Master Project_Teatro da Praia

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Politecnico di Milano.

Scuola di Architettura e Società. Laurea Magistrale in Architettura. Architettura degli Interni.

Teatro da Praia

Le Nuove Luci della Centrale Elettrica

Relatore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Prof. Arnaldo Arnaldi Politecnico di Milano

Correlatore . . . . . . . . . . . . . . . . . Prof.ssa Désirée Pedro Escola Superior de Artes e Design

Correlatore . . . . . . . . . . . . . . . . Prof.ssa Michela Barosio Politecnico di Torino

Tesi di laurea di . . . . . . . . . . . . . . . . .

A.A. 2012-2013

Martina La Vista


“Fare teatro è come cercare al buio qualcosa che non esiste. E trovarla.” Ennio Flaiano


Indice

Abstract . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4 Ringraziamenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 1. Contestualizzazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6 1.1 1.2 1.3 1.4

Portogallo come destino . . Porto Poetic . . . . . . . Una passeggiata sull’Oceano Memorie di una rovina . . .

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. . . . . . . . . . . . . . . 7 . . . . . . . . . . . . . . . 19 . . . . . . . . . . . . . . . 22 . . . . . . . . . . . . . . . 28

2. Teatro da Praia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 32 2.1 2.2 2.3 2.4

Si va in scena . . . . . . . . . . . . . . . . Nuovi spazi per la rappresentazione . . . . . . . A Praia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . O Teatro . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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33 34 41 44

3. Racconto di progetto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 56 3.1 3.2 3.3

Tipologia e funzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 57 Interni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 61 Soluzioni strutturali e tecnologiche . . . . . . . . . . . . 65

Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 68 Indice delle Tavole . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 69 Tavole . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 70


Abstract

Il presente lavoro di tesi ha come soggetto la riqualificazione di un edificio storico situato nella città di Porto, al confine tra il tessuto urbano, il fiume e l’Oceano, e che oggi verte in condizione di rovina. L’obiettivo del progetto di tesi è l’assegnazione di una nuova funzione al manufatto architettonico, che dia un nuovo senso spaziale al suo immediato intorno, e che rispetti le esigenze della città e del sito. Il progetto è stato sviluppato a partire da un’analisi del contesto in cui l’edificio si colloca e delle cause del suo stato di fatto. L’area d’intervento si trova alla fine dell’Avenida da Boavista, direttrice lungo la quale si incontrano alcuni importanti centri culturali della città, mentre il contesto immediato è adibito prevalentemente ad attività per lo svago e il tempo libero. L’edificio, costruito nel 1911 come sub-stazione elettrica della Compagnia dei Tram della città, ha ospitato un collegio di eccellenza, prima di essere definitivamente abbandonato. Oggi la struttura rappresenta un’opportunità non sfruttata, al punto da porsi come vero e proprio ostacolo alla circolazione nell’area. Si è quindi deciso di ridestinare l’edificio a teatro per prosa e balletto, proponendo una soluzione socialmente sostenibile e strutturalmente flessibile. Il progetto sfrutta le potenzialità del sito, prevedendo alcuni spazi alternativi per la rappresentazione all’aperto che, oltre a ricucire i percorsi presenti, creano nuove ambientazioni per le altre attività che sono svolte in loco. Fasci di luce fissi partono dalla cima della nuova torre scenica e indicano al visitatore il punto in cui si sta svolgendo l’azione. Il teatro coperto è una struttura completa e può funzionare durante tutte le stagioni dell’anno. Il volume esistente è stato implementato al fine di dare spazio agli ambienti di servizio, mentre l’interno della cortina assume il ruolo di scenografia della sala degli spettacoli. Le tecniche costruttive utilizzate sono prevalentemente a secco: in questo modo viene data alla struttura la possibilità di evolvere insieme all’ambiente che la circonda ed eventualmente di cambiare funzione, come già accaduto in passato.

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Ringraziamenti

Désirée e Arnaldo, professori attenti, maestri appassionati, consiglieri premurosi. Per aver voluto trasmettere il loro entusiasmo per l’architettura. La mia famiglia tutta, unita e accogliente. Per la pazienza, per il sostegno e l’appoggio costanti, per la fiducia e l’amore incondizionati. I miei genitori, in particolare, per avermi dato mio fratello. Gli amici sinceri, vicini e lontani, comunque sorprendenti, Maria e Lefteris, Enrico e Anna, Romeu, Valentina e David, Veronica e Serena, Francesca e Chiara, Martina e Martina, Alessandro. Per aver condiviso la gioia delle piccole cose. Ozkan, compagno di giochi, confidente, amico. Per aver lottato al mio fianco. E infine l’architettura, per avermi fatto sognare.

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1. Contestualizzazione

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1.1 Portogallo come destino. Venezia, Giugno 2013

Voler essere portoghesi è poco per i portoghesi. Il popolo portoghese è essenzialmente cosmopolita, la sua vocazione è quella annunciata dal celebre distico di Mensagem: “Il Tutto o il suo nulla. Il mare intero, o l’orlo lacerato vano.”

Rifluendo storicamente dall’intero mare, i portoghesi si sono convertiti in orlo lacerato vano.1

Sottolineo a matita il distico del poeta Fernando Pessoa e chiudo il piccolo libro azzurro; il treno sta entrando nella stazione di Venezia Santa Lucia. Fuori piove; apro l’ombrello e, mentre attraverso il Ponte degli Scalzi, guardo sconfortata la cortina che circonda l’intricato labirinto di calli. Quando arrivo in Piazza San Marco non piove più. Squilla il telefono, un numero portoghese. La mia relatrice di tesi, la Professoressa Désirée Pedro, mi chiede in inglese dove possiamo incontrarci. Le dico che sono in Piazza San Marco e mi chiede come farà a riconoscermi: non ci siamo mai viste prima. I turisti si affollano davanti alla Basilica seguendo gli ombrelli alzati delle guide. “Ho un ombrello giallo” le dico mentre lo apro. Dopo pochi minuti stiamo camminando insieme verso il ristorante; procediamo velocemente superando, e stiamo già parlando del progetto. Mi dice che all’inizio non aveva capito come mai avessi scelto quella rovina di una vecchia centrale elettrica; la conosceva, ci era passata davanti molte volte in macchina, percorrendo quella strada che collega Matosinhos, le piscine e la casa del tè di Alvaro Siza, alla Casa da Musica e al centro di Porto. Ma poi si era ricreduta. “Cosa ci vuoi fare?”. Arriviamo davanti ad un ponte e siamo costrette a metterci in fila per poter attraversare; a metà mi giro e le rispondo che mi sarebbe piaciuto progettare un museo, un museo del mare forse. Dalla sua espressione si potrebbe capire che questa idea non la convince del tutto, ma non faccio in tempo a vederla e, quando ci troviamo di nuovo fianco a fianco, lei sorride e dice: “Si può fare, ma vorrei che prima tu vedessi l’edificio”.

1 Lourenco E., Il labirinto della saudade. Portogallo come destino, Diabasis, Reggio Emilia, 2006.

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Edificio dell’ex-Collegio Luso Internazionale di Porto, Porto, Portogallo, 2010


Siamo arrivate; al ristorante troviamo suo marito, anche lui architetto, e un loro amico, gallerista di Lisbona: i tre portoghesi sono venuti a Venezia per l’inaugurazione della Biennale d’Arte. Alla fine del pranzo i due uomini salutano ed escono. Spostiamo i piatti e apriamo sul tavolo le mappe umide di pioggia.

Siamo a Porto, in riva all’Oceano Atlantico, di fianco ad un’antica fortezza che prende il nome dalla forma della roccia sulla quale è stata costruita, il Castello do Queijo, il Castello del formaggio. Désirée mi spiega come quest’area sia di importanza strategica trovandosi alla fine dell’Avenida da Boavista, che collega la città al mare e delimita un’area di nuova urbanizzazione. Lungo questa strada si trovano alcuni luoghi di maggiore attrazione come la Casa da Musica, sala da concerto progettata da Rem Kolhaas nel 2001 in occasione della nomina di Porto a Città della Cultura, e il Museo di arte contemporanea Serralves progettato da Alvaro Siza nel 1997. Non ultimo il Parco da Cidade, il più grande parco della città, che, tra l’altro, si trova proprio alle spalle del mio edificio, che per comodità chiameremo CLIP, Collegio Luso Internazionale di Porto.

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Praรงa Gonรงalves Zarco, Castello do Queijo, Cartografia Porto 2005


Museo Serralves,

Alvaro Siza, Porto, 1997


Casa da Musica, Rem Koolhaas, Porto, 2001


Parco da Cidade do Porto, Robert Auzelle 1960, Sidonio Cosat Pardal 1992


Mi racconta come, all’inizio degli anni 2000, l’area a Ovest di Porto sia stata oggetto di importanti interventi, sia di nuova urbanizzazione sia di recupero. Questi interventi hanno ridisegnato la Marginal, strada che, partendo dall’Oceano, corre sulla riva Nord del fiume Douro, creando percorsi pedonali, distinti da quelli carrabili, che collegano importanti luoghi della cultura come il Museo del Vino di Porto e il Museo dei Trasporti e delle Comunicazioni. Altri interventi puntuali sono stati realizzati per collegare la riva all’entroterra: sono per la maggiorparte camminamenti e parchi. In questo contesto si colloca il progetto del fronte marittimo del Parque da Cidade, realizzato da Manuel Sola Morales nel 1999. Questa è una storia interessante. Il progetto del fronte marittimo prevedeva la rimozione di un tratto di strada litoranea e la realizzazione, in sua sostituzione, di un viadotto in posizione più arretrata rispetto alla costa. L’intervento è stato giustificato dalla volontà di lasciare, sotto il viadotto, un collegamento diretto tra il Parque da Cidade e l’Oceano. La nuova area di parco così creata è stata riprogettata dallo stesso Sola Morales, il quale vi ha collocato un edificio per il commercio, il cosiddetto edificio trasparente, e una rete di percorsi e piattaforme che lo collegano al parco e al castello do Queijo. Al centro dell’area interessata dalla riqualificazione si trova la struttura del CLIP. Questa in precedenza si affacciava sulla strada rimossa su cui passavano i binari dei tram, e ora invece, grazie a questo intervento, guarda direttamente il mare. Tuttavia, nonostante la posizione, l’edificio non è stato coinvolto nel progetto: il disegno di Sola Morales vi si imbatte quasi per caso e lo evita, ci gira intorno. Ipotizziamo che questa scelta sia dovuta al fatto che per il CLIP ci fossero in realtà già altri progetti, che non sono andati in porto.

Le mostro i documenti che una gentilissima impiegata del Comune di Porto mi ha inviato a seguito della mia richiesta di informazioni sull’edificio. Oltre ai disegni originali del 1911, ci sono alcune immagini di un progetto proposto dalla Fondazione Casa da Musica, datato 2003: il CLIP avrebbe dovuto diventare una discoteca sull’Oceano. Il progetto non è mai partito per mancanza sia di fondi sia di consenso popolare. Lei guarda l’orologio: “Non devi prendere il treno alle 17?”; si, il tempo è volato, mi congedo dalla professoressa, la ringrazio, ci rivedremo presto. Quando prendo posto sul treno diretto a Milano, ancora trafelata per la corsa, ricevo un suo messaggio: vuole sapere se sono riuscita a prendere il treno.

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Progetto del Fronte martittimo del Parque da Cidade, Manuel Sola Morales, 2001


Piante e prospetti, Sub-Stazione n.1, Compagnia dei tram di Porto, 1911


Progetto discoteca Kasa da Praia, Felipe Oliveira Dias, 2003


Rapporto sullo stato di fatto dell’edificio, Camera Municipale di Porto, 2010


1.2 Porto Poetic Milano, Settembre 2013 L’edificio della Triennale è ritagliato nella nebbia mattutina di Parco Sempione. Mentre aspetto l’orario di apertura cerco di capire come funziona la macchina fotografica reflex che mi ha prestato la mia coinquilina.

La mostra temporanea “Porto Poetic” si trova a piano terra: vi si possono ammirare foto, disegni e modellini di alcuni dei più famosi progetti dei migliori architetti della scuola di Porto. Ci sono anche complementi d’arredo: ci si può sedere su tutte le sedie tranne su quelle foderate in pelle nella prima saletta. Sulle etichette dei modelli ritrovo alcuni nomi di studi portoghesi ai quali ieri sera ho inviato il curriculum alla ricerca di uno stage. Mi annoto gli altri.

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Prima della porta di uscita, sulla destra, un pannello richiama la mia attenzione. Una foto in bianco e nero di Gabriele Basilico ritrae un tratto di costa nebbioso e bitorzoluti pali di legno che sostengono un intreccio di cavi elettrici: è Matosinhos. A fianco un altro pannello riporta una citazione dello stesso Siza: Lunghe visioni orizzontali, che siano esse mare, porto, strada, spiaggia, cortile, barca, roccia oppure il corpo di una fabbrica - profili ritagliati sopra un cielo di nubi scheggiate, o sopra un vuoto, uno sfocato che annuncia il mare. Masse orizzontali delle quali, con sforzo, si distingue un dettaglio e da cui si distacca un’aura di complesse escrescenze: camini ampliati dal fumo, pali della luce, suddivisioni verticali degli infissi, cellule strette e di diversa altezza che ritagliano linee di gronda e facciate, mansarde, camicie sospese sulla corda ad asciugare, tetti inclinati, croci, fari, palme, grassi depositi di combustibile, frontoni con il nome della fabbrica ormai abbandonata che aspetta di diventare una discoteca. Una capigliatura emozionante - agitata e stabile - sopra una massa compatta ed uniforme a distanza (sui moli e sulla spiaggia, al tramonto, si allungano le ombre di qualche camion, di qualche bidone, di due bagnanti perseveranti - oggetti solenni di una natura morta di Morandi). E’ questa la città. Non ci sono mura che la contengano. Ma i cavi elettrici e delle comunicazioni e la linea ferroviaria sopra i cubi di granito legano case e spazi, come la cornice di un quadro puntinista. E’ necessario vivere dentro la bellezza, riconoscerla, per non disperarsi. Ed essa rimane lì (per gli occhi che la sanno cogliere) silenziosa ed abitata dall’assenza, come ci segnala la fotografia magica di Basilico. In questa immobilità e assenza possiamo percepire ugualmente l’appello e la stella della latente trasformazione, la disponibilità alla perfezione. La presenza di un uomo in un incrocio di strade.”

Parla del mio edificio, parla di quello che mi aspetta, parla di me. Mi guardo intorno , entusiasta vorrei condividere questo momento con qualcuno. Due passi indietro e scatto una foto.

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Matosinhos, Gabriele Basilico, Mostra “Porto Poetic�, Triennale di Milano, Settembre 2013


1.3 Una passeggiata sull’Oceano Porto, Settembre 2013 L’aereo si prepara all’atterraggio e, mentre vira su Porto, dal mio posto-finestrino ripasso la frastagliata costa oceanica, disegnata innumerevoli volte durante l’estate appena passata: la foce del Douro, il grande frangi-flutto e i pennelli di scogli. Il Portogallo si trova nel fuso orario precedente rispetto all’Italia - si può dire che abbiamo volato indietro nel tempo - e qui è mezzogiorno. Le ombre si stagliano sul terreno bruciato e, quando siamo ormai prossimi all’aeroporto, distinguo tra le altre quelle di un edificio abbandonato sulla spiaggia. Lo seguo con lo sguardo. Scompare.

Un lungo muro grigio divide la fermata della metro Lapa e il bairro popolare progettato da Siza alla fine degli anni ‘70. Un annuncio su un sito internet mi ha portato qui: una camera libera in un appartamento da dividere con altri studenti, proprio nel Bairro da Bouca. Qui, dietro le ripide scalette di cemento, le facciate spoglie e le grate metalliche agli ingressi, mi aspettava un angolo di paradiso in una veranda.

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Bairro da Bouca, Alvaro Siza, Porto, 1973-77


Gli autobus passano nella strada di fronte, il 502 va al mare. Lo prendo una domenica mattina, passa davanti alla Casa da Musica e percorre tutta l’Avenida da Boavista. Il capolinea è la rotonda del Castello do Queijo. Questa fa parte del progetto di riqualificazione del fronte marittimo del Parque da Cidade di Sola Morales. Una passerella di cemento armato senza parapetto la collega al ponte levatoio del castello, il quale si trova infatti ad un livello del terreno inferiore. “A noi portoghesi non piacciono i parapetti” avrebbe detto un mese più tardi l’architetto Luis Tavares Pereira, nel suo studio a qualche centinaia di metri da lì, sulla stessa strada.

Sotto la rotonda è stato realizzato un parcheggio interrato il cui ingresso carrabile si trova al centro dello svincolo, all’ombra della statua equestre di Don Joao V. Il largo marciapiede è intervallato dalle pensiline delle fermate dei tram, che, adesso come un tempo, vengono fin qui, salutano l’Oceano e tornano in città. Gli unici elementi che interrompono l’orizzonte pulito di questa rotonda sono la sagoma solitaria del nuovissimo acquario Sealife e il volume squadrato di cemento armato di un piccola caffetteria in bilico tra il viadotto e il mare. Una rampa carrabile e una scala scendono dalla caffetteria alla spiaggia. Il CLIP è proprio lì dietro. Se ne sente la presenza quando si arriva. Mi sbircia, mi avvicino. Ai piedi della rotonda comincia un altro mondo. I percorsi pedonali che costeggiano la spiaggia e scivolano sotto il viadotto verso il parco sono popolati dalla folla della domenica. Famiglie con bambini, single con cani, coppie in bicicletta, gruppi di pattinatori e anatre. Viaggiano in tutte le direzioni, escono dai percorsi tracciati da Sola Morales e vanno a sbattere nel CLIP. Questo è appoggiato su una platea di cemento armato, in parte sommersa dalla sabbia, e nascosto da alte transenne blu elettrico. Dei lavori per la discoteca, che doveva chiamarsi Kasa da Praia, rimangono queste, insieme ad un cartello informativo. La struttura è stata pulita e rintonacata in grigio, alcune parti pericolanti sono state demolite. Della struttura originaria sono rimasti in piedi solo i paramenti esterni, che formano un rettangolo non chiuso a causa dello scarto tra due delle cinque pareti. I vani delle aperture, ritagliati nella snella cortina, inquadrano l’Oceano all’orizzonte. Sembra fatto di carta, potrebbe volare via da un momento all’altro. 24


Da qui si può apprezzare l’intervento del progettista spagnolo. Il viadotto ha una sezione rastremata molto sottile e i pochi pilastri che lo sostengono sono disposti trasversalmente rispetto alla costa, la gran parte del sottopassaggio è occupata da un laghetto artificiale: tutto questo concorre a rendere il passaggio arioso e fresco, quasi piacevole nei periodi afosi. Sotto il viadotto si apre l’uscita pedonale del parcheggio interrato, dove un uomo noleggia mini-quad alle persone che scendono dalle auto. Qua e là sono distribuite spigolose sedute in pietra e faretti in corten. Le pavimentazioni in cemento sono attraversate da pedane in legno e percorsi in pietra, seminati di alberelli. Un bambino compra un gelato in un chiosco e corre via senza prendere il resto. Dietro al CLIP si apre una grande spianata dove alcuni ragazzi giocano a pallacanestro; da qui alcuni percorsi salgono sui due grandi frangiflutti erbosi, costruiti per difendere l’edificio e la costa. In lontananza si staglia una struttura orizzontale in vetro e cemento; l’edificio trasparente è stato realizzato in occasione della nomina di Porto a Città della Cultura 2001 e adesso non ha nessun programma particolare. Ospita una scuola di surf e alcuni bar e fast food che dispongono i loro tavolini nella spianata antistante. Coppie ben vestite e manager in carriera consumano sushi sotto i gazebo guardando i gruppi di surfisti. L’edificio trasparente è collegato al Parco da Cidade da un’altra passerella aerea. Da questa altezza si ha una vista privilegiata sulla scultura di Janet Echelman sospesa sulla rotonda Cidade San Salvador, all’altro lato del viadotto. “She Changes”, una gigantesca rete da pesca rossa e bianca, dondola al vento. Del parco, che si estende da lì in poi, con le sue collinette e finte rovine dal gusto romantico, non si vede la fine. Seduta ai tavoli della caffetteria, mi viene da pensare che sarebbe un peccato chiudere in un museo un contesto così spazioso, vitale e giovane e che, in fin dei conti, l’idea della discoteca aveva qualche spunto assennato.

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Fronte marittimo del Parco da Cidade, 2013


Edificio dell’ex-Collegio Luso di Porto, stato di fatto, 2013


1.3 Memorie di una rovina Porto, Ottobre 2013 Avenida da Boavista n.1167, andar n.6, sala n.5. Apre la porta l’architetto Luis Tavares Pereira, un uomo sulla cinquantina; parla italiano perché ha lavorato nello studio di Francesco Venezia a Napoli quando era giovane. Dice che il Venezia nella pausa pranzo andava sempre a casa da sua madre e tornava in ufficio tutte le volte con un vestito pulito. Anche lui oggi deve andare a casa presto perché è nato suo nipote; gli chiedo se è diventato nonno, lui mi corregge: “Zio!”; il giorno dopo viene in ufficio con la barba tagliata. La cosa più importante che ho imparato lavorando 4 mesi nello studio Ainda Arquitectura è probabilmente l’attenzione al dettaglio. Come nella maggiorparte degli studi di architettura della città, anche in questo c’è poco lavoro, così poco che hanno finito le matite e non le hanno più comprate: in effetti le matite non servono per fare burocrazia. Sono passati i tempi d’oro, quelli di 2001 Odissea nello Spazio e Porto Città della Cultura, gli anni dei grandi interventi che ormai conosciamo bene. Proprio allora Luis aveva curato una mostra fotografica sulle trasformazioni prima e dopo della città, quella mostra era diventata un catalogo, quel catalogo era stato messo in una scatola del trasloco. Lo spolvera e me lo mostra. Più o meno verso la fine compaiono delle foto del CLIP intonacato di rosa, con le coperture a falde e gli infissi integri. Il CLIP infatti non è sempre stato una rovina, anche se la sua è una storia di abbandoni. Nasce come piccola sub-stazione n°1 della Compagnia dei Tram Elettrici di Porto, realizzata nel 1911 sulla strada litoranea che collegava la città con Matosinhos. La linea del tram vi passava di fronte e faceva inversione nella spianata di Rio de Janeiro. L’edificio è composto da due volumi realizzati in due tempi diversi e collegati da un terzo di dimensioni inferiori. All’interno erano alloggiati alcuni trasformatori disposti su due piani. Il secondo volume è stato progettato e realizzato secondo le proporzioni della sezione aurea, sia in relazione al primo sia nelle sue proprie dimensioni, negli interni e in facciata. Si ipotizza che le dimensioni dei due volumi siano dovute alle esigenze funzionali, ovvero alle dimensioni dei macchinari che dovevano contenere. La sua architettura è chiaramente di influenza industriale, tanto nel disegno della facciata, con grandi aperture ed elementi decorativi, quanto nella struttura: si tratta infatti di uno dei primi esempi di utilizzo del calcestruzzo armato. L’ala Sud, antecedente al 1911, presenta

una struttura in blocchi di cemento e silice, un

materiale sperimentale per l’epoca, che è stato utilizzato solo a partire dagli anni 20 del 1900. L’ala a Nord risale al 1911 ed è realizzata in blocchi di pietra, mentre i pilastri sono misti ferro e cemento. Anche il disegno degli infissi è differente nei due blocchi. La struttura ha funzionato per 60 anni ed è stata dismessa nel 1974, per poi essere comprata nel 1986 dall’istituzione del Colegio Luso Internazionale di Porto che la ha trasformata in un collegio privato. Già in questa occasione l’edificio ha subito le prime modifiche: tinteggiato di rosa e bianco, i due blocchi sono stati collegati da una serra vetrata e alcune aperture sono state modificate. 28


In corrispondenza con l’inizio dei lavori per la costruzione del viadotto, l’edificio viene nuovamente abbandonato. A causa dei costi di mantenimento troppo elevati, l’istituzione Colegio Luso preferisce costruire una nuova sede e il vecchio CLIP rimane in balia di vandali e intemperie. Il confronto tra le fotografie ai tempi dei lavori, riportate nel catalogo di Luis e datate 2001, e quelle fornite dalla Camera Municipale di Porto, datate 2010, è impressionante: nell’arco di 9 anni la struttura cade in rovina a causa dei materiali scadenti, della posizione, esposta agli agenti atmosferici, e del vandalismo non contrastato. Gli unici interventi che vengono messi in atto da parte della municipalità sono parziali demolizioni progressive, per evitare crolli, probabilmente in vista di una demolizione completa. Cosa che non è avvenuta grazie all’interessamento della fondazione Casa da Musica e al progetto della discoteca, ideato dall’architetto Felipe Oliveira Dias, che, anche se non verrà realizzato, almeno ha permesso la recinzione e il restauro dell’edificio. Nei successivi tre mesi il catalogo della mostra è rimasto di fianco alla mia postazione di lavoro. Nella pausa tra un progetto e l’altro ho guardato più volte quelle foto. Il giorno prima di rientrare in Italia per le vacanze natalizie sono andata in ufficio per salutare e ho portato in dono un astuccio di matite nuove. Luis, preso alla sprovvista, mi ha regalato il catalogo. Sono uscita prima che ci ripensasse.

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Sub-stazione n.1 della Compagnia dei Tram della città di Porto, prima e dopo l’abbandono, 1974


Edificio del Collegio Luso Internazionale di Porto, prima e dopo l’abbandono, 1986-2000


2. Teatro da Praia


2.1 Si va in scena Lisbona, Settembre 2013 “Insomma Martina, cosa pensavi di farci?”. Erano passati tre mesi da quando Désirée mi aveva posto la stessa domanda a Venezia e il professor Arnaldo Arnaldi era seduto ad un tavolino rotondo davanti alla Casa Comunitaria da Mouraria a Lisbona. Il workshop da lui organizzato in collaborazione con la Triennale di Architettura era finito. Non c’era stato un giorno dei cinque che avevo passato all’ostello Lisbon Soul in cui non mi fossi posta la stessa domanda. La sera seduta al tavolo della cucina avevo trasformato nella mia testa quell’edificio di carta in tante cose. Un surfista australiano aveva appoggiato un barattolo di maionese sui miei disegni chiedendomi se stavo facendo i compiti. C’era una foto nella quale le pareti del CLIP si sovrapponevano tra di loro inquadrando nei vuoti delle aperture l’Oceano all’orizzonte. La snellezza delle facciate, la

profondità creata dalla loro

disposizione su diversi livelli e la disponibilità all’azione del vuoto così delimitato rendevano questo spazio scenico. Come altre volte prima, l’idea mi era venuta sotto la doccia quella mattina. “Un teatro”. Ho visto come le persone rendono vivo questo contesto, come lo attraversano, sia fisicamente, sia con lo sguardo. Non voglio privare questo spazio della sua permeabilità, vorrei che l’essere umano continuasse ad animarlo, a esserne l’attore protagonista e, nello stesso tempo, l’arredo. Eppure formalmente io amo molto i teatri vuoti dove appunto l’azione è prevista e dove la struttura architettonica è il simbolo maggiore della architettura.2 Questo contesto ha la peculiarità di non doversi confrontare con un tracciato urbano o una cortina edilizia adiacente, non trovandosi in ambiente cittadino, ma con uno grande spazio aperto che non è vuoto, ma pervaso dalla forte presenza della natura. É qui che “l’azione prevista” dalla funzione teatro si potrà muovere sostenuta dalla “struttura architettonica”. “Va bene. Sii poetica”.

2 Celant G., a cura di, Aldo Rossi: Teatri, Milano : Skira ; Venezia : Fondazione Emilio e Annabianca Vedova, 2012, 221 p. : ill., 29 cm. (Catalogo della Mostra tenuta a Venezia nel 2012).

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2.2 Nuovi spazi per la rappresentazione Porto, Novembre 2013 Mafalda si allunga sul tavolo della cena ancora apparecchiato, simulando un movimento di danza contemporanea. Lo spazio architettonico dovrebbe essere progettato secondo le dimensioni del movimento. Racconta delle sue esperienze in teatro come ballerina e delle teorie più recenti sulla relazione tra artisti e pubblico. Si infervora mentre spiega la teoria post-moderna della rottura della quarta parete immaginaria che si interpone tra gli spettatori e lo spettacolo. Nelle rappresentazioni contemporanee è sempre meno convenzionale il rapporto che si instaura tra le parti, fino a portare l’artista in mezzo al pubblico e lo spettatore sul palco. Dove poi il limite del palco non è fisicamente determinato, come avviene per esempio negli spettacoli di strada, il pubblico si dispone liberamente e interagisce in modo personalizzato con gli artisti. Mi viene in mente un libro letto la primavera precedente, nel quale compare un saggio scritto da Santi Centineo. Il testo analizza l’approccio progettuale che è stato adottato nelle ere moderna e post-moderna nei confronti dei luoghi della rappresentazione, partendo dal presupposto che “il teatro è un fenomeno connaturato all’uomo” che pertanto gli ha destinato uno spazio espressamente dedicato. Secondo Centineo, gli architetti che si sono cimentati in questo genere progettuale hanno concentrato la loro attenzione soprattutto sull’involucro esterno dell’edificio teatrale, inteso come interfaccia urbana. Da una parte il Movimento Moderno ha cercato di proporre soluzioni alternative, dall’altra gli orientamenti neoclassici hanno applicato un ordine estetico all’edificio che incarna la funzione della rappresentazione in modo autoreferenziale. In realtà è all’interno dell’edificio che si concretizzano dei meccanismi che sono pressoché atavici. Certo è che l’evoluzione dei tipi teatrali si muove più per persistenze che per innovazioni, ma [...] è ancora ipotizzabile progettare “nuovi” teatri che di fatto non si discostano tipologicamente dai precedenti? Non è possibile trovare un tipo, o più tipi, in grado di rappresentare degnamente il genere o i generi di un nuovo discorso drammaturgico? Un determinante contributo proviene dall’osservazione dei fenomeni interni all’edificio teatrale. [...] I sintomi della frattura tra drammaturgia e edificio ci sono tutti: la scenografia svolge il proprio compito in maniera sempre più anticonvenzionale; si avverte il limite fisico del palco tradizionale (quello segnato dall’arco scenico) avvertito dalla sperimentazione di una fruizione diversa (senza separazioni tra esecutori e fruitori, ad esempio); si preferisce a volte abbandonare l’edificio teatrale a vantaggio di luoghi impropri (piazze, capannoni, cortili, edifici industriali) riadattati, innescando così quel meccanismo di riconversione degli spazi dismessi, rispetto alla quale la disciplina degli interni è chiamata a rivestire un ruolo di primaria importanza.3 Centineo porta come esempio l’esperienza di Luca Ronconi che crea per i suoi spettacoli concezioni spaziali innovative: ne L’Orfeo (Milano, Teatro alla Scala, 1985) sostituisce alla platea una enorme vasca di acqua e fa sedere gli spettatori solo nei palchi, mentre in Infinities (Milano, Spazio Bovisa, 2002) predispone diversi spazi di rappresentazione, che vengono attraversati dal pubblico itinerante. 3 Branzi A., Chalmers A., a cura di, Spazi della cultura, cultura degli spazi : nuovi luoghi di produzione e consumo della cultura contemporanea, Franco Angeli, Milano 2007.

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L’Orfeo, Luca Ronconi, Milano, Teatro alla Scala, 1985

Infinities, Luca Ronconi, Spazio Bovisa, 2002


Io e Mafalda discutiamo di come potrebbero essere progettati i nuovi spazi per la rappresentazione, in modo da divenire potenzialità e non vincolo per la funzione che ospitano. Alcuni dei più riusciti esempi contemporanei propongono strutture flessibili per garantire la massima elasticità nella composizione degli ambienti. La flessibilità viene ricercata sia negli interni, attraverso pareti scorrevoli o smontabili, sia, se il contesto lo permette, in relazione con l’esterno. Cito SANAA che, nel concorso per la Ciudad del Flamenco di Jerez, propone un grande anfiteatro circolare che converge sul palcoscenico e può essere suddiviso da pareti smontabili in ambienti di varie dimensioni che ospitano programmi diversi. Mafalda parla di Bernard Tschumi e del progetto del Parco de la Villette nel quale l’architetto propone un sistema composto da strutture puntuali in acciaio smaltato sovrapposte ad una griglia di percorsi che enfatizzano il movimento attraverso il parco; vi si svolgono principalmente attività culturali e ricreative. E ancora il progetto del parco di Ibirapuera a São Paulo, nel quale Oscar Niemeyer dispone alcuni edifici-padiglione collegati tra loro attraverso camminamenti coperti da una pensilina dal profilo ondulato; poi, nell’auditorium, posiziona alle spalle del palcoscenico un’apertura larga 18 metri, che lo rende visibile anche dal pubblico seduto nel parco durante i concerti estivi. Se la flessibilità sembra poter essere una via per introdurre nei nuovi luoghi della rappresentazione le dimensioni del movimento, come applicarla però alla rigida cortina esistente del CLIP?

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SANAA, Progetto per il concorso per la Ciudad del Flamenco a Jerez, 2004


Parque de la Villette, Bernard Tschumi, Parigi, 1982-1998


Parco e audutorium di Ibirapuera, Oscar Niemeyer, SĂŁo Paulo, 1954


2.3 A Praia

“Fare teatro è come cercare al buio qualcosa che non esiste. E trovarla.” Ennio Flaiano

Quando ci si confronta col tema della riqualificazione di una struttura esistente, che si intende mantenere e ridestinare, il contesto in cui si colloca assume nella strategia di progetto un ruolo determinante dal quale non si può prescindere. Per il lungomare di Porto e per il fronte marittimo del Parque da Cidade, il CLIP, non solo rappresenta un’opportunità non sfruttata, ma si pone come vero e proprio ostacolo alla circolazione dell’area. Pertanto, la nuova funzione attribuita al manufatto architettonico deve anche dare un nuovo senso spaziale al suo immediato intorno, sfruttandone le potenzialità e contribuendo a risolverne i conflitti. Il nuovo teatro ha la peculiarità, rispetto ad un teatro cittadino, di non doversi confrontare con un tracciato urbano o una cortina edilizia adiacente, ma con un grande spazio aperto che presenta alcune problematiche e potenzialità. I percorsi, disegnati da Sola Morales e ormai parzialmente insabbiati, si scontrano con il CLIP e tra di loro rendendo difficile e macchinosa la circolazione dei passanti. Gli spiazzi più grandi sono semi abbandonati a causa della mancanza di un programma e scarseggiano sedute e aree sosta dedicate. I camminamenti che salgono sui frangiflutti sono chiusi al pubblico perché pericolosi in quanto sforniti di parapetto. L’idea di teatro diffuso è ripresa da quella di museo diffuso e ha l’intento di estendere le attività della nuova struttura anche fuori dall’edificio. In questo modo, non solo il teatro ha a disposizione diversi spazi di rappresentazione, ma anche il suo immediato intorno si arricchisce di un nuovo significato. Le nuove strutture, realizzate nel parco e sulla spiaggia, sono sovrapposte al progetto di Sola Morales, del quale rispettano gli allineamenti e le geometrie. L’Oceano, il parco e l’edificio stesso del teatro diventano le scenografie dei nuovi spazi di rappresentazione. La consistenza materica lignea, tipica degli impianti balneari e dei supporti scenografici, accomuna tutto il progetto. Una gradonata, appoggiata sul dislivello di uno dei due frangiflutti, guarda l’edificio del teatro e lo spiazzo antistante destinato a grandi eventi, ma anche a improvvisate partite di pallacanestro pomeridiane. Più a Nord una passerella, che sale sull’altro frangiflutto, si apre in alcuni balconi dai quale si gode una spettacolare vista sull’Oceano e che possono essere utilizzati come spazi per esposizioni fisse o spettacoli itineranti. La passerella prosegue lungo la nuova facciata del teatro e ricuce i percorsi che dal parco si allungano verso la spiaggia. Superato il viadotto, un piccolo palco per concerti e spettacoli all’aperto si sporge sulla riva del lago artificiale. Il collegamento delle strutture con l’edificio centrale avviene attraverso fasci di luce fissi, che partono da riflettori posizionati sulla cima della nuova torre scenica, e indicano al visitatore il punto in cui si sta svolgendo l’azione. Il teatro svolge il ruolo di faro sulla spiaggia ed evoca la funzione originaria del CLIP, distribuendo energia alla zona attraverso “cavi elettrici” di luce. Quando l’azione principale si svolge all’interno dell’edificio, i riflettori colpiscono gli specchi dell’impianto fotovoltaico a concentrazione solare, posizionato sul tetto, creando giochi di luce.

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2.4 O Teatro Modena, Febbraio 2014

Nella biblioteca d’arte di Modena i libri di architettura sono tutti collocati nelle scaffalature sul ballatoio. Il ballatoio è inaccessibile al pubblico a seguito del terremoto che ha colpito la città nel 2012. La bibliotecaria scende dalla scaletta tenendo una mano sul corrimano e abbracciando il libro con l’altra. “Aldo Rossi. Teatri” recita la copertina e mi riporta con la memoria ad una mostra, allestita a Venezia, che avevo visitato nel caldo Giugno 2012, subito dopo il terremoto. E forse meglio di ogni tentativo di recupero è l’invenzione del teatro come luogo delimitato, le assi del palcoscenico, scenografie che non vogliono più imitare nulla, le poltrone, i palchi, la vertigine della finzione, azioni e i personaggi che, nel continuo ripetersi, sono quasi staccati dall’intelligenza e dal corpo; questo mondo che ai primi battiti dell’orchestra si impone con il prestigio del teatro. Questi primi battiti sono sempre un inizio e possiedono tutta la magia dell’inizio; capivo tutto questo guardando i teatri vuoti come costruzioni abbandonate per sempre anche se il loro abbandono è spesso più breve della luce del giorno; ma questo abbandono è tanto carico di memoria che costruisce il teatro.4 Una struttura esistente in rovina, nonostante sia arrivata alla fine di un ciclo di vita, possiede agli occhi del progettista la “magia dell’inizio” di una nuova storia, che porta sempre con sè il suo “carico di memoria”.

Gli architetti che si sono confrontati col tema della rovina hanno proposto approcci tra loro molto diversi. Francesco Venezia nel Museo di Gibellina completa e amplia la rovina di una facciata, risparmiata dal terremoto che ha raso al suolo la città nel 1968, dandole un forte spessore, all’interno del quale colloca il museo. Diener and Diener nel progetto del Museum of Natural History a Berlino tamponano gli squarci, provocati dai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale all’ala Est, con pannelli ciechi che ripropongono il disegno di facciata originale dell’edificio. Ortner e Ortner costruiscono per il nuovo NRW State Archive di Duisburg una torre di mattoni cieca, con il tetto a spioventi, al centro della rovina preesistente di un vecchio mattonificio. Più silenziosi sono i progetti provenienti dalla penisola iberica. Agli allineamenti disegnati dai resti della città romana di Augusta Emerita, Rafael Moneo sovrappone una nuova griglia di murature portanti in mattoni tra le quali si sviluppa il Museo Nazionale di Arte Romana di Merida. Anche in Portogallo, nel progetto per Villa Alenquer, lo studio Aires Mateus rompe gli allineamenti preesistenti, letteralmente infilando una nuova struttura indipendente all’interno della cortina edilizia dell’edificio precedente. In questi progetti vi è un voluto effetto straniante derivato dal forte contrasto tra il nuovo e l’esistente, ma le scelte progettuali corrispondono sempre ad esigenze dettate dalla funzione. 4 Celant G., a cura di, Aldo Rossi: Teatri, Milano : Skira ; Venezia : Fondazione Emilio e Annabianca Vedova, 2012, (Catalogo della Mostra tenuta a Venezia nel 2012).

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Museo di Gibellina, Francesco Venezia, Gibellina, 1981-1987


Museum of Natural History, Diener and Diener, Berlino, 2005-2010


NRW State Archive, Ortner e Ortner, Duisburg, 2013


Museo Nazionale di Arte Romana, Rafael Moneo, Merida, 1980


Villa Alenquer, Aires Mateus, Alenquer, Portogallo, 1998-2000


Nel progetto del Teatro da Praia, la “magia dell’inizio”, che avevo avvertito osservando il CLIP, aveva trasformato, nella mia immaginazione, le sottili pareti in una scenografia teatrale. La struttura, infatti, pur trovandosi in stato di rovina, possiede una cortina edilizia completa che individua un volume preciso, all’interno del quale è stato ricavato il cuore del teatro: la sala degli spettacoli. Questa si divide in palcoscenico, collocato nel blocco Sud, nucleo originario dell’edificio, e platea e palchetti, ricavati nel blocco Nord. L’interno della cortina esistente diventa la scenografia della sala; per accentuare questo effetto l’ingresso ai palchetti avviene attraverso le aperture svuotate del CLIP. Per ospitare le funzioni accessorie, si è reso necessario aumentare la volumetria esistente. Una nuova facciata circonda e ingloba la cortina del blocco Nord; nel diaframma così generata si collocano i collegamenti verticali, i percorsi e gli ambienti di servizio. La nuova struttura si sviluppa attorno alla cortina edilizia senza mai toccarla, per preservare il suo ruolo di scenografia. Mentre, a partire dal blocco Sud, sopra il palcoscenico, si alza la torre scenica, che necessita di un’altezza sufficiente a contenere il materiale scenografico non in uso. La cortina del blocco Sud

viene

lasciata scoperta all’esterno per segnalare la presenza dell’edificio e preservare la sua appartenenza al contesto; il suo passato di rovina è evocato da una lama di sabbia che ne perimetra l’attacco a terra. Il linguaggio architettonico della nuova facciata richiama quello di una classica scenografia teatrale. La struttura è costituita da telai in legno tamponati con pannelli specchianti. In corrispondenza delle aperture originarie del CLIP lo specchio è sostituito da vetro trasparente, con un disegno che ripropone quello delle aperture stesse. Di giorno la facciata riflette la spiaggia e l’Oceano, mimetizzando l’edificio con il suo contesto, in un gioco di finzione che è tipico del mondo teatrale; mentre di notte, quando l’edificio entra in funzione, la luce proveniente dalle finestre suggerisce la presenza delle rovine del CLIP all’interno.

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Disegni di concept


Modello di concept


Modello di concept di facciata


3. Racconto di Progetto

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3.1 Tipologia e Funzione Modena, Dicembre 2013 Il Teatro Comunale di Modena riposa silenzioso in un pomeriggio natalizio. Quando entriamo le luci sono spente; mia madre dice alla guardia di essere la professoressa di musica, ci stavano aspettando. Mentre attraversiamo il foyer preparo la macchina fotografica. La sala degli spettacoli è illuminata e sul palco alcuni macchinisti montano un supporto per orchestra. La platea, di forma ovale, termina nel golfo mistico, ai piedi del palco, e, sulle pareti sono disposti quattro ordini di palchi più il loggione. Un enorme astrolampo di cristallo è sospeso al centro della soffitta. Cercando di non disturbare saliamo dietro le quinte, passando in rassegna i meccanismi di ancoraggio, il fondale e il sipario tagliafuoco. Una rampa carrabile collega direttamente il retropalco con l’esterno. A fianco un passaggio si apre sugli ambienti di servizio, camerini, sartoria e sale prova, disposti su più piani. Saliamo con l’ascensore fino al piano dove si trova il graticcio, una griglia formata da travetti di legno posti ad una distanza regolare tra i quali vengono fissati i rocchetti sui quali sono calate le scenografie. All’ultimo piano, nel sottotetto, si apre un grande spazio adibito a laboratorio di scenografia; al centro del pavimento si apre una botola attraverso la quale viene issato l’astrolampo per essere pulito. Lungo le pareti sono esposti alcuni modellini di scenografia nei quali una riproduzione in miniatura del graticcio permette di disporre le quinte scenografiche a distanze diverse dando profondità alla scena. L’ingresso del pubblico al Teatro da Praia avviene attraverso la nuova facciata ed è orientato verso la rotonda del Castello do Queijo e il parcheggio sotterraneo, dai quali proviene il maggior flusso di persone. L’accesso riservato agli artisti si trova invece lungo la facciata esposta a Sud e conduce direttamente nel retro palco. I materiali e le strutture di dimensioni e peso maggiore possono essere trasportate fino al montacarichi esterno attraverso una rampa carrabile che scende a fianco alla rotonda. L’accesso su due lati dell’ascensore permette di scaricare il materiale direttamente sul palco, più alto di un metro rispetto al livello stradale. Un uscita di sicurezza per il pubblico è stata prevista lungo la nuova facciata, al lato opposto rispetto all’ingresso. L’edificio si sviluppa su tre piani principali, ai quali si aggiunge la torre scenica. Il piano interrato è stato realizzato ex-novo e ospita il sottopalco, i camerini, le sale prova e il magazzino. Vi si accede attraverso il montacarichi esterno e due corpi scala, che portano nel retropalco e nel diaframma attorno alla sala. Il sottopalco ospita un ulteriore montacarichi, che sale al centro del palcoscenico, ed è direttamente collegato con il golfo mistico. Questo è di dimensioni ridotte, per ospitare alcuni strumenti di accompagnamento allo spettacolo, e il suo pavimento può salire fino all’altezza della platea, facendolo scomparire completamente. Sotto la platea si aprono 300 mq adibiti a magazzino e sale prova, forniti di servizi igienici. I camerini sono disposti ai lati del sottopalco, a parte si trova il camerino vip o saletta stampa. Al piano terra, subito dopo l’ingresso, ci si trova all’interno del diaframma delimitato dalle due cortine, in uno spazio a doppia altezza adibito a foyer, sul quale si aprono il bancone della reception e l’ingresso principale alla sala. Proseguendo si incontrano il guardaroba, i collegamenti verticali che portano al piano primo e i servizi igienici. Il segmento del diaframma orientato a Ovest ospita una scala secondaria che conduce dal piano primo all’uscita di sicurezza e, sotto questa, il collegamento col piano interrato, mentre nello spazio restante sono disposte alcune sedute che

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permettono di godere, attraverso le aperture, della vista spettacolare sul Castello e sull’Oceano. La sala degli spettacoli, alla quale si accede attraverso una doppia porta, si divide in platea e palcoscenico. La platea gradonata presenta un dislivello di 80 cm sul quale si sale attraverso una rampa laterale. Dietro alla platea si aprono tre porte di uscita ricavate nelle aperture della cortina preesistente. Sopra la platea si trova un ordine di palchetti, disposti sui tre lati e sospesi tramite tiranti alla struttura reticolare della copertura; anche a questi si accede attraverso le aperture svuotate del CLIP e la schermatura della luce proveniente dal ballatoio è garantita da tendaggi di panno tesi tra i tiranti di sostegno. In tutto la sala può ospitare 400 spettatori. L’accesso al palco avviene attraverso delle scalette posizionate ai due lati, una delle quali passa sotto un arco, l’unico rimasto della struttura preesistente. Il palcoscenico insieme al proscenio è largo 9.5 m e profondo 10, mentre tutt l’area, compreso lo spazio delle quinte si distribuisce su di un area di 200 mq. Le quinte ed il fondale sono disposti secondo uno schema che permette di celare anche allo spettatore seduto nell’ultimo posto quello che avviene nel retroscena. Qui si trovano gli accessi del montacarichi, l’ingresso dedicato agli artisti e le scale che conducono a sottopalco e camerini, ma anche che salgono fino alla cima della torre scenica. Il primo piano ospita il secondo blocco servizi e una piccola caffetteria nella posizione in cui, al piano terra, si trova il bancone della reception. Da qui si accede ai palchetti attraverso le aperture della cortina preesistente. La torre scenica è alta 20,5m ed è organizzata su tre livelli principali, ai quali si accede sia attraverso le scale di servizio sia attraverso il montacarichi. Il primo ballatoio gira attorno al palcoscenico appena sopra l’arco scenico; da questo si accede al ponte luci e qui vengono fissati alcuni dei tiri delle scenografie. Il secondo livello è costituito dal graticcio, tecnologia già descritta sopra, che occupa l’intera area del palcoscenico e sul quale sono issate le scenografie. All’ultimo livello della torre si apre una grande sala di 200 mq, che ospita sale prova e laboratori scenografici. Questa è ispirata al progetto dell’Opera di Lyon di Jean Nouvel e gode di una spettacolare vista a 360 gradi sull’Oceano e sul Parco da Cidade.

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Teatro Comunale di Modena, Francesco Vandelli, Modena, 1841


Opera di Lyon, Jean Nouvel, Lyon, 1993


3.2 Interni Gli interni del Teatro da Praia si sviluppano attorno alla cortina edilizia della vecchia centrale elettrica, che diventa il fondale sul quale le componenti architettoniche si muovono, col ruolo attori, all’interno di un racconto in cui ripetizione e improvvisazione si alternano in modo equilibrato, come nel canovaccio di una commedia. La nuova e la vecchia facciata si fronteggiano, in un continuo gioco tra cosa è architettura e cosa scenografia. L’impalcato del primo piano è un ballatoio, sospeso alla copertura da tiranti in acciaio, che dialoga con le due cortine senza però mai toccarle allo scopo di sottolinearne la presenza scenica. Seguendo la stessa regola, i volumi che ospitano servizi, camerini e sale prova, le scale, gli ascensori e i banconi del foyer e della caffetteria hanno una profilo netto e sono sempre leggermente scostati dalle pareti. Un’attenzione particolare è stata data al progetto del palcoscenico e del retropalco, i quali sono stati arredati, per quanto possibile, con elementi mobili e non fissi, in

modo da permettere l’utilizzo dell’interno della cortina della centrale come sce-

nografia, una volta rimossi quinte e fondale. Le tecnologie utilizzate, sia nella struttura dell’intero edificio, sia nei dettagli degli interni, evocano quelle tipicamente utilizzate nel mondo teatrale. Il ballatoio, i gradini delle scale per il pubblico e i palchetti sono sospesi tramite tiranti alla copertura, come le scenografie al graticcio. L’impiego di pannelli pieni, fissi o scorrevoli, tagliati al colmo, in modo tale da non arrivare mai fino a toccare il soffitto, richiama un sistema di quinte teatrali. Ne sono un esempio i parapetti del ballatoio e i pannelli utilizzati per chiudere i servizi igienici e per sorreggere le scale. Un discorso a parte va fatto per le pareti scorrevoli, le quali, oltre a ricordare tecnologie sceniche, hanno anche la specifica funzione di creare la flessibilità degli spazi interni, sopra cui si è discusso nel capitolo 2.2. Al piano interrato i camerini e le sale prova/magazzino sfruttano questo sistema. I primi sono disposti in linea e vi si accede attraverso una lunga parete armadio che li delimita; sono comunicanti tra loro grazie ad un sistema di pannelli scorrevoli insonorizzati che si impacchettano nella parete armadio. In questo modo si può usufruire sia di camerini singoli, sia di un camerino per tutta la troupe. Le sale prova e magazzino sono organizzate in un grande ambiente unico, scandito da pilastrini in acciaio che sostengono la platea; a questi si agganciano delle pareti scorrevoli che corrono su doppi binari. Il sistema permette di creare sale prova di dimensioni molto diverse, o di adibire più o meno spazio a magazzino a seconda delle necessità. Un sistema analogo, con le stesse finalità, è utilizzato nella sala in cima alla torre scenica, la quale può essere utilizzata come open space, oppure compartimentata per usi differenti. La piccola caffetteria al primo piano è costituita da un semplice bancone stampato in acciaio inox, sul quale è sospesa una struttura a telaio in profili di acciaio che evoca i ponti luce e le travi di sostegno delle scenografie. Alla struttura, infatti, sono agganciati il sistema di illuminazione a faretti e un sistema di pannelli, che scorrono su doppi binari, andando a schermare il bancone. Così la caffetteria può essere così utilizzata in modo diverso a seconda del flusso di clienti del momento. In corrispondenza del diaframma generato dall’apertura completa dei pannelli, la pavimentazione cambia da parquet a tappeto. 61


I materiali utilizzati negli interni sono principalmente il legno, l’acciaio e il panno. Il legno è stato scelto in quanto materiale tipico delle strutture scenografiche, e viene utilizzato sia negli interni sia negli esterni. Si tratta di larice lamellare, materiale particolarmente indicato per elementi strutturali esposti alle intemperie, ma anche per mobili e componenti d’arredo. L’acciaio, utilizzato nelle struttura principale per le sue capacità di coprire grandi luci e resistere a trazione, è ripreso in alcune finiture degli interni, come i rivestimenti degli ascensori e del piano della caffetteria e ovviamente per i tiranti. Le pavimentazioni sono prevalentemente in parquet per l’impalcato del primo piano e per platea e palcoscenico, mentre quella del piano terra è in resina. La luce gioca un ruolo fondamentale anche negli interni. La maggiorparte dei faretti e disposta a terra lungo i perimetri delle due cortine; in questo modo la luce sottolinea le intercapedini che le separano dal ballatoio e si distribuisce su tutta l’altezza delle facciate, esaltandone la carica scenografica. Anche i condotti degli impianti idraulico, elettrico e di ventilazione caratterizzano gli interni in quanto sono tutti lasciati a vista per una scelta progettuale legata alla volontà di non avere setti portanti, ma solo strutture puntuali libere.

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Disegni e dettagli degli interni


Disegni e dettagli della struttura e degli interni


3.3 Soluzioni Strutturali e Tecnologiche La struttura dell’edificio presenta soluzioni che sono state dettate dalla necessità di coprire l’ampia luce libera sopra la platea e il palcoscenico, e dalla volontà progettuale di trovare un ritmo della maglia strutturale che non interferisse con quello del disegno di facciata della cortina esistente. Per coprire la luce di 20 m che intercorre tra i due lati, è stato studiato un sistema di travi reticolari in acciaio, alte 80 cm e sorrette da pilastri profilati in acciaio 20x20cm. I pilastri sono posti al di fuori della cortina del CLIP per non impedire la visuale degli spettatori sui palchi. Le travi si allungano a sbalzo oltre i pilastri per sostenere la copertura del volume fino alla nuova facciata, senza però toccarla. Questa infatti è resa autoportante da una struttura esterna a travi e pilastri in legno lamellare di larice, materiale particolarmente indicato per gli elementi strutturali esposti alle intemperie. I controventi a croce sono realizzati con tiranti in acciaio e i tamponamenti, in vetrocamera con rivestimento selettivo antisfondamento serigrafato a specchio, sono intelaiati nel sistema di travi e pilastri attraverso un telaio fisso non visibile. L’impalcato del primo piano è costituito da un solaio in lamiera grecata sostenuto da un sistema di travi e travetti in acciaio e rivestito in pannelli di legno di larice. Il tutto è sospeso alla struttura della copertura tramite tiranti in acciaio, dal diametro di due centimetri. I tiranti disposti verso il perimetro della nuova facciata sono agganciati anche a terra. La struttura della copertura è realizzata con un sistema a lamiera grecata analogo a quello dell’impalcato del primo piano e coibentato con pannelli di fibra di legno. La torre scenica presenta una struttura puntuale composta da due file di pilastri profilati in acciaio disposte sui lati corti e collegate tramite travi reticolari, che fungono anche da sistema di controventamento. Per quanto riguarda gli impianti, l’aerazione è garantita da un impianto di ventilazione forzata le cui bocchette di mandata sono disposte a terra lungo il perimetro interno della nuova facciata, mentre quelle di ripresa sono sospese alle travi reticolari. Un impianto fotovoltaico a concentrazione solare i 600mq è installato sulla copertura della platea. I pannelli fotovoltaici sono sdraiati in modo da poter ricevere luce proveniente da ogni direzione che viene loro reindirizzata tramite specchi inclinati a 60° e posizionati sui due lati. L’insonorizzazione della sala è garantita tramite un controsoffitto a pannelli fonoassorbenti sospeso alla travatura secondaria della copertura. Le aperture del piano terra della cortina della centrale sono tamponate con pannelli insonorizzanti e anche le pareti interne della torre scenica sono rivestite di materiale fonoassorbente.

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Dettaglio di facciata

Dettaglio copertura e giunto travi-tiranti


Dettaglio intelaiatura pilastro e infisso di facciata

Dettaglio giunto vecchia-nuova struttura della torre scenica


Bibliografia

LOURENCO, Eduardo, Il labirinto della saudade. Portogallo come destino, Diabasis, Reggio Emilia, 2006. CELANT, Germano, a cura di, Aldo Rossi: Teatri, Milano : Skira ; Venezia : Fondazione Emilio e Annabianca Vedova, 2012, 221 p. : ill., 29 cm. (Catalogo della Mostra tenuta a Venezia nel 2012). BRANZI, A., CHALMERS, A., a cura di, Spazi della cultura, cultura degli spazi : nuovi luoghi di produzione e consumo della cultura contemporanea, Franco Angeli, Milano 2007, 195 p., 23 cm, 1a edizione 2008. FLUSSER, Vilém, Filosofia del design, Milano, B. Mondadori, 2003, 153 p., 17 cm. AZARA, P., GURI, C., Arquitectos a escena : escenografias y montajes de exposicion en los 90, introducciones de Pedro Azara y Joan Roig, Gustavo Gili, Barcelona, 2000, 143 p. : ill., 24 cm. NEUFERT, Ernest, Arte de proyectar en arquitecura, Duodecima ediciòn, Ed, Gustavo Gili, Mexico, 1975. VENEZIA, Francesco, Francesco Venezia : l’architettura, gli scritti, la critica, Electa, Milano, 1998, 252 p. : ill., 28 cm. BRAGHIERI, Nicola, “Diener & Diener Architekten, Museum für Naturkunde, Berlino, Tierschicksale. Destini di animali. Ricostruzione e restauro del museo di storia naturale a Berlino”, collana “Casabella”, n. 803, p.4-13, Luglio 2011. EL CROQUIS, Rafael Moneo 1990-1994, n. 64, febrero 1994. OLIVIERA, Olivia de, Lina Bo Bardi. Sutis substâncias da arquitectura, Gustavo Gili, São Paulo, 2006. DALAI, Benedetta, ABC della scenotecnica, illustrazioni dell’autrice, Dino Audino, Roma, 2006, 110 p. : ill., 21 cm.

Sitografia Camera municipale di Porto http://www.cm-porto.pt/ Archivio municipale di Porto http://gisaweb.cm-porto.pt/ Sito ufficiale del turismo di Porto http://www.visitporto.travel/Visitar/Paginas/Descobrir/ Janet Echelman Reshaping Urban Airspace World-Wide http://www.archdaily.com/ Blog Ruinarte http://ruinarte.blogspot.it/2010/10/edificio-do-clip-foz-do-douro-porto.html Bernard Tschumi http://www.tschumi.com/

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Indice delle Tavole

01.

Nuove Trasformazioni della CittĂ di Porto . . . . . . Scala 1:10000

02.

Il Fronte Marittimo del Parco de la Cidade . . . . . . Scala 1:2000

03.

Costruzione e Storia dell’Edificio . . . . . . . . . . . Scala 1:200

04.

Stato di Fatto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Scala 1:500

05.

Masterplan . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Scala 1:500

06.

Attacco a Terra e Schema distributivo . . . . . . . . . Scala 1:200

07. Pianta Piano Interrato e Sezioni . . . . . . . . . . . . 08.

Scala 1:100

Pianta Piano Terra e Viste degli Interni . . . . . . . . Scala 1:100

09. Pianta Piano Primo e Sezioni . . . . . . . . . . . . . .

Scala 1:100

10. Pianta Piano Torre e Viste degli Interni . . . . . . . . .

Scala 1:100

11. Prospetti Sud e Est . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Scala 1:100

12.

Prospetti Nord e Ovest . . . . . . . . . . . . . . . . Scala 1:100

13. Dettagli degli Interni . . . . . . . . . . . . . . . . .

Scala 1:10

14. Sezione Cielo Terra . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Scala 1:10

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