Università La Sapienza
Facoltà di Architettura
corso di laurea triennale in Scienze dell’architettura
La rappresentazione delle superfici
NELL’ ARCHITETTURA E NELLA MODA
A.A. 2018/2019 Relatore prof. Graziano Mario Valenti Studentessa: Martina Libernini Matricola<. 1314509
Indice Premessa………………………………………………………………………………………………3 Introduzione…………………………………………………………………………………………5 1. Gli architetti, la moda e il tessuto
1.1.Gli architetti e la moda…………………………………………………………………………………………7 1.2. Architettura tessile……………………………………………………….........................................8
2. La rappresentazione informatizzata
2.1. La geometria descrittiva nell’era dell’informatica………………………………………………11 2.2. Il nuovo concetto di spazio elettronico……………..…………………………………………….…12
3. I modelli
3.1. Definizione di modello…………………………………………………………………………………….…15 3.2. Fasi di costruzione di un modello……………………………………………………………………….15 3.3. La modellazione CAD………………………………………………………………………….……………..15 3.4. L’involucro…………………………………………………………………………………………………………18
4. I modelli di superficie
4.1. Definizione di superficie……………………..……………………………………………………………..23 4.2. Classificazione delle superfici……………………………………………………………………….……23 4.3. Le superfici free-form………………………………………………………………………………………..24 4.4. Le superfici mesh e i modelli numerici……………………………………………………………….31 4.5. Caso studio………………………………………………………………………………………………………..32
5. Le superfici nel progetto moda
5.1. Il disegno tradizionale………………………………………………………………………………………..35 5.2. Rappresentazione bidimensionale………………………………………………………………..…..36 5.3. Rappresentazione matematica e numerica………………………………………………………..39 5.4. Casi studio…………………………………………………………………………………………………………44
6. Tecniche e modellazioni
6.1. Reverse modelling……………………………………………………………………………………………..51 6.2. Rapid ptototyping………………………………………………………………………………………………53 6.3. Morphing…………………………………………………………………………………………………………..55
7. Considerazioni finali……………………………………………………….……………….57 Conclusioni………………………………………………………………………………………………………………60
Note…………………………………………………………………………………………………….61 Bibliografia………………………………………………………………………………………….62 Sitografia e fonti immagini……………………………..……………………………………63
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PREMESSA Lo scopo è di dimostrare che la Geometria descrittiva è una scienza viva e attuale. Essa non è solo un contributo indispensabile nella formazione degli architetti, degli ingegneri e dei designer, ma i suoi campi di applicazione, credo non siano stati ancora del tutto esplorati. Difatti si è discusso sul ruolo della geometria descrittiva nel processo di analisi e di configurazione dell’architettura, riconoscendovi un indiscusso valore anche nell’era dell’informatica, ma ho riscontrato con mano dalla mia personale esperienza lavorativa, che meno indagato appare invece il ruolo di questa disciplina nel campo del fashion designer, un settore nel quale l’immagine è essenza della comunicazione. Nella definizione, allora, di un’immagine che deve assurgere a ruolo di comunicazione pluridirezionale, il contributo della geometria appare sostanziale e attualmente molto trascurata. Il presente contributo in conformità a un’esperienza personale e di ricerca intende mettere in luce i profondi legami tra la rappresentazione del progetto moda e del progetto architettonico analizzando le superfici che li compongono.
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“Quando il risultato guida il processo andremo sempre e solo dove siamo già stati. Se invece, il processo guida il risultato potremmo non sapere dove stiamo andando ma sapremo di essere nella direzione giusta” B. Mau
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INTRODUZIONE Architettura e moda verso un’estetica condivisa Architettura e moda si affacciano con lo stesso interesse all’avvento del design generativo e della fabbricazione digitale trovando ancora una volta nella storia un punto di scambio, alternanza e profonda simbiosi. Interessanti sono le analogie formali, le inaspettate influenze e contaminazioni che si vanno a creare nell’utilizzo di un medesimo strumento di progettazione. La trasversalità moda-architettura passa attraverso un linguaggio estetico e formale comune che dota entrambe delle medesime possibilità espressive coadiuvandone l’interazione. Numerosi sono gli architetti che attraverso il codice comune di una sperimentazione hands-on, iniziano a testare con macchinari a controllo numerico processi che consentono di prototipare morfologie generate da sistemi matematici a base algoritmica. È proprio un architetto newyorchese, Francis Bitonti, a essere infatti, con Michael Schmidt, il primo ideatore di un abito interamente stampato in 3D. Presentato per la prima volta presso l’Ace Hotel di New York City nel 2013, l’abito espressamente confezionato per l’attrice Dita Von Teese è stato completamente realizzato con una stampante SLS ed è il risultato dell’assemblaggio di più di 3.000 componenti interconnessi prototipati in polvere di nylon, poi adornato con più di 13.000 cristalli Swaroski neri applicati su un tessuto di nuova generazione, ideato per avvolgere le curve e seguire i movimenti del corpo. Il design è generato, seguendo le proporzioni auree, tramite un software di gestione parametrica delle geometrie che assolve anche alla funzione di suddividere la superfice in singoli elementi. Le testimonianze e le analogie con l’ambito dell’architettura sono molteplici, così come molteplici sono gli architetti che hanno dato il loro contributo alla nascita di un design parametrico relativo alla moda. Ben van Berkel, Zaha Hadid, Rem D. Koolhaas e, in Italia, Arturo Tedeschi, Alessandro Zomparelli, sono solo alcuni dei progettisti che si sono impegnati nella sperimentazione di approcci computazionali al mondo della moda.
Esordio da stilista per Renzo Piano, Whitney Bag per Max Mara.
Zaha Hadid per Charlotte Olympia.
Abito di Francis Bitonti con Michael Schmidt.
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Scarpe di Marla Marchant Ponte Zubizuri di Santiago Calatrava.
Stivali Yves Saint Laurent The Wings by LibeskindVerner.
Décolleté di Michael Kors Cone Chair di Vitra.
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ssut 1 . Gli architetti, la moda e il te
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1.1. Gli architetti e la moda Moda e architettura lavorano a stretto contatto, rincorrendosi per poi rincontrarsi. Storicamente la moda ha tratto spunti da altri circuiti per la progettazione dei propri capi: natura, architettura, scultura, pittura, l’arte in genere. La moda ha il compito di “vestire” l’uomo, di renderlo estroso, innovatore. Lavorano su binari non paralleli ma incidenti. Un incontrarsi che rende l’arte non più effimera ma concreta, diretta al quotidiano umano. Architettura e moda operano con proporzioni, azioni, sentimenti. Il sentimento è fondamentale. Il concept è l’embrione, la genesi, dell’atto creativo. Il concept è il primo passo di entrambe le arti. Spesso l’architettura diviene concetto della moda, viaggiando così a stretto contatto. Tra le più famose ispirazioni tratte del mondo del costruito: la borsa di Paul Ka che ricalca la Bibliotheque Alexis De Tocqueville by OMA; le décolleté di Michael Kors con il design della Verner Panthon Cone Chair di Vitra; gli stivali Yves Saint Laurent e The Wings by Libeskind; le scarpe di Marla Marchant ispirate al Ponte Zubizuri di Santiago Calatrava a Bilbao. I fashion show, le catwalk, diventano la materializzazione del connubio Architettura-Moda. Un estendersi verso il mondo della scenografia, dell’allestimento. Affermate le sfilate della Maison francese Chanel, a cura del maestro Karl Lagerfeld. Fondali marini, meteoriti, ricostruzione di Rue Cambon. Un’onirica visione dell’intreccio tra le arti. La maison francese Louis Vuitton ha puntato, in passato, sull’architettura del Carrousel du Louvre con il direttore artistico Marc Jacobs. La storica casa di moda Prada, con a capo l’iconica Miuccia, punta invece ad un concatenarsi tra design ed architettura, in cui la luce gioca un ruolo primeggiante. Ma non solo catwalk anche maison, ed è cosi che l’architetto diventa colui che plasma i loro monumenti. Un mondo nuovo fatto di Architetture per la Moda. La Maison Hermes è stata progettata da Renzo Piano, nel 2001. Un edificio svettante nella città asiatica, Tokyo, che lavora con l’effimero, la trasparenza. Lo store Prada, progettato dal duo Herzog and De Meuron nel 2003, lavora sempre con il concetto di trasparenza, ma denudando una trama strutturale che ne impreziosisce l’impaginato prospettico contemporaneo. Toyo Ito, nel 2004, ha firmato il progetto per la sede della casa Tod’s. Un lavoro che ricrea una trama di alberi che s’intrecciano e danno vita ad un’interessante soluzione formale e spaziale. Le collaborazioni tra Architetti e Fashion Designer non finiscono qui ed ecco che spuntano capsule collection uniche e pochi accessori d’impatto . Zaha Hadid, nota per la sua stravaganza architettonica, si è dedicata al connubio tra le due arti. Noti i suoi disegni per Charlotte Olympia. Linee organiche, fluide, sinuose sposano la vestibilità delle calzature. Un concept organico che rivoluziona l’estetica tradizionale attraverso l’utilizzo di materiali innovativi. Dal mondo dell’arte abbiamo il lavoro a più mani tra Jeff Koons e Louis Vuitton. Una rivisitazione dei grandi maestri dell’arte ad impreziosire le celebri borse della maison. Debutto da “stilista” anche per l’architetto Renzo Piano, che con il suo team ha disegnato una borsa in edizione limitata, prodotta da Max Mara la Whitney Bag in occasione dell’apertura del Whitney Museum di New York. I grandi magazzini di lusso sono spesso sinonimo di design d’interni ricercato. La Rinascente, leader italiana nel settore, rappresenta un vero e proprio museo del design italiano e mondiale. Il nuovo palazzo romano, flagship store, in via del Tritone unisce moda, architettura antica, contemporanea e design. Chiunque può accedere al mondo del design visitando il piano dedicato ad esso, il piano dell’acquedotto Vergine . Una carrellata di complementi d’arredo, poltrone, apparati illuminotecnici che hanno segnato la storia della creatività italiana. Il fashion design di lusso incontra così l’architettura, nelle forme del palazzo, ed il design. Accanto a mostri sacri del fashion, Gucci, Versace, Prada, Saint Laurent troviamo Vitra, Kartell, Cassina, Flos: un connubio perfetto.
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1.2. Architettura tessile Architettura e moda si intrecciano e si incontrano anche nella lavorazione dei tessuti, così come i fashion designer anche gli architetti modellano il tessuto realizzando nuove architetture. Sebbene l’uso di materiali tessili nella costruzione leggera sia antico quanto la storia dei popoli che lo usavano in case di fortuna costruite con pelli animali, la tecnologia costruttiva contemporanea delle strutture tessili trova la sua origine nel diciannovesimo secolo. La sua progressione e il suo uso hanno avuto diverse pietre miliari nella storia dell’architettura. Le prime opere di architettura tessile iniziarono a essere realizzate nel 1952, il punto di partenza fu il Padiglione tedesco per l’ Expo di Montreal del 1967 , opera progettata da Frei Otto e Rolf Gutbrod . Oggi vengono usati i programmi di simulazione e modellazione nelle fasi di progettazione che consentono di migliorare i moduli e crearne sempre di nuovi, inoltre i nuovi materiali permettono costanti nuove realizzazioni. Le strutture tessili offrono ampi recinti di grande varietà e interesse spaziale, richiedono elementi di supporto minimi di struttura ”rigida” e forniscono ottimi livelli di luce naturale. Le strutture tessili sono membrane di spessore costante che, in virtù della loro forma superficiale e della loro grande deformità, possono sopportare grandi carichi. Quando si realizza un progetto di architettura tessile, è necessario tenere conto di tre fattori strutturali fondamentali: la scelta della forma della superficie, i livelli di precompressione e la deformità della superficie, poiché le superfici tessili differiscono notevolmente dalle strutture convenzionali. L’architettura tessile può coprire le stesse funzioni di un edificio convenzionale, con alcuni vantaggi che ci permettono di prevedere un futuro straordinario per questo tipo di struttura. L’architettura tessile può essere fabbricata in tensione o pneumatica. Le coperture pneumatiche sono quelle sostenute dall’aria, poiché lo sforzo perpendicolare si ottiene con una sovrappressione dell’aria. Le coperture tese sono quelle che utilizzano alberi, tenditori e cavi per serrare il tessuto alle estremità in direzioni e direzioni opposte, anche fuori dal piano. Oggi le strutture tessili si trovano in quasi tutte le zone climatiche del mondo e offrono un’ampia gamma di funzioni. I materiali utilizzati per fabbricare queste membrane sono cambiati molto dal loro inizio e si possono già trovare tessuti altamente tecnologici. La forma e il comportamento fisico delle strutture tessili differiscono notevolmente dalle convenzionali strutture a portale rigido utilizzate nella maggior parte degli edifici. I progettisti delle strutture tessili tengono conto di tre fattori strutturali fondamentali: la scelta della forma della superficie, i livelli di precompressione e la deformità della superficie. A differenza di quanto avviene nei metodi di costruzione di edifici più convenzionali, la deformità è considerata una caratteristica utile e importante delle strutture tessili. Inoltre, le deformazioni che si sviluppano nel materiale della membrana sono di grandezza maggiore rispetto, ad esempio, all’acciaio. Una volta progettata la struttura, inizia il processo di produzione e installazione. La membrana utilizzata per la produzione di strutture tensionate viene solitamente presentata in rotoli. Questi sono tagliati in plotter da taglio automatico, seguendo lo schema sviluppato dal progettista. Una volta che i disegni sono stati tagliati, devono essere uniti per formare la membrana. Ci sono diversi modi per unire i panni, a seconda del tipo di lavoro e del tessuto scelto. Ci sono giunture cucite, saldate ad alta frequenza, con cuneo caldo, aria calda, piastre riscaldanti, ultrasuoni, incollati, ecc. Una volta realizzata la membrana, è necessario applicare i diversi accessori che consentono il fissaggio ai montanti perimetrali. Nei vertici di queste superfici ci sono i cosiddetti pugni. Infine ci sono gli alberi, che possono essere intermedi o perimetrali. Una volta terminata la produzione della membrana e di tutti gli accessori, vengono lasciati l’imballaggio e il trasporto al sito di installazione. Il packaging è una parte molto importante del processo. Deve essere confezionati in modo che protegge ciascuna delle parti della membrana possibili attriti e dell’impatto. Ma, soprattutto, deve essere piegato in modo tale da facilitare l’installazione sul cantiere. Tessuti che possono essere utilizzati sono molteplici. Le membrane oggi disponibili offrono ampie garanzie prestazionali per la realizzazione dell’involucro edilizio: fra queste vi sono la fibra di poliestere spalmata in PVC, la fibra di vetro rivestita in PTFE, la fibra di vetro rivestita in silicone, il TenaraR rivestito in PTFE, l’ETFE e altri. Fra i più diffusi vi sono certamente il poliestere e la fibra di vetro spalmati in PVC o PTFE per l’alta resistenza a trazione. Il poliestere rivestito in PVC e in classe 1 per la resistenza al fuoco. Un aspetto molto importante e la trasparenza. In questo genere di involucri le finestre non esistono: e il tessuto stesso a far filtrare la luce esterna e a diffonderla all’interno della costruzione. I tessuti in poliestere a basse densità, possono avere una gamma cromatica piu vasta. Fino a qualche tempo fa il parametro dell’isolamento termico non era molto importante in quanto la maggior parte di questi edifici non prevedeva il riscaldamento, trattandosi per lo più di strutture temporanee per allestimenti fieristici e altre manifestazioni di questo genere. Oggi pero assistiamo sempre più spesso all’utilizzo prolungato nel tempo di tensostrutture a membrana che si trasformano in edifici stabili. Un esempio significativo e costituito dal Millennium Dome di Londra, riconvertito in arena per spettacoli sportivi o musicali.
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Le tecnologie attuali si stanno quindi evolvendo nella direzione di un perfezionamento delle membrane per ciò che concerne l’isolamento termo-acustico. Grazie alle nanotecnologie le prestazioni fornite dai tessuti per esterni si avvicineranno sempre più a quelle degli involucri tradizionali. Discreti livelli di isolamento termico possono essere raggiunti oggi con strutture composite a doppia membrana con interposto del materiale isolante. In questi casi una certa trasparenza può essere garantita dall’uso di materiali isolanti nanostrutturati come il Nanogel-Aerogel. Per quanto riguarda le strutture pneumatiche invece i livelli di isolamento termico attualmente raggiunti sono molto più elevati per il momento l’isolamento acustico e invece limitato al solo effetto di smorzamento delle alte frequenze. Altri aspetti sui quali si sta concentrando la ricerca sono la pulizia e la manutenzione delle superfici esterne. Si tratta di questioni molto importanti che riguardano la conservazione dell’aspetto originario del manufatto ma soprattutto il mantenimento di un buon livello d’illuminazione naturale. I laboratori di ricerca stanno lavorando sull’aumento delle performance dei materiali attraverso l’impiego di lacche e pellicole con elevate proprietà autopulenti. .
La realizzazione di un nuovo punto di riferimento per Doha rappresenta una vera occasione per il confronto tra le culture, facendo emergere un terreno comune, esaltando l’autonomia culturale e la tradizione del paese e la tensione positiva verso il futuro del mondo contemporaneo, tra esigenze globali e locali. Il padiglione, a forma di Oyster, procede con il rapporto metaforico dell’isola “Perla”. L’edificio è permanente, ma in tessuto fibra di vetro è stato scelto perchè la conchiglia si adattasse facilmente alla forma difficile e perché fosse costruito più velocemente. Il padiglione è circondato da acqua per introdurre un rapporto diretto con il mare. Località: Doha - Qatar Anno: 2006 Progetto architettonico: Peia Associati Area: 3000 mq Tessuto: Poliestere PVC.
Due grandi archi in acciaio si alzano e ruotano attorno a un asse centrale trascinando con loro un tessuto di poliestere/pvc che contemporaneamente si gonfia fino ad assumere le sembianze di un grande guscio pneumatico. Questa gigantesca conchiglia di 15 m di diametro compare in 7 minuti e poco più lentamente scompare schiacciata e sgonfiata sotto il peso dei supporti in acciaio, innescando il processo inverso di allontanamento degli archi semoventi, fino a ridursi a un perimetro di tessuto e acciaio che segna solo impercettibilmente la presenza a terra di un edificio, consentendo all'apparecchiatura telescopica la vista libera a 360 gradi, dall'orizzonte fino allo zenith. Località: Tenerife, Spagna Anno: 2016 Progetto architettonico: A. Schmid, ELTDesign Studio Area: 15 mq Tessuto: Poliestere PVC.
Una delle più grandi coperture smontabili realizzate dall'architetto con un sistema di tensostruttura (9300 mq). Una rete di sottili cavi di acciaio (12 mm) tesa fra otto alberi di acciaio alti 37 m e alla quale è appesa una trasparente membrana in PVC.
La forma del padiglione segue la distorsione parametrica di un toro la cui forma geometrica pura rappresenta il diagramma di base dello spazio espositivo. La distorsione crea una varietà costante di spazi espositivi interni, mentre al centro una corte illuminata naturalmente ed ampia 65 metri quadrati offre un’area per i visitatori. A dare forma all’involucro organico che avvolge il Mobile Art Pavilion di Chanel è una successione di segmenti che si incurvano ad arco. Dal momento che si tratta di un padiglione “nomade”, tale segmentazione renderà più semplice l’operazione di smontaggio, trasporto e riassemblaggio dei vari elementi. Anche in questo caso l’utilizzo di strumenti all’avanguardia di progettazione digitale ha consentito la realizzazione di forme fluide e sensuali, facilmente riconoscibili nei lavori firmati da Zaha Hadid. Il rivestimento esterno e stato realizzato con tessuto in poliestere rivestito in PVC mentre l’interno e stato rivestito con tessuto Dazian TrapezeR, un tessuto in poliestere con alta resistenza al fuoco.
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La nuova sede della Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Torino si trova lungo il fiume Dora nel sito dell'ex zona Italgas. La sinergia tra le imprese e gli studi di progettazione hanno permesso di reinterpretare la distribuzione dei padiglioni: connessioni e passaggi sono stati aggiunti con l'uso di un elemento altamente caratterizzante come il tetto in PTFE e la facciata ondulata. Il concetto generale del progetto architettonico è stato sviluppato dall'architetto Sir Norman Foster insieme ad un pool di architetti e ingegneri. Località: Torino Anno: 2016 Progetto architettonico: Sir Norman Forster Area: 16000 mq Tessuto: PTFE.
La Inflatable Tea House è un padiglione che ospita una sala da te, collocato nel giardino del Museum fur Angewandte Kunst (museo delle arti applicate) di Francoforte. Quando necessario viene attivato un sistema pneumatico che gonfia la struttura creando l’edificio. Il volume si manifesta come un fiore in tessuto bianco che sboccia dal nulla. Al suo interno una superficie di circa venti metri quadrati con posizionati nove tatami, un fornello elettrico per il bollitore dell’acqua e una sala dove preparare il te. Nell’involucro gonfiabile e integrato un sistema di illuminazione a LED che consente l’utilizzo della struttura anche di notte. Le pareti pneumatiche offrono, grazie all’aria in esse contenuta, un valido isolamento termico. Nell’intercapedine d’aria e contenuto inoltre un particolare sistema di riscaldamento. Dall’esterno l’edificio appare composto da due grandi bolle collegate fra loro (potrebbe essere assimilato ad una sorta di arachide), mentre la pelle esterna in tessuto tecnico e trapunta come quella di certi divani.
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atizzata rm fo in e n io az nt se e pr p ra a .L 2 2.1. La geometria descrittiva nell’era dell’informatica Per secoli il fine ultimo della geometria descrittiva è stato quello di creare un sistema di immagini che avessero una corrispondenza biunivoca con oggetti reali o di progetto e che comunque dovessero essere comprese senza alcuna possibilità di dubbi interpretativi. La codificazione della geometria descrittiva su base scientifica nasceva soprattutto dall’esigenza di avere un disegno che potesse racchiudere la reale essenza dell’oggetto tridimensionale che esso rappresentava. Ovviamente lo sforzo maggiore era quello di creare dei disegni che fossero anche di agevole comprensione e lettura. Con l’uso di matite, colori, fogli di carta, riga e compasso si era in grado di analizzare, progettare e comunicare lo spazio tridimensionale della realtà. Quindi solo un supporto piano, con dei segni costruiti secondo regole scientifiche, era in grado di trasmettere tutti quei contenuti necessari alla comunicazione di immagini. L’elaborazione di immagini ha seguito per secoli sempre le stesse metodologie: elaborati grafici in pianta e alzati, viste assonometriche e prospettiche rappresentati su supporti cartacei attraverso l’uso di strumenti manuali. L’introduzione delle prime tecnologie informatiche ha fornito una soluzione matematica a tutta una serie di utilizzazioni grafiche. Si possono notare delle differenze di ordine concettuale, che hanno modificato radicalmente il rapporto tra operatore e disegno, e differenze di ordine pratico, cioè sostanzialmente modificazioni che derivano esclusivamente dalla natura del mezzo a disposizione. Concettualmente lo spazio bidimensionale limitato del foglio da disegno si è trasformato in uno spazio vettoriale. Si è passati dall’uso del foglio da disegno, una superficie che può assumere differenti caratterizzazioni puntuali fisiche per differenze cromatiche (i punti, le rette, le figure piene ecc.) ad un file vettoriale governato da leggi analitiche, dove ogni elemento ha una sua precisa funzione matematica che lo regola. Segni che avevano una giustificazione e una essenza in un punto preciso dell’immagine hanno lasciato il posto, quindi, a funzioni matematiche che si manifestano esattamente come le immagini grafiche. I segni sulla carta, quindi, sono stati sostituiti da immagini virtuali con una doppia identità: una manifestazione fisica che appare nella finestra del monitor e una legge nascosta ed intrinseca che le governa. Una prima conseguenza importante consiste nel cambiamento significativo del concetto di spazio di lavoro. Il disegnatore non produce più, infatti, un unico disegno originale, ma un file che può essere riprodotto in innumerevoli esemplari identici gli uni agli altri. Perde significato, quindi, l’originale rispetto alla copia. Non esistono più le aberrazioni o le deformazioni delle copie sui vari supporti. Il metodo di lavoro, inoltre, risulta concettualmente diverso nel modo di operare per passi che possono essere cancellati fino all’origine del disegno, o ripristinati. Non esiste più l’operazione del cancellare fisicamente un segno dal suo supporto. Quello che per secoli è andato perduto nelle operazioni di disegno, attualmente si può recuperare in un continuo processo di eliminazione o di successivo ripristino. Dal punto di vista operativo, questo aspetto crea nel disegnatore un atteggiamento sostanzialmente diverso. Si procede più liberamente per passi successivi e per tentativi. Il file, inoltre, è per sua natura aggiornabile. Dal punto di vista pratico l’esito di un disegno digitale comporta diversi aspetti che non cambiano la natura del disegno stesso, ma lo caratterizzano in modo differente. Una prima conseguenza si è avuta nella precisione metrica tra ciò che veniva disegnato e la sua dimensione corrispondente nell’immagine digitale. Un’altra importante differenza consiste nella definizione univoca dei punti notevoli degli elementi grafici: i punti di intersezione, di inizio e fine di una retta, ad esempio, non sono più interpretati dalla mano del disegnatore, ma hanno una precisa corrispondenza matematica. Dal punto di vista del risultato grafico, poi, l’uso dello strumento informatico ha offerto un nuovo universo nel modo di rappresentare i materiali dell’oggetto disegnato e, soprattutto, degli effetti della luce sugli stessi corpi. Riflessi, trasparenze e differenti gradi di luminosità dei corpi sono entrati a far parte delle rappresentazioni comuni nei rendering.
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Riguardo alla applicazione dello strumento informatico nella disciplina della geometria descrittiva si deve tener conto del fatto indiscusso che tutte le operazioni della materia atte a disegnare oggetti a due o tre dimensioni sullo spazio bidimensionale del foglio da disegno usano i mezzi della riga, del compasso e la capacità del disegnatore di unire pochi punti notevoli che compongono le figure curve. Lo strumento informatico offre innumerevoli software che operano nello spazio bidimensionale e che gestiscono la costruzione di rette, cerchi e spline che uniscono i punti notevoli delle curve non regolari. In questa operazione il risultato, oltre ad essere molto più preciso nella definizione delle parti, nella distinzione delle rette e dei punti di intersezione, è sostanzialmente equivalente dal punto di vista concettuale. Usato come un tecnigrafo di grande precisione il computer non porta nessuna innovazione o cambiamento concettuale nella disciplina: il risultato sono disegni più “precisi”, eseguiti forse con più rapidità. Dove l’uso dello strumento si dimostra fondamentale e apre il campo ad innumerevoli applicazioni consiste nella possibilità operare direttamente nello spazio tridimensionale dei software. Si deve tener presente che lo spazio del computer può essere uno spazio a tre dimensioni e che quindi gli oggetti rappresentati hanno una duplice possibilità di essere. Sono oggetti che esistono nel mondo virtuale, si mostrano dalla finestra del monitor ed infine possono essere proiettati a formare le diverse rappresentazioni tipiche dei vari metodi. Più precisamente si può notare come il disegno non sia più legato ad un metodo di rappresentazione, ma che si possa operare indipendentemente dall’esito finale. Non si lavora più sulle proiezioni ottenute nei vari metodi, ma si agisce direttamente sull’oggetto. Questo importante cambiamento operativo consente, quindi, attraverso l’uso di programmi di modellazione solida, la risoluzione dei problemi tipici della geometria descrittiva mediante operazioni spaziali che spesso sono più immediate in quanto non necessitano di alcuna costruzione grafica, e anche più generali. Lo sviluppo dei software di modellazione solida ha portato, quindi, la possibilità di indagare, in modo agevole e corretto, figure molto complesse ed anche le loro reciproche relazioni. Una delle conseguenze più evidenti è l’allargamento del repertorio stesso delle curve e delle superfici usate nella progettazione architettonica. L’introduzione delle NURBS (1) ha portato la geometria ad una nuova possibilità di controllo e di studio proprio di queste particolari forme. Un altro uso importante nelle applicazioni della geometria descrittiva è quello di visualizzare le leggi della scienza della geometria con innumerevoli operazioni in tempo reale. Si prenda ad esempio la possibilità del tutto nuova di insegnare la materia attraverso la visualizzazione dell’oggetto tridimensionale e delle sue proiezioni: la geometria descrittiva si avvale dell’informatica per svelare le sue leggi. La grande opportunità dell’uso informatico della geometria è quella di consentire un’osservazione simultanea dell’oggetto rappresentato da più punti di vista. La maggior parte dei programmi CAD (2) permette, infatti, di aprire più “finestre” sullo spazio di lavoro e, aspetto ancora più rilevante, di muoversi all’interno di ciascuna finestra con un semplice tocco di mouse. E’ possibile anche impostare qualsiasi tipo di movimento, creare delle traiettorie attraverso gli oggetti rappresentati, programmare un percorso della telecamera e lasciarla in movimento per tutto il tempo necessario alla comprensione. Si possono avere, dunque, più finestre statiche o dinamiche aperte contemporaneamente con l’osservazione dello stesso oggetto fatta da punti di vista differenti. L’aspetto importante di questa opportunità di rappresentazione delle immagini non risiede nel mero utilizzo degli straordinari mezzi informatici, ma consiste principalmente nella possibilità di avere un approccio conoscitivo sulla rappresentazione equivalente a quello che si ha della realtà stessa. 2.2. Il nuovo concetto di spazio elettronico Quello che si apre alla vista oltre la “finestra” del monitor del computer è un nuovo universo figurativo. Attraverso il rettangolo definito dai bordi del software in uso ci si affaccia su uno spazio dotato di tre dimensioni proiettato sulle due dimensioni del monitor. E’ uno spazio che riproduce matematicamente lo spazio fisico della realtà, è rappresentato da un insieme infinito di punti organizzati e organizzabili secondo la terna di assi cartesiani in relazione matematica tra loro e risponde alle stesse regole di organizzazione dello spazio reale. Dal punto di vista della rappresentazione architettonica operare nello spazio digitale rappresenta una condizione di particolare corrispondenza con le leggi che regolano lo spazio fisico, a parte la legge di gravità e le caratteristiche proprie dei materiali che compongono l’architettura. Paradossalmente si potrebbe sostenere che la riproduzione dello spazio reale in uno spazio virtuale consente un maggior numero di operazioni spaziali finalizzate alla conoscenza, in quanto vengono superati alcuni limiti imposti dalla fisicità tanto dei materiali quanto dell’osservatore.
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Il modello digitale della realtà, ad esempio, può essere sezionato dall’osservatore in punti strategici che hanno la funzione di indagare parti dell’oggetto altrimenti inaccessibili.
P. Eisenman, BFL Software Headquarter, utilizzò per analogia i cristalli liquidi, che si trovano in una condizione naturale di interstizialità, generando diagrammi utilizzati per deformare lo spazio architettonico interstiziale.
Kas Oostehuis, Trans Port 2001: il computer come estensione concettuale del progettista attraverso cui poter sperimentare nuove spazialità e nuove soluzioni legate ad una applicazione epidermica della tecnologia in grado di modificare dinamicamente la forma stessadell’edificio in funzione di un flusso di informazioni proveniente direttamente da internet e gestite dagli utenti del sito web.
P. Eisenman, in Casa Guardiola utilizzò delle operazioni bouleane su una forma ad L fatta vibrare sia in pianta che in sezione per la definizione degli spazi del progetto.
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3. I modelli 3.1 Definizione di modello Per progettare, architetti e designer si servono, dunque, di modelli informatici, che consentono loro di simulare la costruzione e prevederne il comportamento e gli effetti sull’intorno. Definizione Un modello è la rappresentazione formale d’idee e conoscenze relative a un fenomeno. Nei tempi più antichi questi modelli sono stati realizzati con l’argilla, con il legno o, più semplicemente, con il disegno, ma negli ultimi anni del secolo scorso è apparso un nuovo e potente strumento di modellazione: il computer. Il computer permette di costruire con grande facilità modelli tridimensionali e di osservarli da ogni possibile punto di vista, come se si trovassero realmente tra le nostre mani. Il computer, infatti, adeguatamente programmato, è in grado di generare in tempo reale quante immagini si vogliono del modello e di simularne così la presenza. Lo schermo del computer è, dunque, una finestra aperta sullo spazio virtuale del modello, che ci permette di osservarlo e di interagire con esso, muovendolo e modificandolo. Tuttavia, la costruzione di questi modelli, che chiamiamo “informatici”, non è affatto automatica, essa ha origine nel pensiero del progettista ed è controllata dalla sua abilità di plasmare le forme tridimensionali dell’architettura e di comporle insieme. 3.2. Fasi di costruzione di un modello La costruzione di un modello si articola in tre fasi distinte e successive: la sintesi, la riduzione, la proiezione. Nella prima fase, la sintesi, l’oggetto del quale si vuole costruire il modello è estratto dalla realtà cui appartiene e a esso è sostituita una sua copia ideale, detto modello geometrico, grande quanto il vero. Questa copia è fatta di forme geometriche pure, opportunatamente composte, le quali approssimano la forma, più complessa e irregolare, dell’oggetto reale. Nella seconda fase, la riduzione, il modello geometrico, grande quanto il vero, è semplificato e ridotto in modo che le sue dimensioni siano confrontabili con quelle del foglio di carta che dovrà ospitare il disegno o con le capacità di memoria del computer. Questa riduzione si esegue dividendo le dimensioni del modello geometrico al vero per un fattore costante k. Il rapporto 1/k si dice scala del modello e il modello stesso si dice ridotto in scala. In breve, il modello geometrico è una sintesi della forma reale, tanto più forte quanto più grande è k; le misure del modello geometrico sono tanto più approssimative, quanto più grande è k. Nella terza fase, la proiezione, il modello geometrico in scala è sottoposto alle operazioni di proiezione e sezione, che producono, sulla carta o sullo schermo del computer, una vista del modello steso, permettendo al progettista di valutarne le qualità formali e di operare su di esso. Caratteristica essenziale del modello grafico, informatico o plastico è quella ci consentire la ricostruzione, nello spazio del modello geometrico dell’oggetto rappresentato. Di conseguenza, l’intero processo qui descritto può essere percorso in due versi: quello che va dalla realtà al disegno e quello che va dal disegno alla realtà. Nel primo caso il processo è asservito al rilievo, nel secondo caso al progetto. Il processo che abbiamo descritto ha validità generale, è il medesimo, cioè, quale sia il supporto del modello. Se questo supporto è la carta, il modello, disegnato è un modello grafico. Se il supporto è invece la memoria di un elaboratore, cioè un computer, allora il processo restituisce un modello informatico. Se, infine, il supporto è lo spazio e il modello è stato costruito con il cartone, il legno o altro materiale, allora il processo restituisce un modello plastico.
Nei sistemi CAD 2d le entità che costituiscono il disegno sono essenzialmente linee, curve, quote e testi e la strategia di modellazione è abbastanza semplice, infatti segue le metodologie del tecnigrafo. In 3D tutto cambia e la modellazione diventa una modellazione a superfici (surface modeling). In generale abbiamo un insieme di curve da interpolare e una serie di vincoli da rispettare, arrivando alla fine a un modello che possiede una descrizione matematica. Il passo successivo è dato dalla modellazione solida (solid modeling), poiché il modello precedente rappresentato attraverso il surface modeling non possiede un volume, in altre parole le sue superfici sono entità separate e non rappresentano il confine di un volume. Non possediamo ancora concettualmente un “oggetto”. Nella solid modelling il solido è pensato come una collazione intelligente di superfici che sanno come stare insieme. Potrebbe a questo punto sembrare che l’unica strategia da adottare nella modellazione sia quella solida. In realtà tutti i sistemi CAD ad alto livello forniscono entrambe le operazioni di modellazione. Attualmente la modellazione a superfici è in grado di dettagliare le forme in maniera molto più raffinata rispetto alla modellazione solida che, invece, mantiene i suoi vantaggi quando non occorre un alto livello di dettaglio o quando le forme non sono troppo “complesse”. Nel sistema CAD curve, superfici e solidi non rappresentano gli stessi concetti a cui l’utente è solitamente abituato. Una curva è un insieme monodimensionale di punti pensato come P=P(t) in cui t è un parametro che varia da [0,1]. In maniera intuitiva possiamo immaginare un fil di ferro finito e deformato. Difatti una curva è finita, contrariamente ad una retta, ha un inizio e una fine e appare infinitamente sottile. Le curve chiuse sono di solito descritte come curve aperte in cui due estremi coincidono. Una superficie è un insieme bidimensionale di punti pensato come P=P(u,v) in cui u e v sono due parametri. In questo caso, in maniera intuitiva possiamo immaginare a un foglio di carta rettangolare deformato. Una superficie è finita, contrariamente ai piani infiniti, e infinitamente sottile ovvero non ha spessore. Quando pensiamo a un solido, immaginiamo un oggetto chiuso dotato di volume; mentre nel CAD un solido è un insieme di superfici con un’orientazione per distinguere l’interno dall’esterno e con relazioni di adiacenza tra loro. Potrebbe sembrare la stessa cosa ma nel CAD un solido può essere anche aperto, in altre parole una “pelle”, o multi-connesso, cioè formato da volumi distinti. In sintesi per il CAD un solido è essenzialmente un modo per raggruppare superfici così da poterci operare sopra in modo collettivo. Vista la definizione di solido come insieme di superfici intelligentemente attaccate tra loro, si potrebbe osservare che questa definizione comprende anche il caso di singola superficie e quindi concludere che siano la stessa cosa, ma nei sistemi CAD esiste una rigida distinzione sia a livello di entità sia a livello di comandi per la loro realizzazione.
Architettura e Informatica: le nuove frontiere della progettazione in relazione ai nuovi strumenti tecnologici. Negli anni ’20 del Novecento il centro propulsore dell’architettura erano la grande industria e la macchina. La macchina d’oggi è il computer e il suo carburante è il sistema di formalizzazione, di trasmissione e di sviluppo delle informazioni.
3.3. Modellazione CAD I sistemi CAD hanno creato una serie di strategie di modellazione che sono ora presenti nei concetti e nelle metodologie che gli odierni software espongono all’utente.
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Come appena illustrato i moderni sistemi CAD consentono una varietà di costruzioni di curve, superfici e solidi per modellare le forme complesse, ora cercheremo di raggruppare le costruzioni geometriche in tecniche di modellazione che ci consentano di capire la logica dei vari approcci. Creazione di curve analitiche: linee, archi, coniche, eliche, spirali Sono comandi standard che permettono la costruzione di geometrie classiche Curve per punti Sono modi di creare curve a poli, o inserendo direttamente i poli o calcolandoli interpolando o approssimando i punti: -per punti di controllo -per punti d’interpolazione Per approssimazione di punti Curve da curve L’offset è definito come la curva a distanza fissa da una data curva. La curva di connessione è una curva che crea una transizione tra due curve. Curve da superfici La curva di bordo crea una curva sul bordo di una superficie, le isoparametriche sono curve a ugual parametro, l’intersezione e la sezione sono intersezioni di superfici con altre superfici o con un piano. La curva proiezione è la proiezione di una curva su una superficie. Modifica di curve analitiche Le curve analitiche si presentano ovviamente a modifiche basate sulla loro definizione. Modifica di curve per taglio o estensione In generale le curve si possono tagliare o estendere. Modifica di curve per punti E’ il complemento della creazione per punti: muovi punti di controllo o punti d’interpolazione. Modifica di curve per imposizioni di continuità con curve o superfici esistenti. Questa è l’operazione classica per forzare una certa continuità nella transizione tra due curve. Si applica solo per curve a poli. Superfici per punti Sono modi per creare superfici a poli partendo da punti. Il fitting può essere utile nel caso si voglia approssimare una nuvola di punti con una superficie: -di controllo -d’ interpolazione -di approssimazione (fitting) Superfici per estrusione E’ il modo più semplice di generare una superficie, ovvero estrudere curve nello spazio si traiettorie più o meno complesse. Superfici da curve La superficie rigata è in generale definita da una curva e da un segmento che si muove lungo la curva. L’estremo del segmento definirà implicitamente un’altra curva. Superfici da superfici La superficie offset è definita come quella a distanza costante da una superficie data. Il capping è una superficie che risolve il problema di riempire una cavità delimitata da n superfici e/o curve, imponendo delle condizioni di tangenza o curvatura, il raccordo di superfici genera una superficie di transizione tra due superfici. Modifica superfici per ritaglio e/o estensione Il ritaglio di superfici può avvenire sia con curve che con altre superfici. Modifica superfici per imposizione di continuità Serve ad imporre condizioni di continuità opportune tra due superfici. Si applica solo a superfici a poli con l’importante limitazione che la continuità può essere imposta solo su un lato naturale e quindi non ritagliato. Modifica superfici per punti E’ il complemento della creazione per punti: -muovi punti di controllo, punti d’interpolazione.
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3.4. L’involucro Parlando di modellazione CAD è necessario a questo punto introdurre e analizzare il concetto d’involucro. L’involucro è oggi, l’elemento tecnico su cui si concentra l’interesse di coloro che a diverso titolo operano nel campo dell'architettura. Gli architetti progettisti ne fanno spesso il principale oggetto delle loro invenzioni cercando in esso il più efficace mezzo di personalizzazione delle loro opere. Gli strumenti della sua progettazione sono oggi i diversi software che, a vario titolo, configurano geometrie, calcolano e verificano prestazioni, guidano i processi della produzione materiale e del montaggio degli elementi costruttivi. Si tratta di descrivere, di costruire un modello che contenga tutte le informazioni occorrenti ai software che su esso devono operare, in sintesi costruire un modello da inserire nel BIM (3) . La sua funzione è di governare, in modo unitario, i rapporti tra lo spazio incluso e lo spazio dell’ambiente circostante ovvero alla sua capacità di avvolgere, delimitare e quindi definire entità di qualsiasi natura. Ma parlare d’involucro architettonico soltanto come elemento fisico di confine dello spazio architettonico sarebbe notevolmente riduttivo, ancor più oggi, nel pieno della cosiddetta “era digitale”. Quando cioè l’età dell’informazione ha attraversato ormai tutti gli aspetti del progetto architettonico. L’involucro è il supporto della volontà espressiva dell’architetto, che prende vita attraverso le attuali tecnologie, fornendo all’architetto sia gli strumenti per crearla e rappresentarla in forma digitale ed infine per realizzarla. Da semplice elemento di separazione spaziale e di comunicazione verso l’esterno dell’architettura nel suo insieme, l’involucro diventa elemento significativo di “partenza” nella definizione della forma architettonica e non elemento di “arrivo”. Tende a diventare una membrana quasi “virtuale”, cui dare forma per interiorizzare uno spazio continuo col luogo. Un “diaframma” spesso chiamato a dover comunicare più del dovuto: non i soli significati dell’architettura e la rappresentazione dei suoi valori intrinseci ma veri e propri “display” d’informazioni per una società della comunicazione che estende i propri media anche ai fronti urbani. L’involucro architettonico diventa allora quasi esclusivamente la forma dell’architettura: rappresentazione complessiva dello spazio e strumento di comunicazione verso l’esterno. Si concentrano sulla forma dell’involucro tutte le attenzioni della ricerca di una complessità resa possibile dall’esplorazione di campi in cui domina l’astrazione, percorribile con l’uso di più o meno sofisticati programmi CAD disponibili sul mercato. I software disponibili permettono non solo la rappresentazione, ma anche l’autonoma creazione di forme libere dell’involucro, mai prima immaginate proprio perché non compiutamene rappresentabili . Mentre la maggior parte di architetti hanno introdotto senza scosse i nuovi software nelle loro abitudini progettuali, cercando di sfruttare tutte le opportunità strumentali offerte per migliorare la produttività del loro lavoro, alcuni hanno spinto queste possibilità verso la ricerca di soluzioni espressive non ancora potute esplorare con gli strumenti di rappresentazione tradizionali. Da una parte, l’evolversi del pensiero architettonico segue il “normale” evolversi della cultura contemporanea, dall’altra invece alcuni architetti hanno cercato di coniugare le nuove possibilità strumentali date dalle attuali tecnologie digitali con l’interesse a cogliere il senso dell’evolversi solo di alcuni aspetti della cultura contemporanea, focalizzando le loro attenzioni soprattutto agli aspetti scientifici e filosofici. Concetti e principi geometrici sono il fondamento degli attuali e ormai diffusissimi software per la grafica. La concezione della forma architettonica nella storia è stata basata sui principi della geometria “euclidea”, dalle entità geometriche elementari utilizzate nelle architetture egiziane, greche, romane e, proseguendo, fino al movimento moderno. Tutto il software di modellazione solida disponibile nel ventesimo secolo ha utilizzato entità geometriche, “primitive”, in quanto archetipi derivati da principi euclidei. I software CAD attuali lavorano tutti su principi basati su geometrie “euclidee” e rappresentazioni cartesiane ma anche entità geometriche digitali quali le NURBS generano superfici costruite, manipolandole e rappresentandole, per le quali l'affermazione che la loro geometria non sia “euclidea” è una pura banalità. Attraverso le possibilità, anche interattiva, di manipolazione delle forme offerte dai nuovi software, ciò che interessa agli architetti è la capacità di deformare forme in senso “topologico”. Lo scopo è arrivare a disporre di superfici altrimenti non costruibili, né rappresentabili e nemmeno pensabili, se non come risultato di un processo generativo di esito imprevedibile. L’obiettivo è la superficie deformata e il suo controllo della qualità del risultato finale.
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Le forme non sono usuali, semplici, riconoscibili, primitive, ma inequivocabilmente riconosciute come effetto di una trasformazione-deformazione. È indiscussa la capacità degli strumenti informatici di descrivere forme libere, permettendo di dare rappresentazioni più precise ed efficaci, di qualsiasi tipo esse siano, plasmandole sia direttamente, agendo sulle loro visualizzazioni, sia indirettamente, attraverso la scelta di regole e procedure di trasformazione. L’“architettura digitale”, per certi aspetti definita “metamorfica”, viene spesso identificata come un’architettura completamente nuova e quindi rivoluzionaria, indicando nella tecnologia digitale, specialmente in quella della rappresentazione, lo strumento e soprattutto la causa di questa rivoluzione. Il paradigma del “digitale” abbraccia tutto l’arco del processo edilizio. Ma le tecniche della modellazione geometrica e della rappresentazione interessano anche il momento del primo prendere corpo del pensiero architettonico, sono il linguaggio nel quale l’idea architettonica si esprime. Alla luce di queste considerazioni, un campo di ricerca di estremo interesse riguarda i modi di generazione delle nuove forme. La possibile “emersione” di forme nuove dalla manipolazione di forme note, è presente nell’ambito del CAAD (4). Esso è collegato ai molteplici modi di generazione di forme attraverso criteri di costruzione o di trasformazione di forme semplici, cioè la generazione di forme attraverso la scelta di meta-forme, criteri astratti pre-formali. È nata negli ultimi anni una generazione di progettisti “freeform”, indistintamente architetti e designer. Molte delle forme da loro proposte sono molto simili e ci riportano allo studio della nascita delle forme tridimensionali e della loro modellazione. Queste concezioni geometriche sono rese possibili da “motori” di modellazione delle forme che permettono di determinare, controllare e realizzare tali oggetti. Con l’impiego delle NURBS si sfrutta la versatilità di equazioni polinomiali per individuare con precisione ogni punto di queste superfici. L’operatività dei nuovi software in commercio consiste nella capacità di elaborare dati all’interno di un modello dinamico in continua evoluzione, col fine di individuare delle configurazioni, intermedie o finali, ottenute tramite l’interattività degli elementi in gioco. Gli strumenti informatici stanno trasformando quindi i modi di concepire a raffigurare l’architettura, offrendo la possibilità di esplorare nuove forme e di comunicare nuove espressività. Le tecnologie informatiche stanno anche trasformando i modi tradizionali di comunicare le informazioni del progetto. Modelli di rappresentazione e codici di comunicazione riescono a governare la complessità che le più avanzate tecnologie costruttive possono supportare per la realizzazione di quelle forme liberamente ideate. Simulazione di processi produttivi e metodi di controllo delle informazioni del modello digitale riescono ad anticipare e risolvere i problemi esecutivi ed anche di gestione futura dell'edificio. Il modello digitale, oltre ad individuare ogni punto esatto dell’involucro, viene utilizzato per trasferire all’industria edilizia le informazioni che servono a plasmare e conformare i componenti dei vari sottosistemi, dal più consistente, come quello strutturale, a quelli più minuti dell’involucro. Inoltre oggi nuovi sistemi di prototipazione rapida consento il passaggio dal modello “digitale-concettuale” al modello “fisico in scala”, che si può levigare, rimodellarne manualmente le superfici, per poi essere nuovamente digitalizzato. Oltre questo controllo “manuale” delle forme i sistemi di prototipazione consentono la stampa 3D di dettagli dell’involucro e quindi la verifica in fase di progetto delle soluzioni adottate direttamente sul prototipo. La matrice comune del modello digitale garantisce infatti la perfetta compatibilità dei pezzi prodotti con i diversi sistemi, o comunque una tolleranza compatibile con i sistemi di assemblaggio tradizionale, usati per montare, integrare e rifinire i modelli. I software 3D attualmente più in uso possiedono un’interfaccia CAM(5) per la produzione, che permette di passare direttamente il modello digitale alle “macchine a controllo numerico” (CNC) e di verificare il momento produttivo, monitorando il tempo e il costo necessari a produrre una determinata parte del rivestimento. Il processo viene ulteriormente arricchito con l’uso di macchine a “prototipazione rapida” (RP), che permettono un riscontro fisico, non solo virtuale, di tutti quei parametri che regolano le
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fasi del processo progettuale. È possibile così una completa ed esaustiva conoscenza del prodotto finale in tutte le sue parti, dalle viste di insieme fino al particolare costruttivo o agli stampi, ancora prima della sua realizzazione. Un esempio, in cui il modello digitale si è rivelato di fondamentale importanza, è il soffitto della Sala Santa Cecilia dell’auditorium di Roma di Renzo Piano. Il soffitto è costituito da una serie di gusci le cui forme irregolari sono dettate dall’ottimizzazione dell’acustica. Questi gusci, a causa delle loro imponenti dimensioni (il più grande misura 12 x 8metri) e della necessità di realizzarli con estrema precisione, per non compromettere le prestazioni acustiche, sono stati realizzati quasi interamente con l'utilizzo di macchine CNC. Un modello digitale avanzato ha permesso di scomporre ogni guscio in diversi conci, consentendo di verificarne la perfetta coincidenza dei giunti, al fine di ottenere un assemblato le cui caratteristiche fossero analoghe a quelle di un pezzo unico. Successivamente il medesimo modello è servito a comandare le macchine che hanno realizzato fisicamente i vari conci. Le informazioni venivano trasmesse dal computer ai pantografi (macchinari che lavorano scavando il materiale), utilizzando la tecnologia CNC per controllare utensili, quali frese e punte. Il modello è infine servito al progettista delle strutture per realizzare la struttura metallica di sostegno dei gusci. In definitiva, la filiera progettazione, produzione, costruzione è completamente trasmutata dall’evoluzione dei sistemi informatici. Le nuove frontiere a cui si apre la realizzazione di forme complesse sono infatti la flessibilità morfologica e tecnologica, la produzione personalizzata, l’integrazione fra gli operatori delle varie fasi del processo edilizio ed il loro coordinamento organizzativo, attraverso l’uso dei diversi software ampiamente disponibili.
Renzo Piano, Parco della musica Auditorium, Roma (1994-2002). Il progettista lo definisce una cassa armonica. “Come gli architetti, i musicisti lavorano sulla materia, che per loro è il suono. La vibrazione della corda per gli archi, l’aria per i fiati. Una solida base d’ordine a cui ti diverti a disobbedire. Come in architettura, appunto”. Foto a sinistra disegno di Renzo Piano, sala Santa Cecilia, 1996 pennarello e matita colorata su lucido; a destra una foto dell'Auditorium, in basso foto della sala Santa Cecilia.
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In questa ultima parte del capitolo per poter ricercare delle relazioni tra la rappresentazione informatizzata e gli esiti dell’architettura contemporanea, ho preso alcuni esempi di involucri denominandoli con delle specifiche istanze.
MOTO A SPIRALE: CoopHimmelbau, BMW Welt., Monaco di Baviera, Germania (2001-2007). Superficie discontinua costituita da due tronchi di cono rovesciati (tronco di cono inferiore di diametro maggiore lungo 35m, mentre il diametro inferiore, posto all’altezza di 12 m, misura 18cm), una clessidra asimmetrica, e dalla copertura biomorfa. L’edificio è sotto posto all’azione di un tornado che lo stravolge e lo solleva. Il moto a spirale rappresenta la forza e la spinta verso l’alto, verso il fututo.
SOSPENSIONE: Massimiliano Fuksas, Centro Congressi Italia, Roma (2004). La ricerca è orientata verso una struttura aerea che sfida la forza di gravita attraverso la creazione di una massa trasparenta, “la nuvola”, retta da una fitta maglia di nervature d’acciaio e sospesa tra il pavimento e il soffitto della grande hall dei congressi all’interno di un grande contenitore strutturale traslucido.
MOVIMENTO: Londra (2000-2002), City Hall di Foster e partner. Involucro multiplo formato da più campi separati da discontinuità. E’ costituito nella fasce orizzontali sfalsate le une rispetto alle altre, in moda da poter schermare dalle radiazioni solari in modo naturale. La forma della costruzione deriva dall’ottimazione della «performance» energetica cercando di ridurre al minimo l’area di superficie esposta ai raggi solari diretti.
PIEGA: Neil Denari, Interrupted Projection per la Gallery MA di Tokyo (1996). Il progetto consiste in una superficie bidimensionale che nasce come supporto grafico e poi si piega lungo il percorso fino a diventare spazio architettonico. Il progetto si ispira ad una tipologia di superficie ripiegata in cui non si riconosce la differenza tra interno ed esterno
GOCCIA: Graz (2000-2003), Kunsthaus di peter Cook e Colin Fournier (SpaceLab). E’ un involucro continuo caratterizzata dalla forma a goccia espressiva biomorfa, definibile mediante una superficie Nurbs. Il suo involucro di vetro ha lo scopo principale di essere una «membrana comunicativa».
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4 .I modelli di superficie 4.1 Definizione di superficie Le superfici possono essere descritte e classificate in molti modi, ma il metodo più pratico per architetti e designer è quello che le definisce come luoghi geometrici, cioè come l’insieme dei punti dello spazio che soddisfano date condizioni. Le superfici possono essere generate dal movimento, uniforme o non uniforme, nello spazio, di qualsiasi linea detta generatrice, che scorre su un’altra linea guida detta direttrice. Se il moto della generatrice sulla direttrice è uniforme, per ogni punto della superficie finita passano due linee congruenti, rispettivamente, con la generatrice e con la direttrice. Se il moto non è uniforme le generatrici e le direttrici della superficie saranno legate da una più complessa relazione. In ogni caso, ogni superficie si può considerare come un insieme d’infinite generatrici. Generatrici e direttrici possono anche scambiare i propri ruoli. Convenzionalmente con il simbolo u indichiamo le generatrici mentre con il simbolo v le direttrici. Adottiamo questi simboli per uniformare lo studio delle superfici nell’ambiente grafico ed informatico. I modellatori, infatti, descrivono le superfici servendosi di una rappresentazione parametrica nella quale le cordinate x, y, z della superficie dipendono da due parametri denominati, appunto u e v. Si dicono isoparametriche le linee della superficie luogo geometrico dei punti che hanno uguale il valore del parametro, ovvero se si si lascia variare u, mantenendo v costante, si ottiene una generatrice e, al contrario, u a direttrice. I modellatori permettono di definire il numero delle linee isoparametriche che si vogliono visualizzare o costruire sulla superficie. Nel caso che prenderemo in esame le superfici saranno governate da più di una direttrice: parliamo delle rigate che hanno tre direttrici, e delle NURBS, che ne ammettono più di una. Quando si rappresenta una superficie, non è possibile prendere in considerazioni tutti i suoi punti, né tutte le linee che le appartengono. Occorre, perciò, trasformare la superficie in un insieme discreto di linee: quelle che meglio si prestano a descriverla. Queste linee notevoli sono: - le direttrici e le generatrici, vale a dire le isoparametriche dell’ambiente informatico delle quali si è detto; - le sezioni o i bordi che, eventualmente, delimitano la superficie; - il contorno apparente. Il contorno apparente di una superficie è il limite che separa visivamente la superficie dallo spazio circostante. Questa particolare linea, può essere piana o sghemba o mista (costituita, cioè di segmenti di rette e di curve). Il contorno apparente dipende dal centro di proiezione, cioè varia al variare di quest’ultimo. Nei programmi di modellazione la costruzione del contorno apparente, rispetto al centro di proiezione impiegato nella vista, è automatica. Ma è anche possibile, e molto utile per varie applicazioni, costruire il contorno apparente di una superficie rispetto a un centro di proiezione qualsiasi. Da un punto di vista squisitamente geometrico il contorno apparente si definisce come il luogo geometrico dei punti di contatto delle rette proiettanti tangenti alla superficie 4.2. Classificazione delle superfici E’ utile tuttavia raggruppare le superfici in alcune classi, desunte dall’uso. Il primo gruppo è quello delle superfici primitive e comprende semplicemente le superfici di uso più frequente. Queste superfici possono essere generate, nei modellatori, con un solo comando e vengono anche utilizzate come materia prima di ulteriori elaborati. Sono superfici primitive. - la sfera, utilizzata prevalentemente nelle cupole e nelle absidi, nonché come copertura delle nicchie cilindriche; - il cilindro rotondo, usato nelle absidi e nelle nicchie con l’asse verticale, nelle volte a botte a tutto sesto, con l’asse orizzontale;
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- il cilindro obliquo, usato nelle volte a botte oblique e in quelle rampanti, che frequentemente ricoprono le scale; il cono, usato nelle volte coniche e nelle cosiddette prospettive solide come la galleria di Palazzo Spada, di Borromini, o l’abside di San Satiro, di Bramante. Il secondo gruppo è quello delle superfici di rivoluzione, che si ottengono facendo scorrere la generatrice su un cerchio in un piano passante per il centro, ovvero facendo ruotare la linea generatrice intorno a una retta; esso comprende: - l’ellissoide rotondo, utilizzato prevalentemente nell’estradosso delle cupole; l’ellissoide può essere considerato un caso particolare della sfera (una sua trasformazione) ed è generato dalla rotazione di una ellisse intorno ad un suo asse; - le superfici di rivoluzione modanate, che sono impiegate negli ordini antichi e classici. Nel terzo gruppo vi sono le modanature, utilizzate in tutta l’architettura antica, classica e moderna; le modanature sono il luogo geometrico dei punti descritti da una linea detta modano (generatrice) che trasla lungo una retta (direttrice); il modano è, in genere, una linea mista, composta di archi di cerchio e segmenti di retta. Il quarto gruppo comprende le superfici rigate, usate, nell’architettura classica e fino all’Ottocento, nel taglio delle pietre nonché nell’architettura moderna, nelle grandi coperture; sono, in generale, le superfici luogo geometrico delle rette (generatrici) che si appoggiano a tre linee sghembe date (direttrici); in particolare, le tre linee date possono essere rette, nel qual caso si ottengono l’iperboloide a una falda e il paraboloide iperbolico. Il quinto gruppo è quello delle superfici di rototraslazione usate in meccanica ma anche in architettura, per le scale a chiocciola. Il sesto gruppo è quello delle superfici NURBS. Raccogliamo in questo gruppo un vasto repertorio di superfici che possono essere facilmente costruite nell’ambiente informatico e che richiederebbero invece un impegnativo e difficile lavoro nell’ambiente grafico. Si tratta di generalizzazioni delle superfici precedenti, come, ad esempio, superfici di traslazione nelle quali la generatrice modifica le proprie dimensioni o la propria forma durante la traslazione. Alle superfici classificate in questi gruppi principali si aggiungono: le superfici organiche, derivate dallo studio di forme naturali, i poliedri e le superfici mesh, che sono poliedri irregolari di grande complessità ottenuti per mezzo di elaborazioni elettroniche. 4.3. Le superfici free-form I nuovi strumenti informatici a disposizione dei progettisti hanno profondamente cambiato il loro ruolo all’interno del processo progettuale. Il cambiamento riguarda in primo luogo l’integrazione di diverse discipline che intervengono già nella fase iniziale trovando proprio nel computer lo strumento di collegamento. Questo nuovo processo progettuale si traduce sempre più spesso nelle forme libere e lontane dalle superfici analiticamente note e qui di sopra elencate, che stanno caratterizzando gli edifici contemporanei. Nel contesto CAD le forme si distinguono in “semplici” o “complesse” a seconda che le superfici che compongano la forma siano “analitiche” o come già detto “a forma libera”(free form). Il tipo di geometria delle superfici di un oggetto ha anche un aspetto psicologico. Le forme squadrate sono associate con robustezza e tecnica, quelle arrotondate con il comfort, il lavoro del progettista è proprio quello di usare le forme per trasmettere un’emozione. Nonostante questo forte cambiamento, la disciplina fondamentale che consente il controllo e l’indagine delle superfici free form rimane la geometria descrittiva che segue il progetto sin dai primi schizzi concettuali. Analizzeremo e studieremo qui di seguito queste superfici. CURVE E SUPERFICI NURBS Per anni il problema della rappresentazione di forme libere è stato rimpiazzato dai modelli numerici; nel caso delle superfici curve si ricorreva cioè a modelli poligonali, mimando attraverso le superfici mesh, composte da tanti piccoli piani triangolari o quadrangolari uniti fra loro negli spigoli e nei vertici, le sagome curve. La ricerca oggi si è spinta molto nel tentativo di trovare alternative sempre più adatte e una delle più promettenti è sicuramente quella delle superfici NURBS, modelli matematici a tutti gli effetti. L’acronimo NURBS indica una potente descrizione matematica di curve e superfici, ultima e più recente evoluzione delle spline. Spline è un termine preso in prestito dai disegnatori navali, i quali tracciavano le curve degli scafi servendosi di lunghe asticelle flessibili, in legno o metallo, chiamate appunto spline. Questi regoli venivano poi ancorati a dei pesi, detti anatre per similitudine formale, che assicuravano la sede della curva soprattutto in prossimità di un flesso, dove avveniva l’ancoraggio.
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Nella rappresentazione digitale dunque le spline sono il prodotto dell’algoritmo pensato per il tracciamento di curve, delimitate attraverso punti d’interpolazione, che sono i reali punti indicati dall’operatore e sono quelli attraverso i quali la curva è soggetta a passare. La distribuzione dei punti di controllo sulle NURBS non è uniforme; tali punti possono essere spostati arbitrariamente tanto sulle curve quanto sulle superfici, pertanto il loro peso di attrazione sull’ente geometrico è variabile. Questa descrizione è di tipo parametrico, fornisce, cioè, le coordinate dei punti della superficie al variare dei due parametri u e v. Se si tiene v costante, la matematica delle NURBS descrive una generatrice della superficie; se si tiene u costante, una direttrice. La superficie NURBS, quindi, sarà formata da una schiera di curve direttrici e generatrici formando un network dove le coordinate dei punti di controllo sono determinate appunto da u e v, variabili da 0 a 1. La matematica delle NURBS offre il seguente vantaggio: consente di descrivere in modo omogeneo sia le classiche forme di derivazione analitica e proiettiva, come coniche e quadriche, sia le forme libere come quelle di uno scafo o le superfici della carrozzeria di un’automobile. Dal punto di vista sintetico le superfici NURBS raccolgono in un’unica famiglia, composta di vari algoritmi che sarebbe ben difficile rappresentare e modificare servendosi di modelli grafici, ma che possono essere facilmente ed esattamente controllate in un modello informatico. Inoltre i processi del disegno NURBS sono intuitivi, poiché caratterizzanti da un algoritmo di semplice comprensione e interpretazione geometrica; tali algoritmi sono numericamente stabili. Per finire le superfici NURBS possono essere sottoposte alle comuni trasformazioni geometriche di traslazione, rotazione, proiezione parallela e conica. Daremo ora una descrizione delle superfici NURBS più complesse.
Curva NURBS tracciata con i punti di controllo
Curva B-spline e curva NURBS
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Superficie NURBS costruita facendo scorrere due generatrici (curve piane) lungo due binari, altrettante curve che fungono da direttrici.
SUPERFICI SKINNED O S(U) Le skinned o S(u) sono le superfici che descrivono gli scafi delle imbarcazioni, le ali degli aeroplani e alcune parti delle carrozzerie delle automobili. Si chiamano anche lofting, nome derivato dalla tecnica usata per disegnare in grandezza reale e poi realizzare navi e aerei. Queste superfici sono descritte da una serie, quanto si vuole numerosa, di sezioni trasversali u. Per realizzare un lofting, quindi, bisogna per prima cosa disporre nello spazio, su una schiera di piani paralleli, le curve generatrici, tali curve C sono disposte in direzione (u) dei piani paralleli sui quali giacciono. L’algoritmo provvede poi a interpolare queste curve generando una schiera di direttrici v e intessendo la superficie. Non è indispensabile, ma, se si vuole ottenere un risultato affidabile, è bene che i punti di controllo dei profili u siano distribuiti in modo omogeneo, tale, cioè, da assecondare la successiva interpolazione. Questo particolare tipo di superfici è in genere difficile da controllare. Questo dipende: dal numero di curve, dalla loro forma, ma soprattutto dal numero di piani di controllo che assicurano la flessibilità della superficie. Quando si vuole operare uno skinning, conviene selezionare poche curve e generare la superficie, sezionandola successivamente con i piani sempre paralleli. Si ricavano nuove curve da ritoccare eventualmente nei punti di controllo. Ciò permette una successiva analisi della forma della superficie che si vuole modellare. I comuni modellatori contemplano la possibilità di generare una superficie S(u) selezionando, oltre alle curve C(u), anche una o due curve di bordo poste in direzione v.
Sotto superficie Skinned ottenuta selezionando in sequenza le curve. Sopra direzione v Superficie S(u) generata selezionando anche i bordi .
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SUPERFICI SWEPT Le swept sono superfici di traslazione generalizzate, nelle quali una qualsiasi generatrice viene fatta scorrere su una qualsiasi direttrice, anche sghemba. È anche possibile trasformare omoteticamente la generatrice durante la traslazione. Nei comuni modellatori la funzione è elaborata dai seguenti comandi: “Sweep along one rail”, quando una generatrice scorre lungo il binario di una curva o di una retta, “Sweep along two rails”, quando sono due le direttrici da considerare (nel secondo caso le superfici swept possono tranquillamente sostituire una superficie proporzionale, che andremo ad illustrare successivamente). Alle superfici swept si affida Massimiliano Fuksas nel progetto vincitore del concorso internazionale per una nuova sede dell’ASL. Le superfici sono generate da direttrici costituite da curve piane che traslano lungo generatrici rette, a creare un volume con all’interno superfici nastriformi sospese nel vuoto.
SUPERFICI DI INTERPOLAZIONE BIDIREZIONALE Le superfici d’interpolazione bidirezionale dispongono di un gruppo di curve, direttrici u e generatrici v, da selezionare tutte insieme. L’algoritmo del network provvede a interpolare la rete di curve, dando vita alla superficie costantemente tangente alle curve intersecanti. Le direttrici e le generatrici, in questo particolare tipo di superficie, possono scambiarsi di ruolo reciprocamente. Per rappresentare queste superfici è fondamentale che i contorni siano delimitati dalle curve u e v, generatrici e direttrici, che fungono anche da bordi. Le superfici d’interpolazione bidimensionale sono molto usate in architettura. Il progetto per l’installazione alla Henie Onstad Kunstsenter, di Greg Lynn, ne costituisce un valido esempio: il progetto è modellato con due superfici di interpolazione bidirezionale, per due blob dalla forma tubolare.
A sinistra Superficie S(u,v). A destra costruzione del “network” di curve. A sinistra costruzione di una Swept dove la direttrice è unica e si tratta di una curva sghemba, mentre la generatrice è una retta. A destra Massimiliano Fuksas progetto vincitore del concorso internazionale per una nuova sede dell’ASL. Le superfici sono generate da direttrici costituite da curve piane che traslano lungo generatrici rette, a creare un volume con all’interno superfici nastriformi sospese.
SUPERFICI SPINE Nel caso delle spine sono sostenute da una direttrice principale, detta spine, cui si appoggiano le generatrici che possono avere forme diverse (spine è la colonna vertebrale). Le generatrici debbono appartenere a piani perpendicolari alla spine. Alcuni modellatori offrono, perciò, strumenti idonei a semplificare la costruzione della struttura. Anche nel caso delle spine, come per le superfici skinned, è possibile ricorrere a curve di bordo poste in direzione v, concordi con la curva spine.
Vista laterale della superficie
Superficie di interpolazione bidimensionale con curve chiuse per direttrici. A destra costruzione di una superficie spine. A sinistra Costruzione di una superficie spine considerando anche i bordi come curve utili all’interpolazione.
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ll progetto per la Henie Onstad Kunstsenter, di Greg Lynn, ne costituisce un valido esempio: il progetto è modellato con due superfici di interpolazione bidirezionale, per due blob dalla forma tubolare.
SUPERFICI PROPORZIONALI Le superfici proporzionali, infine, rappresentano la massima generalizzazione della generazione ottenuta facendo scorrere una curva su un’altra. Qui le direttrici possono essere due, come pure le generatrici, una alla partenza e una all’arrivo. La prima generatrice viene traslata sulle altre due e contemporaneamente deformata gradualmente in modo che, all’arrivo, si confonda con la seconda direttrice. L’algoritmo alla base di questa particolare NURBS provvede alla generazione delle superfici facendo scorrere le generatrici lungo le direttrici scelte in direzione v. La prima generatrice, scorrendo, subisce una trasformazione sulla superficie sino a coincidere con la seconda generatrice. Le superfici proporzionali vengono di solito usate nei casi in cui due direttrici convergono in un punto, così la generatrice scorrendo diminuisce proporzionalmente, fino a confondersi con il punto. Questa peculiari forme, generate grazie all’ausilio del computer, sono in grado di tessere nuove strabilianti relazioni urbane; consideriamo ad esempio il progetto di Zaha Hadid, nel padiglione If One. Le pareti vengono utilizzate come lame risucchiate e curvate in punti di fuga ipotetici, rendendo esaltanti le fughe prospettiche. Le proporzionali risultano essere le superfici molto adatte anche all’articolazione degli spazi interni che non utilizzano i solai come piani tradizionalmente paralleli. Nel caso delle superfici “spine”, le curve generatrici da adottare appartengono ai piani disposti perpendicolarmente ad una curva direttrice che costituisce appunto la “spina dorsale” della struttura su cui vengono fatte scorrere le generatrici.
Costruzione di una proporzionale con direttrici convergenti in un punto.
Costruzione di una proporzionale prodotta da due generatricio che scorrono lungo altrettante direttrici curve.
Padigline If One, Weil am Rhein di Zaha Hadidi. A sinistra sviluppo delle principali superfici del padiglione If One. Le pareti, come lame vengono risucchiate curvandosi in punti di fuga ipotetici. Le proporzionali risultano essere superfici molto adatte al tipo di progetto, che considera i solai come piani paralleli. I bordi, direttirci della superficie, tendono a convergere. Le generatrici sono rette o curve piane. A destra stato attuale.
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4.4. Le superfici mesh e i modelli numerici
4.5 Caso studio
Abbiamo visto che la geometria rappresentata dai modellatori matematici di tipo NURBS, è una geometria parametrica che rappresenta n modo accurato e continuo qualsiesi tipo di superficie. Per necessità di visualizzazione, i modellatori NURBS usano delle superfici poliedriche “invisibili” che semplificano la matematica. La procedura di approssimazione di una superficie continua di tipo NURBS a una discreta di tipo mesh prende il nome di surface triangulation o surface tessellation. La creazione di superfici mesh a partire da un insieme, ordinato o meno, di punti ha un vastissimo campo di applicazioni, di fatti questo particolare tipo di superficie trova utilizzo soprattutto nell’ambito del rilievo, ma non solo, per l’accuratezza della restituzione grafica e l’esiguità di dati da immagazzinare. Le mesh sono, quindi, superfici poliedriche composte dall’insieme di facce piane unite fra loro nei vertici. Ciò consente di minimare le sagome curve distribuendo nello spazio sequenze di polilinee intersecanti, a forma un network di rette. Le mesh possono essere generate da due tipologie di griglie: griglie strutturali o non strutturate. Solitamente le mesh appartenenti al primo gruppo sono quadrilatere oppure esagonali e sono caratterizzate dal fatto che ogni nodo ha lo stesso numero di elementi continui. Le griglie non strutturate ammettono invece una libertà di numero degli elementi che si incontrano in un nodo, in questo caso le mesh sono caratterizzate da elementi triangolari o tetraedrici. Nel caso più semplice, una mesh è un elemento di superficie lineare contraddistinto da un insieme di vertici e da un insieme di facce connesse fra loro tramite spigoli. Ogni vertice specifica le coordinate (x, y,z) di un punto nello spazio, e ogni faccia definisce un poligono collegando insieme un sottoinsieme ordinato di vertici. Dunque gli elementi che disfiniscono una mesh sono: vertici: un punto nello spazio definito dalle sue coordinate cartesiane; spigoli: un segmento che collega due vertici; poligoni: è una forma ad n lati definita da un gruppo di vertici ordinati e dagli spigoli che collegano le coppie di vertici. L’ordine dei vertici determina l’aspetto del poligono. Il modo più immediato per creare una mesh poligonale è utilizzare punti campionati su una data curva o superficie, e la descrizione corrispondente risultante della connessione di questi con linee o porzioni di piano. E’ possibile affermare che, per loro stessa natura, le mesh sono idonee a rappresentare ogni tipo d’oggetto, dal solido delimitato da superfici piane fino alla più complessa geometria a forma libera. Infine le mesh costituiscono le geometria-chiave nelle operazioni di rendering. Difatti in questa fase i modelli solidi e di superficie sono tipicamente approssimati da maglie triangolari mediante decomposizione o tasselazione. A differenza delle NURBS, che sono modelli matematici a tutti gli affetti, in altre parole curve e superfici parametriche descritte da equazioni matematiche, le mesh sono modelli numerici, ovvero, una sequenza di dati alfanumerici descrive la posizione dei punti (nuvola di punti), da unire in maniera lineare, per mezzo di coordinate spaziali (x, y, z).
Gaudì fu tra i primi che progettò architetture eccezionali. Le sue opere apparentemente irregolari e fantasiose sembrano dettate dal caso e potrebbero apparire assemblate con forme naturali senza alcuna logica, ma in realtà vennero costruite con grande scientificità e rigidità. Le sue costruzioni, infatti, rivelano formalizzazioni matematiche e geometriche evidenti e riscontrabili, per esempio, negli archi parabolici del Collegio di Santa Teresa e di casa Milà oppure nella parabole e nella catenarie degli archi e delle coperture di quasi tutte le sue opere. L’architetto usa fondamentalmente due curve matematiche, la parabola e la catenaria e ogni possibile combinazione tra queste, per costruire superfici complesse come il paraboloide iperbolico, l’iperboloide, il conoide e l’elicoide. La grande innovazione di Gaudì fu quella di introdurre modelli che permettevano di raggiungere, grazie alla forza di gravità, le curve necessarie a costruire le curve necessarie a costruire una struttura costantemente in compressione in ogni suo punto. Questo metodo fu esteso dagli anni ‘60 grazie al contributo di Frei Otto, diventando così una ricerca formale form-finding, che mette in primo piano la natura esplorativa della modellazione parametrica. A partire da questi primi studi, oggi l’architettura parametrica ha pian piano trovato completa manifestazione nelle forme e nei processi generati messi a punto dai maggiori architetti (come Frank Gehry, Peter Einsenman, Greg Lynn, Zaha Hadid, Rem Koolhaas) che proprio su un sistema fondato su “parametri” e “relazioni” hanno concentrato i loro studi e le loro energie. In questa fase ho deciso, quindi, di analizzare e studiare un gruppo di architetti, i Nox. NOX (1990 – ad oggi) Lars Spuybroek, architetto, e Maurice Nio, video artista, nel 1990 fondano il gruppo Nox, fin da subito orientato verso il lato trasgressivo tipico di questi anni. L’intenzione dei Nox è quella di rifondare il sistema consolidato della progettazione architettonica legato alla tradizione moderna perché da quella tradizione si sentono distanti. Il computer per Spuybroek “è il nostro destino”, il sistema comunicativo e sensoriale con il quale dovremo confrontarci d’ora in poi. In un certo senso questa provocazione contiene molta verità, e i Nox tentano in ogni progetto di vagliare nuove modalità di interazione tra spazio e informazione, tra forma e significato, dalle figure geometriche ai processi, dalla forma all’informe. I riferimenti non possono essere condivisi con la tradizione moderna, e lo sguardo si sposta dalle macchine verso le nuvole, gli stormi di uccelli, lo scorrere instabile dell’acqua. Nel 1994 il ministero Olandese dei trasporti, lavori pubblici e controllo delle acque, commissiona ai Nox e a Kas Oosterhuis due padiglioni che si basino sull’uso dell’acqua sotto tutte le forme. Il padiglione dell’acqua dolce (1994) a Neeltje Jans in Olanda è una metafora che racchiude un contenuto anaforico: l’acqua all’interno nello stato liquido e gassoso, senza forma e in continuo movimento, diventa metafora all’esterno, con l’involucro tubolare, massima espressione di fluidità e indeterminatezza ordinata. Lo spazio interno è un connubio di tecnologia, spazio architettonico e elemento naturale: il visitatore interagisce con lo spazio che modifica il suo stato in relazione alla presenza e alla posizione dei corpi al suo interno. L’acqua risponde alle sollecitazioni informatizzate tramite sensori che instaurano un rapporto sensoriale, appunto, tra corpo e architettura. L’involucro è ottenuto tramite la modellazione NURBS di quattordici sezioni ellittiche non concentriche dislocate per circa sessantacinque metri di lunghezza. Le sezioni sono collegate con una funzione di loft che costituisce, così, una superficie continua, realizzata fisicamente con una membrana elastica porosa, che trasmette tutto il valore materico a cavallo tra il padiglione espositivo e l’istallazione di quest’opera. I Nox non abbandonano tale spregiudicato approccio morfologico per nessuna destinazione d’uso: Blow out (1997), un semplice volume contenente servizi igienici, oppure Off the road (1998) un sistema di barriere acustiche lungo un’autostrada, hanno la stessa cura formale di progetti più impegnativi e con destinazioni meno funzionali quali il New Palace Hotel (1997) a Noordwijk, in Olanda, o i progetti per il V2_lab a Rotterdam, tra il 1994 e il 1998. svolti quasi inconsapevolmente all’interno dei consueti spazi domestici. L’intersezione dei percorsi seguiti e la ripetizione dei gesti, rispecchiano l’intreccio di diafane superfici che si fondono e si allungano per ospitare i visitatori, che al loro passaggio attiveranno suoni emessi dagli otto sensori posizionati opportunamente. Ripercorrendo le tappe dei progettisti, in un’analisi conoscitiva che si concentra sui metodi della rappresentazione atti alla concezione e alla costruzione esecutiva dell’artefatto, si è deciso di modellare dei gusci free-form disegnando una superficie swept o proporzionale facendo scorrere la curva generatrice lungo le due direttrici piane, convergenti nel punto O. L’ingombro strutturale, invece, sarà dato dallo spessore del guscio solido derivato dalla superficie. Per definire le geometrie dello scheletro portante possiamo ricorrere alla modellazione parametrica con algoritmi generativi, disponendo in questo caso di dieci piani paralleli e altrettanti ortogonali che sezioneranno il modello matematico
Costruzione di mesh con Rhinoceros.
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del guscio; successivamente si estruderanno i profili così ottenuti per formare un telaio strutturale (waffle structure), poi in prossimità dei nodi si procederà con sottrazioni booleane di parallelepipedi a base variabile, per tracciare le linee degli incastri. Il semitrasparente rivestimento della Son-OHouse discende da una superficie a doppia curvature e l’individuazione degli elementi finiti dipenderà dalla geometria da associare ai moduli sviluppabili, che comporranno una tassellazione spaziale il più possibile analoga alla forma originaria. La scelta di metodo è ascrivibile tanto alla rappresentazione matematica quanto a quella numerica: nel primo caso l’analisi delle curvatura superficiale ci permette di stimare quali sono le aree da suddividere, per disegnare le curve da interpolare in porzioni di superfici rigate a curvatura costante. Alcuni script, infatti, una volta selezionate le curve direttrici, indicano le possibili direzioni delle generatrici rigate o tendono ad appiattire le superfici sghembe per renderle sviluppabili; nel secondo caso il modello matematico sarà convertito in una mesh mediante algoritmi generativi in grado di determinare le linee di taglio, per le dieci superfici sviluppabili che rivestono lo scheletro portante visto in precedenza.
Questa struttura si trova nella città di Breugel, in Olanda ed è ospitata nel parco tecnologico della cittadina olandese. I visitatori possono trovare ristoro ma anche ascoltare e riprodurre musica interagendo con la «pancia» della struttura, che si presenta come una gigantesca nuvola d’acciaio e vetro dalle ampie e sinuose volute.
Il padiglione interrativo costruito in olanda nel 1997 è l’opera che li ha resi celebri a livello internazionale. Basata interamente sul concetto di liquido, questa struttura sperimenta, non solo nella forma e nell’uso dei materiali ma anche nell’ambiente interni, la fusionr tra hardware e software. Gli spazi interni dell’edificio sono invasi dall’acqua a seconda delle maree e, a differenza di quanto accade in altre strutture museali, muoversi e vedere non sono attività distinte . Inoltre il visitatore diventa il protagonista del padiglione, le sue azioni, rilevate grazie a sensori elettronici disseminati su tutto l’edificio, generano mutamenti continui alla struttura.
Le pareti che dividono gli ambienti interni sono piani paralleli contornati da curve C(u).
Le pareti che dividono gli ambienti interni sono piani paralleli contornati da curve C(u). Per rappresentare le superfici ricorriamo sempre alle Skinned, sia per il volume esterno sia per il corridoio interno. I bordi in direzione v, usati nell’interpolazione sono. Per il corpo esterno una retta e una curva giacenti sul piano orizzontale della pianta; per il corridoio interno selezioniamo due curve piane sempre giacenti sulla superficie orizzontale della pianta.
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In questo esempio ho modellato e rappresentato un guscio free-form e le superfici che lo compongono attraverso Rhinoceros con ipotesi di trama strutturale.
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getto moda ro p l ne i fic er p su Le 5. La rivoluzione digitale, al di là dei suoi straordinari e specifici impieghi, si manifesta in ogni comparto della vita pubblica e privata soprattutto come “nuova comunicazione visiva”. La rivoluzione digitale ha cambiato lo statuto dell’immagine e della grafica poiché queste costituiscono campi di esperienza attiva e non solo ricettiva che attraversano la nostra vita quotidiana. I canoni del gusto, del costume, del design e della moda hanno ovviamente subito l’influenza e il fascino della "nuova visione del mondo digitale". Dunque, anche la moda, interpreta, sotto diversi aspetti di creatività e funzionalità, il trend di una diffusa "estetica digitale". Ciò può essere riscontrato su tre livelli che caratterizzano la struttura del Sistema moda: Ricerca e creatività (concepts, trends); Progettazione e produzione (dal filato ai tessuti, al capo finito); Immagine e comunicazione: (pubblicità, promotion, eventi, ecc.). Analizzeremo proprio questo secondo aspetto di progettazione e produzione. La componente tecnologica gioca un ruolo molto importante in questo ambito, ci circonda ma adesso può anche vestirci, o indossarci a sua volta. Fashion designer, sarti e ditte di confezioni possono munirsi di software per disegnare i capi, simulare la vestibilità, valutarne la resa dei diversi materiali. La proposta rimette in discussione l’iter progettuale, dall’idea e dalla sua trasposizione segnica nello schizzo, per modellare la figura che vestirà l’abito generato con curve e superfici matematiche successivamente sviluppate, al fine di riprodurre il cartamodello utile alla realizzazione del capo finito. In tempi recenti la macchina si proponeva come strumento che velocizzava le elucubrazioni del creatore d’abbigliamento, ma c’è adesso una nuova frontiera d’uso che viene dall’estensione dell’impiego delle tecniche di simulazione e rappresentazione digitali. Lo scatto creativo del bozzetto bidimensionale qui si traduce in modelli 3D di abiti e accessori, indossati da avatar che possono incarnare fedelmente non solo le fattezze fisiche, ma anche la gestualità e le posture dell’alter ego reale. Per realizzare questa piccola rivoluzione nel modo di pensare gli abiti si devono combinare algoritmi di generazione di superfici matematiche con strumenti di simulazione non convenzionali. Ma le metodologie rappresentative assistono tutta la filiera: dallo schizzo dell’abito, alla sua modellazione matematica, allo sviluppo del cartamodello, alla costruzione del prototipo fisico. 5.1 Il disegno tradizionale Il disegno nella moda è il principale linguaggio espressivo. Per quanto non tutti amino disegnare, Coco Chanel ad esempio non lo fece mai, preferiscono un rapporto diretto con il tessuto, il primo approccio alla rappresentazione avviene nel bozzetto su supporto cartaceo. La traduzione dell’abito in cartamodello è affidata all’utilizzo di software, che in tempi ridotti garantiscono livelli di accuratezza impensabili per i sistemi della rappresentazione tradizionale, che di un’entità fisica in moto non possono far altro che delineare le sue proiezioni piane. Gli illustratori di moda uniscono, appunto, i tradizionali strumenti della rappresentazione all’elaborazione grafica digitale. Se l’architettura si serve del disegno per comporre lo spazio dell’abitare, la moda opera un processo analogo mirato alla definizione di architetture abitate e animate da corpi, in un rapporto di prossimità spaziale molto piò stringente. Anche qui, l’abito è dotato di una precisa struttura, sostiene forme e superfici che si adattano alle geometrie del corpo, dotandolo di una seconda pelle. Si capisce che il lavoro del progettista non si dedica alla sola costruzione degli abiti, ma progetta anche i corpi. L’avvento del digitale ha significativamente segnato una separazione della dimensione proiettiva del corpo rappresentato in piano, attraverso bozzetti, figurini e nelle illustrazioni disegnate a mano, da quella fisica. L’avatar offre una restituzione della fisicità descrivendola nelle sue reali fattezze tridimensionali, incarnando le sembianze di un alter ego digitale.
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Modello numerico di Avatar
5.2 Rappresentazione bidimensionale del progetto moda Tutto comincia nel momento in cui si fissa un pensiero e si sente l’esigenza di doverlo comunicare, allora la mano comincia a tracciare le linee di un corpo che sia da supporto per il disegno di un abito o di un accessorio. Poi seguiranno altri disegni ed intanto il computer si integra con il disegno. Il disegno è un linguaggio globale comprensibile a tutti, è il primo mezzo attraverso il quale un processo progettuale, che parte dall’astrazione di un’idea raggiunge, un rigore tecnico, che porterà alla stesura degli esecutivi e alla realizzazione dei prototipi. Vari metodi e diversi codici per la comunicazione eidografica che si canalizzano su due supporti: quello analogico con strumenti tradizionali e quello digitale del computer. Il primo piò tradursi in “continuo”, il secondo in “discreto”. Il punto di partenza del processo progettuale sono i modelli che un tempo venivano svolti tutti a mano, oggi, invece, attraverso il CAD 2D è possibile progettare un capo in scala 1:1 in tempi decisamente più veloci e con un un’ottica accuratezza. Ogni capo è il risultato dell’unione di diversi pezzi di tessuto che possono essere considerati come delle superfici 2D (questo perché il tessuto ha uno spessore molto più piccolo rispetto alla sua superficie). Quando un capo è scomposto nelle sue differenti componenti, vengono seguite delle specifiche regole di modellatura per il disegno di ogni pezzo; inoltre ogni modello disegnato tiene conto di un offset, che rappresenta il margine di cucitura. Questo non è sempre costante su tutto il perimetro del modello, in quanto tiene conto del tipo di cucitura con cui le diverse pezze vengono collegate, del tipo di capo che si sta confezionando e del tipo di tessuto che viene utilizzato. L’introduzione degli strumenti CAD nel settore del vestiario è arrivata molto in ritardo rispetto ad altri settori industriali per una serie di fattori, legati soprattutto al fatto che il settore della moda risulta da sempre molto più “artigiano” rispetto agli altri. Tuttavia, l’introduzione dei programmi di disegno, nonostante le reticenze delle maestranze, ha permesso delle grandi innovazioni. Ci sono essenzialmente due modi per ottenere un modello 2D: • Scansione di un modello fisico già esistente; • Creazione del modello con CAD. Il primo metodo consiste nella scansione a punti di un modello e nella sua successiva riproduzione su CAD. Il processo di scansione è molto semplice e consiste nel disporre il modello su una superficie piana, nella successiva cattura dei punti perimetrali e interni con un piccolo scanner e nell’elaborazione di questi punti per creare sul CAD 2D la forma desiderata. Quest’ opzione risulta molto valida non tanto per la creazione di nuovi modelli, quanto per la digitalizzazione dei modelli di cui si dispone solo su carta. È una metodologia valida quindi sia per utilizzare quei modelli, sia per tenerli nella propria libreria modelli per inventario. La creazione del modello avviene invece su un CAD 2D, che di fatto risulta molto simile ad altre
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tipologie di CAD usate in altri ambiti. Infatti, questi programmi permettono la creazione del modello mediante l’utilizzo di punti, linee e forme geometriche; chiaramente sta all’esperienza del modellista saper utilizzare questi strumenti per creare in modo corretto il modello. L’utilizzo di strumenti CAD 2D semplifica di molto il processo di disegno, in quanto basta definire i punti più importanti del capo con i dovuti riferimenti: le curve vengono disegnate tramite punti e maggiore è la curvatura che si vuole dare, maggiore sarà la densità di punti che si andrà ad inserire al suo interno. Inoltre, il modello 2D è generalmente corredato di una serie d’informazioni che aiutano i successivi passaggi: si possono per esempio inserire dei testi per indicare un determinato particolare a cui dover prestare attenzione, delle indicazioni per fori o per il posizionamento di asole e bottoni, o ancora il posizionamento di un oggetto esterno, come una toppa o una tasca. Infine, un capo è composto sempre da moltissimi pezzi, questo perché esso non è costituito da un unico involucro esterno, ma è composto da una serie di strati sovrapposti, come fodere, imbottiture, sacchi piuma, ecc., per cui risulta molto utile anche la possibilità di poter cambiare colore ai pezzi, così da distinguere le diverse tipologie di tessuti con cui si sta lavorando.
zione di modelli
Modelli
Un’immagine da analogica diventa digitale quando, ad esempio, vogliamo trasferire un disegno o una fotografia stampata, tramite scanner al computer: il processo di discretizzazione in questo caso sarà di tipo numerico e l’immagine diverrà del tipo bitmap(6). Diversi programmi, come Photoshop costruiscono ed elaborano queste immagini. Le immagini bitmap composte da griglie pixel(7) ai quali associare dei colori e i bit definiscono proprio la scala tonale che questi possono assumere, poiché la profondità di colore di un’immagine si misura proprio in bit. Quanti più bit vengono riservati per ogni pixel tanti più toni diversi sarà possibile riprodurre, codificandone uno per ogni combinazione di bit utilizzata. Poiché il numero di valori distinti che si possono codificare con un numero N di bit è 2 elevato a N. Se disponiamo di un bit, ai pixel verranno attribuiti due soli valori, 0 e 1, che corrispondono ad acceso o spento, bianco o nero. I comuni monitor dei computer, le televisioni e i video proiettori, in generale riproducono immagini a 24 bit, il che equivale a dire che possono mostrare circa 16,7 milioni di colori. I bit aumenteranno e di pari passo anche le dimensioni del file dell’immagine che salveremo, a seconda del modello di colore adottato e del tipo di elaborazione. Quando si lavora sulla costruzione di un’immagine digitale, di solito si suddividono i suoi contenuti in differenti layer, possiamo immaginarli come fogli trasparenti che straficano informazioni grafiche ed è buona norma, infatti, salvare il proprio lavoro con l’estensione di file nativa del programma in uso.
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File con estensione Jpeg, tiff, gif, png, tga, bmp ecc., indicano solo alcuni dei formati che possiamo utilizzare per salvare le immagini bidimensionali, è opportuno quindi chiedersi quale sia il formato di memorizzazione più adatto, difatti ogni estensione soggiace a diversi algoritmi per il trattamento dell’immagine, adattandosi a diversi utilizzi. Quasi tutti i formati grafici di tipo bitmap, ricorrono alla comprensione delle informazioni salvate, cercando di ridurre il peso dei file nel memorizzarle, li possiamo raggruppare in due famiglie: con compressione lossy e quelli che ricorrono alla compressione lossless. La compressione lossy riduce le informazioni presenti, generando in questo modo una perdita qualitativa che può essere più o meno evidente, un tipico formato lossy è il JPEG. La compressione lossless invece, individua le informazioni che si ripetono all’interno dell’immagine attraverso opportuni algoritmi atti a ridurne le dimensioni effettive, ma questo non comporta alcun degrado qualitativo, alcuni formati di questo tipo sono TIFF, BMP, PNG, GIF. La qualità di un’immagine bitmap non dipende solamente dal numero di colori attribuibili ai bit disponibili, altri parametri sono altrettanto importanti, quali ad esempio: la sua dimensione in pixel, tanto in larghezza quanto in altezza, e il livello di dettaglio con il quale stamperemo quell’immagine. Tutte le immagini digitali appartengono a due grandi categorie: del tipo bitmap o raster, come abbiamo appena visto, e vettoriali. Lavorare con le immagini bitmap significa trasformare gruppi di pixel disposti sulla matrice a griglia di un quadrilatero così, ad esempio, la rappresentazione di una figura geometrica come quella di una circonferenza, sarà data dalla disposizione di tanti pixel ordinati in modo tale da fornire l’illusione percettiva di visualizzare una perfetta circonferenza, ma è sufficiente ingrandire un particolare per svelare il trucco. E’ quanto fa la grafica vettoriale, qui il problema della risoluzione dell’immagine non si pone, dato che ogni ente geometrico disegnato si mantiene sempre inalterato. Dato il vigore con il quale riesce a tracciare linee, curve, primitive geometriche descritte da equazioni matematiche, la grafica vettoriale ben si adatta alla rappresentazione di disegni tecnici o piatti, nei quali un’immagine bitmap di sfondo, può essere di supporto per il disegno. Tanto le immagini bitmap, quanto quelle vettoriali, utilizzano il colore, che è molto complesso tradurre in termini digitali, ovvero la giusta tonalità da associare ai pixel in funzione dei diversi supporti. Infatti in primo luogo va osservata la lucentezza del "colore digitale", poiché esso a differenza dei colori cartacei si caratterizza per il fatto che la luce proviene dall’interno’ dello schermo su cui esso compare, mentre i colori di immagini supportate da oggetti e medium non digitali si rivelano per via della riflessione della luce su di essi. Questa differente fisica del colore comporta una differente percezione estetica, che si caratterizza per i suoi effetti d’iridescenza, fluorescenza, brillantezza, translucidità, ecc. Le nuove fibre e mischie per la creazione di filati e tessuti consentono maggiormente di esprimere questo effetto digitale e luminescente del colore, che può assumere una tendenza soft: colori madreperlacei, vetro-liquidi, smerigliati e cangianti oppure una tendenza hard: colori metallizzati, plastificati, elettrici, laccati. La grafica digitale ripropone il modello CIE(8) e altri che da esso dipendono, per soddisfare l’esigenza di riprodurre il colore su diversi supporti: dai monitor alla stampanti. Tutti i colori presenti in natura possono essere riprodotti mescolando le luci dei tre primari, il processo viene definito sintesi additiva poiché, mescolando la massima intensità dei tre canali di colore si ottiene la luce bianca. In un qualunque software di elaborazione d’immagini, ritroviamo il modello RGB distribuito nei tre canali di colore, ciascuno dei quali si dota di una profondità di 8 bit, ossia di 256 possibili sfumature per il verde, per il rosso e per il blu. I valori oscillano fra 0 e 255, il che equivale a dire che quando tutti i parametri sono impostati sullo zero c’è assenza di luce e l’occhio vedrà nero, viceversa, quando i tre canali sono impostati a 255 viene riprodotto il bianco. Otto bit da dedicare a ogni colore primario, significano riprodurre un’immagine di 24 bit, pari a circa 16,7 milioni di colori. Il modello RGB, dato dalla sintesi additiva dei colori, per sua stessa natura ben si adatta a dispositivi quali i monitor dei computer, gli scanner, le televisioni, i video proiettori, che riproducono i colori nei termini dell’emissione luminosa. CMYK un altro modo per riprodurre il colore, molto utilizzato nella grafica digitale, si dota di filtri che oscurano alcune lunghezze d’onda all’interno dello spetro visibile del modello RGB. Quando viene oscurata la componente rossa si produce una miscela di verde e blu, corrispondente al colore ciano; sottraendo il verde si ottiene il magenta, eliminando il blu si ottiene il giallo. Tale operazione è detta sintesi sottrattiva e produce un modello di colore che elimina alcune lunghezze d’onda del visibile per generare i colori primari dei pigmenti. Le tinte, le vernici, gli inchiostri delle stampanti, utilizzano il modello di colore CMYK, così ad esempio: se una tinta assorbe completamente il rosso e riflette il verde e il blu, otteniamo il ciano (C). Il giallo (Y) è il complementare del blu e il magenta (M) è il complementare del verde. Dato che l’unione di ciano, magenta e giallo, non è in grado di riprodurre il nero, ma uno sgradevole ,marrone scuro, viene aggiunta la componente Black (K). Nell’ambito della progettazione di nuovi tessuti e motivi per la stampa su tessile, si deve avere una cartella colori nella quale le tinte elaborate da monitor corrispondano agli effettivi colori che verranno stampati, da ciò si evince ancora una volta la fondamentale importanza di fornire misure univoche del colore. Per rispondere a questa esigenza, i
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produttori sviluppano i cosiddetti colori spot e un campionario stampato dal quale attingere le tonalità, si veda ad esempio Pantone e Focoltone, che sono annoverabili in software di elaborazione di immagini come ad esempio Adobe Photoshop. Il colore trova sviluppo e realizzazione in diverse tecniche di stampa tessile (applicazione di sostanze coloranti su di un tessuto) che si differenzia dalla tintura, la quale è effettuata immergendo il tessuto nella sostanza colorante e che permette di ottenere tinte uniformi e monocolore. La stampa prevede invece l’applicazione di più colori, talvolta con la sovrapposizione di tecniche diverse e per lo più secondo uno schema preciso.
A sinistra una clothing simulation con collisione delle superfici; a destra realizzazione del modello.
5.3 Rappresentazione matematica e numerica del progetto moda La nuova innovazione tecnologica e l’effetto dell’applicazione dell’informatica, con lo sviluppo di software specifici per la produzione e la progettazione, stanno modificando l’iter progettuale. Il mercato offre diversi software CAD che possono consentire ai fashion designer di rappresentare l’abito in tridimensione e di progettarlo. In linea di massima, si possono individuare due approcci prevalenti: dalla tridimensione al mancato sviluppo piano delle superfici, e dal cartamodello al fitting su manichino virtuale. Il primo prevede una ricostruzione del modello tridimensionale dell’abito su avatar che incarnano le differenti possibili taglie; in generale i software non sempre consentono lo sviluppo piano dei cartamodelli utili alla confezione dei prototipi, ma simulano la vestibilità dei capi attraverso una traduzione digitale delle proprietà fisiche dei tessuti. Da diversi anni la computer grafica si è occupa di simulazioni dinamiche di modelli tridimensionali di capi d’abbigliamento. Oggi si sono studiate interfacce atte al tracciamento di vincoli sui tessuti digitali e sui corpi dei manichini tridimensionali, così da mantenere la corretta corrispondenza delle parti. Il progettista lavora su due schermate, una per l’abito e l’altra per l’avatar e disegna curve libere sui tessuti, corrispondenti a quelle tracciate sul corpo, che diverranno vincoli posti nella clothing simulation, riducendo di molto i tempi di calcolo. Successivamente si possono spostare parti del modello tridimensionale dell’abito direttamente sul corpo. In alternativa, come abbiamo detto con il secondo approccio, è possibile ricostruire dai cartamodelli, in maniera semi automatica, il modello tridimensionale delle vesti e solo alcuni software saranno in grado di simulare il drappeggio e la caduta dei tessuti che lo compongono. I limiti delle pratiche digitali risiedono nel conferire all’abito consuete vestibilità, tracciabili su poche linee, trovando mercato soprattutto nelle aziende di pronto moda che hanno la necessità di ridurre al minimo
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lo scarto di ottimizzazione dei tempi di produzione e delle risorse, sia fisiche che materiali. I couturier prima e gli odierni direttori creativi, non possono essere limitati dalle già predisposte linee vestimentarie, implementabili nell’esiguità spaziale di una libreria digitale. I protagonisti del fashion puntano verso l’azzardo formale e la libertà geometrica, come spesso s’incontra nelle sfilate. Sono necessarie, quindi, nuove interfacce per la progettazione, che rendano il più possibile intuitive le pratiche, in scenari dove le teorie e i metodi della rappresentazione digitale si fondono, stimolando e allargando le frontiere della creatività, in un complesso sistema, come quello della moda, che richiede la messa a punto di strumenti per la progettazione adeguati agli standard scientifici della rappresentazione, ovvero il principale linguaggio espressivo del progetto moda. D’altro canto la progettazione di un abito ha sempre seguito approcci misti, quello dal 2D al 3D, in questo settore, è un viaggio di andata e ritorno continuo. La computer grafica 3D opera attraverso diversi algoritmi di generazione geometrica, così che la rappresentazione di artefatti tridimensionali nello spazio è descritta verosimilmente con un elevatissimo grado di accuratezza. Alla rappresentazione matematica è affidato questo compito, descrivendo attraverso le NURBS. Mentre le mesh riescono con buona approssimazione a rappresentare forme complesse e sono facilmente gestibili dai software, la loro applicazione spazia dall’animazione al rilievo con scanner laser 3D, al rendering, così più alto sarà il numero dei poligoni, maggiore sarà il livello di accuratezza delle superfici. Ma trattasi pur sempre di approssimazioni di geometrie che, per converso, le NURBS sono in grado di controllare alla perfezione. A questo punto un buon compromesso è offerto dalle Superfici di Suddivisione (Subdivision Surfaces), che uniscono alla rappresentazione numerica poligonale gli effetti delle superfici NURBS, attraverso la conversione dei vertici mesh, in punti di controllo per superfici NURBS. VIRTUAL FASHION PROFESSIONAL (9) Il software di modellazione è dotato di diverse interfacce che permettono all’utente: di modellare tridimensionalmente capi d’abbigliamento e accessori; di associare i tessuti ai modelli, attraverso una libreria di materiali aggiornabili; di simulare la caduta e il drappeggio del capo vestito da un avatar che potrà assumere diverse pose; di truccare il volto delle modelle e fotografarle all’interno di un set 3D preimpostato. Il software ha un’interfaccia intuitiva e consente, in poche e semplici mosse, di modellare un abito e di simulare la vestibilità, anche quando il progetto prevede un ricorso alle forme libere, che con gli strumenti della rappresentazione tradizionale sarebbero assai difficili da controllare. Purtroppo però l’iter progettuale non si conclude nello sviluppo del cartamodello, essenziale per il controllo e la confezione del capo finito. POSER (10) Poser non è pensato per la modellazione di capi e/o accessori moda ma per l’animazione di modelli tridimensionali di avatar che possono essere vestiti, indossare parrucche, assumere pose ed espressioni facciali, tutto questo attraverso una libreria aggiornabile. E’ possibile modificare le proporzioni del corpo dell’avatar, adattandole alle diverse taglie con tecniche di deformazione puntuali che, con una sorta di bisturi digitale rimodellano i corpi e i volti, secondo il genere e l’etnia scelta. L’interfaccia si apre alla finestra di avvio (Pose) dove viene caricato un avatar di default che è possibile modificare a nostro piacimento. Alla destra dello schermo è presente un menu contenente differenti librerie con una rappresentazione iconica semplificata. La finestra (Preview) mostrerà, invece, l’avatar ripreso da una camera e si potrà modificare il tipo di proiezione attraverso i comandi disposti alla sinistra dello schermo (Main Camera), oltre all’algoritmo di rappresentazione delle superfici (Document Display Style). I modelli 3d in Poser sono di tipo numerico, vale a dire che tutti i solidi e le superfici, compresi quelli importati da un altro software, saranno convertiti in poliedri a facce orientate di tipo Mesh. In fase di elaborazione i figurini possono essere rappresentati in: -Silhouette, con campiture piatte; -Outline, descrive i modelli attraverso il loro profilo, lineare e/o curvo, senza fornire alcun indizio di profondità; -Wireframe, le superfici geometriche, vengono descritte attraverso la raffigurazione dei soli loro spigoli; tracciando anche linee che non sarebbero visibili perché oscurate dalle superfici più prossime al quadro della rappresentazione. Il wireframe si presta molto bene a rappresentazioni di tipo tecnico quali: proiezioni parallele, ortogonali e oblique, o coniche. -Hidden Line, diversi algoritmi sono stati sviluppati per apportare migliorie alla rappresentazione in wireframe dei modelli, così come Lit wireframe; -Flat Shaded, visualizza le facce del modello numerico mesh e le stesse hanno una campitura piatta, in diverse tonalità a scala di grigio, in virtù delle sorgenti luminose disposte nella scena. Cartoon, offre una rappresentazione cartoonistica dei modelli 3d. Le ombre nette, proprie, portate e auto portate, sono descritte in un numero esiguo di tonalità in scala di grigio.
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-Smooth Shaded, offre un’ombreggiatura dei modelli numerici mesh molto verosimile, facendoli apparire come se fossero reali modelli matematici, generati da superfici curve. E’ possibile caricare nelle librerie, di Poser, il modello precedentemente elaborato in Virtual Fashion e a questo punto la clothing simulation è demarcata da una finestra di lavoro (Cloth), che ci permetterà di collidere le posture del corpo con i movimenti dell’abito. La finestra di lavoro ci chiederà di dare un nome al tipo di simulazione, la durata in termini di fotogrammi, e tre opzioni aggiuntive per il tipo di collisione: -Object Vertex against cloth polygon, gestisce la simulazione facendo collidere i vertici, del modello numerico dell’avatar, con la superficie mesh dell’abito; -Object Polygon against cloth polygon, in questo caso l’accuratezza della simulazione è superiore e il tipo di collisione si attua fra poligoni corrispondenti dei corpi e dei vestiti; -Cloth self-collision, esegue il controllo dei poligoni che compongono i singoli elementi di un outfit evitando la compenetrazione tra questi ed eventuali accessori dei quelli si dota l’avatar. L’ultimo parametro da impostare riguarda il numero di fotogrammi utili alla simulazione del drappeggio dei tessuti (Drape Frame), poiché più azioni possono suggerirsi all’interno della stessa animazione, la cui durata è gestibile nella time-line posizionata alla base della finestra di lavoro. A questo punto possiamo procedere con il calcolo e la stima degli effetti. Lo stesso procedimento possiamo ripeterlo nell’animazione di una camminata, i cui passi potranno essere orientati lungo una curva spline modificabile nei punti di interpolazione. Possiamo stabilire anche il portamento che la nostra modella dovrà assumere con un applicativo molto rapido e intuitivo (Window, walk designer), nel quale è possibile variare lo stile dell’andatura e prevedere gli effetti. L’ultimo step riguarderà a resa del prodotto finale nella definizione di un’immagine statica elaborata con tecniche rendering o nella costruzione di un’animazione. I materiali possono essere modificati e/o sostituiti nell’interfaccia di lavoro (Material); le sorgenti luminose, invece, sono gestite dal controllo posto alla sinistra dello schermo (Light Control).
Modello numerico di Avatar in Poser.
In VFP si può costruire un capo 3D partendo dalla mesh del manichino.
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LECTRA FASHION PLM (11) Lectra è un’azienda francese leader del settore di produzione con tessuti molli, dunque produce software non solo per il settore moda ma per tutti i settori che utilizzano tessuti, compreso il settore automotive e dell’arredamento. Focalizzandosi sul settore del fashion, Lectra fornisce ai suoi clienti un’ampia varietà di programmi, in grado di seguire tutto il processo di ingegnerizzazione del capo e della sua produzione; Pattern utilizza sia la piattaforma PLM che i pacchetti CAD e i software CAD/CAM utilizzati nella sala taglio.In Lectra la fase di creazione è affidata a Kaledo, un pacchetto software in grado di assistere i progettisti nel disegno piano vettoriale dei figurini, per abbinare materiali e texture alle campiture, attraverso una libreria aggiornabile di tessuti, mentre con l’accesso rapido ad archivi delle collezioni precedenti, è possibile apportare nuove modifiche ai modelli. Modarias e PGS, sono gli strumenti CAD dedicati alla modellistica sartoriale e consentono di digitalizzare in vettoriale i cartamodelli, controllarne gli assemblaggi e programmare lo sviluppo delle taglie. Il passaggio dalla bidimensione alla tridimensione avviene nel fitting su manichino virtuale, dei modelli sottoposti alla clothing simulation. Lectra è in grado di unificare le pratiche progettuali e i processi produttivi, questo è di evidente importanza per le aziende di fast fashion, che accelerano i tempi di produzione in virtù delle innumerevoli collezioni. Analizzando l’iter dalla rappresentazione bidimensionale dei bozzetti e del tracciamento dei cartamodelli, il passaggio alla tridimensionalità è consequenziale e si avvera nella ricostruzione e vestizione dei capi su avatar; l’esperienza infine si conclude nella confezione e nella vendita dei capi finiti. OPTITEX (12) OptiTex opera nello sviluppo di soluzioni CAD per l’industria della moda attraverso un processo creativo che parte dalla bidimensione e si conclude nella simulazione tridimensionale, dei capi, su avatar 3D. Il pacchetto completo 3D Runaway Suite of Tools, permette di ridurre i costi di produzione e i tempi dei cicli produttivi, abbattendo lo spreco dei materiali attraverso la possibilità di simulare digitalmente le vestibilità dell’outfit progettato, ancor prima di confezionarlo. Gli avatar e le loro vesti sono, infatti, sottoposti a un potente motore di simulazione dei tessuti, in grado di tradurre le caratteristiche fisiche quali. Il peso, l’elasticità, la piegature cc. Optitex permette così di ridurre notevolmente il processo di lavorazione. I progetti possono essere esportati in diversi formati, per eventuali rielaborazioni in altri software. Una lunga lista di materiali permette all’utente di mappare le superfici con le texture dei tessuti, indicando le loro specifiche fisiche o costruendo una nuova libreria personalizzata. E’ possibile variare le fattezze dell’avatar in funzione delle vestibilità delle taglie, poi si procede con la simulazione del drappeggio e della caduta dei tessuti, nella clothing simulation, attraverso un’interfaccia che permetterà di controllare le geometrie del cartamodello secondo superfici mesh, alle maglie poligonali dei corpi.
In alto piano di cucitura in Lectra completo; in basso a sinistra preposizionamento del cartamodello; in basso a destra cambio di colore.
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Come già accennato ad inizio capitolo , il mercato della moda ha subito molti cambiamenti negli ultimi anni, soprattutto con l’avvento delle nuove tecnologie e dell’era social, cambiamenti che hanno profondamente scosso la struttura produttiva dell’industria stessa. Le persone che comprano un capo di abbigliamento hanno iniziato a chiedere sempre più prodotti, con più varietà e con tempi di attesa molto ristretti. Anche per cercare di resistere alle problematiche introdotte dalla contrazione dei tempi, le aziende hanno iniziato a spostarsi dove costa meno produrre, allargando la loro rete ma, allo stesso tempo rendendo più complicata la comunicazione tra le varie parti. Questi tre concetti messi insieme denotano come ci sia la necessità, nell’industria dell’abbigliamento, di un’innovazione, un profondo e radicale cambiamento, che riesca a star dietro ai cambiamenti del mercato e riesca ad accontentare le richieste del pubblico. Nel XXI secolo questa ricerca di un’innovazione non può che approdare nella tecnologia. L’introduzione di questo nuovo paradigma è capace di cambiare completamente quello che è la struttura attuale dell’industria di moda, ma un passaggio totale alla tecnologia è ancora difficile da immaginare, soprattutto in un tipo di azienda che fa ancora tanto, troppo, affidamento alla capacità del singolo individuo e che difficilmente si apre al nuovo. Come abbiamo visto, poco fa, programmi come Lectra Fashion PLM e Optitex consentono una clothing simulation, ovvero una simulazione del capo. Affinché questa sia corretta è indispensabile una corretta simulazione del tessuto di cui esso è composto. Quando si valuta un capo virtuale si presta attenzione non solo alla sua vestibilità, ma ci si domanda anche se la scelta di tessuto fatta sia la migliore per quel tipo di capo. Un tessuto, con la sua struttura così complessa e variabile, può influenzare largamente la vestibilità di un capo di abbigliamento, per cui bisogna valutare di volta in volta diversi casi. La simulazione dei tessuti è uno degli argomenti principali della computer grafica, ma in questo caso la simulazione per scopi legati all’ambito della moda si distacca dalle tecniche utilizzate normalmente in animazione: in quest’ultimo campo la problematica principale è che il capo simulato sia esteticamente bello e che si avvicini quanto più possibile a quello che è l’aspetto di un capo d’abbigliamento nella realtà. Nelle applicazioni di moda invece, si vuole realmente sottoporre a test un determinato tipo di tessuto, per cui la simulazione non deve essere solo “bella” da vedere, ma deve simulare perfettamente il comportamento di un determinato tipo di tessuto, ovvero, deve tenere necessariamente conto delle caratteristiche meccaniche del tessuto stesso. Il modo in cui si valutano i tessuti è osservando la maniera in cui essi drappeggiano, ovvero osservando la forma che essi assumono quando vengono vincolati e sottoposti alla forza di gravità e/o altri tipi di forze. La simulazione dei tessuti presenta molte difficoltà, in quanto i tessuti sono materiali molli altamente deformabili e difficilmente assimilabili a materiali isotropi a causa della loro struttura. Le deformazioni che un capo di abbigliamento, e quindi il tessuto di cui è costituito, subisce sono molto grandi, ma poiché ci si serve delle simulazioni come strumento per controllare il fit del capo, bisogna considerare delle precisioni millimetriche. A tutto ciò bisogna aggiungere le difficoltà portate dalla complessità dei capi che si vanno a simulare e dai problemi legati alla collisione, sia tra il tessuto e il manichino su cui si va a montare il capo, sia tra tessuto e tessuto per capi sovrapposti o nel caso di pieghe. Cercando una definizione possiamo affermare che la simulazione del drappeggio non è altro che il calcolo della traiettoria dei punti di un tessuto, che viene posto in una certa atmosfera ed è soggetto a delle forze, quindi oltre a calcolare per ogni istante di tempo la posizione delle singole particelle della mesh, bisogna tenere conto anche della collisione che il tessuto subisce, con il manichino sottostante (o qualsiasi altro solido su cui si poggia) e con altro tessuto, sia che si tratti di un capo sovrapposto (per esempio un pantalone e una maglietta montati sullo stesso manichino) sia di parti piegate. Il problema della collisione è generalmente diviso nell’individuazione della collisione e nella risposta alla collisione. Riuscire a riconoscere le collisioni è un’operazione che richiede molto tempo e potenza di calcolo e viene svolta in genere in maniera separata dal calcolo della traiettoria che avviene per ogni istante di tempo; l’individuazione delle collisioni può venire svolta da algoritmi che ragionano a volumi finiti, che promettono grandi velocità di calcolo per ogni step in modo da riuscire a correggere la posizione dei punti in maniera molto veloce. La risposta alle collisioni viene effettuata mediante un remesh, una modifica delle posizioni dei punti della mesh, della loro velocità e della loro accelerazione.
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Generalmente per ogni istante di tempo viene calcolata la posizione del punto attraverso uno dei metodi di calcolo scelto, poi viene effettuato il calcolo delle collisioni e in base a questo si generano delle nuove forze che vanno applicate sul punto, andandone ad aggiornare nuovamente la posizione. Quanto detto finora vale per l’analisi del solo drappeggio, che rappresenta il comportamento statico di un tessuto. Tuttavia, questi programmi permettono di effettuare simulazioni dinamiche, per esempio una simulazione di sfilata, oppure svolgono un’animazione per il passaggio tra una posizione del manichino e un’altra. A questo punto, terminata la simulazione del tessuto, si può dichiarare conclusa l’intera simulazione del capo e si può quindi procedere con la sessione di fitting virtuale per controllare la vestibilità del capo “prodotto”. Tutti i programmi permettono la personalizzazione del tessuto, in modo da avvicinarlo quanto più possibile al tessuto reale, dunque è possibile modificare il colore, oppure inserire delle immagini o creare una trama particolare inserendo l’immagine dell’unità fondamentale che viene poi ripetuta inoltre è possibile definire anche una texture per i tessuti, cosa che aiuta a rendere ancora più reale il tessuto simulato; semplicemente, oltre all’immagine del tessuto viene sovrapposta una Normal Map che serve a creare l’illusione del tessuto tridimensionale. 5.4. Casi studio La natura multidisciplinare, insita nel fashion designer allarga i propri orizzonti all’innovazione tecnologica che oggi sembra contaminare non solamente le pratiche progettuali, i processi della confezione, ma anche le sfilate e la comunicazione. Facendo un bilancio si può senz’altro affermare che la tecnologia si sia ben radicata nel settore, così come l’informatica, ma tuttora molte aziende ancora non usano attivamente questi mezzi, ciò avviene per svariati motivi: • Sfiducia nei risultati. Nonostante questo tipo di programmi esistano ormai da quasi vent’anni, la difficoltà insita nel simulare dei tessuti molli e così deformabili non rende ancora oggi i risultati della simulazione sicuri al 100%. Questo rende pressoché impossibile pensare di eliminare del tutto il prototipo reale e fidarsi solo della simulazione; • Sfiducia nella tecnologia. Come già ripetuto, il settore della moda è molto più lento di altri a recepire i cambiamenti e le innovazioni in campo tecnologico, questo a causa della sua natura molto “artigiana”. In questa ottica, non solo l’introduzione di strumenti di questo tipo non viene capita, ma viene anche ostacolata; • Formazione. L’utilizzo della simulazione 3D è molto semplice e intuitivo, anche per persone che non hanno avuto una formazione tecnica del settore. Tuttavia, l’obbiettivo sarebbe quello di creare una nuova figura all’interno dell’azienda, che dovrebbe essere preparata sia in modo classico alla creazione dei pattern e al disegno di moda, sia all’utilizzo di questo tipo di tecnologia. Lo studio delle simulazioni dovrebbe essere impartito fin dalle accademie, ma al momento viene fatto in modo poco convinto, proprio perché poi questi programmi non vengono di fatto utilizzati a livello produttivo; • Costi. Sebbene il fatto di non produrre un capo fisico porti a notevoli risparmi, la prototipazione virtuale ha un suo costo, che si ripartisce sia nel costo delle singole licenze di utilizzo sia nel costo per la formazione del personale; • Difficoltà di rappresentazione. I programmi di simulazione richiedono generalmente delle semplificazioni di quello che è il modello reale; nel caso dell’abbigliamento una problematica molto difficile nella simulazione è l’individuazione delle collisioni, cosa che porta nella simulazione a usare il solo tessuto esterno del capo, senza considerare tutti i vari strati di cui esso è composto. Questo però non rende perfettamente il capo, limitando l’uso della simulazione a capi molto semplici; • Assenza di standardizzazione. Frequente nei casi di una tecnologia all’inizio del suo sviluppo è l’assenza di standardizzazione tra i vari programmi, che si traduce nell’impossibilità di scambio di file tra programmi diversi. Questo non vale solo per la simulazione del capo, ma anche per i soli manichini, che vengono trattati in maniera differente da ogni programma. Viste le difficoltà descritte sopra, non sembra auspicabile un passaggio a breve e totale alla modellazione virtuale, allora bisogna considerare un tipo di approccio ibrido, che non scelga l’una o l’altra strada, ma che sappia integrare la progettazione 2D alla modellazione 3D e la prototipazione al fine di sfruttarne al meglio i vantaggi di tutti i diversi processi. Concentrandosi su una ricerca personale credo che dotando i software, di rappresentazione matematica, di manichini e avatar possiamo tracciare le caratteristiche linee di stile sartoriale, ottenendo così ampia libertà nel progettare i capi di una collezione. Queste linee nient’altro che delle
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spline modificabili, possono essere considerate come possibili direttrici e generatrici di superfici, così da ottenere anche un facile sviluppo piano dei cartamodelli. Tuttavia il passaggio non è semplice, soprattutto considerando le differenti elasticità dei tessuti, ma, anche in questo caso, abbiamo una possibilità. Ovvero un sistema di “forbici virtuali” secondo il quale le curve NURBS divengono linee di taglio per superfici mesh del capo, imitando le tecniche di drappeggio e il comportamento dei tessuti, attraverso rappresentazioni che mostrano l’andamento delle curve e il loro riposizionamento nello sviluppo piano della mesh, i cui bordi verranno ridisegnati da un algoritmo di triangolazione. In realtà ogni modello matematico generato da curve e superfici NURBS è convertibile in un poliedro, pertanto il capo progettato e modellato su manichino digitale può essere in seguito trattato come un qualsiasi modello numerico prodotto dalla scansione 3D, con il beneficio di riconoscere in esso le coordinate u e v del modello matematico originale.
Estrusione della mesh tramite selezione del contorno da estrudere e della curva guida.
Rappresentazione matematica e sviluppo del corsetto in Rhinoceros Il primo passaggio di costruzione del manichino virtuale è fondamentale per la successiva costruzione del capo, sia nel caso di approccio 2D-to-3D sia in quello 3D-to-2D. Il punto di partenza è sempre l’avatar del manichino con la relativa mesh, per cui è opportuno svolgere un lavoro preliminare di costruzione di un data base per i manichini, che contenga diverse opzioni di corporatura, sesso, età. In seguito, si pone l’attenzione sulle tecniche utilizzate per la realizzazione dei due tipi di approccio, ovvero l’avvolgimento di un modello 2D sul manichino, oppure il disegno 3D del capo e il successivo appiattimento delle superfici. Infine, per stabilire realmente il corretto fitting del capo, è necessario inserire le informazioni relative al tessuto, in modo da avere sia la sua rappresentazione grafica in termini di texture/colore, sia la rappresentazione del drappeggio grazie alle informazioni sulle sue caratteristiche tecniche.
Nella prima immagine definizione delle curve di divisione sulla mesh , successivamente compimento della divisione.
Lo stilista preso in esame è Gareth Pugh. La sua estetica si inserisce all’interno di quella corrente che vede la moda come performance, non come qualcosa che si indossa tutti i giorni. Infatti, Gareth sperimenta con forme e volumi creando sculture che sconvolgono la silhouette umana rendendola irriconoscibile. Usa materiali come PVC, cotta di maglia e latex. La prima immagine llustra lo sviluppo matematico di un suo corpetto con rispettivo cartamodello. Di seguito partendo dall’illustrazione di un suo abito della collezione primavera-estate 2009, lo abbiamo tradotto digitalmente, semplificando e velocizzando i tempi di progettazione e confezione, attraverso la rappresentazione numerica dei piani triangolari e quadrilateri che orbitano attorno alle forme curve del corpo digitale (avatar). In seguito siamo passati al suo sviluppo bidimensionale, dando così vita al cartamodello, proprio attraverso il sistema di “forbici virtuali”, ottenendo così, infine, sia una clothing simulation virtuale sia un prototipo pronto per lo sviluppo sartoriale.
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A destra Mostra Gareth Pugh presso Galleria Melissa. A sinistra illustrazione dell’esempio progettuale, Gareth Pagh collezione primavera-estate 2009. Modellazione 3D e clothing simulation, Gareth Pagh collezione primavera-estate 2009 Sviluppo piano delle superfici e realizzazione del cartamodello.
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La giovane designer Irina Shaposhnikova (13) ha realizzato una collezione femminile ispirandosi alle geometrie dei cristalli, per ridisegnare le silhouette femminili. Un ardito lavoro manuale di modellazione e trasformazione del manichino, per abiti che assumono le sembianze di poliedri dalle taglienti sfaccettature, irrigiditi dalle fibre plastiche dei piani e alleggeriti dalle trasparenze dei tessuti. Ho riprodotto l’iter progettuale della stilista traducendo così digitale di uno dei capi scelti. Ottenendo una rappresentazione numerica dei piani triangolari e quadrilateri che orbitano attorno alle forme curve di un corpo digitale. Per quanto riguarda lo sviluppo piano in cartamodello, si potrà procedere con i metodi visti in precedenza, oppure affidarsi a software come Pepakura Designer(14), il cui aspetto ludico dell’interfaccia e la facilità d’uso permettono di importare mesh, indicare i profili di suddivisione e sviluppare i pattern(15) numerati che riportano i differenti tratteggi delle pieghe a monte e a valle, così da ricostruire una maquette(16) cartacea del prototipo.
A sinistra Irina Shaposhnikova Crystallographica collection. A destra modellazione 3d e clothing simulation.
Il processo di creazione del modello parte sempre dal manichino: viene infatti creata la struttura del capo (Feature Template) sulla base della mesh del manichino. Questa struttura viene detta “feature based” in quanto, essendo creata in base alle caratteristiche del manichino, ha memoria di quello che è il wireframe del manichino stesso. Questo vuol dire che un feature template di questo tipo si può adattare a diversi tipi di manichino e alle sue dimensioni, avendo come riferimento le sole caratteristiche semantiche del manichino stesso
Modellazione numerica con sviluppo e ricostruzione di un abito.
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Roberto Capucci, lo stilista che, per eccellenza, ha saputo usare volumi, superfici e colori per trasformare abiti in sculture, architetture, poesie e più generalmente in opere d’arte, ha creato un mondo che architetti, sovrintendenti, storici dell’arte hanno interpretato e descritto ognuno secondo la propria specializzazione: Capucci l’artista, lo scultore, il creatore di mondi fantastici e infinitamente eleganti. Si possono facilmente descrivere gli abiti di Capucci usando concetti precisi della geometria descrittiva. Abiti che non seguono la linea del corpo. Quasi senza cuciture, molti abiti tradizionali non sono altro che un gioco di pieghe come il Sari o la Toga. In questa stessa categoria, ma con una costruzione più interessante dal punto di vista geometrico, possiamo considerare la gonna a ruota, che non è altro che un disco dal quale viene tolto un disco più piccolo e concentrico che viene posto poi in vita, tradotto geometricamente nell’iperboloide. Abiti che non sono superfici regolai. Usando pieghe e cuciture, la stoffa non è più una superficie regolare, ma la presenza di “pieghe” la rende irregolare e dunque, per dirlo con termini geometrici una superficie rigata. Sappiamo che una superficie rigata è una superficie che si ottiene come unione di rette, alla quale appartiene anche l’iperboloide, le quali Capucci trasforma in abiti. In questo ultimo esempio si è voluto dare la prova di come anche le superfici rigate possano facilmente, descrive lo sviluppo di un abito. Ora è importante sviluppare le superfici di questo modello su un piano, ottenendo un cartamodello. Essendo questo modello descritto da una rigata è fondamentale, a questo punto, che le tangenti tra punti corrispondenti nelle due curve di definizione siano parallele, di fatto le due tangenti e la linea congiungente devono trovarsi sullo stesso piano. Soddisfatto le condizioni, nei programmi di modellazione tridimensionale esistono comandi che permettono tale sviluppo. (Sviluppo sul piano di una superficie).
“Lo scopo di tutte le nuove forme di sperimentazione è unico: inverare uno dei fini ultimi dell’architettura stessa, e cioè quello di essere espressione e immagine del tempo in cui si colloca” F. De Luca
Accostamento di una superficie rigata ad un abito di Roberto Capucci.
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6. Tecniche e deformazioni 6.1. Reverse modelling Chi si occupa di rappresentazione spesso s’imbatte in analisi di complicati oggetti, il Reverse Engineering è una metodologia di progettazione indispensabile per il raggiungimento in tempi estremamente rapidi, di risultati ad altissimo contenuto qualitativo, si identifica nella riproduzione grafica tridimensionale del dato materiale per mezzo del rilievo, al fine di ricostruire un prototipo dell’oggetto. Reverse Engineering significa letteralmente progettazione inversa, ossia progettazione e sviluppo di un prototipo che si avvale di un modello CAD 3D ottenuto dalla digitalizzazione di un modello fisico. Tre sono le fasi principali del processo di Reverse Engineering: acquisizione del modello numerico, conversione dello stesso in un modello matematico, realizzazione del prototipo fisico. Il modello numerico si manifesta in una nuvola di punti che verranno successivamente uniti a formare una superficie Mesh, ossia una maglia poligonale, vero e proprio poliedro a facce triangolari orientate. Per conversione del modello numerico in un modello matematico si intende invece la ricostruzione delle superfici geometriche, NURBS; che descrivono l’oggetto, punto a punto, per via di equazioni parametriche. Questo processo: che parte dal rilievo e dall’acquisizione del modello numerico dell’oggetto, e che termina in un modello matematico si chiama Reverse Modelling. La prima fase di acquisizione dei dati può essere esercitata a diretto contatto con l’oggetto, o con tecnologie di tipo ottico e al laser che non prevedono alcuna adesione con le entità fisiche. Nel primo caso si tratta di tradurre la geometria degli artefatti nelle tre coordinate di punti caratteristici che risiedono sulle sue superfici, con strumenti che vengono comunemente chiamati digitalizzatori 3D o robot palpatori. Questi dispositivi, dotati di bracci meccanici e sonde, riescono molto bene a rilevare le superfici che presentano spigoli e curvature ristrette, grazie alla loro facilità di movimento. Diversamente il rilievo senza contatto diretto può avvenire con gli scanner laser 3D: dove un fascio di luce laser è emesso e bersaglia un oggetto, il tempo che tale fascio impiega nel ritorno alla macchina è convertito nelle coordinate cartesiane dei punti intercettati. I software che gestiscono i dati d’input, visualizzano nuvole di punti che diverranno vertici delle facce di una superficie mesh. Con più riprese, che completano il rilievo, le mesh si andranno a riunificare in un solo modello numerico. Quando la forma desiderata è difficile da rappresentare il ricorso alla scansione 3D aiuta il fashion designer nella comprensione geometrica producendo un modello numerico mesh che potrà successivamente modificare. Si può sezionare il poliedro con schiere di piani paralleli e ortogonali, per ottenere dei poliedri i cui vertici potranno convertirsi in punti di controllo di curve spline, da interpolare nella costruzione di un modello matematico che poi si potrà prototipare. In generale questo approccio è sfruttato tanto nella progettazione di accessori quanto di capi, prendendo ad esempio le creazioni della stilista Iris Van Herpen, nate dalla collaborazione con l’architetto Daniel Widring; volendo sintetizzare potremmo definire le pratiche del reverse modelling come una conversione di un modello numerico in un modello matematico di tipo NURBS. La ricerca contemporanea sulle frontiere della forma in architettura si è servita dei proventi dell’informatica, la modellazione solida si mostra uno strumento preciso per la generazione e il controllo delle superfici, soprattutto quando queste sono caratterizzate da una plasticità deformante. Potremmo dire che la ricerca delle nuove forme di rappresentazione nasce da tutto ciò, ma non basta, essa non può prescindere dalla geometria. La rappresentazione è una scienza che non viene mai abbandonata, se c’è una cosa che muta è semplicemente lo strumento più opportuno da adottare durante l’iter progettuale.
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Gehry nei suoi progetti ha la necessità di controllare non solo la correttezza dell’esecuzione ma anche contenere i costi di costruzione: la scelta del software da utilizzare ricade su Catia della parigina Dessault Systèmes, correntemente applicato alla progettazione di aerei. Il motivo principale per cui ci si è interessati a un software applicato a un settore così distante dall’architettura è la necessità di poter controllare forme complesse, curvature semplici e doppie, strutture e costi in maniera soddisfacentemente fluida e, soprattutto, la possibilità di integrare il tradizionale sistema di progettazione dello studio - i modelli fisici - con la tecnologia informatica. Infatti l’immissione dei dati volumetrici nel software avviene con l’ausilio di un'altra permuta tecnologica: un dispositivo laser di provenienza neurochirurgia originariamente impiegato per mappare il cranio umano e da Gehry utilizzato per scansire la superficie dei modelli di studio. Da questo punto in poi la tecnica progettuale di Gehry si è stabilizzata su tale formula producendo capolavori quali il Walt Disney Concert Hall (1989 - attualmente in fase di realizzazione) a Los Angeles, il celeberrimo Guggenheim Museum (1991-1997) a Bilbao e molti altri. La metodologia di lavoro introdotta col Guggenheim è ormai nota, e, col tempo, ha assunto il carattere tipicamente procedurale di un iter ben codificato. Gehry scompone e ricompone fogli di carta appallottolati fino a determinare una figura complessiva, a suo modo di vedere, soddisfacente. La superficie del modello cartaceo viene quindi digitalizzata e tradotta in solido virtuale attraverso un dispositivo informatico, a questo punto i progettisti iniziano il lavoro di sviluppo della forma, fino a ricavarne un organismo architettonico “strutturabile” e, nei limiti, funzionale. Il progetto nasce cioè, sin dalle origini, in ambiente virtuale, e non può evidentemente uscirne fino a quando la forma non sia determinata con precisione. La tecnica informatica non fornisce, dunque, una soluzione ad un problema formale pre-determinato, ma, per la prima volta, pone esse stessa il problema ed insieme la soluzione.
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6.2. Rapid prototyping Come già illustrato nei capitoli precedenti di questa tesi, il mercato della moda ha subito molti cambiamenti negli ultimi anni, soprattutto con l’avvento delle nuove tecnologie e dell’era social, cambiamenti che hanno profondamente scosso la struttura produttiva dell’industria stessa. Le persone che comprano un capo di abbigliamento hanno iniziato a chiedere sempre più prodotti, con più varietà e con tempi di attesa molto ristretti. Anche per cercare di resistere alle problematiche introdotte dalla contrazione dei tempi, le aziende hanno iniziato a spostarsi dove costa meno produrre, allargando la loro rete ma, allo stesso tempo rendendo più complicata la comunicazione tra le varie parti. Tutto ciò denota come ci sia necessaria nell’industria dell’abbigliamento un’innovazione, un profondo e radicale cambiamento, che riesca a star dietro ai cambiamenti del mercato e riesca ad accontentare le richieste del pubblico. Nel XXI secolo questa ricerca di un’innovazione non può che approdare nella tecnologia, in particolare nella nascita della prototipazione 3D per la moda. I processi dell’innovazione tecnologica in brevissimo tempo hanno inciso significativamente nei cicli produttivi, riducendo al minimo i tempi e le risorse, sia fisiche che materiali. I fashion designer senza rinunciare alla tradizione si affidano, così, a metodi strumenti propri della rappresentazione digitale. A volte si servono della scansione 3D per dedurre le proprietà fisiche di oggetti da reinventare, ma questa non è l’unica alternativa, la progettazione in ambiente CAD con modelli matematici di capi e accessori moda, oltre a garantire livelli di accuratezza elevatissimi, rende traducibile le geometria degli artefatti disegnati nell’operatività dei dispositivi a controllo numerico CAM, che in pochi minuti confezionano i prototipi. Il rapid prototyping (RP) è quella tecnica di fabbricazione automatica che si avvale di tre tecnologie costruttive che potremmo riassumere in: sottrattive, additive e formative. Le prima, in analogie con le pratiche scultoree, sottraggono materiale da un blocco solido per mezzo di frese e scalpelli meccanici, o torni che scavano la materia sino al raggiungimento della forma desiderata. Ovviamente i tempi di lavorazione dipendono dal prodotto ma i risultati sono ottimali. Diversamente la prototipazione rapida con tecniche additive, realizza oggetti per stratificazione di elementi piani molto vicini allo sculpture puzzle 3D. I capi e gli accessori ottenuti sono il frutto della sinterizzazione, un processo di saldatura delle polveri fuse con dei collanti e riscaldate al laser. Le stampanti 3D, a differenza di quelle domestiche a getto di inchiostro, in questo caso, caricano delle cartucce contenenti polveri che si solidificano in strati sovrapponibili di materia. I tempi di realizzazione sono lenti ma i risultati superano di gran lunga le imperfezioni manuali. I processi formativi della prototipazione rapida, a differenza di quelli trattati, sfruttano le forze meccaniche di compressione e trazione, per plasmare la materia nella forma desiderata. Iris Van Herpen, che ha abbracciato a pieno questa tecnica realizzando alcune delle sue creazioni in collaborazione con altre figure professionali, come ingegneri e scienziati, oppure designer e architetti, come l’austriaca Julia Koerner. Van Herpen ha fatto sfilare alla Paris Sring Summer 2012 la sua seconda collezione stampata. Ancora nel 2010 la stilista decise di esplorare le possibilita di questa tecnologia, raggiungendo gia all’epoca grandi risultati. Van Herpen si innamoro dell’infinite potenzialita dello strumento. La stampa tridimensionale ha portato alla stilista una marcata impronta futuristica nel suo stile. Diventando il punto di riferimento di questa tecnologia, nel suo ambito. Un’altro aspetto che la caratterizza, e la capacita di combinare le nuove tecnologie con un diligente lavoro manuale. Proprio questa combinazione tra lavoro manuale e innovazione tecnologica porto la stilista al successo. Gli abiti sono realizzatii con un’unica stampa in diversi materiali.
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Connubio tra le arti anche nel Nicola Formichetti Pop- Up Concept Store di New York, dove lo studio Gage/Clemenceau Architects dà vita a uno spazio illusorio che diviene display delle creazioni del direttore creativo di Mugler, riflesse infinite volte dal caleidoscopico sistema di specchi triangolari, tagliati da macchine a controllo numerico. Come la moda anche l’architettura, qui, piega, frammenta e riunifica. Anche qui il modello matematico dell’allestimento è sottoposto a una discretizzazione numerica nello sviluppo delle superfici, per rappresentare il corretto assemblaggio delle singole parti . Il lavoro di Gage e Clemenceau unifica sapientemente la sperimentazione formale al rigore geometrico imposto da un consapevole uso di strumenti software, che in questo caso sono a servizio del progetto e non lo condizionano.
Descrizione testuale fornita dagli architetti. Tipicamente, gli ambienti della moda sono definiti da un minimalismo piuttosto sobrio che focalizza l'attenzione solo sull'abbigliamento, per l'ovvia ragione di vendere solo vestiti. Nella nostra collaborazione con Nicola Formichetti, abbiamo riscritto questa equazione e prodotto un nuovo genere di spazio sperimentale che non solo ha messo in mostra, ma ha amplificato l'impatto dei suoi progetti di moda in una nuova forma di ambiente immersivo che ha fuso la genetica dell'architettura e della moda. Tali combinazioni di discipline artistiche hanno radici storiche nel termine tedesco del XIX secolo Gesamtkunstwerk, che descrive il mescolare le "arti" più tradizionali di musica, scultura, pittura, ecc. Abbiamo aggiornato questa ambizione con nuovi materiali, nuove tecnologie e nuovi effetti visivi che sono diventati disponibili solo recentemente e li abbiamo combinati con quello che è forse il più popolare e sempre più importante delle arti contemporanee di oggi.
Queste singole sfaccettature riflettenti sono state appese ai soffitti e alle pareti e poi fissate al pavimento. Ogni sfaccettatura è stata attaccata ai suoi vicini utilizzando un sistema di clip in alluminio piegate con precisione. Grandi lastre di plastica resistente all'abrasione a specchio coprivano il pavimento, contribuendo a creare un ambiente infinitamente riflettente, consentendo di rifrangere l'abbigliamento in una varietà di prospettive inaspettate.
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Anna Wilhelmi, una stilista di Berlino, aspirava a creare una collezione di moda del tutto inedita. Per la sua collezione, la stilista ha trovato ispirazione nelle uniformi voluminose e imbottite dei giocatori di football americano. La novità di questo stile non è solo nei modelli stessi, ma anche nella loro produzione. Per realizzare il suo progetto, Anna ha utilizzato una combinazione di scansione 3D, software di progettazione 3D e stampanti 3D. Utilizzando un programma di modellazione 3D, i modelli di scansione sono quindi stati modificati e perfezionati nei dettagli. Infine sono stati sottoposti a stampa 3D con polvere di plastica. Alcune grandi e robuste, altre femminili e delicate, le parti finite sono diventate parte del design tessile. Molti e-commerce di abbigliamento utilizzano invece piattaforme di prototipazione unite a sistemi di scansione 3D per simulare il capo indossato sull’acquirente; negli ultimi mesi si sono sviluppati i “camerini virtuali”, in cui degli specchi dotati di telecamere di scansione e di uno schermo collegato ad un computer, restituiscono alla persona che si pone davanti allo “specchio” l’immagine riflessa con indosso il capo scelto. Questo tipo di simulazione è reso possibile grazie a delle telecamere che acquisiscono i dati del corpo della persona e, attraverso degli algoritmi, ne calcolano le principali misure; il programma sceglie in automatico la taglia che meglio si avvicina alle misure del corpo ricercando in libreria lo sviluppo e la simulazione del capo e restituisce sullo “specchio” l’immagine della persona riflessa con indosso il capo. È un metodo che punta molto sull’aspetto ludico e accattivante, ma che ha come fine quello di creare una connessione con il cliente e guadagnarsi la sua fiducia e lealtà di acquisto.
ter progettuale dei capi di Anna Wilhelmi
6.3. Morphing
Nello spazio tridimensionale il primo passo da compiere è quello di fissare una corrispondenza tra due superfici e di descrivere poi l’interpolazione utile alla successiva deformazione, tuttavia il procedimento sulle superfici risulta complicato se queste differiscono nella topologia. I programmi che consentono di generare morphing , in genere producono una mesh di controllo delle due forme, poi convertita in un modello matematico . Le unità piane divengono elementi di superfici curve. Una volta che si sono stabilite le corrispondenze tra le facce delle mesh di controllo individuiamo la dipendenza fra i punti sulle superfici. Le difformità nella struttura delle facce corrispondenti descrivono lo sviluppo topologico, che deve attuarsi durante la trasformazione. Peter Eisenman utilizza la tecnica del morphing per l’ideazione delle forme nel progetto della Biblioteca per la Piazza delle Nazioni a Ginevra e in quello della Chiesa dell’anno 2000 a Roma. In quest’ultimo progetto la forma è generata attraverso un parallelismo con il sistema evolutivo del cristallo liquido. Una volta scelto il riferimento, i “diagrammi” sui comportamenti dei cristalli si sovrappongono a quelli tipologici e dalla loro reciproca influenza ed elaborazione nasce l’edificio. I diagrammi indicano come l’edificio nasce dalla terra, formandosi secondo l’ordine delle molecole di un cristallo, attuando quindi un “morphing” su più livelli compresenti nell’evoluzione dell’edificio e del paesaggio. Concludendo possiamo affermare che la filiera progettazione, produzione, costruzione è completamente trasmutata dall’evoluzione dei sistemi informatici. Le nuove frontiere a cui si apre la realizzazione di forme complesse sono infatti la flessibilità morfologica e tecnologica, la produzione personalizzata, l’integrazione fra gli operatori delle varie fasi del processo edilizio ed il loro coordinamento organizzativo, attraverso l’uso dei diversi software ampiamente disponibili.
DEFORMAZI ONE: Peter Eisenman. Progetto della Biblioteca per la Piazza delle Nazioni a Ginevra (1996). La forma dell’edificio emerge da una sovrapposizi one in successione di solidi e vuoti che danno vita ad una relazione complessa di spazi interstiziali, ai quali vengono assegnate le funzioni della biblioteca.
Generalmente il Morphing applicato alle figure bidimensionali è quella tecnica deformativa predisposta su una sequenza di immagini animate, che mostra il passaggio graduale da una figura iniziale alla sua trasformazione, ottenuta mediate il Warping. Tale tecnica consente di ricavare nuove forme attraverso un processo evolutivo di una forma iniziale, questo permette di trasformare un oggetto assegnandogli diverse configurazioni, derivate dalla deformazione dell’oggetto originale, all’interno di un processo di animazione. Il morphinh utilizza quindi le configurazioni come momenti chiave che interpolati producono un’unica deformazione continua.
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CONSIDERAZIONI FINALI Abbiamo precedentemente spiegato e ora riaffermiamo che un’idea importante di cui tenere conto è che, nella geometria delle spline, la curvatura e l’inflessione sono determinate dalla posizione dei punti di controllo e dal loro “peso”; ciò vuol dire che data la stessa sequenza di punti, la forma della curva può variare notevolmente, al variare di questi parametri. Il grado di variabilità si chiama, appunto, grado della curva. Abbiamo anche parlato di geometria NURBS. Quello delle NURBS è un metodo algoritmico per la costruzione di curve e superfici freeform. I programmi CAAD fanno ricorso a questo tipo d'algoritmi per varie ragioni. In primo luogo perché essi permettono, come abbiamo già detto, di costruire praticamente ogni geometria, piana o solida, mantenendo un ottimo controllo della sua forma plastica. In secondo luogo la descrizione NURBS richiede pochissime informazioni. Questo avvantaggia i software per quanto riguarda la quantità di dati, e di calcoli, che devono gestire per ogni elemento geometrico e, in ultima analisi, permette una maggiore velocità d’elaborazione. La descrizione NURBS è universalmente riconosciuta, permettendo una gran facilità nel trasferire i dati da un software all’altro. Infine, ma questo è forse il motivo più importante, elaborare un modello NURBS è molto semplice. Gli elementi geometrici principali delle curve NURBS sono, come abbiamo visto anche nelle spline, i punti di controllo. Essi stabiliscono la forma della curva e permettono di modificarla. Nel caso delle curve “control point” i punti di controllo non giacciono sulla curva ma formano un poligono, esterno alla curva, che la “attira” ponendola in una condizione di tensione, come se fosse un elemento elastico sottoposto a trazione. Nel caso delle curve “interpolate” i punti di controllo giacciono sulla curva. Quando si disegna una curva NURBS si tracciano dei punti e, man mano che questi vengono definiti, la curva “scorre” tra essi. I punti di controllo non sono visibili, ma possono essere attivati con appositi comandi. Un insieme di superfici, o polisuperficie, costituisce un solido NURBS. I solidi sono formati da polisuperfici, cioè insiemi di superfici, chiuse. Le superfici chiuse sono quelle in cui i bordi di ciascuna superficie si connettono senza discontinuità con i bordi delle altre. Come si vede il ragionamento è abbastanza semplice. Dalle curve si passa alle superfici e da queste alle polisuperfici chiuse, cioè ai solidi, mantenendo le caratteristiche topologiche delle NURBS. Quando si costruisce una superficie free-form con curve NURBS le informazioni che si utilizzano sono abbastanza limitate: le curve di bordo, una serie di sezioni, una sezione e una o due curve-percorso. Il solido risultante è formato da curve isoparametriche, che possono essere più o meno fitte ma che non hanno un legame diretto con i comportamenti strutturali dell'oggetto. Per questo se si volesse trasformare tale forma in un oggetto reale sarebbe necessario compiere delle scelte costruttive. Le scelte, a loro volta, inciderebbero anche sull'aspetto formale dell'oggetto in un rapporto di scambio continuo. Facciamo alcuni esempi. Una possibilità è quella di scomporre l’elemento free-form secondo uno schema a celle piane, che utilizza un modello simile alla descrizione geometrica wiremesh. Trasformandolo in un reticolo d’elementi che individuano altrettanti piani, l’oggetto sarà formato da una serie di poligoni tutti piani. Una disposizione di questo genere si traduce in una struttura spaziale formata da segmenti lineari che formano il reticolo strutturale continuo. La realizzazione di un sistema del genere necessita di un controllo in produzione e di un livello di simulazione della struttura
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“The problem with digital architecture is that an algorithm can produce endless variations, so an architect has many choices” P. E insenman
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ottenibile solo attraverso sistemi digitali. Il limite di queste strutture è legato principalmente a tre fattori: il carico a cui possono essere sottoposte, visto che possono sopportare quasi soltanto il loro stesso peso; la relativa instabilità a cui vanno incontro a causa di sollecitazioni estreme (come i carichi dovuti al vento, alla neve, ecc.); l’instabilità strutturale dovuta alla grande dimensione. I pregi, viceversa, sono la leggerezza, la modularità, la montabilità (la struttura è autoportante, durante la realizzazione), i minori oneri di trasporto e montaggio. Un’altra possibilità, per la definizione di queste strutture, è di utilizzare un reticolo formato da sezioni, orizzontali e verticali, che formano la membratura resistente. Attualmente è il metodo più utilizzato perché garantisce maggiori margini di sicurezza in termini di stabilità e resistenza al carico. Ogni pezzo (elementi della struttura in acciaio, rivestimento in vetro, in metallo o in calcestruzzo armato) deve essere disegnato, calcolato e realizzato su misura. Questo comporta una soluzione produttiva che richiede la realizzazione dei vari pezzi con macchine a controllo numerico e, come abbiamo visto in diversi esempi precedenti, un sistema progetto-realizzazione gestito con strumenti digitali. Il metodo del reticolo strutturale ortogonale, anche se piuttosto costoso, è quello maggiormente adottato in edifici con rivestimenti “pesanti”, come acciaio, vetro e cemento. Se nel primo caso (quello delle membrature spaziali poligonali), la struttura tende ad essere omogenea, anche in termini di distribuzione degli sforzi al suo interno, nel secondo ogni elemento strutturale, ogni “arco irregolare”, avrà una sua caratteristica distribuzione delle sollecitazioni. Comunque, in entrambi i casi, il passaggio dalla forma geometrica a quella strutturale non è immediato, perché non è detto che la matrice geometrica di partenza corrisponda, necessariamente, a quella strutturale. È proprio questo il punto debole del processo progettuale: la difficoltà di far coincidere il sistema delle forme con quello strutturale. Oggi, nel migliore dei casi, il modello strutturale viene creato e adattato di volta in volta, procedendo per tentativi, quindi spesso l’esito finale è quello di una soluzione ibrida. Un’interrelazione tra CAAD e CAE(17) è, a maggior ragione, necessaria anche perché edifici di una tale complessità possono essere realizzati con successo solamente da team in grado di controllare ogni fase del progetto: dalla formulazione dell’idea alla sua realizzazione.
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Conclusioni Dall’ analisi delle nuove forme di creazione e visualizzazione dello spazio dovuta alle nuove applicazioni nell’era informatica si è cercato di indagare il nuovo ruolo della geometria descrittiva in diversi campi applicativi, studiando dapprima il concetto di modello e modellazione CAD arrivando per gradi ai modelli di superfici. A questo punto, quindi, la mia attenzione si è concentrata sulle superfici e sul loro processo di sviluppo all’interno del progetto architettonico e del progetto moda. Per fare ciò mi sono servita e ho studiato i nuovi software sul mercato con una particolare attenzione per Rhinoceros, un software CAD studiato appositamente per la modellazione freeeform, nel quale tutte le entità geometriche sono definite mediante NURBS, che mi ha permesso di ricreare e analizzare le superfici che rappresentano e costituiscono alcune architetture prese in esame, mentre attraverso Lectra Fashion PLM ho condotto lo stesso processo di studio su alcuni abiti che hanno catturato la mia attenzione. Possiamo concludere affermare che negli ultimi dieci anni la modellazione parametrica è diventata una soluzione pratica. La modellazione parametrica è ormai presente, in qualunque forma, nella maggior parte dei progetti di architettura contemporanea e può, quindi, diventare un nuovo mezzo anche per i fashion designer. Questa differenza rispetto al passato ha aperto il campo a numerose possibilità, prima negate, di gestione dello spazio, della forma e dei materiali per numerosi nuovi progetti. Oggi si vede in modo diverso rispetto al passato.
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Note (1)NURBS acronimo di non uniform rational B-spline, descrive curve e superfici spline con distribuzione dei punti di controllo.
Bibliografia Riccardo, Migliari, Geometria dei modelli, rappresentazione grafica e informatica per l’architettura e il design, Edizioni Kappa, 2003.
(2) CAD acronimo di disegno assistito dal computer. (3) BIM acronimo di Building Information Model.
Riccardo, Migliari, Geometria descrittiva, volume II Tecniche e applicazioni, Città Studi edizioni, 2009.
(4) CAAD acronimo di Computer Aided Architecturalm Design. (5) CAM acronimo di computer aided manufactoring.
Riccardo Migliari, Geometria dei modelli. Rappresentazione grafica ed informatica per l’architettura e il design, Kappa, Roma 2003.
(6) Per immagine bitmap di intende un elemento grafico rappresentato da una griglia rettangolare, chiamata raster, composta da innumerevoli e piccoli quadrati o punti detti pixel. I punti sono molto piccoli e vicini, quindi non identificabili singolarmente, ma nel loro disporsi, danno forma all’immagine visibile e a ciascuno vengono assegnati una posizione specifica e undato valore cromatico.
Riccardo Migliari, Disegno come modello. Riflessioni sul disegno nell’era dell’informatica, Kappa, Roma 2004. Massimiliano, Ciammaichella, Disegno digitale per la moda dal figurino all’avatar, Aracne editrice, 2011.
(7) PIXEL acronimo di picture element.
Massimiliano, Ciammaichella, Architettura in NURBS, il disegno digitale della deformazione, Testo&immagine, 2002.
(8) CIE acronimo di Commision International de L’Eclairage, che da il nome all’omonimo modello di colore.
Massimiliano, Ciammaichella, La pelle dell’architettura contemporanea, Aracne, 2007.
(9) Virtual Fashion Professional prodotto da Reyes nfografica, il software ouò essere scaricato nella sua versione prova sul sito vf-pro.software.informer.com. (10) Poser sul sito poser.smithmicro.com è possibile scaricare la versione di prova o acquistare una licenza del software. (11) Lectra Fashion PLM consultabile nel sito .
Giuseppe, Pellitteri, L’involucro architettonico, declinazioni digitali e nuovi linguaggi, Edizioni fotograf, 2010. Design Representation Dipartimento Indaco Politecnico di Milano, La ricerca nel disegno di design, giornata di studio 20 ottobre 2010, Maggioli Editore. Design Representation Dipartimento Indaco politecnico di Milano, Ladidattica del disegno nei corsi di laurea in design, giornata di studio 27 Maggio 2009, Maggioli Editore.
(12) Optitex per maggiori dettagl consultare il sito web .
Andrea, Casale, Geometria descrittiva e rappresentazione digitale, memoria e innovazione, Edizioni Kappa, 2013.
(13) Irina Shaposhnikova ha presentato la collezione Crystallographica nel 2009, come progetto per il diploma di laurea conseguito alla Royal Academy of Fine Arts di Anversa.
Maurizio, Meossi, Info-Architecture, L’architettura performativa dell’età dell’informazione, Il prato, 2007.
(14) Pepakura Designer software prodotto dall’azienda giaspponese Tamasoft, è dedicato allo sviluppo di modelli numerici e alla ricostruzione di prototipi cartacei. La versione demo è scaricabile dal sito internet: http://www.tamasoft.co.jp/pepakura-en/ (15) nell'architettura e nel design indica la ripetizione geometrica di un motivo grafico su un piano;
(16) Con il termine francese si vuole indicare un modello in scala
Alessandro, Luigini, Rappresentazione dell’architettura digitale, Mimos, 2004.
e
tecnocultura
informatica,
morfologia
e
ontologia
Isabeau Birindelli, Superfici di seta: la geometria negli abiti di Capucci.
Federica Pizzoli,
Percezione e geometria - L’informatizzazione della geometria descrittiva per la creazione di nuovi modelli finalizzati alla percezione attiva degli spazi multimedial.
(17) CAE acronimo di computer aided engineering.
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Sitografia e fonti immagini www.domusweb.it www.pinterest.it www.academia.edu www.vogue.it en.wikipedia.com it.wikipedia.com www.archdaily.com www.archiexpo.it www.casabellaweb.eu www.lectra.com/it www.computer-aided design and applications.com www.dezeen.com
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