La Scusa
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a L, senza di te non l’avrei mai fatto
Ciao, e grazie per aver scaricato La Scusa. Questo racconto è apparso per la prima volta a puntate sul mio blog all’indirizzo www.giovannimasi.blogspot.com. Quella che stai leggendo è la seconda stesura ed è pubblicata sotto licenza Creative Commons. Significa che puoi riprodurre, distribuire e stampare quest'opera nella sua interezza o in parte. Non puoi però usarla per fini commerciali. Ti chiedo solo, ogni volta che usi o distribuisci quest'opera, di farlo secondo i termini della licenza come la vedi a fondo pagina. Questa versione de La Scusa la trovi ai seguenti indirizzi: www.lascusa.timedrop.net www.giovannimasi.blogspot.com www.timedrop.net Buona lettura!
Giovanni giovanni@timedrop.net
PS: la splendida copertina è di Federico Rossi Edrighi. È un vero genio (anche se lui ancora non lo sa) e se fai un salto dalle sue parti, www.cabaretfledermaus.blogspot.com, non ne rimarrai deluso.
La Scusa di Giovanni Masi. Quest'opera è stata rilasciata sotto la licenza Creative Commons Attribution–NonCommercial–NoDerivs 2.5 Italy. Per leggere una copia della licenza visita il sito web http://creativecommons.org/licenses/by–nc–nd/2.5/it/
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I Il giovanotto era appena appoggiato alla poltroncina e fissava intensamente la moquette. La sala d'aspetto della ditta lo intimoriva e sedeva con la schiena dritta e le mani posate nervosamente su una borsa di pelle dall'aspetto vissuto. La segretaria lo sbirciò di sottecchi un paio di volte. Il giovane era piacente ma decisamente non poteva definirsi bello. Troppo ossuto, con il naso aquilino e gli occhi distanziati quanto bastava a dargli uno sguardo vacuo, quasi anfibio. – Prego si accomodi... – gli disse dopo una decina di minuti di anticamera, indicando una porta di vetro – ...tocca a lei, il nostro Consulente la sta aspettando. Il giovane si alzò, inconsciamente si aggiustò la giacca, e con fare marziale varcò la soglia dell'ufficio. ti.
– Si accomodi, prego. Signor... – disse il Consulente sbirciando i suoi appun-
– Piccoli, Augusto Piccoli – lo anticipò il giovane che si sedette in punta di sedia, nervoso e teso. – Bene signor Piccoli, cosa posso fare per lei? – Ecco... – esordì timidamente il giovane. – Su, non si vergogni, il nostro compito è lavorare per persone come lei. – Come me? – chiese improvvisamente il giovane interessato. – Sì, proprio come lei – gli rispose il Consulente con l'aria di chi quel discorso l'aveva fatto mille volte – clienti con dei problemi che si rivolgono a noi. Siamo la più grande società di servizi del paese. Non abbia timore... – disse il Consulente con aria affabile sporgendosi in avanti sulla scrivania – ...mi consideri pure come il suo confessore – ridacchiò. Augusto Piccoli rimase in silenzio. Poi alzò lo sguardo, improvvisamente deciso. – Voglio la Scusa – disse. Il Consulente aggrottò le sopracciglia. – Mi perdoni... ma credo di non aver capito bene… – Voglio... la... Scusa – ripeté Augusto scandendo bene le parole. Il Consulente si allungò sulla poltrona di pelle. A dir poco perplesso. Non sapeva se sbattere il signor Piccoli fuori a calci o dargli spago per altri cinque minuti. Augusto non gli diede tempo di fare nessuna delle due cose e riprese a parlare con quella sua voce monotona.
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– Voglio la Scusa. S maiuscola. Voglio il servizio che mi permetta di smettere di preoccuparmi, di dover andare, fare, vedere, parlare, amare. Voglio la Scusa che mi dia la serenità di non dover più niente a nessuno – disse Augusto guardando fisso il Consulente. – Neanche a me stesso. E poi tacque.
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II Il Consulente scrutò con attenzione il signor Piccoli. L'uomo lo stava fissando, con quei suoi occhi sottobosco smorto. Se non lo buttò subito fuori dall'ufficio fu proprio per quello sguardo così concentrato, così speranzoso... – Mi faccia capire bene – si sorprese a dire il Consulente – lei vorrebbe da noi una... scusa... che le permetta, esattamente, di fare cosa? – Una Scusa. S maiuscola – disse Augusto. E aggiunse – Per non dover più preoccuparmi. – Ma preoccuparsi di cosa? – Di niente. Non voglio preoccuparmi di niente – rispose lapidario Augusto Piccoli. Il Consulente a quel punto fu sicuro di essere incappato in un bel matto, di quelli che parlano con i santi e sbraitano da soli. Decise però di stare al gioco, di rilassarsi un po' e di divertirsi alle spalle del povero fesso. In fondo, era pagato per ascoltare i clienti. Tutti i clienti. – Beh, si renderà conto signor Piccoli, che la sua richiesta è un tantino stravagante. Anche perché il costo di una polizza assicurativa del genere sarebbe molto, molto alto – riprese il Consulente sorridendo affabilmente al signor Piccoli. – Non ho soldi io però... – rispose Piccoli, a disagio. – Questo, lei comprenderà, è un bel problema... Mi perdoni la franchezza, ma come aveva intenzione di pagare i nostri servizi, signor Piccoli? Augusto recuperò subito sicurezza, e con un mezzo sorriso che sapeva già di trionfo rispose: – Semplice, vi cedo i diritti della mia idea. – Prego? – I diritti, la proprietà intellettuale e i profitti che ne derivano. Ve li do in cambio della Scusa, insomma. Ve la potete rivendere a chi vi pare e farci quello che vi pare. Il Consulente restò un attimo a bocca aperta. Intraprendente l'ometto... pensò. Piccoli riprese: – Sì, tanto come ho detto, io non voglio più preoccuparmi. E quindi dei soldi non me ne faccio niente. La mia idea è tutta vostra. Però io voglio in cambio l'abbonamento a vita alla Scusa. – L'abbonamento, eh? – rispose il Consulente – E mi dica signor Piccoli... lei ha già un'idea di come vorrebbe far funzionare la sua scusa? Piccoli armeggiò con la valigia di cuoio, la aprì e porse al Consulente un piccolo fascicolo scritto a mano fatto di fogli protocollo rilegati, di quelli che si usano a scuola. Sulla prima pagina c'era scritto in chiare lettere stampatello “LA
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SCUSA” e sotto più piccolo “un'idea del dott. Augusto Piccoli”. Seguiva il simbolo del copyright fatto a mano affiancato a un anno, “2008”. Il Consulente sfogliò il dossier. Si trattava di una raccolta di articoli di giornale, tutti debitamente annotati a mano dal Piccoli, in cui si discorreva di copertura gsm, telefonia cellulare, liturgia cattolica, psicologia junghiana e sette religiose. Il Consulente si avvicinò alla scrivania e appoggiò il faldone sul tavolo di cristallo. Sedeva proteso in avanti, senza appoggiarsi allo schienale. Nel fascicolo c'erano ritratti di santi e foto di santoni. C'erano grafici sulla vendita dell'iPhone e una mappa dell'Italia con indicata la copertura radio per l'intero territorio nazionale. C'era lo schema tecnico del Wii e delle immagini del prototipo l'iPad e uno screenshot della prima versione della home page di Facebook. C'erano analisi spettrografiche dell'anima e schemi di costruzione per bobine di Tesla, c'erano scritti sulla vocazione e saggi antropologici sui riti sciamanici e sul potere di suggestione nei moderni mass media. – Si sente bene? – la voce apprensiva di Augusto Piccoli riportò improvvisamente il Consulente alla realtà. Annuì senza rispondere. Gli era passata la voglia di ridere, qualcosa nella sua testa era scattato. Qualcosa di assurdo eppure geniale. Qualcosa che, in via teorica e assolutamente speculativa, avrebbe potuto persino funzionare. Il problema era la gente. Quante persone ci sarebbero volute per far funzionare davvero la Scusa? Centomila? Trecentomila? Un milione? E cosa sarebbe successo quando la rete fosse stata finalmente in piedi? Era davvero legale un'operazione del genere? Nella testa del Consulente si accavallavano proiezioni, campagne marketing, piani di espansione e budget miliardari. L'idea generale era chiara ma arrivato al dunque il dossier si interrompeva. Alzò lo sguardo sul suo cliente che adesso sorrideva sornione. – Le ultime pagine solo a contratto firmato, lei mi capisce... lo spionaggio industriale è una gran brutta cosa – disse Augusto. Il Consulente fu costretto a schiarirsi la voce prima di parlare. – Signor Piccoli, da quel che leggo devo ammettere che la sua idea è... interessante... – disse il Consulente con la bocca secca – ma necessiterebbe di uno start–up imponente e di una sperimentazione lunga forse anni... – Sperimentate su di me – lo interruppe Augusto Piccoli – vi farò da cavia, anche se legalmente risulterà che voi mi state solo dando il servizio che io vi ho richiesto. Ci guadagnate voi e ci guadagno io. Il Consulente sorrise inconsapevolmente. Augusto Piccoli aveva pensato quasi a tutto. Quello che non c'era scritto in quel dossier però era altro. Mancava del tutto un'indicazione sulla copertura finanziaria necessaria a un'operazione del genere. Una copertura imponente che avesse la possibilità di supportare alcuni anni di avvio con ingenti fuoriuscite di denaro a fondo perduto. Ma se una cosa del genere avesse funzionato, se solo avesse potuto essere prodotta, inscatolata e venduta...
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Il Consulente si alzò e con aria sinceramente rammaricata disse: – Mi dispiace molto signor Piccoli, ma credo proprio che la nostra società non sia in grado di fornirle quello che ci sta chiedendo. Piccoli abbassò lo sguardo, mortificato, sembrava un bambino a cui hanno appena detto che Babbo Natale non esiste. – Siamo specializzati in coperture finanziarie, in operazioni di risk– management e in assistenza legale. La sua... Scusa... esula in questo momento dalle nostre possibilità. Forse può rivolgersi ad altre società... – Ci ho provato... – disse Piccoli con una voce flebile flebile. – Mi dispiace metterla alla porta così signor Piccoli, ma purtroppo adesso avrei un altro appuntamento. – Ah, certo... capisco... – disse il Piccoli, prese la sua borsa e sull'orlo delle lacrime uscì dalla porta biascicando un – Buongiorno – strozzato. Appena quello strano ometto che stringeva la sua borsa di cuoio al petto ebbe richiuso la porta dell'ufficio, il Consulente si precipitò al telefono. – Dott. Lindi? Si, buongiorno. Sono il dott. Armetrino... Sì grazie. E lei?... Guardi, la disturbo per un... – il Consulente guardò per un attimo il faldone di fogli protocollo – ...per un progetto che forse potrebbe interessarle... Sì, esatto... Quando possiamo vederci per parlarne?... Sì. È una mia idea, magari un po' eccessiva ma potremmo... sì, sì, certo... perfetto, passerò da lei per le quattro... Arrivederla... Arrivederla. Il Consulente posò delicatamente la cornetta, respirò a fondo e si infilò la giacca. Fece sparire il fascicolo della Scusa nella sua borsa e uscendo annullò tutti i suoi appuntamenti per il resto della giornata. *** Il Consulente sedeva teso, appena poggiato alla sedia. Si asciugava compulsivamente il sudore con un fazzoletto ormai fradicio e scrutava di tanto in tanto un faldone poggiato sulle ginocchia che era il suo adattamento della Scusa. Aveva dato alla segretaria il compito ingrato di battere al computer l'ordinata calligrafia del Piccoli mentre lui, mano a mano che i file gli arrivavano, impaginava il tutto in una forma che sembrasse la più accattivante possibile. L'originale giaceva adesso ben protetto da una nera cartellina di plastica in un cassetto del suo ufficio, sotto chiave. Il nuovo faldone era intitolato “Eden” , scritto con un bel font elegante. Un garamond classico che denotava subito sicurezza e... – Tocca a lei dott. Armetrino. Il Consulente scattò in piedi. O la va o la spacca pensò. Si asciugò un ultima volta il viso con il fazzoletto, lo gettò nel cestino ed entrò nell'ufficio del direttore del reparto Ricerca e Sviluppo. Ne uscì cinque ore dopo in maniche di camicia, senza cravatta, con delle vistose macchie di sudore sotto le ascelle e un sorriso che gli illuminava gli occhi. Aveva a sua disposizione un budget a sei cifre per iniziare la sua ascesa ai vertici più alti dei Servizi al Cliente.
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La prima cosa che fece fu di costituire una start–up composta da tre psicologi, due medici, due esperti di telecomunicazioni e mise un annuncio per trovare una cavia. Il progetto ideato dal geniale dott. Armetrino era di vendere una copertura assicurativa full–optional. Il sistema economico di sviluppo era ricalcato su quello delle grandi aziende web, che per anni profilano il loro valore non tanto sugli incassi diretti quanto sulla previsione di crescita. Il suo piano era di arrivare a far girare sul conto corrente della compagnia qualunque forma di retribuzione il cliente avesse ricevuto. In cambio l'azienda avrebbe risolto qualunque contrasto o problema in cui l'assicurato si fosse imbattuto. Gli avrebbe trovato casa, gli avrebbe comprato l'automobile, gli avrebbe fornito pacchetti vacanza all–inclusive. Il cliente non avrebbe più dovuto preoccuparsi di riunioni condominiali, di cambi gomme, di chiamare l'idraulico o di dover pulire. Lo poteva sempre fare se ne avesse avuto voglia ma l'azienda, come un silenzioso Grande Fratello, l'avrebbe accompagnato in ogni sua mossa e sarebbe sempre stata lì a supportarlo in caso di bisogno. Era pacifico che le case dove il cliente sarebbe andato ad abitare, le automobili che avrebbe guidato, gli hotel dove avrebbe soggiornato, gli imbianchini che gli avrebbero ritinteggiato casa, sarebbero stati tutti affiliati all'azienda, così da ottimizzare i costi e da massimizzare i profitti per l'azienda stessa. In più, il cliente avrebbe avuto un supporto costante. Una linea diretta con uno psicologo fidato che avrebbe risposto al numero dedicato e che avrebbe consigliato il cliente in ogni sua necessità emotiva. E tutto questo solo per iniziare pensava il dott. Armetrino mentre scrutava i volti dei candidati al progetto Eden. Cosa sarebbe successo quando l'azienda avrebbe cominciato a incrociare i dati e le strutture? Le prospettive erano tali da far girare la testa. Clienti bisognosi di una nuova giacca sarebbero stati dirottati nel negozio di un altro assicurato, soddisfacendo così le necessità di entrambi. Dell'uno di una giacca ad un ottimo prezzo e dell'altro di avere più clienti fidelizzati. E così per ristoranti, supermercati, benzinai... Più l'azienda avrebbe avuto la fiducia del cliente, più la sua rete si sarebbe espansa e avrebbe creato una sorta di ragnatela finalmente ordinata nella vita caotica di tutti i giorni. Una rete che avrebbe alla fine generato profitti così ingenti da non essere neanche quantificabili. Ma per ora si trattava di sogni ad occhi aperti e il Consulente lo sapeva bene. I problemi legali erano il 40% delle spese del suo budget, mentre il restante 30% era finito in modelli di penetrazione del mercato. Gli era rimasto un altro 30% per il vero e proprio test del progetto Eden. Ma era talmente sicuro dell'idea del povero Augusto Piccoli che questo particolare step del progetto lo vedeva come una semplice formalità. Almeno fino a quando si rese conto che la maggior parte delle cavie rigettava il trattamento dopo non più di venti giorni e che il 100%, in fase di focus group, rifiutava il progetto Eden bollandolo come “invasivo, inutile e assolutamente idiota”.
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I giorni correvano via veloci, il budget si assottigliava e il Consulente passava le sue nottate piegato sul faldone originale della Scusa scritto da Augusto Piccoli. L'aveva letto così tante volte da saperlo ormai a memoria ma non riusciva proprio a trovare il bandolo della matassa. Aveva seguito le istruzioni di Augusto, le aveva ampliate, le aveva perfezionate. Eppure, quello che su carta sembrava perfetto, nella realtà naufragava miseramente. Armetrino cominciò a bere. Si stava giocando tutto in quest'impresa e non vedeva alcuna luce in fondo al tunnel. Finché una sera, ubriaco marcio, gli venne in mente una cosa. La faccia del Piccoli con sorriso sornione che diceva: – Le ultime pagine solo a contratto firmato, lei mi capisce... lo spionaggio industriale è una gran brutta cosa. Le ultime pagine... Il Consulente ficcò la testa in un lavandino colmo d'acqua ghiacciata per riprendersi. C'era forse una conclusione in quelle pagine, un qualche dato che mancava all'equazione e che la risolveva brillantemente... c'era la sua salvezza su quei fogli protocollo... E Augusto Piccoli era l'unico a conoscerla.
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III Augusto, a braccia conserte, fissava il Consulente seduto all'altro capotavola di casa Piccoli. – Lei deve capire, signor Piccoli, che sto facendo uno strappo alla regola... ma ero davvero troppo eccitato per tenere fuori dal progetto proprio lei che ha dato il via a tutto. Il Consulente sorrideva amabilmente, Augusto non si scompose. – In verità, la sua idea era interessante. Estremamente interessante. Tanto che a malincuore mi sono trovato a dover applicare una delle procedure più barbare della nostra azienda, che consiste appunto nell'allontanare il cliente e analizzare il caso con calma e in separata sede. Questa procedura, che si applica solo nei casi più interessanti, è stata pensata proprio per evitare eventuali delusioni per il cliente o strascichi legali nei nostri confronti se il progetto dovesse rivelarsi infattibile. Non ha idea di quante persone disoneste ci siano là fuori, pronte ad approfittarsi di chiunque! Il Consulente ammiccò con aria complice mentre Augusto lo osservava impassibile. – Ma veniamo a noi e alla sua splendida idea – disse il Consulente aprendo davanti a sé un prospetto con dei grafici stampati. – Sono felice di poterle comunicare che le nostre simulazioni hanno dato esiti positivi. Si potrebbe quindi cominciare a pensare a una prima fase di test e... – Funziona tutto? – lo interruppe Piccoli. Il Consulente alzò di scatto gli occhi dai tabulati. Augusto sedeva nella stessa identica posizione. Immobile. Il dott. Armetrino dubitò per un attimo di aver sentito qualcosa. – Prego? – Nelle proiezioni, funziona tutto? – rispose Augusto alzando di poco la voce, l'espressione vacua e indecifrabile. Il Consulente allungò una mano sul tavolo e ingollò un breve sorso d'acqua dal bicchiere che il padrone di casa gli aveva offerto. La casa di Piccoli lo metteva a disagio. Era piena di oggetti, soprammobili, VHS, libri, DVD, musicassette, fumetti, vinili. Troppa roba da leggere per un solo uomo, troppa roba da ammucchiare in una sola vita. – Non le si può nascondere niente, caro il mio Augusto! – disse il dott. Armetrino con un gran sorriso. – Effettivamente abbiamo risolto la maggior parte dei problemi legati alla copertura finanziaria, alle beghe legali e all'infrastruttura tecnica. Abbiamo però
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avuto qualche problema con la simulazione del servizio. I nostri focus group hanno identificato... – Posso leggere? – lo interruppe nuovamente Piccoli, tendendo una mano verso i grafici che il suo ospite aveva davanti a sé. Il Consulente, a disagio, fece scivolare il faldone verso Augusto. – Ma certo, ecco, come può vedere in quella pagina... Ma il padrone di casa aveva chiuso e riaperto il faldone, si era proteso sul tavolo con la schiena dritta, e aveva iniziato da pagina uno. Al Consulente non rimase altra scelta che mettersi comodo. Augusto sembrava avere tutta l'intenzione di studiare le oltre quattrocento pagine del fascicolo in quello stesso pomeriggio. *** Le ore passavano e il Consulente non ebbe nient'altro da fare se non finire il suo bicchier d'acqua. Augusto sembrava totalmente perso tra dati e proiezioni. Il suo ondeggiare sulla sedia aveva un non so che di autistico. Il dott. Armetrino lo studiò. Da quel piccolo uomo che leggeva piano, nascondendo le mani sotto al tavolo dopo aver voltato ogni pagina, dipendeva la sua vita. Arrivò l'ora di cena ma Augusto non sembrò accorgersene. Il sole tramontò e dalla strada, arancione e violenta, la luce dei lampioni si proiettò nella stanza. Augusto non offrì nulla al Consulente. Non accese la luce, non si alzò per andare in bagno. Lesse tutto il faldone senza mai staccare gli occhi dalle carte davanti a lui. Il Consulente si alzò, trovò il bagno da solo, si rimise seduto, sbirciò un paio di titoli dalla libreria della sala da pranzo, si appisolò, fu svegliato dalla fame, squadrò il Piccoli ma resistette. Non mi schiodo da qui finché non mi hai detto come far funzionare la tua idea, piccolo bastardo ripeteva continuamente, come un mantra, nella sua testa. Verso mezzanotte e mezza Augusto voltò finalmente l'ultima pagina, lesse con attenzione le conclusioni e per mezzanotte e tre quarti rivolse nuovamente la parola al Consulente seduto di fronte a lui. Il dott. Armetrino era pronto. Aspettava ansioso un'epifania che il Piccoli gli avrebbe sicuramente concesso. Ma Augusto lo spiazzò chiedendogli: – Cosa offrite alle cavie? Il Consulente lo guardò a bocca aperta. Piccoli scandì meglio le parole: – Cosa... offrite... alle... cavie? Il dott. Armetrino si riprese dalla sorpresa e balbettò: – U–una copertura assicurativa e v–vantaggi... Augusto scosse la testa. – È tutto sbagliato – disse semplicemente – non avete capito a cosa serva davvero la Scusa. – E ALLORA SPIEGAMELO CAZZO! – sbottò per la prima volta il Consulente, sbattendo le mani sul tavolo e alzandosi in piedi. Augusto non rispose subito. Distolse lo sguardo dal viso paonazzo del suo ospite che sotto la luce arancione dei lampioni avvampava di rabbia.
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Ci pensò un po' su e poi replicò: – Voglio sul mio conto i quattrocentomila euro che vi restano come budget per lo start–up. E il controllo del progetto. E, ovviamente, un abbonamento a vita al servizio. Il dott. Armetrino restò a bocca aperta. Come aveva fatto a capire a quanto ammontava il budget? Piccoli si alzò a sua volta: – E ovviamente il progetto deve riprende il suo nome originale La Scusa. In maiuscolo. Eden fa schifo. Il Consulente si mise seduto. Lentamente. Con le mani che tremavano prese un fazzoletto dalla tasca della giacca e se lo passò sul viso. Stava sudando freddo. – V–va bene... – disse con la voce spezzata. Poi alzò lo sguardo verso Piccoli che era in piedi accanto alla libreria e stava rimettendo in ordine alcuni volumi come se niente fosse. – Va bene, avrai tutto quello che vuoi – riprese con voce più ferma – ma almeno dimmi cosa manca in quel faldone... dov'è l'errore? Cosa abbiamo sbagliato? Il Piccoli continuò a riordinare lo scaffale e rispose dandogli le spalle. - Avete cercato di vendere la felicità – disse – ecco perché Eden non funziona. Vi siete scordati che la gente, in realtà, è vigliacca.
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IV La gente, in realtà, è vigliacca. La gente in realtà è vigliacca. La gente è vigliacca. Gente vigliacca. Vigliacca. Vigliacca. Il Consulente andava ripetendosi ossessivamente le parole con cui Augusto Piccoli lo aveva congedato la sera prima. Quel piccoletto, con la sua aria trasandata, l'aveva messo alle strette. Aveva capito tutto. Proprio tutto. Il budget, il piano di marketing, quanto rimaneva in cassa per lo sviluppo della fase operativa del progetto Eden... il progetto La Scusa, si corresse mentalmente il dott. Armetrino. Scusa con la S maiuscola, così il Piccoli aveva ribattezzato la sua idea, riportandola al nome originario. E il Consulente era un vigliacco in quel momento, mentre stornava quattrocento mila Euro dal conto della società e li girava ad Augusto Piccoli. Causale: saldo consulenza. Ecco fatto pensò appena il suo terminale gli diede l'ok della transazione effettuata. Adesso è tutto nelle tue mani, piccolo bastardo. Il giorno seguente il Piccoli chiese le schede di tutti i volontari che avevano etichettato come “un'idiozia senza precedenti” il progetto Eden. E per quindici giorni il dott. Piccoli non fece nient'altro che studiare questionari e giudizi. Non si interessò all'infrastruttura tecnologica che il dott. Armetrino aveva costruito con tanta maestria. Non si confrontò con lui, non volle leggere il lavoro dell'equipe della facoltà di Psicologia. Non volle affrontare la relazione del reparto marketing, non volle visitare la centrale operativa né vedere i video con le ricostruzioni delle situazioni tipo del progetto. Si interessò esclusivamente ai volontari che avevano provato sulla loro pelle il servizio. Lesse e rilesse le loro schede, le loro valutazioni psicologiche, i loro
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giudizi su tutto l'apparato messo su per offrir loro la “copertura assicurativa definitiva”. I giorni passavano e il Consulente diventava sempre più nervoso. Aveva stralciato la maggior parte dei contratti e, a chi non poteva essere licenziato, aveva offerto un bonus e tre mesi di ferie pagate pur di comprare il loro silenzio e allontanarli dal progetto. Ma il Piccoli non si decideva a tirare fuori il coniglio dal cappello. Il Consulente con La Scusa si era giocato tutto, la faccia, la reputazione e la carriera. Sulla carta era semplicemente geniale eppure lui non era riuscito a farla funzionare. Era come se la gente, a cui era stata offerta la risposta ultima ai problemi dell'uomo moderno, l'avesse rifiutata come un organismo rifiuta un corpo estraneo. Con violenza e malessere. E adesso tutta la sua vita dipendeva dal quel piccoletto che si ingobbiva sulla sedia mentre leggeva e che dopo aver voltato pagina si metteva le mani tra le gambe, come se soffrisse il freddo. Al quindicesimo giorno Augusto Piccoli convocò il Consulente nel suo soggiorno. Il dott. Armetrino arrivò tutto trafelato. Erano settimane che non riusciva a dormire se non grazie all'aiuto dei farmaci e si presentò alla porta del Piccoli con i capelli scarmigliati e la barba lunga. Augusto, come al solito, gli offrì solo un bicchier d'acqua e lo fece accomodare. Il Consulente si sedette teso, aspettando la sua epifania che tardava ad arrivare. – Dobbiamo richiamare questo signore – disse Augusto porgendogli la scheda di uno dei candidati. Il Consulente si piegò in avanti sul lucido tavolo di mogano, guardando Piccoli di traverso. Arrivato a questo punto, non era più certo che ci si potesse fidare di Augusto. Prese la scheda studiandola per un momento. – Non capisco – disse poi – è uno dei primi soggetti a cui abbiamo somministrato la simulazione... non mi sembra abbia dato particolari risultati. Perché richiamare proprio lui? Augusto bevve un sorso d'acqua dal bicchiere e lo riposò esattamente dove l'aveva preso, sul centrino di pizzo che proteggeva parte del tavolo. – Perché lui è stato il più deluso dal vostro servizio. – E questo come dovrebbe aiutarci? – ribatté dubbioso il Consulente. – Non è lui che deve aiutare noi – disse Piccoli, e per la prima volta il dott. Armetrino lo vide sorridere – saremo noi ad aiutare lui. Non è questo forse lo scopo ultimo de La Scusa? Armetrino squadrò Piccoli. Poi prese il suo cellulare e chiese alla sua segretaria di convocare Paolo Lisca per l'indomani alle undici. Fatta la telefonata, il Consulente riattaccò. – Sei sicuro che funzionerà? Augusto non gli rispose, era tornato a studiare le carte davanti a lui. Il Consulente si alzò per andarsene, biascicando qualche parola incomprensibile, quando Augusto disse: – Mi serve un cellulare, e un altro deve essere pronto per il signor Lisca. – Come scusa?
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– Mi servono due telefoni cellulari. Uno per me, e uno per il signor Lisca – ripeté Augusto incontrando finalmente gli occhi sospettosi del Consulente. – E a cosa ti servono? – disse Armetrino tra i denti. – Semplice – disse Augusto guardandolo fisso negli occhi – da domani La Scusa diventerà operativa e Paolo Lisca sarà il primo a beneficiarne. – Grazie a un telefono cellulare? – ribatté il Consulente, sempre più malfidato. – Bè, io avevo ipotizzato dei Walkie–talkie all'inizio, ma pare che abbiano problemi di ricezione – disse Augusto con un mezzo sorriso, uno di quelli che sottintendono l'ovvietà. Armetrino squadrò Piccoli che si era rimesso a leggere. Poi senza dire altro trovò da solo la strada per uscire. Chiuse il portone dietro di sé, inspirò profondamente l'aria della sera e bisbigliò: – Se domani la tua idea non funziona, piccolo rospo, io ti ammazzo... *** Paolo Lisca era un ragazzo di venticinque anni. Sedeva sulla sedia leggermente scomposto, portava gli occhiali da sole e ogni tanto si passava la mano tra i capelli per togliersi i ciuffi più lunghi davanti al viso. Masticava della gomma americana con un atteggiamento da duro che andava di moda dieci anni fa. Armetrino, in piedi, lo squadrava mentre Augusto Piccoli parlava con voce monotona. –...e questo è quanto, signor Lisca. Il suo unico obbligo sarà quello di portare sempre con sé questo telefono cellulare. Se dovesse trovarsi in difficoltà, una qualunque difficoltà, non dovrà fare nient'altro che chiamarci e avrà a sua completa disposizione il nostro sistema di supporto che le verrà in aiuto. Ovviamente, in questa prima fase, è del tutto gratuito. Il periodo di test è di tre mesi e il suo compenso sarà di novemila euro lordi, che le verranno accreditati a condizione che resti con noi fino alla fine dei suddetti tre mesi. Armetrino digrignò i denti. Altri soldi del budget che se ne andavano. Fa che funzioni, altrimenti giuro su Dio che ti gonfio di botte... pensò il Consulente spostando lo sguardo su Augusto Piccoli, che ignaro continuò. – Le è tutto chiaro, signor Lisca? Paolo si sporse leggermente avanti, masticava con le gambe divaricate e una mano in tasca. Con l'altra raggiunse il cellulare che Augusto gli aveva posato davanti e lo guardò come se fosse uno strano scarafaggio post–apocalittico. – Posso farci le telefonate con questo? – Mi duole, ma l'abbonamento di quel telefono prevede che lei lo utilizzi solo per chiamare il nostro call–center – rispose Augusto. Lisca riappoggiò il cellulare sul tavolo di cristallo. – E se io mi porto quel coso in tasca senza far niente per tre mesi voi mi date novemila cucuzze? Armetrino storse la bocca. Avrebbe voluto un contratto più stringente, qualcosa che avesse costretto il Lisca ad utilizzare il servizio su base giornaliera ma Augusto si era fermamente opposto. Aveva detto che se avessero costretto la ca-
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via a utilizzare il servizio solo per i soldi non avrebbero ottenuto nessun feedback per la loro ricerca. – Esattamente – rispose Piccoli – e siamo sicuri che troverà il nostro servizio decisamente migliore rispetto all'ultima volta che ha avuto la possibilità di provarlo. Armetrino strinse il pugno con tanta forza da farsi sbiancare le nocche. Avrebbe ben volentieri spaccato il naso al Piccoli... ma si trattenne. Quel sottile disprezzo nelle parole “ultima volta” era tutto per lui. “L'ultima volta” c'erano telecamere, servizi sociali, medici a disposizione 24 ore su 24. “L'ultima volta” alle cavie venivano offerti pasti macrobiotici, erano seguiti psicologicamente e dovevano portare sulla loro persona un rilevatore GPS per ogni evenienza. “L'ultima volta” era stata un completo fallimento, tanto che il dott. Armetrino era dovuto tornare strisciando da Augusto dopo aver tentato di fregargli l'idea della Scusa. Da allora Piccoli aveva preso in gestione la baracca. Aveva mandato a casa il personale ospedaliero, spedito in magazzino i rilevatori GPS e licenziato i cuochi. E aveva richiamato Paolo Lisca per fare da cavia nel nuovo sistema assicurativo globale che stavano sperimentando. Paolo si alzò. Prese il cellulare e lo fece scivolare distrattamente nella tasca del giubbotto di pelle. Poi sorridendo disse: – Dov'è che devo firmare? Il primo mese fu un completo fallimento. Armetrino aveva deciso di non staccarsi mai dal Piccoli. Il Consulente non si fidava più di Augusto e voleva assolutamente trovare un modo per farlo fuori nuovamente dal progetto. Non voleva rischiare quello che aveva costruito in questi lunghi anni all'interno dell'azienda per regalare tutto al primo coglione che passava di là dicendo di avere un'idea geniale. Il Consulente ormai diffidava di tutto e di tutti. Aveva i nervi a pezzi e dubitava anche di Paolo Lisca. Gli aveva messo alle calcagna un paio di ragazzi che dovevano solo pedinarlo e riferire. In quei primi trenta giorni, Paolo Lisca non tirò fuori il cellulare neanche una volta. Le giornate passavano monotone. Ogni mattina il Consulente si presentava a casa di Piccoli, che gli offriva un bicchier d'acqua e nient'altro. Augusto poi sprofondava in una poltrona dallo schienale alto, con un libro in mano, e passava la giornata così. Il Consulente usciva per pranzo, visto che il Piccoli sembrava non mangiare durante il giorno, e rientrava per le due e mezza, tre al massimo. Ritrovava Augusto sempre sulla stessa poltrona. Sempre a leggere. Il cellulare, il gemello del telefono consegnato a Paolo Lisca, era posato sul basso tavolino di fianco alla poltrona e coperto da un leggero strato di polvere. I rapporti dei suoi ragazzi gettavano Armetrino sempre più nello sconforto. Lisca, forte di tremila euro al mese guadagnati solo portandosi un cellulare in tasca, si era lasciato andare. Aveva mollato il lavoro da cameriere e tirava tardi tutte le notti. I rapporti lo descrivevano sereno e ubriaco la maggior parte del tempo. Il Consulente provò a prendere l'argomento con Augusto. In fondo era stato lui a volere il Lisca come cavia. Se aveva scelto quel coglione un motivo ci sarà pure stato. Ma Augusto chiuse la conversazione con un lapidario: – È ancora presto per dei risultati.
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Ancora presto un cazzo pensò il Consulente. Il primo mese era passato in fretta... hai deciso di rovinarmi del tutto, schifoso? *** Passò anche il secondo mese. *** All'inizio del terzo, Armetrino cominciò a progettare un piano alternativo, qualcosa che assomigliasse vagamente ad un'assicurazione per se stesso. Seduto al tavolo da pranzo del Piccoli, fantasticava su come frodare l'assicurazione, o magari su come far sparire il dieci per cento del budget della Scusa in un conto in Svizzera mentre lui se ne volava in Brasile... Il cellulare squillò. Dapprima Armetrino si chiese cosa fosse quella musica. Poi sentì il rumore della vibrazione sul piano del tavolino affianco alla poltrona di Piccoli. Ma anche così ci mise un po' per realizzare cosa stava succedendo. Augusto invece non si scompose. Al terzo squillo allungò il braccio, prese il telefono, rispose, se lo portò all'orecchio e disse: – Buon pomeriggio signor Lisca. In cosa posso aiutarla? Armetrino non credeva ai proprio occhi. Aveva telefonato! Aveva davvero telefonato! Il Consulente si portò una mano alla bocca. Era emozionato, sull'orlo delle lacrime. – Sì... sì certo.... assolutamente, è stato chiaro... bene... sì, capisco... bene, il nostro team di psicologi analizzerà il suo dilemma e a breve riceverà la sua risposta, signor Lisca... oh no, non si preoccupi. Siamo qui per lei.... Buona serata e a prestissimo. Augusto chiuse la telefonata e appoggiò il cellulare sul tavolino. Aprì nuovamente il libro e ricominciò a leggere. Il Consulente respirò a fondo per un minuto o due, poi deglutì e chiese: – Chi... chi era? Augusto rispose con una voce monotona senza alzare gli occhi del libro: – Era Paolo Lisca. – E... e che voleva? – Un aiuto. Il Consulente cercò nervosamente di mandare avanti quella conversazione. – E quindi...? Augusto chiuse nuovamente il libro, leggermente piccato. Sembrava infastidito dalla petulanza di Armetrino. Prese di nuovo il cellulare. Scrisse un breve SMS e lo inviò. – E quindi noi glielo abbiamo appena mandato – disse stizzito. Ruotò il cellulare verso Armetrino che lesse l'ultimo messaggio inviato: “La preghiamo di non fare nulla.”
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V Armetrino uscì di corsa dalla casa di Piccoli e telefonò subito ai ragazzi che sorvegliavano Paolo Lisca per suo conto. Paolo non si era mosso da casa. Il Consulente volle un rapporto completo, doveva essere aggiornato su ogni sviluppo. Ma il Lisca non fece niente per tutto il giorno. E anche per quello seguente. E per quello dopo ancora. Se ne rimase semplicemente rintanato in casa. “La situazione attuale consiglia prudenza.” Armetrino raggiunse i due sotto casa di Paolo per rendersi conto della situazione e, dopo un'intera giornata passata a fissare le tapparelle abbassate, decise di andare da Piccoli per affrontarlo. Suonò con energia al cancello e trovò la porta di casa aperta. Ormai Augusto non veniva più neanche ad accoglierlo. Lo aspettava come sempre seduto sulla poltrona, con un libro in mano e il cellulare in contatto diretto con Lisca poggiato sul tavolo poco distante. “Stiamo valutando l’attuale contingenza ma nel frattempo vorremmo ricordarle di usare prudenza.” Il Consulente non era più in sé. Il tempo stringeva e quel pazzo scatenato di Piccoli continuava a mandare SMS assurdi a Paolo Lisca. Tutti sullo stesso tono, tutti improntati al dolce far niente. La mente di Armetrino lavorava furiosa cercando di capire come spiegare ai suoi superiori che il budget a sei cifre che gli avevano concesso era stato speso in SMS nichilisti… “Attenzione! La sua situazione potrebbe risultare critica. Le consigliamo di attendere ulteriori sviluppi prima di agire.” Dal canto suo Piccoli sedeva tranquillo in poltrona. A ogni chiamata del Lisca sollevava il telefono, ascoltava con attenzione, salutava cordialmente, controllava l’ora e riposava il telefono sul tavolino. Faceva passare da un minimo di cinque minuti a un massimo di mezz’ora prima di rispondere via SMS. Augusto non nascondeva nulla ad Armetrino che si segnava sull’agenda ogni messaggio. “Si consiglia di non fare nulla per adesso.” Passò così una settimana. Il Lisca, dopo un inizio quasi timido, si era fatto più pressante e in pochi giorni era arrivato ad una quindicina di telefonate al giorno. Il conto totale degli SMS inviati da Piccoli si aggirava intorno alla settantina.
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Tutti consigliavano prudenza. Armetrino aveva i nervi a fior di pelle mentre nella sua testa riviveva velocemente quei pochi giorni cercando una scappatoia, un appiglio qualunque contro il disastro che si profilava imminente. Il Consulente riprese a bere. “Si consiglia una maggiore circospezione.” Dapprima si portò a casa di Augusto una sola lattina di birra. Dopo aver pranzato fuori come suo solito, rincasò e si sedette al tavolo grande di casa Piccoli. Augusto continuava a offrirgli solo un bicchier d’acqua, sempre la stessa quantità… il Consulente era ormai sicuro che fosse persino sempre lo stesso bicchiere. Quella mattina era stata particolarmente afosa e Armetrino aveva finito di bere prima del tempo. Fu così, per ingannare l’attesa, che il Consulente rientrò con una lattina di birra in mano. Piccoli, come al solito, lo salutò senza alzare gli occhi dal libro che stava leggendo. Si accigliò solo quando udì la lattina che veniva aperta. Il Consulente, che era quasi arrivato ad odiare Augusto, fece finta di non accorgersi dello sguardo infastidito che l’inventore della Scusa gli lanciò. La birra era fresca e, nella calura stantia del salotto di Augusto, estremamente piacevole. Piccoli tornò al suo libro e il Consulente si lasciò andare alla sensazione rilassante che la schiuma soffice gli provocava solleticandogli il naso. “La cosa migliore è esercitare prudenza.” Il giorno seguente e quello dopo ancora Armetrino si presentò dapprima con un paio di lattine e poi direttamente con una confezione da sei. Piccoli alzava di rado lo sguardo dal libro se non per rispondere a Lisca. Ogni volta che lo faceva lanciava uno sguardo leggermente disgustato al Consulente che, in maniche di camicia, beveva con gusto ignorando il centrino poggia–bicchiere che Augusto gli aveva fatto trovare sul tavolo. “Non si ritiene opportuno il momento per un’eventuale presa di posizione. Meglio aspettare.” Armetrino dal canto suo continuava a covare rancore nei confronti del suo ospite. È una piccola checca si ripeteva versandosi un mezzo bicchiere di Oban. Continuava ad appuntarsi scrupolosamente gli SMS che Piccoli mandava a Lisca. Ormai si era arrivati a una trentina di telefonate al giorno. Forse, se non fosse stato ubriaco la maggior parte del tempo, il Consulente avrebbe capito cosa stava succedendo ma ormai era convinto che Lisca e Piccoli si fossero messi d’accordo per fargli fare brutta figura davanti ai suoi superiori. Con la fantasia bagnata di rum si immaginava complotti e accordi alle sue spalle, sghignazzanti bevute in cui lo prendevano in giro e… – Sei uno stronzo – biascicò alzandosi. Per la prima volta da quando si conoscevano, Augusto sembrò davvero sorpreso. – Come prego? – chiese socchiudendo il libro. – Non ci provare con me brutta checca – disse il Consulente alzando la voce – lo so che te e quel frocetto di Lisca vi siete messi d’accordo!
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Augusto riprese il solito contegno dopo il primo attimo di smarrimento, riaprì il libro che stava leggendo e disse: – Lei è ubriaco e non sa cosa sta dicendo. “La sua attuale posizione potrebbe richiedere di dover attendere ancora ulteriori sviluppi.” Ma Armetrino caracollò verso la poltrona del Piccoli e gli si avvicinò col fiato che puzzava di acido. – Col cazzo che non lo so lo so lo so eccome checca – riprese fiato e strillò – HAI CAPITO?!? Piccoli lo scostò e si alzò. – Se ne vada. – Altrimenti che fai? Chiami il tuo amichetto? Dai chiamalo ci divertiamo. – Ho detto se… ne... vada! – disse Piccoli scandendo le parole e spingendo via la massa sudata del Consulente che gli si buttava addosso. Armetrino non aspettava altro. Reagì spingendo a sua volta Piccoli che cadde all’indietro e sbatté la schiena contro la seduta della poltrona. Il Consulente si appoggiò al tavolino e lo rovesciò. Il cellulare saltò via e si sfracellò contro lo spigolo della libreria. Si mise a squillare. Armetrino si lanciò verso il telefono. – Lo stronzo chiama lo stronzo frocio! Piccoli si rialzò con un ghigno di dolore. – Fermati idiota! – strillò. Armetrino si girò di scatto. - Come mi hai chiamato – disse ruttando. – COME MI HAI CHIAMATO? – urlò gettandosi verso Piccoli che si rannicchiò contro la poltrona per proteggersi. Armetrino inciampò nei resti del tavolino e cadde a faccia avanti. Piccoli sentì il setto nasale del Consulente cedere contro il suo ginocchio con un piccolo schiocco e i pantaloni bagnarsi di sangue. Armetrino strisciò via. Il dolore l’aveva fatto rinsavire di colpo. I due si guardarono. Piccoli ancora chiuso a riccio e il Consulente con il sangue che gli colava lungo il viso. - Bi hai rotto il daso – disse incredulo.
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VI Armetrino tentava di fermare l’emorragia dal naso spaccato. Teneva la testa all’indietro e aveva la camicia macchiata di rosso. Augusto Piccoli portava asciugamani bagnati e fazzoletti di carta. Si muoveva come una mosca impazzita tra la cucina e il bagno, borbottando tra sé e sé. Armetrino cercava di tenere gli occhi aperti e di respirare dalla bocca. Il sangue copioso gli ostruiva la gola e il Consulente tossiva sputando nel lavandino. Metà del parquet era insozzato da una crosta marrone scuro, il bagno sembrava il set per un film splatter e Augusto, bianco come un cencio, si agitava in preda a un’isteria mal celata. Alla fine il flusso di sangue si arrestò ma per Armetrino respirare normalmente era faticoso. I due si guardarono. Augusto era sotto shock e tremava leggermente. Il Consulente aveva il viso gonfio e arrossato. Nessuno dei due disse niente. Il cellulare squillò. Non se ne resero conto subito ma doveva suonare già da un po’. Piccoli lo guardò come fosse un insetto osceno in mezzo al salotto. Il cellulare trillò ancora. Smise. E poi riprese nuovamente. Piccoli continuava a fissarlo mentre si agitava sul parquet al ritmo della vibrazione. Armetrino guardò la piccola scena di devastazione, con il basso tavolino rovesciato, la lampada in terra e il cellulare che fremeva tra i cocci. Augusto era seduto poco più in là. Fissava ancora il telefono. Il Consulente si chinò e lo raccolse. Augusto ebbe un sussulto, come se con quel gesto Armetrino l’avesse schiaffeggiato. – Pronto? La voce dall’altra parte restò un attimo interdetta e, come a giustificare la telefonata, disse: – Sono Paolo Lisca… Armetrino rimase in silenzio a guardare Piccoli che intanto si era rimesso in piedi. Sembrava aver riacquistato il suo solito autocontrollo. Si fissarono per un istante e poi Augusto distolse lo sguardo con un sorriso appena accennato. – È tutto tuo – gli disse parlando a bassa voce per non farsi sentire all’altro capo della linea telefonica. Il Consulente si fece coraggio e rispose: – Certo signor Lisca. Dica pure. Paolo non sembrò neanche accorgersi che a rispondergli non era stato Piccoli. Armetrino ascoltò in silenzio. A volte annuendo, a volte chiedendo di ripetere. Recitava il copione che aveva visto messo in scena tante volte da Piccoli. Dopo un paio di minuti riattaccò. Augusto nel frattempo stava raddrizzando il tavolo. – Era Lisca… – disse il Consulente, come se quell’informazione potesse essere sfuggita al suo interlocutore.
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– Lo so – rispose il Piccoli. – Adesso che dovrei fare? – Quello che ho fatto sempre io, aspetta un po’ e poi scrivigli. – Non vuoi sapere perché mi ha chiamato? – Pensi che sia importante saperlo? E allora, solo allora, Armetrino capì cosa era davvero La Scusa. Era geniale e terribile nella sua semplicità. Ripensò al fascicolo, agli ultimi giorni e ad Augusto che gli diceva: – La gente, in realtà, è vigliacca. “Abbiamo valutato la sua situazione e le nostre proiezioni ci dicono che attualmente la scelta più vantaggiosa è l'atarassia. La preghiamo quindi di non fare niente riguardo alla questione da lei sollevata e di lasciar passare del tempo.” Il Consulente premette invio. Sorrise a Piccoli che, impegnato a raddrizzare la poltrona, non volle neanche leggere il messaggio. – Allora è così che funziona – disse Armetrino. – È così che funziona – confermò Piccoli – certo, Paolo Lisca è particolarmente predisposto. Indolente, sempre alla ricerca di una scusa per i suoi fallimenti… non aspettava altro che qualcuno che gli dicesse cosa fare. E che gli dicesse di non fare nulla. Non tutti saranno così servizievoli ma molti, migliaia, forse milioni, non aspettano altro. Non è un mondo per gli eroi questo qui. È un mondo di vigliacchi e noi abbiamo appena scoperto come farci un mucchio di soldi. Ha detto noi pensò il Consulente sorridendo. – Fino a che punto possiamo spingerci? – chiese a Piccoli che nel frattempo si era rimesso seduto con il suo libro in mano. – I soggetti come Lisca sono l’ideale. Con gli altri dovrai andarci più piano. Non funzionerà con tutti, ovvio, ma la disperazione è nostra alleata e ce n’è così tanta nel mondo… La gente semplicemente non è preparata a stare male. Ha paura del dolore e, inconsciamente, fa di tutto per sfuggirlo. – E noi gli diamo la Scusa che gli serve. Il servizio che gli permette di smettere di preoccuparsi, di dover andare, fare, vedere, parlare, amare. Gli diamo la serenità di non dover più niente a nessuno… Piccoli e Armetrino si guardarono e sorrisero. – Pensi che Lisca sia pronto per un test? Voglio qualcosa per il consiglio di amministrazione. – È tutto tuo. Armetrino sorrise di nuovo, anche se sorridere gli faceva un male cane. Si mise in tasca il cellulare e se ne andò senza salutare. Non avrebbe mai più rivisto Augusto Piccoli.
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Epilogo
La Scusa si affermò grazie soprattutto agli abbonamenti on–line. Un fortissimo movimento di opinione si contrappose alla sua crescita. I detrattori la definirono “droga psichica, né più né meno” ma gli avvocati di Armetrino utilizzarono la tattica Facebook sulla privacy e riuscirono sempre a dimostrare che La Scusa era un servizio in cui gli utenti erano completamente liberi. Potevano iscriversi o disdire l’abbonamento in qualunque momento avessero desiderato. Non c’era né frode né dolo e inoltre il supporto era circoscritto a “consigli”, non c’era mai stato alcun obbligo. Paolo Lisca fu dei primi abbonati oltre che uno degli opinion leader all’interno della comunità. I detrattori de La Scusa raccontavano che, finito il periodo di prova, era caduto in una sorta di astinenza tanto da arrivare ad offrire una cifra tripla rispetto al suo compenso da cavia pur di essere ammesso di nuovo all'interno del progetto. Ma Lisca stesso aveva sempre negato e Armetrino gli aveva concesso uno status speciale con una linea VIP attiva per le sue esigenze. Il dottor Piccoli aveva acceso il suo abbonamento a La Scusa come da contratto. L'aveva usato una volta sola. Il sistema gli aveva dato la risposta di default e, a quanto pare, gli era bastata. Non si era mai più rivolto al call–center. Armetrino aveva anche provato a raggiungerlo all'indirizzo dato al momento dell’iscrizione ma aveva trovato una casa vuota. Non tentò mai più di rintracciarlo e Piccoli scivolò via dalla sua vita come vi era entrato. Armetrino venne additato dai più come il vero responsabile della cosiddetta “era incosciente” in cui, dopo la privacy, fu il libero arbitrio a subire uno stravolgimento sociale. Tutti si affidavano alla Scusa per non doversi più sentire responsabili del fallimento delle proprie vite. Il Consulente ripensava spesso ad Augusto che, seduto tranquillamente nel suo salotto stracolmo di roba, gli diceva calmo: – La gente, in realtà, è vigliacca. Cinque anni dopo questa consapevolezza lo portò al suicidio. La Scusa nel frattempo aveva raggiunto i trecentocinquanta milioni di utenti.
– FINE –
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