Harpun

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Bl

ea

Morirò... urp… sento che morirò…

Tenga duro. Stiamo per attraccare!

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h!

aarghh


HARPUN Capitolo 1:

Dove si racconta di arpioni, di incubi e dell’inaspettato incontro tra Rebecca e Joshua

GIOVANNI MASI testi FEDERICO ROSSI EDRIGHI disegni

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A: Oggetto:

diane@timedrop.net Saluti dall’inferno liquido Aggiungi CC

JOSHUA

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Ciao Diane, come sta la mia sorellina? Ti scrivo cercando di non vomitare sulla tastiera. Ho ancora un po’ di batteria e, anche se siamo praticamente in porto, cerco di tenere occupate le mani e la testa per non avere la tentazione di suicidarmi in mare. Il viaggio è stato breve e tranquillo. Io, in compenso, sono stato malissimo. Avrò vomitato a intervalli regolari ogni quattro minuti e mezzo. Continuo a domandarmi cosa ho fatto di male per meritarmi questo incarico… Ho sempre lavorato sodo e adesso invece sudo freddo a forza di rigettare. Prima di salire su questa bagnarola, l’ultima barca che avevo visto era alle elementari! Era disegnata sotto una grande lettera “B” tutta rossa e a fianco aveva la “A” di ape e la “C” di cavallo. Ai piani alti dell’azienda ci deve essere qualcuno che mi odia veramente. Speriamo solo che il resto del soggiorno sia più felice. O anche solo meno nauseante. La cosa peggiore del viaggio sono stati i consigli del capitano. Ci ha tenuto a farmi l’imitazione della moglie che lo sgrida e gli dà la medicina. O lui è il più grande attore imbarcato su un peschereccio di sempre, oppure la moglie dev’essere davvero un’arpia. Tutta la scenetta era solo per convincermi a bere una tisana, ricetta speciale della sua dolce metà. Era un intruglio di alloro e limone e alla fine mi ha accomodato lo stomaco. S’è accomodato tanto, lo stomaco, che ho cominciato a vomitare ogni tre minuti (non chiedermi dove abbia trovato alloro e limone in queste terre senza sole. Secondo me, il peschereccio è solo una copertura e lui di mestiere fa il vichingo razziatore…). Il marinaio mi ha guardato strano, si è tolto la pipa dalla bocca, ha aggrottato le sopracciglia, si è rimesso la pipa in bocca e così via per circa tre volte (non sto esagerando!), se l’è tolta di nuovo e ha detto: “Se sta ancora male quando sbarca, forse le conviene andare a trovare Rebecca…” Non ha aggiunto altro e si è rimesso la pipa in bocca. Quando dopo un paio di conati sono riuscito di nuovo a parlare e ho chiesto: “C-chi?”, il capitano ha tirato fuori una storia assurda. Pare che abbiamo una specie di strega al villaggio. Una guaritrice. Una che scaccia gli spiriti maligni… roba da pazzi! Ma in che razza di posto mi sto andando a cacciare?! Comunque sia, non so se riuscirò a mandarti questa mail tanto presto. Pare che il villaggio sia sprovvisto di connessione internet e che l’unico telefono sia nella capitaneria di porto. L’azienda ha dovuto prenotare una stanza per me nell’unica locanda del posto con un telegramma… A quanto ho capito, dovrò spedire i risultati dei miei rilevamenti con un DVD e il traghetto postale parte ogni dieci giorni… Ah, sì, perché mi sono scordato di dirti la parte più divertente. La prenotazione è per tre mesi! E non mi avevano detto niente! Penso che lascerò tutte le mail in “posta in uscita” così, quando finalmente avremo costruito la torre, queste parole saranno le prime che partiranno. Potrai leggere un bel romanzo epistolare come quelli di un tempo. Oppure ti spedisco un floppy… AHAHAHAH Lo so, tranquilla, niente lettere cartacee che sei allergica (solo te potevi essere papirofobica...). Ok, quattro minuti di orologio per scriverti tutto e ancora non ho vomitato. Che la tisana del marinaio abbia fatto effetto? Ti allego un paio di foto fatte al volo su questo inferno d’acqua.

Un abbraccio Joshua PS: il marinaio si toglie e si rimette in bocca la pipa tante di quelle volte che praticamente è una gif tridimensionale… allegati: 6 immagini

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Può scendere. È sicura come quando è salito a bordo.

Se lo dice lei…

Attento solo a non scivo

! Sto scivolando ! do Sto scivolan

Mammannaggia... eh?!

Ahio!

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Ehm… salve…

Mi ha guardato come se fossi un cirripede. Un secondo e mezzo netto di pura indifferenza.

Non male come primo incontro, vero, Diane?

E ci credi? Lì per lì non avevo neanche notato l’arpione!

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Scendendo dalla nave mi ero storto una caviglia.

Non so bene il perchĂŠ ma ho cercato di non zoppicare davanti a lei anche se mi faceva un male cane...

‌certo, anche evitare di camminarci sopra avrebbe aiutato‌

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Per trovare la locanda ci ho messo quattro ore e mezza...

…e in linea d’aria dista neanche cinquanta metri dal porto!

Ma il villaggio ha la topografia di un incubo alla Escher.

Quando l’ho finalmente raggiunta, ho pensato: “Ma che ci faccio in un posto come questo?”

“Perché diavolo mi sono fatto convincere?!”

E poi, improvvisamente, eccola lì con il suo arpione e tutto il resto.

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L’unica cosa che ho detto è stata:

Non ho fatto in tempo a seguirla che era giĂ balzata via.

Bello!

E anche se una ragazza armata con un arpione che salta di tetto in tetto poteva risultare bizzarra‌

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AAAAAAHHH!!!

Poi però ci ho ripensato… Ma dai! Non può essere la ragazza del porto!

Il mal di mare mi deve aver fatto venire le allucinazioni.

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A: Oggetto:

diane@timedrop.net Datemi un cacciavite e vi solleverò il mondo! Aggiungi CC

JOSHUA

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Cosa avresti pensato al mio posto? Cioè, una ragazzina armata con un arpione più grande di lei che fa parkour sui tetti di un paesino sperduto… Ho provato persino a farle qualche foto al volo ma non te le mando neanche che tanto ho collezionato solo grondaie. Alla fine sono convinto. Allucinazione. Quando ho raccontato alla locandiera ciò che credevo di aver visto, la donna mi ha guardato male, mi ha preparato un latte caldo corretto al whisky e, senza aggiungere altro, mi ha spedito a letto proprio come faceva mamma quando rientravo ubriaco (ma perché a te mamma non ti ha mai beccato, Diane? Questa cosa me la domando da quando avevamo sedici anni. E sì che accendevi tutte le luci per colpa della tua nictofobia). Ho avuto però la netta impressione che la locandiera non ce l’avesse tanto con me quanto con la ragazza-arpione. Anche se è solo un’allucinazione. Comunque sia, non me lo sono fatto ripetere due volte e sono salito in camera. Ho provato a scriverti qualcosa prima di andare a letto. Volevo vedere se la rete funzionava ma, come immaginavo, avrei fatto prima a infilare un messaggio in una bottiglia e a lasciarlo andare alla deriva. A quel punto, l’idea era di spogliarmi e infilarmi sotto le coperte ma a giudicare dalla condizione del letto (appena rifatto) e dei miei vestiti (stropicciati come se un rinoceronte ci avesse guidato sopra un’auto da Formula 1 per un intero Gran Premio) mi sa proprio che mi sono coricato vestito ieri sera. Stamattina ho una faccia da schifo, dei vestiti da schifo e... il bagno in comune. L’ho scoperto appena alzato. A dir tutta la verità, ero talmente frastornato che ho scambiato un’anta per la porta del bagno e la stavo per fare dentro l’armadio… Tranquilla, mi sono ripreso appena in tempo e sono andato alla ricerca del wc. Sta dall’altra parte del corridoio. Ha una porta a vetro smerigliato (una porta a vetri per un bagno in comune, ma che gli ha detto la testa?!) e una temperatura ambientale che si aggira intorno ai due gradi. Non ci crederai ma l’acqua nella tazza era quasi gelata! I bagni comuni andrebbero banditi dai paesi civili! E anche da quelli fermi all’età della pietra come questo! Odio anche lasciare acceso il PC per tutta la notte. Proprio oggi che mi sarebbe servita la batteria carica per i primi rilevamenti. E ovviamente, le prese sono di quelle vecchie e io non ho nessun tipo di adattatore con me. Ma come ben sai, non ci so fare solo con gli strumenti di precisione. Ho tirato fuori un cacciavite che mi ero portato per ogni evenienza e… ZAP! Foto in allegato del mio capolavoro! Sì, lo so, non sarà il massimo in fatto di sicurezza ma almeno per domani avrò batteria sufficiente per lavorare. Adesso provo a scendere per mettere qualcosa sotto i denti e per vedere se c’è qualcuno disposto a farmi da guida per l’altopiano. Dal mare, la rupe sembrava davvero impressionante. Speriamo ci sia un sentiero facile… Dopo tutto quello che ho passato, l’Universo me lo deve.

Ciao ciao Joshua PS: il bagno in comune… non ci si crede…

allegati: 3 immagini

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Una guida per la montagna… Mi servirebbe per una decina di giorni, forse di più.

E che ci volete fare con la montagna per dieci giorni? Quel posto piace solo alle capre...

Certo che c’è. Quello delle capre.

Devo fare dei rilevamenti, prendere delle misure. È il mio lavoro. Non c’è un sentiero che arrivi lassù?

Quanto mi dai se ti ci porto io?

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Ecco… io… quanto vorresti?! Devo arrivare in cima. Potrebbe volerci tutta la giornata...

Allora? L’orco ti ha strappato la lingua?

...o sbaglio?

Quattro ore a salire. Un po’ di meno a scendere.

Ma non mi hai detto quanto vuoi! Mi paghi da mangiare fino a quando non te ne andrai.

Colazione, pranzo e cena.

Se vuoi andare partiamo subito che poi fa buio.

Segni pure sul mio conto!

Per quella costa tutto il triplo!

Ti ho sentito, vecchia.

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Ma scusa, perché dovrebbe costare il triplo per te?

Avete… litigato?

Perché mi odia.

Mi accusa di averle sgozzato il cane.

Ho cercato di salvare quel sacco di pulci ma sono stata lenta. Da queste parti girano predatori voraci e non sempre la caccia va bene.

Ah! Ed è… vero?

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Caccia? Predatori?! Che genere di predatori?!?

Muoviti.

Comunque piacere. Mi chiamo Joshua.

Ma stai scherzando! Certo, che stupido che sono!

Rebecca. Faticoso, eh?

Se lo dici tu…

Dopo è peggio.

Però! Che vista!

Riposati un attimo e aspettami qua. 16


Ho pensato: “Però, bel nome Rebecca...”

“Aspetta, ma non c’era una strega di nome Rebecca da queste parti?!”

AAAAAAHHH!!!

Ma è una mantella… è tua?!

Senti… ma per caso sai di qualche strega da queste parti?

Mettila, fa freddo in cima.

No, perché?

No... niente…

Diane, non era un’allucinazione! Era lei in carne e ossa l’altra sera! Roba da matti! Ma le streghe una volta non avevano tipo le scope? Da quando erano passate all’arpione?!?

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Ci siamo incamminati. Il sentiero era per capre, certo… Capre munite di attrezzatura per alpinismo e allenate a correre la maratona tra gli altopiani del Kenya!

La mia guida sembrava non notare la pendenza mentre io avevo delle difficoltà a non rotolare di nuovo a valle, figuriamoci a salire!

Rebecca si voltava ogni tanto e, anche se me la sono cavata più che bene per essere un fervente adoratore dell’ascensore, mi guardava con un’espressione corrucciata.

Chissà che c’era che non andava… In fondo ero solo un po’ accaldato!

Fine Capitolo 1 18


ANF! PANT! ANF! ANF!

Sicuro di farcela? Riesci a respirare?

Tutto… Tuttapposto… è solo… un po’… di raffreddore…

Se lo dici tu.

Ma allora… il terreno in pianura… esiste ancora…

Ammetto di non aver fatto questa gran figura, Diane, ma diciamo pure che le condizioni ambientali erano tutte contro di me!

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HARPUN Capitolo 2:

Dove Rebecca e Joshua fanno amicizia, si parla di una torre e si da la caccia a un incubo per aiutare una bambina

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Ecco fatto. la cima della scogliera, proprio come avevi chiesto.

Il pianoro è semplicemente perfetto, Diane! Lo so che non te ne potrebbe fregare di meno di ingegneria ma mettila così: il lavoro di tuo fratello sarà un successone!

Ok, mi sbrigo… Se inizio subito mi ci vorrà solo una mezz’ora. Blocco note e vai di misurazioni!

Anche senza PC mi ero portato abbastanza attrezzatura da fare una prima parte del lavoro.

E per fortuna, aggiungo, anche perché a rifare tutti i giorni la salita è la volta buona che ci rimetto un polmone!

Faccio misurazioni. Servono a costruire una torre per le telecomunicazioni. Aspetta che ti faccio vedere…

Ma che stai facendo?

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Ecco qua. Costruiremo questa e improvvisamente avrete la tv, internet, le email… e i film pirata in streaming... e…

…e la chat… e… i socialcosi…

Ho raccontato a Rebecca del mio lavoro ma mi sono sentito come Holmes che spiega le sue deduzioni. Solo che lei non è Watson e per di più non capisce nulla di disegno tecnico.

Disegni da schifo, lo sai?

Raccogli la tua roba e andiamo. Tira aria di tempesta.

Ehi! Aspettami!

Comunque sia, dopo poco la mia guida ha chiamato il ritorno a casa. Parlava di tempesta ma per fortuna non abbiamo preso una goccia d’acqua.

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A: Oggetto:

diane@timedrop.net Scendere dalla montagna è meno faticoso, soprattutto se rotoli a valle! Aggiungi CC

JOSHUA

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Abbiamo affrontato la discesa e devo ammettere che è stata decisamente più rapida… Nel senso che sono inciampato e caduto e ruzzolato per trecento metri. Ma tutto a posto, davvero! Strumenti salvi, ho solo preso una storta sulla caviglia che mi ero già slogato. Diciamo che se adesso mi amputassero il piede per una gamba di legno sarei più in linea con il paesaggio e zoppicherei di meno! A proposito di legno, come va la dendrofobia, Diane? Ancora convinta che il faggio fuori dal vialetto di casa sia posseduto da uno spirito elementale e che voglia la distruzione del mondo? Ti devo confessare una cosa… Sei la persona clinicamente più complessata che abbia mai conosciuto, eppure sei anche la più posata in assoluto. Non so come questo sia possibile ma mi sorprende ogni volta che ci penso e ti chiedo di uno dei tuoi malanni. Chissà, magari hai anche la paura di essere troppo squilibrata e così bilanci il tutto… Vabbè, dai la smetto. Sto scherzando, sorellina! :P Comunque sia, e tornando alle straordinarie vicende di tuo fratello disperso nel Grande Nord, mentre scendevamo ho osservato bene la mia guida. Rebecca è una ragazza strana. Non sembra soffrire il freddo e deve essere molto più forte di quanto una prima occhiata possa suggerire. Visto che zoppicavo, mi ha prestato l’arpione da usare come bastone. Era pesantissimo! Alla fine, appena il piede mi ha dato un po’ di tregua, gliel’ho restituito. Lei lo maneggia come se fosse poco più ingombrante di uno spillone ma ti assicuro che pesa almeno venti chili… forse di più! E poi non parla quasi mai… L’unico argomento che sembra interessarle è la torre. Le ho spiegato che il mio lavoro consiste nel prendere le misure e che, se tutto va bene, tra una decina di giorni dovrebbero iniziare i lavori. Ho cercato di spiegarle quali vantaggi avrebbe il suo piccolo villaggio ad aprirsi al mondo ma non sembrava particolarmente colpita. Anzi, non sembrava proprio importarle nulla. Era la torre che l’incuriosiva. Mi ha fatto domande sul materiale della costruzione, su quanti uomini avrebbero lavorato sul pianoro e per quanto tempo… Più le rispondevo, più la ragazza sembrava farsi pensierosa e lanciava delle occhiate alla cima della scogliera. Il tempo era brutto ma non così tanto da giustificare tutta questa apprensione. Comunque sia, alla fine siamo rientrati giusto in tempo per cena. Il tuo galante fratellone stava per invitare la ramponiera Rebecca a cena quando la ragazza ha detto alla vecchia locandiera di prepararle una grigliata mista di pesce da portar via. E di mettere ovviamente tutto sul mio conto. Ha preso il suo pasto e mi ha salutato dicendo che ci saremmo visti l’indomani e mi ha consigliato di mettere del ghiaccio sul piede. Ha infilato la porta e si è persa nella nebbia della sera. Devo ammettere che sono rimasto un po’ spiazzato dal comportamento della ragazza. Ho mangiato un boccone di malavoglia e ho chiesto una busta con del ghiaccio. La vecchia mi ha guardato malissimo (evidentemente, se sono un “amico” che paga la cena a Rebecca non sono più un cliente gradito) e poi è sparita in cucina. Dopo un quarto d’ora è riemersa con una vecchia busta di plastica piena di schegge di ghiaccio. Perché, Diane, non sono certamente cubetti. Non riesco a capacitarmi dove cavolo abbia trovato delle stalattiti così affilate dentro un frigorifero… Sempre che le abbia prese da un elettrodomestico! Adesso sono disteso sul letto come puoi vedere dall’ultima foto. Ti saluto, metto il PC in carica e vado a nanna. Buonanotte, sorellina!

Joshua

allegati: 3 immagini

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Buongiorno! Vedo che hai ordinato da mangiare una buonissima… zuppa di pesce alle otto meno un quarto di mattina…

Be’, io prenderei un cappuccino e…

C’è solo la zuppa. E da oggi costa tutto il triplo pure per te.

‘ao...

Certo che ti odia proprio, eh? E adesso odia anche me… che bello…

Ma a te piace questa roba?

Sarah ha la febbre altissima e delira… parla nel sonno ma dice cose senza senso! Ti prego, aiutala…

REBECCA!

Andiamo.

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Certo… perché?


Diane! Non ci crederai che è successo stamattina a colazione. Ero al tavolo con Rebecca quando una donna è entrata urlando che la figlia stava male e le ha chiesto di seguirla.

E non so che mi ha detto la testa, ma le ho seguite a mia volta! Non che dessi troppo fastidio, dato che in strada c’era già mezzo paese a curiosare.

Lì per lì, non sapevo cosa aspettarmi. Erano tutti molto tesi. Non parlava nessuno, cercavano di sbirciare dentro la casa ma nessuno si avvicinava più di tanto. E poi è successo…

A AAHHH! AA A

AA A

La bambina ha urlato e Rebecca è schizzata via. Guardava verso l’alto, come se ci fosse qualcosa lassù a parte il cielo… Era ESATTAMENTE come la sera del mio arrivo!

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AH!

Io ho provato a starle dietro e l’ho ritrovata a terra, dolorante.

REBECCA!

Solo dopo mi sono reso conto che nessuno mi aveva seguito.

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Tutto bene?

L’arpione, per favore.

Stavo meglio prima…

Si è appoggiata a me. Doveva essersi fatta veramente male.

Brucia!

Non fare… la femminuccia…

L’arpione era rovente. Ma che cavolo era successo in quel vicolo?

Siamo tornati indietro. C’erano applausi e grida di gioia. Sembrava che la gente stesse festeggiando…

Lì per lì non ci ho fatto molto caso ma adesso… più ci ripenso e più mi sembra tutto assurdo.

Sarah sembrava un po’ stanca ma stava decisamente meglio. La mamma le accarezzava i capelli e tutti sorridevano neanche fosse l’happy ending di un film Disney.

Ed era proprio così. Erano tutti intorno alla mamma che reggeva in braccio Sarah, la bimba malata.

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Ah, sì! Subito!


Grazie, davvero… grazie!

La mamma di Sarah si è avvicinata. Aveva gli occhi lucidi dalla gioia. Rebecca ha fatto un mezzo sorriso alla bimba sotto gli sguardi duri degli altri paesani.

Appena ci siamo avvicinati, la gente ha smesso di sorridere. Ho sentito Rebecca irrigidirsi e mi ha lasciato andare il braccio.

Poi si è voltata senza proferire parola. Ha solo preso l’arpione…

E si è allontanata da sola.

Avrei voluto seguirla ma sono sicuro che non mi avrebbe neanche guardato.

Ormai però la curiosità era davvero tanta. Rebecca aveva curato la bimba dando la caccia…

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...a cosa?!


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diane@timedrop.net Il nemico del tuo amico ti racconterà tutto, se è una vecchia locandiera Aggiungi CC

JOSHUA

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Sono rientrato alla locanda e come ho messo piede nella sala comune mi è venuta una fame da lupi. Non toccavo cibo dalla sera prima. Ho chiesto alla locandiera se era avanzata un po’ di zuppa di pesce. Mi ha guardato con il suo solito, adorabile sguardo di disapprovazione ma è riuscita a procurarmi una scodella di quella sbobba. Diane, è davvero una brodaglia in cui galleggiano cose non identificate. Ho riconosciuto metà testa di pesce e una chela di granchio in tutta quella fanghiglia. Credo fosse granchio… Insomma, è il piatto ideale per la tua ostraconofobia! Ma la fame era tanta e ho cercato di mandarlo giù. La vecchia deve aver scambiato l’appetito per un apprezzamento alla sua cucina e ho visto un attimo d’incertezza nel suo sguardo “tu-puzzi”. A quel punto ho provato l’affondo e le ho chiesto se sapeva qualcosa di Rebecca. Ho cercato di farmela amica e mi sono mostrato malfidato. Le ho raccontato che ho con me degli strumenti di precisione abbastanza costosi e che la mia guida per la montagna mi aveva fatto una strana impressione. Dapprima la locandiera mi ha risposto male ma poi le si è sciolta la lingua e ha cominciato a raccontare. Ha detto che Rebecca è un pericolo, per sé e per gli altri, e che nel villaggio sono tutti dei fifoni che non osano affrontarla per metterla al posto che le spetta. Ho chiesto quale fosse il posto in cui dovevano metterla e lei ha agitato una mano in un gesto vago. L’esilio le sembrava la soluzione più ragionevole. Le ho chiesto perché ce l’avesse tanto con Rebecca e ci ha tenuto a mostrarmi il guinzaglio del suo amato Scotch. Il suo unico amore, un cane dolcissimo che sembrava la capisse quando lei gli parlava e infatti ci parlava tantissimo con Scotch persino la sera prima di addormentarsi e Scotch capiva sempre di che stato d’animo era e bla bla bla bla e bla. Ti ho fatto la foto così capisci che cosa mi sono dovuto sorbire. La locandiera era contenta che volessi fare una foto al guinzaglio del povero Scotch. Comunque, dal delirio nostalgico sul cane sono riuscito a tirar fuori qualche informazione in più sulla mia guida. La locandiera odia Rebecca perché, secondo lei, la ragazza le ha ammazzato Scotch. Io non ci credo ma mi sono mostrato interessato. Reggiti forte, sorellina, che adesso arriva la parte interessante, quella per cui il medioevo non è mai passato davvero di moda. Il motivo per cui nessuno esilia Rebecca è perché la ritengono davvero una guaritrice. Pare che la ragazza possa percepire, o sentire, o vedere, dei mostri che si agitano intorno a noi. La spiegazione della locandiera è stata a dir poco confusa ma, da quel che ho capito, è come se ognuno di noi avesse dei demoni interiori. Solo che per Rebecca tanto interiori non sono. La ragazza li percepisce chiaramente. Vede se i mostri della nostra mente crescono troppo, se cominciano a scorrazzare insieme agli altri pensieri di chi ci sta intorno e se diventano un pericolo. A quel punto, Rebecca li mette in riga ad arpionate. Diane, tutto questo villaggio di pazzi andrebbe messo sotto osservazione psichiatrica! Fanno andare in giro una ragazza armata di arpione a caccia di raffreddori e brutti pensieri! E inoltre, proprio per questa sua particolarità, Rebecca è chiamata solo quando serve e guardata con sospetto per tutto il resto del tempo. Pare che porti male visto che sta sempre in compagnia dei mostri. Ora, io non so che cosa ho fatto, ma di certo il mio karma dev’essere sporco come la pece per essere finito qua giù. Ti confesso, Diane, che dopo un po’ l’atteggiamento della vecchia mi ha dato sui nervi e me ne sono tornato in camera a scriverti. Non so davvero cosa pensare. Fuori sta rapidamente calando la notte e io sono stanco e di sicuro avrò fatto mille errori di battitura in questa mail ma non ho la forza di rileggerla. Vado a nanna sperando che non ci siano demoni da arpionare sotto il cuscino e domani ci penserò a mente fresca. ‘Notte.

Joshua

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Diane, Rebecca non si è vista stamattina. Ammetto di essere un po’ preoccupato.

In fondo, la conosco appena… E riflettendoci, potrebbe anche aver ragione la gente. Potrebbe essere pericolosa. Un arpione non è esattamente un ferro da maglia…

E questa vince il premio per l’affermazione più inutilmente sessista della settimana!

Ma solo un po’, davvero.

Comunque sia, non c’entra nulla con me e io devo lavorare!

Poi ci ho ripensato. Rebecca non sembra una che prende bene certe cose.

Non posso certo perdere tempo. Però pensavo che una visita di cortesia…

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In fondo, le sto pagando i pasti!

In fondo, chi sono io per disturbarla? Ci conosciamo appena…

Quindi, Diane, la cosa migliore sarebbe stata prendere i miei attrezzi e andarmene a lavorare sul pianoro senza la mia guida.

Ecco, passo a trovarla e le dico: “Ti ho assunto per farmi da guida…”

E lì ho realizzato…

“Mi dispiace del tuo incidente ma devo sapere se sei in grado di accompagnarmi. A proposito, come stai?”

REBECCA! Prego… entra…

Bene, grazie ma ti devo parlare.

Tu e i tuoi amici volete costruire questo, vero?

Ascoltami bene… Se proverai a rimettere piede sul pianoro, ti infilzerò le budella e ti userò come pastura per i pesci!

Non sono mie amici… ma comunque sì, una versione più aggiornata. Dove li hai trovati questi ritagli?

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Ma ormai gli accordi sono fatti e…

Non mi importa di accordi o di che altro… non puoi costruire una cosa del genere! Non sulla scogliera!

Diane, era come posseduta!

NON PUOI FARLO!

E se ne è andata reggendosi il fianco dolorante. È pazza, Diane. Ha ragione la gente. È pericolosa.

Rebecca… io non…

Mi ripeto che avrei dovuto fermarla, ma per dirle cosa?

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Nei giorni seguenti, ho fatto quello che si aspettavano da me.

Rebecca non l’ho più vista. Non so come vada la sua ferita.

Ho spedito i miei dati, hanno fatto le loro considerazioni e mi è arrivato un telegramma in cui mi avvertono del loro arrivo.

Chissà se si fa male da sola o che altro… Ho chiesto in giro ma in paese non sanno che fine abbia fatto.

E io non ho il coraggio di andarla a trovare, anche se ammetto che non riesco a smettere di pensare a lei, sai?

Se sta bene. Se ancora caccia i mostri. Se sa che la squadra per la costruzione della torre è già arrivata in porto. Un po’ mi manca.

Ma solo un po’, davvero.

Fine Capitolo 2 34


Diane, mi sento solo.

Ormai, di gente da queste parti ce n’è tanta. E dovrei essere fiero che il mio lavoro finalmente abbia preso piede e che il cantiere avanzi spedito.

Lo so, è patetico. E anche infantile.

E decisamente non posso andarlo a dire in giro, per questo te lo scrivo.

Potrei farmi amici gli operai, visto che la popolazione locale mi ha sempre guardato con sospetto. Il problema, e mi costa ammetterlo…

È che mi manca Rebecca.

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HARPUN Capitolo 3:

Dove Joshua e Rebecca fanno pace, la torre viene costruita e tutto il villaggio ne paga le infauste conseguenze 36


Lo so, se prima ero patetico adesso sono il campione mondiale pesi massimi cintura nera decimo dan del pietoso.

Era pazza, d’accordo. Andava in giro con un arpione e ha minacciato di sbudellarmi se avessi costruito questa torre…

Eppure, mi dispiace per quella ragazza.

Buongiorno anche a lei…

Giornata schifosa, eh?

Ma c’era qualcosa in lei di… onesto.

Siamo in perfetto orario con la tabella di marcia. Abbiamo già tirato su l’impalcatura e, se i cablaggi non daranno problemi, saremo operativi per martedì prossimo…

Sempre che prima questi simpatici pescatori non decidano di buttarci in mare… e visto come ci guardano, non è un’ipotesi da scartare.

Perché non c’è niente di onesto in tutto questo, sorellina.

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Gli autoctoni osservano con preoccupazione l’avanzamento dei lavori.


C’è tensione nell’aria. E pure tanta.

Il motivo mi sfugge. I piani di costruzione della torre sono stati approvati mesi fa e nessuno si era opposto... o almeno credo. Che l’azienda abbia fatto carte false per questo appalto?

Rebecca era una guaritrice o una strega o un’ammazza-mostri, non l’ho ancora capito…

Ma mi aveva avvertito di non rimettere piede su questo altopiano, e anche se l’ha fatto puntandomi contro un metro e sessanta di acciaio nero e affilato…

Aveva le lacrime agli occhi e sembrava davvero preoccupata per me.

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diane@timedrop.net Prima o poi leggerai tutto (spero) Aggiungi CC

JOSHUA

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Ora, la vera domanda è: perché era preoccupata? Stiamo solo costruendo una torre in acciaio che porterà un po’ di civiltà in questo angolo sperduto! Forse ha paura di perdere il lavoro… Nessuno chiamerà più una guaritrice armata di arpione e tutti si cureranno su Google come il resto del mondo ipocondriaco e civile! Comunque sia, i lavori proseguono e questo è l’importante. Presto potrò andarmene da qui. Presto queste mail ti raggiungeranno. Appena la torre sarà operativa partiranno tutte insieme. Sai che mi ero quasi abituato a scriverti senza ricevere risposta? A quante mail sarò arrivato? Quattro? Cinque? Ormai ho perso il conto. Chissà che ne pensa la tua numerofobia. Che poi tutti la prendono come una scusa quando non vuoi dire la tua età… Se solo sapessero gli attacchi di panico che ti prendono a pensare ai numeri di due cifre! Domani, come al solito, mi toccherà sorbirmi un’abbondante colazione a base di teste di pesce. La padrona della locanda sembra essere l’unica cittadina contenta di quello che sta succedendo. Il suo è il solo posto dove poter mangiare o bere qualcosa prima di dover tornare al lavoro. Credo che stia rapidamente finendo le scorte di un liquore che gli operai sembrano apprezzare e che, incredibilmente, sa di pesce pure quello. Non so dove lo trovi, forse imbottiglia la sua zuppa e la fa fermentare. Ne ho bevuto un dito l’altra sera e aveva lo stesso identico sapore della sbobba che mi dà a colazione! Giuro! Per fortuna mi risparmierò il sentiero delle capre d’ora in poi. Il montacarichi è completamente operativo e quindi evito di spaccarmi le rotule cercando di andare contro la forza di gravità su una pendenza di più del 44%. Speriamo solo domani sia una buona giornata e che non ci siano incidenti… Per carità, la popolazione è stata tranquilla finora. Tesa ma tranquilla. Spero solo che tutta questa tranquillità non sia la quiete prima della tempesta. A proposito di tempeste, pare che a breve cominceranno delle piogge torrenziali. Sembra che da queste parti abbiano una sorta di mini stagione dei monsoni. Ma non è una cosa calda o equatoriale. È più acqua gelata a secchiate dal cielo e scenario da fine del mondo. Non vorrei che ci fossero problemi alla torre proprio in fase di collaudo. Ci manca solo un bel fulmine su quei cavi nuovi di zecca a fare esplodere tutto e a trasformare il mio primo, grande progetto in un monumento postmoderno sulla forza inarrestabile della natura. E poi odio prendere la pioggia, ti ricordo che la mia capacità di buscarmi raffreddori ha dell’incredibile. Farmelo passare è difficilissimo e qua sarebbe impossibile visto che quando metto il naso fuori dalla stanza soffro l’escursione termica che mi precipita nell’artico del bagno in comune. Però poi potrei chiedere a Rebecca di guarirmi… Sarebbe un modo nuovo e interessante per riallacciare i rapporti, smocciolarle sull’arpione mentre tenta di uccidermi per aver partecipato alla costruzione della torre… Vabbè, me ne vado a letto che già ti vedo con il tuo famoso sguardo di disapprovazione. Dovremmo brevettarlo prima o poi, potresti diventarci famosa su YouTube come meme… ‘Notte, sorellina! Parcheggio anche questa mail in posta da inviare e mi preparo per dormire. Sarà una bella soddisfazione essere il primo a usare la torre per inviarti il mio diario elettronico da questo porto dimenticato dagli dei del web. Ah, mi ero scordato l’ultima novità. Il mio letto si è messo a cigolare. A ogni movimento la rete cigola. A ogni respiro, cigola. Persino quanto chiudo gli occhi, cigola! Che incubo questo posto… Un abbraccio Joshua

allegati: 3 immagini

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Questa cosa sta diventando ridicola…

È iniziato con un’esplosione fortissima.

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Non so che cosa avesse preso fuoco. Probabilmente uno dei mezzi pesanti.

Invece la gente del villaggio era impazzita. Gli assalti feroci e scoordinati. Cosa stava succedendo?

Quando sono arrivato sul pianoro era tutto fumo e fiamme ma la torre sembrava intatta.

Era un paese in cui gli abitanti piÚ scavezzacollo erano le capre con i loro sentieri montani! Certo, aveva le sue particolarità ‌

Come una ragazza armata di arpione che cercava di evitare il ricorso alla violenza frapponendosi tra le due fazioni in lotta.

Rebecca!

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Gli occhi della gente sul pianoro, Diane. Avresti dovuto vederli. Erano spiritati. Non era una manifestazione contro la torre. Non era voglia di combattere per un loro diritto.

Era follia.

Attenta!

La follia di un mostro trafitto da un arpione.

Ma cos’è… QUELLO?!

Joshua! NO!

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Sono stato colpito a tradimento. Forse con una pala. Non ricordo. Ho un taglio che parte dalla base della nuca e arriva a prendere tutto l’orecchio sinistro e fa un male cane.

Li ho visti chiaramente.

Solo allora, inginocchiato sulla terra dura dell’altopiano, stordito dal fumo, dalle urla e dalla rabbia tutto intorno... Solo allora, alzando gli occhi…

Il cielo era saturo di creature che si contorcevano. A terra gli uomini si agitavano e l’aria stessa vibrava di tensione…

E masse oscure d’incubo fendevano il fumo degli incendi.

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Joshua!

Era come se fosse stato sempre tutto là.

Tutto il marcio, tutto il dolore, tutti i rimpianti di un piccolo paese raccolti per decenni ad agitare le calme acque della baia.

Solo che gli incubi non agitavano le acque. Agitavano le menti. E io sono stato così cieco da non vedere cosa stava succedendo. Sarebbe bastato credere a Rebecca. Accettare la sua protezione.

STA’ GIÙ!

Mi veniva da vomitare. Forse era colpa della botta in testa.

O forse per l’odore di sangue e di bile che mi circondava.

AR

G

H!

Lasciala stare!

E come prima cosa ho tentato di beccarmi una denuncia per aggressione.

REBECCA! L’urlo di Rebecca mi ha riportato improvvisamente alla realtà…

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Non che fosse plausibile essere denunciato in mezzo a quel delirio...

Presto! Andiamo!

E c’erano cose piÚ pericolose che si agitavano nell’aria carica di pioggia.

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Mittente:

A: Oggetto:

diane@timedrop.net Mail di corsa che fuori finisce il mondo Aggiungi CC

JOSHUA

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Diane, ti scrivo di corsa sperando che, se le cose dovessero andare male, almeno ti arrivino questi messaggi. Sì, ci sono gli incubi. No, prima non riuscivo a vederli. Sì, finalmente li vedo anche io. È la torre. È tutta colpa della torre. Rebecca ha provato a spiegarmi ma non ho davvero tempo di scriverti tutto. Devi fidarti di me e cercherò di essere il più chiaro possibile. In due parole, la torre ha creato lo stesso effetto di un sasso lanciato in uno stagno. Solo che sull’altopiano non c’era acqua ma una specie di ritrovo per incubi solitari. Non so perché adesso riesco a vederli anch’io. Forse la torre, con la sua particolare struttura, ha alterato le proprietà fisiche dell’altopiano. Magari funziona come un catalizzatore. È risaputo di alcuni luoghi geologicamente interessanti che alterano alcune proprietà fisiche e magnetiche nelle loro vicinanze. Potrebbe aver reso più densa la sostanza di quelle… cose. Da forme prima vaghe, sono diventati sempre più definiti. In realtà, non riesco a descriverteli bene. Assomigliano a un banco di similpesci e… anfibi sfregiati… e robe… non meglio identificate. Sono come un riflesso, non riesci a scorgerli se li osservi direttamente, ne percepisci la forma solo con la coda dell’occhio. Se poi provi a fissarli i loro contorni mutano come le macchie dietro le palpebre dopo che ti sei sfregata gli occhi. E svaniscono. Adesso siamo con Rebecca nella mia stanza. Fuori diluvia. Ci siamo medicati i tagli e le contusioni. La locandiera non voleva neanche farci entrare ma alla fine si è convinta. O apriva la porta lei, o avrei spaccato i vetri della finestra con l’arpione. Per fortuna pare che l’epidemia ittica non abbia contagiato tutti nel villaggio e la donna è stata ragionevole. Nessuno però sembra disposto a salire sull’altopiano a fermare la follia che lo sta consumando. Rebecca sta provando a bendarsi con una mia camicia che ha appena ridotto a strisce di stoffa… Ok, me ne rendo conto solo ora, sto scrivendo roba da pazzi. Fuori c’è un temporale. Dei mostrincubipesci stanno volteggiando sull’altipiano dove c’è una rivolta dei paesani che ha portato allo scontro con gli operai. Rebecca dice che è per colpa della torre che ha eccitato le… le robe ittiche. Come si faccia a far stranire un incubo, non lo so proprio. Ovviamente, Rebecca insiste nel voler tornare sull’altopiano per cercare di fermare qualunque cosa ci sia lassù prima che si scateni l’apocalisse. A dire il vero, “apocalisse” non l’ha detto. Ma se vedessi la luce degli incendi e il fumo che si alza in cima alla scogliera mentre i lampi rotolano tuonando sulle nuvole basse, la penseresti esattamente come me. Rebecca dice che dobbiamo fermare tutto prima che gli affari tentacolati si disperdano. Non ho la più pallida idea di come riuscirci, però. Ti scrivo in preda all’ansia, me ne rendo conto da come mi tremano le mani sulla tastiera. Se mi dovesse succedere qualcosa… se la torre dovesse entrare in funzione e, a quanto dice Rebecca, scatenare una reazione a catena… spero che questi messaggi ti possano arrivare in qualche modo. E ricordati sempre una cosa. Ti voglio bene, Diane.

Ma non l’ho spento!

Muoviti! Stiamo perdendo troppo tempo!

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Quindi fammi capire. Torre spenta, bene. Torre in funzione, male. Essere toccato da quei cosi, male. Arpionare gli schifoidi, bene. Ho capito tutto?

Esatto. Ma quanto ci mettiamo a salire? Facevamo prima a piedi…

Certo che se cadiamo da qua, prima ci sfracelliamo sugli scogli e poi finiamo direttamente in mare…

Ma no! È solo che non mi piacciono le altezze… e i mostri… e in generale tutto quello che sta per accadere. Sono allergico a possibili eventi traumatici… un po’ come al pelo dei gatti.

Paura? Tranquillo. Non ci saranno gatti.

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La torre… è accesa, vero?

Quasi… non capisco perché ma hanno messo in moto i generatori. Tra poco sarà operativa. La sai spegnere? Posso provarci. Bene…

fallo!

Corri! Ti copro io!

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Spegniti! Spegniti!

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Joshua!

Ehi… anf… anf… ehilà.. anf… È… anf… è fatta, no?

SPEGNITI!!! Grazie. Davvero.

È che gli incubi ittici non sono proprio… anf… la mia specialità, ma sono contento che noi… anf…

Sei stato bravo. Non rovinare tutto parlando inutilmente.

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Reggiti!

AAAAAAAA

HHH!!!

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AH!

Rebecca! Dobbiamo scendere! L’ho preso! È ferito!

AAAHHH!!!

L’arpione!

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NO!


Mi dispiace…

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“…e anche se una ragazza armata con un arpione…”

“…che salta di tetto in tetto poteva risultare bizzarra…”

“…l’unica cosa che ho detto è stata...”

bello!

Fine Capitolo 3 54


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Salve.

Buongiorno, siamo qui per le cose di Joshua S…

Ah, sì? E il conto di quel signore? Chi ci pensa?! Mica è da gente seria che si lascia il conto da pagare così!

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Siamo qui per saldare ogni possibile pendenza. E per recuperare gli effetti personali di Joshua.


Fratelli.

Siete parenti?

Maggiori.

In questo caso… Ecco qua. Non potevo mica tenere la stanza occupata!

I soldi sono… giusti. Esattamente la cifra che mi dovevate. Per lui e anche per i pasti di quell’altra.

Bene, ecco fatto.

Ma… e il resto della roba?!

Bruci pure tutto. Grazie.

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Abbiamo recuperato il PC dalla tenutaria della locanda. È in viaggio.

L’acquisizione degli impianti e delle frequenze di trasmissione è andata a buon fine.

non basta. Abbiamo bisogno di una maggiore copertura sui media.

Ottimo, fammi portare il PC appena arriva.

La prima udienza dell’antitrust per monopolio nel mercato dell’informazione è fissata per giovedì.

Offrite il solito incentivo ai giudici.

Triplicate l’offerta. Non ci possiamo permettere un ridimensionamento del network per colpa dell’antitrust.

Il pacco le verrà recapitato al più tardi domani. Signore, i magistrati sembrano... refrattari... alle nostre offerte.

Devo esaminare quel PC prima di chiunque altro, chiaro?

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C-chiarissimo, Mr. Moses.

Che spreco. Saresti stato un esemplare perfetto se non ti avessero menomato con quell’arpione‌

Scacciateli. Tutti. Questi incubi ormai sono inutili.

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Capitolo 4:

’

HARPUN Dove si scopre cosa e accaduto a Rebecca e Joshua e nuovi avversari si preparano a colpire

-

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Grazie davvero per averci ripescato e per il passaggio.

Si figuri! Come dico sempre: “mai naufrago, mai vero marinaio!”

Attento solo a non scivola

Sto scivolando! Sto scivolando!

Grazie ancora!

La smetti di fare l’idiota?

Muoviti. Dobbiamo ritrovare l’arpione.

Ok, ma prima...

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i a n e s uto ia- mol com fort sua e a u to lo D r e a , à r e t ì os . e t an l p a, so na os on e cit ti, p par pied prio e c n “M t r o a u n in o ia r i e e d ett ecca uove sui t usa marc rda p rat lett to in lerci d e p t a c l u u s ri a ho eb i m on ua vo rec rop ò t be Le Ma R a. S e. N dere giù d n li g tti e p opier treb t e s o i o e . l a e n h t c ne ress zo era pa o c utta fori po t in faz na v che che e a ei o int veva dovu ha b sem u t è d t i e o o su on è ome atto mu ma h e ch cca r lo vo re. N ia, p . Il f , rson ebe l a n pe R ? o a ngia ofob o PC hé gio riv a i tre perc ag sc a m graf el m ti. l l i i t i d pun il v tua so ia, mat p TIR nto e s fer ta la sses do a u u i g n o nq iamo Vis rag pre mu np ho Co ci s arsi. tro i tivo i u p o n ve nc do nti s a rie to m co di cose. Rebecca pu pen ues e p r ggio a prendere le mie a ap to i mal lui! volevo tornare al villa rq Io ficcato in un a con 2 e l e ion arp i c suo il es ant cati ma o’. P ire il mostrone che ha egu chia non le ins p vec eva la vol se a, l e and p i i ion ipes con e sono ancora alla loc cos d mie un Le to un tuffo r . z fat hio r o occ iam co po i ha ente gila mail del perché abb i ri ella tate (raccontare nel one, del perché d o but str ha i c mo T un r ra c’e c t ché o , pelle, del per che 1 - ello d cco ro in mos ttat in mare da lasciarci la della fortuna sfacciata ntato in un occhio e Qu re? E nost n un a bu ione pia e sve ion o arp son un a, ha null h scare. Io non ricordo ma po il e co e ci scriz pe re dettagli a iamo avuto a farci ripe ede abb chi Da h o to. e e u ven spa d la r D orr o c n ito per lo l t no e( nuto praticamente sub la tesc rup o da ane . ca) l i n bec a Re l ga dal e vo ò D ). n incubi. Per questo sia giù stro sen ente saper rintracciare gli i , ma non la de 3 - Rebecca dice di pie o tev met mo fare ce n ci un po’ che non mo finiti in città. Era te ne stai a casa dei da capis . Beata te, Diane, che rca spo ì i cos vo rda rico c nostri in campagna. mio bancomat per ho provato a usare il ta dalla sal4 - Arrivati al porto, 6La carta era mezza stin ritirare del contante. gua Il po per recuperaivi tat ten te set ato sedine e ci ho impieg nut rdato sto h a i di s re del denaro. con torto un ve nes , po cch 7un fast food a io sio i 5 - Adesso siamo in min Vole ne. mi ha PC. v er! Siano lodati u urg mb o Ha t G . E are chi mangi che i so scr li h mi e n s HO CHIUo i h IO , v dei v o a d to tutti gli ole per vo erti ett il pr chies v CON LA ZUPPA DI t SO che stud o alle lati q una o e o z di n z p s i u PESCE!!! (ma finito del non arla m garti. ando rima on o di t e pot l riem re evo per sempre, me a soc fosse eglio Mi h Rebe mail, g p pirg ast u n . a i co sarlo eh!) li l’ ran te su ietà, porn Il tip chie cca h iusto o . h o M s d l mp ard non o ch lo sc ose . Tra del to d a vis per d leti Il tipo d t s i h r irt isk o le is . e ti h e il s p di f er di mi ha o s nero rmo u Rebe jpg r toran caric le fot i che oto eci are cca igu nc crit 8te od sta d e a è a e to e ll v r por miFor Rebe nes o sch ppello ha pr danti pass ingra ll’inci o ben no. s e d c a e s e e n s l d e c ’ t dar una rmo .è inc ou nte , m ab o u dire aè i a i n d o a u n m n c s o e n s id asc p spe p ail. tre o icu n ac g e ond ball e ennar te, c aio d ni sin n la t ieci acc rduto anni osa ra di i vo en gol orr ess dei ello v a f e o ’ a v e a l è c e le e . che ltell baf e gl imm e una te a arm per d Non chia, r già i f t c ag n i h rac o a d del f pot on i al i più cap risa vist ce inti. ise pre ntroll ine evo ne la g len o il isc i H n d g s ar s t o i in n o in sap ape ola e t chi spen ato d idente e vo imp cogn cosa a più ipo. F ere 9o t i n i r s r t o o ov ci e ien che di tro o. rs acc Reb . E tutto ttaera te d visan Reb poss tre a e al e cco i ni ecc a e villa do nni s vis ender cca m a n e s to u dat g a per pee n f i ché o n te. H n’arm non sere a. M gio. E Dic la fo lo sc ha c an r. a s el v re o r h e t illag visto con i è co dato Mos a un anc che o di Mermo. duto l’in es tu .M mun ha g a he O M o i c o f ose art que are era rista. non a g un s ses, ra d a il da o già s o t r i t e d n a i fid b uris d u Ov perce nde sto s ice c biam po de ta? na so elle p ata quel p miliar vio dis os pis h e l a e e n l l o a t so tan èf ca ca che che ser vol atin ha c osto ta e. erc ci p la p o lei za. L per q onda ppare le ci L i nv ato ues men vis eh erc erc a c guar ita e ho to o e t t epi mia giur di 10 rà. pisco che dett e cos ale re ercar da ma ! -I e o n l Ot e c a Co ato del tim o. Q ndia sorr , che uper l’arp e e te c me mo le p oltel arlo ion uin o i d m . è e o li di c e n in a a . chi i sa cac do ch grad Dice . Reb che p rur tatin impro ci e o e rà o dol gici. e ta vvis un a. Mi sper di p di pot cca, ssa r ore No glian ati f dop avo erc gig ie . h ns r a a o lo ant e o ent com tti c esc guard che g pire u ritro ave i ne e b on l r v a n o l i a anc istu ’inc r in i mo to s art str eria cubi ncubo e. ri he o o . o!”

m gia

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Forse è il caso di tornare indietro.

Fa’ silenzio. Ci siamo quasi.

E poi come sai che siamo nel posto giusto? Voglio dire, quella specie di cetaceo era gigantesco. L’avremmo già visto se fosse da queste parti, no?

Ma dove siamo?!? L’incubo con il mio arpione è scappato da questa parte.

Ma perché venire qui? L’ecosistema della città è alterato... Gli incubi si comportano in maniera strana...

Che c’è? Che ho fatto adesso?

Rebecca, cosa avevamo detto riguardo al farfugliare in mezzo alla strada?

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È uno di quei cosi? Ce l’avevo addosso?!? Sulla spalla, vero?!

!

es Yik

Calmati...

Li vedevo!

Sulla scogliera li vedevo!

Joshua, sulla scogliera c’era la tempesta e la torre era in funzione e...

Devo solo concentrarmi...

Lovedo! lovedolovedo!!!

È un becco quello, no?

Come sarebbe a dire?

Sì! Se tengo la testa così riesco a vedere una forma con un becco...

Però! Non male... 64


E quello adesso lo vedi?

AH!

M-mangiando?! Ma forse è il caso di chiamare i pompieri, o la protezione civile... O greenpeace! Magari è una specie protetta, eh?

Ma è sempre stato così grosso?! E che sta facendo?!

Sta mangiando. fa’ silenzio! Non ci ha ancora percepito, sembra ferito...

Sta’...

E adesso?

...GIÙ!

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Il piano è semplice...


Distrai la guardia!

Uhm?

S-salve... ehm... credo di essermi perso...

Stavo cercando... la metropolitana! Una fermata, della metropolitana.

Va bene una fermata qualsiasi...

Basta che ci sia la M grossa sull’insegna e a me va benissimo!

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Va bene, fermo là. Non un passo in più!

Si allontani. Non può stare qui.

No! Voglio dire, sì! Mi allontano! Se mi indica una metropolitana così che possa allontanarmi verso... tale... metropoli...

Oh, no!

TI HO DETTO DI ANDARTENE!

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AAAAAHHH! Rebecca!

Non lo vedo più!

Rebeccaaaaaa!

Gggghhhhrrrllgg!!!

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Tienilo e fagli aprire la bocca!

AAAHHH!!!

AH!

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UFF!

Non mi ci abituerò mai... M’è venuta fame. Andiamo a mangiare?

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Zuppa

di pes ce

.

Perch

é?

Pensa vo di es stess ero. P serne fuo ri. “Ti fa en “Raff bene. savo che Pensavo orza ch tutto il A l’orga iuta le dif mondo fo e gli incub s ese d nismo i “E po ella m se più gius non esi” ha i è bu detto ente to. ona” e . ha ag del co giunto E io, rpo” d ha de con u sieri, opo aver lo tto. n s orriso che h t t a . to co o fat Non s raggio to? D o nea same ove m Broda nche nte c i c g ontro E no, lia Sorrid ome si ch sono fatt un o ente. iama Diane quest portare a capodog Non è . lio di o cena per n p o s bru t o ma s iente l’ho a econdo te tti pens a p o A volt rita n ppena , é sor e vor ribatt Diane? rident r prefe ezzat risco ei poterti e la lo o La c e ro br E il s odagli uo ap vitare. So hiamare pe petito a r mostr c . s h foga e ap . o scogli ne ma si v E, soprat prezzerai. rmi un po’ tu e ede c C ma vis affam ra, ferito he no tto, ha co omunque e affa ata m n era sia, R ta la tua ntinua t camb i mato, un ar e iato d ha un po’ gome to a chied becca ha elefonofob non è nto in ia iscor ermi d s r itrova c s o t s a so. so ma to po teres to il s sante i Moses. i u Quind Rebe uo ar Io inv . Mi h cca h na preda i, Mo pione ec a det s a liqu così Sta t to so e le ho ch . idato diffic raman es. ile. L’i lo che iesto il tutt di Mo do qu dea d del o con se alc i una lontano d un ge coinv s. Roba d osa. Reb alla c o olto.. s e a sa co to va c r c a a m , . ponie go de non M m mio PC Insom ri d lla ma e quella m o . no e do. M O quanto a, tutta ro ’incubi o d ses. O me ha glio, R a Reb ba da a scia meno eb ec posto m c s sperd ca non vu u un telefo ui vorrei s ani multimil ecca sta t trama ole. O anche ut ionari, no. O are lo nd n a me. o tra terr a e m meglio, vuo un FAX. In tano. E vo sempre ch o qualcos magn e Mo ate d Non riesc are c s le r o r e m p i rima c ma, v r ses s a sulle tra he ch ella c o a im iu Rebe s c orre ire apir ia me om iam m cca. La su unicazion aginare un a casa. E e cosa c i poter co a rimetter realmente sede e deb i face e le m a idea munic ffettiv singo centr b s a a a lo s a s a n re e m a le dell i Ehi, il a a com rebbe que nche solo motivo vali ente, il du il mio cap con il mo sul piano nlla di o in q bbio p è certa sta v andar sapere de do per cui u mente di Rebec agnia e di e l enend ll’esis e a un mu ca! Io ch t sono ten o ltim lo so iederglielo chiedere sicuro empo per un ap za del villa ilionario noi. R che n dirett . Vuo perch p g o ebecc le inc untam é... gio d amen n f u n i ontra te. a ha zione ento rlo ma qu rà alla non r alche stra mai! Mos Comu iesco es no na ide nque n avr propr sia, p sede à io a im a in testa er ad de , ne esso magin non h ll’azienda s a embra rne il o per potre so il che l’ bbe a PC n lavo abb ver uo Cena vo visto c ro (effettiv e i suoi ris ia dissuas he il m a, an finita volti amen ch p . t io è r il con Il sim imast e dovrei c ositivi. Ch e se la git to e p a t ic issà, o alla mi ha hiama o pad a alla do un ma rli...). gua ron loc a E mag gari scop avreb tovagliett rdato male e del loca anda. a le a di c r be do i , quand mi da ro che ovvia ar vu A me nno a no ch to buttar ta non im o ha visto mente ves nche m e e n tito a la tov un agino No, n c ll a on vo on le riut omunque a p g r m li o e prio c arinar tta t ilizzi.. a fine glio n dove utta ome p a , . eanch pasto c dormir i sc ha po ossa e ... e sta Senz rt averg ritta. Cer notte pensarci. a m li rovin to, es ato Pago . O den ostri nell sena t e o ’arma c q tro i e u r a c lc o di t dio osa c c ritrov rovar he ato il assetti de . O sotto e due i c su il che s singo i arra o arpione omodini. P letto. O le n m m e e fuori p di ma ica sul mio a se mi sv rché Rebe l bagno. tto. cca egli letto, stavo o e becco avrà pure Zuppa lta po u trei v no schifo o non erame zuppa nte d che r are afforz a il c orpo e la m ente.

Fine Capitolo 4

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È interessante... molto interessante. In teoria non sarebbe neanche possibile.

Joshua afferma di aver visto dei... come li chiama? “Mostrincubipesci”... ma era stato scelto proprio perché non in grado di percepire alcunché... giusto?

Sì, Mr. Moses.

Ecco, ricordavo bene. L’avevate selezionato proprio voi due, se non sbaglio... eppure, candidamente e in qualche maniera un po’ naïf, il nostro dipendente non solo è in grado...

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Ora, avete la più pallida idea di quanto la cosa mi faccia...

Ma confessa alla cara sorella di aver partecipato a un assalto alla mia torre, distruggendola.

...ARRABBIARE?! Ggghhh ... ....rrrll gg!!!

h... aah gla gg!!! l ...hl

Il ragazzo ha usato una carta di credito qui in città ed è probabile che la riutilizzi, dandoci così la possibilità di rintracciarlo.

Trovatelo. Portatelo qui. E se questa ragazzina dall’arpione, questa Rebecca, è con lui...

...La voglio!

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HARPUN

Capitolo 5:

Dove Rebecca e Joshua incontrano tante persone e si trovano loro malgrado a doverne combattere due 74


Ecco fatto, abbiamo di che mangiare e dormire per un altro paio di giorni.

Se solo trovassimo un internet point, scriverei a Diane. O un telefono per avvertire in azienda che sono vivo...

Meglio di no. Ancora con “meglio di no”? Meglio di sì! Abbiamo recuperato l’arpione, battuto il mostro, che altro dobbiamo fare?

Ci sono troppe cose che non sappiamo.

Senti, abbiamo fatto quello che dovevamo. Possiamo tornare a una vita normale SENZA INCUBI e SENZA ZUPPA?!?

Calmati, stai dando spettacolo. Ma sei te che vai in giro con un arpione...

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Perché il tuo capo è venuto nel villaggio? Perché TU sei stato mandato al villaggio? Perché il tuo capo ha cercato di costruire una torre sulla scogliera?

C’è qualcosa che non mi torna... se il tuo capo era lì per gli incubi, possibile che non me ne sia accorta? Non ha senso costruire quella torre a meno che...

Mi hanno mandato per fare un lavoro... che vorresti insinuare?

Tu non avevi mai visto incubi, vero? La roba mostruosa che cerca di uccidermi da quando ti conosco? Mai visto niente del genere prima della torre.

E il tuo capo ti ha mai avvicinato prima di mandarti al villaggio?

Una volta sola... per “conoscermi”.

Ed è strano?

Cosplay!

È come carnevale ma senza i coriandoli.

Se sei un MULTIMILIONARIO, a che ti serve conoscere uno come me? O chiunque altro? In realtà, adesso che ci penso, due suoi collaboratori mi hanno fatto una sorta di test. Dovevo guardare dentro un rettilario e dirgli cosa vedevo...

Perché chiamarti? Che cosa voleva sapere?

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E nel rettilario c’era per caso una vaschetta? Con del liquido nero? Una specie di mercurio ma scuro come la pece?

E cosa c’era nel rettilario?

Della sabbia, un ramo e nient’altro. Erano soddisfatti. Poi è arrivato il capo, mi ha fatto gli auguri e mi ha praticamente cacciato dall’ufficio.

Contatto visivo confermato. Si stanno allontanando dal bancomat.

Esatto! Come fai a... aspetta... vaschetta con mercurio nero vuol dire mostri, vero? Serve a tenerne buono uno in particolare. Senza vaschetta, una cozza-aracnoide avrebbe cercato di masticarti i linfonodi.

Vuoi dirmi che il mio capo è una specie di.. di sciamano che tiene dei masticaghiandole nel rettilario sulla scrivania?!

Oh, sì! E credo di capire perché abbia voluto costruire la torre sulla scogliera. È ambizioso. Mi piace. Dov’è che vive questo tipo?

77


Noi non stiamo andando da una tra le persone più influenti del paese per prenderla ad arpionate, vero?

Rebecca, è finita! Abbiamo recuperato il tuo arpione. Abbiamo ucciso il mostrone. Fine! Questa è la città! Non ci sono incubi qua!

E cosa vuoi fare? Invitarlo a cena? Schizofrenia criminale, ma non è pericoloso.

Ma dove vai? Non ho finito!

I mostri sono un problema dei paesini costieri fermi all’età della pietra! Qui c’è il traffico, il tasso di inquinamento e gli hamburger e...

Smettila di dare fiato alla bocca e seguimi. Così vediamo...

...se gli incubi sono un problema solo dei paesi in riva al mare.

Aspetta!

78


Ec sm osì s ia e pre sso d mo s nde a i “gu re parla liti in a i r l me e. d gra rda” nde . M iscors Ogni tro, c sta ag is om vo ci del ncame ttà. U uardo i ha lta ch iamo s f non novan nte. na m cosa erma e ho p edut i t S e ? t r o d C’è e m ovat e ha ne/ gli pi a pe e co ia u m r n a o f i l i o c a a sco e, c cen nità pub loso sol ha d a t f per blicat ia/sti reder o di e un po che ita fa etto: s à u as le à s e m per u u di v stan se fa ’ le pe i tras na da i d n i c t c r E la rend are u soc a/or ame à un rsone ina n o i È c cosa o con n sen al net scop te in lavoro , più to s o o w m o /fr una m ch or se i e c il lo se f spav he e alla g k a c ase a relig e ro se i i oss ent ro com ornat ui si a rguta of cos inalm mond i orm a. a. g e e o a loro Li g grap det cienz nte a non i da u ,D u a.. tat v m n ian ardo. e i ap ’alt ssi ad .e e . . . r pa a ra al m sen E il za ggiun rtene parte i o nuo dro s t , que mio n ghe o un se pi com vo uov s e t ù n ! p o . gua uo ost op U m o n na c vo s Come che rdia a ondo, osto el m ons tat , ond ape o di per Rebe l gabb è sta il mio vol o. ico t c i o n o c ezz cui a p tto los que uovo a i o d s d l l t ’ s o i c i v e n Pri ma idiam ima pe sse e gres di dis ompit s o o far à a o poi lo sc r tutt ntrarc o del trarre in l a rre que i om i co una qu me sta p La re. sta ra artim elli co n un’ tro c .. ast n gaz ent osì nita gente a o. za . c m i P Re i gua rov b ci s ecca o a d rda s me ono i che n ire a trat n na. ropol cubi on i in t a d Provo ai r sti le ch a arr mo p e e iva nea re a r e sce c l ca nde he do polire b e c biam o he. ..

LI VEDO!

79


Sicuro?

È pieno! E sembrano mangiare sopra la testa della gente come al cantiere...

Ti dico che li vedo!

È quello che fanno. Così si nutrono e va tutto bene se non diventano molesti.

In stazione. Apertura porte lato destro.

Ma scusa... e allora quello...

E adesso? Come facciamo ad arpionarli tutti?

Gli incubi non sono tutti malvagi. È un ecosistema che trova il suo equilibrio nell’incontro di varie idee. A volte vanno eliminati perché pericolosi, ma non sempre!

In stazione. Apertura porte lato destro.

E chi ha detto che dobbiamo arpionarli tutti?!

80


Il tuo capo ha sottomesso alla sua volontà gli incubi di questa città e controlla i brutti pensieri di migliaia di persone. Ecco perché l’ecosistema è alterato.

Solo alcuni di noi possono percepire quello che mio padre chiamava il metafisico e ancora meno possono interagirci. Chi ci riesce, ha potere. Può piegare questi esseri alla propria volontà.

Tuo padre... non ti ci vedo proprio bambina...

Ahia!

Infatti sono nata da una roccia spaccata da un fulmine... continua a osservare. Che vedi?

In stazione. Apertura porte lato sinistro.

C’è una specie di buco... Come se gli incubi evitassero quei due...

Sono loro, i tipi del rettilario! Facciamo finta di niente!

Ci stanno tenendo d’occhio da un po’. Speravo te ne accorgessi prima o poi. Ci hai messo solo quaranta minuti. Pronto?

81


A far cosaaaaaaAAH?!!

Ah! CORRI!

Di qua!

AAAAHHH!!

Eccoli!

82


Vogliamo solo parlarvi, ragazzi.

E di cosa?

Solo parlare, davvero.

Solo parlare? Ma allora...

Ah, sĂŹ?

AAAAAHH!!!

RRRAA

83


AAAAAHHH!

84


Non li vedo!

Non li vedo!

H!!

AAAA

AAAAAHH!!!

aaaAA

DEVO

VEDERLI!

Devo vederli!

Devo vederli!

AAArrgH!

Eh?

Ah!

85


Ma che schifo!

Sono... morti?

questi due erano deboli ma lui... I suoi incubi sono potenti se hanno scacciato e ridotto in quello stato il mostro della scogliera. Forse ho un piano ma prima...

Svenuti. Il tuo padrone deve essere davvero potente se è in grado di influenzare così il piano materiale. Questi due erano corrotti dai loro incubi fino all’osso....

Colpiti gli incubi, il contraccolpo è troppo forte per i loro fisici debilitati.

Ma cosa stai cercando?

86

Ci facciamo una zuppa?


La rabbia... che sentimento curioso. Così difficile da controllare...

Eppure così umano. Mi affascina cosa possa far fare la rabbia a uomini altrimenti miti... e cosa è in grado di far fare a uomini come me.

Ma non è più tempo per la rabbia. Quella ragazzina, quella Rebecca, verrà a cercarmi. E noi saremo pronti, non è vero?

UUUURRRRGGH... Quando domani si presenterà alla reception, mandatela subito da me. Sono ansioso di incontrarla.

Fine Capitolo 5 87


Mi sa che la zuppa di pesce funziona, c’è qualcosa lassù...

E che faresti Rebecca! Potrebbero arretu? Aspettare starci se ci presentiamo coche costruisì, senza aver chiamato, senscano un’altra za un appuntamento... e torre in centro con un arpione affilato città? E poi te l’ho e pericolosissimo. detto, ho un piano...

Benvenuti. Mr. Moses vi attende. Di qua, prego.

Joshua?

Eh?

88

Stai sbavando...


Un’ora . Stiam o cattivi fossero aspettando d a un’ora sciama no malv meno impegn . Pensa ati ag re avan v ti la ba io multimiliona ma evidentem o che gli stre racca. goni rio, hai e ha con Il fatto fermato il tuo b nte, se sei un c el da fa visto q o t uello ch utti i sospet he Moses ci re a po ti di Re s e era s rtadi tant becca. tesse aspett u o nean ando che me ccesso nel v icolo, n E, a dirla tut . ta on ha s Rebecc orpreso , a più e ha de si è seduta a terra tto che , arpion dentem non pe e ente il nsava posato mio di e si per fa s rsi perc capo si sent ssere così fo ulle ginocchia richiam , e e p t ir ro e p e richia po sicu rtunata. Eviare chi, marIi. Q ro. Ha Io ho p non mi detto c uando rovato ha più ho he ora ris a le, non doveva ho vist vedere se c’e posto ed è ri chiesto chi p solo co o granc masta rano d e egli inc n così. Im rcepisse cos hé. L’u ubi ma, fficio in a e co centrarm Mentre o b ile sa dov . a parte cui sia venivam esse mo sem aver ris ro esse o Rebe bra pulit chiato c rc una pa o. detto d i dei problem ca mi ha fatt ralisi fa o delle i, devo i evitare cciaraccom scappa che no il conta an re n di prov va, una sensa tto diretto c il più lontano dazioni. Mi ha are a in on gli o zione a possibile d etto ch terrom cchi di chiedere senza e, se d pere la nomala come Moses spiega troppo linea vis e se ve guardarmi ind ovessese sop freddo iva con ravvivia zioni. Mi asp d ietro. M o o s o ettavo e mo” o M n t stato c i ha to che ro oses, d “solo s come a osì. c i non fa ppo caldo o e offri l solito una ma ’è qualcosa rm i la cena p u iù n no into a Rebe vedere . Zuppa rp Mi ha ra da lui. di pesc cca tutta “s Ho pro idita, c e. E no ta’ zitt vato a del male contato che o n ” fare qu esiston o a d “ fo a rs lt ella fac re pers Dalla d o perso cia” ma e dopo, on ist n non è di noi n anza o vicina e. La base d e che posson i tutto on pos o cont nza de rollare lle pers s è che n viaggia gli incu one a c oi, vole no, si in ono staccars bi. E p nti o n ui tenia i d c combat ossono ole m tendole ontrano, si m agli altri sen usarli p za soff o, dai loro giu nti, siamo in o . contro er far rire in d llarci tra E i nostri so ltiplicano, si iz i, dai loro fluenzati dag qualche scontra gni, i n mite qu mangia li altri. g ostri in m e n s o re, chi elle ide o t d , i. o v . Le id Anche engono cubi, c e, prov o cosa tiamo m e i più fo e, uccise rescon ano a in am a diffic rt o con da altre le nostre e flu ilmente are, chi o co suo va noi e c quelle a i idee o sa fare enzare i nost ntaggio restiam i influen ltrui, d iv e ri m n o m c tano p ed zano. In con un o bene o in iù forti po’ di a è stato brav differenti. M a odiare mportamenti. molti p oses l’ o a so rovano iuto... Arrivan . E noi ha fatt pravviv Poi si è o a a p v e o rf lt ere alle in o e acce interro Ci sto ttiamo, o a dirci cos sue ste per anni. Ha tta, era pensan a distort a volte sse ma vamo a do da multimili o cc combat rrivati allora on alla sed hinazioni. Sa questo mecc in cui q ario sulla com , Diane, e fo anismo rà un o e di Mo rse ci uei due unicazio a sso du ses. sono a nel vico condizio ne cos ro , rr m iv a lo t ato. La ru n forse usavan assolut i pietose del torre s o gli in ito sui sogni mo o cubi, i e sui b u continu rutti pe lla scogliera, zare le sui propri inc stro della sc i ri ns un impe o ubi. E c pe ro redo pro gliera... Mose ferimenti di R ieri di milioni subisco rsone. È dive di s ha co ebecca n p no sen rrotto all’ecos persone, il m za acc tato indiretta rio che li abb È spav se stes odo ia usat orgerse istema mente entoso so fino i per c padron alterat ne men ... L’ho de acciare e delle o zogne ad ave tt e coerc re un c , le vite de le altre alla fine o a Rebecca gli altri ontrollo izioni, s idee e ch ci sei a . p enza n Mi son rrivato e si è alzata, eanche Di milioni di m er influeno sent . Bravo m e s i n a h t p a i e it c so re di n ”. E il s o Che po on ess he uo brav rriso e mi ha tere ch felice... ere libe o, la su d e ha M ri. a appro etto: “Ci hai oses! vazione messo Devo re un po’ , mi ha cupera nno infl ma re il mio Devo ri uenzat us PC, de o. vo non tut cire a capire come ri recuperare i ti gli in cubi so dati su esce a l’unica lla cos no da soluzio truzion uccidere fare quello ch ne sia e e fa. R la disin ma cre ebecca della torre. do pro festazio ha dett p rio che ne. o con qu elli di M che oses

Mr. Moses vi aspetta. Da questa parte, prego.

89


Joshua...

Anche lei, eh?

Da questa parte, prego.

PerchĂŠ? Volevi invitarla a cena?

Certo. Lume di candela e zuppa di pesce per due.

Avanti, mieI cari, avanti...

90


HARPUN Capitolo 6:

Dove gli incubi servono a lottare e dove un PC rappresenta molto di piu che una semplice macchina

E siate i benvenuti!

91


Joshua, sono contento che tu e la tua amica ce l’abbiate fatta. Abbiamo recuperaTO i tuoi effetti personali e abbiamo estrapolato qualche dato dal tuo PC...

Ecco. Grazie. Vede... siamo venuti qui perché, dopo l’incidente sulla torre, ecco... Avremmo delle domande...

...E sono davvero felice di vedervi sani e salvi. La storia che racconti nelle mail a tua sorella ha dell’incredibile. Davvero dell’incredibile.

Rebecca, mia cara, siediti pure.

E perché?

92


Noi non facciamo affari con gente come te.

Ma per parlare di affari, no? Non siete qui per questo?

Sicuri? Ho il PC di Joshua, ho le mail che testimoniano un vostro coinvolgimento in un attacco terroristico a una mia proprietà...

Proprietà dEl valore di milioni di Euro. Ma tranquilli, non ho intenzione di denunciarvi. Anzi! Vorrei assumervi! Stipendio triplicato!

T-triplicato?!

Ma certo! Perché far finire in prigione due talenti come voi? Lavorate per me! Potremmo fare GRANDISSIME cose insieme!

Affare fatto?

Be’, Mr. Moses. La ringraziamo davvero per questa offerta... ma, vede, noi...

Scordatelo.

93


Ti voglio raccontare una storia. Uno come te dovrebbe apprezzare. È la storia di una ragazzina che aveva solo il papà. Il papà era davvero speciale. Era un mago e proteggeva la gente del villaggio dove vivevano...

Ma il papà era pur sempre un essere umano. E si ammalò. Passava i suoi giorni a letto, raccontando delle storie alla bambina. Delle storie sugli incubi, sui mostri e su come sconfiggerli...

Perché questo era il potere della bambina. Poteva vedere i brutti pensieri e scacciarli. La bambina era spaventata. Perché non poteva scacciare il male del papà? Perché era la sola a vedere certe brutte cose?

La voce del papà era sempre più fioca. Non era la sola. C’erano altri come lei. pochi, ma c’erano. Purtroppo, non tutti sarebbero stati bravi come la bambina. Alcuni avrebbero sfruttato questa loro capacità per approfittarsi degli altri...

94


La bambina non capiva. E non capì neanche quando il padre morì. Restò sola. Era triste. Il suo dolore prese forma. Lei lo vide crescere. Era un incubo aggressivo e famelico. Doveva tenerlo sotto controllo. Ma era una bambina debole...

Il suo brutto pensiero riuscì a fuggirle. E fece male ad alcune persone nel villaggio. Loro ovviamente non lo vedevano ma cominciarono a pensare che la bambina portasse sfortuna. Che fosse cattiva...

La bambina restò sempre più sola. Il suo incubo crebbe. E fece male, molto male a una persona. Una che non c’entrava niente. Una che soffrì perché la bambina era stata debole...

Allora la bambina afferrò l’arpione che era stato del padre e uscì a caccia. E giurò a se stessa che non si sarebbe mai più tirata indietro. Che non avrebbe mai più avuto paura. Che non sarebbe stata debole. Mai più.

95


Rebecca...

È un no? Peccato. Quella bambina avrebbe dovuto sapere che alcuni incubi sono più potenti di altri...

Ecco cosa faremo. Adesso Joshua esce da qui e poi ce la vediamo io e te.

Scordatelo. Il ragazzo sa troppe cose. Farò sparire le vostre tracce. Sarà come se dopo l’incidente della torre non vi abbiano mai ripescato dal mare.

Che c’è?! Non la faremo certo passare liscia a questo qua!

Senta un po’, lei! Chi crede di poter minacciare?!

Joshua! Nel tuo PC, hai raccontato tutta la storia della torre?

96


Bene, prendilo eD esci da questa stanza. Le storie sono importanti.

Non così in fretta.

Be’, tutta tutta no. Però direi che c’è la maggior parte...

Joshua, caro mio. Ripensaci... posso aumentare la mia offerta. Non voglio farmi sfuggire un elemento valido come te.

Grazie...

...Ma no, grazie.

97

Ragazzi... ragazzi... voi non mi lasciate altra scelta...


HHHH! RAAAAAA

!!

Joshua! Vattene!

Li vedo! Li vedo! AAAAAHH!!!

98


MMMUUU

AAHHHH!

Stupida!

Stupida! STUPIDA

RAGAZZINA!

AAAHHH!!!

99


AH!

UUFFF! Non voglio ucciderti. Voglio solo piegarti per sfruttare il tuo talento. Sai, se avessi accettato con le buone, mi sarebbe perfino dispiaciuto un po’...

Scordatelo!

UFF!

RRRRAAAAHHH! 100


MOLLALO!

Ma cosa...

Rebecca!

Sei venuto a distruggere un equilibrio di secoli con la tua torre. Pensavi davvero che non volessero vendicarsi?

101


Come hai fatto? Maledetta strega!

COME?!?

Hai avuto la meglio su uno degli incubi più forti della scogliera. Gli altri erano divisi, persi. Ma è bastata la mia presenza qui per indicargli dove colpire. Dove c’era da mangiare...

MALEDETTA!!!

Tutto è connesso. Io percepisco loro e li rispetto anche se a volte devo cacciarli. Loro percepiscono me. Ed erano davvero molto, molto affamati. 102


REBECCA!

Via!

VIA!

STATE LONTANO !

103

NO!


Sta’ zitto e... non... mollare la mia... mano!

Dove... stiamo... andando?!

104


ANF! ANF!

Ci siamo quasi!

105


!! ! H A A A H AH AA

Rebecca!

rrrAAAAA HHH!

UFF!!!

106


UMPF!

Bleah! Che schifo!

!! ! H A AAA rgHH

107


Anf!

A chi lo dici... Però ce l’ho fatta... Ho recuperato il PC...

Tutto a posto?

Stavo... meglio... prima...

108


Felice per te. Adesso puoi scrivere per bene la storia della torre a tua sorella.

Be’, mi servirebbe prima capire che cavolo è successo in quell’ufficio.

Ma... d-dove sono?

cch... . . . e . R be..

Mmmhhh?

Non è che l’ultima avventura ti ha fatto cambiare gusti e preferisci un bell’hamburger al posto della zuppa di pesce, vero?

Te lo racconto solo se mi offri la cena.

Scordatelo.

Era chiedere troppo...

Fine Capitolo 6 109


Mittente:

A: Oggetto:

diane@timedrop.net Epilogo Aggiungi CC

JOSHUA

Aggiungi CCN

INVIA

Ciao Diane! Finalmente riesco a scriverti una mail come si deve! Pensavi che ti lasciassi così, senza un vero finale? Senza una bella spiegazione? Ma per chi mi hai preso? Il problema è che ci ho capito poco pure io... Ma andiamo con ordine. Le altre mail stanno partendo adesso mentre ti scrivo. Questa sarà l’ultima su cui premerò “invio” e dovresti avere il quadro completo della vicenda. Immagino che la cosa che più ti sta a cuore sia sapere che cosa cavolo fosse quello sciame nell’ufficio di Moses. È stata opera di Rebecca. O meglio, Rebecca ha indirizzato gli incubi che erano scappati dalla scogliera verso Moses. Io purtroppo non sono riuscito a vedere la differenza, non riesco a distinguerli mai perfettamente. Ma Rebecca dice che a guardar bene le due specie di incubi erano talmente diverse che prima o poi era inevitabile che sarebbero arrivate allo scontro. Le ho chiesto se suo padre le avesse insegnato altre cose, oltre a richiamare sciami di incubi impazziti. Lei ha sorriso. Non ha mai avuto davvero quel potere. Moses era lo specialista nel controllo. La torre sulla scogliera gli sarebbe servita proprio a quello. Per fortuna non aveva calcolato QUANTI erano gli incubi fuggiti dalla scogliera. E soprattutto, quanto erano AFFAMATI! Per il resto, ho dovuto offrire l’ennesima zuppa di pesce ma mi sto vendicando. Sto insegnando a Rebecca a usare un computer. Devo ammettere che è una studentessa scrupolosa, anche se ha ancora dei grossi problemi ad allegare un file a una mail. E temo sempre che prima o poi perda la pazienza e mi arpioni il monitor...

Ecco fatto...

110


Nuovo messag gio!

Come hai detto che funziona questo coso?

Aggiungi CC

Incredibile fratellone!

Aggiungi CCN

INVIA

E io che pensavo che non ti facessi sentire solo perché avevi di della casella mail! nuovo scordato la pa ssword Non vedo l’ora di cono scere questa Rebecc a, sai? Sembra una tipa davvero tosta! Comunque sia, stavo navigando in rete qu ando mi sono imbattuta in questa notizia. Sembra roba per voi due, no?...

Mmmhhh...

Partiamo? Ma come partiamo? E perché? E dove andiamo?

Muoviti... Joshua! Preparati che partiamo.

Harpun - Fine -

111


112


harpun

Diario dei

Mostrincubi


Posolponno

Questo l’ho trovato nascosto sotto il soffitto, tra le travi e le tegole. La figlia di Rachel era nata da pochi giorni e non dormiva mai. La cosa era inquietante. La bimba mangiava, rideva, piangeva… ma non dormiva. La mamma aveva provato in tutti i modi a farla riposare. L’aveva cullata, coperta, scoperta, fatta giocare allo sfinimento, rimproverata, lasciata sgolare piangendo. E la piccola si succhiava il pollice, sudava, rabbrividiva, rideva, piangeva, si disperava. Ma non dormiva. A me, a dire proprio tutta la verità, Rachel non è mai piaciuta. Puzza. E quando passo per strada mi guarda male e ride del mio arpione. Io non sono una che dà peso a certe cose. Ma a Rachel la guardo male lo stesso. Una notte mi ha chiamato. Pioveva a dirotto e il vento faceva infrangere le onde con così tanta forza contro la scogliera che persino le gocce di pioggia erano salate. Arrivo a casa di Rachel zuppa e lei non mi offre niente. Niente tè caldo, neanche uno straccio per asciugarmi. Sono contenta di avere le scarpe piene di fango e di gocciolare sul pavimento. Ma Rachel non mi dà soddisfazione. Ha gli occhi gonfi dal pianto e stringe convulsamente la sua bambina al petto. Le chiedo: “Tutto bene?”

Non mi risponde. Dico: “Rachel? Va tutto bene?” Non mi risponde. Dico: “Rachel, c’è qualche problema con tua figlia?” Niente. “È… morta?” Rachel ulula come un cane sotto la luna e io faccio un salto indietro e afferro l’arpione. Mi spinge sotto il naso la piccola che riconosco subito come degna figlia di tale madre. La bambina puzza. Ma puzza strano. Puzza di incubi salmastri, di alghe e di rimpianti. Puzza di paura del domani. Puzza di quando non riesci a dormire perché tutto ti spaventa e il sonno ti sfugge anche se vorresti solo chiudere gli occhi e scordarti chi sei e svegliarti scoprendo che è stato solo un brutto sogno. Ma non lo è mai, è la realtà che è brutta. È che sei brutto tu.

Ma sono cose da grandi queste. La bambina di Rachel avrebbe dovuto puzzare di latte, non di rimpianti. E non avrebbe dovuto avere quel segno di ventosa stampato sulla fronte. Spingo di nuovo il fagotto che ha cominciato a frignare tra le braccia della madre ed entro nella stanza dove dorme la piccola. Lo vedo subito, incastrato tra il tetto e le tegole. Si muove lento, fa penzolare i suoi tentacoli e se ti sfiora i pensieri non ti fa dormire. È il più grande Posolponno che abbia mai visto. So come cacciarlo. Ma per farlo ho bisogno di un colpo preciso. Salgo sul tavolo, mi avvicino alla bocca a forma di fiore cercando di evitare i tentacoli. Si accorge di me, sa che sto per fare, scappa infilandosi sotto la trave ma non gliene do il tempo. Spingo l’arpione con tanta forza nel tetto da bucarlo da parte a parte. Le tegole saltano via e l’acqua infradicia tutto. Scendo, sporcando di fango il tavolo, e torno da Rachel. Le dico che è tutto a posto. Non mi offre niente, a malapena mi ringrazia. Si sporge dentro la stanza della piccola e guarda il buco nel tetto con l’aria di una mucca stupida. Non si accorge nemmeno che la bimba che ha tra le braccia dorme beata. Rachel mi guarda male. Sorrido e le dico: “La bambina starà bene, il buco l’ho fatto per far cambiare l’aria. Puzza qua dentro!”

Tarcoblaticofa

Sono da sola. Il vento ringhia e strilla e il mare sbatte la testa sulla scogliera con forza, ripetutamente, prende la rincorsa e urla spuma. Sono uscita per fare due passi. L’incerata scricchiola mentre nuvole basse rotolano nel cielo sopra la scogliera a picco sul villaggio. Là in alto è peggio. Il vento potrebbe strappare un uomo dall’altopiano e trascinarlo con sé prima di lasciarlo cadere in mare. Per fortuna, non ho niente da fare lassù.


Penso all’equilibrio mentre cammino sulla sommità di un muretto a secco. Un piede dietro l’altro, con attenzione, per non cadere. L’equilibrio è importante nella caccia. È importante per scagliare l’arpione. È importante per non inciampare durante l’inseguimento. È importante capire che uccidere non è tutto perché loro sono necessari. Servono a uno scopo, per quanto ripugnante ci possa sembrare. Scivolo ma punto l’arpione a terra per non cadere. Alzo lo sguardo ed è là. Non realizzo subito cosa sia. È semplicemente troppo grande. La sua forma oblunga e traslucida si lancia da un tetto all’altro. Striscia come una lumaca, sospeso tra due comignoli con il suo corpo amorfo e gelatinoso. Ha dei petali carnosi e rigidi che gli adornano la schiena. Ho letto solo nei libri di una roba del genere. Un tarcoblaticofa. E da come tiene abbassata la corona di petali spinati vicino alla bocca, ha appena mangiato. Ci metto un secondo di troppo a riprendermi ed è già sparito. Salto di nuovo sul muretto e da là sulla ringhiera in ferro battuto di un balcone. Scruto i tetti ma non lo vedo più. Capisco solo dopo cosa stava facendo. C’è una carcassa a terra. È di un cane. Ha gli occhi sbarrati, le pupille dilatate e la bava si sta seccando sul muso. È Scotch, il cane della locandiera. Mi abbasso su di lui. Gli sollevo la testa e la lingua mi scivola sul polso, secca e ruvida. Non posso fare più niente e mi rialzo. L’incubo deve essere davvero affamato se si è scagliato contro un cane. Di solito, sono più resistenti degli umani. Per stroncarlo a quel modo l’attacco è stato violento. Gli deve aver mangiato i pensieri, per quanto semplici e innocui potevano essere. Una presenza così nel villaggio è pericolosa. Mi volto per riprendere la caccia quando la vedo. È la locandiera. Come tutte le vecchie del villaggio corre a chiamarmi quando le servo e mi guarda male ogni volta che varco la soglia della sua stamberga. La superstizione è una gran brutta bestia. “Mi dispiace...” dico “non ho potuto fare di più”. La donna mi guarda fuori di sé. “Strega...” sputazza tra i denti con gli occhi spiritati. Si abbassa, raccoglie un sasso e me lo tira. Con l’arpione lo faccio schizzare lontano, mi giro e me ne vado, lasciando la vecchia al suo dolore. Seduta sul tappeto in casa, mentre bevo una tazza di tè, ripenso all’incubo, al cane e alla locandiera. E mi dispiace. Mi dispiace non aver potuto fare di più.

Blavileclavo

Oggi fa caldo. Troppo per questa stagione. Le nuvole se ne restano laggiù, ai margini del cielo, mentre il sole picchia forte sulle tegole e sulle teste della gente. Non sono abituata. L’afa mi rende lenta, distratta. E non va bene per andare a caccia. Me ne sto rintanata in casa, le persiane socchiuse nella speranza di acchiappare un refolo di vento ma il mare è immobile, schiacciato da tanta luce, e l’arpione è più pesante che mai. La sera mi faccio forza ed esco. L’unico posto aperto a quest’ora è la locanda, voglio qualcosa da bere e da mangiare. Qualcosa di fresco. Le pietre piatte che pavimentano la strada sono arroventate dal troppo sole della giornata e l’aria vibra a pochi centimetri dal suolo. Nella locanda c’è gente. Ho paura di incrociare la vecchia dopo quello che è successo al cane e quando entro mi guarda male. Non più del solito, però. La cosa strana è che si sente abbaiare. Vorrei dare un’occhiata, ma come? Non voglio insospettirla e mi odia già abbastanza. Però là fuori c’è un cane, poco ma sicuro. E sembra proprio il cane della vecchia. Sembra, perché la testa si è fatta pesante e non sono più così sicura. Ordino da bere e mi siedo vicino alla porta spalancata sulla strada che arde piano piano. C’è gente nella locanda, si è rintanata all’ombra dentro lo stanzone di pietra e legno e cerca il fresco. Ma più persone ci sono, più la stanza si riscalda di fiato e sudore. Non si respira più. Il caldo serpeggia.


Respiro a bocca aperta. La gente strilla. Beve. Discute. Volano parole grosse. Mi alzo. Mi gira la testa. Forte. Qualcuno mi dà una spinta. Non ricordo se è stato di proposito o no. Le gambe non mi reggono. Provo ad appoggiarmi al tavolo ma non lo trovo. Qualcuno l’ha spostato... O forse non c’è proprio mai stato. Cado in avanti e sbatto la bocca sulla panca. Mi rompo un labbro. La botta mi schiarisce i pensieri e afferro l’arpione d’istinto. Adesso so cosa sta succedendo e ho poco tempo. Il blavileclavo allunga i suoi filamenti gelatinosi e li fa colare sulle persone. Annebbia la testa e ti fa infuriare. Gli piace la rabbia e più ti arrabbi più stringe i tentacoli che ti serrano la nuca. Stessa strategia del ragno con la sua tela, solo che i filamenti che colano dal soffitto fanno parte dell’incubo stesso. Adora il caldo e i luoghi affollati. Non capisco quanto tempo sia passato. I tentacoli ormai si sono fatti strada tra le travi del soffitto, nelle fessure del pavimento. L’intera sala comune della locanda ne è invasa. Non me ne sarei mai resa conto se non mi fossi rotta un labbro e il dolore non mi avesse liberata. Se mi muovo, mi ricattura subito. I tentacoli sono capaci di intorpidire uomini molto più robusti di me. La gente litiga ma i loro movimenti, le loro reazioni, le loro invettive sono rallentate. Si muovono in impeti interiori di furia, ma da fuori sembrano ubriachi marci. Non ho spazio per colpire l’incubo, non ho spazio per muovermi. Il dolore al labbro mi ha risvegliato perché probabilmente non gli piace... E allora ci arrivo: il dolore! Afferro l’arpione e comincio a punzecchiare tutti quelli che riesco a raggiungere. Non sarà il metodo di caccia migliore, ma più avanzo e colpisco e più la gente si risveglia e più i tentacoli si ritirano. Finché non lo vedo appollaiato dentro una scansia colma di piatti e bottiglie. Non gli do modo di reagire. Affondo il colpo e l’incubo ritira gli ultimi tentacoli fremendo prima di appallottolarsi e sparire. Mi giro. Nel caldo della sera c’è chi si massaggia una mano ferita, chi una gamba. Tutti mi guardano male ma sono ancora troppo intorpiditi per prendersela con me. Infilo la porta e mi allontano velocemente. Per un po’, non potrò farmi vedere in giro. Risalgo la strada dalle pietre ormai fredde e torno a casa. Il labbro mi fa male ma non riesco a smettere di sorridere. È la prima volta che uccido un incubo prendendo ad arpionate il culo della gente.

Ripedecirchiolaccio

Le pareti a picco sul mare sembrano fatte di ossidiana color cenere e tagliano il vento mentre gli spigoli di roccia risplendono alla luce del tramonto. La scogliera promette che ti farà male. E lo fa. Oh, se lo fa. Di solito cerco di starne lontana. Ma agli incubi piacciono le lame di roccia, fanno il nido e si nascondono tra le fratture della pietra. Nelle sere d’estate le pareti verticali brulicano di brutti pensieri. Sono talmente tanti da scacciare persino i gabbiani che infuriati volano in circolo. Non mi avvicino alla scogliera se non c’è un motivo valido. E anche quando c’è, ci penso sempre due volte. E ci penso anche mentre cerco appigli e mi arrampico su una parete a strapiombo tentando di raggiungere un nido di ripedecirchiolacci. Un nome stupido per degli incubi ancora più stupidi. Sono tutti aculei ma non particolarmente aggressivi. Di solito, se ne stanno rintanati aspettando che qualcuno gli passi talmente vicino da potergli rubare un pensiero. Quando apri l’armadio e non ti ricordi perché ti eri alzato dal divano? Un ripedecirchiolaccio ti ha sfiorato. Sono i principali responsabili dei mazzi di chiavi smarriti in giro per il mondo ma a parte questo non sono poi così pericolosi. Se non fosse che durante l’estate sviluppano una fame bestiale. Si radunano in branchi, delle macchie scure piene di aculei che si aggrappano a posti ripidi come la scogliera. E se qualcuno ci passa vicino, non si accontentano di rubargli qualche pensiero. A volte, prosciugano la loro preda fino a farle perdere il ricordo di chi era o di cosa stava facendo.


Oppure, quando sono in tanti, ma davvero tanti, afferrano chi ha la sfortuna di passargli vicino e lo trascinano lassù, sulle lame di roccia. Le cadute accidentali, le disgrazie, le persone sparite dopo una gita... ripedecirchiolacci. Scivolo con il piede destro e resto aggrappata alla scogliera solo con le mani. L’arpione infilato sotto la maglietta mi sbilancia ma non ho trovato una soluzione migliore. Stavo camminando per tornare a casa quando ho visto qualcosa che si agitava, come uno straccio impigliato tra le rocce. La cosa strana è che si muoveva in verticale. Saliva lento ma costante lungo la scogliera. Sono rimasta lì, a cercare di capire cosa fosse. Una busta di plastica? Troppo grande. Un lenzuolo steso ad asciugare, strappato e portato lassù dal vento? L’incerata che copriva una barca? Poi ho visto le gambe nude e piene di tagli che sbattevano contro le rocce e ho realizzato. I mostri tutti aculei avevano rapito qualcuno e lo stavano portando al loro nido. Sono scattata correndo come il vento sulla stradina di ciottoli. Per rapire una persona dovevano essere tantissimi. Non riuscivo a scorgerli da così lontano ma sapevo che, una volta rubati tutti i pensieri del poveraccio, l’avrebbero lasciato andare e non ci sarebbe stato nient’altro che rocce aguzze e budella sparse sugli scogli. La roccia si sbriciola sotto il mio peso ma continuo a salire. Vedo la macchia degli incubi. È larga quasi tre metri e la loro preda è avvolta in una incerata. Un pescatore? Le gambe che brillano bianche sotto la luce del sole sono però quelle di una ragazza. Forse di una bambina. Ecco perché sono riusciti a sollevarla... Cerco un appiglio più stabile, incastro il piede in una fessura e afferro con forza una sporgenza con la mano sinistra. Con la destra libero l’arpione. Una raffica di vento mi sbilancia e rischia di strapparmelo di mano. La punta sbatte con forza contro la roccia e un pezzo di scogliera precipita giù. La macchia, più in alto rispetto alla mia posizione, si agita e freme tutta. Gli incubi sanno che sto arrivando. Si ritraggono, come formiche impazzite. Non dovevano accorgersi di me. Se si sentono minacciati si sparpagliano e... La lasciano andare. La figura di una bambina avvolta in un k-way mi sfreccia a fianco. D’istinto lascio andare l’arpione e allungo la mano. L’incerata è scivolosa sotto le mie dita. Il peso della ragazzina quasi mi strappa dalla scogliera. L’arpione precipita e rimbalza sulle rocce, risuonando come un gong. La spalla urla di dolore. Stringo i denti, la mano che mi regge alla scogliera sanguina. Sento che la bambina si agita. L’ho presa. La tiro su. Lo sforzo mi costa la spalla. La bambina si sveglia. È ancora intontita ma si aggrappa a me con tutte le sue forze. “Non guardare giù” dico. Sento che le piccole braccia stringono più forte. Ho di nuovo le mani libere. Devo riuscire a scendere adesso. Ho una spalla fuori uso, ogni volta che cambio appiglio ringhio di dolore tra i denti. A metà discesa, sto per cedere. Tremo per lo sforzo cercando di restare aggrappata. La piccola se ne accorge. Mi dà un bacio sulla guancia. Le sorrido. È una bambina coraggiosa. Scendiamo, insieme. Lentamente. Arrivo sulla strada. La poso a terra e finalmente crollo. La piccola si siede accanto a me, le accarezzo la testa e la bimba si addormenta di colpo. Si sveglierà tra qualche ora senza ricordare nulla della nostra avventura per un effetto collaterale degli aculei di quei mostri. Probabilmente, verrà sgridata dalla madre perché si è fermata fuori a giocare fino a tardi. Sorrido e mi rimetto in piedi a fatica. Recupero l’arpione e lo uso come bastone mentre torno a casa a bendarmi la spalla. Mi giro un’ultima volta. La piccola mormora qualcosa nel sonno. Sembra un “grazie” ma non sono sicura.


Scotch

Lo sento abbaiare durante la notte. I suoi latrati sono... strani. Non riesco a definirli meglio. Sono simili ai normali ululati di un cane ma la tonalità è sbagliata. Troppo acuta, come se fossero registrati male. E troppo lunghi, come se non riprendesse mai fiato. O come se quei suoni fossero l’imitazione dell’abbaiare di un cane fatta da qualcosa senza polmoni. La locandiera mi guarda ma sembra non vedermi. Potrebbe essere un miglioramento, dal disprezzo all’indifferenza. Ma il bianco dei suoi occhi sta diventando trasparente e le sue pupille sono sempre dilatate, anche sotto il sole di mezzogiorno. C’è qualcosa che non va. Forse la tarcoblaticofa... Anche se non ho trovato più alcuna traccia dell’incubo dopo quella notte. Ho provato a dare un’occhiata a Scotch ma quando mi sono avvicinata ho scoperto che la vecchia non lo tiene più nel solito pezzo di terra battuta dietro la sua stamberga. Adesso il cane vive in casa con lei. E, quando è alla locanda, si sente ringhiare sommessamente da dietro la tenda che porta in cucina. Ho provato a chiedere in giro ma nessuno sembra aver notato niente di strano. I bambini, però, evitano di giocare vicino alla casa della vecchia. Una sera ne ho visti tre da quelle parti. Stavano parlando a bassa voce di una prova di coraggio. La sfida era di avvicinarsi e di sbirciare dentro la finestra della cucina al piano terra della piccola casetta a due piani. Gli ho chiesto cosa ci fosse di coraggioso. Loro hanno risposto che, quando guardi dentro quella finestra, gli occhi rossi guardano te e ti fanno sentire strano. Li ho rispediti a casa senza tante cerimonie. I bambini se ne sono andati contenti di non dover dimostrare il loro coraggio, occhi rossi oppure no. Nessuno voleva avvicinarsi davvero a quei vetri sporchi. Ho stretto l’arpione e ho attraversato la strada. L’interno della casa era buio pesto. Ho avvicinato il viso ai vetri e mi sono vista riflessa. Ho picchiettato con la punta dell’arpione sulla finestra. L’interno era innaturalmente buio. Qualcosa si è mosso. Sembravano due fiammelle. Non vedevo bene. Le fiammelle si sono avvicinate. Erano due occhi che ardevano come brace. Ho stretto l’arpione ma ho sentito le gambe che mi cedevano. Un ringhio basso, dissonante, ha cominciato a far vibrare i vetri. Mi girava la testa. Era difficile staccare lo sguardo da quegli occhi. Sembravano ingrandirsi mentre il ringhio diventava più acuto. Ho cominciato a tremare. I muscoli mi facevano male, come se un crampo mi avesse afferrato i nervi. Volevo urlare. Non riuscivo ad aprire la bocca. Gli occhi erano diventati più grandi e più brillanti. E poi sono diventati quattro. E poi otto. E poi sedici. E poi ho dato un pugno al vetro con tutta la mia forza. Non so neanche io come ho fatto, ma il dolore alla mano mi ha schiarito la testa. Gli occhi erano spariti e l’interno della cucina adesso era vagamente visibile alla luce della luna. Non c’era niente fuori posto, a parte un vetro rotto sporco di sangue. È passata una settimana e il taglio mi pulsa ancora sotto le bende e afferrare l’arpione è doloroso. Di Scotch non c’è più traccia. La locandiera ha ricominciato a guardarmi male e, ogni volta che ordino una cosa, sono sempre l’ultima a riceverla. E solo dopo avergliela chiesta tre volte. Sembra tutto tornato alla normalità. Ma io so che non è così. C’è qualcosa là fuori. Qualcosa di antico e violento e che non ha paura dell’arpione. Qualcosa che scorgo con la coda dell’occhio nelle notti senza luna. Qualcosa che mi dà la caccia. Lo sento che freme nell’oscurità mentre cerca di cogliere l’attimo per il balzo decisivo ma ogni volta si trattiene. Io stringo l’arpione, sorrido e lo aspetto, perché lo scontro è solo rimandato e la caccia appena iniziata.


Gartambegliorio

Mi piace stare al porto, sedermi sulle casse e guardare le barche rientrare la sera. Mi ricorda di mio padre. Mi ricorda di cose buone e tempi felici. Le barche ondeggiano pigre assicurate ai loro ormeggi. Il legno del molo scricchiola e l’odore di pesce e salsedine viene spazzato via dalla brezza. I marinai scaricano casse e sistemano le reti. Persino i rumori sono sempre gli stessi, rassicuranti e monotoni. Messe le barche in sicurezza per la notte, i pescatori risalgono stanchi sulle stradine di roccia che li riportano alle loro case, alla cena, a una moglie, a dei bambini. È un rito sempre diverso eppure sempre uguale. Lo conosco come conosco il mio arpione. E mi accorgo subito che c’è qualcosa che non va. I pescatori stasera sono lenti. Più lenti del solito. Ci mettono troppo tempo per sistemare le reti. Troppo tempo a scaricare le cassette con il pesce. Laggiù una barca è ormeggiata ma i nodi sulle gomene sono troppo laschi e la barca si allontana, spinta dalla risacca, per poi caricare con forza contro il molo che cigola a ogni urto. Mi alzo e osservo la scena con attenzione. Non c’è niente di insolito. Nessun incubo particolare, nessun mostro nascosto tra le sartie. I marinai mi passano a fianco. Nessuno mi degna di uno sguardo. Sembrano solo più stanchi del solito. C’è qualcosa che non mi torna, anche se non riesco a identificarlo. Qualcosa fuori posto... Ma cosa? La sera successiva, sono di nuovo in piedi sulle casse. Il mare è ingrossato ma la scena del rientro dei pescherecci si ripete uguale. Anche stasera si vede subito che qualcosa non va. Le manovre di attracco sono goffe, le schiene più curve del solito. Le reti vengono ammucchiate senza attenzione. Uno degli ormeggi salta. Il peschereccio ondeggia pericolosamente e schiaccia una piccola lancia contro i piloni. Il molo trema con violenza. Nessuno reagisce. Non ho tempo per pensare e scatto. La fune che assicurava la barca è ancora là con il suo cappio. Pianto l’arpione all’interno dell’occhiello e faccio leva scheggiando le assi del pontile. Il peschereccio si muove indolente ma quando tende la fune il contraccolpo quasi mi trascina in mare. Stringo l’arpione e chiedo aiuto. Nessuno fa un passo verso di me. Restano lì, la bocca piegata in un leggero sorriso, gli occhi spenti e tristi. Il mare gioca con il peschereccio e lo strattona. L’arpione mi sfugge di mano. La punta fa saltare un asse ma per fortuna l’arpione rotola poco lontano. Faccio un balzo a recuperarlo mentre il peschereccio, assicurato solo a prua, s’inclina pericolosamente e colpisce altre due barche. Mi avvicino a uno dei marinai e lo scuoto urlandogli di darsi una mossa. Il tipo mi guarda con aria vagamente stupita. Il suo respiro puzza di acido. È un odore forte, pungente. Mi allontano portando una mano alla bocca. Il marinaio mi guarda e sorride. Al posto dei denti ha una specie di insetto dal corpo di gambero. Le zampe dell’incubo sollevano le labbra del marinaio in un sorriso sbilenco. Altre gli fuoriescono dalle narici e le guance fremono sotto i colpetti di altre zampe ancora. Il gartambegliorio. Una vera e propria infestazione. Ce n’è uno, o addirittura più d’uno, nella bocca di ogni marinaio che adesso osserva stupidamente il peschereccio che rischia di distruggere il porto. Non posso sfigurare tutti i pescatori del villaggio prendendoli ad arpionate sulla bocca e quell’incubo è un osso duro. Si nutre di felicità e bei pensieri. Te li ruba dal respiro e ti lascia svuotato, al limite dell’idiozia, con gli occhi tristi e un sorriso stampato sul volto. Mi muovo rapida verso le reti. Afferro uno degli uncini per i pesci e afferro l’arpione al contrario, in modo da usare l’estremità non acuminata. Faccio tre passi verso il primo marinaio, carico il colpo e affondo l’arpione dritto nel suo stomaco. Il poveraccio si piega in due, gli afferro la faccia ficcandogli due dita nel naso e, prima che possa reagire, gli cavo via l’incubo con l’uncino.


Il poveraccio sbianca. L’incubo gli strappa dai polmoni il poco fiato che ancora gli era rimasto in corpo. Il pescatore finisce in ginocchio, respira affannosamente e cerca di mandar giù più aria possibile. Gli altri mi guardano, stupidi. Ricarico il colpo con la parte contundente dell’arpione e affondo con forza. Due dita nel naso e un’uncinata a strappar via il mostro. Colpo. Uncino. Colpo. Uncino. Colpo. Uncino. E così via. Il peschereccio si schianta con forza sul molo. La lancia, compressa sotto tanto peso, si spezza in due contro il pilone. Cerco di restare in piedi. Affondo il colpo nello stomaco dell’ultimo pescatore e lo libero dall’incubo che gli affondava le zampe in gola. Il tipo si piega in avanti e vomita. Mi scanso appena in tempo e mi giro. È durato tutto pochi minuti. Allo schianto della lancia, gli altri marinai si sono improvvisamente ripresi e alcuni di loro già corrono verso la cima per assicurare di nuovo gli ormeggi. In una decina riescono a contrastare la forza del mare e a legare la barca. Il marinaio accanto a me riesce a mandar giù tanta aria da chiedermi cosa diavolo pensavo di fare prendendolo ad arpionate. Gli restituisco l’uncino per il pesce e me ne vado sorridendo. “Ringrazia piuttosto che non ho dovuto usare l’arpione di punta. E lavati i denti più spesso, fidati.”

Ararodecnisa

Il caldo di questa estate si alterna a violenti scrosci di pioggia. Le strade mutano in torrenti stagionali e la furia delle acque si precipita verso il mare. Nessuno esce con un tempo così e il paese diventa improvvisamente tutto mio. Adoro questo tempo. Cammino con l’acqua alle caviglie, l’incerata sopra la testa e uso l’arpione come bastone mentre vedo le luci filtrare dalle persiane sbarrate e sento rumori di piatti e stoviglie che timidamente provano a contrastare il frastuono della pioggia. Persino gli incubi se ne rimangono nelle loro tane o nei loro sottotetti in serate così. È rilassante andarsene in giro con i piedi zuppi senza doversi preoccupare di niente. Cammino per le vie, sbirciando involontariamente la vita che prosegue al riparo dietro le finestre sprangate. Mi tiro il cappuccio dell’incerata sul viso e passo rapida sotto i fiotti potenti delle grondaie. Gioco come da bambina. Sorrido. E per fortuna nessuno mi vede. Ho una reputazione da difendere. Poi il sorriso mi scivola via dal viso e stringo più forte l’arpione e mi avvicino a una finestra spalancata. La pioggia infradicia le sedie e il tavolo di una cucina. Le persiane sono aperte verso l’esterno, le ante spalancate verso l’interno. La prima cosa a cui penso è a un colpo di vento. Uno forte. Una specie di piccolo uragano che ha spalancato tutto. Ma non è possibile. Sul pavimento c’è un lago, il tavolo ormai gronda acqua e le sedie di paglia sono zuppe. La finestra era aperta quando è iniziato il temporale. Faccio un giro della casa. È tutto sbarrato. Possibile che non ci sia nessuno? Busso alla porta. Il vento si porta via i miei colpi. Lo faccio più forte. Nessuna risposta. C’è qualcosa che non mi quadra. Nessun pescatore uscirebbe con questo tempo e da quello che so in quella casa ci vive una coppia sposata. Che anche la moglie sia fuori? Torno davanti alla finestra spalancata. So che non dovrei ma c’è qualcosa che non mi torna. E di solito non mi sbaglio mai. Scavalco ed entro. I piedi nudi fanno piccoli splash sul pavimento bagnato. Non c’è un solo rumore che non sia la pioggia. Chiudo la finestra dietro di me e lo scrosciare diventa improvvisamente un brontolio. Il silenzio in casa è totale. Provo a camminare. Piccole onde partono dai miei piedi e si infrangono sulla porta chiusa. Appoggio l’orecchio e rimango in ascolto. C’è come un russare. Ma a intervalli irregolari. Affannato. Socchiudo la


porta e scivolo nell’altra stanza. Il pavimento è uno stagno. Cammino, facendo attenzione a non fare rumore. Il russare è più nitido, meno impastato con il rumore della pioggia là fuori. E ci sono dei gemiti. Si sentono a malapena, confusi con i rumori del temporale. Ma ci sono. Come se qualcuno cercasse di respirare ma ormai fosse allo stremo. “C’è nessuno?” domando. La mia voce si perde e resta solo il picchiettare dell’acqua che cade dal tavolo sul pavimento allagato. Mi avvicino alla porta da dove sento arrivare i lamenti. La apro con la punta dell’arpione. La stanza puzza di chiuso. Il pavimento è umido ma non è allagato. Ci sono due persone sul letto. Nel chiarore che proviene dalle persiane socchiuse li intravedo a malapena. Sono i padroni di casa. Sono bianchi come cadaveri. Magri che gli vedo le ossa sotto pelle. Respirano a fatica. Sono legati al letto da quelli che potrebbero sembrare rovi spinosi. Per un secondo, uno stupido secondo, me ne resto lì, i piedi bagnati, l’arpione in mano, due quasi cadaveri sul letto e l’unica cosa che riesco a pensare è alla Bella Addormentata. Sorrido. Poi dici da dove vengono fuori certe storie... Si tratta di un’infestazione di ararodecnisa. Fa il nido sotto i letti. Cresce lentamente, molto lentamente. Prima si accontenta dei sogni che cadono dai cuscini. Poi le sue appendici spinate si intrufolano tra le lenzuola, da sotto il materasso, e cominciano a strappare i sogni ai dormienti. Chi si addormenta su un letto infestato si sveglia sempre stanco. Non ricorda mai i sogni della notte precedente e soprattutto comincia a deperire. Quando il mostrincubo è cresciuto abbastanza, il padrone del letto non ha più la forza di alzarsi. Continua a dormire, catatonico, mentre i suoi sogni servono a far crescere e rafforzare il parassita. A forza di dormire e non riposare ci si scorda di mangiare, di bere. E piano piano ci si consuma fino a morire. Non so da quanto tempo questi due sono bloccati qua dentro. Dall’odore e dal loro aspetto è sicuramente troppo. Mi sdraio sul pavimento e striscio carponi sotto il letto. Le zampe dell’incubo mi sfiorano ma non sto dormendo e non trovano niente da rubarmi. Laggiù, sotto la testata, c’è una specie di rosa di carne, vagamente luminescente, da cui partono zampe aracnoidi spinate. Sto distesa sulla schiena, allungo l’arpione e comincio a potarla. Non posso ucciderla subito, lo shock potrebbe essere fatale per i due sopra di me. Ogni colpo che affondo recide una zampa dell’incubo. Ci metto più di un’ora ma più vado avanti più il respiro dei due padroni di casa si normalizza. A un certo punto, li sento girarsi sopra di me. Il letto cigola. Un grugnito e un russare regolare accompagnano il loro sonno. Era ora, ho la schiena a pezzi a forza di stare sdraiata sul pavimento umido. Affondo l’arpione e il mostro si dissolve in un odore acre, come di calzini bagnati. Mi rimetto in piedi. I padroni di casa dormono sereni e finalmente riposano. Domani avranno una fame da lupi, poco ma sicuro. Io faccio la strada a ritroso, ritorno alla finestra che era spalancata. Fuori ha smesso di piovere. Esco da dove sono entrata, accosto da fuori la finestra e le persiane. Quella stanza da letto puzzava da morire. Faccio un bel respiro. E starnutisco con forza. E starnutisco per tutta la strada verso casa. E starnutisco anche mentre mi faccio una tazza di tè caldo. E starnutisco anche mentre mi infilo sotto le coperte. A me e quando me ne vado in giro scalza sotto i temporali...

Sficaramamaggio

L’estate scivola via e le giornate si accorciano. Le notti diventano più lunghe e gli incubi si preparano all’autunno. Diventano più aggressivi, più affamati. Le paure del crepuscolo gli mettono più fame e i brutti pensieri sono lì, in agguato, e ti trascinano giù. Di solito, in queste giornate, spalanco le finestre e mi godo gli ultimi raggi di sole. Mi piace vederlo sparire piano piano, mi piace vedere il colore del cielo che cambia. È uno dei pochi momenti di pace prima della mia solita passeggiata notturna. Appena si fa scuro accendo una candela, una di quelle piccole, e la metto sul davanzale. Esco e la piccola fiamma continua a brillare finché non finisce lo stoppino. Ne accendo una sola, non troppo grande. E non guardo mai la fiamma che danza al comando di venti inesistenti. Non è una cosa romantica, quella candela. È una trappola.


Il tutto risale a quando ero una bambina. Adoravo le candele. Ne accendevo il più possibile e costringevo mio padre a passare tutta la sera al lume di decine di piccole fiammelle. Come non mi abbia rifilato un paio di sculacciate non lo so. E non so neanche come ho fatto a non dare fuoco alla casa vista la leggerezza con cui armeggiavo tra cera e stoppini. E poi adoravo il rumore e l’odore che facevano i fiammiferi quando li sfregavo contro una superficie ruvida. Ne usavo uno per candela e appena avevo acceso la fiamma, lo spegnevo agitando fortissimo tutto il braccio. Spesso non mi ritrovavo più il fiammifero tra le dita tanta era la foga di spegnerlo. Tra tutte le candele, a cui avevo dato i nomi improponibili che può dare una bambina e che non ripeterò su queste pagine anche se nessuno le leggerà mai ma la prudenza non è mai troppa, ce n’era una che era la mia preferita. Era piccola e tonda. Profumava di qualcosa che doveva assomigliare alla ciliegia ma che era più simile a una prugna troppo matura. E non si consumava mai. Non mi ero mai posta il problema. Ero troppo piccola forse per notarlo. Tutte le candele in casa si scioglievano lentamente. Lei no. Lei restava sempre uguale. Potevo passare le ore a osservare la sua fiamma che quasi non si muoveva. Tutte le sue sorelle si piegavano ai capricci dei refoli di una casa tutta spifferi. Lei no. Brillava sempre uguale. Con piccoli movimenti circolari. Aveva la base della fiamma blu, di un blu intenso, che nessun’altra aveva. E i suoi colori mutavano con le ore. La fiamma era gialla, verde, viola. Ero troppo piccola anche solo per sospettare che ci fosse qualcosa che non andava. Con il passare del tempo, però, quella candela divenne un’ossessione. La portai in camera da letto e la accendevo di nascosto, lontano da mio padre, e passavo le ore a osservarla. La sua fiamma, i suoi colori, quel modo tutto suo di ondeggiare... era come se fosse voluto, come se la fiamma fosse viva. Non lo era. Ma era qualcosa che ci viveva dentro. Ho ricordi confusi di quel periodo. Ero sempre stanca, passavo le notti sveglia a osservare la fiamma della candela. A volte, riuscivo a scorgere qualcosa alla base. Sembrava una specie di cimice ma aveva degli aculei sul dorso. Cambiavano di colore e la fiamma cambiava con essi. Cominciai a stare male sempre più spesso. Raffreddore, febbre alta, mal di gola, tosse. Poi smisi di mangiare. Ogni volta che provavo a mandare giù qualcosa di più sostanzioso di una tazza di tè finivo per vomitarmi l’anima. Mio padre era preoccupato, scrutava la stanza alla ricerca di qualcosa che solo anni dopo avrei imparato a cacciare. Il dottore poteva fare ben poco, passava ogni settimana durante il suo giro dei villaggi della costa e mi trovava sempre peggio. Non riusciva proprio a capire cosa avessi. Perché il problema era la candela e il piccolo, misero incubo che viveva nella sua fiamma. Mi rubava il sonno, mi rubava il riposo e mi faceva stare male. Non so quando l’ho capito. Non mi ricordo neanche come lo capii. Mi ricordo solo che passai le notti successive lacerata a metà. Una parte di me voleva solo perdersi davanti alla luce cangiante. L’altra sapeva. Sapeva cosa stava succedendo. Non era neanche un pensiero. Era più un istinto. L’istinto di allungare la mano e di schiacciare tra pollice e indice la fiamma e il piccolo incubo. Ci ho messo cinque notti. Cinque notti insonni. Allungavo la mano, mi bruciavo le dita. A volte ero convintissima di esserci riuscita. Ma la ritrovavo sempre accesa. Alla fine, con gli occhi rossi e le dita annerite, piangendo senza riuscire a distogliere lo sguardo, l’ho fatto. Ho stretto le dita con talmente tanta forza che ho strappato via lo stoppino


dalla cera. Ho spento la luce. E, finalmente, ho dormito per tredici ore di fila. Il mattino dopo avevo le vesciche sui polpastrelli e la candela era ormai inservibile. Avevo smesso con la mania delle candele. Non ho mai saputo come si chiamasse quell’incubo. Io lo chiamo sficaramamaggio ma è un nome inventato. Non ho mai più incontrato niente del genere ma ancora oggi cerco di catturarne un esemplare. La candela è la mia trappola. Ma evito sempre di fissare troppo a lungo la fiamma.

Nenosazme

Sono seduta accanto a uno dei due ruscelli che scendono dalla scogliera. Hanno vita breve, finiscono subito in mare ma mi piace il rumore che fanno scorrendo sull’acciottolato di piccole pietre levigate. Penso di essere l’unica a cui piace questo posto. Adoro il rumore dell’acqua che scorre. Mi rilassa prima di una battuta di caccia. La ferita sulla mano è quasi guarita e posso stringere e scagliare l’arpione con forza. So che ormai ci siamo. L’autunno è alle porte e il mio nuovo “amico” non aspetterà ancora. Mi segue da settimane, furtivo, minaccioso, pieno di rancore. Sta per colpire e lo farà appena gli si presenterà l’occasione. E stanotte sarà la notte ideale per far scattare la trappola. Ho provato ad avvicinarlo più volte ma non sono mai riuscita a stringerlo in un angolo. Scotch, o la cosa che ne ha preso il posto, è definitivamente sparito. Probabilmente, rompendo il vetro della finestra quella volta che ha tentato di soggiogarmi, l’ho costretto a fuggire per non rivelare ciò che realmente è. La locandiera, però, si è ammalata nel giro di poche ore. La sua mente non riesce a riprendersi. Continua a vedere il suo cane anche se se n’è andato da tempo. Perché la povera bestia è morta da quella notte in cui l’ho trovata rigida e fredda. Le successive manifestazioni non erano realmente Scotch, ne sono sicura, e l’incubo che ne ha preso il posto è forse una delle cose più pericolose che abbia mai affrontato. Non sono preoccupata per la vecchia. È talmente una zucca vuota che probabilmente, quando si riprenderà, sarà convinta di aver avuto solo una brutta febbre. E troverà il modo di incolpare me anche per questo. Se solo sapesse quanto è stata fortunata la notte in cui è morto il suo cane... Ma lo ammetto. La vecchia non mi preoccupa. Sono preoccupata per me. Ho ricostruito i fatti. La tarcoblaticofa non era l’unico mostro in giro la notte che ho trovato Scotch morto stecchito. Avevo pensato che fosse molto affamata e che fosse stata lei a uccidere il cane. In realtà, stava scappando. Scappando da qualcosa molto più affamato di lei. È colpa di questo nuovo arrivato se gli incubi sono stati particolarmente aggressivi per tutta l’estate. Ha scombussolato l’ecosistema e mi ha fatto dannare. Mi alzo e mi allontano dal gorgogliare del ruscello. Cala la sera ed è ora di fare da esca. Le stradine del villaggio si svuotano. I rumori della cena piano piano si spengono. Continuo a camminare per i vicoli. Appoggio piano l’arpione a terra ma l’asta di metallo risuona comunque a ogni colpo sul piancito. Le luci si spengono dietro le imposte socchiuse. La gente si addormenta. Gl incubi si muovono furtivi. L’ecosistema del sonno si dispiega in tutta la sua fantasiosa diversità. Incubi si agitano sugli angoli dei tetti. Pensieri si raggruppano in branchi scintillanti sotto la luce della luna. Mi sfiorano le gambe e fanno il solletico. È uno spettacolo bellissimo, riservato a pochi fortunati. A volte mi dispiace per la gente che dorme e non sa. La gente che non si accorge di tanta bellezza. Le persone si trascinano evitando di farsi domande. Si trascinano e si accontentano. È triste ma le capisco. Farsi domande può farti molto male. Le idee non sono mai neutre. Sono cattive, aggressive. Lottano per il territorio. Prendono possesso delle nostre menti e ci guidano durante la giornata. Mai lasciare campo libero a un’idea senza prima averla affrontata. Potrebbe spezzarti. O usarti. Ma per molti è fatica inutile. Forse non vogliono o forse non possono, fatto sta che non ragionano da soli e dormono sognando i sogni-escrementi dei parassiti delle loro anime.


Il panorama delle emozioni è cangiante e chiede grandi sacrifici per essere apprezzato. La sua bellezza mi commuove sempre un po’. Tutti i pensieri, tutti i brutti ricordi, tutti i rimpianti, tutte le speranze... È bellissimo ma stasera non me lo posso godere. Continuo a camminare e mi aspetto di vederlo spuntare in ogni momento dall’angolo più buio, dal tetto più alto. L’attesa è snervante. È una caccia difficile e l’unica soluzione per intrappolarlo che mi è venuta in testa è provocarlo. Sono qui, maledetto incubo. Vieni a prendermi.

***** Il nenosazme è un incubo fuori dal comune. È difficile pure da spiegare. È più in alto degli altri nella catena alimentare. È il frutto di pensieri ricorrenti, di ansie portate nell’anima, di rabbie represse, di frustrazioni sputate addosso all’altro a mezza bocca. È l’incubo che nasce quando dici sempre no, quando sei molesto per te e per gli altri, quando l’unico tuo modo di rapportarti con gli altri è l’aggressività. Quando hai fallito, quando hai sprecato il tuo talento. Quando sei ridicolo nel tuo battere i piedi. Quando sbagli e vuoi spiegarti e non ti viene data la possibilità e ti accorgi di quanto vali per gli altri. Quando improvvisamente realizzi di essere solo una persona e non ti va bene e distruggi tutto sistematicamente perché dentro non sei sicuro del tuo valore. Il nenosazme è questo ed è anche peggio. Non è come gli altri incubi. È il frutto di molte miserie, di molte tristezze. È un incubo aggressivo e molesto. Ed è un predatore. Può roderti l’anima fino a lasciarti l’ombra della persona che eri. Può scatenare attacchi di rabbia, può portarti a disprezzare tutto e tutti perché li invidi e può farti venir solo voglia di gonfiarli di botte. È pericoloso da avere intorno, infido da cacciare e può farmi molto male. E questo è l’esemplare più grande che mi sia mai capitato di affrontare. Ha fatto danni per tutta l’estate facendo diventare più aggressivi gli altri incubi della scogliera. Non sapevo cosa avessi di fronte finché non l’ho guardato negli occhi attraverso i vetri sporchi di una cucina. Liberarmi dal suo sguardo mi è costato tre punti di sutura sulla mano. Non farò lo stesso errore due volte. Ho provato a stanarlo ma senza successo. Lui ha cercato un momento propizio, una mia distrazione per assalirmi. Siamo rimasti in stallo troppo a lungo. Stasera lo sto sfidando apertamente. Cammino da sola per i vicoli del villaggio addormentato. Faccio risuonare l’arpione sul selciato. Canticchio una ninnananna a labbra strette. Lo percepisco alle mie spalle. Mi volto. Non c’è. Ma vedo qualcosa con la coda dell’occhio. Un’ombra troppo rapida. Un movimento. Una presenza. “E andiamo! Hai forse paura?!” urlo allargando le braccia. Un ringhio. Dietro di me. In alto. Scatto e mi giro su me stessa. La punta dell’arpione ferisce su un fianco l’incubo che ha cercato di colpirmi alle spalle. Rotoliamo via. Il bastardo ci ha provato. È grosso. Uno dei tentacoli uncinati mi ha ferito a una gamba. Ci muoviamo in circolo, pronti a staccarci la testa a vicenda. Non gli do il tempo di reagire e affondo il colpo. È la cosa più rapida che abbia mai affrontato. Lo manco. Mi si lancia contro, lo schivo ma mi ferisce al braccio. Ci osserviamo. A distanza. Il nostro sguardo si incrocia. Una porta si apre. Una bambina esce, in pigiama. Mi ha sentito gridare? Ho gridato? Maledetti occhi rossi. Mi confondono la testa. Ci sta riuscendo di nuovo.


Non ho tempo di pensare. L’incubo si scaglia sulla piccola. È la figlia di Rachel? La conosco? È la piccola della scogliera? L’incubo la sta per azzannare. Il sangue mi scorre sulla gamba. Mi lancio a proteggere la bambina, voglio spingerla dentro casa. Sbatto contro la porta. La bambina non c’è mi ha fregato! Non ho tempo di fare nient’altro così stringo l’arpione al petto e mi getto all’indietro. Mi tuffo contro le sue zanne, sperando che il mio arpione lo uccida prima che possa serrare le fauci. Un vortice di uncini mi strappa la maglietta e mi scava la pelle del viso, delle spalle, delle braccia. Un’esplosione di mucillagine mi toglie il respiro. L’arpione affonda e squarcia. L’ho fregato! Atterro con la schiena sul selciato. La botta mi fa girare la testa e il sangue negli occhi mi appanna la vista. È finita. L’incubo si dissolve. Ho rischiato e ho vinto. Ma la puntata era alta e mi è costata. Respiro? Sì. Sanguino? Sì. Il cuore batte? Sì. Bene, provo a rimettermi in piedi. Mi pulisco il sangue dagli occhi che bruciano e mi guardo intorno. E vedo la vecchia locandiera. È in piedi, è in vestaglia, con una scopa in mano e con gli occhi fuori dalle orbite. Di tutte le porte del villaggio proprio contro la sua dovevo sbattere?! Ci mette un attimo a riprendersi, in fondo le sto solo sanguinando sull’uscio, ma mi dà il tempo di rialzarmi e di non farmi prendere a scopate in testa. La saluto con un cenno. Sento che prova a imprecare ma è troppo furibonda e probabilmente sta provando a uccidermi a forza di sputacci. Vado a casa. Spero davvero che i prossimi mesi siano più tranquilli. Dopo un’estate così me lo merito. Sorrido tra me e me e guardo verso il villaggio. Piccolo, racchiuso tra terra e mare. In pace. Vado a letto contenta. In fondo, cos’altro potrebbe succedere? Un terremoto? Un vulcano? Uno straniero che vuole costruire un hotel a cinque stelle in cima alla scogliera?!



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