campo di Pianura, situato in uno spazio privato […] quello che mi ha colpito è stato il fatto che loro, cioè i rom, vivessero tra ratti e sporcizia e che tutto ciò lo considerassero normale. Se fossero stati cittadini italiani, avremmo immediatamente adottato misure di sicurezza per i bambino, ma in quel caso abbiamo lasciato stare: in primo luogo perché si trattava di uno spazio privato per il quale pagavano regolarmente l’affitto e poi perché per loro era tutto così naturale’.151
Molti intervistati hanno dichiarato che, una volta entrati nel sistema di protezione dell’infanzia, i minori rom ricevono esatta-
Intervista con il responsabile dei servizi sociali del Municipio IX Pianura-Soccavo. Napoli: 1/10/2010. 151
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mente lo stesso trattamento degli altri bambini. Tuttavia, lo staff dei centri per minori da un lato considera i bambini rom più ‘svegli’ degli altri, più autonomi e più maturi dei coetanei, ma, dall’altro lato, sottolinea le difficoltà di apprendimento dei rom, spesso neanche iscritti a scuola quando arrivano al centro. Di conseguenza la scolarizzazione diventa uno dei principali obiettivi da raggiungere, nonostante il fatto che, secondo molti, ‘la cultura rom non sia adatta all’apprendimento’ e la differenza d’apprendimento dei giovani rom ‘non sia una questione di intelligenza, bensì di carenze nel loro DNA’.152 In alcuni casi, il personale dei centri d’accoglienza ha sottolineato la necessità di insegnare ai rom la cultura italiana o, almeno, di educarli sui diversi aspetti lacunosi della loro educazione d’origine: ad esempio, educarli a rispettare gli orari dei pasti e a collaborare con gli altri giovani nelle faccende domestiche quotidiane. Un responsabile di una struttura residenziale di Napoli ha dichiarato: ‘Noi portiamo avanti progetti interculturali per insegnare la cultura italiana, altrimenti per quale motivo i rom dovrebbero trovarsi qui?’.153 Un mediatore sociale esperto in rapporti con istituzioni di giustizia minorile154 e coi campi rom ha dichiarato che in generale ‘coloro che lavorano in istituti per minori hanno una scarsa conoscenza della cultura rom, anche quando il centro ha un modo di lavorare apprezzabile’. Ad esempio ‘alcuni lavorano sodo per stabilire degli orari: cosa del tutto inutile perché ma i rom non mangiano ad ore prestabilite bensì solo quando
152 Intervista di un assistente sociale di un centro di tipo familiare di Roma. Roma: 9/07/2010. 153 Intervista con un responsabile di un centro di tipo familiare nella Provincia di Napoli. Napoli: 13/10/2010. 154 Gli istituti del Centro di Giustizia Minorile (CGM) sono i centri di pronta accoglienza (CPA), l’Ufficio del servizio sociale minori (USSM) e gli istituti penitenziari per minori (IPM).
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hanno fame’ percui accade che ‘un ragazzo di 14-15 anni si ritrovi in un luogo in cui questa cosa non è capita’, anzi, il ragazzo a volte è costretto a cambiare le proprie abitudini anche quando la sistemazione extra-familiare è temporanea e dura pochi mesi, creando dunque tensioni inutili. Inoltre un approccio del genere fa sì che i genitori rom si sentano incapaci di educare i propri figli così come fanno gli italiani.155 I ricercatori hanno notato che i minori rom intervistati nei centri tendono a rinnegare la propria cultura; alcuni di loro dimenticano addirittura la propria lingua madre e mostrano gratitudine verso chi li ha accolti. Gli operatori del centro parlano di integrazione perfettamente riuscita, generalmente facendo riferimento alla rimozione della cultura d’origine. Come racconta una ragazza rom di 17 anni residente in un centro di tipo familiare:
‘A chi non sa nulla sui rom, direi che ve ne sono di buoni e di cattivi, visto che chi ne è estraneo non sa neanche cosa significhino le parole ‘rom’ o ‘zingaro’ […]. Qui si dice che i rom hanno tradizioni, che le bambine vengono promesse agli anziani, che dobbiamo sposarli a 14/15 anni e che se ci ribelliamo ci picchiano o ci uccidono [...]. Quando vivevo al campo rom, non andavo a scuola perché non mi andava e i miei genitori non mi mandavano. C’era gente che ci avrebbe portato a scuola ma io non potevo: dovevo andare a chiedere l’elemosina e dovevo prendermi cura dei miei fratelli e delle mie sorelle più giovani. Poi, quando stavo nel centro prima di questo, ho terminato le scuole medie […]. A volte ero vittima di comportamenti razzisti, la gente non capiva e mi insultava, ‘sei una zingara’,finché ho lasciato perdere e me ne sono andata. Non l’ho mai detto a nessuno, malgrado mi facesse molto arrabbiare. Tutto questo accadeva fuori dal centro, mai dentro. Secondo me la gente parla in questo modo perché ha paura: pensa che noi siamo lì per
Intervista con un mediatore sociale della ONG “Save the Children”. Roma: 13/07/2010. 155
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rubare. Però succede anche perché noi rom non ci comportiamo bene, anche se, in realtà, noi figli siamo avvantaggiati rispetto ai nostri genitori e abbiamo più opportunità: loro hanno passato l’infanzia in Jugoslavia mentre noi, che siamo nati in Italia e cresciuti in centri di tipo familiare, siamo diversi’.156 La carenza di mediatori culturali e sociali e di tutori ‘etnici’ così come la mancanza di programmi organici che promuovano la conoscenza e la tutela della cultura rom e che sostengano le famiglie in difficoltà, rivelano la mancanza di competenze professionali per relazionarsi ai rom e la mancanza di interventi sociali funzionali al superamento di situazioni difficili in cui i rom possano trovarsi. Nel caso in cui venga deciso l’inserimento in strutture statali di accoglienza, questa ricerca non ha riscontrato preferenze o pregiudizi che potessero influire sulle decisioni riguardanti i bambini rom: essi vengono inseriti negli stessi centri in cui vanno tutti gli altri. Tuttavia, sulla base di esperienze pregresse, gli istituti religiosi non sono ritenuti tra i più adatti: ‘in passato non tutte le comunità familiari erano disposte a ospitare bambini rom, visti i molti pregiudizi che pesano su di loro e questo vale, in particolare, per gli istituti cattolici gestiti da suore’.157 Attualmente a Roma esiste un centro di tipo familiare considerato ‘specializzato’ dal momento che negli ultimi 10 anni ha ospitato un consistente numero di bambini rom.158 Tale centro ha anche realizzato progetti di reintegrazione con le famiglie di origine: educatori professionisti e altre figure adulte sostengono l’intera famiglia ed il minore nella fase del ritorno. Questi tipi di programmi aiutano ad evitare conflitti interIntervista con una ragazza rom di 17 anni. Napoli: 29/09/2010. Intervista con Enrica Gazzaneo, tutrice del Comune di Roma. Roma: 21/06/2010. 158 Intervista con Vittoria Quondamatteo, responsabile di un centro di tipo familiare “Fiore nel Deserto”. Roma: 8/09/2010. 156
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familiari e ad incoraggiare tutti i membri ad essere partecipativi e protagonisti. A quanto ci risulta questi progetti si sono dimostrati efficaci nel ridurre i conflitti tra i rom e i servizi sociali che non vengono più considerati come ‘coloro che sottraggono i bambini’ ma piuttosto come persone che aiutano le famiglie a ristabilire l’equilibrio interno. Alcune famiglie rom hanno riferito di essere state costrette dal personale dei centri o assistenti sociali ad usare la lingua italiana per comunicare coi propri figli collocati nelle strutture residenziali, affinché gli assistenti sociali potessero comprendere ogni conversazione.159 Poiché però il vocabolario italiano dei rom è spesso limitato – soprattutto quello dei Rom rumeni – essi raccontavano anche quanto questa situazione si facesse per loro frustrante. Inoltre, alcune famiglie hanno riferito che i centri in cui si trovano i loro figli sono spesso distanti dal posto in cui esse vivono e che quindi potevano comunicare soltanto per telefono. Secondo quanto riferito da una donna rumena residente in un campo nella zona nord-est di Napoli:
‘Uno dei bambini aveva 10 anni e l’altro 9, eravamo al semaforo per chiedere l’elemosina; la più piccola piangeva perché voleva un panino e la polizia ha creduto che la stessi picchiando. Ho passato 3 giorni in prigione a Pozzuoli, sono stata accusata di violenza e la bambina mi è stata sottratta per un mese. Chiamavo con mio marito ogni giorno ma ci impedivano di vederla, non so perché e, quando telefonavo, il responsabile del centro di tipo familiare mi diceva che potevo parlare solo italiano con mia figlia. Io non so parlare italiano e neppure lei, così potevamo parlare pochissimo’.160 Intervista con Cristian Valle, avvocato e tutore di bambini e famiglie rom. Napoli: 20/09/2010. 160 Intervista con una donna rom residente in un campo nella zona nord-est di Napoli. Napoli: 29/09/2010. 159
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Ulteriori considerazioni L’analisi del sistema di protezione dell’infanzia in Alto – Adige ha mostrato che un diverso modello di intervento è realizzabile. Le interviste dimostrano che in questa provincia i servizi sociali appoggiano le famiglie e i minori e, conseguentemente, le procedure di affidamento e di adozione sono intraprese raramente.161 Qui, per superare le difficoltà, il sistema locale di protezione dell’infanzia cerca di realizzare i programmi di educazione facendo in modo che l’intera famiglia venga coinvolta. Alcuni intervistati hanno dichiarato che il Tribunale per i Minorenni di Bolzano interviene con un approccio più elastico quando si trova a trattare situazioni riguardanti i minori rom e sinti. Per questi minori i giudici cercano di evitare affidamenti fuori della famiglia di origine con sospensione o revoca della potestà genitoriale:
‘Proviamo a cooperare con la famiglia per migliorare la situazione di estremo disagio; quindi, nel caso in cui ci siano le condizioni per aiutare il minore viene raccomandata l’ assistenza temporanea e solo nei casi più seri – rari - dichiariamo l’adottabilità162 […] In vent’anni di esperienza non ho mai visto un affidamento di minore seguito dalla sua adozione. Ricordo soltanto il caso di un minore sistemato in un centro familiare col consenso dei genitori per via di gravi disturbi mentali. In un altro caso, venne comunicato ad una donna che viveva in un campo rom che avrebbe dovuto affidare i suoi
Intervista con S.G., mediatore culturale-linguistico, “Odar Caritas” ONG. Bolzano: 21/07/2010. 162 Intervista scritta con Judge Benno Baumgartner, Tribunale dei Minori di Bolzano. 161
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tre bambini ai servizi sociali. Poiché questi si rifiutarono in modo categorico, i servizi sociali avviarono un programma che metteva a disposizione della famiglia un educatore che ogni giorno visitava i bambini al campo, ricoprendo un ruolo di assistenza e supporto’.163 I bambini rom vengono a contatto con i Tribunali soltanto in caso di gravi difficoltà164. Generalmente però le istituzioni ‘tentano di cooperare con le famiglie per migliorare le situazioni di intollerabile povertà; se non ci sono risorse familiare e manca la loro collaborazione nell’aiutare i minori, si fa ricorso all’affido temporaneo e solo nei casi più gravi (molto raramente) i minori vengono dichiarati adottabili’.165 Nella Provincia autonoma di Bolzano, le istituzioni responsabili della protezione dei minori sono innanzitutto i Distretti socio-sanitari dei Comuni, i quali collaborano con le organizzazioni no-profit private e con le scuole, svolgendo un ruolo molto importante. L’azienda dei Servizi Sociali di Bolzano – ASSB – possiede le principali competenze riguardo la tutela dell’infanzia ed è divisa in distretti, ciascuno corrispondente ad una zona della città. I distretti più coinvolti nella questione dei rom, per via della loro presenza sul territorio, sono ‘Don Bosco’ e ‘Europa-Novacella’. Qualche anno fa, l’ASSB ha deciso di creare un nuovo servizio chiamato SIS (Sistema Integrazione Sociale), dotato di competenze trasversali anziché territoriali e responsabile anche dei minori rom e sinti residenti nei due campi autorizzati gestiti dal Comune. La scelta di creare tale istituzione è stata criticata da molti poiché ha portato all’emarginazione dei rom, considerati come un fenomeno da trattare separatamente dal resto della popolazione. Di conseguenza le famiglie rom che vivono nei campi
Intervista a S.G., mediatrice culturale Odar – Caritas, Bolzano 21.07.10. Intervista con Anna Bergonzini, assistente sociale e Nigritella Pilat, educatore Don Bosco, Bolzano:23 e 28/07/2010. 165 Intervista scritta con Judge Benno Baumgartner, Tribunale dei Minori di Bolzano. 163
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sono di competenza del corpo specializzato del SIS, mentre i rom residenti in case popolari o private sono di competenza dei servizi sociali operanti a livello di territorio. Nel quartiere Europa-Novacella uno degli assistenti sociali intervistati ha accennato a 10 casi, 5 Rom e 5 Sinti, presi in carico dal Distretto.166 Questi casi erano stati denunciati ai servizi sociali da più parti, cioè dal personale scolastico, dal pubblico ministero, dal personale degli uffici responsabili dell’assistenza economica alle famiglie in difficoltà. La questione è stata affrontata attraverso misure preventive, soprattutto educative, in particolare nei casi in cui esistevano elementi di rischio o situazione nocive. Di solito i servizi sociali agiscono senza fare ricorso all’intervento dei Tribunali, ma, in alcuni casi, non si può farne a meno. In alcuni casi i servizi sociali riferiscono situazioni rischiose alle associazioni private. Una di queste si chiama ‘La Strada’, non ha minori rom nelle sue strutture ma sta realizzando un progetto di scolarizzazione dedicato a cinque bambini rom. Il programma consiste nell’avvicinare minori rom per le strade o nei loro luoghi di incontro, evitando qualsiasi tipo di intervento istituzionale. In seguito ad alcuni incontri iniziali, una volta costruito un clima di fiducia, gli operatori iniziano il programma di scolarizzazione, coinvolgendo anche le famiglie. Fin’ora i risultati sono stati soddisfacenti dal momento che le famiglie rom si rivolgono agli operatori anche per altri aspetti della vita dei loro figli.167
Intervista con Anna Bergonzini, assistente sociale, Bolzano: 28/07/2010. Intervista con N. P., educatore. Bolzano: 30/07/2010.
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Conclusioni Un sistema che si prefigge di tutelare i minori e i loro interessi dovrebbe basarsi su azioni e interventi preventivi: quando possibile, dovrebbe evitare che le famiglie vivano problemi e situazioni dannose per i minori e, qualora ciò non sia fattibile perché tali situazioni sono già presenti, dovrebbe allora ridurre il loro impatto sui minori ed evitare che tali situazioni a rischio diventino croniche o si aggravino. In Italia, la legislazione nazionale stabilisce le priorità e i principi generali mentre alle autorità locali, regioni e province, è richiesto di adottare e realizzare le politiche di intervento sociale. I tribunali operano invece con strumenti diversi, a seconda dell’efficacia dell’intervento sociale. Il sistema risulta dunque essere disomogeneo così che la qualità e il tipo di servizi sono notevolmente differenti da un territorio ad un altro. Questa ricerca ha mostrato che, nell’ambito del sistema di tutela dell’infanzia, i bambini rom non ricevono le attenzioni necessarie, nonostante le situazioni in cui versano – spesso di povertà e di esclusione sociale – richiederebbero soprattutto degli interventi preventivi. Al contrario, le azioni e le politiche dirette ai rom sono generalmente discontinue e frammentarie, spesso lasciate alla buona volontà del settore del privato sociale, comprese le ONG e le associazioni di volontariato. Le interviste hanno mostrato che il modello dominante di intervento considera i rom come persone che hanno continuamente bisogno di assistenza, come un’emergenza da contenere o come una que87
stione di pubblica sicurezza. Un sistema di questo tipo non ha certo incoraggiato né l’autodeterminazione né le capacità di indipendenza delle famiglie e delle comunità rom più escluse. Seppur il campione delle strutture per minori visitate nel corso dello studio non sia rappresentativo, è emerso come in tali centri il numero dei bambini rom sia notevolmente alto rispetto a quello degli altri bambini, soprattutto in relazione al rapporto tra la popolazione rom e la popolazione totale italiana. Se la mancanza di dati ufficiali non ha permesso di realizzare una valutazione precisa circa i bambini rom presenti in strutture per minori, l’investigazione teorica e sul campo ha mostrato che quando si tratta di rom l’affido e l’adozione non vengono utilizzate come rimedio estremo. Le famiglie rom non sono coinvolte in programmi contro l’esclusione socio-economica in cui molte di loro versano. Il valore della cultura rom non è riconosciuto, mentre sono diffusi, anche tra coloro che fanno parte del sistema di tutela, gli stereotipi e i pregiudizi sui rom, percepiti come nomadi, inaffidabili, mendicanti o addirittura ladri e non vien fatta alcuna distinzione tra rom italiani ed immigrati, rumeni o ex-jugoslavi. Di conseguenza, l’opinione dominante è che sia necessario educare i bambini rom ed insegnargli le regole di vita basilari tenendo conto che, però, chiunque sia esterno alle loro famiglie di origine è in grado di crescerli meglio di quanto possano fare i genitori naturali. Per colpa degli stessi pregiudizi i bambini rom difficilmente vengono presi in affido da famiglie o adottati. Quando non scappano dagli istituti per minori, ci restano per lungo tempo. In un numero notevole di casi, i minori rom entrano nel sistema di tutela dell’infanzia in seguito all’intervento delle forze dell’ordine perché trovati ad elemosinare o perché non frequentano le scuole, mentre per mancanza di politiche sociali, gli assistenti sociali e le altre figure che dovrebbero intervenire per 88
prevenire situazioni di rischio, non si rendono conto delle condizioni di degrado in cui vivono le famiglie rom. Di conseguenza l’intervento giudiziario spesso sostituisce gli interventi preventivi di natura sociale. Il coinvolgimento attivo dei genitori rom nelle procedure a tutela dei minori non solo non è affatto incoraggiato, ma in genere la loro partecipazione è frenata dalla mancanza fiducia nei confronti dell’autorità pubblica, da timori e dalla scarsità di informazioni ricevute dalle autorità. La tendenza generale tra gli assistenti sociali per l’infanzia è quella di enfatizzare l’inadeguatezza della struttura familiare rom e condannare fermamente la questua e l’abbandono scolastico, fenomeni che invece mostrano le precarie condizioni in cui vivono quei minori rom. I pregiudizi e gli stereotipi di cui i rom sono vittime, profondamente radicati e spesso inconsci, emergono addirittura dai discorsi di chi lavora per gli stessi rom. Essi sono dipinti come quelli che vivono nei campi, poco istruiti se non completamente analfabeti, abituati a vivere in ambienti sporchi e degradati, senza voglia di lavorare, al quale preferirebbero, per guadagnarsi da vivere, l’accattonaggio o, ancora peggio, piccoli reati e furti. Persone di questo tipo non sono considerati genitori capaci di trasmettere ai loro figli i valori che la nostra società considera fondamentali. Di conseguenza, il sistema di previdenza sociale per l’infanzia è più attento ad allontanare il minore dalla famiglia di origine piuttosto che a colmare i vuoti che espongono il minore al rischio di situazioni familiari esplosive. All’interno di questo contesto, la risposta dello Stato non è né un intervento sistematico di sottrazione di tutti i minori rom alle proprie famiglie seguito dalle corrispettive dichiarazione di adottabilità, né un intervento mirato a realizzare programmi di sostegno alle famiglie rom in difficoltà. In molti casi, non viene fatto quasi nulla per migliorare la situazione dei Rom e per garantirne l’accesso ai diritti fonda89
mentali. In altri casi, l’unica politica adottata è stata quella degli sgomberi forzati intrapresi dalle autorità locali senza che sia prevista una soluzione abitativa alternativa: una politica che può solo peggiorare la situazione, già compromessa, dei rom. Il sistema di protezione dell’infanzia italiano è frammentario: i diversi attori sono spesso isolati, non sono coordinati tra loro e non riescono a tutelare e promuovere concretamente i diritti dei minori rom. La conseguenza è che molte situazioni a rischio restano dimenticate poiché le stesse autorità competenti ne sono totalmente allo scuro. Il governo italiano affronta la questione dei rom principalmente attraverso il ricorso a misure di emergenza e i programmi di sostegno alle famiglie di origine sono veramente rari. Si registra un fallimento generale nel prendere in giusta considerazione tutte quelle differenze che davvero contano e nell’adottare misure adeguate per assicurare che i diritti e i benefici collettivi a cui tutti dovrebbero avere accesso siano davvero accessibili a tutti.168 Azioni differenziate possono invece incoraggiare e sostenere il miglioramento delle condizioni di vita delle famiglie rom e questo promuoverebbe anche i diritti dei minori.
168 Vedi tra gli altri, Autism-Europe v.France, Reclamo n.13/2002, sentenza in merito del 4/11/2001, § 52 ed ERRC v. Bulgaria, Reclamo n. 31/2005, sentenza in merito del 18/10/2006, § 40).
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Raccomandazioni al Governo Sulla base dei risultati della presente ricerca, il Governo italiano dovrebbe:
1. Abrogare i provvedimenti locali che permettono alla polizia e alle altre autorità di sottrarre i bambini rom alle loro famiglie senza seguire l’iter legale previsto;
2. Inserire una definizione di ‘rischio per il minore’ nella legge italiana e fornire una guida agli assistenti sociali e ai giudici per giudicare tale rischio nella situazione più oggettiva possibile;
3. Sviluppare politiche nazionali specifiche sulla tutela dell’infanzia, sui diritti dei minori in Italia e sull’inclusione dei rom;
4. Adottare un piano d’azione nazionale focalizzato sulla situazione dei rom, che attraverso politiche coordinate promuova i diritti dei minori inclusi il diritto all’alloggio, all’istruzione, alla salute e alla famiglia; 5. Raccogliere dati disaggregati per appartenenza etnica sui bambini coinvolti nel sistema di protezione di infanzia così da valutare l’efficacia e le lacune del sistema stesso;
6. Condurre un’indagine istituzionale sulla situazione dei minori rom; 91
7. Assicurare che nessun bambino venga allontanato dalla propria famiglia solo per ragioni economiche;
8. Prevedere una formazione adeguata che comprenda la conoscenza della cultura rom e delle condizioni di vita in cui i rom versano per tutte le figure che, con compiti diversi e a livelli diversi, si occupano di minori e di famiglie rom;
9. Promuovere la partecipazione attiva delle famiglie rom, anche in termini di comprensione dei propri diritti e doveri ed incoraggiare la loro partecipazione sociale, economica e politica; 10. Promuovere un coordinamento ed una condivisione di informazione tra chi si occupa del sistema di protezione dell’infanzia
11. Attuare politiche sociali volte a ‘normalizzare’ la condizione dei rom, in particolar modo per quanto riguarda l’alloggio, la salute, l’istruzione ed il lavoro, mirate a superare la soluzione sempre negativa del campo e ad affrontare concretamente la questione della povertà e della disoccupazione dei rom; 12. Realizzare programmi strutturati di reintegrazione all’interno delle famiglie di origine, in cooperazione coi servizi sociali e i centri in cui vengono sistemati i minori;
13. Promuovere la creazione di un continuo scambio di informazioni sulle buone pratiche adottate a livello locale, dalle istituzioni come dalle associazioni, e garantire la partecipazione dei rappresentanti rom e sinti; 14. Creare un metodo di valutazione per i centri dove i minori vengono sistemati; 92
15. Formare e assumere lavoratori rom e sinti come assistenti sociali e come operatori nel sistema di tutela dell’infanzia;
16. Prevedere una formazione anti-discriminazione per assistenti sociali, lavoratori del settore della protezione dell’infanzia, giudici e altre figure di rilievo;
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Numero totale delle interviste 92 interviste di cui:
- 8 interviste presso il personale dei Servizi Sociali - 7 minori rom - 9 famiglie rom - 3 adulti rom in passato sotto tutela affidataria - 5 insegnati (scuole elementari e medie) - 17 interviste presso centri di tipo familiare - 8 interviste presso associazioni no-profit - 4 giudici dei Tribunali Minorili - 4 responsabili di enti locali nel settore della tutela dei minori e della famiglia - 2 avvocati - 1 psicologa - 5 mediatori socio-linguistici/ educatori
97
Indice Ringraziamenti
9
Introduzione
11
Riepilogo del progetto
19
Il metodo della ricerca
Le condizioni socio-economiche dei rom in Italia
Il quadro legislativo, amministrativo e politico italiano Il sistema nazionale e di protezione dell’infanzia I - Il quadro legale
16
23
30
36
36
II - Il quadro amministrativo
44
IV - Valutazione: lacune e problemi del sistema
50
I - La reperibilitĂ e la protezione dei dati
56
III - Le politiche sui rom: il quadro generale
48
Presenza significativa di bambini rom nel sistema di tutela dell’infanzia 56
II - La proporzione dei bambini rom affidati a strutture statali 62
III- Fattori che contribuiscono alla sovra-rappresentazione dei minori rom nel sistema di tutela dell’infanzia 67
Adozione e Affido: La questione dell’identità etnica
76
Discriminazione e Segregazione
79
Conclusioni
87
Ulteriori considerazioni
Raccomandazioni al Governo Bibliografia
Numero totale delle interviste
84
91
94
97
SCHEDA DI AUTOCERTIFICAZIONE CARATTERISTICHE Titolo: La tutela dei diritti dei bambini rom nel sistema italiano di protezione dei minori Autore: OsservAzione Formato: 14 x 21
DIRITTO D’AUTORE Licenza: Creative Commons Percentuale concessa all’autore: 10% sul prezzo di copertina
PRODUZIONE Tipografia: Global Print, (Milano) Carta: Riciclata certificata 90 grammi Lavoratori: 11 Tempi di realizzazione: 11 mesi Costi di realizzazione: 3,63 € a copia Software utilizzati: Photoshop, QuarkXPress, Word
REPERIBILITÀ Bibilioteca: Biblioteca Popolare per Ragazzi di Scampia Rete: www.marottaecafiero.it
POST-PRODUZIONE Utile: Gestito in modo responsabile con finanza etica
Finito di stampare nel mese di ottobre 2012 da Global Print