Elio Martinelli Emiliana Martinelli
e Martinelli Luce
Elio Martinelli e Martinelli Luce
Elio Martinelli e Martinelli Luce
a cura di Emiliana Martinelli introduzioni di
Silvana Annichiarico Antonella Capitanio Aldo Colonetti Cristina Morozzi
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Testi e cura editoriale Emiliana Martinelli Antonella Capitanio Monica Evangelisti Giorgio Brogi Giovanni Silvano Progetto grafico e impaginazione Andrea Sabia, CeG Maxicom, Emiliana Martinelli Disegni tecnici Emiliana Martinelli
Ringrazio tutti coloro che in vario modo hanno collaborato alla stesura del volume e gli amici che hanno contribuito con un loro personale testo: Cesare Casati, Sergio Asti, Giulio Lazzotti, Paolo Orlandini, Marcello Morandini, Ursula Dietz, Giuliana Gramigna, Carlo Bartoli, Maurizio Casigliani, Marc Sadler, Alessandro Lucchi, Alfonso Femia, Mauro Lovi, E.Cecchini & M.A.Chiantelli, Paolo Riani, Gina Passaglia, Riccardo Benvenuti, Alberto Varetti, Benvenuto Saba, Gilberto Bedini, Miguel Arruda, Mario Bonacina Un ringraziamento speciale a mia madre Anna, a mio figlio Marco e a Giovanni
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Introduzione
GLI ANNI SETTANTA
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Dove volano le nuvole Il design poetico-pragmatico di Elio Martinelli Silvana Annichiarico
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Emiliana e l’azienda
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La natura trasfigurata dalle regole della geometria Cristina Morozzi
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Un mondo che cambia La rivoluzione del design e le nuove sfide
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Martinelli e Lucca: un dialogo progettuale Aldo Colonetti
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Guardare oltre Una progettualità sempre più internazionale
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Design in dialogo Antonella Capitanio
LE ORIGINI
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Mio padre 1922-2004
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Gli studi di scenografia
GLI ANNI CINQUANTA
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Tra intuito e progettualità
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Partire dal niente per costruire il domani L’Italia del dopoguerra
GLI ANNI OTTANTA
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La necessità di un rinnovamento Elio Martinelli progetta un sistema per il contract
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In dialettica con gli anni Ottanta
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Elio Martinelli si apre all’esterno
GLI ANNI NOVANTA
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Un cambiamento di linea
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Creatività modulare
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La luce dei grandi ambienti
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L’identità di un marchio Due lettere per una storia comune
OLTRE LA LUCE
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Elio Martinelli e gli spazi
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Funzione ed estetica Le prime lampade di Elio Martinelli
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Il tema della casa I complementi di arredo e la sperimentazione di nuovi prototipi
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La naturale geometria delle forme Fare design negli anni Sessanta
IN FAMIGLIA E CON GLI AMICI
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L’integrazione tra forma e funzione Il design per Elio Martinelli
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Ci vediamo a casa mia! Anna dalle “mani d’oro” accoglie gli amici a casa
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Serpente, 1965 La dinamica del movimento
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Parlando di Elio
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La vitalità del bianco Forme sferiche e curve destrutturate
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Continua la storia
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Marco, la nuova generazione
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Cobra, 1968
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A Elio
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Il legame con Gae Aulenti Nasce la lampada Pipistrello
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Biografia
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Bibliografia
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Elio Martinelli incontra Gio Ponti
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Referenze iconografiche
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GLI ANNI SESSANTA
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Introduzione
A circa settanta anni dalla sua fondazione, Martinelli Luce è un’azienda conosciuta nel mondo, direi anche un riferimento dell’Italian Design. Questo è avvenuto sia per i meriti di Elio Martinelli, mio padre, sia per l’apporto degli altri designer che hanno collaborato con l’azienda in tutti questi anni. La Martinelli Luce è nata negli anni Cinquanta in uno scantinato situato al centro della città di Lucca, cui si accedeva tramite una botola e una scala e dove, con fatica, erano stati installati i pochi attrezzi necessari a una piccola produzione tra cui un trapano, un piccolo tornio e un compressore per verniciare i prodotti, situato vicino all’unica finestra. “Laboratorio” lo chiamava Elio e qui sono nate tante idee e, dopo alcuni anni, i macchinari innovativi per lo stampaggio dei materiali plastici che hanno contribuito alla crescita dell’azienda e al suo trasferimento nella sede attuale. Coraggioso Elio Martinelli e chi aveva creduto in lui, gli operai e un amico che gli aveva prestato i pochi soldi necessari per partire, dato che le banche gli avevano negato il credito. L’azienda, grazie alla creatività di Elio, ha ottenuto diversi riconoscimenti che le hanno permesso di distinguersi nel proprio settore. La capacità di ricerca e la elaborazione di proposte innovative hanno consentito a Martinelli Luce, anche se azienda di più modeste dimensioni rispetto alla concorrenza, di assumere una posizione di rilievo in ambito internazionale e di divenire una espressione del made in Italy. Io ho inteso proseguire nella linea tracciata da mio padre e cerco di tramandare questo spirito a mio figlio Marco, amministratore delegato dell’azienda, che mi affianca nella conduzione dell’impresa. Il passato di Martinelli Luce è un valore aggiunto importante che è stato difficile da ottenere e che non deve andare disperso. Viene dal lavoro di un insieme di persone che hanno contribuito al successo dell’azienda e che ringrazio. Questo volume, però, non vuole ricordare il passato, perché sarebbe soltanto il narrare una storia, ma vuole essere uno sprone a proseguire l’attività con ancora maggiore energia e tenacia come richiesto dai tempi di oggi. ll libro vuole far conoscere cosa è successo in tutti
questi anni e la volontà, la passione e il sacrificio del fondatore dell’azienda, affinché possa divenire un utile riferimento per chi lo legge, anche per mio figlio, e per non dimenticare una frase da mio padre spesso detta a fronte delle difficoltà incontrate e di quelle che si prospettavano all’orizzonte: «Ve ne accorgerete!!!». Portare avanti il marchio investendo nella ricerca dei materiali, nelle tecnologie produttive e nel patrimonio umano come Martinelli Luce sta facendo in questi ultimi anni, con la messa in produzione di numerose lampade progettate da giovani designer, è la risposta alle difficoltà che il settore della illuminazione presenta. Le lampade della collezione Martinelli Luce non esprimono solo una sequenza di forme esteticamente piacevoli, ma rappresentano dei punti di riferimento per comprendere i fermenti e la complessità dei diversi periodi che hanno contraddistinto il design dagli anni Sessanta a oggi. Se alcune lampade prodotte da Martinelli Luce hanno segnato questo periodo contribuendo a valorizzarlo, altre, pur non altrettanto note, non sono certo meno importanti. La distanza da Milano inizialmente non ha favorito la crescita dell’azienda nata in una bellissima città della Toscana, Lucca, che non aveva significative tradizioni nel mondo del design la cui influenza e importanza era percepita solo da pochi; pertanto il progetto di Elio Martinelli era particolarmente avanzato rispetto al contesto culturale. Una realtà anomala, al pari di poche altre aziende nate fuori dalla culla del design italiano, ovvero la Lombardia. Per consentire una migliore collocazione dei progetti nel contesto culturale del design, la presentazione delle lampade è stata suddivisa in diversi capitoli ciascuno dei quali copre circa 10 anni, fino ad arrivare agli anni Duemila. Nel volume ho voluto inserire anche le testimonianze di chi lo ha conosciuto personalmente, designer che hanno collaborato con l’azienda e amici, e di chi ne ha conosciuto solo l’opera per consentire una lettura da più angolazioni e quindi più profonda sia della sua attività sia della sua personalità.
Elio Martinelli con il fotografo Aldo Casali e Aldo Pratella, il primo agente commerciale dell'azienda.
Emiliana Martinelli Presidente Martinelli Luce
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La natura trasfigurata dalle regole della geometria Cristina Morozzi
Martinelli Luce festeggia nel 2018 i cinquanta anni della lampada Cobra, disegnata da Elio Martinelli nel 1968. Per rendere omaggio al suo fondatore l’azienda ha invitato designer, collaboratori e amici a “vestire” con nuove texture grafiche la Cobra. Le rivisitazioni, nella loro varietà, accentuano il carattere di assoluta contemporaneità di questo apparecchio di illuminazione divenuto una riconosciuta icona del design italiano. Questo importante compleanno è l’occasione per andare a ritroso nella storia dell’impresa, per ricucire brani di vissuto in un percorso lineare, sin dagli esordi, basato sui valori dell’innovazione abbinati a una estetica inedita. Tracciare quello della Martinelli equivale ad accennare alla storia del design italiano, a quel miracolo che ci consente di essere riconosciuti internazionalmente come artefici del bello e della alta qualità manifatturiera. La biografia di Martinelli Luce è esemplare e si collega, pur con le sue peculiarità, a quella di altre aziende storiche che hanno costruito il sistema design italiano. Aziende nate grazie alla visionarietà e al coraggio di persone che sono diventate imprenditori, confidando nella bontà delle proprie idee, fiduciose nel progresso, dotate di un innato senso estetico, nutrito dalle bellezze storiche e paesaggistiche del territorio italiano. Elio non aveva studiato da designer, ma faceva lo scenografo, era un narratore d’atmosfere, più che un progettista, ma alla morte del padre Plinio decise di prendere in mano il negozio di illuminazione in piazza Bernardini a Lucca. Parallelamente aveva iniziato a occuparsi di arredamenti d’interni per negozi, ristoranti e alberghi, rivelando un’impronta avveniristica. Disegnare le lampade fu conseguenza della sua attività di
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architetto d’interni, deciso a imprimere il suo originale segno, non solo sull’impianto costruttivo, ma anche nelle lampade, persuaso della notevole importanza dell’illuminazione nel disegno di uno spazio. L’esperienza di scenografo non è estranea al carattere dei suoi progetti che, pur nella perfetta geometria delle forme, rivelano velate allusioni al mondo naturale, prefigurando atmosfere narrative, sul crinale tra natura e artificio. I primi apparecchi di Martinelli Luce documentano il talento narrativo di Elio che si esprime in forme concise e iconiche, mediante l’utilizzo di materiali innovativi, come il metacrilato opalino. Anche i nomi degli apparecchi sono originali, Cobra, Serpente, Pipistrello, Doberman… e denunciano il costante guardare alla natura. Utilizzando un paragone con la scrittura si potrebbe dire che gli apparecchi Martinelli Luce mostrano un carattere ideogrammatico, ovvero la capacità di sintetizzare in un segno conciso e concluso un discorso elaborato. Molte delle sagome delle lampade, a sospensione, da terra e da tavolo e dei sistemi denunciano in filigrana allusioni ai pianeti, agli astri, ai fiori e agli animali, senza mai essere calligrafiche, anzi condensando le fonti di ispirazione in forme scultoree. Il linguaggio di Martinelli Luce rivela una classicità robusta, tipica dell’eloquio toscano, che rende riconoscibili gli apparecchi nel panorama della contemporanea produzione e che, in qualche misura, descrive l’approccio creativo di Emiliana Martinelli, figlia di Elio, succeduta in azienda, dotata di piglio deciso, abile nel rendere contemporaneo il dna dell’azienda, senza tradirne l’originario imprinting narrativo.
Tra intuito e progettualità
Molti lo descrivono come un uomo schivo ma carismatico: Elio Martinelli era un designer innato, sapeva vedere al di là delle cose e delle persone, intuiva con un solo sguardo chi aveva davanti e per questo riusciva a conquistare tutti con le parole e con i gesti. Una sensibilità fuori dal comune gli permetteva di capire non solo le persone ma anche il mercato, raramente sbagliava e per questo sapeva intuire e prevedere cosa produrre. Elio Martinelli aveva in testa un’idea che era quella lanciata da un grande architetto e maestro a un’Italia di molti anni fa: «Forse l’Italia è destinata a chiarire su quali fattori della vita moderna dobbiamo fondarci per recuperare il senso della bellezza». In queste parole che Gropius scrisse nell’introduzione all’edizione italiana, nel 1959, del suo saggio Architettura integrata è la cifra di tutta la storia di Elio Martinelli, la bellezza della modernità autentica, quella colta da un pubblico sensibile che si è legato affettivamente alle sue lampade: non esiste innovazione tecnologica che regga il confronto, di fronte a un oggetto che sappia esprimere una bellezza senza tempo. La storia di Elio Martinelli per questo motivo si differenzia dai molti architetti e progettisti della sua generazione, pur essendo stato fortemente influenzata dagli orientamenti che si svilupparono tra le due guerre. Istintivamente Martinelli aderì alla tendenza di eliminare ogni decorazione o ornamento superfluo, privilegiando invece la predisposizione a far coincidere la forma con la funzione. Una visione razionale quella del talentuoso designer che portava alla identificazione dell’utile con il bello, con l’ambizione (comune a molti in quegli anni post bellici) a soddisfare i bisogni dell’uomo, evitando sprechi inutili. Una prospettiva (come accadeva nelle sue scenografie essenziali ma dense di forza espressiva) che rimandava alla sua personale visione dell’oggetto, che doveva essere certamente funzionale ma anche comunicativo o innovativo per i valori simbolici che esprimeva. A diventare designer lo spinsero il desiderio di conoscere e la curiosità per tutto ciò che era nuovo – in quegli anni dove tutto andava ricostruito –, due caratteristiche che segnarono profondamente il suo percorso. Guardava oltre Elio, guardava quello che succedeva nei paesi lontani, studiava la semplificazione formale degli scandinavi come Jacobsen e Wirkkala, che sapevano dare “calore” alle loro creazioni sia nella scelta dei materiali
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1942-47
1954
Frequenta l’Accademia di Belle Arti di Firenze e si diploma in scenografia
Nell’ambito della X Triennale di Milano si svolge il I Congresso internazionale dell’industrial design
1950 Dopo la morte del padre Plinio decide di cimentarsi nella progettazione di apparecchi illuminanti. Nasce Martinelli Luce
1922 Elio Martinelli nasce a Lucca
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1957 L’XI Triennale di Milano ospita la Mostra internazionale dell’industrial design, patrocinata dall’Associazione per il Disegno Industriale (ADI).
1946
1958
Nel primo dopoguerra inizia a lavorare nel negozio del padre
Realizza a mano i primi cataloghi delle lampade da lui prodotte
1954 Nasce il premio Compasso d’Oro
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Funzione ed estetica Le prime lampade di Elio Martinelli
Il design di Elio Martinelli si sviluppa dal suo acume imprenditoriale, dalle sua abilità artigianale e dalle sua attenta curiosità per ogni tipo di innovazione. Il caso della sua “scommessa” sulla lampadina Wir-105 di Tapio Wirkkala è emblematico. Wirkkala era ormai protagonista consolidato e celebrato del design internazionale, pluripremiato anche alla Triennale di Milano già nel 1951 e nel 1954, ma nell’edizione del 1960 il Grand Prix lo vinse proprio per una rivoluzionaria lampadina a bulbo sagomato – generato come volume dalla rotazione di un esagono – che aveva progettato l’anno prima per la ditta finlandese Artek. Martinelli ne ordina un quantitativo che lascia sorpreso il rappresentante commerciale in Italia e fa temere una perdita economica per il negozio lucchese: ma egli non vuole limitarsi a venderle, bensì ne fa il fulcro di una serie di sue invenzioni. Si tratta di lampade a sospensione e a parete con diffusori in perspex colorato e vetro satinato, altre parti in alluminio e in legno di teak o palissandro, che lasciano a vista le lampadine di Wirkkala già schermate in sé – essendo in vetro opalino – e anzi ne riecheggiano la forma nella loro struttura. Queste lampade esprimo-
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no dunque già quale sarebbe stato lo stile di Elio Martinelli: una ricerca costante per l’applicazione di soluzioni tecniche evolute unita allo studio di forme geometriche, in particolare sferiche che diventeranno poi il filo conduttore di tutta la sua produzione. La serialità richiesta da un mercato in completo rinnovamento portò Elio Martinelli a sviluppare i primi esempi di lampade multi funzione: a sospensione, da terra, a parete, da tavolo rispondendo alla necessità delle nuove case degli italiani. Il vetro era ancora il materiale che Elio Martinelli utilizzava prevalentemente in questi anni, ma come molti progettisti del periodo fu incuriosito dall’avvento della plastica: caso esemplare quello della Kartell, che già dal 1953 aveva iniziato la produzione di oggetti in materiale plastico e che nel 1958 si rivolse anche alle lampade, affidando ai fratelli Castiglioni la progettazione di una luce a sospensione, la KD6 commercializzata nel 1959. Per parte sua Elio Martinelli sviluppa rapidamente una propria linea di elaborazione dei materiali plastici e il metacrilato diventa così protagonista delle sue proposte di luce-arredo, inserendosi da subito a pieno titolo nel panorama italiano più innovativo.
1962
1962
Composizioni a incastro Già in questi primi anni, la componibilità diventa uno dei temi ricorrenti per il progettista. Negli esempi di questa pagina si vede come l’incastro tra vetro e vetro con la stessa forma di diverse misure permette varie composizioni a soffitto e a parete. Nella pagina a destra altre composizioni con diversi tipi di vetro satinato e colorato.
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1962
1965
Poliedro è una lampada componibile, un triangolo ripetuto 60 volte per creare un sfera
Elio Martinelli incontra un giovane architetto, Gae Aulenti, alle prese con il progetto di una lampada decisamente difficile da produrre. Ha inizio la storia di Pipistrello
1965
1967 Martinelli è invitato a Parigi al Salon International du luminaire
Nasce Serpente, divenuta una delle sue lampade più famose
1965 1960 Elio Martinelli inizia a pensare alle lampade come “sistemi componibili”, partendo da un modello per poi sviluppare una “serie” di forme
1969
Disegna Bolla, una lampada da soffitto ancora oggi in catalogo
1966 I edizione di Eurodomus cui Elio Martinelli viene invitato a partecipare dallo stesso Gio Ponti
1968 Cobra entra nella storia di Martinelli Luce
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L’azienda partecipa all’Italian Plasticware Exhibition di Londra organizzata dall’Istituto Italiano per il Commercio Estero
Serpente, 1965
La dinamica del movimento
Gli anni Sessanta sono considerati come il periodo migliore dell’industria italiana, il Paese viveva il boom economico che permetteva di avvicinarsi al design con curiosità. È in questo scenario che Elio Martinelli produce alcune delle sue lampade più famose, come Serpente da tavolo e da terra, disegnato nel 1965. Abituato a viaggiare e ad anticipare le attitudini di un mondo che stava cambiando, Elio Martinelli, grazie alle lampade da lui prodotte in questi anni con un mix di funzionalità, estro e tecnologia applicata, diviene un protagonista del design made in Italy. La lampada Serpente è un vero e proprio archetipo produttivo per l’azienda Martinelli: la sua importanza non è solo formale ma prima di tutto tecnica, per la soluzione adottata nel sistema di rotazione del sostegno sia nella versione da tavolo sia da terra. Si trattava dunque di una lampada molto innovativa che, come molti altri prodotti di quegli anni, sottolineava l’interesse dei designer nel produrre lampade dotate di dinamicità, che permetteva-
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no di animare la luce negli ambienti. Lo stesso movimento sarà poi usato in Cobra, un vero e proprio prodotto icona disegnato da Elio Martinelli nel 1968, lampada che simula il movimento del “serpente” e che grazie al sistema rotatorio può assumere posizioni diverse. Ma lo slancio innovativo espresso da Serpente abbraccia anche un altro aspetto che coinvolse il designer lucchese, ovvero lo studio di tecniche di stampaggio nuove del metacrilato, in grado di esprimere i valori di una società in veloce evoluzione. Il basso costo e la serialità produttiva, uniti all’estrema duttilità del materiale, consentirono a Elio Martinelli di fare sperimentazioni inedite nelle forme, diventando uno dei suoi marchi di fabbrica. La plastica irrompe nel quotidiano e nell’immaginario di milioni di persone, nei salotti lampade come Serpente semplificarono la vita e i gesti quotidiani, rivoluzionando le abitudini e contribuendo a creare lo stile di vita moderno.
Serpente, 1965 50 anni di flessuosa modernità Non esiste innovazione tecnologica che regga il confronto, di fronte a un oggetto che riesce a esprimere la sua bellezza anche dopo 50 anni. Questo è il caso della lampada Serpente, disegnata da Martinelli nel 1965, un oggetto iconico. Nato dalla ricerca di un “esprit nouveau” in linea con il dettato intramontabile di Le Corbusier – attraverso cui la geometria della forma veniva esaltata perdendo la freddezza del purismo per arricchirsi di un tratto emotivo addolcito da curve sinuose. La realizzazione della forma curvilinea di Serpente è stata molto complessa e solo dopo numerosi prototipi si è giunti alla sua forma definitiva. La difficoltà geometrica della lampada ha reso necessario l’utilizzo di nuove tecniche per la sua realizzazione, come per lo stampaggio del diffusore con il sottosquadro, utilizzato poi in molte altre ampade successive.
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La progettazione di soluzioni innovative In ogni progetto Elio Martinelli apportava sempre un’innovazione o una modifica significativa, in grado di migliorare la qualità complessiva della lampada a livello funzionale, estetico, materico o tecnologico, rispetto ai prodotti precedenti della stessa tipologia. Il suo design è sempre stato attuale. A lato la lampada Saliscendi dove la meccanica del movimento è contenuta all’interno della sfera superiore con un eccezionale risultato di unità visiva e formale, in un continuo fluire dalla sfera al diffusore e al pomello inferiore.
Dinner, 1967
Saliscendi, 1965
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Dinner, 1967
Relax Una grande lampada da salotto Sviluppo grafico e immagini della lampada Relax, che evoca nel nome la destinazione ad ambienti dedicati al riposo e alla convivialità . A luce diffusa, si caratterizza per le grande dimensione – con un diametro di 55 cm – una base in alluminio verniciato nel colore bianco o nero e un diffusore in metacrilato opal bianco, con il particolare sottosquadro già trovato in altre lampade precedenti da tavolo e a sospensione. Altro dettaglio interessante, il grande pomello nella parte superiore, in alluminio verniciato nello stesso colore, funzionale a fissare il diffusore alla base.
Relax, 1968
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Flex, 1969
Flex sviluppa l’idea di flessibilità Flessibile e orientabile, Flex entra nella storia del design per aver anticipato una tendenza progettuale poi sviluppatasi negli anni successivi: esprimere la massima funzionalità. Non a caso Pier Carlo Santini la citò nel suo contributo al Repertorio dell’arredo Italiano curato da Giuliana Gramigna «tra le folle di lampade realizzate negli anni Sessanta», come caso esemplare insieme a Bazooka e Spider di Joe Colombo e a Calza (poi nota come Falkland) di Bruno Munari. In queste pagine le diverse versioni
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della lampada Flex (con base stampata, con morsetto e da terra), realizzata con una serie di elementi uguali e ripetuti stampati in materiale plastico, con un’anima di acciaio. L’insieme della struttura permetteva di rendere flessibile e sinuoso il suo movimento. Il riflettore ha assunto negli anni diverse forme: sopra a sinistra la prima versione, nelle altre foto quella successiva da terra con braccio più lungo, le varianti dei riflettori fatte negli anni 1969, 1972, 1976 e l’ultima del 1992 denominata Amarcord, con riflettore studiato per lampada alogena.
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Il legame con Gae Aulenti Nasce la lampada Pipistrello
L’ambiente in cui nasce la lampada Pipistrello, disegnata da Gae Aulenti nel 1965 per Martinelli Luce, è straordinario. Gli anni Cinquanta e Sessanta per l’esordiente architetto sono densi di esperienze e iniziative. Poca progettazione architettonica ma tante frequentazioni, influssi e molto industrial design, in particolare nel settore illuminotecnico. Elio Martinelli conobbe la giovane Gae Aulenti grazie a un altro grande innovatore di quegli anni, Sergio Camilli, fondatore nel 1956 di Poltronova, un caso anomalo rispetto al mondo del design degli anni Sessanta, che gravitava fondamentalmente su Milano. Poltronova infatti venne fondata ad Agliana, in provincia di Pistoia, dove Camilli lavorava in collaborazione con i suoi designer, a volte realizzando solo i prototipi dei progetti. Quando Gae Aulenti presentò il progetto della sua lampada Pipistrello all’imprenditore sembrò un progetto irrealizzabile. Camilli decise di andare da Elio Martinelli insieme al giovane architetto, presentandosi con queste parole: «Gae avrebbe questa lampada da fare…!». Il progetto della Pipistrello presentava diverse problematiche produttive. La cosa più difficile sembrava essere l’industrializzazione del fusto telescopico, così come la forma complessa delle falde del diffusore, ad ali di pipistrello. È importante ricordare che in quegli anni non esistevano stampi adatti per la realizzazione di una forma così complessa. Nel progetto, Aulenti dimostrava di saper tessere legami sottili con il passato inserendo, nel contempo, elementi di discontinuità. Il punto di partenza era l’archetipo costituito dal modello delle abat-jours Tiffany e quelle pre-Bauhaus, però stravolte. Il risultato raggiunto appare stupefacente, perché la linea della lampada esprime una modernità “diversa” e inaspettata, per niente convenzionale: l’andamento sinuoso, curvilineo, vagamente flamboyant del fusto telescopico e del “diffusore”. Particolarissima l’attenzione alla funzionalità della Pipistrello originaria, che si rivela versatile per il suo doppio utilizzo, sia come lampada da
tavolo sia come lampada da terra e da lettura, sollevando il fusto attraverso il pomello imitante un bulbo a incandescenza posto sulla sommità del diffusore. La lampada venne utilizzata nel 1966 da Aulenti nell’allestimento del negozio Olivetti a Parigi. Lanciata sul mercato nel 1967, Pipistrello ebbe successo commerciale in tutto il mondo, grazie tra l’altro alla visibilità che ebbe nel 1972, quando non solo Aulenti ma tutto il design italiano ebbe una ribalta d’eccezione nella mostra «Italy: The New Domestic Landscape», tenutasi al MoMA di New York. Una lampada simbolo anche nell’ambito della riflessione critica sull’identità del design che si andava contemporaneamente affermando, tanto che il gruppo UFO realizzò un’ironica lampada ugualmente chiamata Pipistrello, formata da un ombrello nero aperto e fissato su una base “a montagnola” in ceramica variopinta. In seguito la designer friulana concordò con Martinelli Luce nuovi colori della lampada, divenuta nel frattempo un’icona. Il legame tra Martinelli Luce e Gae Aulenti è proseguito fino alla sua scomparsa, così come ricorda Emiliana Martinelli: «Ho conosciuto Gae Aulenti quando avevo circa 16 anni. Ero con mio padre quando nel 1965 vide per la prima volta i disegni del Pipistrello e di lì iniziò l’avventura. Proprio per questo rapporto di lavoro ho poi incontrato Gae Aulenti diverse volte in tutti questi anni, sia insieme a mio padre sia da sola da quando lui ci ha lasciato. Ogni volta che dovevo andare a trovarla nel suo studio per farle vedere una variante, un nuovo colore della lampada Pipistrello, ero sempre emozionata. Con la lampada in mano salivo felice e con ansia quelle strette e ripide scale di ferro fino ad arrivare lassù, in alto, nella sua stanza piena di progetti dove lei mi aspettava. Era un’impresa, come scalare una montagna, e a ogni scalino mi chiedevo quale sarebbe stato il suo giudizio. Mi ricordo che una volta che ci siamo incontrate iniziai a fare spazio sul suo tavolo pieno di disegni e progetti, lei cercava di fermarmi, «nooo! non spostare niente» mi diceva, ma io continuavo a
Gae Aulenti allo showroom Olivetti di Parigi, foto di Marchi Rolly, in «Domus», 452, luglio, 1967.
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Elio Martinelli incontra Gio Ponti
«Eurodomus è differente» con questa massima contenuta nelle pagine di «Domus» che descrivevano la rassegna organizzata per la prima volta nel 1966 a Genova, si consolidò la via al successo del design industriale. In questi anni venne lanciato un nuovo modo di concepire la casa così come si legge sempre nelle pagine di «Domus»: «Nella cultura moderna e nei modi e nelle espressioni di vita che ne derivano (come l’abitazione) tutto oggi è internazionale». Questo approccio corrispondeva perfettamente al pensiero di Elio Martinelli, che partecipò sin dalla prima edizione a Eurodomus, su invito di Gio Ponti, prendendo poi parte a tutte le successive, nel 1968, 1970 e 1972. Dopo Genova e Torino, la terza edizione del 1970 a Milano permise in particolare a Elio Martinelli di partecipare a un movimento di idee che esprimeva attraverso Eurodomus 3 un radicale cambiamento nella produzione di oggetti di design. Il design si afferma come cultura autonoma, i prodotti sono firmati da architetti e designer inseriti in una realtà produttiva moderna, legata a un mercato competitivo che offre una realtà di impiego dei prodotti stessi. L’oggetto è bisogno, è funzione, è qualità e il design di Elio Martinelli si offre come facilmente comprensibile, non come un oggetto per pochi. L’estrema linearità del suo design è risolutiva, per forme e materiali, è differente… e riconoscibile. Elio Martinelli fu dunque
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favorevolmente accolto a tutte le edizioni seguenti della Fiera di Milano, poi Intel e oggi Euroluce, e soprattutto alla XIV e XV Triennale a Milano – rispettivamente nel 1968 e nel 1973. Fu a partire da mostre come Eurodomus che nacquero – come ben spiega Cesare M. Casati – «sistemi di comunicazione basati per lo più sulla diffusione di immagini nelle riviste di architettura prima e di arredamento poi, e sulla possibilità di far dialogare i responsabili della produzione con operatori culturali di settori paralleli mai coinvolti prima dai sistemi commerciali e industriali di arredo». Operazioni queste che videro sempre tutte le parti coinvolte simultaneamente nelle grandi esposizioni internazionali come Eurodomus, le mostre ICE in tutte le capitali europee, coordinate per la rivista «Domus», e le indimenticabili Triennali di Milano. Nasceva proprio così un nuovo modo di pensare e usare il panorama di protesi e di oggetti che quotidianamente ci circondano e, almeno si spera, ci aiutano a vivere meglio. Come ricordava lo stesso Elio Martinelli «Gio Ponti era un uomo affabile anche se io provavo un forte timore reverenziale nei suoi confronti, tanto che, come ho detto più volte, se non fosse stato per mia moglie Anna non lo avrei mai conosciuto. Fu un incontro fondamentale per me che iniziavo in quegli anni a crescere come designer, mi affascinava Gio Ponti, ammiravo l’eclettismo progettuale e la capacità di
Euroluce, 1966
Progettare uno stand A lato l’ideazione di Elio Martinelli della struttura in metallo per la costruzione dello stand per l’Euroluce del 1966.
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far convivere diverse attività espressive». Non stupisce la stima di Elio Martinelli per Gio Ponti che, come scrive Giorgio Ciucci, «contribuì a creare l’ideologia del Novecento, rendendo stile ogni ricerca formale col fine di legare linguaggio formale e funzionalità sociale e cioè definire una forma che avesse una precisa destinazione sociale». A partire dalle prime edizioni di Eurodomus, Elio Martinelli diventò così uno dei protagonisti delle mostre e fiere di settore, riuscendo a esprimere al meglio il proprio impegno in una produzione innovativa, capace di mantenere nella produzione industriale la qualità inventiva artigianale. Ed Eurodomus fu la “mostra pilota” della casa moderna, che nelle sue quattro edizioni mise in contatto il consumatore con il progettista, a differenza dal salone del mobile rivolto invece agli addetti ai lavori.
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Ecco cosa si leggeva nella presentazione fatta da «Domus» per la terza edizione che si tenne a Milano nel Palazzo dell’Arte al Parco, storica sede della Triennale di Milano: «Eurodomus tende, raccogliendo le migliori produzioni italiane e straniere, alla promozione di quelle espressioni culturali ed estetiche che sono oggi protagoniste della nostra civiltà … Eurodomus vuole essere una mostra mercantile, come le fiere, per poggiare su una realtà ma in più vuole essere promozionale e qualificante, per aderire a quella civiltà globale di cultura che è il movente ideale di tutti gli architetti e designer moderni». In questa ottica Elio Martinelli comprese immediatamente l’importanza delle fiere come strumento di comunicazione dei suoi prodotti e vi aderì completamente, partecipando con i suoi progetti alle più importanti mostre internazionali.
1971
1976
Semisfera, una delle lampade in metacrilato progettate in questi anni
Il bianco assoluto è il motivo conduttore della sua produzione. Un esempio di questi anni è Coupé
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Oltre la luce l’arredo: Il modulo Box compone librerie, scaffali, tavoli, contenitori
1970 Martinelli Luce partecipa a Eurodomus 3 a Milano
La componibilità viene ottimizzata anche per il trasporto, elemento importante e ricorrente in molti progetti
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1977
Pipistrello e Ruspa sono esposte al Museum of Modern Art di New York in occasione della mostra «Italy: The New Domestic Landscape. Achievements and Problems of Italian Design»
La lampada Uni viene esposta a Lubiana al Bio 7
1979 Elmetto, una forma ironica per una funzione pratica
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Screen, 1972 Una lampada di piccole dimensioni, che sottolinea il concetto di componibilità costante in molte lampade di Martinelli. L’oggetto è formato dalla sovrapposizione di diversi elementi uguali, spaziati tra loro così da far uscire la luce trasversalmente. Stampata in resina termoindurente, è realizzata nei colori bianco, nero e rosso. A lato gli studi trovati tra i vari appunti di Elio, per individuare la forma definitiva e il materiale più idoneo a realizzarla. Sotto un disegno esecutivo della costruzione geometrica dei vari componenti.
Screen, 1972
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Zeta, 1975 Un doppio braccio formato da due tondini in metallo, come tiranti ancorati ai due supporti cilindrici e alla base rettangolare, è l’elemento caratterizzante di questa lampada, completata da un riflettore orientabile di forma rotonda e bombata, realizzato in alluminio verniciato in vari colori.
Zeta, 1975
Pinza, 1976 Il nome Pinza focalizza il particolare funzionale di questa lampada, il cui sistema di ancoraggio al piano è garantito da una sorta di ganascia a molla: a essa si articola il braccio allungabile, che termina con il corpo luminoso orientabile.
Balestra, 1975
Creatività funzionale Una serie di lampade da tavolo molto diverse ma tutte accomunate da un’unica idea: produrre oggetti di design dinamici, capaci di esprimere uno stile pulito ma tecnicamente evoluto. Pinza, 1976
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Elmetto, 1976 Ennesima variazione della sfera è Elmetto: il diffusore di questa piccola lampada da appoggio è infatti solo una semisfera, ma la semplice articolazione col sostegno evoca il copricapo militare che gli dà il nome. Anche per Martinelli la forma non segue più solo la funzione ma anche la finzione. Piccola e funzionale, la lampada permette, grazie a un evidente pulsante posto nella parte centrale della base, di essere facilmente accesa anche nel buio, mentre il riflettore è altrettanto facilmente orientabile con la sola pressione del dito. Stampata in resina, originariamente in otto varianti di colori, in occasione dei suoi 40 anni è stata riproposta dalla Martinelli Luce in una edizione speciale in un nuovo colore rosso rubino.
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Step, 1977 Forme concentriche si ripetono in una sequenza precisa: Step rivela, nel 1977, una diversa declinazione dell’attitudine del designer per la ricerca dell’essenzialità geometrica. Tornita in alluminio verniciato, questa lampada si impone per la sua funzionalità e componibilità, anche nel packaging: Infatti gli elementi che la compongono si inseriscono uno dentro l’altro, riducendosi a un disco di pochi centimetri di altezza con un sistema di apertura/chiusura telescopico. Se la struttura a lamelle metalliche concentriche non può non ricordare la lampada progettata da Alvar Aalto nella prima metà degli anni Cinquanta, l’idea di compattarla per impacchettarla più facilmente ha il suo riferimento concettuale d’obbligo nella lampada Esagonale ideata nel 1959 da Bruno Munari per Danese. Coupè, 1976
Coupé e Coque Generata da sfere sia nei pieni sia nei vuoti è ancora Coupè, lampada a luce indiretta, stampata interamente in resina, con riflettore interno in alluminio verniciato che contiene tre lampadine. Coque infrange invece le forme geometriche canoniche a favore di un gioco visivo evocativo. La lampada è realizzata in vetro pressato, satinato e tagliato in modo da creare tre punti di appoggio: ironicamente Martinelli ha rotto l’uovo! Coque, 1979
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Radar, 1977 Ispirata alle parabole dei radar, questa lampada, grazie alla inclinazione e alla rotazione della calotta sul perno centrale fissato alla base conica, tornita in alluminio, permette di illuminare lo spazio circostante, irradiandolo di luce riflessa.
Kyoto, 1977
Japan style Il Giappone è una delle tanti fonti di ispirazione per il designer, Paese di cui amava il rigore stilistico e il minimalismo geometrico, evidente nella lampada Kyoto, disegnata nel 1977, e che si ritroverà anche in altre lampade.
Lampara, 1977
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Radar, 1977
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Gli anni Ottanta
Gli anni Ottanta furono gli anni del Post Moderno, del “riflusso” ma anche gli anni in cui il design andava controcorrente rispetto alla massificazione della cultura. Si cercava un mercato di nicchia che contrastasse il consumismo dell’oggettistica: il ritorno alla terra, la battaglia contro la plastica, il contenimento dell’industria andarono di pari passo ai fenomeni dell’arte povera e della transavanguardia. La generazione degli anni Settanta usciva dagli anni di piombo, dalla crisi del petrolio e dalla TV in bianco e nero e anche Elio Martinelli subì le sorti di un periodo pieno di contraddizioni. La superficialità era la nota più forte, una nota non in armonia con il suo pensiero e che lo portò quindi a cercare una nuova strada per affrontare l’incoerenza di questo periodo. Alcuni dettagli di studio per nuovi apparecchi tecnici.
La necessità di un rinnovamento
Elio Martinelli progetta un sistema per il contract
Alla fine degli anni Settanta Elio Martinelli, di fronte ai cambiamenti del mercato, indirizzò l’azienda verso prodotti a carattere tecnico, un settore di necessità legato ai principi funzionali più in linea con la sua idea di progetto, utilizzando in particolare come sorgenti di luce le lampade ad alogeni dicroiche. Nacque così il Sistema Z, che rispondeva in modo versatile alle esigenze dei committenti: era un prodotto modulabile, che si adattava ai grandi spazi e proponeva l’impiego delle lampade alogene che per forma e dimensioni permettevano quasi un azzeramento visivo dell’apparecchio illuminante. Ancora una volta Martinelli aveva intuito le tendenze vincenti del mercato che nel corso degli anni Settanta aveva visto già le prime proposte in questo senso, tra le quali si affermò in particolare il sistema autoportante Structura di Targetti, e che nel corso degli anni Ottanta vide misurarsi in questo tipo di produzione imprese come Flos, Artemide, i Guzzini. L’idea di Martinelli si concretizza in apparecchi in cui la piccola testa con lampadina dicroica poteva, con diversi supporti di attacco, essere utile a diverse esigenze di illuminazione: da soffitto, a parete, da terra. Il contract richiede infatti adattabilità unita all’uso di materiali specifici e innovativi. Nuovi processi di lavorazione e produzione, finalizzati a raggiungere il miglior esito funzionale, estetico e commerciale, contenendo il più possibile i costi e favorendo così la diffusione dell’oggetto a un’utenza più ampia possibile: l’obiettivo di Elio Martinelli fu per il contract la ricerca di sorgenti luminose innovative che per le proprie caratteristiche consentissero da un lato una migliore resa
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nei grandi spazi e soprattutto potessero creare effetti luminosi di grande impatto. In questi anni il design di Elio Martinelli nasce dall’osservazione attenta e dalla conoscenza dei molteplici fattori che contribuiscono alla realizzazione di molti progetti. Il designer nella creazione delle sue lampade poneva ancora in primo piano la funzionalità, la scelta dei materiali più idonei in rapporto alle tecnologie disponibili per la produzione e l’assemblaggio, i costi, il tutto in base alle esigenze di un mercato in continua evoluzione. Uno sforzo molto grande per Martinelli ma anche uno stimolo alla sua creatività. Il panorama del design in Italia si trasformò completamente: dalla fine degli anni Settanta Mendini era passato alla direzione di «Domus», gli oggetti di design assumevano un ruolo diverso rispetto al passato, si trasformavano in vere e proprie installazioni, al punto da influenzare fortemente gli ambienti. In questi anni prevalse il cosiddetto atteggiamento “edonistico”, che portò al prevalere di una componente di giocosa esibizione anche nel design e alla nascita della figura del designer divo, precursore dei moderni archistar. Elio Martinelli, come altri designer della sua generazione, voleva invece solo creare del buon design per un mercato sempre più ampio. La tendenza degli anni Ottanta oscillava invece tra il pezzo unico del design d’artista e l’anti-design dell’autoproduzione e del “c’è già”. La risposta di Elio Martinelli fu concentrarsi sul nascente settore più tecnico del contract, un segmento di mercato dove il suo design in quel momento riusciva a esprimersi al meglio.
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1981
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Bolla, Serpente e Pipistrello sono presenti alla mostra «Dive luminose» dedicata alle lampade preferite dal pubblico dagli anni Trenta agli anni Ottanta
La lampada da tavolo 717 Game è selezionata per il premio Design italiano/Casaidea 1986
1988 L’intuizione imprenditoriale di Elio Martinelli porta alla realizzazione di uno dei successi commerciali dell’azienda, il Sistema Z
1984-86 Martinelli punta sul contract e sull’outdoor. Sono gli anni della produzione dei sistemi Out e Polo, ancora oggi in catalogo
1980 Con un semplice sistema di contrappeso può chinarsi a illuminare un tavolo da lavoro o ergersi in verticale: Dobermann, una delle lampade più interessanti disegnate da Martinelli
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1984
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Dall’osservazione della natura nascono Le Rondini, la più sorprendente interpretazione di Martinelli del design “realista” anni Ottanta
Biconica, lampada da terra a luce indiretta interamente in resina
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1989 La Pipistrello entra a far parte delle collezioni del Metropolitan Museum of Art di New York
Il rigore supera l’eclettismo Gli Ottanta sono gli anni di Memphis, dell’eclettismo formale, della creatività portata all’estremo, dei colori accesi che sostituiscono il bianco assoluto dei decenni precedenti. Martinelli, anche se partecipe del dibattito culturale, proseguì nella progettazione di lampade “essenziali” che si distinguevano nel panorama generale anche se con qualche concessione più giocosa.
Tris, 1982
Moon, 1981
Flag, 1982
Cono, 1980
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Round, 1980
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Biconica: un nuovo classico La lampada sorge dal vuoto generato da un anello di circonferenze quasi tangenti. L’idea progettuale di Elio Martinelli ha inteso unire la funzionalità del prodotto con il design e la ricerca estetica, dando vita a una lampada che spenta è una pura presenza scultorea. A destra la lampada Penombra, nella versione da tavolo e da terra, interamente in alluminio verniciato nei colori bianco, argento e rosso. Il riflettore curvo, dalla forma a “lente”, orientabile sul perno centrale dell’asta, crea effetti di luce e ombra sul tavolo o sulla parete. Nella versione da terra la luce si orienta anche verso il soffitto grazie all’asola ricavata nel riflettore in modo da permettere una maggiore orientabilità.
Biconica, 1986
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Penombra, 1987
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Charles, 1989 A sinistra Charles, omaggio all’architetto e designer Charles Rennie Mackintosh. In Charles l’iterazione del modulo quadrato è un voluto omaggio alla cifra distintiva dei mobili di Charles Rennie Mackintosh e sopratutto alla struttura architettonica che caratterizza le lampade da lui disegnate per la biblioteca della Scuola d’Arte di Glasgow.
Spillo, 1989
Charles, 1989
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Tre figure geometriche solide primarie, un cubo, una sfera e un cono sostenute da un’esile asta costituiscono il piccolo corpo illuminante di questa serie di lampade da terra. Un altro esempio del rigore formale che ha sempre contraddistinto il design di Elio Martinelli. Spillo, 1989
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Elio Martinelli si apre all’esterno
Negli anni Ottanta Elio Martinelli inizia la produzione di lampade per esterno, sviluppando i sistemi Out e Polo, pensati come elemento chiave dell’allestimento di uno spazio outdoor. Out è una serie di apparecchi a luce diffusa che utilizzano sorgenti di luce a bassissimo consumo. Il risparmio energetico rappresentava per Elio Martinelli un tema di grande importanza, che a partire dalla metà degli anni Ottanta diventò prioritario per la progettazione delle sue lampade. Gli apparecchi di questa serie sono in resina rinforzata con fibre di vetro, resistenti agli urti e agli agenti atmosferici. La finitura è fatta con vernici poliuretaniche e il diffusore è realizzato in policarbonato. Elio Martinelli pensava che la luce intesa come energia fosse una chiave di interpretazione culturale, pensava che fosse in grado di coinvolgere molti processi vitali ed emotivi, risultando per questi motivi uno strumento efficace per creare atmosfere positive e coinvolgenti. Proprio in questa ottica, che univa uno sguardo romantico e appassiona-
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to a nuovi sviluppi illuminotecnici, il designer realizzò una delle serie che ha avuto il maggior gradimento da parte del pubblico, Polo, lampade a sospensione adatte all’outdoor e realizzate con strutture in resina e alluminio. Un sistema di successo che riesce ancora oggi a rendere più attraenti, dinamici e rassicuranti i nostri giardini. Il sistema Polo è stato progettato con geometrie poco appariscenti ma formalmente ideali per essere inserito in ogni tipologia di spazio esterno. Anche per Polo, Elio Martinelli scelse sorgenti di luce fluorescenti a basso consumo e corpi realizzati in resina rinforzata con fibre di vetro per sopportare gli agenti esterni e l’usura. Le lampade da esterno disegnate da Elio Martinelli sono realizzate in molte varianti: parete, soffitto, sospensione, da terra in più altezze, in modo da illuminare le diverse aree esterne. Si tratta di due sistemi che ancora oggi, a distanza di molti anni dalla loro prima progettazione, restano attuali nella loro identità meramente utilitaria.
1992
1993
Corona, lampada nata per spazi commerciali grazie all’uso delle nuove lampade a ioduri metallici
Nascono la 2003 e la 1893, sospensioni per grandi spazi
1992 Sono gli anni dei grandi riallestimenti espositvi, per i quali vengono create lampade come Olympic
1991-96 Il contract prende campo nella produzione dell’azienda con i sistemi ZH, ZK e Q8
1990 Sistema ZH per le lampade a ioduri metallici
1992 È l’anno di Nuvole Vagabonde una impalpabile struttura in metallo e in metacrilato che sviluppa il tema della componibilità, uno dei motivi ricorrenti nella produzione di Martinelli
1995 1993 Nascono le barre modulari per supportare i faretti e i binari elettrificati
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Circular, la prima lampada ad anello presentata in occasione di Intel 1995
Creatività modulare
Dopo l’opulenza degli anni Ottanta, la ricerca di linee pulite, di geometrie minimali e lo stile modulare tornano a dominare la scena del decennio successivo. Elio Martinelli in questi anni proseguì la sua strada creativa, dividendo i suoi progetti in due filoni: da un lato l’illuminazione per il contract con i Sistemi ZH, ZK e Q8 e dall’altro il ritorno alla produzione di lampade che incrociano natura e geometria come Nuvole Vagabonde, amatissima dal pubblico. L’unicità di questa lampada è la sua forma leggerissima che sembra fluttuare in ogni ambiente in cui venga collocata, una lampada che Elio immaginò guardando il cielo dalla finestra di casa sua, mentre disegnava sul suo grande tavolo rotondo in legno.
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Molte delle sue lampade sono nate così, osservando il mondo che lo circondava, come Cupolone, Le Formiche, Gabbiano e tante altre. Ma in Nuvole Vagabonde c’è anche un’eco forte della cultura progettuale di Elio Martinelli: in questo particolare caso si tratta della lampada PH Kogle di Henningsen del 1958, caratterizzata da fluttuanti lamelle che formano una sfera. Tutto questo a conferma di come il design scandinavo degli anni Cinquanta sia sempre rimasto per Martinelli un riferimento riaffiorante, anche se interpretato in diversi e personali forme e materiali, in questo caso anche con una punta di ironia tipica di questa fase creativa.
Circular, 1995
Circular, 1995 Una sospensione ad anello unica per il periodo in cui è stata disegnata, il 1995. A luce indiretta, per lampadine fluorescenti, con struttura in alluminio verniciato nel colore bianco, nero e dorato, di diversi diametri, è ancora presente in catalogo con l’utilizzo delle
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nuove sorgenti a led. La particolarità del suo design è tutta racchiusa nella sua “leggerezza” visiva, che si esalta nei grandi spazi, dove può essere variamente sospesa: in più esemplari ad altezze diverse, anche sovrapposti, come si può vedere nella foto in alto.
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Uni, 1992
Balance, 1996
Innovazioni tecnologiche
Orientare la luce Oltre al braccio articolato, come in Uni 92, e al riflettore ergonomico per lo spostamento della lampada, Balance, progettata nel 1996 e stampata in resina, presenta alle estremità dei bracci un contrappeso che permettono di “bilanciare” la sua orientabilità. Un particolare riflettore orientabile che alloggia la sorgente di luce ad alogeni permette di illuminare il tavolo in maniera uniforme.
La lampada Uni è una variante della lontana Uni progettata nel 1972 e originariamente realizzata con braccio e riflettore in metallo. La reinterpretaione del 1992 è interamente stampata in resina, con molla per l’orientabilità del braccio non visibile ma inserita al suo interno. Il riflettore è di forma ovale, insolita per Elio Martinelli, pensata per una maggiore ergonomicità, e presenta sulla sommità un grosso pulsante on/off.
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come il tratto più evidente di tutta la produzione di Elio Martinelli. L’attenzione nei confronti della comunicazione visiva è del resto ancora oggi un tratto fondamentale della cultura d’impresa di Martinelli mantenendo una coerenza di stile tra tutti i diversi fenomeni comunicativi: dal logo, ai cataloghi, al packaging, al punto vendita, alle mostre, tutto conduce a una precisa cultura di marca che ancora oggi è presente (se pur riletta secondo un linguag-
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gio contemporaneo) in tutta la comunicazione aziendale. Oggi il sistema di identità visiva coordinato da Emiliana Martinelli è un progetto di comunicazione che permette al marchio di raccontare la sua storia e quella dei suoi prodotti con un linguaggio che parla con successo a un pubblico internazionale: un linguaggio fatto di caratteri, colori e immagini che definiscono non solo un’estetica ma soprattutto uno stile di design.
Il primo catalogo in bianco e nero stampato con la rotativa Offset.
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Il “laboratorio” di Elio Martinelli A sinistra, un angolo dello studio di Elio Martinelli, con il suo tecnigrafo, dove le svariate lampade della produzione sono state progettate e discusse insieme a Cecco, “suo braccio destro”, prima di iniziare la lavorazione ai vari prototipi. Uno spazio a cui il designer era particolarmente legato anche perché, come si vede dalla foto sopra, circondato dalla natura da cui traeva sempre ispirazione. A destra lo studio aperto al primo piano dove ancora oggi vengono studiati e rivisti i vari prototipi come in quegli anni faceva Elio insieme al cugino Sergio e a Emiliana.
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Box, 1974 Cubo componibile La modularità è la cifra stilistica degli anni Settanta, un approccio elaborato sull’idea di realizzare uno schema dimensionale che potesse essere utilizzato per qualsiasi prodotto. La soluzione proposta da Elio Martinelli è racchiusa nella costruzione di una specie di griglia strutturale per contenere e integrare oggetti. Box non è semplicemente una libreria, ma un contenitore componibile in metallo costruito
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con l’impiego di un unico tipo di pannello quadrato assemblato con dadi e viti. Cinque pannelli formano un cubo aperto, che è il modulo base la cui reiterazione o diversa giustapposizione può dar luogo a variate strutture (basi di tavoli, fioriere, chiuso con serratura, con ruote etc.). La lampada è stata scelta tra i prodotti selezionati da ADI nel 1977 per rappresentare l’Italia alla BIO 7 di Lubiana.
La capacità di “saper fare” Elio Martinelli, nella sua lunga vita di progettista, si misurò con l’ideazione di diversi oggetti funzionali, conseguenza dell’originaria necessità di saper realizzare cose utili alla vita di tutti i giorni: un talento questo suo che lo aveva accompagnato fin da giovane, negli anni della guerra e dell’immediato dopoguerra. A sinistra in basso un tavolo realizzato con profili in estruso di alluminio a sezione quadrata la cui particolarità è nello snodo di assemblaggio. Le diverse lunghezze dei profili permettono di realizzare tavoli quadrati, rettangolari, alti o bassi, e anche sgabelli con ruote.
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Parlando di Elio
Cubo, 1970
La lampada Cubo Lampada da tavolo realizzata in resina, caratterizzata da uno specchio in acciaio lucido, per la riflessione della luce. Le due metà che compongono il cubo, come due valve che si aprono e si chiudono, regolano il flusso della luce.
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Cesare Casati. Ricordare Elio Martinelli mi è facile e molto gradito perché l’ho stimato e amato come uomo e soprattutto come grande progettista imprenditore. Uomo, anche se non appariva al primo contatto, di grande intelligenza, sensibilità e umana gentilezza. Disponibile ad ascoltare sempre i problemi altrui con solidarietà e generosità. Un animo poetico e curioso che lo portava a interessarsi a tutte le vicende culturali e sperimentali che, soprattutto negli anni Sessanta, avvenivano nel nostro Paese. Lo conobbi in occasione della prima Eurodomus che organizzai a Genova nel 1966 e nell’incontro da lui voluto per ringraziarmi mi raccontò le sue non facili esperienze nel gestire un’azienda e delle sue sperimentazioni nel campo del lighting design. Campo progettuale di grande vivacità negli anni Sessanta. Nacque immediatamente tra noi un grande rapporto di amicizia e stima da lui subito generosamente cementato nel realizzare e produrre la mia lampada Cubo. Elio veniva dal mondo della creatività dove aveva sperimentato esperienze artistiche, e forse di conseguenza, coinvolto nella trasformazione di un’azienda paterna e così costretto ad accettare la sfida di farla diventare allo stesso livello delle grandi firme italiane coinvolte nel successo del design nascente. Il suo contributo, non solo nel chiedere nuovi progetti ad altri colleghi giovani, fu determinante non solo nell’organizzare l’azienda ma contemporaneamente progettare e realizzare dei nuovi modelli di apparecchi
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di illuminazione geniali e innovativi nella forma e nella loro qualità tecnica illuminante. Il suo impegno era anche nel dimostrare che nel suo piccolo paradiso naturale di Lucca in cui viveva, disegnare, sperimentare e lavorare era possibile non solo nel produrre le migliori lampade e, perché no, anche il miglior olio anche se lontano dalla grande ricca Milano. Olio che mi inviava con la stessa assiduità e partecipazione con cui mi mandava le immagini da pubblicare delle sue nuove realizzazioni. Teneva a conoscere il mio giudizio alla pari, sia per l’olio sia per le lampade. Oggi la Martinelli Luce, proprio grazie alla condizione unica nel mondo di essere a Lucca e di essere stata creata da Elio Martinelli, designer di grande e fecondo talento capace di realizzare continuamente nuove proposte di alta qualità di prodotto e di disegno, è senza alcun dubbio una delle aziende italiane più conosciute nel mondo intero che, nonostante l’assenza di Elio, per merito della sua discendenza, continua a mantenere sul mercato internazionale un alto livello. Il talento di grande designer e la sua attitudine artistica hanno sempre caratterizzato il disegno di tutti gli oggetti dal lui progettati non solo nel rispetto dell’efficienza funzionale ma soprattutto nella forma, in modo che l’apparecchio luminoso anche spento potesse suscitare interesse e piacevole curiosità. Lo testimoniano, ancora oggi, dopo quaranta anni, alcune sue lampade come il Cobra, la Bolla e tante altre.
Richard Neutra. Io e mio padre abbiamo avuto il piacere di conoscere il figlio di Richard Neutra, architetto anche lui, nel lontano gennaio del 1991 quando è stato nostro ospite a Lucca. Nelle poche ore passate insieme con noi, Dion Neutra si è dimostrato aperto, cordiale, sicuro. Gli abbiamo fatto diverse domande come avviene in questi casi e quando ho chiesto spiegazioni sulla ragione di quelle vasche, di quegli specchi d’acqua tanto insostituibili in quasi tutti i progetti del padre, ha risposto, con estrema naturalezza e semplicità, che quelle vasche suo padre le progettava perché gli piacevano, perché erano belle. In realtà si trattava di una intuizione poetica del grande architetto, che contrapponeva superfici impalpabili e specchianti alle murature, in un dialogo continuo ed elegante aggiungendo la ricchezza dell’elemento acqua (così come i grandi camini portavano la ricchezza dell’elemento fuoco) sotto il cielo asciutto della California del sud, dove il sole splende arrogante e le notti sono fredde ai venti del deserto. La sua è stata una risposta pragmatica, particolarmente americana e apparentemente semplice, ma credo contenga la ragione poetica di tutto il lavoro svolto da questo grande architetto. Ma veniamo adesso a queste due lampade che Richard Neutra ha disegnato e che noi abbiamo avuto il privilegio di realizzare. Le immagini ne descrivono le caratteristiche di oggetti di arredo. Nella prima, Marx, una lampada a parete, prevale la componente organica nel tipo di intervento sulla luce che ne risulta articolata e arricchita. Il vocabolario formale, gli elementi che lo compongo-
no (una lama ricurva, una griglia di elementi orizzontali, un telaio di legno) sono microsegni del suo vocabolario architettonico (la villa Von Sternberg, la Cappella Miramar…). L’unico esemplare esistente disegnato ed eseguito da Richard Neutra è andato perduto e vani sono stati i nostri sforzi per recuperarlo. Avevamo a disposizione solo una piccolissima riduzione cianografica di un vecchio disegno, da interpretare dal punto di vista tecnologico, e una fotografia ingiallita dell’unico prototipo. Il tutto quotato in inches. Nel secondo apparecchio, VDL, una lampada da terra, dove prevalgono gli astratti elementi razionalisti, una poetica che non concede smagliature e abbandoni, la cui bellezza si ferma per un attimo nelle riflessioni sempre diverse (memoria delle riflessioni sugli specchi d’acqua delle case) che appaiono per un istante sulla matematica superficie ricurva della semisfera del riflettore in acciaio, nel gambo diritto ed essenziale che nasce proprio dal centro del semplice disco della base. Devo ringraziare Dion Neutra se abbiamo potuto comprendere meglio gli apparecchi e realizzare rapidamente certi particolari. C’era infatti la necessità di prendere alcune decisioni molto importanti: l’adozione di sorgenti di luce più attuali, di avanguardia, e l’introduzione di piccoli accorgimenti legati alle nuove normative. Ringrazio anche l’amico architetto Paolo Riani ed Elisabeth, sua moglie, di origine americana, che vivono in toscana e un po’ negli Stati Uniti, che in quegli anni ci avevano dato una mano alla realizzazione di questi progetti.
Marx, 1928
La modernità di Richard Neutra Nelle foto le due lampade prodotte su disegni originali di Neutra: l’imponente Marz, lampada a parete a luce indiretta con struttura curva in acciaio inox satinato, base in metallo verniciato antracite e telaio di supporto in legno. VDL invece è una lampada da terra a luce indiretta con struttura in acciaio inox satinato e sorgente di luce a led con regolatore di intensità luminosa. Ambedue le lampade sono due pezzi iconici ancora in catalogo. VDL, 1931
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Mico, 2003
Babele, 2005
Marc Sadler. «Elio Martinelli mi ha permesso, anzi invitato, a utilizzare la termoformatura sottosquadro, una tecnica messa a punto da lui e tipica di molte sue produzioni. Per questo motivo abbiamo cofirmato la serie Mico caratterizzata da questo processo produttivo. È così che, con grande generosità e altrettanta umiltà, abbiamo cominciato a lavorare insieme, all’ascolto reciproco. Un mito del design che mi dava una mano a finalizzare un progetto: è stato come un abbraccio di benvenuto dato da un amico. Chapeau!» Continua la collaborazione con i designer come Marc Sadler. Mico, lampada da tavolo, è un esempio di collaborazione firmata da ambedue. Mico si presenta come un’allegra e vivace lampada ed è ancora oggi una alternativa interessante e moderna per illuminare scrivanie e mobili di interior design. È caratterizzata dall’elemento diffusore in metacrilato rosso che, illuminato, si rispecchia sulla base lucida. Il diffusore è in metacrilato opal bianco, un materiale ricercato per l’elevata trasparenza, per la lunga durata nel tempo senza perdere in qualità, la facilità di lavorazione e le elevate caratteristiche meccaniche. Elio Martinelli utilizzò sin dall’inizio questo materiale per la realizzazione delle sue lampade. Altra dote della lampada da tavolo Mico è lo straordinario gioco di riflessi e proiezioni a specchio che ne rende suggestiva la base e l’immagine d’insieme, utile all’osservatore per cogliere il segreto colore che la contraddistingue. Una misteriosa macchia di colore, ottenuta dal riflesso deformato del diffusore circolare inferiore, mostra infatti quale sia la predominante tonalità che contraddistingue il corpo di luce, reso così un apparecchio dalle forme surreali. Luna nera, 2017
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Geko, 2015 Lampada a parete ad angolo realizzata in polietilene e stampata in rotazionale.
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Alfonso Femia. Incontro. Nella parola incontro risiede per me tutta la magia della vita. L’incontro, in tutte le sue declinazioni, ci permette di entrare in contatto con storie, persone, luoghi. Molti possono essere i medium dell’incontro, ma affinché l’incontro abbia un valore questo deve poter generare un dialogo, in una delle sue molteplici forme. Non ho incontrato Elio Martinelli, la persona, le mani, la voce o lo sguardo. Ho incontrato, grazie a Emiliana, il suo pensiero farsi opera, la sua volontà farsi materia, i suoi desideri e sogni diventare luce. Esistono percorsi e esperienze dove l’uomo si racconta forse al meglio, o forse disvela parte della sua anima, più nelle sue creazioni che nel suo modo di essere. Ho incontrato Elio amando alcune sue creazioni senza sapere che fossero di Elio Martinelli, senza sapere chi fosse la Martinelli. Ho incontrato la Martinelli, incontrando Emiliana e di colpo tutto mi è apparso chiaro e noto, e tutte le opere hanno preso il loro posto e la loro continuità nell’opera di Emiliana. Sintesi e semplicità nella filosofia di Martinelli diventano spesso sfide e complessità per ritornare, agli occhi di chi le incontra, una volta raggiunto il risultato, gesti e segni naturali e spontanei di chi conosce la capacità di plasmare forme che interagiscono con l’uomo. Amo questo di Martinelli, la volontà di interagire, la messa in gioco attraverso la luce di un rapporto personale, dinamico, dialettico con la luce che si fa oggetto, dell’oggetto che si fa spazio, dello spazio che dialoga attraverso la luce. Elio continua a creare, grazie alla capacità di Emiliana di ricreare, di rimettere in gioco, il gioco della luce nello spazio con l’uomo.
Ciulifruli, 2015 Lampada in polietilene progettata da Atelier(s) Alfonso Femia e Emiliana Martinelli.
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Marco, la nuova generazione
TX1, 2007
Lunaop, 2014
Nuove proposte Nelle foto in alto due lampade disegnate da Emiliana in questi ultimi anni e nella pagina a lato la lampada TX1 disegnata da Marco.
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Plissé, 2017
Sono Marco, il nipote di Elio Martinelli. Ho vissuto tanti anni in casa insieme a lui e mia nonna Anna e posso dire che mio nonno era senza alcun dubbio un personaggio: grande grinta, molto autoritario e convincente, uno che metteva sempre tutti alla prova e alle cui richieste non era possibile dire di no. I suoi occhi parlavano per lui, il suo sguardo penetrante mi metteva spesso in difficoltà, avevo molto timore a parlargli. Quando ero piccolo, momento in cui sono stato più a contatto con lui, era molto gentile con me, ma mi spingeva a dare sempre il massimo in ogni cosa. Ha sempre cercato di insegnarmi a vedere le cose da diversi punti di vista, mai da uno solo, il più banale che tutti potevano vedere. Ogni cosa presentava molteplici sfaccettature e niente era definitivo, ma sempre migliorabile. Ha sempre voluto che entrassi in azienda il prima possibile, stavo spesso con lui anche quando designer e architetti venivano a trovarlo. Quando sono cresciuto lui voleva che stessi soprattutto in officina per vedere le lavorazioni dei vari materiali con le attrezzature esistenti: tornio, fresa, trapano… L’officina era un luogo magico dove lui si divertiva e dove prendevano forma i prodotti nati dalle sue idee. I vari problemi che sorgevano venivano risolti in poco tempo grazie anche ai suoi validi collaboratori e in particolare il mitico Cecco che lo capiva al volo e che ricordo come una persona splendida, gentilissimo e con una spiccata dose di ingegno meccanico. I primi prototipi erano pronti in poche ore dopo i loro incontri nell’ufficio tecnico… una cosa incredibile pensando ai giorni nostri dove i tempi sono più lunghi anche
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se abbiamo i computer! Dopo i primi anni di gioventù passati insieme in casa con lui, data anche la precoce scomparsa di mio padre, mi sono allontanato a causa degli studi universitari presso la facoltà di Ingegneria di Pisa, che non mi consentivano di avere molto tempo da passare in azienda. Ma non appena finiti gli studi sono entrato in azienda, dove sono stato inserito nell’ufficio tecnico per circa un anno, ma sempre a contatto con lui per ogni nuova iniziativa. A causa però della sua forte personalità che non lasciava spazio a una mia autonoma crescita, dopo un anno ho preferito andare a lavorare in un’altra azienda, anche per capire meglio e sviluppare una mia personalità. Mio nonno non fu contento di questo e per circa un anno ci siamo visti molto poco, solo la domenica qualche volta a pranzo. Dopo poco tempo ci siamo però riavvicinati e sono ritornato in azienda. Mio nonno non l’ha mai ammesso, ma fu felice di questa mia decisione e mi ha insegnato come le attività, i problemi, le decisioni che devono essere prese in poco tempo ogni giorno in azienda sono davvero tante e ci vogliono un grande amore, passione e sacrificio per portare avanti un’attività anche di piccole dimensioni. Con il tempo mi sono inserito sempre più nella Martinelli Luce fino ad arrivare alla conduzione dell’azienda e alla nomina ad amministratore delegato, un compito impegnativo che mi ricorda sempre quelle parole che ogni giorno mio nonno mi diceva «te ne accorgerai!». Sinceramente non posso che confermare che avesse ragione.