Progetto continuità

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Dopo aver ascoltato passi del libro Un chiodo di garofano a Santa Maria al Bagno

Abbiamo provato ad immedesimarci, per quanto possibile, nella vicenda di Joshua. Abbiamo sofferto e patito con lui, la fame, il freddo,

l’orrore Nei nostri testi ripercorriamo episodi di vita nel lager come li hanno vissuti migliaia di vittime della Shoah

e abbiamo cercato di dare forma visiva alle nostre emozioni attraverso dei ÂŤmuralesÂť che avremmo creato se fossimo stati dei profughi ebrei



Paola come tutte le mattine si sveglia. Ha vertigini. Sono giorni ormai che non mangia. Si nutre di qualche seme o bacca trovate qua e là. Sente un gran freddo. La divisa a righe con la stella gialla è di tessuto troppo leggero, per questo non riesce a difenderla dal gelo.

Piange. Pensa con nostalgia ai tempi passati e quando il mondo era “a colori”, quando la natura era bella e poteva giocare libera. Da lontano, dietro ad una finestra vede la sua mamma, la saluta con la manina, ma ha il triste presentimento che non potrà più riabbracciarla. Si incammina con gli altri bambini.

Nessuno ha la forza per parlare. Si mette a lavoro: deve pulire pavimenti delle camere a gas! Non ce la fa proprio più. Sviene e nessuna l’aiuta. Si sveglia dopo ore. È sul pavimento, al freddo, là dove era svenuta. La giornata trascorre così, tra lavoro faticoso, pianti, tristezza. Arriva la sera. Finalmente può stendersi nella sua cuccetta di legno.

Si augura di morire.

Christian Serafino


Sono Nabuk, sono ebrea ora ho 12 anni, all’ epoca nazista ne avevo 6. Avevo smesso di andare a scuola, i miei genitori erano stai licenziati non sapevo perché, ma non volevano dirmelo forse perché non volevano farmi spaventare. Un giorno ero con una mia amica in giro per il paese, si era fatta sera e, mentre stavamo tornando a casa vediamo arrivare una macchina di soldati tedeschi, subito ci siamo nascoste per evitare che ci scoprissero. I soldati erano entrati in una abitazione e approfittando del momento siamo scappate di corsa a casa. Il giorno dopo i tedeschi arrivarono a casa nostra, muniti di fucili minacciando papà di spararci se non li avessimo seguiti, dopo ci hanno portati su un treno insieme ad altra gente e lasciati lì per quattro giorni senza mangiare e bere. Arrivati nel campo di concentramento hanno diviso gli uomini dalle donne, subito dopo ci hanno rasato i capelli e tatuato un numero, dopo ci hanno condotto “nelle nostre camere”. Si era fatta notte nel mio lettino: ero al freddo e al buio, mentre per terra strisciava una piccola chiocciolina di nome Rose, mi sentivo sola, avevo paura, terrore, angoscia, piangevo sognavo la mia famiglia e speravo che un giorno sarei tornata a casa con loro e questo incubo che stavo passando era solo frutto della mia immaginazione ma non era così, non volevo ammettere che i miei genitori non c’erano più. Il giorno dopo quando siamo usciti nei campi a lavorare, mi hanno spostato in una zona a nord della nostra “camera “e vicino al fosso c’erano tanti corpi morti, era stata la cosa più brutta della mia vita, è stato orribile ero, terrorizzata dall'idea che potesse toccare a me. È passato un mese da quando sto qua dentro, ma all’improvviso sento dei rumori di carri armati che abbattono le porte del campo di concentramento e finalmente ci portano fuori di li, finalmente liberi Francesca Bellucci



…Improvvisamente mi ritrovo in luogo nuovo, dove ci sono uomini in divisa che urlano e usano le armi non solo contro gli adulti ma anche contro noi ragazzi. Tutto il giorno si lavora percorrendo lunghi viali coperti di neve. L'aria è irrespirabile. Fa un gran freddo e il braccio mi fa ancora male, il numero inciso è tutto rosso. Sono triste perché la mia famiglia non è con me. Vedo mio padre solo la sera quando andiamo a dormire in una grande capanna. Non siamo soli, con noi ci sono tante altre persone. I miei capelli sono stati rasati e ormai mangio pochissimo. Ascolto i racconti dei grandi che ci dicono che qui si muore o nelle camere a gas o nei forni. HO PAURA! Matteo C.


Non ho più il diritto al nome, vengo chiamata con un numero,17809,la sofferenza che provo appena sveglia è inspiegabile, ho voglia di tornare a vivere come prima e soprattutto spero di mangiare. Tutti i giorni vedo persone maltrattate e che molto spesso per la disperazione vanno correndo contro il filo spinato, per porre fine a questa vita di torture. Intravedevo del fumo nero uscire dai forni crematori e dell' « acqua» evaporare dalle docce. I tedeschi dicono di accompagnarli a fare una doccia, ma appena dentro fuoriesce un gas nocivo e si esce di là solo da morti. A volte mi sforzo di pensare che ci sia una minima possibilità di poter uscire da questo posto, cerco di intravedere una vita per gli ebrei, poter giocare, essere liberi, avere diritti...cerco di non illudermi troppo ma al solo pensiero inizio a piangere. La mia vita ora mai era piena di immagini di guerra e terrore. Andrea



Mi rasarono, mi misero un numero al posto del nome e mi portarono in una stanza dove c’erano tantissimi bambini e donne. Una stanza buia e isolata, insieme a me c’erano altri due bambini perché in un letto si dormiva in tre . Un giorno alcuni dei compagni che dormivano con me vennero uccisi nelle docce; e io, per paura, mi nascosi in quella stanza grigia, buia e scura. Volevano uccidere anche me: si era fatto buio , era notte profonda e per questo non ci uccisero più . Nel campo di concentramento ero molto triste e sola ero in agitazione e in ansia per i miei genitori. Marina Buttazzo

Vivere in un lager è come vivere in un incubo ,vivere in un ambiente buio sentendo ogni giorno i rumori degli spari e soprattutto vivere con la paura di morire di fame . La paura di andare a dormire senza più svegliarsi e trovarsi a terra senza vita .Gli unici sentimenti che potrei provare sono paura , ansia e disprezzo. Sabrina De Nardo


Essere rinchiusi in un campo di concentramento al freddo, i letti scomodi... e la morte. Questo toglie a noi bambini i diritti che abbiamo dalla nascita, essere rinchiusi è un ingiustizia vera e propria che ci priva della libertà. Il sentimento che provo nell' esser rinchiuso è indescrivibile, Adolf Hitler ha commesso lo sbaglio più assurdo che si sia potuto commettere. Alessandro Margiotta

Sono un bambino di 11 anni. Quando mi hanno diviso dalla mia famiglia provavo paura come se degli artigli mi afferrassero per i fianchi e mi trascinassero via. Non riesco a fare amicizia, sono sola sola. Noi, uomini e bambini, veniamo divisi dalle donne e dormiamo in cucce di legno ci dobbiamo stare in tre. C' è sempre un gran fumo che proviene da un grande canna di camino. Si soffre la fame e la sete e sento sempre un grosso buco nero al posto dello stomaco. Se non sei veloce nello svolgere i compiti che ti danno, quelle guardie dallo sguardi minacciosi e profondi come tornado, ti danno con il loro frustino di cuoio nero. La giornata si trascorre maggiormente in un campo circondato da filo spinato con la corrente. Molte persone corrono intenzionalmente su quel filo perché non riescono a sopportare il dolore nel campo. Anche io lavoro o aiuto a costruire i muri e le torri fuori il campo e siamo circondati dai mostri con gli occhi da tornado, pronti a darti senza motivo con quel frustino. Alcune guardie, mentre facciamo delle passeggiate ci sorvegliano con dei cani marroni e neri dagli occhi rossi, fanno proprio paura. Qui la vita è proprio dura ed è faticosa, ma io continuo a sperare che un giorno uscirò da questo inferno insieme alla mia famiglia. Monica Milanese



Santa Maria al bagno


LA LUCE DELLA LIBERTA’ Io Joshua, bambino ebreo di 11 anni, mi sono trovato ad Auschwitz, massima espressione dello sterminio degli Ebrei. Nei campi di concentramento mi sono ritrovato insieme ai prigionieri suddivisi in categorie, dove gli ebrei erano rilegati al gradino più basso e salendo c’erano gli zingari, gli omosessuali, gli avversari politici e in cima i criminali comuni. Per essere nato ebreo ho sofferto denutrizione, malattie, sporcizia, umiliazioni e ho provato molto freddo a causa della mancanza di riscaldamento nelle baracche; ho assistito alle fucilazioni e alle eliminazioni sistematiche di persone che entravano nelle camere a gas e nei forni crematori per non uscirne più. Per me e per i superstiti è stato impossibile dimenticare il lager. La debolezza fisica, la fame, la sete, il senso di umiliazione e l’incredulità per la fine di un incubo, per essere sopravvissuto, erano superati dalla sensazione di essere stato liberato e poter fuggire via, lontano, indirizzati verso il nascente Stato di Israele attraverso la Puglia ed il Salento. In più di 100.000 siamo sbarcati a Bari e trasportati a Santa Maria al Bagno, dove i salentini paesani, benché poveri e stanchi della guerra, mi hanno accolto con grande calore. Non dimentico le amicizie con i bambini salentini, le partite di giochi di calcio, i giochi per strada, i pescatori e gli agricoltori che hanno condiviso le loro abitudini e il cibo con me. Ritrovai la sensazione di libertà e di dignità umana dopo anni di sofferenza, nel Salento ho iniziato un ciclo della vita interrotto dalla guerra, quando un'intera generazione di bambini è stata cancellata nei campi della morte. Ancor ora, che siamo fuori pericolo, ogni notte nei miei sogni vedo Hitler che ordinava ai suoi uomini chi doveva essere ucciso. Soltanto a ripensarci il mio cuore si ferma e vivo ancora nel terrore. Sono stato salvato da un soldato inglese e sono l’ultimo della mia famiglia: mi madre e mio padre sono stati fucilati e le mie sorelle bruciate nei forni crematori. Ogni volta che chiudo gli occhi, rivedo Auschwitz come una piana grigia e spenta, dove a tutti gli esseri viventi veniva tolta la vita. Io volevo tornare a casa mia in Palestina e dopo aver vissuto felice per tre anni dal 1944 al 1947 nel Campo Profughi n. 34 chiamato Santa Croce, costruito inizialmente dagli Inglesi, finalmente ero vivo nella mia terra. Ora che ho 80 anni racconto ai miei nipoti quei tragici e tristi momenti, facendogli capire l’importanza della libertà spiegandogli che l’uomo può essere spietato con i suoi simili, ma è la forza dell’amore che unisce i popoli. Cristian Ingrosso


In un brutto lunedì di febbraio è arrivato a Santa Maria al Bagno un bambino di nome Matteo salvato per miracolo da un soldato inglese. Era stremato e affamato, aveva in mano la foto della sua famiglia e chiedeva al soldato di rintracciare la sua piccola sorellina che era insieme a lui e che non riusciva più a trovare. I suoi genitori, invece, non li vedeva più da tanto tempo, da quando li avevano separati nel campo di concentramento. Il giovane soldato fece di tutto per rintracciare la piccola sorellina di Matteo per farli tornare insieme; proprio lui che era sposato da tanti anni e non riusciva ad avere figli, si era affezionato a quel bambino così indifeso e così impaurito, tanto che lo portò a casa sua per sfamarlo e ripulirlo. Il giorno dopo riuscirono a rintracciare la sorellina nel campo di accoglienza e riunire i due fratelli. Insieme riuscirono ad ambientarsi in quel luogo e furono adottati dal soldato. Matteo Ingrosso



STORIA DI UNA BAMBINA EBREA Era l’autunno del 1946, dopo un lungo e faticoso viaggio, finalmente siamo sbarcati in un posto sconosciuto. Io ormai ero sola, avevo 8 anni, non avevo più la mia famiglia e sono stata mandata in un campo profughi a Santa Maria al Bagno, dove c’erano migliaia di persone e bambini scampati alla guerra, proprio come me. Qui dopo un po’ di tempo mi hanno adottata, ho trovato una famiglia che si è presa cura di me, anche se sapeva che io ero una bambina ebrea, sfuggita alle atrocità della guerra. La mia mamma adottiva si chiamava Ginevra, mio padre Gilberto. Era una famiglia molto umile, mio padre era un contadino. Il cibo scarseggiava, ma per me era sempre sufficiente, rispetto a ciò che mangiavo quando ero nel mio paese. Arrivò un giorno, che mia madre si fece coraggio, e mi chiese come fossi riuscito a sopravvivere. Io non ricordavo molto, ma le dissi che ero stato salvato da una persona che non conoscevo. Così mi feci forza e le raccontai tutto ciò che mi era successo, in fondo aveva il diritto di sapere, era mia madre, anche se rivivere tutte quelle atrocità era per me fonte di grande dolore. Raccontai che un giorno, mentre io e la mia vera famiglia, eravamo nella nostra casa, passò un soldato per avvisarci che, se volevamo sopravvivere, dovevamo andar via subito. Spiegò che c’era la possibilità di salvarci, solo se fossimo riusciti ad attraversare il bosco ed arrivare al porto, dove c’era una nave che ci avrebbe portati in un posto sicuro. Purtroppo il giorno dopo partirono le persecuzioni. Io e la mia famiglia iniziammo a fuggire, ma mia madre e mio padre non riuscirono a scappare e furono fucilati, tranne mio fratello Victor di 10 anni. Rimasti soli, io e Victor, continuammo a fuggire nel bosco, anche se non sapevamo dove andare. Trovammo una casetta abbandonata e ci nascondemmo lì dentro. Si sentivano spari e ogni minuto che passava sembrava un’eternità. Ad un tratto si spaccò un vetro e mio fratello si buttò su di me per proteggermi dagli spari. Dopo un po’ controllai e vidi che i nazisti stavano per sfondare la porta, allora andammo in una stanza della casa e la chiudemmo a chiave. Quando i nazisti entrarono in casa, noi riuscimmo a fuggire dalla finestra.

Correvamo senza sapere dove andare. Si vedevano solo alberi, e il cielo diventava buio. Pensammo che ci dovevamo fermare e decisi di arrampicarmi su un albero. Aiutai mio fratello a salire, e ci posizionammo in un punto dove le foglie coprivano abbastanza da nasconderci. Il giorno seguente ripartimmo all’alba, ma ad un certo punto un nazista ci vide e iniziò a sparare contro di noi. Iniziammo a correre più veloce che potevamo, quando sentì da dietro delle grida, mi voltai terrorizzata e vidi mio fratello che era per terra, era stato colpito ed era morto. Sapevo che non potevo fermarmi, ma non potevo lasciare mio fratello senza dargli un ultimo saluto. Mi voltai e mi resi conto che il nazista non mi stava più seguendo. Corsi da Victor, ma per lui ormai non c’era niente da fare. Distrutta dal dolore, triste, stanca e affamata mi feci coraggio e continuai per la mia strada. Non riuscivo più a correre, avevo i piedi sanguinanti e i vestiti che si strappavano. Finalmente dopo po’ di strada il bosco era finito, e vidi una nave. Mi ricordai ciò che mi aveva detto quella persona e corsi subito verso quella massa di gente. C’era una persona che ci aiutava a salire, e ci dirigeva. Eravamo veramente in tanti, appiccicati l’uno all’altro. Dopo un lungo e interminabile viaggio arrivammo a Santa Maria al Bagno, dove ci portarono nel campo profughi. La mia mamma adottiva fu molto toccata dal racconto, aveva le lacrime agli occhi, perché non pensava che una bambina così piccola potesse aver vissuto una vita così crudele a soli otto anni. Io ormai ero affezionata alla mia nuova famiglia, erano così buoni con me, infatti ero felice di aver trovato delle persone come Ginevra e Gilberto che mi volevano bene e mi trattavano come se fossi veramente una loro figlia naturale. GIUDITTA MOTTA


Edna Sono una bambina ebrea di nome Edna, ho 11 anni, sono po' bassa, ho i capelli castani e gli occhi marroni e sono abbastanza esile. Sono molto comprensiva, riesco ad ascoltare chi mi parla, sono anche molto creativa e fantasiosa perché riesco a trasformare il mio passato in un qualcosa di magnifico. Venivo maltrattata da brutti uomini che mi sbatterono in un brutto campo di concentramento. Prima di entrare mi dettero una specie di pigiama a righe con un numeretto era il 12. In quel brutto postaccio conobbi una ragazza di nome Chana, era diventata la mia migliore amica. Un brutto giorno mi tolsero la mia famiglia, i miei fratelli, le mie sorelle, persino i miei genitori, non mi lasciarono neanche la mia migliore amica. Alcune persone le portarono in una camera chiamata camera del gas, da lì proveniva un’orribile puzza, altre le portavano davanti a muro sempre più rosso. Un giorno uno dei brutti signore con il suo dito ammonitore indicò alcune persone e le portò davanti al muro ero curiosa ... allora strappai un po'di tela e mi misi ad osservare vidi una scena che non dimenticherò mai. Un giorno, non so come, fummo liberati e ci portarono sulle coste di Santa Maria al Bagno; quel giorno ero triste, preoccupata...non sapevo come mi sarebbe successo. Alcuni cittadini si avvicinarono e accolsero nelle proprie case le donne e noi bambini. Dopo un po'si avvicinò una graziosa e dolce vecchietta di nome Elisabeth e il vecchietto Giorgio che diventarono la mia mamma e il mio papà, che mi accolsero nella loro casetta numero 12, facendomi dimenticare il mio triste passato.


Quei giorni erano terribili. La fame ci assaliva. Tutta la mia famiglia fu presa. Tutti i componenti della famiglia morirono. Io fui salvato dagli inglesi che mi portarono a Santa Maria al Bagno. Lì mi trovavo bene, ma gli abitanti con la loro gentilezza non potevano sostituire l'affetto dei miei genitori, che mi proteggevano da quelle iene malvagie. Noi per loro eravamo solamente animaletti ingenui che poi sarebbero stati mangiati. Dopo un po' trovai una famiglia, anch' essi ebrei scappati dai tedeschi. Io avevo paura avevo visto la morte in faccia. Non dormivo la notte, pensavo ai miei genitori. Per fortuna non dovevo più dormire al freddo, ma avevo un letto caldo. Ad Aushwitz avevo trovato un amico, ma dopo la mia partenza per Santa Maria al Bagno non ne ho saputo più nulla…

Matteo In un brutto lunedì di febbraio è arrivato a Santa Maria al Bagno un bambino di nome Matteo salvato per miracolo da un soldato inglese. Era stremato e affamato, aveva in mano la foto della sua famiglia e chiedeva al soldato di rintracciare la sua piccola sorellina che era insieme a lui e che non riusciva più a trovare. I suoi genitori, invece, non li vedeva più da tanto tempo, da quando li avevano separati nel campo di concentramento. Il giovane soldato fece di tutto per rintracciare la piccola sorellina di Matteo per farli tornare insieme; proprio lui che era sposato da tanti anni e non riusciva ad avere figli, si era affezionato a quel bambino così indifeso e così impaurito, tanto che lo portò a casa sua per sfamarlo e ripulirlo. Il giorno dopo riuscirono a rintracciare la sorellina nel campo di accoglienza e riunire i due fratelli. Insieme riuscirono ad ambientarsi in quel luogo e furono adottati dal soldato.



Quando i soldati inglesi mi portarono a Santa Maria al giorno persi sue notizie e una persona mi disse che era Bagno, capì ormai che ero salvo da tutti quei nazisti che mi morta... io non parlai con nessuno per mesi fino a quando i avevano catturato mentre giocavo con i miei amici in strada: soldati inglesi insieme a quelli italiani fecero incursione nei era una giornata come tutte le altre, giocavo a calcio con campi. miei amici, quando da una macchina nera scesero degli I nazisti mi catturarono ma mio padre per salvarmi morì al uomini incappucciati e armati che ci catturarono e ci posto mio … ed è così che ora sono arrivato a Santa Maria al portarono in stazione dove c’erano il resto delle famiglie, Bagno. compresa la mia. Mi portarono in un orfanatrofio dove una famiglia di italiani Io ero piccolo e non capivo la gravità della situazione, i miei mi prese in adozione … era una famiglia di persone anziane mi dissero che erano brave persone che ci avrebbero che non potevano avere figli a causa di una malattia della portato in un bellissimo posto, e io ci credetti. signora … Salimmo nel treno e per arrivare nel posto dei miei sogni Io voglio molto bene a Ezio e Lucia perché mi amano come (che diventò il posto dei miei incubi) ci mettemmo un po’….. se fossi loro figlio da sempre. quando arrivammo era tutto ricoperto di neve e faceva A Santa Maria al Bagno mi sono fatti dei nuovi amici perché molto freddo, i soldati nazisti ci presero per metterci il quelli vecchi sono stati tutti sterminati, finalmente ho cartellino con il simbolo ebreo e il numero, perché per loro ritrovato la pace e la serenità che non avevo da tanto e sono non avevamo nome. Ci divisero in due gruppi, quello dei ritornato come ero una volta anche se ho ancora nel cuore maschi e quello delle femmine (di ogni età). la morte dei miei genitori. In poco tempo tutti perdemmo molti chili, perché ci davano Lorenzo un misero pezzo di pane e un bicchiere di acqua al giorno ; io cominciai ad avere nostalgia di mia madre, così un giorno riuscii a vederla … era molto magra del resto come tutti, mi disse che stava bene ed io ero molto felice... dopo qualche


Kibbutz a Santa Maria al Bagno Finalmente siamo arrivati. Eravamo così stretti in quel treno. Siamo arrivati in questo posto. Ho sentito che si chiama Santa Maria al Bagno. Siamo in tanti. Ho visto anche Joshua, quel bambino che ieri mi ha abbracciato. Sembra ancora così triste.

Ho visto il mare per la prima volta. È bellissimo come l'ho sempre immaginato. Appena mamma e papà verranno a prendermi farò un bagno. Ci hanno portato in una villa di nome Kibbutz. Abbiamo un letto ciascuno ma le lenzuola puzzano e non c'è un bagno. Ho parlato con altri bambini e mi hanno detto che i nostri genitori non torneranno più. Ma io non ci credo. So che mamma e papà mi vogliono bene e che adesso sono

in un altro Paese per lavorare e guadagnare i soldi necessari per costruire una casa tutta per noi. La voglio grande, con il giardino e vicino al mare. Voglio anche un cane. Lo chiamerò Spike e giocherò sempre con lui. Ma devo anche studiare. Voglio diventare uno scrittore, raccontare storie per bambini e guadagnare tanti soldi, così mamma e papà non dovranno più lavorare e

potranno stare sempre con me. L'aria è fredda. Per fortuna oggi c'è il sole e un tiepido raggio attraversa la finestra lassù. La settimana scorsa mi hanno rasato i capelli, i miei riccioli biondi non ci sono più. Ma non importa ricresceranno presto. Anche quando andavo a scuola, la mamma voleva che li tenessi corti per non prendere i pidocchi. Se mi vedesse adesso sarebbe contenta. Sarebbe contenta anche se sapesse che sto bene e che qui ho dei nuovi amici. C'è Joshua che ha il letto sul mio. Ogni tanto urla nel sonno e mi sveglia. Poi c'è Richard con cui mi diverto a giocare a nascondino. Lui è con sua sorella Mika che ha solo 4 anni. È come un papà per lei, molto premuroso e, quando la notte ha paura, la stringe forte a sé e le canta una ninna nanna. Ora è tardi, vado a dormire. Buonanotte mamma e buonanotte papà.

CONTE DANIELE


IB IL BOSCO Nel «bosco» delle nostre paure abbiamo incontrato Joshua…


Il 20 gennaio del 1942 è una data che rimarrà per sempre impressa nella mia memoria. Io ed altri piccoli folletti impauriti, fummo fatti salire su un camion tetro e sudicio, da orchi spaventosi e crudeli. Scaraventati nell’inferno. Si viaggiava lentamente, a passo d'uomo… Scesa la notte ci fermammo nel bosco, per riposare.


Gli ululati, i fischi, le ombre spaventose oltrepassavano le piccolissime fessure, che ci aiutavano a respirare. FinchÊ sentivamo quei rumori sapevamo di essere vivi, sebbene avessimo tanta paura. Sognavo di vedere, con gli occhi pieni di lacrime, la fata del bosco, che magicamente arrivasse, portandoci via‌ da quell'inferno. Ma il viaggio riprese, lungo i sentieri del bosco, in quel camion nero e puzzolente, verso quel blocco che sarebbe diventata la nostra prigione. Carrozzo Sara


Era il 27 febbraio del 1940 quando mi sono ritrovata in un campo di concentramento, circondato da filo spinato. Eravamo senza libertĂ , avevamo perso tutto, dovevamo solo obbedire a quegli orchi malvagi che ci trattavano come bestie.


Avrei voluto essere una fata, volare via da quel “tetro bosco”, dove le voci sembravano ululati di lupi affamati e feroci, che ci venivano incontro come se ci volessero mangiare vivi. Una fata, sì, forse solo una fata avrebbe potuto liberarci, con i suoi poteri e le sue magie. Ma, un giorno… arrivarono i russi che spalancarono le porte di quel posto orribile.

Taurino Arianna


In una brutta mattina di settembre mi ritrovai, persa, in un bosco. Un bosco tetro, oscuro, con rumori e ombre spaventose. La luce della luna filtrava attraverso le foglie degli alberi, i rami bassi sembravano braccia e mani scheletriche. Mi guardavo intorno, ero terrorizzata dall'idea che i nazisti tornassero a prendermi....


Il vento muoveva le foglie e creava rumori spettrali, le ombre sembravano animali feroci pronti ad assalirmi; l'unica luce era quella della luna piena, che mi accompagnava nel mio incubo. Mi mancava la mia famiglia, non sapevo dove andare. Volevo tanto tornare a casa ed essere coccolata dai miei genitori... Taurino Giorgia


Era il del 1942 quando un gruppo di nazisti cattivi, che non avevano nessuna pietà , ci portarono in un campo di concentramento. Ma la mia brutta storia si è conclusa bene. Una notte fui svegliata da uno strano omino, piccolo e buono, che scavando un buco sotto il filo spinato, mi aiutò a scappare.


Com'era bello il passaggio dal filo spinato, la sporcizia ed il cattivo odore del blocco in cui ero rinchiusa, a quel luogo meraviglioso! Dopo un lungo sentiero arrivai in un bosco accogliente, con fiori variopinti e profumati, il cinguettio degli uccelli e alberi enormi, che aggrovigliandosi facevano vedere squarci di cielo azzurro. Il profumo dell'erba, della terra e degli alberi, cancellarono per sempre il ricordo delle lacrime‌

Quarta Greta


Era il 27 gennaio del 1944 quando sono fuggita dalle gabbie e mi sono ritrovata nel bosco. Altri uccellini sono fuggiti con me, ma i cacciatori li hanno catturati. Io sono salva, nascosta tra i rami di un albero. Ho paura, sono sola, la mia famiglia è ancora prigioniera, nelle gabbie; mia sorella e mio fratello mi mancano tanto! Forse sono morti, mentre cercavano di fuggire.


All’improvviso, un uccellino sul ramo sopra al mio, sembra indicarmi la strada della salvezza. Inizio a seguirlo. Volo, volo, volo... sono sfinita! In lontananza si sentono colpi di fucile. Il mio amico viene colpito e cade a terra, morto. Ma….ecco, scorgo il mare in lontananza. I cacciatori scompaiono, risucchiati dal bosco. Sulla sponda del mare ci sono tanti alberi, ma pochi nidi. Io cerco e spero di trovare la mia famiglia. Finalmente, un dolce e amorevole cinguettio, mi annuncia che sono vivi. Salvi, tutti salvi…in volo…sul mare… Alessandra Greco



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