LUOGHI COMUNI

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MASSIMO VA L E N T E architetto



LUOGHI COMUNI



Indice

In Fieri

Matilda e Mirtilla

La Baignade

Anagrafica

Dammuso

Funghi in Città

Titoli scientifici

Pareti umane | MACRO

Teleskope

Elenco delle pubblicazioni

Casa Natale

L’isola e la Balena

Concorsi internazionali

Vacanze Romane

Tous è PAySSAGE

Attività di progettazione

Pubblico Privato

A misura d’uomo

Ringraziamenti

Papaveri e Nuvole

Amoenia

360GRADI

Su dal Ballerino

Pareti Umane | BIENNALE

Genesi

Un due, tre, stella!

Vitae

Due di Due

Voyeur

Double Face

LayTime

Visioni

Il cielo in una stanza

ISY

La luna nel pozzo

Muscat

Lines

Ombre

Sweets

Sharing

A tutt’altezza

HOM(m)E

Camera con vista

Vento da EST

Woqod tower

45K

Mulino



In Fieri Si laurea a Roma dove, ancora studente, collabora come freelance con lo studio Manfredi Nicoletti Associati partecipando a diversi concorsi e progetti internazionali come il Museo dell’Acropoli di Atene, il Palazzo di Giustizia di Arezzo, la Serra delle Farfalle Tropicali per il museo di Zoologia di Catania, il Centro Congressi Eur a Roma. Parallelamente è architetto per una società di servizi, la Almadesign srl, che spazia dal campo del design alla costruzione, occasione che gli consente di confrontarsi con gli aspetti legati alla realizzazione del progetto; un’esperienza d’impronta particolarmente pragmatica che scaturisce nella ricerca costante di un equilibrio tra costi, forma e contenuti. Ph.D. in Architettura degli Interni, docente a cotratto e ricercatore per l’Università “La Sapienza” di Roma, Visiting Professor alla Tongji University a Shanghai, progetta in ambito nazionale ed internazionale, pubblica lavori in riviste di settore, quali Living Corriere, La Repubblica Design, AR, e saggi in libri editi da Alinea, Gangemi, Kappa, Palombi, il Poligrafo e Gangemi International. Espone alla Biennale di Venezia, al Macro di Roma alla Triennale di Sofia e in tutte le edizioni di Open House Roma. A Roma inizia la libera professione concentrandosi sulle tematiche relative all’architettura degli interni

realizzando numerosi appartamenti e investigando, oltre ai risvolti formali e organizzativi, la dimensione sartoriale di un mestiere che si spinge fino alla soglia dell’intimità, negli aspetti psicologici e sociali legati ai rapporti con la committenza privata. In ambito commerciale lavora per aziende di fama internazionale come Mondadori, Banca Mediolanum, InternContinental Hotel Group, Thyssen Kroupp, ed altre. In campo internazionale partecipa, come capogruppo progettista, a numerosi concorsi tra i quali quello per la Valorizzazione del Parco delle Mura di Piacenza, dove vince il terzo premio, quello per la riqualificazione di Piazza Pio XI a Cursi, dove vince il secondo premio, si classifica alla seconda fase per gli Spazi di Ristoro del Museo di Capodimonte a Napoli, ed ottiene segnalazioni come per il Concorso del Nodo di interscambio Salario. Oltralpe partecipa in Svizzera al concorso per gli Spazi Pubblici della Halte Ceva, progettata da Jean Nouvel, in Germania a quello per il Nuovo Ingresso del Museo all’aperto di Glentleiten, e a quello per l’edificio del marchio Benetton in Iran, prediligendo in ambito pubblico, la progettazione di spazi esterni. Il canale internazionale arriva in maniera del tutto inaspettata, semplicemente chiudendo una porta, e consentendo, come si dice, che si aprisse un por-

tone dal quale proiettarsi nello spazio a tutt’altezza della calda Doha, in Qatar. Il privilegio di lavorare come Senior Architect per una società di Consulting italo-siriana-qatarina, la Roma Tre Project, oltre ad assicurare loro il “Grade A”, grazie alle qualifiche personali, fornisce a lui la fortuna di veder realizzato un grattacielo, la Woqod Tower, per l’omonima società petrolifera nazionale, ed altri progetti come l’Ambasciata di Algeria. Questa esperienza gli ha inoltre infuso lo stimolo di lavorare con colleghi di paesi e culture profondamente differenti, arricchendo la sua personalità oltre che regalandogli ricercate gratificazioni a livello professionale. Durante la lunga permanenza ha sostenuto anche l’esame di abilitazione all’albo degli Architetti di Doha. Ha sempre sostenuto l’esigenza di considerare paritari gli aspetti pratici e quelli culturali della professione, e per tale ragione ha legato alla professione approfondimenti di tipo teorico che sono confluiti nell’attività didattica e di ricerca presso l’Università “La Sapienza” di Roma, nelle Facoltà di “Architettura a Valle Giulia” e “Ludovico Quaroni”. Docente a contratto nei corsi di laurea in Architettura degli Interni e Allestimento, di Disegno Industriale, di Tecniche per l’Architettura e la Città, Scienza dell’Architettura, insegna come professo-



re titolare nei laboratori di progettazione di Interior Ehxibit and Public Design, di Allestimento, di Architettura degli Interni, di Comunicazione e Percezione Visiva, Laboratorio di Progettazione e nei Laboratori di Tesi di Laurea come relatore. Insegna nei corsi post lauream R.e.a.m. presso l’Università degli Studi “Mediterranea” di Reggio Calabria, nel Master di secondo Livello in Architettura e Paesaggio e nel Dottorato XXIV ciclo “Progetto dello Spazio e del Prodotto di Arredo”. Come ricercatore ha avuto modo di approfondire la filosofia orientale grazie alla ricerca internazionale sull’Influenza dell’Architettura Occidentale in Cina coordinata dal prof. Marco Petreschi e dalla prof.ssa Nilda Valentin. Tra le altre ricerche si ricordano quelle per “Roma terzo Millennio: le identità possibili”, titolare dell’attività di ricerca, Prof. Arch. Raffaele Panella, che ha portato al progetto del nuovo Campus Universitario a Pietralata, ed il Forum Tevere; polarità urbana e polarità naturale. Ph.D. in Architettura degli Interni e Allestimento diretto dal prof. arch. Marco Petreschi, discute la tesi sul “Senso e Significato dello Spazio Interno” approfondendo argomenti legati alla Gestalt, la psicologia della forma, alla percezione e alla capacità interpretativa dello spazio, guidato dalla gentilezza e competenza della prof.ssa arch. Paola

Coppola Pignatelli. Questa è stata l’occasione per analizzare questioni legate ad aspetti filosofici, psicologici, emotivi della materia, attraverso lo studio delle opere di Martin Heidegger, Alain De Botton, Jean Baudrillard, Michel Foucault, Gaston Bachelard, Franco La Cecla, Tom Wolfe, Rudolph Arnheim, Walter Benjamin, Italo Calvino e molti altri, inalveando il tema dell’architettura in una dimensione narrativa. L’opportunità del dottorato di ricerca ha consentito anche la possibilità di un periodo di studio presso la Oxford Brookes University. Del suo lavoro ne hanno parlato professionisti molto diversi tra loro, come l’antropologo Giorgio De Finis, la poetessa Simona Maffia, lo storico di architettura prof. arch. Giorgio Muratore, l’arch. Pino Pasquali, il prof. arch. Marco Petreschi, lo psicanalista Marcello Pignatelli, la fotografa Donata Pizzi e lo storico d’arte Roberto Valeriani, in occasione della pubblicazione, edita Kappa, del libro “Il Valore intimo dello Spazio”, della presentazione, presso la sede dell’Inarch Lazio (Istituto di architettura fondato da Bruno Zevi), di una selezione dei lavori realizzati e in occasione della presentazione presso l’Aula Magna della facoltà di Architettura di Roma “La Sapienza” del libro “The Influence of Wester Architecture in China” edito Gangemi International.

I numerosi viaggi, anche in realtà particolarmente difficili, come l’esperienza negli slum di Nairobi, nella missione delle suore comboniane, quelli tra i grattacieli di Dubai, di Abu Dhabi, l’attività di volontariato, lo hanno messo in contatto con realtà che hanno ampliato i suoi punti di vista. La costante formazione, con la partecipazione a corsi di aggiornamento, ad eventi culturali preferibilmente non affini, il rinnovamento delle proprie competenze sui prodotti e tecnologie d’avanguardia acquisito durante fiere nazionali e internazionali, completa e nutre una indispensabile curiosità. La sequenza delle esperienze riportate in questo catalogo, identifica una personalità in grado di adattarsi con estrema flessibilità, coniugando diverse e/o complementari attitudini. L’intimità dell’architettura degli interni, il settore pubblico dei locali commerciali, quello degli spazi esterni, la partecipazione a concorsi internazionali, la didattica, l’attività di ricerca, non vogliono focalizzare l’attenzione su di una lista di esperienze, quanto piuttosto identificare una personalità poliedrica in grado di lavorare da solo, ma anche con un gruppo di professionisti, anche di culture e formazioni differenti, di avere una capacità di concentrazione derivata dall’attività di ricerca, ed infine la capacità, non sempre scontata, di trasferire queste informazioni a terze persone per mezzo dell’insegnamento.



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Appartamento, Roma

MATILDA e MIRTILLA LIVING - SERVIZI - NOTTE; una divisione in tre fasce funzionali dove i servizi identificano la cerniera distributiva tra zona giorno e zona notte; un’organizzazione, oserei dire, da manuale. Allora perché questa abusata divisione giorno/notte non supporta la relativa relazione tra le due camere da letto? La scelta potrebbe apparire impopolare ma a dispetto di questa consuetudine si è scelto di privilegiare una divisione della casa nei due macro sistemi: pubblico e privato. Da questo punto di vista la casa non è divisa trasversalmente ma longitudinalmente, assecondando i percorsi, superiore ed inferiore e definendo una griglia distributiva che si sovrappone a quella principale. La parte alta della casa è caratterizzata da un percorso che, a partire dall’ingresso, collega uno spazio flessibile (che ha una funzione camaleontica nel suo trasformarsi, a seconda delle esigenze, nello studio di Gabriele o in un mini appartamento per i genitori di Beatrice), alla camera di Emma, di cui potrebbe divenire un’appendice. Il sistema ha tre gradi di privacy; può essere pubblico, semi pubblico o privato grazie ad un sistema di porte-parete a tutt’altezza che, chiuse o aperte, sono parete o varco.

Sistema aperto: Nel presente è stata favorita la funzione di studio, un’estensione al soggiorno che in questo caso si rende permeabile in tutte le direzioni traducendosi in uno spazio fluido e circolare. Sistema semi pubblico: Tra qualche tempo questo spazio potrebbe diventare un’appendice della camera di Emma, ed è in questo caso che è più facile immaginare la divisione della casa in senso longitudinale; un vero e proprio mini appartamento dove il connettivo alto, collega le funzioni di ingresso, soggiorno/studio, bagno e camera da letto. A meno della cucina potrebbe a tutti gli effetti essere uno spazio totalmente autonomo. Sistema privato: Progettare è prevedere, non tanto la qualità dello spazio, piuttosto come le persone si muoveranno in questo spazio. E se uno scenario concreto è quello in cui questa appendice sia utilizzata dai genitori di Beatrice quando scendono a Roma, non è detto invece che nel tempo non possa esserci una necessità di convivenza. Allora non è tanto il grado di privacy che si amplifica, piuttosto

l’autonomia negli spostamenti in uno spazio che è autoreferenziato. Da questo micro cosmo è possibile accedere al soggiorno in maniera diretta, oppure percorrere il connettivo alto, sfilando come un’ombra visibile solo nei punti di taglio della parete del living, dove si ha una seconda possibilità per accedere al soggiorno e una terza nella parte alta della cucina, entrando in quest’ambiente quasi in punta di piedi, senza penetrarla, perché è lì che troviamo le funzioni essenziali del frigorifero e del lavello. Oppure, proseguendo nel percorso, accedere al bagno, condiviso con la camera di Emma. La parte bassa della casa raddoppia il connettivo, che specularmente intercetta eccentricamente la zona servizi, penetra longitudinalmente le camere che sottende regalando la visibilità di tutta la dimensione della casa. E se nella parte alta, da est ad ovest finestre corrispondenti partecipano alla modulazione solare, qui il controcampo distributivo è segnato dal ritmo della grande superficie trasparente, una promenade architecturale che accompagna il fruitore in un défilé con vista sul paesaggio urbano. I bagni sono camaleontici; sono entrambi attraversati dal percorso che li divide in due zone con diverso grado di privacy, assorbono gli spazi in diretta vicinanza am-



pliandone la superficie nell’ambito di quelle funzioni non private. Nella parte alta questo si traduce in una connessione con la zona della lavanderia, mentre nella parte bassa in un’appendice che incorpora una finestra, dove apparentemente mancante, e il top con contenitore utilizzabile come toletta, cerniera tra bagno e spogliatoio. In quest’ottica i bagni si moltiplicano in quanto, separando funzioni pubbliche e private, possono essere utilizzati contemporaneamente da due persone. Lo spazio del living è inquadrato da un doppio sistema: la parete attrezzata con profondità variabili asseconda quanto succede nella stanza adiacente rispondendo alla diversa profondità degli armadi e seguendo il ritmo del sistema di tagli verticali che hanno lo scopo di mitigare la compressione del percorso. Questi tagli sono evidentemente dilatati nei tre punti d’ingresso al living cui corrispondono la zona pranzo, lo stare, e la cucina.

La parte bassa è prevalentemente una superficie trasparente, una vera e propria esplosione di luce da sud, e con lo stesso principio delle aperture in controcampo, è segnata dal ritmo delle finestre che amplificano la tessitura trasversale delle funzioni, tessitura che si proietta fino agli spazi delle terrazze o penetrando lo studio grazie alla lunga panca lineare che racconta di come questi spazi ambiscano ad un desiderio di appartenenza; su questa si regge tutta la zona pranzo con il lunghissimo tavolo che può ospitare, fino a quattordici persone. La parete attrezzata con i suoi ritmi, inquadra lo stare. Dalla posizione del divano lo sguardo si spinge a sinistra verso ovest, dove la visuale della finestra dello studio integra una poetica luce al tramonto, e verso destra dove s’intuisce la presenza di una luce da est proveniente dalla camera di Emma. Questo è reso possibile perché il progetto prevede un

grado di privacy anche quando le porte delle camere da letto sono aperte, occasione in cui è possibile condividere la molteplice esposizione. Chiude il sistema la cucina della Doimo sottesa dalla grande isola con top in corian e lavabo integrato che con il suo percorso circolare si estende fino alla terrazza. Le colonne “in-door” secondo la necessità possono essere aperte, quando Beatrice cucina, ribaltandosi all’interno dei fianchi delle colonne stesse, oppure chiuse, integrando d’ufficio la cucina nello spazio gerarchico del soggiorno, sfumando sullo sfondo come fossero una parete. Infine un’ultima parola sulle protagoniste della scena. Matilda e Mirtilla, le due bellissime gatte alle quali è stato dedicato uno spazio protetto, un punto privilegiato di avvistamento lungo la veletta che definisce la parete sud, attraverso tre aperture circolari di dimensione variabile.











Dammuso, Pantelleria

DAMMUSO Che ne pensi? Mi domanda Cristina appena giunti a Pantelleria. Non so se sia dipeso dall’effetto straniante del volo o dai paesaggi surreali ma, tra meraviglia, diffidenza ed una natura che non si sarebbe lasciata domare, la mia prima sensazione è stata che la Perla Nera fosse a suo modo respingente. Tanto per cominciare ci devi arrivare. Sveglia all’alba per prendere un aereo che faccia scalo a Palermo prima della partenza della DAT, la compagnia danese che fa la spola con l’isola col suo bielica, sempre che parta. C’è l’incognita vento, o meglio c’è sempre vento forte e il ballo in cabina è assicurato, ma l’incognita è se nodi e direzioni della rosa consentano tanto il decollo quanto l’atterraggio. Una volta siamo partiti da Roma alle 7.40 e siamo arrivati a Pantelleria alle 18.30 con scali Roma-Palermo, Palermo-Palermo, Palermo-Pantelleria. Ho impiegato molto meno tempo per raggiungere altri posti nel mondo. Ma paradossalmente qui siamo dall’altra parte del mondo, non in termini di distanza, quella che misura la lontananza, ma percettivi; niente è come avresti potuto immaginare che potesse essere. Il vento è disorientante, un costante elemento di

distrazione, il paesaggio a tratti lunare a tratti infernale con questa pietra smerlata di lava, il mare che cerca di aggrapparsi al fuoco, la spuma bianca sulla pietra nera, linee di paesaggi orizzontali, la natura bassa e un tempo fermo. E ancora il vento. A stento si riconoscono gli ulivi, letteralmente prostrati alla terra, come pure i vitigni, una serie di piante isolate con portamento ad alberello, e solo dopo si intuiscono le ragioni della sequenza di pale di fico d’india inflitte nella terra, mani che custodiscono. Perché tutto è piegato al vento. E ciò che non è piegato è rinchiuso e protetto nei ciclopici giardini panteschi. Solo il cappero osserva non curante trovando fertile supporto negli interstizi dei muretti di cui è il legittimo rivestimento. Un’agricoltura eroica che ha strappato alle cuddie strisce di territorio coltivabile per mezzo di quell’opera colossale che è stata la costruzione dei muretti a secco. Candidati a patrimonio mondiale dell’Unesco contribuiscono, insieme ai Dammusi, al Genius Loci, mai tanto sentito. In bilico tra la speranza e il coraggio, l’opera di cavare terra alla terra, strappare pietra alla pietra, sbozzarla per

erigere un muro, conferma in questo gesto un patteggiamento tra uomo e natura. Pietra su pietra per chilometri e chilometri di paesaggio. Un patrimonio genetico che racconta la storia del luogo, della relazione tra la costruzione e la montagna di cui è parte, impastando oltre al fango, le influenze arabe all’ostinazione e all’orgoglio dell’estremo sud. Ma le influenze a Cossyra si perdono nel tempo, dal periodo neolitico a cui si devono le fortificazioni del villaggio di Mursia, ai Fenici che la occuparono nel VII sec., e poi i Romani, i Bizantini, gli Arabi, fino a divenire in età moderna un luogo di relegazione, lo stesso isolamento che oggi paradossalmente ne fa la meta privilegiata di molti VIP. Non sono ancora pronto a rispondere a quella domanda, nonostante gli studi approfonditi del territorio, della storia e delle sue architetture vernacolari: i dammusi. Ricoveri prettamente agricoli disseminati per tutta l’isola, rappresentano la porzione coperta di un sistema casa-podere pensato aperto e costellato da una serie di elementi sempre presenti di cui sono un diretto corollario: il Jardinu, il Passiaturi, il Cannizzo, la Ducchena, l’Aia, lo Stennituri, la Cisterna.



Caratteri esterni che si contaminano con funzioni che siamo abituati a riconoscere negli “interni” di cui sopravvivono esclusivamente le alcove, con la loro autonomia distributiva ma connesse dal passiaturi, in un sistema che si palesa volutamente estroverso. Il jardinu, il giardino pantesco, è un tempio della provvidenza al quale si accede attraverso una piccola porta che suggerisce di inchinarsi, esorcizza l’indeterminatezza della natura e in questo caso la circuisce assicurando il prezioso frutto di un unico agrume. Un recinto circolare di lava cesellata, che arriva ad avere dimensioni fino a 10ml di diametro per 4ml di altezza, è il miracolo di un’architettura passiva

che garantisce un particolare microclima all’unico albero piantato al suo interno. Una torre di pietra a difesa dal vento che garantisce uno scambio di acqua grazie all’escursione termica ed alla porosità della pietra stessa. La superficie superiore della torre è piegata per direzionare una maggiore quantità di luce e calore, favorisce inoltre la canalizzazione dell’acqua all’interno e asseconda la crescita della chioma verso l’esterno. En plein air è il passiaturi, un percorso virtuale esterno che connette i singoli elementi della costruzione. E’ lo spazio di distribuzione della casa che insieme alla ducchena, il divano in pietra, e il cannizzo, struttura di copertura, costituiscono il Living, separato ma connesso ai singoli volumi in pietra af-

fastellati a restituire un paesaggio minerale che di diritto compete con quello intorno. In disparte ma a conclusione di questa elementare e spontanea organizzazione c’è l’aia, piattaforma circolare che oggi identifica il solarium, ma dove un tempo si lavoravano i prodotti della terra; a modo suo è un centro, un axis mundi intorno al quale mulinava l’asino, fedele compagno di salite, aridità, malinconia e vento. Lo stennituri orientato a sud è la spalliera in pietra su cui mettere a seccare le uve “passite” o gli altri prodotti della terra. Questo è il vocabolario di forme e funzioni che per secoli i contadini hanno utilizzato a Pantelleria. E allora come non essere filopante? Come non condividere questi caratteri che fanno delle archi-



tetture vernacolari dell’isola un archetipo spaziale, un palinsesto organizzativo, funzionale e distributivo cucito sulle necessità dell’uomo in un territorio specifico. A questo punto abbiamo in qualche modo decifrato domande e compreso come siano state le risposte a queste necessità a plasmare la spazialità, come questa spazialità sia avulsa da manuali, perché sono state l’aridità e il vento a disegnare le forme, possiamo finalmente iniziare a parlare del progetto che, tra storia, architettura e paesaggio, concerne l’ampliamento di un rudere esistente. Il sito è lontano da tutto e circondato da un orizzonte di cielo e mare. Il volume esistente è composto da quattro corpi,

segna la direzione cardinale nord sud e si adagia sulle curve di livello che degradano al mare, privilegia il prospetto ad est dove troviamo quattro aperture che scandiscono gli accessi ai singoli volumi ed una non più riconoscibile traccia di una organizzazione esterna che fu. Il progetto prevede un ampliamento con un nuovo blocco connesso ad “L” nella parte alta del manufatto in direzione ovest. Scelta dettata dal contesto perché le aperture esistenti suggeriscono un’evidente connessione con la parte di esterno ad oriente, dove troviamo il forno, le tracce del giardino recinto, della porcilaia, della cisterna ed oltre, un lembo di terreno che sfuma verso i confini tra cui è compresso.

I quattro volumi autonomi vengono uniti a due a due. Nella parte bassa, isolata e con accesso dal passiaturi, c’è la camera degli ospiti, quella che guarda il jardinu ed il fico, il cui basso recinto definisce un giardino semi privato al quale si accede dal fulcro tra l’alcova e il bagno. Nella parte alta la fusione dei due elementi raddoppia la superficie dello spazio del living interno, cerniera tra il blocco esistente ed il nuovo volume di progetto. Questo ruolo di cerniera è affidato al focolare domestico, una vera e propria invenzione distributiva che lo rende baricentrico all’interno, grazie al sistema di relazioni compatibili cucina-living, cucina-bagno, bagno-camera, ma soprattutto perme-


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1 Passiaturi 2 Ducchena 3 Chaise Lounge 4 Giardino del Fico 5 Giardino Recinto


abile all’esterno mettendo in dialogo due scenari diversi ma al tempo stesso complementari. Complementari perchè parlano lo stesso linguaggio, ossia del paesaggio all’intorno, e perché accumunati dalla giacitura dell’asse di rotazione apparente che segna il passaggio del sole dall’alba al tramonto, diversi perché definiscono due spazialità totalmente distinte: quella ad est rappresenta la memoria del luogo, è oggetto di un restauro e risanamento conservativo che ne ripropone filologicamente la facciata, catalogando pietra per pietra per poi riassembrarle nella posizione originale, ed è quella dove troviamo tutti i caratteri della tradizione. Si apre su un paesaggio con cui però non si cerca una relazione, da cui si gode l’alba, ma a cui da le

spalle E’ uno spazio intimo, accoglie i pochi eletti ed è serrato alla costruzione da cui si distacca per mezzo del passiaturi che segue il ritmo del prospetto che diventa una delle quinte del paesaggio in quanto qui è diretto lo sguardo quando ci si trova a raccontarsi storie intorno alla ducchena, mettendo apparentemente in secondo piano la vista del mare. Qui tutto è un gioco di appartenenze, visuali e permeabilità. Il sistema sotteso dalla ducchena è infatti molto complesso, geometricamente definito ma per analogia si trascina da un lato nella porzione di giardino recinto adiacente e dall’altro nel controcampo del living all’interno. Questa volontà di condivisione è sottolineata dal

varco centralizzato, che unisce gli spazi in una risonanza funzionale, e dal cannizzo che estende la copertura legandosi alla muratura. E l’esterno di confonde nell’interno. Lo schienale della ducchena non segue il perimetro della seduta, definisce un vettore visuale che smorza il paesaggio alle spalle e protegge dai venti da nord mentre il lato a sud diventa una chaise longue che di contro lascia libero lo sguardo verso il mare; il suo uso bifacciale integra ed estende in questo micro cosmo il giardino recinto in un dinamismo sia distributivo che funzionale. Il paesaggio ad ovest è quello più protetto sia dal sole che dal vento, è il vero spazio dello stare, da qui non si va da nessuna parte, si resta e basta.





Qui gli elementi della tradizione sono rivisitati, scevri da falsi sentimentalismi, in chiave contemporanea; la ducchena si snellisce e diventa la panca lineare dove è possibile mettere a sedere una decina di commensali faccia al tramonto. Il divano non circoscrive uno spazio ma è una piattaforma usufruibile sui quattro lati alla ricerca di relazione con tutto. La configurazione della muratura definisce uno spazio sotteso dai limiti stessi della costruzione ed è coperto dal cannizzo che, teso tra le pareti, taglia in diagonale a formare un triangolo, ponendosi ortogonale al vettore visuale risultante della forma ad “L” e punta dritto in direzione dell’orizzonte del mare, intercetta la porzione di cucina esterna che

nella versione del progetto con piscina organica segue pedissequamente la linea del muretto che diventa top e seduta, e al tempo stesso indica e accompagna lo sguardo verso l’imbrunire. La superficie coperta potrebbe sembrare esuberante per un’esposizione a sud, quando il sole è alto nel cielo, e protegge il living esterno per buona parte della giornata, ma il volume d’ombra che genera è una scenografia ricercata, dove tutto è vibrante grazie alla struttura diafana del cannucciato; in direzione ovest la linea si fa tagliente e si lascia penetrare dai raggi bassi di un sole che dipinge cieli sempre diversi e pareti che, come in un quadro divisionista, si tingono di mille colori nelle sfaccettature delle pietre, mentre all’interno sono

le volte a virare in un tenue carminio. All’interno l’unico percorso è il decumano del passiaturi; da qui si è abbracciati dalla modulazione della luce che accompagna l’andamento del sole, sfila tra la porta d’ingresso e la grande apertura della camera padronale ed è un vero e proprio cannocchiale bidirezionale verso il paesaggio che grazie alla posizione delle superfici trasparenti si consuma oltre i confini di pietra. E l’interno si confonde nell’esterno. Con lo stesso principio nelle camere la posizione del letto guarda il mare nel caso della stanza padronale o il giardino pantesco nel caso della camera degli ospiti. Entrambe le camere hanno un bagno privato ma


Sistema di relazioni distributive/visive tra camera da letto padronale, sala da bagno e living


con una deriva fortemente pubblica. Quella degli ospiti ha infatti la possibilità di accedere al bagno dal giardino del fico, a diretto contatto col passiaturi. Non ci sono porte e la divisione con l’alcova, sebbene adiacente, si attua grazie al cambiamento di quota e dalla privacy visiva del letto, nascosto dietro la stessa linea di taglio che accompagna la scala, enfatizzato dalla velata introspezione dei tendaggi. Di converso è lo stesso letto in muratura che suggerisce questo percorso che piega proprio nella direzione che trafigge la spessa muratura e scende verso l’antibagno, in un controcampo di ambigua promiscuità. Nel bagno ci sono due piccole finestre: quella sul lavabo guarda il tramonto, quella della doccia po-

sta ad altezza degli occhi punta diretta al mare. La camera padronale insiste per tutta la dimensione dell’ampliamento. E’ gerarchica per funzione, si articola in salti di quota multipli e variabili a sottolineare le potenzialità d’uso che ne fanno uno spazio autonomo, soprattutto se letta nel senso longitudinale, perché è evidente la ricerca di relazione con la cucina, verso la quale si estende sottesa proprio dal cannocchiale distributivo. Integra la sala da bagno che ne è un’appendice dal grado di relazione variabile. Tra questi due ambienti esiste infatti una circolarità in corrispondenza della vasca che è accessibile sulla linea di bordo dai due gradini che nella camera da letto definiscono il comodino in muratura.

E’ il sistema di chiusura con doppia porta a scomparsa che rende aggregabili o meno queste tre funzioni. Se la porta verso la cucina è chiusa la stanza si isola inglobando la sala da bagno. In questo caso il grado di privacy consente di mantenere aperta la porta del bagno, quando per esempio si usa la vasca regalando la vista del mare ed uno spazio fluido. Se la porta della cucina è aperta e quella della camera chiusa, la sala da bagno diviene il servizio per il pubblico. Se tutte le porte sono aperte il grado di relazione è totale come pure la privacy perché il cannocchiale distributivo lascia intravedere solo le superfici trasparenti.



E’ gerarchica per posizione, perché invece che essere compressa tra due blocchi rappresenta invece la testata dell’ampliamento. Di conseguenza è gerarchica per esposizione perché riceve luce da tutti i lati. In maniera indiretta dalla finestra sopra la vasca da bagno e dalla porta della cucina, in maniera diretta dalle grandi superfici finestrate. Per dimensione della superficie, assimilabile a quella della cucina e soggiorno, per dimensione delle aperture, che lasciano pensare che sia questo il living, cosa peraltro vera perché basta la postazione sotto la finestra per poterlo definire uno studio, o una poltrona per leggere ad estraniarlo

dall’esclusività nominale. In questo microcosmo tutto guarda al mare e da destra a sinistra sono le sfumature della luce solare a scandire il tempo. In questa continuità funzionale tutto si flette su stesso senza soluzione di continuità, le volte accompagnano le pareti dove nulla è ortogonale, i pavimenti si piegano e la porzione di muratura entra negli spazi dell’abitazione diventando cucina, acquaio, vasca, divano, letto, doccia, contenitore, armadio, piano di appoggio. E’ uno spazio scavato. A debita distanza troviamo infine la cucina esterna e la piscina a ricucire la divisione funzionale tra il

paesaggio ad est e ad ovest. La cucina esterna è una vera e propria dichiarazione d’intenti su come è stata pensata la vita durante la giornata, in una separazione tra zona giorno e zona notte che non è legata alla distribuzione, una consuetudine che troppo spesso ritroviamo nei progetti d’interni, ma al rapporto tra interno ed esterno. Esterno è il living, interno è piuttosto lo spleeping. La piscina lineare è memoria dei fontanili, riserve preziose di quell’acqua che circonda l’isola ma non è presente alla vita, asseconda la direzione dei muretti definendo, sul lato verso il mare, lo sfioro per tutta la sua lunghezza alla quota inferiore.





Museo di Arte Contemporanea di Roma, Italia

PARETI UMANE Dopo la Biennale di Architettura di Venezia, Open House Roma ed altri eventi, il progetto PARETI UMANE è stato presentato al MACRO, il Museo di Arte Contemporanea di Roma. A fare da spalla alla proiezione sul maxi schermo nel Foyer, c’è stato in contemporanea un Talk nella Sala Cinema del museo, una conversazione con Valentina Frasghini in cui sono stati svelati i retroscena e le ragioni che hanno portato alla produzione del racconto ed al tempo stesso un’occasione per riflettere sulla natura di un lavoro, quello dell’architetto, condensata in quella domanda domanda che è stata fatta qualsiasi progettista: ”mi dai un’idea?” Hic et nunc, et gratis aggiungerei, come se esistesse una velocità di pensiero, quella a cui fa riferimento Italo Calvino nelle sue Lezioni Americane, la cui risposta nell’immaginario popolare sembrerebbe poter spuntar fuori da un cilindro, come fanno gli illusionisti col coniglio. Invece ci vuole tempo e sedimentazione. E l’idea nasce infatti da un’esperienza fatta parecchi anni fa, quando, per la redazione del cosiddetto “Fascicolo del Fabbricato”, ebbi l’occasione di fare

dei sopralluoghi in tutte le case di un condominio. Un piano sopra l’altro, gli stessi spazi, la stessa conformazione, gli stessi pavimenti, le stesse funzioni. Tutto seguiva una routine spaziale, come in caleidoscopio con il quale si poteva visualizzare l’insieme dei piani dell’edificio. Fu veramente una sorpresa costatare come le persone si adattassero a queste configurazioni nell’unica maniera possibile: riversando nello spazio la loro personalità. E quindi ad un certo punto, mi è sembrato che l’architettura non fosse fatta di spazio ma di oggetti. Gli oggetti diventano gli unici strumenti che abbiamo per cucirci addosso la nostra personalità, perchè hanno innanzitutto la funzione di personificare le relazioni umane, di popolare lo spazio che dividono e di avere un’anima, la relazione reale in cui vivono è prigioniera della dimensione morale che devono significare. Hanno un’autonomia limitata come limitata è l’autonomia che i membri della famiglia hanno entro la società. Esseri e oggetti sono legati, e gli oggetti assumono in questa collusione una densità, un valore affettivo che si accetta chiamare presenza. Ciò che rende dense di

significato le case in cui si è vissuti da bambini, che rende pregnante il loro ricordo, è chiaramente questa struttura complessa di interiorità ove gli oggetti spiegano di fronte ai nostri occhi i contorni di una configurazione simbolica chiamata casa. Ma la giustapposizione di oggetti non era sufficiente a modificare la struttura distributiva della casa e la conseguenza era un adattamento forzato da cui derivava uno spazio subìto, piuttosto che vissuto. Lo scopo del progetto di ricerca è quello di stimolare, attraverso una serie di domande poste agli abitanti che vivono in appartamenti ugualmente configurati, una riflessione sullo spazio come generatore di consuetudine, capace di viziare le abitudini, spesso in maniera inconsapevole. La collazione di queste riflessioni definisce i confini all’interno dei quali si muove l’architetto ed il suo lavoro, aiutando a scardinare alcuni automatismi, smussando/riducendo e a volte eliminando la visione corrente, figlia di un “consueto” rassicurante, spesso non funzionale e spontaneo ma assimilato al punto da sembrare naturale. La configurazione degli spazi modifica le abitudini migliorando la condizione dell’esistenza quotidiana.





Villa Unifamiliare, Formello

CASA NATALE Della casa natale ne parla Gaston Bachelard nella Poetica dello Spazio. Laura qui ci ha vissuto da bambina ed ora, dopo una ristrutturazione integrale che oltre alla riorganizzazione degli spazi interni ha previsto l’ampliamento dell’ex portico, ci tornerà a vivere con Alessandro e le gemelle, Beatrice e Letizia. La casa natale che descrive Bachelard è quella in cui gli occhi iniziano ad esplorare il mondo, un mondo di sguardi, sorrisi, suoni, profumi, oggetti che non puoi raggiungere, dove il bambino impara a riconoscere lo spazio e le sue proporzioni; per questo è una delle possibili rappresentazioni dello spazio intimo e la sua struttura fondamentale è duplice, in quanto caratterizzata dall’essere centrale e dall’essere verticale. Ho scelto di chiamare così questo progetto proprio perché, oltre ad aver accolto i “natali” di Laura, è una casa su tre livelli e sempre come racconta Bachelard, proprio in questo tipo di spazio ritroviamo quella duplicità che si esprime in due piani distinti dell’agire umano: quello orizzontale, specifico per ciascun piano della casa, materico, illimitato, privo di direzione predominante, e quello verticale che ricuce i diversi livelli per mezzo della scala e che,

per sua natura, sposa una coscienza di profondità; penetrazione ed elevazione, simbolicamente associate all’azione dello scavare o del guardare il cielo, alla ricerca profonda di un valore sacrale e psicologico. Al piano terra è la grande parete del camino a farla da padrona. Questa è realizzata come una panca oversize di cui solo una parte accoglie il focolare. La restante parte ha una funzione di seduta e ridefinisce lo spazio dei divani integrandone la dimensione. Diversamente da prima, si preferisce la relazione trasversale con lo spazio esterno, prima confinata alla veranda a nord, alle spalle del camino. Un’abitudine che ha viziato la scelta delle due linee trasparenti fisse ai fianchi della cappa mantenendo per nostalgia la doppia uscita verso l’esterno. La cucina lineare occupa in pratica tutto lo spazio dell’ex portico, è priva di pensili per integrarsi d’ufficio nello spazio del soggiorno e, grazie alla due grandi finestre filo top di cui una in corrispondenza del lavello, stabilisce un rapporto con i confini della proprietà che si perdono nello sfondo dell’agro romano. Il tavolo conviviale è il trait d’union tra living e la cucina ed anch’esso è pensato fuori

scala; grazie alla sua dimensione può quindi sposare funzioni molteplici, come per esempio un ampliamento delle scrivanie per le gemelle, la cui camera è ridotta all’essenziale. Ma l’intento è quello di riunire la famiglia non solo intorno al tavolo, ma in tutta la zona del living, sposando l’integrazione piuttosto che l’isolamento. I due varchi di accesso sulla parete sotto la falda sono gerarchici per forma e sottendono all’interno le funzioni ad essi corrispondenti, mentre all’esterno definiscono la dimensione del lungo tavolo.Al piano superiore troviamo la camera di Antonella connessa con la cabina armadio e a sfumare il bagno con la grande superficie della doccia totalmente rivestita in legno. Al piano di inferiore la parete che prima confinava con il garage diventa dominante e le due nuove aperture definiscono una circolarità che raddoppia la dimensione del soggiorno. Se i due varchi consentono la percezione di questa circolarità, in realtà solo uno resta un passaggio fisico; quello di connessione tra cucina e la zona pranzo. L’altro trasforma questa caratteristica integrandosi al camino in questo caso pensato bifacciale.









Appartamento, Roma

VACANZE ROMANE Il proprietario, ex dirigente ENIT, ha viaggiato per lavoro, ed ora che è in pensione, continua a farlo per piacere. Usata per sporadiche “Vacanze Romane”, all’occorrenza ospita il figlio regista che vive a Berlino con la famiglia. In questo senso l’appartamento deve rispondere a due tipi di configurazione: quella di un uomo adulto che la vive prevalentemente da solo, e quella di una famiglia di quattro persone replicando a questa esigenza con la dovuta flessibilità, considerando che l’alternativa sarebbe stata quella di alloggiare in un B&B. La casa ha un’altezza privilegiata di 3,60ml, fattore che ha ispirato un progetto verticale per la zona giorno, mentre tutta la zona notte si abbassa al limite dei 2,40ml regalando un soppalco potenzialmente calpestabile che compensa le limitate funzioni contenitive. Nella zona notte, dove la distribuzione ha subito un intervento più incisivo, è stato diviso in due il bagno esistente e ridimensionata la zona letto, isolando la camera dalla cabina armadio che asseconda una funzione semi-pubblica grazie anche alle porte a tutt’altezza che chiudono o aprono le

relazioni a seconda della necessità. La grande superficie contenitiva, sperimentata già in altre circostanze, parte dalla zona dell’ingresso, dove favorisce funzioni da ripostiglio, si allunga e si configura a ”C” assecondando la funzione più consona dell’armadio nel suo avvicinarsi alla zona notte. Le due profondità evidenziano l’uso come contenitore per intimo e maglieria oppure quella di appenderia. Il passo industriale, come al solito, si adegua alla muratura facendo immaginare un arredo su misura, che è invece risolto con le strutture “Pax” di Ikea. In corrispondenza dell’ingresso alla camera da letto, l’armadio raddoppia su se stesso garantendo l’utilizzo di questo spazio privato in caso ci siano ospiti, o come detto all’inizio, quando è utilizzata da Enrico. La parete di testata letto raddrizza gli angoli sghembi e regala spazi contenitivi quali le nicchie, che sostituiscono i comodini, o la libreria lineare al di sopra della testata letto con luce led integrata nella veletta.

I bagni privilegiano gli spazi della doccia, una con seduta, in cui sono state utilizzate le lastre Urban Grey Ivory dimensione 100x300cm effetto cemento che si piegano anche a costituire il piatto doccia con canaletta di scarico Geberit. Il bagno padronale si completa con il lavabo in corian realizzato su misura, mentre nel bagno di servizio trovano posto la lavatrice e la caldaia. L’elemento di cerniera tra la zona notte e la zona giorno è la cucina dove è stato previsto un intervento sulla muratura portante che definisce un percorso fluido che raddoppia le relazioni con il soggiorno. La parete che accoglie la cucina tende al quadrato e questo fattore, oltre a quello più evidente dell’altezza, ha ispirato una forte relazione tra casse alla base e colonne frigo forno, in quanto la “L” che definiscono sottende, per l’appunto, le dimensioni di un quadrato. La scelta della cucina della Doimo ha garantito il limitato utilizzo di ante nel senso verticale, donando una monoliticità alla composizione. Composizione che si completa con il sistema dei pensili che invece che accoppiarsi orizzontalmente si sviluppa in altezza affrancandosi dal ruolo ordi-





nario per apparire invece come una grande cappa posta chiaramente in corrispondenza del piano a induzione. Consuetudini funzionali, sono volutamente rivisitate, come l’assenza dello scolapiatti, ma solo perché le tanto desiderate “isole” non mi risulta li abbiano mai presi in considerazione, con la conseguenza di immaginarli come elementi non necessari sebbene funzionali. Lo spazio del soggiorno è invece dominato dalla grande libreria “Billy” di Ikea che sembra anch’essa un intervento su misura. A tal fine è stato favorito il passo da 40x210 cm, che ha inciso sul numero di elementi da installare, ma formalmente tende ad una caleidoscopica ripetizione di spazi uguali, con

un passo dei contenitori che tende sempre al quadrato, proiettato, come per la cucina, sulla parete di fondo che tende anch’essa al quadrato. Gli eletti top, uno sopra l’altro, completano la configurazione e consentono di svettare fino alla quota totale in altezza, nonostante le limitazioni di montaggio previste dall’azienda. Una piccola perla nel tessuto della speculazione edilizia, coniuga una ristrutturazione di alto livello moderando i costi grazie all’uso di selezionato di elementi industriali.





Villa Unifamiliare, Teheran, Iran

PUBBLICO PRIVATO Con questo progetto ci spingiamo in medio oriente, nella capitale della repubblica islamica dell’Iran, paese che vanta siti storici risalenti all’impero persiano. Teheran ha visto le trasformazioni più profonde nella seconda metà del 19° sec., e se pur modesta nei suoi aspetti architettonici, già all’inizio del 20° sec. divenne la più grande città dell’Iran, con forti intrecci di elementi orientali e occidentali. Il progetto si muove proprio a partire da questa convivenza di stili. Se da una parte, nella cultura islamica permangono alcuni caratteri fondamentali, come la monoliticità delle superfici murarie, o il senso della privacy che si traduce nelle geometrie delle mushrabiya che coniugano la mancanza di introspezione, al raffrescamento passivo tipico sistema utilizzato delle zone del Nordafrica e del mondo arabo. Originariamente erano detti così, gli spazi sporgenti dall’abitazione dotati di aperture con particolari grate lignee in grado di garantire il benessere termoigrometrico interno sfruttando le caratteristiche fisiche del legno e climatiche del luogo. Sono proprio questi gli aspetti che è possibile ri-

trovare nel progetto interpretato secondo le geometrie occidentali. Il senso della privacy è relativo a due sistemi: quello tra chi vive la casa e ciò che è esterno, ed una gerarchia più sottile che punta a differenziare i percorsi sia degli ospiti, sia dei lavoratori domestici. Questa diversificazione dei flussi è evidente soprattutto al primo livello. La casa si presenta con tre lati prevalentemente ciechi. Questi fanno riferimento alla porzione di ingresso, quella che affaccia su strada, e i due lati adiacenti ai terreni confinanti. Se verso la strada la monoliticità è risolta con delle feritoie verticali e con lo slittamento della parete che in corrispondenza dell’ingresso protegge l’attesa prima di entrare, gli altri lati sono del tutto ciechi, a meno dell’ingresso alla centrale termica e dell’accesso dei lavoratori domestici. Al piano terra troviamo tre microcosmi autonomi: il living, la camera degli ospiti e la zona dei servizi. La camera degli ospiti è a ridosso dell’ingresso in modo da restare, per posizione, più defilata rispetto al resto dello spazio. La cabina armadio funzio-

ne come filtro , può essere utilizzata dalla famiglia quando noci sono ospiti e, di converso, come una anticamera. I flussi potrebbero non incontrarsi mai, soprattutto durante la notte, ma al tempo stesso favoriscono una relazione diretta con gli spazi pubblici della casa, come ad esempio tra la cucina e la zona pranzo. In questo tratto domina invece una grande superficie finestrata che viene virtualmente divisa in due tra la zona del pranzo più attiva, e quella del living, con il grande camino, più riflessiva. La scala lenta separa idealmente la casa in due e definisce uno spazio a doppia altezza che privilegia la grande superficie della cappa che spetta oltre il tetto, ed il grande candelabro sospeso sopra la zona con il tavolo da gioco (specifica richiesta della committenza). Come negli sporti, le pareti della casa si proiettano verso il giardino proteggendo lo spazio esterno a diretto contatto con l’abitazione, e generando, oltre alla privacy, il giusto grado di ombreggiamento.





Appartamento, Roma

PAPAVERI e NUVOLE Qualche anno fa ho avuto modo di lavorare su questo appartamento realizzando un volume autonomo per finitura, funzione e posizione. Questo è stato l’unico elemento che si è salvato dalle demolizioni. E se non è rimasto nulla della vecchia distribuzione è stato invece utilizzato tutto, o quasi tutto, di componenti affettive che Cinzia ha acquistato nel tempo e che desiderava, comprensibilmente, mantenere. Lo studio della spazialità è quindi andato di pari passo ad un esercizio di ricomposizione, che a dir del vero, molto deve al contributo di Cinzia. E’ stata una scommessa perché preferisco mantenere un margine discrezionale nella selezione, e non nascondo preconcetti verso la ricollocazione di oggetti che spesso negano “precedenti convivenze” , soprattutto se dislocati in ambiti diversi. E se questa scelta può essere legittima per elementi autonomi, come un divano, una poltrona, un tavolo, una lampada, diventa tutto più complicato in presenza di elementi che necessitano di continuità. E’ questo il caso dei tre pensili sulla base dei quali

si struttura tutta la parete del soggiorno. Bisognava coniugare elementi di tipo industriale sia con le finiture esistenti (parliamo di laccatura lucida nei colori bianco, grigio e rosso), sia con le dimensioni in altezza e profondità e quest’ultima di difficile corrispondenza. Nell’ottica di adeguare la parete al prodotto industriale, ho lavorato su profondità variabili con i pensili nella parte alta che compensano, grazie ad una controparete in cartongesso, le divergenze dimensionali, mentre nella parte bassa, dove era possibile una maggiore autonomia, con gli elementi base profondi 40cm sospesi da terra. Fatta questa doverosa premessa in questo appartamento c’è tutto quello che ogni cliente desidera. Una grande terrazza coperta, una balcone di servizio, una quadratura di dimensioni tali da consentire di avere un generoso spazio del living, la cucina con isola, il ripostiglio di dimensioni adeguate, lo spogliatoio all’ingresso, la grande cabina armadio, tre camere da letto e chiaramente, almeno due bagni. Ma come diceva il Biancospino, “e pur questo non basta” perché servivano tanti, tanti, contenitori. Infatti Cinzia ha un quantitativo impressionante

di oggetti, libri, ricordi, foto, quadri, che dovevano trovare tutti una loro collocazione, sia dentro i contenitori, che fuori, nello spazio della casa. Dal punto di vista distributivo il progetto è stato un gioco di slittamenti in quanto gli ambienti hanno più meno confermato la loro funzione. Una serie di traslazioni ed inversioni di posizione e la casa si trasforma in un corpus di “funzioni coerenti” dove tutto è, per così dire, a portata di mano. Una distribuzione dove tutto è compresso al punto da non avere non tanto il coraggio quanto lo spazio da ridurre, soprattutto nei percorsi. All’ingresso un micro spazio filtrato è inquadrato dall’ampio ripostiglio e guardaroba. Da qui si sviluppano librerie e contenitori che accompagnano il percorso da un lato all’altro della casa, pareti contenitive continue a funzione mista e profondità variabile si piegano assecondando il percorso fino alla cabina armadio esistente, integrata con un nuovo blocco frontale che ne raddoppia la capienza. In corrispondenza dell’ingresso c’è anche il primo sfondamento prospettico verso la camera di Cinzia, considerata quella con un carattere più pubblico; il percorso l’attraversa e punta alla superficie





trasparente che apre su un’altra terrazza, quella di servizio, dove troviamo la zona di lavanderia. Ad enfatizzare questa direzione è la parete dello spogliatoio che si allunga oltre la sua dimensione ed incorpora, in una cornice in cartongesso, la libreria industriale, per dare appoggio dalla parte opposta alla dimensione del tavolo sottesa a sua volta dal basso, lungo e profondo calorifero; comprime lo spazio e segna la linea virtuale tra la zona pubblica e privata. E sempre all’ingresso si dipana la distribuzione della casa nell’intersezione principale dei percorsi. La cucina resta nella sua posizione originale ma si distingue per il suo nuovo ruolo di cerniera funzionale. Da ambiente concluso, si apre al soggiorno con la

parte dell’isola conviviale, dove c’è il piano cottura e snack, generando un baricentro di controllo che guarda all’ingresso, alla libreria in primo piano e a quella sullo sfondo, alla zona pranzo, al divano e alla terrazza con la quale definisce una relazione di totale permeabilità, divenendo un’appendice che ne raddoppia lo spazio accorpandone praticamente la dimensione. La linea continua della gola disegna uno scuretto tutto intorno alle basi e si completa con le colonne frigo-forno-dispensa che sono una parete incorniciata tra le pieghe del controsoffitto. Se all’ingresso troviamo la prima intersezione di percorsi, qui troviamo una circolarità tra cucina-pranzo-soggiorno-spazio esterno. Questa

circolarità e la doppia relazione che si attua tra i passaggi soggiorno-terrazza e cucina-terrazza, rende quadrato lo spazio del living promuovendo il dehor al ruolo di soggiorno esterno dell’open space interno, in uno spazio fluido e vicendevolmente permeabile. Il soggiorno, in un gioco di specchiature, si ribalta e completa, con la grande parete attrezzata, la costellazione di elementi esistenti: il divano, il tavolo, le sedie, i tavolini, il pouff, il mobile tv, le lampade, i tappeti, gli oggetti, le foto, i quadri e i libri, a terra, sui ripiani o sulle pareti, si incontrano in una nuova configurazione e come dei vecchi amici iniziano un nuovo e possibile dialogo. Dall’altra parte della casa è sempre il percorso che



regge la composizione. In questo caso si sviluppa a pettine favorendo le connessioni trasversali che a tratti attraversano totalmente lo spazio, come nel caso del rapporto cabina armadio-bagno, ed in parte rimangono lambenti verso la parete della camera di Michel, che essendo bifacciale, mantiene, sul lato del percorso, ancora una funzione pubblica. L’ex studio, il volume superstite, è come una capanna urbana, un parallelepipedo completamente impiallacciato in ciliegio che diventa la terza camera da letto, le cui dimensioni ridotte trovano risposta nello spostamento all’esterno delle superfici contenitive. Questo vale anche per le altre camere che sposano un concetto: estrapolare parte degli armadi dallo spazio privato, per concen-

trarli in uno spazio semiprivato, quello della cabina armadio che a sua volta sposa una connessione talmente diretta con il bagno corrispondente da farlo sembrare un unico spazio. Non c’è bisogno di tornare nella propria camera per vestirsi/spogliarsi, tutto avviene in quest’ambito. Nei bagni i lavabi in corian giacer White della Dupont sono sicuramente i protagonisti della scena. Presentano una vasca scalare su due lati che sfuma sullo spigolo del bordo dove la veletta frontale lascia ampio appoggio alle salviette. Sono accoppiati ad un mobile di servizio che nasconde le chincaglierie del bagno, oggetti e oggettini troppo spesso ammucchiati qua e là, mentre mensole o altri contenitori/parete fanno sì che ogni cosa sia

al suo posto. I rivestimenti a tutt’altezza sono le lastre 120x250cm finitura Mud della DSG, piegano a formare i piatti doccia con scarico lineare, o la seduta, rendono questi spazi calibratissimi, fluidi, visivamente coerenti e funzionali. Quello di Cinzia è il controcampo prospettico al soggiorno e, quando la porta-parete è aperta, la posizione traslata del catino del lavabo rende dubbia la sua funzione. Un bagno immaginato pubblico all’ingresso che per analogia si lega al soggiorno, ne diventa la cuspide con controcampi visivi che attraversano tutta la dimensione della casa. A terra un parquet in rovere naturale, in tre dimensioni di tavola, disegna un pattern dinamico che segue e sottolinea la direzione principale.





Concorso Internazionale di progettazione, Priceton, New Jersey, USA

360GRADI Il progetto è risultato vincitore del primo premio di una competizione internazionale di Interior Design. L’esigenza era quella di rifunzionalizzare la zona giorno le cui caratteristiche sono quelle di proiettarsi sia verso l’esterno, per mezzo delle ampie superfici finestrate, sia verso le altre funzioni della casa che gravitano intorno ad esso e di costruire uno spazio in cui poter svolgere diverse attività: leggere, conversare, ascoltare la musica, guardare la tv, o rilassarsi guardano un panorama naturale immersi nelle foreste del New Jersey, che d’autunno si tingono di tutte le sfumature di rosso, magari ascoltando il crepitio del fuoco in una fredda notte invernale. Tutte attività che hanno il living come elemento comune ma che al tempo stesso è auspicabile che possano dotarsi di una propria identità. Tra le criticità esistenti quella di rendere intimo uno spazio a tutta altezza, risolvere la mancanza di relazione (nonostante la doppia altezza) tra i due livelli esasperata da una balaustra che rende il ballatoio una specie di gabbia, definire una nuova linea di colori, eccessivamente saturi, e chiarire la

relazione baricentrica con la zona pranzo che privilegia la visuale con la cucina piuttosto che quella con il soggiorno. L’idea progettuale risolve queste criticità proponendo un divano che a 360° si proietta verso tutte le direzioni possibili rimarcando di volta in volta una funzione specifica. A questo compito è delegato il camaleontico divano componibile Peanut di Bonaldo che, con le poltrone Barcelona ed altri spazi di seduta ricavati tra le differenze di quota dettata dalla depressione del soggiorno ed altri elementi di arredo come pouf e la base del braciere del camino, centralizzando lo spazio sia verso di sé che verso il sistema di sedute anulari. L’eliminazione della balaustra, la proiezione della terrazza che si sgancia dalla parete adiacente e la libreria a tutta altezza definiscono una nuova relazione tra la zona giorno e la zona notte che lascia solo immaginare il collegamento verticale della scala, nascosta dietro alla libreria che mantiene, in corrispondenza di essa, un carattere di permeabilità visiva con lo spazio del soggiorno. In altezza lo spazio viene compresso da grandi

pendenti che vengono proposti in diverse alternative tra cui il candeliere Wireflow della Vibia, l’Ameba sempre per Vibia o la Mesh di LucePlan. L’estensione dell’area colazione, integrata nel volume della parete e l’eliminazione dell’acquario consentono una relazione diretta con la zona pranzo mantenendo un carattere di privacy nei confronti della zona operativa della cucina.











PARETI UMANE Un condominio degli anni ‘60 di una ex periferia romana è lo scenario all’interno del quale si muove la narrazione. Un docu/racconto di cinque minuti raccoglie il contributo di sei famiglie portate, forse per la prima volta, a riflettere sul rapporto che hanno costruito con gli spazi che abitano; dalla contingenza ai desiderata, si costruisce una impalcatura emozionale sorprendentemente spontanea dove il luogo dei ricordi si sposa con lo scorrere del tempo all’interno di uno spazio. Lo scopo del progetto di ricerca è quello di stimolare, attraverso una serie di domande poste agli abitanti che vivono in appartamenti ugualmente configurati, una riflessione sullo spazio come generatore di consuetudine, capace di viziare le abitudini, spesso in maniera inconsapevole. La collazione di queste riflessioni definisce i confini all’interno dei quali si muove l’architetto ed il suo lavoro, aiutando a scardinare alcuni automatismi, smussando/riducendo e a volte eliminando la visione corrente, figlia di un “consueto” rassicurante, spesso non funzionale e spontaneo ma assimilato al punto da sembrare naturale. La configurazione degli spazi modifica le abitudini migliorando la condizione dell’esistenza quotidiana.

Dialoghi dal docu-racconto “Pareti Umane” https://vimeo.com/182454559 Sono Massimo Valente, faccio l’architetto, e praticamente vivo in questa casa da sempre Io mi chiamo Emilia Sera, ho 45 anni, vivo in quest’appartamento dal 1996 Mi chiamo Julia Kostadinova Stoytcheva, dalla Bulgaria, lavoro qui a Roma, come lavori domestici, colf Sono Grazia Sernia, abito in questa casa praticamente quasi da sempre, dal ’64, faccio l’artista, che non è considerato un mestiere Mi chiamo Carmela Giannella, sono un’impiegata statale, e ho comprato questa casa nel 2000 Dr. Jeckill, Lei è Fedele, 13 anni, vero? Mi chiamo Fabrizio Baracaia, son tornato per motivi familiari lo scorso 8 febbraio, 2016 Che cos’è la casa? G. Per me casa è qualsiasi posto dove sto bene F. Qui è in tutto e per tutto le mie radici, e quindi la mia storia, tante emozioni J. Tornare a casa per me è un sollievo

E. E’ un po’ il luogo sicuro, quello in cui ci si ritrova, in cui si progetta, in cui ci si racconta C. Sicuramente è un rifugio, un rifugio dal chiasso del mondo, quasi un’oasi nel deserto Quanto tempo trascorri nella tua casa? J. A casa, quasi di notte G. Non lo so. Nolo lo so perché per me tutto ciò che è involucro è qualcosa che si può spostare, può esserci può non esserci. C. La sera me lo godo alla grande M. La maggior parte del tempo perché oltre ad essere uno studio comunque è una casa e quindi è il mio spazio dell’accoglienza Come si è modificato lo spazio nel tempo? C. Aver cambiato gli ambienti di casa mi dato anche la possibilità di disfarmi di un sacco di oggetti che pensavo fossero indispensabili, oggetti e oggettini, che poi alla fine sono anche inutili. E cambiare casa, cambiare


Fabrizio Baracaia

Carmela Giannella

Emilia Sera

Grazia Sernia

Julia Stoytcheva


arch. Valentina Frasghini (Sceneggiatura), Paolo Callarà (Fotografo di scena), Valerio Cicco (Secondo operatore), Edoardo Cincotti (Suono in presa diretta), Fabrizio Orsola (Montaggio), Emanuele Princi (Direttore della Fotografia), Musiche originali (Francesco Valente, Massimo Valente) Regia Enrico Trippa

gli spazi soprattuto di casa, ti fanno crescere G. Si è trasformato lo spazio abitativo, in quanto in questa stanza che adesso è la mia stanza, dormivano i ragazzi, c’è questo letto che va a finire sotto l’altro. Poi in questa che è diventata una libreria c’era un altro letto F. Da quando sono andato via io, quattordici anni fa, è rimasta ibernata, nel vero senso della parola, perché la mobilia che vedete attualmente è la seconda e l’ultima, rispetto a quando sono cresciuto addirittura io. M. E si è trasformata innanzitutto aprendo alla luce, non ci sono pareti, non ci sono porte J. La nostra casa, proprio non si è trasformata. Qual è lo spazio che senti più tuo? G.

Senz’altro questo, perché è lo spazio dove lavoro, e dove chiaramente c’è una concentrazione di energia fra me e quello che sto facendo, perché io sono solamente un interprete, ma lui già c’è. F. Ero un cultore degli impianti di alta fedeltà che adesso ho trasferito all’altra mia casa, però ecco l’unico spazio mio era questo, con questi adesivi che voi vedete. C. Diciamo che anche la camera da letto è una stanza ridotta proprio all’essenziale, una mia amica l’ha definita un nido J. Sembra un po’ bizzarro, ma il balcone Com’è il tuo rapporto con la cucina? C. Essendo una pugliese i miei amici pretendono di venire a casa, quindi spesso e volentieri mi piace cucinare e sono contenta quando vengono

E. Diciamo che il piano cottura viene poco utilizzato J. Il rapporto è bellissimo, mi ascolta ... F. All’epoca dei miei chiaramente la cucina era un fulcro, soprattutto la mattina il caffè era un rito. Mio nonno stava qui, si faceva una bella chiacchierata con la nuora, prendeva il caffè e poi dopo all’ultimo faceva:” certo Marì fai tutto bene, ma il caffè non sei proprio bona a fallo” G. Mi piace questo ambiente, mi piace perché tendo a cambiare la struttura fisica del luogo, a organizzarlo in modo che si incrocino delle cose, quindi ho creato questa isola riservata facendo finta di cucinare tanto Qual è il tuo rapporto con l’esterno? J. Mi sveglio e la prima cosa che faccio è il caffè, ma esco sul



balcone …e se non mi metto i piedi così, non è finita la giornata ancora F. Metà del balcone diciamo è stato chiuso per dare uno spazio per esempio a mia sorella per studiare per l’università, e poi l’altra parte del balcone aperto è stato lasciato con i vasi, che poi adesso sono incolti, a causa purtroppo dell’incuria. G. E’ una piccola appendice di questo spazio, ho bisogno della tenda, del filtro, ma probabilmente perché in tutti i rapporti, ho bisogno del filtro. C. Mi aggancia col mondo esterno, perché poi qui abbiamo questa piazza che ormai è una zona pedonale, per cui vengono famiglie, bambini, sto in contatto con gli altri, con il mondo intero. E. Questo balconcino che c’è qui davanti è un balcone di

servizio, mentre invece l’altra parte del balcone, che è quella che è stata chiusa a veranda, serve soprattutto per i ragazzi. La cosa che mi piacerebbe anche molto avere è una vista che non sia quella dei palazzi perché ormai siamo diventati amici con tutti quelli che abbiamo di fronte, perché condividiamo tutto praticamente. Quali sono i tuoi ricordi? F. Le candeline della festa dei quarant’anni di mia sorella, le candeline della festa dei quarantasette anni miei, morto che parla, e queste sono le ultime che utilizzato per la festa di mia mamma, per i suoi settantacinque anni, e le abbiamo tutte conservate qui dentro, e il tempo quindi si è fermato. G. Per me non esiste una casa nel senso stabile del termine, racconta un percorso, un percorso che è fatto di

ricordi, quindi questi percorsi li potrei spostare in qualsiasi posto. Non è l’involucro che mi interessa. M. Questa era la casa di mia nonna. Ha visto passare tantissime persone durante il corso del tempo, a iniziare da noi che venivamo a pranzo qui tutti giorni a ritorno da scuola C. Più che di ricordi, preferirei parlare di desideri, desideri futuri, mi riportano a vivere un futuro. J. Possiamo anche lasciarli o tenerli da qualche parte momentaneamente se dobbiamo fare traslochi o qualcosa. G. Queste sono le foto dei miei nipoti, e ho scelto questa struttura perché dato che sono sola, non parlo con nessuno, e allora quando io passo qui davanti, loro si muovono, e mi sembra di sentire … le loro voci.



UN, DUE, TRE, STELLA!

Il progetto elaborato per e con lo studio stARTT, prevede la rifunzionalizzazione di un vecchio fienile, dell’aia ad esso adiacente e della porzione di paesaggio circostante. Il contesto è quello delle colline di Fiesole, ampiamente descritte nella letteratura e “celebrate per il loro paesaggio, per la favorevole esposizione a mezzogiorno che, riparandole dai venti freddi del nord, le rende un ricercato soggiorno invernale”, meta ideale per puntuali gite festive in grado di offrire riparo dalle caldi giornate estive grazie ai luoghi relativamente freschi. I cieli aperti, l’amenità dei luoghi, da guardare ma anche da dove guardare il magnigifco panorama che si staglia sullo sfondo della città di Firenze e tutto intorno le innumerevoli ville che costituiscono una vera e propria estensione del capoluogo. Tuttavia, la prima cosa che ho visto di Fiesole è stato l’ufficio comunale. Nel frattempo Reny e Macarena passeggiavano lungo il Belvedere. Dario è un vero ospite e qui ci si sente come a casa. La sera, dopo una cena all’aperto nella quale mi

spiega il lavoro, ci spostiamo verso “la tazza” una piscina riscaldata poggiata su una piattaforma in legno sulla quale supini, con lo sguardo rivolto al cielo, ci godiamo, in assenza quasi totale di inquinamento luminoso, lo sciame meteorico delle perseidi: la magia delle stelle cadenti. Di giorno sono invece gli ulivi e la piegatura della terra a farla da padrona, paesaggi disegnati dalla mano di contadini sapienti mi ridestano dal torpore dei luoghi comuni. Il progetto è quello di trasformazione del fabbricato rurale, deposito dei foraggi e ricovero durante la fienagione, in agriturismo e residenza del mezzadro. L’edificio esistente si compone di tre volumi distinti che ne segnano anche la sua evoluzione storica. Il corpo centrale a tutta altezza è il più antico, ed è stato nel tempo integrato in aderenza con due ali con accesso indipendente e con funzioni di deposito e porcilaia. L’idea è stata quella di mantenere inalterata la sagoma esistente confermando anche le diverse quote di sedime; un livello sul fronte dell’aia e su

due livelli verso i colli lunati, facendo corrispondere ai salti di quota rispettivamente le funzioni notte ed il living. Il volume prisco viene aperto e collegato alle due ali estendendosi in maniera longitudinale verso il paesaggio che scorre, con le sue curve di livello, verso la residenza padronale. Un segno contemporaneo che stira e asseconda l’orografia del luogo comprimendo lo spazio del dehors che, schiacciandosi nella direzione dell’edificio, privilegia la direzione dello sguardo verso le morbide curve del paesaggio all’orizzonte. L’edificio presenta tre accessi. Uno autonomo a servizio della porzione con i due grandi varchi centinati che prevede l’utilizzo ad agriturismo e prospiciente l’aia, e due dedicati alla residenza principale di cui uno in prossimità della zona notte, dove una cabina armadio separa lo spazio distributivo dell’ingresso al piano dalla camera padronale e l’altro, alla quota inferiore, che apre con il grande portale la vista verso l’uliveto. Al piano terra troviamo il soggiorno che guarda ad ovest la valle attraverso la grande superficie trasparente e connesso, per mezzo del camino che







funziona come una cerniera, per mezzo del suo piano base, alla zona dello studio/pranzo e del laboratorio di cucina/degustazione. Uno spazio fluido che, a seconda delle esigenze, può essere frammentato definendo un diverso grado di relazione tra cucina e pranzo, per mezzo di due portelloni scorrevoli a tutta altezza. Il grande tavolo in cucina è pensato sia come supporto alla preparazione ma anche come spazio informale dove consumare pasti frugali o con amici di vecchia data o, in alternativa, anche come spazio espositivo per i prodotti dell’azienda agricola che, in particolari occasioni, è possibile acquistare e degustare. In alternativa questo elemento, che tende al quadrato, potrebbe essere sostituito allungando la direzione del tavolo del soggiorno che assecon-

dando la direzione longitudinale, si presenterebbe come elemento di connessione tra le funzioni estendendosi tra la zona del pranzo a ridosso della cucina, fino al soggiorno di cui diventa un’appendice che ne suggerisce l’utilizzo come studio. Lo spazio del living presenta diverse quote in altezza e porzione della copertura della vecchia porcilaia è stata svuotata per favorire la vista del cielo piuttosto che il tintinnio della pioggia. Il ruolo di cerniera del camino è enfatizzato anche verticalmente incoraggiando una connessione, senza soluzione di continuità, con la camera da letto, il cui volume galleggia sospeso sul soggiorno e la cui focale è ancora una volta il paesaggio ad ovest.





DUE DI DUE L’appartamento presenta una configurazione irregolare caratterizzata da pareti sghembe e variazioni di profondità degli allineamenti, sia verso l’esterno che verso l’interno. Nella parte bassa, un intricato sistema di percorsi e spazi di servizio, si susseguono a partire dall’ingresso occupando una superficie di circa 26,00 mq, determinando, sul lato opposto, l’allungamento degli spazi delegati alla cucina e al bagno. Le richieste della committenza erano quelle di ricavare uno spazio di rappresentanza adeguato, una grande cucina con isola integrata nel soggiorno, un secondo bagno e due camere da letto. Le dimensioni in profondità dell’appartamento ponevano dei vincoli, soprattutto nelle camere da letto che, nella mediana, misuravano circa 2,70ml. Uno dei primi interventi è stato quello di spostare verso l’alto la linea dello spazio distributivo in modo da renderlo baricentrico rispetto al soggiorno, spezzando simmetricamente l’impianto della casa che nella parte meno luminosa accoglie la cucina ed uno dei due bagni (le uniche funzioni che non necessitano di luce e areazione diretta), e consente, mantenendone la privacy, di intercet-

tare la luce da Est regalando una profondità visiva di tutto l’appartamento dalla finestra posta nella camera da letto matrimoniale. I piani verticali e lo spazio tra i pilastri vengono regolarizzati grazie alla realizzazione di una quinta a servizio della cucina che spinge lo spazio verso l’alto e, grazie alla profondità variabili, si trasforma da scarpiera a libreria a dispensa e a colonna frigo-forno fino ad il ripostiglio nascosto dietro l’anta a tutta altezza, per poi ripiegare comprimendo lo spazio di pertinenza al top della cucina. Uno spazio di manovra sartoriale di 85cm, sgancia il sistema contenitivo dalla penisola in Corian Dupont con lavabo integrato che si sviluppa per circa 4,20ml. Il top prosegue nel bagno di servizio mantenendo la stessa quota del piano della cucina grazie alla differenza di altezza necessaria al passaggio degli impianti, ed è diviso da esso da una superficie trasparente che garantisce luce naturale al bagno. Il salto di quota è risolto dalla parte del soggiorno con un gradino che si estende nelle tre direzioni disponibili mentre, passati i varchi di accesso ai bagni, piega con un piano inclinato dolce verso le

camere da letto. Dalla parte opposta, la grande parete espositiva nella parte bassa ne riprende le caratteristiche formali e diviene un grande piano di appoggio rivestito sia nella parte orizzontale che verticale con delle lastre finitura cemento dei Decoratori Bassanesi. Il volume in cartongesso viene scavato con delle nicchie che rendono dinamica la parete percependo uno slittamento orizzontale e regolarizzano gli allineamenti con i pilastri più sporgenti. Nonostante la distanza massima dalle superfici finestrate sia di circa 8,30ml lo spazio è immerso nella luce grazie agli interventi fatti sui prospetti esterni che vedono, da una parte l’ampliamento della superficie verso la terrazza, che gode in virtù di questa nuova relazione di una maggiore profondità, mentre a fianco, si è scelto di rinunciare alla porta che dava sulla porzione di terrazzo più stretta a vantaggio di una grande finestra bilicata. Purtroppo il paesaggio all’esterno non è del tutto rappresentativo ma è un compromesso che ha permesso di amplificare la percezione della dimensione del soggiorno, grazie proprio alla re-







lazione visiva che lascia opaca soltanto la parte verticale tra le due superfici trasparenti. Un brise-soleil il legno e le piante poggiate sulla soglia all’occorrenza allargata, garantiscono il minimo di privacy in questo spazio che per scelta è anche privo di tende. I due bagni sono ricavati nello stesso spazio che prima ne conteneva uno, ma il loro riproporzionamento ne garantisce una fruibilità migliore di quella precedendete. Il cambio di quota consente l’utilizzo di due grandi piatti doccia a filo pavimento che non creano interruzioni del piano base concorrendo alla sensazione di uno spazio più grande. Le superfici bianche dei rivestimenti in grès porcellanato laminato si alternano da una parte a pareti in legno e dall’altra ad un mosaico strutturato a

doppia finitura, sempre dei Decoratori Bassanesi, che riveste, come fosse una piscina, tutta la doccia. Il lavabo in Corian Dupont sfuma con il piano inclinato tra bacino di raccolta a piano di appoggio. L’illuminazione è fatta da canali led e da fari in gesso integrati nel controsoffitto. Tra le altre sorgenti troviamo la Tolomeo a sospensione della Artemide sopra il tavolo da pranzo, la Ballon della Estiluz, nella camera da letto dei bebè, e luci di servizio comandate per una illuminazione di atmosfera. Nel frattempo gli abitanti della casa da due sono diventati due + due.





Villa Bifamiliare, Tamarindo, Costarica

DOUBLE FACE Questo progetto è il risultato di un investimento immobiliare. Di conseguenza, per un primo periodo, era necessario che la configurazione della casa rendesse possibile la separazione in due unità distinte, in modo da poter recuperare nel tempo quanto investito attraverso l’affitto, per poi utilizzarla come residenza personale. Siamo a Tamarindo, in Costa Rica, Stato dell’America Centrale con la più alta soglia di felicità e privo di un esercito nazionale. Le esigenze di base per poter affittare la villa erano quelle di avere due di tutto: Due soggiorni, due zone pranzo, due cucine, sei bagni, quattro camere da letto, minipiscina riscaldata sul roof garden, vasca a filo nel bagno padronale; all’esterno un’area barbecue, pranzo e piscina in comune, e spazi di pertinenza privati. Le richieste della committenza erano di avere una casa diafana, ma al tempo stesso protetta dal caldo sole che durante l’anno non scende mai al di sotto dei 20° La relazione tra l’interno e l’esterno doveva essere il più fluida possibile, quasi senza pareti, ma al

tempo stesso garantire protezione dagli allagamenti dovuti alle piogge torrenziali. Infine, al rientro dell’investimento, la casa doveva funzionare come un’unica unità. Per quanto riguarda l’impianto planimetrico, l’orientamento e le dimensioni del lotto, impongono la scelta di una forma ad “L”. Inizialmente si era pensato a due volumi identici con i collegamenti verticali nel punto di cerniera; questo per evitare che ci fossero delle differenze sull’importo dell’affitto, ma ne derivava una forma banalmente speculare e con un peso visivo eccessivo rispetto alle dimensioni del lotto. Mantenere uno standard di servizi comune si rivelava anche troppo oneroso dal punto di vista economico, e quindi la scelta è stata quella di organizzare i volumi in maniera gerarchica, lasciandone solo uno a due livelli. Gli spazi interni sono tuttavia rimasti coerenti con le esigenze di base, compattando nel volume più basso sia la zona giorno che la zona notte. Non ci sono delle grosse differenze in termini di superfici se si esclude, nell’unità su due livelli, lo spazio dedicato alla minipiscina nel Roof Garden

(peraltro all’occorrenza condivisibile) e la camera da letto padronale dotata di una sala da bagno con vasca a filo. Per quanto riguarda il soleggiamento sei è scelto di posizionare il volume più alto ad Est in modo da avere una superficie prevalentemente opaca sul lato che prende il sole la mattina e che non affaccia sulla piscina. Di converso, la facciata ad Ovest è completamente trasparente e si prende tutto il sole del tramonto, magari mentre si è immersi e rilassati nella vasca a filo pavimento. A questo livello la superficie vetrata insiste per gran parte sullo spazio di distribuzione e la facciata quindi non soffre di un eccessivo soleggiamento. Al piano inferiore la grande superficie vetrata è sghemba, sia per orientare lo sguardo verso la parte alta del lotto, garantendo una buon livello di privacy con i vicini, sia per aver un maggior grado di ombra a sua volta garantito dall’arretramento delle funzioni dello stare, dove gli arredi si pongono a ridosso del lato Est. La ventilazione è invece assicurata dalle aperture sui due fronti.





Il volume più basso è orientato N/S ed è protetto, quando il sole è allo zenit, dal grande pacchetto del solaio di copertura e dalla schermatura vegetale che in quel punto è quasi a ridosso dell’abitazione. Il lato Nord è invece completamente vetrato, arretrato, e, come nel caso precedente, anch’esso insiste su uno spazio che è esclusivamente di percorrenza. Un sistema di brise soleil scorrevoli compensa eventuali esigenze di oscuramento favorendo anche diversi gradi di privacy. Il rapporto tra interno ed esterno si risolve differenziando le esigenze. Il volume basso è infatti fortemente staccato dal terreno, nella previsione che non sia questo, in futuro, il soggiorno principale della casa.

Risulta quindi come sospeso e contribuisce ad alleggerire il peso visivo dell’insieme. Di conseguenza è l’altro volume ad avere un rapporto maggiore con l’esterno, grazie ad una pedana che risulta comunque rialzata rispetto al piano base, evitando che l’acqua possa tracimare in casa nel periodo delle piogge torrenziali. In questo tratto anche la piscina si avvicina alla casa. Le pedane a quote differenti aiutano inoltre a privatizzare gli spazi esterni rendendo più facile il loro riconoscimento ed evitando sconfinamenti nel periodo in cui ci sarà un utilizzo promiscuo. Al contrario l’area barbecue e la zona pranzo sono luoghi in comune, condivisibili, ma lontani da entrambe i sedimi delle singole unità immobiliari. Diversità che rendono possibile la fusione in un

unico edificio, con la rimozione, in corrispondenza del vano scala, di un piccolo ed esclusivo, tratto di parete.





Appartamento, Roma

VISIONI Beatrice e Gianpaolo li ho conosciuti in una calda giornata di luglio, dopo aver salito i 144 gradini che collegano la casa posta sulle pendici delle mura vaticane alla valle sottostante. Avevamo sbagliato ingresso. Ci siamo seduti per terra in corrispondenza dell’attuale cucina, come dei vecchi amici, e abbiamo iniziato una conversazione raccontandoci esigenze da una parte, e le prime riflessioni a caldo, dall’altra. Il progetto, frutto di un concorso con altri colleghi per la definizione dell’incarico, si è sviluppato per corrispondenza, non essendo la committenza in Italia, metabolizzando soluzioni di cui restano le tracce di una scrittura che non è quindi esclusivamente visiva, ma che contiene in nuce le ragioni delle scelte che hanno poi determinato la configurazione della casa. Un dialogo stimolante con committenti illuminati, accordando, nel senso proprio del termine, una correlazione di idee talmente affini, che a tratti mi sembrava di parlare a me stesso. Beatrice aveva le idee molto chiare ed è stata un’esperienza unica partecipare alla ricerca di arredi,

materiali e sapori, condividendo una bacheca di immagini su Pinterest, l’accampamentino, come lei lo ha definito. In diverse occasioni ho rilevato l’importanza dell’aspetto percettivo dello spazio, amplificabile per mezzo del grado di relazione con l’esterno, ed anche in questo caso il primo suggerimento è stato quello di prevedere l’ampliamento della superficie finestrata di facciata. Nel caso specifico, a dispetto delle piccole finestre che incorniciavano episodi di un paesaggio più vasto, l’idea progettuale ha privilegiato un’esposizione della zona giorno su tre lati, a vantaggio del panorama che spazia dal Parco Regionale Urbano del Pineto, alla Riserva Naturale di Monte Mario, fino alle Mura Vaticane, consentendo di percepire tutto il percorso del sole, dall’alba al tramonto, quando i riflessi tingono le algide pareti della casa di un caloroso rosso porpora. Ben cinque superfici trasparenti insistono sullo spazio del soggiorno ed in particolare tre di queste sono a tutta larghezza e, se non fosse per la presenza dei pilastri, sarebbero divenute un’unica lastra omogenea.

Non si tratta più di ampliare una superficie finestrata ma di lasciare libera la vista di spaziare fin dove lo sguardo si perde. Centralmente ad esse la parete di ambito punta verso la zona notte e, rafforzata dal monolite della panca, diviene lo spartiacque visivo tra la zona del soggiorno e la cucina, definendo un cannocchiale prospettico verso il paesaggio. Il perno di questa visione è uno spazio centrale che determina, a livello funzionale, una zona ibrida semipubblica in cui si mescolano le funzioni di un piccolo studio e della “cabine d’essayage”, dove sono degli objet trouvé, come la scaletta della Tubes, o un vecchio sgabello, a dare un senso di multidisciplinarità a questo spazio. Il varco di accesso a ridosso della porta d’ingresso, consente di rendere privata questa zona ma al tempo stesso comunicante con il soggiorno, determinando un asse di percorrenza che si conclude nella porta finestra che guarda a Sud-Est, verso le mura vaticane. Una grande panca è il leit motiv della zona giorno e divide, fisicamente ma non percettivamente, lo spazio della cucina/pranzo da quello del soggiorno.







Un catalizzatore sociale di quasi 10,00 ml di lunghezza (assecondando le richieste della committenza di avere uno spazio che potesse accogliere, in occasione di cene di rappresentanza, almeno venti persone sedute), diventa lo spunto per organizzare la zona video e per dare un senso di autonomia alla zona pranzo, che si affranca da quella propriamente operativa della cucina in quanto consente uno sbilanciamento della posizione del tavolo, che si aggancia praticamente su di essa, evitando che galleggi nel relativo spazio di risulta, decentralizzandolo. La posizione del tavolo favorisce anche il canale di accesso alla terrazza che risulta completamente sgombro quando la porta è aperta e consente una relazione totale con essa, tanto da lasciare immaginare che il piano della cucina possa proseguire al

di fuori della sua linea di confine. Il senso di divisione tra il soggiorno e la cucina è enfatizzato anche dalla proiezione delle travi che si è scelto di mantenere a vista e dalla vetrata in ferro e vetro che al tempo stesso, insieme alla finitura “iron” della panca, conferiscono un sapore industriale fortemente ricercato dalla committenza, in un ambiente che accoglie una extraterritorialità, coerentemente con le personalità ed il lavoro dei proprietari, che si muove tra la decorazione di sapore orientale, al mobile da erborista cinese, all’evanescenza di un loft londinese. Al centro un camino al bioetanolo, la cui fiamma si intravede attraverso la vetrata apribile, addolcisce gli spigoli contemporanei e riporta un senso di calore nella casa, il focolare domestico. La cucina si affranca dal peso dei pensili consen-

tendo di lasciare libera la linea del piano operativo, estraniandolo simbolicamente dalla sua funzione. Il piano cottura, sul quale insiste la cappa a filo, risulta centrato sulla parete grazie alla nicchia nella quale sfila il piano, conferendo un senso di continuità a quest’ultimo. La parete è rivestita esclusivamente in questo tratto con lastre di gres porcellanato laminato, rigorosamente bianche. Il lavello a filo è centrato in corrispondenza della finestra (la quinta), apribile grazie all’utilizzo del rubinetto abbattibile Kyo della Geda. Le posizioni gerarchiche degli elettrodomestici, hanno comportato un approfondito studio del passo delle casse, tutte organizzate con cestoni estraibili. La colonna frigo-forno-dispensa chiude la com-



posizione ed avanza rispetto alla fine del piano in granito bocciardato che sfila al di là di questa. L’illuminazione della zona operativa è multipla, con linee Led a ridosso dell’intersezione tra il piano verticale ed orizzontale, e con faretti in gesso a scomparsa. Scenari multipli ma anche episodi puntuali sono enfatizzati dalla sospensione AIM della Flos sulla zona pranzo, dalle lampade da terra Stick, della Catellani o la Sampei, di Davide Groppi nella zona giorno, o la parentesi, sempre per Flos, nello spogliatoio. Tra arredi esistenti, l’impianto a tutt’aria realizzato con la tecnologia “airzone”, le lastre di gres porcellanato laminato con finitura a spacco di cava, le porte invisibili a tutt’altezza, le lame di vetro, le docce a filo pavimento, il lavabo industriale della

Moab, il tema della piega, gli accessi multipli agli ambienti, i tappeti materici della pavimentazione, tutto concorre alla definizione di uno spazio dove le vie di fuga garantiscono una sensazione di profondità, dove tutto è percorso. Lo spazio ampio del soggiorno e quello sartoriale della zona notte, dove tutto è calibrato al centimetro, sono cuciti a terra per mezzo di un parquet di noce nazionale nostalgicamente posato a spina ungherese, valorizzando la connessione longitudinale, a sua volta accentuata dalla relazione tra la cucina e la terrazza che per mezzo delle ampie vetrate condivide, all’esterno, lo spazio del living, ancora una volta, amplificandone i contenuti.





Concorso Internazionale di progettazione. Small Functional Loft. China

ISY The idea is to minimize the riposizioning of cabinets or furnishings inside the house and, at the same time ensuring a cabinet surface of over 30.00ml.

Space could be reconfigured by just three movements: 1) The living room table moves on a rail that allows it to position along one of the longitudinal side transforming its function from operative, study, breakfast, dinner. 2) The kitchen countertop can be easily implemented by using a sliding top and/or base cabinet under the fridge. 3) Bathroom can take up to about 5.00mq, thanks to a simple consideration. Under ordinary conditions, when you are at home, the entrance door is like a wall.

This allows you to have the bathroom to be isolated by means of a double-face sliding cabinet by implementing the dimension of the doorway. You can imagine that when you open the sliding closet n°3, you are actually closing the bathroom. However the bathroom has an own door and the use is flexible. The shower also has a double entrance and gives a circularity to the bathroom. The bedroom is considered for a timely use and therefore it was preferred to use a sliding ladder but, if necessary, the ladder space can be found close to the entrance. The total free space of the living room is 12.00 sqm. It offers an all over bench that is a chair or a sofà but also a chest drawers of about 10.00ml. Here the double hight is filled by the LUCEPLAN MESH lamp. Turning individual LEDs can be organized to your liking in order to obtain multiple light scenes. The top cabinets are always accessible through the sliding ladder.







Appartamento, Roma

MUSCAT Questo progetto rappresenta uno spartiacque professionale per almeno due ragioni: la prima è che finalmente si affranca dai luoghi comuni a vantaggio di una più consapevole interpretazione personale, la seconda è che è coinciso con la partenza per il Qatar, dove per oltre un anno ho gestito il progetto della WOQOD TOWER, il grattacielo dell’omonima compagnia petrolifera nazionale. Sebbene realizzato oramai qualche anno fa, si intuiscono quelli che saranno gli approfondimenti futuri e la direzione i cui, nel tempo, si è definita la mia “cifra”, sebbene in parte ancora viziata da “effetti speciali” da cui, ancora oggi, stento a liberarmi: le visuali libere ma private, l’uso delle lastre di grès porcellanato laminato, lo spazio fluido a terra ancora legato ai falsi funzionalismi accademici, lo spazio volumetrico che qui lascia ancora campo agli oggetti situati. La nuova distribuzione mantiene inalterato il rapporto tra la zona giorno e la zona notte, nonostante il progetto abbia mantenuto ben poco della divisione precedente. Le funzioni rimangono nel numero le stesse, ma cambiano i ruoli, come quello di cerniera asse-

gnato ora alla cucina, mentre il soggiorno si apre, seguendo la parete curva, acquisendo una delle vecchie camere da letto. L’altra si sposta in basso, dove ora c’è la sala cinema, tagliando trasversalmente la casa, di fatto alzando la linea dell’ingresso e dimezzando la compressione del percorso. Uno spazio pluriculturale dove i libri la fanno da padrona combina sapori classici e contemporanei. La grande parete curva è l’elemento su cui poggia il sistema del percorso e sottende, nel suo dipanarsi, tutte le funzioni della casa. E’ il cardo che separa trasversalmente la zona notte da quella giorno definendo, per forma, una compressione massima in corrispondenza del decumano, che suddivide una seconda volta lo spazio, identificando il nodo dei servizi e della cucina, per proseguire ancora più giù, fino alla terrazza, a sua volta cerniera esterna tra cucina e soggiorno. La libreria curva è un virtuosismo di piani e volumi che contengono altri volumi, che si alternano a spazi pieni, vuoti o permeabili come nel caso del rapporto con lo studiolo. Croce e delizia di Franco, che un anno si, e un anno

no, è costretto a ripassarci una mano di smalto, stratificazioni pittoriche dovute a scelte apparentemente ingenue. I materiali confermano la ricerca attuale, le lastre sono della LEA, la serie Midtown, scelta per la stonalizzazione che lascia vibrare la parete lappata, e le ritroviamo sia in cucina sia in bagno. Il top del lavabo è il Testa di Moro della Laminam 1000x3000x3mm di spessore. Il lavabo da piano è della Catalano, come i sanitari della serie Zero, la rubinetteria di Gessi, i mosaici cangianti di Bisazza e i rivestimenti senza tempo di Fornasetti per Bardelli. A terra invece, i listellini di massello Doussie disegnano un pattern fatto di linee su linee, che definiscono un tappeto, multicolore, autunnale, tanto che, assorti, potrebbe sembrare di camminare in uno dei campi urbani di Paul Klee. La camera verde è una poesia declinata al femminile, il classicismo ricercato, dialoga con uno spazio fortemente contemporaneo, dove i volumi ed una serie infinita di oggetti, memorie di viaggio, si depositano in eterna attesa sui metri lineari alternandosi ai numerosi libri o ad altri oggetti.









Concorso Internazionale di progettazione per Piazza alla Scala, Milano

OMBRE Piazza alla Scala è un luogo denso di storia e rappresenta un centro nevralgico nel tessuto urbano che, nella città contemporanea, deve rispondere ad una complessità di esigenze che spaziano dalla sua identificazione come centro culturale, turistico, luogo di smistamento di flussi pedonali, veicolari, pubblici e privati, oltre a rappresentare la piazza civica, nata dalle trasformazioni del tessuto medioevale che diviene “pubblica” seguendo la matrice illuminista di pianificazione urbanistica coniugando un tema centrale che sarà comune a tutte le piazze europee dell’Ottocento. Queste esigenze vedono coesistere l’aspetto che impropriamente definisco privato della piazza, in quanto legato alla civitas, ai suoi ritmi e alla sua partecipazione con le funzioni che essa sottende, e quello pubblico, legato alla presenza di turisti, con i suoi flussi che interferiscono, volenti o nolenti, con gli altri. Per questa, e altre ragioni, la piazza rappresenta quindi una cerniera densa di dicotomie, tra statico e dinamico, pubblico e privato, lento e veloce, stare e passeggiare. L’idea punta da una parte a risolvere i problemi

urbanistici, relativamente alle connessioni che definiscono le nuove direzioni, che poi non sono altre che quelle spontanee, come la trasversale verso la galleria Vittorio Emanuele II, e dall’altra a rafforzare le relazioni tra la piazza e gli edifici che la delimitano nell’immediato contesto e, come riflesso, nel circuito culturale esteso all’intera città. Allo spazio attualmente centralizzato, definente quattro sottospazi che non propongono alcuna gerarchia funzionale nei confronti degli edifici che la delimitano, si predilige un luogo neutro, tendente al quadrato, che si presta a tutte le configurazioni possibili, dal mercatino natalizio a luogo di incontro o per manifestazioni. Questo è tagliato da una diagonale che spontaneamente connette il corso, Via Alessandro Manzoni e tutte le sue trasversali alla moda, a Piazza Duomo, lasciandosi incantare dal passaggio coperto della Galleria Vittorio Emanuele II. Ai bordi vengono invece posizionate, a definizione del volume vuoto, le funzioni legate allo stare. La scala! Prima di tutto. Sul lato verso Palazzo Marino è stata inserita una gradonata che guarda il Teatro che, oltre a identifi-

carsi come luogo della convivialità, isola la funzione civica, mitigando il rapporto con la “piazza turistica” ed esaltandone il ruolo attraverso il podio che si impenna verso la punta, mentre scema ai bordi fondendosi con il piano inclinato in lastroni di pietra. Verso le Gallerie d’Italia, la piazza si apre completamente, favorendo una mobilità dolce, protetta ed alla stessa quota. La carreggiata è ripensata unica, a due corsie, confermando le intenzioni dell’allegato di progetto per la pista ciclabile, con corsia preferenziale, ma la dinamica di utilizzo può contemplare, e far coesistere, i due sensi di marcia. Il lato verso la strada risulta protetto dal traffico da un’isola verde con un boschetto che offre un ulteriore luogo di sosta ma anche un piacevole riparo dal sole del Sud. Il Teatro alla Scala risulta apparentemente penalizzato dall’intersezione stradale, ma la scelta urbanistica punta a rafforzare le altre relazioni che non potranno che influire di riflesso anche sul potenziamento del suo ruolo, iniziando dalla valorizzazione dello spazio della caffetteria, “la Milano da bere”, che amplifica la sua piattaforma e garan-



tisce un riparo dal sole da Ovest. Del resto, nonostante il ruolo simbolico che sottende, il suo uso è estremamente puntuale essendo legato alle rappresentazioni liriche, insomma non ci si entra o esce a piacimento. Ad Est è il Palazzo Civico che, invece, ombreggia la “scala”, garantendo una circolarità di utilizzo dello spazio statico coerentemente con il movimento del sole nel cielo. I campi funzionali disegnano la piazza, sono definiti dalle scelte materiche d’ispirazione locale, che confermano i lastroni per i percorsi di bordo, e il

riuso della pavimentazione in porfido, che viene quindi recuperata. Le scelte spaziali, dicevamo, rafforzano anche le relazioni tra la piazza e gli edifici. Questi al piano terra, pubblico, si proiettano tutti come espansioni della piazza al coperto, grazie alla permeabilità con lo spazio aperto. Gli 8.000 mq espositivi delle Gallerie d’Italia, il Cortile d’Onore e le mostre temporanee in esso ospitate, il Palazzo della Ragioneria e le sue potenzialità di sviluppo promosse da parte dell’amministrazione, ispirano uno stiramento dei confini fisici a

favore di un ampliamento radiale che esprime, come rappresentato dal gruppo scultoreo di Leonardo, la visione culturale unitaria e globale della città. Questo, insieme ai lampioni liberty, disegnano a terra le ombre di un passato fortemente radicato, ma proiettato verso esigenze sicuramente modificabili nel tempo. Dalla piazza, la visuale è completamente libera ed a 360°, con i suoi 300 ml di seduta e 4.000 mq di spazio aperto, guarda tutta la sua storia, fissata nella pietra degli edifici che la rappresentano.





Concorso Internazionale di Progettazione per la realizzazione di un Coworking, Modena, Italia

SHARING Le richieste della committenza erano quelle di avere tre spazialità ben definite. Il piano terra ed il mezzanino dovevano essere utilizzati come sala conferenze o per eventi. I due livelli del coworking dovevano invece essere divisi in modo tale da avere uno spazio più promiscuo con postazioni aperte e chiuse, area relax, sala riunioni e box chiusi, ed uno più privato con postazioni fisse e compartimentate. Questo tipo di organizzazione, avrebbe sicuramente inficiato sulla socialità degli ambienti che, essendo autonomi da punto di vista funzionale, non avrebbe suggerito una contaminazione tra gli utenti. Di conseguenza si è pensato di utilizzare lo spazio a doppia altezza per creare una zona di condivisione, come sarà definito più tardi, un generatore sociale. Al piano terra è stato integrato un piccolo spazio di accoglienza (non previsto) che svolge una spontanea funzione di smistamento dei flussi, necessario soprattutto in occasione di eventi e conferenze. E’ sempre possibile una chiusura fisica inibendo il passaggio nella sala a tutta altezza, ma la nuova

interpretazione data al livello mezzanino incoraggia questa promiscuità funzionale. Lo spazio è pensato come integrazione dell’area di lavoro, un luogo dove sia possibile “staccare la spina”. Al livello mezzanino è prevista la presenza di una caffetteria che dovrebbe costituire il punto di aggregazione tra i vari utenti dello spazio lavorativo. questo consente non solo una integrazione tra giovani e meno giovani, ma permette di utilizzare uno spazio che diversamente avrebbe un uso sporadico. La soluzione consente di isolare completamente lo spazio in occasione di eventi e conferenze oppure di essere uno spazio fluido. La grande gradinata è pensata come un GENERATORE SOCIALE Lo spazio operativo comune è stato pensato sia con postazioni fisse spazialmente definite, che con postazioni fisse più flessibili in corrispondenza dei due grandi tavoli centrali. La promiscuità della postazione è stata risolta ricorrendo ad una serie di ulteriori elementi - postazioni di lavoro flessibili - che si distribuiscono in tutto lo spazio.

Queste possono essere dei tavoli per riunioni occasionali, utilizzati anche qualora si necessiti di una maggiore superficie di appoggio, oppure delle postazioni singole in cui sia possibile avere un maggior grado di concentrazione. Le postazioni prevedono anche piani ad altezze differenti in modo che possano essere utilizzati da seduti o in piedi. La zona cuscinetto a ridosso della cucina è comunque uno spazio di lavoro ma può essere utilizzato anche come una soglia tra lo spazio operativo semipubblico e quello pubblico della cucina. Al centro della sala è auspicabile vietare l’uso del telefono cellulare. Le postazioni fisse hanno una chiusura fisica verso lo spazio comune mentre si aprono a ridosso della vetrata a Sud. Questo consente di avere uno spazio fluido ma tuttavia privato. E’ chiaro che l’apertura può essere fatta su entrambe i lati. Ritroviamo a questo livello una reception ma non è fondamentale. A divisione dei due tavoli di lavoro comune troviamo degli elementi vegetali per dare meno durezza all’ambiente ma rappresentano a tutti gli effetti una separazione funzionale.







Appartamento studio, Roma

HOM(m)E Lungo Via Elio Stilone, da bambino, mi ci sono sbucciato le ginocchia. Si perché a quei tempi si giocava a pallone in strada e la porta era il cancello di un garage. Evidentemente il mio ruolo era il portiere. A distanza di tempo, come si dice, col senno di poi, non riesco ad immaginare come potessimo tirare la palla contro quella porta sapendo che, al di là da quella, avremmo dovuto affrontare, noi piccolissimi, il terribile “tiraciocche”, così lo avevamo soprannominato, il proprietario di un box che puntualmente aspettava proprio che la palla rotolasse per la ripida discesa. In questi 54,00 mq, comprati da mio nonno negli anni ’70, ho vissuto per un periodo di tempo insieme a mia nonna, che puntualmente, tutti i giorni, ci preparava il pranzo, che puntualmente consumavamo al ritorno da scuola, in cinque intorno al tavolo, nella piccola cucina. A vederla ora sembrerebbe impossibile. Affittata ad un’amica di famiglia prima, poi divisa tra me che studiavo in una delle due stanze, e mio fratello maggiore, che invece ci abitava, nel tempo si è trasformata nello studio che ho condiviso

con mia madre, incisore, ed ora dopo molto tempo e molte cose ci sono tornato a vivere con Reny. Chiaramente con le opportune modifiche. L’idea è stata quella di creare un progetto pilota, un luogo in cui poter mostrare come si possa fare architettura anche con un budget ridotto o ridottissimo, se, come nel nostro caso, si è disposti a lavorare, che oltre a fare onore, dona del resto un senso di appartenenza a quello che spesso è un cambiamento doloroso. La necessità, quella di avere uno spazio in cui lavorare, ma anche una casa di dimensioni adeguate, relativamente alle funzioni per noi gerarchiche. In tal senso il soggiorno è sicuramente quello che la fa da padrona con i sui 41,00 mq che lasciano appena 13,00mq alla camera da letto, ai due bagni, alla cucina ed al ripostiglio. Lavorare sulla percezione è uno degli aspetti che preferisco dell’architettura, mi fa sentire un prestigiatore, che con la sua bacchetta magica riesce a modificare l’impatto psicologico dello spazio sulle persone, o meglio su come la mente lo percepisce. Lo spazio può sembrare più grande, se solo si è

disposti a pensarlo. La geometria di base era una figura molto articolata con unico affaccio. Una delle prime scelte progettuali è stata quella di utilizzare tutte le finestre della casa, per illuminare da nord un open space diviso esclusivamente da una parete, sospesa da terra e dal soffitto, che preme verso la superficie finestrata, avvicinandosi ad essa quasi fino a toccarla. La grande superficie trasparente di circa 11,00mq regala tanta luce diffusa ed una sensazione di maggiore profondità visiva, verso un esterno, purtroppo, non del tutto rappresentativo. Dal soggiorno, la camera da letto è quasi impossibile vederla, come pure capire dove sia il bagno, nascosto dietro una porta a tutta altezza che in realtà è solo un’incisione sulla grande parete per proiezioni, rigorosamente bianca. A ridosso dell’ingresso, l’angolo cottura si piega sulla parete con due volumi a profondità variabili, compatibilmente con la funzione che svolgono, sembra una scultura di pietra, che solo il piano di acciaio con vasca integrata ed il piano cottura a due fuochi della Alpes, tradiscono.





Due fuochi ed una macchina per il caffè (e già ne fanno tre), sono stati sufficienti per cene che hanno ospitato fino a venti persone, e sono il giusto compromesso per avere a disposizione un maggiore piano di lavoro. E’ una questione di proporzioni: il piano cottura più piccolo fa sembrare il piano lavoro più grande. Sulla sinistra lo spazio di lavoro camaleontico trasforma il grande tavolo nella zona pranzo e viceversa, mentre alle spalle l’archivio slitta dietro alla parete che comprime e definisce la divisione, non fisica, del soggiorno. Il piano, fatto con le palanche da cantiere di circa 4,00ml che amplifica la dimensione della scrivania, e la parete di tufo, spostano, come altre soluzioni, l’ago della bilancia tra l’essenziale e il popolare.

Tutto intorno librerie per circa 40,00ml, pareti vuote su cui appendere quadri ma anche tanti spazi contenitivi. Non ci sono percorsi predefiniti, ma esclusivamente direzioni, suggerite attraverso la giustapposizione di oggetti. A questo punto credo che resti da capire dove sono i due bagni e quanto è grande la camera da letto. L’idea dei due bagni nasce dai viaggi fatti all’esterno, dove spesso per motivi economici si tendeva a dormire in ostello, e vi assicuro che un lavandino ed uno spazio in cui potersi fare una doccia fanno una grande differenza. Raddoppiati questi, nel caso specifico non restava che condividere un vaso e il bidet. Nella ricerca di essenzialità ed economia, il bagno

è privo di rivestimento e trattato con una vernice a smalto, tranne che per lo spazio, materico, della vasca. Il galleggiamento di questa da terra, insieme ad altri espedienti percettivi, serve a ridimensionarne il volume. Il soffitto sfonda in corrispondenza della vasca, e la parete che separa dalla camera da letto a forte spessore, amplifica la profondità verso sinistra e consente di sfruttare una piccola porzione di essa come contenitore, con dei piani di lamiera piegata. Come la parete di ambito del soggiorno, neppure questa arriva a congiungersi ortogonalmente, ma si interrompe in corrispondenza di una vetrata che lascia intravedere, non la camera da letto, ma una porzione dell’armadio, lasciando filtrare il minimo sindacabile di quantità di luce.



Il piano del lavabo è stato realizzato con la vecchia macchina da cucire della nonna che, insieme ad una poltrona di modernariato, rappresentano i due custodi della memoria. L’altro bagno è composto da un lavandino, che ancora non abbiamo comprato, e dalla leggendaria doccia a filo pavimento. La scelta di rialzare la camera da letto, mai come in questo caso risulta efficace, dovendosi la mattina svegliare ed in qualche modo, per lavorare, costretti a cambiarsi d’abito. Questo ha consentito quindi la realizzazione di una doccia a pavimento che forzatamente comprime lo spazio della camera, ma se vi ricordate

la premessa, questo è un progetto pilota, e noi ne siamo più che entusiasti, perché diamo una grossa importanza a questo momento. La sveglia. Anche in questo caso sono state utilizzate le lastre in gres porcellanato laminato da 1000x3000x3,5mm che consentono la costruzioni di intere pareti impermeabili. Il piatto della doccia si confonde con il pavimento in dogato di legno di abete dipinto di bianco, il perlinato (meno di questo non c’è), che si rispecchia, e prosegue, attraverso il vetro nella doccia. Nella camera da letto si passa attraverso una parete a forte spessore bifacciale che regala qualche centimetro di profondità alla stanza ed è lo spun-

to per il posizionamento della maglieria. Sull’altro lato l’armadio è costituito da due canne appendiabiti con tiranti in acciaio e da un binario sul quale scorrono dei pannelli di tessuto donando una sensazione di morbidezza e di profondità grazie alla qualità stessa del materiale. Ci sono poi tanti altri piccoli di dettagli di importanza non certamente secondaria, come il fatto di non avere la Tv; che la grande parete sospesa è pensata come schermo per proiezioni di circa 160”; che alcune delle tubature sono a vista, a volte per necessità, come la coppia di tubi dell’acqua di adduzione per gli appartamenti sottostanti, o per questioni economiche, come quelli del gas, o



dei vecchi termosifoni in ghisa che, oltre a scaldare il volume, piegando a terra offrono la piacevolissima sensazione del riscaldamento a pavimento. I due soppalchi, divisi in tre settori, sono indispensabili contenitori (13,00mq), articolano lo spazio sottolineando il rettangolo matrice, e sono delle librerie che svolgono anche un ruolo dinamico in contrapposizione alla parete dell’archivio. Un apposito spazio è stato dedicato alla parte d’impianti che sarebbe meglio non vedere, come il condizionatore, che contrariamente a qualsiasi logica è posto a ridosso della finestra dietro una veletta in cartongesso. Lungo questa sono alloggiati i canali per l’illumi-

nazione led che si affrancano da puntuale sorgente di luce, per divenire dei fasci omogenei emittenti, e che ritroviamo nel bagno, nella cucina, nella doccia e per enfatizzare il senso di galleggiamento della parete sospesa. Il tutto in un open space, coordinato a terra dall’uso di un autolivellante, dove oggetti della Kartell come “La Marie” di Philippe Stark, dialogano con tavoli e librerie di Ikea, con la Fl/Y di Ferruccio Laviani, sempre per Kartell, con oggetti presi al mercatino come le poltrone verde acido, e per non farsi mancare nulla, presi anche per strada come lo specchio rotondo del bagno. Ultimi ingressi il camino al bioetanolo inserito

nella bocca della parete sospesa e il tavolino della Stockholm, sempre di Ikea. Due parole per finire sulle terrazze: una ha un carattere di servizio e vi trova posto la lavatrice ed un grande mobile contenitore, l’altra è una espansione del soggiorno, ma entrambe sono caratterizzate della finitura in decking del pavimento. Un piccolo divano ed un vecchio tavolino con sedie in ferro dai motivi liberty segnate dalla pioggia e dalle tracce del tempo, chiudono e funzionalizzano questo microcosmo esterno. Tutto in 54,00mq.





Concorso Internazionale di Progettazione per la riqualificazione della Central Square, Plovdiv, Bulgaria

Vento da EST

La città di Plovdiv si presenta come una stratificazione culturale dovuta alle diverse popolazioni che si sono avvicendate nel presidio territoriale. La piazza centrale è il controcampo prospettico di un asse pedonale che la connette alla moschea Džumaja, ed in questo breve tratto di città si ritrovano i resti della civiltà romana (il foro, lo stadio, l’odeon), quelli del periodo ottomano, del rinascimento bulgaro, e quelli del regime, evidentemente rappresentati sia dalla grande piazza minerale dedicata alle adunanze del partito, sia dagli edifici che la fronteggiano, ed in particolar modo, da quello delle poste e telecomunicazioni. I diversi nomi che la città ha assunto nel tempo danno la misura degli eventi di cui è stata partecipe; dalla Filippopoli, conquista di Filippo II di Macedonia, a Trimontium, così battezzata dall’imperatore romano Claudio, avendo la cinta muraria circondato i tre monti che ne costituivano l’invaso, fino ad arrivare all’odierna Plovdiv. Lo spazio della piazza, se da una parte genera flussi spontanei nella direzione nord-sud del car-

do romano, dall’altra, l’asse ad esso ortogonale, il decumano, presenta degli evidenti problemi di connessione, limitatamente risolti per mezzo di sottopassi pedonali. Verso est è circoscritta dal parco intitolato allo Zar Simeon (Tsar Simeonova Gradina), e verso ovest da una delle arterie principali della città, il Boulevard Tzar Boris III Obedinitel che, impudente e rettilineo, passa all’interno di uno dei colli proprio all’altezza del teatro romano, e definisce un confine fisico che ne limita pesantemente l’afflusso pedonale est-ovest. All’interno di questo sistema, il palazzo della posta e delle telecomunicazioni, il palazzo dell’ex partito comunista, il club militare e l’hotel Trimontium, fanno da contorno volumetrico al grande spazio vuoto. Il progetto rappresenta un anello che si pone a contatto tra un passato, che la vede una Firenze d’Oriente, e un futuro che porta necessariamente la dinamicità di una città contemporanea, seconda alla capitale Sofia, per importanza e dimensioni.

Un tampone compresso tra passato e futuro, o meglio ancora, un ulteriore anello della catena temporale che si impone nella stratificazione culturale della città. L’idea progettuale scaturisce proprio dal concetto di stratificazione di tre layers che si aggiungono a quello della città storica: il livello della città romana, quello dei sottopassaggi di connessione trasversale, quello attuale della piazza ed il nuovo livello della città contemporanea. Questi layers, sono messi in relazione per mezzo di piani inclinati che verticalmente e senza soluzione di continuità, si connettono vicendevolmente. Dal forum una cordonata verde lega, seguendone la naturale pendenza, questo livello alla piazza regalando un percorso di accesso agli scavi talmente dilatato da farlo sembrare una protesi di essa; la cordonata verde suggerisce uno spazio della socializzazione ombreggiato che trasforma un luogo di polvere e frammenti, in uno spazio in cui la natura abbraccia le rovine. Una grande vasca in legno, parallela alla grado-


elements as compartmentalized, square as an empty

elements as communicating vessels, square as a basin

Timeline levels


nata verde di cui segue idealmente la pendenza, è l’elemento infrastrutturale pedonale che collega trasversalmente le due parti della città. Non più un sottopassaggio, ma un vero e proprio varco che, per mezzo della rampa dolce, consente attraversamenti ciclo pedonali, e quelli per persone a ridotta mobilità motoria. Dalla parte opposta, a ridosso dell’accesso al parco, la linea di confine di quest’ultimo è stata completamente ripensata attraverso un taglio diagonale che determina tra i due sistemi una zona cuscinetto che definisce un passaggio più dolce tra lo spazio minerale e quello vegetale, caratte-

rizzato attualmente da una linea retta, del tutto innaturale, una cesura tra gli assi principali del parco che, a seguito degli scavi, vanno a sfociare a ridosso di essi snaturando la funzione delle direttrici di connessione. La piazza resta un grande spazio minerale, sia per consentire manifestazioni all’aperto, sia per agevolare la possibilità di uno scavo archeologico maggiormente complesso che punti alla riformulazione della configurazione del foro o alla sua completa rivelazione, nonché come memoria storica di una passato politico che ha segnato fortemente la cultura popolare.

Il nuovo strato è invece un “crepidoma”, un sistema di piattaforme che definiscono i bordi della piazza. Rialzati da terra per favorire, dilatandoli, i rapporti con gli edifici esistenti, evidenziano dei luoghi calmi, di sosta, e dei punti di vista privilegiati ad una quota che permette di controllare il movimento frenetico dello snodo pedonale. Le stesse scale si propongono come luogo per socializzare, un ibrido tra percorso e seduta. In corrispondenza dell’ufficio delle poste e telecomunicazioni il nuovo livello consolida il sistema commerciale, che si omogenizza; si definiscono nuovi affacci sulla zona archeologica, mentre le



linee matrice derivate dalle gradonate suggeriscono, rafforzandoli, i percorsi veloci della piazza. Verso il parco, o distribuite negli spazi di risulta, delle sedute sono la memoria della tradizione delle danze popolari bulgare, delle pedane circolari rotanti che vogliono restituire l’immagine coreografica dell’anello, che le persone formano nel corso del ballo. Il progetto per la casa del partito utilizza la volumetria esistente a scopo culturale e informativo, integrato con quello commerciale e di ristorazione. Al piano terra troviamo uno spazio espositivo che in realtà punta ad essere la dilatazione coperta

della piazza, in modo da utilizzarla anche durante il periodo invernale; la piazza entra nella costruzione e genera uno spazio pubblico coperto. Al piano rialzato, l’enorme schermo offre un punto di vista privilegiato ed allo stesso tempo il volume a sbalzo definito da una parete trasparente funziona come una lavagna interattiva dalla quale reperire, disegnando gli skylines delle emergenze, informazioni culturali sulla città, . L’edificio è ripensato come spazio per la sede della municipalità un vero e proprio landmark che con la sua predominante verticalità si staglia sullo spazio orizzontale della piazza.

Per la stessa ragione l’ultimo livello dell’edificio è pensato come un giardino pensile che accoglie un volume trasparente, dal quale rileggere il paesaggio antropico caratterizzato da episodi puntuali e scollegati nella città al livello del reticolo stradale, che risulta confuso e non consente un orientamento specifico. Il volume trasparente è una vera e propria lanterna che si accende di notte e segnala, come un faro, la sua presenza dichiarandone la nuova funzione; rappresenta con la sua soprelevazione, un ulteriore tassello del puzzle della sua stessa storia. Una nuova stratificazione.


PermeabilitĂ dello spazio pubblico secondo la Pianta di Roma del Nolli










Appartamento, Roma

45K

Le caratteristiche tipologiche di questo appartamento sono state alla base delle scelte progettuali che, nonostante abbiano portato alla realizzazione di un open space, mantengono inalterato il senso di longitudinalità segnato dal vecchio corridoio. Sebbene acquisito nel soggiorno, se ne avverte ancora la sua presenza, amplificata dalla posizione della cucina lineare che determina percorsi che si spingono invece fisicamente fino alle camere da letto, con la libreria a tutt’altezza e la cabina armadio. La linea di distribuzione si conferma quindi, come principio ordinatore del progetto, enfatizzata nelle sue dimensioni che consentono la lettura di tutta la profondità dell’appartamento (circa 17,00ml), a sua volta accentuata dalla compressione trasversale. I 120,00cm attuali di larghezza vengono ridotti a 85,00cm guadagnando così lo spazio in cui viene ricavata una cabina armadio-ripostiglio sulla destra e un lunghissimo piano che fonde la funzione del cucinare con lo studio sulla sinistra. Sebbene possa sembrare una compressione eccessiva, bisogna invece considerare che l’unico vero momento in cui si sente questo schiaccia-

mento, è a ridosso del bagno principale, dove però il ribassamento a 210,00 cm sotto trave, l’immediata apertura verso la camera da letto e l’ampliamento dello spazio a ridosso dell’armadio-appenderia, rendono questa sensazione evanescente. Dal lato opposto il piano della cucina lungo 10,00ml è un ingombro solo fino all’altezza del bacino, mentre l’ordine gigante della libreria a tutt’altezza, si lascia invece attraversare dalla permeabilità legata all’uso bifacciale. Al tempo stesso la mancanza di porte lascia penetrare una luce vibrante che amplifica (non rendendolo buio) il corridoio stesso. Questo da elemento di connessione tra le stanze, si trasforma in spazio d’uso della funzione che sottende, passando dallo studio, alla cucina, al ripostiglio fino ad arrivare alla cabina armadio di circa 9,00 ml. L’altezza in questo tratto scende a 2,40ml mitigando la sensazione di cul de sac, e la parte superiore lascia spazio ad un soppalco di circa 10,00 mq. Lo specchio in fondo risponde allo sguardo offrendo un controcampo in cui proseguire il rifles-

so di se stesso. Assecondando l’aspetto semipubblico dell’ingresso, l’intervento valorizza l’intuizione originaria di avere due finestre che prendono luce dal vano scala, regalando alla casa una doppia esposizione. Connessione e funzione condividono lo stesso spazio acquisendo circa 19,00 mq che prima erano solo un percorso. Le camere da letto mantengo lo stesso passo delle partizioni esistenti ma sono evidentemente ricalibrate. Il progetto prevede la demolizione delle murature dell’attuale cucina, del soggiorno e del bagno che viene ampliato di 10,00cm sui due lati espandibili, sia per consentire una maggiore vivibilità dello stesso, sia per inserire i controtelai scrigno. Il bagno di Helen e Nino è composto da un lavabo, vaso e bidet, vasca da bagno con battipiede rivestita tutto intorno al guscio con lastre della Lea Bio Timber, che donano il calore del legno su uno sfondo neutrale che è invece rivestito con lastre di gres porcellanato laminato 1000x3000x3,5 di colore bianco che isola gerarchicamente la parete



della vasca. Il controsoffitto sfonda in corrispondenza di essa per consentire il fissaggio di un cristallo fisso/ mobile, soluzione che consente di nascondere la predisposizione per la canalizzazione di estrazione dell’aria. Nel bagno di Francesco il lavabo da appoggio su piano in muratura, sfrutta la profondità dell’imbotte della finestra, in un microspazio largo appena 116,00cm. E’ rivestito con le stesse lastre di quello principale in corrispondenza della doccia, come a restituire la sensazione che la parete divisoria separa un’oggetto che è stato pensato unico. Il resto è rivestito di mosaico.

Di mosaico è rivestito anche il piano in muratura con funzione di appoggio per il lavabo. Sotto una base rialzata e rientrante rispetto al filo superiore consente una posizione ergonomica dei piedi. Il miscelatore è da piano e girevole per consentire l’apertura della finestra. In corrispondenza di questa il controsoffitto subisce uno scatto per la medesima ragione. Per tutto il tratto del corridoio sono presenti 5 armadi anta battente (quello in corrispondenza della nicchia avrà funzione di ripostiglio e vi troverà posto la lavatrice/asciugatrice) di misure 100x37x236h, uno 100x37x200h ed uno con ante scorrevoli misure 250x66x236h. Quelli meno pro-

fondi sono pensati per la maglieria, scarpe, accessori, e saranno quindi organizzati con ripiani, mentre quello più profondo serve per l’appenderia. Tutto rigorosamente Ikea! In muratura è realizzata anche la testiera del letto con una parete alta 120,00cm che, avanzando, dona uno spazio in cui inserire libri, o le applique, sottraendo la funzione al comodino. Quest’avanzamento che potrebbe risultare irrilevante, ha invece lo scopo di ricomprimere la stanza che, a seguito dell’inserimento dell’armadio, sarebbe sembrata stretta e lunga. In corrispondenza di esso e dell’imbotte della porta viene realizzata una mensola che ritara anch’essa i rapporti perduti.




LEA Bio Timber Oak chiaro LEA Slimtech Lines Blu

LEA Slimtech Lines Grey

LEA Slimtech Waves Grey


La camera di Nino sarà divisa dallo spazio studio con n°4 librerie Kallax di Ikea, di misure 147x147x39+77x147x39, a tutt’altezza e connessa con il letto a castello che si innesta in essa trasversalmente. Una specie di casa sull’albero urbana, dove tutto è a disposizione, anche le prese della corrente. La cucina parte dalla zona dell’ingresso dove troviamo una colonna frigo forno a tutt’altezza che lascia libero un varco verso la porta utilizzato come ripostiglio/appenderia. Sul lato opposto, ad una altezza che mantiene la visibilità totale della finestra che dà sul vano scala, parte invece il piano a profondità variabile che prevede n°10 casse da 60,00cm di larghezza, di cui 5 profonde

35,00cm e 4 profonde 60. Queste saranno utilizzate per la cassettiera e il lavello. Le altre a libera scelta. Quella che manca è lo spazio per la lavastoviglie. In corrispondenza del lavabo il piano assume una profondità di circa 100,00cm. Il piano cottura è di tipo lineare ad induzione di dimensioni 35x77 cm e lavora sul tratto profondo 45,00cm. Il piano della cucina prosegue allungandosi per circa 10,00 ml e sarà adoperato come studio dove posizionare i due Imac. Questo è alto 90,00 cm e dovrà essere utilizzato con uno sgabello. Sopra, la libreria lineare che nasce dalla veletta in

cartongesso. Il soggiorno assume una dimensione apparente di circa 50,00 mq, garantendo allo sguardo di spaziare a 360° verso il balcone, l’asse del connettivo e verso il vano scala. In 85,00 mq calpestabili, trovano posto i 40,00 mq di soggiorno effettivi, due stanze da circa 13,00 mq, due bagni, un ripostiglio, una cabina armadio di 9,00 ml un soppalco di 10,00mq ed una cucina (comprese le colonne) di circa 12,00 ml. Per le camere ed il bagno piccolo è prevista la posa di parquet mentre, per la restante parte, sarà realizzato un pavimento in resina autolivellante.


Lastre MUTINA Azulej Grigio Rende

Lastre MUTINA Azulej Bianco Cubo

Lastre MUTINA Azulej Grigio Trevo






Concorso internazionale di progettazione per la realizzazione della Maison de quartier du Plateau (MQP), Lancy, Svizzera

LA BAIGNADE

Una pianta semplice, approssimabile ad un quadrato di circa 20,00ml di lato, si articola nello spazio generando un volume complesso le cui scelte architettoniche assecondano le prestazioni energetiche dell’edificio. Il concept energetico definisce il taglio del volume al primo livello formando una terrazza che può essere utilizzata come ampliamento dello spazio dell’atelier durante le stagioni più calde, e permette di creare una maggiore superficie esposta a SUD. La copertura è anch’essa articolata e impennandosi in corrispondenza dell’aterlier n°2 ed abbassandosi verso l’atelier n°1 permette di catturare in maniera diretta la luce da sud. Il cannon lumier è il collegamento verticale che affaccia sulla piazza sul lato ovest mentre sul lato sud la parete a brise soleil consente la penetrazione della luce sia nella sala polivalente che negli atelier. Questo e la grande superficie trasparente funzionano come accumulatori di energia. L’idea della grande vetrata oscurabile è quella di una vetrina che illumina la notte, ponendosi come testata

dell’asse stradale; si lascia vedere dalla parte storica lungo la Av. du Plateau e la Av. du Petit-Lancy, ma al tempo stesso l’idea è quella che sia l’edificio a cercare la città affacciandosi come da una finestra, evocazione che ha riferimento nella figura sullo sfondo del quadro di Picasso “La Baignade” La connotazione dello spazio esterno favorisce l’uso per le diverse fasce d’età. Un doppio ingresso, oltre a garantire una migliore qualità della luce naturale nel Foyer, connette la piazza con lo spazio esterno ad Est creando una continuità funzionale e garantendo l’irraggiamento mattutino quando l’utilizzo della MQP è immaginato per le fasce più adulte; l’uso di tavoli può amplificare la funzione del bar e divenire un magnete sociale. Qui c’è anche l’ingresso autonomo per la sala polivalente che può così funzionare indipendentemente dall’apertura della MQP. L’ingresso principale è ad ovest ed affaccia sulla piazza. All’esterno lo spazio è coperto con degli ombrelli di diametro ed altezze variabili che sono dei corpi illuminanti e funzionano come prote-

zione dalle piogge invernali e dal soleggiamento estivo, ma al tempo stesso le diverse altezze permettono alla luce di penetrare tra essi e garantire un miglior comfort per gli utenti. La piazza è protetta da una collinetta che compensa la quota di un piccolo anfiteatro che può essere usato per spettacoli all’aperto oltre ad essere un ottimo punto di controllo sul gioco dei bambini. Sul lato Nord l’ingresso è compresso grazie alla connessione dell’uscita di emergenza del garage della particella 3608 con il locale materiali, mentre dal lato sud una doppia fascia di panche definisce e canalizza i flussi, garantendo in questo modo la permeabilità agli abitanti del quartiere ed al tempo stesso definisce un confine virtuale. Al piano terra troviamo le funzioni di accoglienza che sono distribuite tra i servizi a Nord (tampone energetico), gli uffici e la sala polivalente a Sud. Al livello superiore si sviluppano tutti gli atelier con affacci principalmente Sud e Ovest. L’utilizzo degli atelier durante la chiusura della



MQP, è possibile sia dall’interno (nel caso di persone disabili ove è necessariamente previsto l’uso di un ascensore) che dall’esterno, attraverso la scala che divide l’edificio dalla futura particella C1 (che sbarca sulla terrazza al piano superiore), e quella di accesso alle sale musica, funzionando inoltre come uscite di emergenza. Il concept energetico-ambientale è basato sul funzionamento ibrido passivo/attivo del sistema edificio/ impianto e differenziato per performaces stagionali. Performance invernale La distribuzione delle unità funzionali è effettuata secondo il principio di massimizzare il fabbisogno di illuminazione naturale e riscaldamento passivo orientando gli ambienti principali sui fronti soleg-

giati sud, est ed ovest, e di utilizzare i servizi e gli ambienti secondari come tampone termico con esposizione nord. Tale concetto viene riferito anche alla progettazione dell’involucro performante con la differenziazione sia funzionale che materica dei fronti: - Fronte nord (fronte freddo): l’involucro è costituito da un sistema stratificato a secco con rivestimento in legno senza sotto-ventilazione in modo da creare un sistema a cappotto termico e limitando le superfici vetrate; - Fronte est-ovest (fronti irraggiati): l’involucro è costituito da un sistema stratificato a secco con rivestimento in legno con sotto-ventilazione in modo da creare un sistema di facciata ventilata ed utilizzando per le chiusure trasparenti infissi in

metallo a taglio termico e triplo-vetro; - Fronte sud (fronte irraggiato): l’involucro è integrato con sistemi solari passivi quali una serra solare in corrispondenza degli elementi di collegamento verticale e di un sistema di facciata a doppia pelle trasparente con funzione di accumulo termico per il riscaldamento passivo; - Copertura (superficie irraggiata): viene utilizzata per l’integrazione di tecnologie solari attive quali il solare termico e fotovoltaico per la copertura di parte del fabbisogno energetico per la produzione di acqua calda sanitaria ed energia elettrica; - Solaio di base (superficie controterra): è costituito da una piastra isolata termicamente e poggiata a terra che sfrutta la massa termica del terreno per limitare le dispersioni termiche.



Tutti i valori di trasmittanza rispettano le indicazione della norma SIA 380/1. I sistemi passivi saranno integrati al sistema impiantistico attivo che sfrutta il teleriscaldamento con terminali di emissione a tubi radianti a pavimento a bassa temperatura. Si prevede l’utilizzo della ventilazione meccanica controllata e di recuperatori di calore nel piano interrato. Performance estiva Nonostante l’utilizzo di un sistema stratificato a secco leggero per la costruzione dell’involucro opaco è garantito un ottimale funzionamento estivo grazie al controllo delle grandezze dinamiche quali la trasmittanza termica periodica Y, lo sfasamento

e l’attenuazione dell’onda termica estiva. L’involucro trasparente è integrato con sistemi schermanti esterni che favoriscono l’ombreggiamento dei vetri mentre i sistemi passivi (serra solare e parete a doppia pelle) vengono disattivati grazie all’apertura di apposite griglie di areazione. La distribuzione sui diversi fronti delle aperture garantisce la ventilazione naturale incrociata e, quindi, il raffrescamento passivo dell’edificio. Il sistema impiantistico sarà costituito da un impianto di raffrescamento che lavorerà minimamente e nei periodi di punta (giornate eccessivamente calde) sarà integrato al sistema di ventilazione meccanica controllato che lavora essenzialmente di notte in funzione di free-cooling.

Materiali I materiali utilizzati sono essenzialmente naturali e/o provenienti da processi di riciclo: Rivestimenti/pavimentazioni: legno; Isolati termici: saranno di due tipi, lana di legno mineralizzata legata con cemento portland ad alta resistenza, fibra di legno con legni provenienti da processi controllati fsc; Intonaci: calce naturale; Struttura: sarà in acciaio per garantire un processo costruttivo a cantiere verde; la lamiera grecata del solaio lavorerà, oltre che come elemento strutturale, come barriera al vapore limitando l’uso di materiali a base di prodotti di origine petrolchimica (sostanze bituminose, policarburi, ecc.).







Giardino, Roma

FUNGHI IN CITTA’

Questo giardino è di pertinenza all’appartamento “a misura d’uomo”. La scelta di separarli è legata sia alla complessità dell’intervento, sia al fatto che ci iniziamo nel campo del paesaggio e non ultimo in quanto è stato realizzato successivamente alla casa, e magari eravamo perfino un po’ più maturi. E’ ad una quota intermedia tra la casa (al primo piano) e il piano terra (pilotis) ed è ad essa connesso per mezzo di due scale: una che parte dal livello stradale e sbarca alla quota del giardino, l’altra, a prosecuzione della prima, che dal giardino porta alla casa. Questa soluzione permette di avere il parterre ad una quota intermedia risolvendo il dislivello con due mezze rampe. La prima cosa che dobbiamo prendere in considerazione è la relazione con la casa, il cui impianto è del tutto cambiato, ed il ruolo che assume in questa nuova distribuzione la terrazza. Lo spazio esterno protetto e lineare, il trait d’union tra la casa ed il giardino, condivideva, prima dell’intervento, per mezzo degli accessi, il salotto

buono e lo studio. Funzioni che hanno però una temporalità di utilizzo specifica ed è bastato questo ad isolarlo dalla sua proiezione naturale: il giardino. La mancanza di relazione ha fatto si che questo fosse abbandonato a se stesso; sicuramente spontaneo ma del tutto selvaggio. Si potrebbe aprire una discussione sulla selvatichezza nel paesaggio ma non è questa la sede e non era questo il caso, anche se in parte l’idea di avere un’area inattraversabile a confine con la strada (come si evince dalle immagini di studio), per allontanare da questa lo spazio dello stare, è stata proposta ma non condivisa dal cliente. Questo progetto è fatto a quattro mani con Rayna Harizanova, compagna di viaggio, e con la quale ho condiviso molti altri lavori. La struttura distributiva del vecchio impianto, se da una parte indirizzava in nessun luogo preciso, dall’altro presentava gli spazi dello stare, che avrebbe dovuto connettere, come del tutto avulsi da un contesto con cui, fontane, tavoli e sedute in

pietra, condividevano soltanto una timida patina del tempo, che in qualche modo gli conferiva uno spiraglio di appartenenza. L’impianto planimetrico rigido risente della mano dell’architetto, mentre la scelta dei colori, delle foglie, dei profumi, e la loro collocazione è stata gestita con la sensibilità propria di una paesaggista. La nuova distribuzione della casa, oltre a privilegiare il lato adiacente al giardino, consente di utilizzare pienamente il cancello privato su strada, trasformando questa unità immobiliare in una villa praticamente indipendente. L’orientamento ed i confini determinano l’organizzazione dello spazio dove la fa da padrona il gazebo Zen della Pratic. Questo è posizionato in corrispondenza di una pedana in decking che come un tappeto (che ne sottende la funzione rafforzata dalla proiezione della copertura), definisce nello spazio aperto un luogo specifico, al quale si accede attraverso un percorso segnalato da lastre in pietra a spacco di cava la cui scansione è calibrata sul passo antropico.



A sinistra dell’ingresso, la loro distanza è uniforme e serrata, verso destra, lo spazio compresso e meno privato, confinando su tre lati con la rampa di accesso ai box, il piano pilotis, e la strada, viene idealmente interdetto dalla cadenza delle stesse lastre, che si dilatano e sfumano verso il prato. Nel punto d’intersezione tra i percorsi (d’ingresso dalla strada, di discesa dalla casa e l’asse del giardino), sono posizionate le aromatiche con una composizione diagonale che cresce in altezza verso il confine.

L’asse del percorso, segnala uno spazio vegetale di cuscinetto tra la strada ed il giardino, che da una parte sfuma nel giardino aromatico, e dall’altra in un prato pensato a semina; qui il Rosmarinum officinalis, la Lavandula angustifolia, la Salvia officinalis, il Thymus sp., e l’Origanum sp. da una parte, e i Teucrium fruticans potati a palla ed il secolare albero di Olea Europea dall’altra, formano uno spazio triangolare di filtro, che regolarizza la forma e spinge, quasi a volerlo vietare, lo spazio dello stare verso destra, allontanandolo dalla strada, intravi-

sta tra le foglie del Trachelospermum jasminoides. Nonostante la mancanza di volumetrie l’asse portante è rafforzato dal grande cuscino di Myrtus communis che forma una siepe ad “L” che conduce verso l’area di soggiorno e separa fisicamente questa quota da quella del piano pilotis. Lungo i confini dei lati restanti ci sono altre unità immobiliari la cui privacy è garantita attraverso una siepe di Eleagnus ebbingei ed un’area che lascia aperta la porta alla messa a dimora di piante stagionali, ma che, nel frattempo, è pensato con


1. Rosmarinum officinalis 2. Lavandula angustifolia 3. Salvia officinalis 4. Salvia officinalis “Purpurea” 5. Santolina chamaecyparissus 6. Thymus sp. / Origanum sp. 7. Mentha sp. 8. Teucrium fruticans 9. Allium senescens; Echinacea Pallida; Foeniculum vulgare; Sanguisorba officinalis ‘Red Thunder’ 10. Agapanthus africanus 11. Pachysandra terminalis 12. Narcisus poeticus ; Tulipa sp. 13. Iris Japonica ; Acorus calamis 14. Astilbe arendsii “Fanal” 15. Bletilla striata 16. Camelia japonica 17. Camelia sasanqua 18. Citrus aurantium bigardia 19. Arbutus unedo 20. Olea europea 21. Rosa banksiae “Lutea” 22. Trachelospermum jasminoides 23. Eleagnus ebbingei 24. Buxus sempervirens 25. Rosmarinum officinalis “Prostratus” 26. Myrtus commu


bulbose, graminacee ornamentali, e la casetta degli attrezzi. Lo spazio coperto sotto la terrazza, in corrispondenza dell’area di sedime della casa al piano terra, è su pilotis e ci si accede (dal giardino) con scale e piani inclinati verdi. E’ uno spazio di risulta che viene concepito come il grande prato per il gioco dei bambini, ed un percorso di servizio minerale rivestito con lastre di diversa cromia sulle sfumature di grigio, dove coppie di Buxus sempervirens si alternando a se-

gnare un confine anch’esso vegetale con il piano condominiale. La piattaforma in decking è come una zattera su un mare verde e nei suoi 30,00mq trovano spazio, come in un piccolo monolocale, due divani ed un tavolo da pranzo, ai quali possono essere abbinate sdraio per condividere lo spazio scoperto. Anche qui non manca la tecnologia domotica presente nella casa e tutti gli impianti sono gestiti in remoto attraverso l’Ipad. L’illuminazione della Simes è puntuale e discreta,

sia per enfatizzare episodi gerarchici, come l’ulivo o il percorso, sia perché l’inquinamento luminoso proveniente dalla strada rende questo spazio praticamente già illuminato. Tra i due limoni, dietro alla piattaforma, un monolite in lastre di gres porcellanato laminato è il grande piano di lavoro, dove il lavello, la piastra in acciaio e lo spazio contentivo, rendono a tutti gli effetti questo spazio esterno, una maison en plein air.




Soluzioni planimetriche di studio




Concorso in due fasi per il “Nuovo ingresso con ristorante, del Museo a cielo aperto di Glentleiten”, Monaco, Germania

TELESKOPE

La tradizione dei mastri birrai tedeschi, l’inevitabile rapporto che si instaura tra il vecchio ed il nuovo, tra gli edifici che costituiscono il complesso del museo all’aperto, l’architettura popolare dell’epoca, la cultura enogastronomica, ed il nuovo edificio di ingresso al museo, sono i riferimenti intorno ai quali si orienta il progetto, focalizzati nel ruolo centrale attribuito alla Sudhaus, il luogo di produzione della birra. Un volume rettangolare che nasce dalla morfologia del territorio, ruotato di circa 15° rispetto all’asse Nord-Sud, che, planando sulla geometria topografica delle curve di livello, ne asseconda il loro proprio orientamento. Sul lato Sud un grande tetto verde si fonde con il territorio confinante. La gerarchia di quota consente di abbracciare, con un colpo d’occhio, tutto il museo all’aperto, offre l’occasione per sdraiarsi, magari a godersi un caldo sole da Sud, e suggerisce l’ampliamento della superficie della Biergarten che è collegata al complesso per mezzo di un piano mezzanino.

La terrazza verde è anche l’input per iniziare il percorso culturale sul tema della birra attraverso la coltivazione della materia prima, l’orzo e il luppolo, rispettivamente utilizzati a pattern in orizzontale e come pianta rampicante sulle facciate dell’edificio che rimangono scoperte sul lato Est, verso il Granaio. Sul lato Nord l’edificio sembra galleggiare impennandosi verso la preesistenza dello Starkerer che rappresenta, per assonanza funzionale, l’unico vero elemento con il quale questo vuole comunicare. Per il resto l’edificio è principalmente introverso, completamente interrato dalla parte del museo che si fonde con il terreno adiacente e prende luce naturale per mezzo di ferite e lucernai derivati da movimenti di terra del piano coperture. Il lato di ingresso è scavato nel volume prevalentemente pieno rivestito in legno e coerentemente con lo Zeitgeist si presenta come qualcosa di nuovo, facilmente riconoscibile ma introverso. Da qui il percorso è spontaneo verso il bancone del foyer per poi piegare in direzione Nord uscen-

do verso il lato dello Starkerer. L’ingresso principale è alla quota intermedia di 768,00; Questa scelta consente di avere porzione della copertura in connessione con il terreno a quota 771,00 ed allo stesso tempo di ritagliare una porzione di edificio al livello seminterrato (764,50). La rotazione del volume rispetto all’allineamento stradale determina due ampi spazi pubblici di raduno/attesa che accolgono il visitatore all’arrivo dal parcheggio o dalla fermata dell’autobus, spostata in posizione più baricentrica, e che, di converso, raccolgono i visitatori anche nella fase di uscita dalla visita. I due edifici si guardano o meglio, nel rispetto del Vergangenheitsbewältigung, è il nuovo edificio che guarda lo Starkerer per mezzo di un’ampia vetrata a tutt’altezza volutamente orientata per irrorare lo spazio con una seducente luce da nord. Il grande schermo se da una parte richiama e cerca una relazione con l’edificio preesistente, dall’altra si presenta come un grande cannocchiale prospettico, un Teleskope, che in contropendenza con il naturale declivio del terreno, in lontananza, cerca



un rapporto con il paesaggio rurale ed il cielo. La sudhaus è il fulcro che tiene unite, all’interno del foyer, tutte le funzioni ed è sempre visibile ai vari livelli, sia da dentro che da fuori, ed anche durante la notte questa appare nel territorio per mezzo della lanterna che si sviluppa a partire dalla quota dell’ultimo solaio, illuminando i tre lati vetrati dell’edificio, favorendo il percorso del sole e garantendo un effetto camino ai fini della ventilazione. Circolarmente si sviluppano le funzioni del nuovo edificio che in senso antiorario vedono a partire da destra, l’ingresso allo spazio museale, il bloc-

co lineare dei servizi di accoglienza e lo spazio di ristorazione. Questo è organizzato su due livelli, con il piano mezzanino che galleggia tra la sala e la Sudhaus e dal quale si accede, in un percorso circolare, allo spazio della terrazza all’esterno.





Appartamento, Roma

L’ISOLA E LA BALENA

In quest’appartamento ci hanno vissuto i miei carissimi zii, ed ora è passato di proprietà alla loro unica figlia nonché mia cugina. Due persone eccezionali che hanno scandito parte della mia vita in questo che è stato il rifugio di alcune marachelle scolastiche, tra scioperi veri o di fantasia consumati nella scuola adiacente, il mitico Pitagora, l’Istituto Giovanni XXIII. E’ stato anche il luogo in cui tutta la famiglia si riuniva durante le feste natalizie e resta pieno di ricordi e profumi, di trame di tappeti, di rifugi speciali, immaginari, che prendevano forme molteplici come nello spazio protetto al di sotto del tavolo da pranzo. La configurazione iniziale della casa presentava degli sbilanciamenti nel dimensionamento delle camere, oltre ad avere una sagoma veramente difficile da gestire soprattutto nel luogo vocato al soggiorno con le sue pareti sghembe e curve. Le nuove esigenze erano quelle di avere una grandissima cabina armadio, per i mille vestiti, scarpe ed accessori di cui si circonda Chiara, e una grande

isola, immersa nel soggiorno, per la cucina, nonostante lei non si possa definire né un’amante del cibo né una grande cuoca. L’appartamento era caratterizzato da un lungo corridoio che metteva in connessione i vari ambienti e da uno scollamento funzionale che vedeva la cucina posizionata tra le camere da letto e, di conseguenza, molto distante dalla zona giorno, per arrivare alla quale bisognava fare una specie di inversione a “U” verso il corridorio dove, a sua volta, insisteva la camera di Chiara. L’inversione dei ruoli lo definirei quindi un intervento d’ufficio. La nuova distribuzione ha previsto una razionalizzazione della zona notte che si distribuisce quindi intorno al piccolo disimpegno. La stanza centrale è stata ricalibrata spostando la parete di confine con il soggiorno che si piega assecondando le diverse profondità delle colonne dispensa. Queste sono state pensate a profondità variabili, sia per garantire un maggiore spazio alla came-

ra da letto, ma anche in relazione al fatto che la dispensa ha prodotti eterogenei; obbligati nella dimensione delle colonne frigo/forno, più libera nella restante parte. I pannelli lisci rendono ambigua la grande parete contenitiva provocando una consapevole incertezza sul suo ruolo proprio in virtù della sua promiscuità con funzioni di rappresentanza. La grande dispensa è un muro calibrato al passo industriale grazie ai due tagli verticali che incidono la superficie con degli elementi a giorno in cui inserire dei libri, magari di cucina, qualche ricordo, o meglio ancora delle bottiglie di buon vino. A livello percettivo il grande piano a filo della finestra che guarda la facciata della chiesa di Santa Maria Ausiliatrice e il parco dell’Istituto Santa Maria Mazzarello, sfila a sinistra dietro la parete contenitore e, oltre a garantire uno spazio meno visibile in cui inserire elettrodomestici di uso quotidiano, genera una tensione che ne amplifica la dimensione. L’isola centrale potrebbe sembrare una forzatu-



ra ma è stata fortemente voluta da Chiara e per compensare lo spazio residuo da dedicare alla zona pranzo è stata pensata profonda solo 70cm. Questa segnala fortemente la dimensione orizzontale ponendosi, parallela, come principio ordinatore per le molteplici direzioni dei piani verticali, e ha comportato la scelta di utilizzare un sistema di cottura a induzione di tipo lineare. La parte verso la parete curva è svuotata per essere utilizzata per una colazione o un pranzo veloce, ed in corrispondenza di questa calano un tris di lampade Beat Light di Tom Dixon. Il tavolo tondo è prodotto da Knoll è il modello

Tulip disegnato da Eero Saarinen, al quale sono affiancate le sedie Igloo prodotte da Kartell per Philippe Starck. Come un pendente su di esso cala la lampada Rough Diamond di Ben Torim Design. Di fronte ad essa la grande parete sospesa serve anch’essa a regolarizzare il volume e si pone come grande spazio espositivo per i quadri. L’effetto di sospensione e di arretramento sono lo spunto per alleggerire uno spazio di connessione, residuo del vecchio corridoio, che in quel tratto risulta particolarmente compresso, ed al tempo stesso questa scelta formale consente di ricavare,

all’altezza della panca e nella parte superiore, una grande libreria lineare. L’occhio della balena è una nicchia che denuncia il volume vuoto all’interno del quale è stato inserito un camino al bietanolo. La grande panca che idealmente taglia la parete sghemba e finisce fino al piano della Tv, è rivestita con una lastra effetto acciaio corten della Laminam. Un divano a chicco di riso della Lacoon era l’unica forma compatibile con la configurazione spaziale e si innesta come una lancetta di un orologio a ridosso della parete curva.



Le finestre sono state portate a tutt’altezza in modo da garantire un effetto ingresso/uscita (come un ago che tesse un tessuto) dal piccolissimo terrazzo lineare profondo appena 60cm. Verso la camera da letto insiste la grande parete di armadi (circa 10ml) che nel primo tratto possono essere considerati a servizio dell’altra stanza o del bagno che la fronteggia, ma chiaramente sono stati completamente occupati dai vestiti di Chiara. Questa prosegue (verso la camera matrimoniale) passando oltre alla porta a tutt’altezza senza mostre che segnala l’ingresso nella zona notte.

Questa scelta, quando aperta, permette una lettura totale della lunghezza della casa e al tempo stesso garantisce la dovuta privacy alla zona notte. Quando è chiusa è invece fusa nella parete di fondo. L’armadio a profondità variabili è con ante scorrevoli e girando su se stesso configura uno spazio a “C” che lascia il posto solo al varco di accesso alla camera. La parete di ambito accoglie una grande mensola che aiuta ad amplificare la dimensione della stanza piegandosi ad “L” nel punto di connessione con

la parete ad essa ortogonale e lasciando spazio ad una grande libreria verticale. Il bagno è un intervento precedente ed è realizzato con le lastre della Basaltina Stone Project della LEA, e rappresenta una vera e propria declinazione di tutte le tipologie della serie prodotte dall’azienda. Una fascia di mosaico lineare segnala, come fosse un tappeto, lo spazio della doccia e dei sanitari al di sopra dei quali è stata realizzata una mensola che ha innanzitutto uno scopo funzionale di spessorare la parete per permettere l’inserimento della cassetta Geberit, ma chiaramente viene





sfruttata come un piano di appoggio. Come sempre la doccia è in fondo, compatibilmente con le gerarchie temporali di utilizzo, e presenta una seduta che si piega morbida verso la parete vetrata. Al fianco di essa un mobile contenitore si lascia sfilare dalla mensola. Il pavimento, principio ordinatore che omogeneizza a terra le diverse funzioni, è un grès porcellanato in lastre 20x120 della serie Bio Timber Provenzale della LEA. L’effetto del legno, legato ad una lastra di grès non si deve escludere a priori in quanto riproduzione o perché non rende lo stesso calore di un parquet.

Chiara ha un cane, a volte due, a volte tre, ed era necessario avere un pavimento con una forte resistenza. Il problema di questo materiale non è legato al fatto di voler imitare il legno ma che a differenza del parquet, che garantisce come un fluido una superficie continua, lascia intravedere lo spazio tra le fughe, facendo leggere un ordito che ne rinnega l’autenticità, identificandone il surrogato del prodotto. E questa sensazione è accentuata se la posa viene fatta a tolda di nave. Per tale ragione le liste sono state pensate posate a correre, come i vecchi pavimenti in legno inchiodati.



Sistemazione degli spazi pubblici per il Halte Ceva Champel Hopital, Genève, Swiss

TOUS è PAySSAGE

Tutto è passaggio fa il verso ad un libro di Lucien Kroll dal titolo “Tutto è paesaggio”. L’idea di fondere le due parole scaturisce dalla filosofia del progetto che punta da una parte al mantenimento della funzione del luogo su cui dovrebbe sorgere la stazione Halte Ceva progettata da Jean Nouvel, un micro parco urbano, e dall’altra alla necessità a cui un nodo nevralgico di mobilità deve in qualche modo ottemperare. Il progetto della stazione, un grande parallelepipedo di cristallo, prevedeva quattro uscite poste sui lati lunghi, di cui due verso la strada a forte scorrimento, mentre le rispettive, sul lato opposto, sbarcavano direttamente con le porte di ingresso/ uscita, a ridosso delle rampe di scale, che se da una parte raccordavano il dislivello con la strada pedonale, dall’altra influenzavano sia la fluidità dei percorsi, rigidi e predeterminati, sia la fruibilità da parte dei portatori di handicap. Inoltre le stesse uscite insistevano sulla porzione fortemente legata alla parte alta della città e quindi si prefiguravano atte ad accogliere, gerar-

chicamente, un maggior flusso di persone. La scelta iniziale è stata quindi quella di creare un luogo calmo, soprattutto in uscita quando i flussi sono più serrati, isolando la stazione ad una quota praticamente omogenea della piazza, per far sì che, indipendentemente dal lato di uscita prescelto, si potessero utilizzare tutti i percorsi possibili. Tutto è passaggio quindi. Le rampe poste a ridosso delle uscite forzavano delle direzioni specifiche che implicavano degli spostamenti pedonali necessariamente più lunghi. Per essere più chiari, se sbagliavi uscita dovevi rifare il giro. Sulle testate del grande parallelepipedo trasparente, delle gradonate miste a terrazze risolvevano lo spazio dello stare, immerso nella vegetazione, come si evince dai grafici di progetto dello studio Nouvel. Lo spazio vuoto della piazza doveva consentire inoltre l’uso anche per il mercato che si tiene settimanalmente. Diversamente dal progetto pilota, l’orientamento

delle rampe, che dovevano superare un dislivello di circa 3,00ml, viene posto parallelamente alla strada pedonale che risulta identificata proprio in virtù della sua autonomia dai percorsi di risalita (la piazza e la strada sono affiancate ma a quote diverse), conseguenza che si riflette positivamente anche sul ruolo della strada in quanto passeggiata commerciale, la cui influenza di flusso poco si confà con quelli di ingresso e uscita dalla stazione. Il fatto di ruotare la direzione verso il lato longitudinale consente di accogliere in maniera adeguata i grandi flussi, soprattutto in uscita dalla stazione, e di convogliarli, lentamente, verso la piazza, la scala, o la rampa dolce che la fiancheggia. La scala raccoglie, nella sua configurazione, i flussi provenienti dalla strada pedonale, che in qualche modo, ci cascano dentro in modo spontaneo. I piani verticali che risultano dai dislivelli, sono una grande fontana di pietra con l’orologio, o sfumano, come lungo la rampa, raccordando le altezze sulla punta del lotto. Dall’altro lato il salto di quota è invece risolto con



un piano inclinato verde, che viene sfruttato per la messa a dimora di alberi che necessitano di profondità per lo sviluppo dell’apparato radicale; è uno spazio di sosta ombreggiato, dove potersi sdraiare sull’erba, o sulle gradonate che come funghi spuntano nel verde, ma al tempo stesso garantisce una permeabilità per tutta la lunghezza consentendo di salire anche per mezzo di questa ulteriore superficie di raccordo. Lo scenario naturale è pensato variabile in tutte le stagioni dell’anno esprimendosi in una molteplicità di luci, ombre e colori. Il lato dove la piazza è più ampia, si isola dal con-

testo residenziale per mezzo di una parete d’acqua che si porta la scala lenta e dilatata che in questo tratto è risolta con pochissime pedate; questo è un punto particolarmente sentito del progetto in quanto è lo spigolo del lotto dal lato del parco. È un punto privilegiato di accesso, come gli altri vertici d’altronde. La parete verticale su cui si appoggia la scala, serve a privatizzare un flusso, certamente ancora pubblico, che è quello di pertinenza delle residenze che presentano degli spazi esterni privati a livello della piazza. In questo tratto insiste il parterre minerale, che è

stato pensato completamente libero sia per risolvere le esigenze di occupazione del mercato, sia in quanto insistendo sul sedime di impianto sotterraneo della stazione, c’era poca probabilità che potessero mantenersi in vita della piantumazioni ad alto fusto, essendo la quota di sezione disponibile di circa 1,00 ml. La punta presenta un piano inclinato in acciaio corten che raccorda il lato verso la strada principale segnando ed isolando, anche in questo caso i percorsi; sia lungo il marciapiede, dove la sua partenza identifica un ambito in corrispondenza delle uscite formando una piccola piazza, sia nella pie-



ga ortogonale, rafforzando il limite imposto, ma necessariamente interrotto, dalla parete d’acqua verso le residenze. In questo punto il piano inclinato e la quota libera sotto il sedime della stazione ha consentito l’inserimento di un altro piccolo boschetto più ordinato che segue l’ordito della pavimentazione. Lungo la strada pedonale delle sedute proteggono la partenza dei declivi e la loro configurazione consente anche di migliorare gli allineamenti derivati dalle preesistenze. Lungo la via principale il problema del dislivello è risolto con una gradonata che, in uscita dalla sta-

zione, come una colata di lava, si protende lentamente verso la strada con pedate che sfumano, fondendosi con il piano inclinato nei punti di vertice. Sulla punta sud, la configurazione triangolare del lotto lascia spazio ad una fontana a terra che si affianca alle grandi gradonate che scemano verso la stazione di cui, oltre a confermarne il ruolo sociale, viene anche mantenuto l’impianto vegetale evidentemente ricalibrato. Questa scelta, come le altre operate sulla vegetazione, si riverbera a grande scala influenzando anche le vie limitrofe al lotto, generando un filo

conduttore che lega idealmente i percorsi di uscita dalla stazione Halte Ceva con la città.











Appartamento, Roma

A MISURA D’UOMO

Il parco degli Acquedotti, gli studi cinematografici di Cinecittà, la vasta area urbana dell’omonimo quartiere segnato dalla speculazione edilizia degli anni ’60, soggetti indimenticabili per la fotografia di film quali Mamma Roma interpretato da Anna Magnani per la regia di Pier Paolo Pasolini, sono lo scenario storico, urbanistico e culturale in cui è inserita questa unità immobiliare. Le richieste della committenza, una giovane coppia (imprenditore lui ed esperta di arte lei), sono quelle di ottenere un ampio soggiorno di circa 100,00mq con cucina a vista, un bagno per gli ospiti, una grande camera da letto per i bambini che nel frattempo sono diventati due, una camera padronale con spogliatoio e bagno. Posizionato al primo piano di un edificio su tre livelli, l’appartamento di 160,00 mq è collegato al piano intermedio con un giardino di 600,00 mq, caratteristica che influenza le scelte progettuali impostando la distribuzione delle funzioni in modo tale da espandere lo spazio del soggiorno verso il giardino per mezzo dell’ampio terrazzo lineare.

A dispetto dello stato di fatto, contro quelle che sono state per lungo tempo le abitudini familiari (era la casa dei nonni, condensata da una memoria dura da intaccare e pregna di una fitta rete di confini psicologici ed emotivi), viene divisa in maniera completamente diversa. Un scelta quasi obbligata dal luogo quindi, privilegia la posizione della cucina verso la parte più privata della casa, che sfuma sulla terrazza (di 40,00mq) che, a sua volta, sfuma nel paesaggio a ridosso del giardino, dal quale è possibile accedere all’appartamento per mezzo di un ingresso indipendente. Questa nuova disposizione si riappriopria innanzitutto dei circa 35,00 mq di connettivo, lo spazio che precedentemente era dedicato ad una distribuzione caotica e rigida allo stesso tempo. Ai singoli ambienti, diversi per funzione, inquadrati nella maggior parte dei casi da un’unica finestra che rende statico il paesaggio circostante, si sostituisce uno spazio fluido che trascina la ricerca formale in una vera e propria danza, dove i volumi

si sostituiscono alle figure che, come nel quadro omonimo di Matisse, La Danza, senza soluzione di continuità, si rincorrono e si avvolgono, svelando le relazioni reciproche e non, della cucina, del pranzo e del soggiorno. Le grandi superfici vetrate, scandiscono e sottendono questo ritmo, enfatizzando l’idea di una separazione che è solo apparente. E’ la preesistenza di tre pilastri che detta la scansione della composizione e diventa lo spunto per questa organizzazione di tipo circolare. Da elemento di ostruzione si trasformano in elementi funzionali per gli impianti tecnologici audio-video, del quadro elettrico (a tutt’altezza) per la gestione domotica dell’appartamento, sono luci e contenitori che con la loro fisica presenza suggeriscono visioni multiple cui fa da sfondo la libreria costituita da quattro monoliti che per conformazione generano uno spazio dinamico sulla parete che divide la zona notte da quella giorno. Variabili per spessore, larghezza, altezza e finitura sono pensati come autosufficienti, autoreferenziali,



e quindi dotati di un proprio equilibrio anche in assenza di ulteriori contenuti. L’ampia isola della cucina a vista, impone la sua presenza in uno spazio troppo spesso legato ad una rappresentanza occasionale, il salotto buono, ma che nella quotidianità è il fuoco che, come in un rituale ancestrale, raduna la famiglia. Questa è realizzata completamente in Corian, è esposta su due lati garantendo una luce variabile nel corso del giorno, e domina la vista del living offrendo il totale controllo dello stesso. Il piano operativo di 3,60 x 1,20 ml sottende la sua funzione enfatizzata dal cambiamento cromati-

co-materico della pavimentazione, sottolineata dal ribassamento del soffitto che ospita i sistemi tecnologici dell’illuminazione, dell’impianto a tutt’aria e della cappa a filo. La parete frigo-forno-dispensa comprime lo spazio ed il piano adiacente a sfioro della grande finestra bilicata, completa la composizione. I varchi asimmetrici, tra il blocco degli elettrodomestici e la parete di confine con la terrazza, gerarchizzano i passaggi favorendo il movimento dei bambini da questo lato, incoraggiati anche dal fatto che in questa porzione dell’isola che guarda il soggiorno, è stato dedicato lo spazio per sedersi e

consumare una colazione o un pranzo veloce, isolando la parte dei fuochi, di pertinenza dei genitori. Di fronte, la parete cinema con impianto dolby surround a scomparsa gestito in remoto con applicazioni Ipad riproduce, complici gli scenari di ambientazione di luce, la sensazione di una sala home theater. Una delle due porte Invisibili separa il soggiorno dalla sala da bagno per gli ospiti. Questa gioca su due quote conferendo ai piani del pavimento una sensazione di galleggiamento che sottolinea, per materia e finitura, le diverse funzioni: la parte dei lavabi e quella della vasca e dei sanitari.



L’autorevole mensola in legno laccato bianco ospita i due lavabi della Moab a cui sono abbinati la rubinetteria della Fir; della stessa linea il gruppo da piano ed il soffione a soffitto per la grande vasca in Corian realizzata in opera; la purezza formale e la sensazione vellutata propria del materiale compensano le finiture della parete ed del pavimento rivestiti in lastre Concrete Brown della DSG. Il tema della fluidità è ripreso nella camera da letto padronale dove un monolite rivestito con lastre della Laminam 3000x1000x3,5mm diventa lo spunto intorno al quale ruotano il bagno la doccia con piatto a filo pavimento e scarico tipo Canali-

nea realizzati su misura per una lunghezza di circa 2,20ml; il triplo ingresso bagno/spogliatoio/doccia realizzato con una parete vetrata, sottolinea l’indipendenza dalla zona letto in cui viene garantito un maggior grado di privacy nel rispetto dei diversi orari di utilizzo della coppia. La camera dei bambini è un grande spazio per il gioco ma è pensata per essere potenzialmente divisa ed autosufficiente (grazie alle predisposizione degli impianti ed ad un ingresso indipendente) in futuro non troppo remoto. Questa affaccia sulla terrazza che guarda il cortile interno del comprensorio ed è esposta a Ovest, garantendo uno spazio

particolarmente luminoso nel pomeriggio, quando i bambini tornano da scuola. La luce, sia naturale che artificiale, rappresenta un fattore fondamentale per la lettura della composizione enfatizzando le superfici lisce o lavando quelle materiche dove la fanno da padrona le tecnologie Led, con linee omogenee emittenti e apparecchi illuminanti in gesso che si fondono nel soffitto. Superfici apparentemente neutrali, l’uso ossessivo del bianco, fanno da sfondo ad uno spazio che consegna il testimone alla committenza, in attesa di quotidianità, di oggetti e simboli che nel tempo, cuciranno su di esso le proprie personalità.











Concorso per la Valorizzazione del Parco delle Mura di Piacenza, Piacenza

AMOENIA

Arginare, limitare, proteggere, sono bisogni archetipici che hanno spinto l’uomo a delimitare lo spazio. Tracciare un perimetro è il primo gesto fondativo del rituale che porta all’abitare, ovvero a plasmare, ordinare, conoscere, annettere culturalmente il proprio ambiente. Che sia un fossato o un muro, il limite separa l’ambiente costruito dai domini di natura, dal selvatico, dallo spazio sconosciuto ma è anche una soglia che unisce e mette in relazione ciò che è dentro con ciò che è fuori. Gli spazi liminali, sono sempre fecondi di possibilità: il Sahel e le contaminazioni culturali che qui avvengono, gli ecotoni, sempre più biodiversi delle due tessere di paesaggio che separano, ne rappresentano alcuni esempi. Le mura di Piacenza talvolta fungono come cerniera di unione tra città nuova e città storica e, tal altra, come accade nel quadrante nord, dove sono sottolineate dalle infrastrutture parallele e dal fiume, si comportano come margine che, ancora inespugnato, disegna il limite della città. L’idea alla base del progetto riconosce questa

molteplicità attitudinale delle mura, manufatto funzionalmente anisotropo che non si comporta omogeneamente lungo il perimetro ma come superficie attiva e proiettiva di quanto accade, via via, in prossimità. La loro valorizzazione è intesa come estrinsecazione delle vocazioni latenti e rafforzamento di quelle in essere ed è per questo che essa si realizza con interventi talvolta antipodiali. Talvolta le mura si comportano come quinta di un nuovo grande spazio dello stare, la grande piazza dell’area ex ACNA, altrove se ne sottolinea la direttrice lineare che, per proprietà geometriche intrinseche, è evocativa dell’andare e si trattano come fondali percettivi della percorrenza dinamica dalla strada. É questo il caso del nuovo parco lineare delle mura, che risulta essere una cerniera tra città e parco fluviale. Questo è, per eccellenza, lo spazio dell’andare; andare che si svolge a varie velocità e che, in funzione di esse è articolato. Una serie di “canali” (pavimentazioni scure e riflettenti sulle

quali scorre un film d’acqua) che si comportano come vettori prospettici, scansiona la percezione del parco e delle mura dalla strada, il loro ritmo è tarato sulla velocità dell’auto dalla quale essi si percepiscono. Tra un canale e l’altro il miscuglio di semina, e quindi la texture dei prati varia, ricordando il ritmo degli ordinamenti colturali della vicina campagna. Il parco, pensato come un luogo di passaggio e filtro verso il parco fluviale, non esclude la sosta ed il passeggio che si svolge su di un percorso che sottolinea, attraverso compressioni e dilatazioni, le geometrie spigolose dei bastioni richiamando gli antichi fossati. Lungo il percorso l’allontanamento/avvicinamento, l’intercettazione di alcune piazza d’acqua, la vegetazione, diversificano la percorrenza alla velocità pedonale, con una partitura più ritmata di quella data dai grandi pattern di prato misurati sulla percezione, in auto, dalla strada. I canali si comportano anche come connettori morfologico-funzionali tra città e fiume, quasi



come fossero suoi filetti fluidi infrantisi sull’argine naturale a partire dal moto turbolento di piena. Seguendo i canali si arriva dalla città (sono presenti anche nell’area ex ACNA) al parco delle mura, al parco di campagna sino al Waterfront attraverso un apparato che ricorda l’andamento effettivo degli antichi sistemi distributivi che, a partire dal fiume, alimentavano il contado periurbano fino a penetrare intra moenia. Il trattamento dell’area con vincolo di inedificabilità dell’ex ACNA, si propone di restituire alla socialità la dismessa zona industriale; qui gli spazi di relazione, altrove confinati, si dilatano scenicamente nella grande piazza

che affaccia sulla quinta muraria. Due grandi strutture evocative delle torri di assedio campeggiano nel parco configurandosi come landmark, elementi ludici e funzionali punti, panoramici aperti sulle mura e sul parco fluviale ma, soprattutto come simboli enfatici che rafforzano semioticamente e scenicamente la cinta. Obiettivi di qualità architettonica, funzionale, morfologica e di qualità sociale: L’idea progettuale, individua un differente utilizzo dello spazio verso il parco fluviale e di quello verso la città.

Il bastione Borghetto, ad esempio, in quanto baricentro del sistema lineare, assume un ruolo di cerniera tra il dentro e il fuori e rappresenta il punto privilegiato di partenza, il ricettore magnetico dove i flussi si concentrano ed incanalano verso il parco fluviale, prima, e verso il fiume poi. E’ in questo tratto che è più sensibile la distorsione linguistica del progetto; Amoenia, vuole significare sia l’esigenza di una città contemporanea di espandersi al di là dei propri confini fisici dettati da ragioni non più verosimili, senza mura, ma al tempo stesso ricorda la radice latina della parola moenia, più consona al significato di munire, difendere,





ma anche quella di luogo confortevole, amoeno. Gli edifici del bastione vengono confermati nella loro funzione scientifico-culturale. Oltre al loro valore intrinseco, che invoca un uso informativo con attività espositiva, si suggerisce un possibile utilizzo per l’attività di ristorazione in considerazione degli inediti punti di vista che si potrebbero godere dalla quota delle terrazze anche in notturna. La grande piazza pedonale dell’ ex ACNA è delimitata dall’area del centro commerciale e da quella delle nuove residenze, attraverso una strada di progetto che prosegue l’asse di Viale Mazzi-

ni e si connette al parco in corrispondenza di Via Tramello; le percorrenze veicolari e ciclopedonali si invertono collocando la ciclabile lungo le mura determinando l’arretramento della strada. Lo spazio commerciale è caratterizzato da una grande copertura a verde inclinata che sposa le funzioni di sosta/ludica a quella di mitigazione ambientale e di inserimento paesaggistico del grande edificio, nonché la possibilità di ospitare eventi. Il grande vuoto di cerniera, di circa 17.000 mq, è caratterizzato da due piani inclinati che si contrappongono dirigendo i vettori percettivi all’in-

terno dello spazio della piazza: una delle due superfici è trattata a verde e risulta più architettonica e progettata rispetto alle aree a parco; l’altro piano consta di una plaza dura sulla quale lamina un sottile film d’acqua a sfioro (utile a migliorare il comfort estivo). In particolari momenti una serie di sottili zampilli aumenterà la componente ludico-attrattiva della socialità compatibilmente con la disponibilità di risorsa idrica. Il tema dei canali, e della loro antica penetrazione intra moenia, è ripreso anche nella grande piazza tramite alcuni inserti realizzati, sempre con la stessa tecnologia a laminazione, che tagliano



trasversalmente la tessitura della pavimentazione determinando un sottosistema i cui intervalli sono caratterizzati da pattern in terra o a verde sui quali insistono alberature che garantiscono l’ombreggiamento alle sedute. Materiali: Il tratto della pavimentazione lungo le mura dal lato interno è realizzato in mattoni di argilla posati a secco nel rispetto del lessico storico-locale e sottolinea il senso dell’andare. Il luogo dello stare è invece realizzato con una pavimentazione in blocchetti autobloccanti con superfice fotoca-

talitica che agisce come abbattitore dei livelli di inquinamento urbano, anch’essi posati a secco. Le sedute sganciate da terra e illuminante a led sono dei monoliti in pietra autoctona. Obiettivo dello spazio pubblico e di qualità ambientale: Il progetto prevede la completa pedonalizzazione di tutto il tratto del parco delle mura, garantendo l’accessibilità agli edifici lungo via Tramello. Il percorso pedonale è affiancato da una nuova pista ciclabile (2,00 km) che, ad esclusione del tratto di intersezione con la piazza, è caratteriz-

zata da un rivestimento in micro celle fotovoltaiche “Solaroad” in grado di produrre energia per 50kw/h per mq. Tale tecnologia assicura l’autonomia del sistema di illuminazione e delle postazioni wi-fi, che richiamano i landmark delle rotoballe, e di tutte le altre utenze pubbliche connesse alle aree di nuova progettazione (totem, infopoint, i sistemi informativi, bike sharing). Il rilascio di circa il 99% delle alberature esistenti e l’impianto di una foresta urbana di circa 200 individui arborei, comporta tutta una serie di benefici prodotti dai servizi ecosistemici che essa



svolge (aumento della biodiversità dell’ecosistema urbano, assorbimento dei particolati, fitodepurazione delle soluzioni circolanti del suolo, riduzione dell’effetto isola di calore etc..). La scelta di specie autoctone aiuta invece a ricomporre la rete ecologica. Obiettivo di qualità paesaggistica: Nessuna delle forme del progetto che si propone è gratuita ed autoreferenziale e tutte s’ispirano al genius loci ed al contesto, dai canali, emanazione del Po e memoria del paesaggio agrario, al percorso del parco extra moenia che riprende le

forme spigolose dei bastioni e dei fossati. Il paesaggio è oggetto di lettura semiotica lungo la Via Francigena, lettura che si compie a livello di un sistema di reading point (costituiti da un binomio totem - aree di sosta attrezzata) che forniscono informazioni non banali sui paesaggi naturali, urbani, mitici e leggendari che la Via intercetta (valorizzando anche la componente immateriale del patrimonio culturale che il grande itinerario del Consiglio d’Europa, mette a sistema). Tutto il progetto vegetale è improntato alla riproposizione del paesaggio potenziale e di quello

agrario storico. Dal primo si mutua la palette delle specie arboree, che riprende lo spettro specifico dell’associazione potenziale tipica degli ambienti fluviali (Populetalia albae, Salicetum albae) analogamente accade per la scelta delle erbe, tutte specie autoctone e tipiche degli ambienti ripariali regionali. Del paesaggio agrario si rievocano le trame e le texture, tramite il sistema di canali e di campiture di prato e si riprendono alcuni landmarks tipici, quali alcuni allineamenti di gelso (Morus albae) e di pioppi cipressini caratteristici della piantata padana.



Appartamento, Roma

SU DAL BALLERINO

Questo piccolo appartamento è situato al primo piano di una palazzina del quartiere Tuscolano, la cui facciata non riesce a nascondere le tracce della cicatrice della speculazione edilizia del dopo guerra, ma che nel tempo invece, ha trasformato all’esterno il “biscotto” di lamiere e fuochi di strada del mercato, in una piazza pedonale sulla quale si affaccia, con la terrazza, sopra il ristorante stellato Michelin “Giuda Ballerino”. Il committente è una donna di mezza età, single, appassionata di teatro. Una selezione di oggetti: il manichino, la bicicletta, la macchina da scrivere, le vecchie foto di famiglia, richiamano il senso della memoria e con circostanza si rincorrono sullo sfondo neutro della libreria. In uno spazio fluido, senza porte, incalzano le funzioni dell’abitazione che tende lo sguardo verso la terrazza. L’architetto, si sa, pur di dare completezza al suo lavoro, spesso trascura tutti quegli spazi quotidiani della casa in cui “nascondere” oggetti quali

l’aspirapolvere, lo stendino, la tavola da stiro, la scala, scopettoni e tutto ciò che gli sta intorno. In questo caso il tema del ripostiglio è interpretato niente meno sulla parete principale dell’appartamento, dietro le monolitiche superfici mobili che, scorrendo, rivelano il grande caos. Lo stesso si costruisce sopra la piega del pavimento che, senza soluzione di continuità, si infila in esso. La libreria, ispirata allo skyline dei grattacieli, scandisce il ritmo verticale della composizione e, allo stesso tempo, si modifica proprio in virtù del movimento delle pareti mobili. Il controcampo è rappresentato da un piano scrivania di oltre 5,00 ml che affaccia sullo spazio esterno. I piani di profondità diversa, presentano funzioni necessariamente diverse che si contrappongono formalmente con una doppia configurazione ad “L”. La cucina sfrutta per la colonna frigo forno lo spessore dell’intercapedine, il piano cottura a tre fuochi amplifica la dimensione del piano lavoro; formalmente sviluppa le due profondità, dei pen-

sili e del piano, sottolineate dalla diversa finitura del rivestimento in lastre di gres porcellanato laminato. Basi e pensili di “Ikea” scommettono sull’idea di un design democratico dove “l’angolo cottura” possa a tutti gli effetti affrancarsi dall’immaginario collettivo per addentrarsi di diritto in quello spazio di soggiorno, che è pranzo, studio, ingresso e ripostiglio, e in quelle giornate pesantissime, anche camera da letto. Il bagno prosegue idealmente la linea dei servizi; qui il lungo piano d’appoggio per il lavabo, quando si inserisce all’interno della doccia, diviene una seduta. A meno della parete della doccia, alcuna linea di fuga altera la semplicità dello spazio, privo di lastre di rivestimento. Dal lato opposto la parete profonda ospita delle mensole per i piccoli oggetti a corredo della sala. Non ci sono porte, a meno di quella invisibile del bagno, indispensabile per gli ospiti e per evitare di esasperare la ricerca stessa di fluidità.



In un salto dimensionale, la camera da letto sale di livello consentendo il passaggio degli impianti e si raccorda, ad una prima quota, con il pavimento della terrazza. Questo, in corrispondenza di essa, è dunque rialzato sia per creare un blocco fisico che garantisca la privacy richiesta, uno spazio più protetto, ma ha anche lo scopo di riproporzionare le dimensioni della terrazza, trasformandosi in un podio di legno in cui inserire una funzione specifica. Un’altra stanza, a cielo aperto, dove i muri divengono però confini stabiliti da oggetti funzionali come la panca, il divano, il podio, o magari una vegetazione non ancora progettata.

Tra il podio e la terrazza è inserito letteralmente un “ponte”, nel senso heideggardiano, che connette due spazi invisibilmente divisi, mettendoli a confronto; un monolite rivestito in lastre di gres porcellanato laminato 3000x1000x3,5mm è un grande piano che contiene un lavello e, occasionalmente, un piano cottura elettrico, e consente di isolarsi dall’uso della cucina all’interno della casa e suggerisce la convivialità, anche all’esterno. Il controcampo è un divano, anch’esso rivestito con le lastre Slimtech Caramel della Lea, che accorcia il lato lungo e stira il lato corto della terrazza e che presenta, dietro la spalliera, fioriere che

completano lo sfondo circondandolo di profumi e colori. “Braccioli” ad altezze variabili scandiscono il ritmo e sono dei veri e propri piani di appoggio. Verticalmente, per tutta la lunghezza, una panca di 10,00ml in listelli di legno protegge lo sguardo verso la piazza quando si è seduti; orizzontalmente, un pergolato timidamente cerca invece di preservare dalla vista di sguardi indiscreti, ma l’esigenza di luce ha per ora lasciato, nella sua tessitura, delle finestre aperte che guardano al cielo, dilatando il passo della struttura mentre si snoda verso la panca.






Rendering di studio per la copertura della terrazza



Sezioni prospettiche progressive di studio per la copertura della terrazza




Concorso per la qualificazione di Piazza San Rufo, Rieti

GENESI

“Egli disponeva i cieli e poneva un cerchio sulla superficie dell’abisso” Proverbi, 8, 27

“Prese l’aureo compasso che custodito nel tesoro eterno Dio si stava a circoscrivere questo ampio universo e quanto in lui si racchiude. L’un piè fe’ centro e per la vasta oscura profondità l’altro aggirando disse: “Fin qui ti stendi: ecco i confini tuoi la tua circonferenza è questa o mondo”. Così il Ciel cominciò, così la Terra materia informe e vuota...” Milton J., Il Paradiso Perduto, Londra, 1667

«Colui che volse il sesto allo stremo del mondo, e dentro ad esso distinse tanto occulto e manifesto» Dante, Paradiso, 19, 40-42

L’obiettivo che il progetto si propone è quello di accentuare il ruolo di cerniera sociale a cui Piazza San Rufo può ambire e, al tempo stesso, enfatizzare il carattere che questa assume nel contesto istituzionale, in quanto centro d’Italia, baricentro della stivale. Attualmente infatti, questa testimonianza è palesata attraverso un monumento rappresentato da una base di una colonna inserita in maniera apparentemente casuale nell’invaso. Inoltre la piazza stessa è priva di quei servizi che sarebbero in grado di renderla un centro magnetico sia per gli abitanti della città, che per i turisti. L’invaso in cui si sviluppa, è uno spazio di elevata qualità plastica, che rappresenta un attimo di respiro nel tessuto storico sul quale insiste la Chiesa di San Rufo, e che, nelle geometrie sghembe e nelle variazioni di facciata, esprime l’equilibrio del dinamismo di forme eterogenee, che già di per sé sarebbero sufficienti a rappresentare le diversità di cui la nostra nazione è caratterizzata, e la maniera in cui è possibile farle coesistere tra loro.

Ciò che sicuramente manca alla piazza è lo spazio delegato alla socializzazione, essendo priva di aree per la sosta, a meno della panca di palazzo lungo la facciata della chiesa. A questa esigenza il progetto risponde attraverso la realizzazione di due elementi che assumono primariamente un valore simbolico e che vogliono rappresentare contemporaneamente il concetto di “centro” (d’Italia), e quello di “unità” (d’Italia). Il centro riporta all’immagine del cerchio che fisicamente si identifica in un punto, “uno immoto”. L’idea del centro è figurata per mezzo di due compassi in quanto strumenti di puntamento e misura di tutte le cose. Per mezzo dei compassi, si racconta che Dio abbia disegnato le geometrie dell’Universo, iniziando l’opera di divisione dello spazio che poi è divenuta una delle principali attività dell’uomo. Il concetto di unità è interpretato attraverso il suo opposto, la frattura, rappresentata da un solco, che è quello che si genera nella contrapposizione dei due compassi, ed attraverso il quale si intrave-



de uno scavo archeologico romano. Questi due elementi in pietra sono delle sedute ma vogliono essere dei confini, presentano geometrie variabili e, a memoria di una genesi, sembrano nascere dalla stessa terra. Sono dei confini, ma vogliono essere delle sedute, ed il loro posizionamento consente di avere degli spazi di relazione che prediligono dei punti di accumulazione dove sia possibile guardarsi in faccia, mentre si parla, diversamente da quanto avviene di solito stando su una panchina lineare. La loro configurazione comporta una divisione della piazza in quattro settori che, pur mante-

nendo la loro unitĂ , suggeriscono diversi ambiti funzionali. Lo spazio davanti alla chiesa si riappropria di una forma geometrica di tipo romboidale semplificando le molteplici fughe prospettiche che gli edifici definiscono e di cui si nutre il vuoto urbano. Le linee invisibili sui lati corti, oltre ad identificare uno spazio di pertinenza dello stare (visualizzato dal triangolo che virtualmente la seduta genera), determinano un corridoio, sempre virtuale, verso la facciata commerciale alla destra della chiesa. Ortogonalmente ad essa uno spazio cuscinetto mitiga il passaggio dalla sede carrabile alla piazza

pedonale, anche per mezzo di dissuasori che ne tratteggiano il confine. Si auspica inoltre, un diverso utilizzo dello spazio pubblico da parte dei locali di ristorazione, spostando il baricentro verso la piazza, integrandosi con essa, aprendosi piuttosto che chiudersi con recinzioni che segnano una discontinuitĂ anomala. Questa semplice operazione libera i percorsi lungo le facciate dei palazzi, restituendo la giusta lettura dei prospetti degli edifici.







Appartamento, Roma

Vitae

Mi è capitato spesso che mi venisse chiesta un’idea, niente di peggio di chi svilisce una professione con una domanda così apparentemente innocua, come se ci fosse un qualche bottone che spingendolo la generi, senza quindi capire la fatica che si nasconde dietro ad un disegno. Un singolo foglio di carta. Diverso è quando si è liberi di scegliere di aiutare qualcuno. Forse solo per empatia, ma sicuramente senza un secondo fine. Per il piacere di farlo. I proprietari di questa casa, una coppia di ingegneri, mi sono stati presentati da una di queste persone. E quando fare bene, si trasforma in riscontro, avviene una specie di magia, quasi fosse dovuta. L’appartamento è in pieno centro a Roma, a Via della Vite, si sviluppa su circa 200,00 mq, una dimensione veramente esuberante qui, dove si trovano vicoli in cui non batte il sole. Tra le esigenze c’era quella di avere una buona superficie per il living che avesse un tono classico, un camino, una zona dedicata all’ascolto della musica

per lui che è un collezionista di vinili, uno spogliatoio all’ingresso, una cucina con una propria privacy ma al tempo stesso integrata/integrabile nel soggiorno, una stanza da letto con bagno e una cabina armadio. Nell’ottica di non avere percorsi predefiniti, ma piuttosto direzioni, quest’appartamento si presta molto bene a capire quella linea sottile che sta dove finisce una cosa e ne inizia un’altra. Questo limite può essere compatibile, come quello tra la cucina e il pranzo, oppure no. Quando mi trovo ad affrontare situazioni simili, inserisco degli elementi che fanno da trait d’union, nel vero senso del termine, sono delle grappette, cerniere di una catena che, come in un tiro alla fune, o come la linea delle onde sulla battigia, alternativamente, lega e slega gli ambienti, appartenendo un po’ ad entrambi ma al tempo stesso gode di propria autonomia. Se analizziamo la pianta partendo dalla situazione originaria, varcato l’ingresso ci troviamo di fronte ad un portale costituito dai due pilastri che ci gui-

dano verso un percorso che non indirizza in nessun posto specifico, o peggio virtualmente porta nell’angolo buio generato dalla parete serpeggiante che sottende la zona pranzo e che parte dal pilastro di sinistra. In una casa di 200mq, una delle poche case in centro storico dove le finestre regalano, anche per la doppia esposizione potenziale, una buona dose di sole, si pranza in un loculo. Praticamente al buio. Neppure ne giova la connessione con la cucina con cui è collegata facendo una gincana tra le pareti. Stessa articolazione in merito agli slittamenti dell’asse delle porte dalla zona giorno verso il bagno, come pure la farraginosa soluzione della cabina armadio doppia. Nonostante consideri la porta d’ingresso al pari di una parete, in quanto, una volta dentro casa raramente capita di aprirla e/o di chiuderla, vorrei iniziare proprio da questo punto la lettura del progetto. L’idea prevede che di fronte ad essa, un grande pilastro divida lo spazio in tre settori, enfatizzati



dagli arredi che gli ruotano intorno. Come una matrioska, contiene l’altro più piccolo, diviene lo spunto per uno spogliatoio e, al tempo stesso, si pone come spartiacque distributivo tra servizi e rappresentanza, identificando, nella parte posteriore, lo spazio dedicato al pranzo. Come dicevo prima, funzioni simili presentano delle compatibilità, come il pranzo che si pone baricentricamente tra soggiorno e cucina. Nel caso in cui le funzioni siano diverse, bisogna trovare un trait d’union, una sottofunzione cuscinetto che sia a sua volta compatibile con le altre due. Come si evince dalla pianta, la parte bassa della

casa è un corridoio virtuale, enfatizzato dalla longitudinalità del divano e dell’isola della cucina. Lungo il canale di connessione verso questa, una cornice leggermente sporgente svolge questa funzione di connettore. Profonda quanto basta a contenere i vinili, segna il passaggio dall’ingresso/soggiorno ad uno spazio che non è ancora propriamente cucina. Attraversato l’imbotte, generato dalla doppia parete attrezzata, passa sotto le finestre in precedenza murate, definendo nella parte superiore un piano di appoggio frontale all’isola, ed un elemento contenitivo a giorno dove avere una libreria

dedicata, per esempio. Ortogonalmente ad essa il grande mobile bifacciale segnala, dalla parte opposta, l’accesso verso il bagno, direzione a sua volta accentuata dalla posizione del tavolo da pranzo, che si pone come il terzo elemento, insieme all’isola e il divano, che organizza i percorsi, questa volta della parte alta del soggiorno. Trasversalmente segna invece l’accesso verso la zona notte. Questa è divisa fisicamente dal muro di spina portante che è utilizzato come percorso trasversale tra la stanza di destra, in attesa di un figlio,



ed il bagno, rendendolo quasi privato, in quanto comunque condiviso con l’altra camera in alto a sinistra, dedicata alla sorella. La camera padronale è divisa in tre parti: la zona del letto, l’ampia cabina armadio a vista ed il bagno. Come per il contenitore dei vinili, anche qui un elemento lineare si trasforma da scrivania, posta nella camera, a toletta nello spogliatoio, e si allunga fino a definire il piano del lavabo, che essendo da appoggio si porta l’altezza costante di 72,00 cm circa. Il soggiorno è un classico contemporaneo. Il camino si staglia sulla parete di fondo e organizza le due finestre simmetriche che affacciano su

Via della Vite. La grande parete invece, organizza lo spazio di fronte all’ingresso e nasconde la porta di accesso alla camera da letto. L’uso di una porta invisibile, permette di non spezzare a metà questa superficie e di leggerla come un unico elemento. Se da una parte la postazione della tv individua specificatamente la zona dedicata ai divani, dall’altra, la grande libreria lineare ricavata nello spessore sporgente della parete risolve la dicotomia funzionale, riunendole come nei casi precedenti. La parte bassa è pensata come un grande piano di

appoggio, ed è la possibile antagonista dello spazio di ascolto della musica potendo quindi essere utilizzata per contenere il sistema audio e i long playing. Chi la fa da padrona in questo spazio è il divano Chester in pelle bianca che basterebbe da solo a reggere tutta la composizione.



Designing Teheran, Benetton Store, Teheran, Iran

Voyeur

L’idea progettuale si base sulle peculiarità dell’architettura islamica sebbene l’Iran abbia una fortissima tolleranza rispetto a quanto sia, per così dire, occidentalizzato, e di conseguenza maggiormente legato alla forma e all’immagine. Il concorso era organizzato dal Gruppo Benetton, che si è sempre distinto a livello di comunicazione, e questa caratteristica si doveva rileggere all’interno del progetto. Il senso della privacy, il valore del muro, la corte interna, e tutto il sistema introspettivo delle musharabiya, sono i contenuti di questo progetto. Voyeur, vuole significare da una parte il carattere privato, ma al tempo stesso la volontà di essere guardato, in quel videor ergo sum che caratterizza la visione occidentale, che rappresenta noi stessi e la cultura mediatica del nostro tempo. D’altronde anche cercare di diventare invisibili è un modo per farsi notare. Il volume è un grande cubo chiuso e sospeso per mezzo della struttura appesa di facciata. Questo genera al piano terra una fenditura en-

fatizzata dalla piegatura curva, dove troviamo lo spazio espositivo delle vetrine, lungo il perimento, e gli ingressi principali. Sulla facciata tre ballatoi sono gli unici affacci presenti ed identificano i livelli degli uffici. Il progetto doveva infatti prevedere un’area commerciale al piano terra, tre livelli di uffici e a coronamento delle residenze. Al piano attico, è la piega del connettivo verticale a segnare l’immagine simbolica del volume a base quadrata e definisce lo spazio delle terrazze poste all’ultimo livello. Chiaramente si presentavano dei problemi distributivi poiché bisognava organizzare la divisione dei diversi flussi di persone, dal pubblico per il commerciale, il semi-pubblico degli uffici ed il privato delle residenze. Inoltre la sagoma molto spigolosa rendeva difficile qualsiasi impostazione razionale del progetto, soprattutto per quanto riguarda l’organizzazione delle residenze. Al piano terra lo spazio commerciale si presenta a

doppia altezza ed in relazione con il primo livello anch’esso commerciale, per mezzo del piano mezzanino. L’accesso agli uffici ed alle residenze avviene invece nella porzione cieca dell’edificio sul lato adiacente alla preesistenza. Sulla facciata ortogonale alla strada principale un grande taglio diagonale segna un trattamento con pannelli microforati con i motivi propri della tradizione islamica. Questo si appropria di tutta l’altezza dell’edificio cercando di uniformare i livelli caratterizzati dall’eterogenità di funzioni specifiche, in una ricerca di trasparenza interiore, che accentua e rende indipendente la grande parete cieca su Vali Asr Avenue. La superficie di risulta sviluppa le potenzialità comunicative dell’azienda ponendosi come un grande display mediatico.







Concorso Internazionale di Progettazione per un Asilo nido aziendale interno alla sede della Regione Lazio, Roma

LayTime

Lo spazio oggetto dell’intervento è al primo livello dell’edificio che ospita gli uffici della Regione Lazio e si presenta come una selva di 26 pilastri di dimensioni e forma variabili che svettano nell’ambiente a doppia altezza e parzialmente a cielo aperto, generando una spazialità di particolare interesse ma, al tempo stesso, determina delle problematiche per la sicurezza e di percezione visiva, dovendo l’edificio destinarsi alla presenza di bambini di età compresa tra i tre ed i trentasei mesi. Spazio interno: Le tre sezioni sono state pensate come tre edifici indipendenti, identici per forma, e organizzati come uno spazio all’interno di uno spazio. Questa operazione comporta una serie di vantaggi da diversi punti di vista: - consente di avere un soffitto più basso sopra la testa. - la superficie inclinata mantiene la memoria genetica che consente ai bambini di continuare a disegnare tetti a falda

- contribuisce al risparmio energetico, consentendo di riscaldare o raffreddare un volume sensibilmente ridotto di spazio. Stiamo parlando di un volume di circa 1600mc contro un volume pari a circa 4.500mc. Alle tre sezioni divezzi corrispondono tre volumi delle case che sono orientate in maniera diversa e questo genera un movimento all’interno dello spazio che offre luoghi in cui nascondersi, rincorrersi, molteplici visuali e inediti punti di gioco. Spazi compressi e dilatati si alternano a spazi verdi e pavimentati con un dogato di legno sopraelevato che consente un efficiente smaltimento delle acque meteoriche (siamo all’interno della corte dell’edificio e quindi risulta parzialmente scoperto), e permette l’areazione dalle griglie dei parcheggi. Questa soluzione consente di calibrare anche il posizionamento dei volumi rispetto ai pilastri; la mancanza di elementi strutturali all’interno delle “casette” si risolve a svantaggio dello spazio comune di distribuzione in cui però delle amebiche

forme a fagiolo avvolgono sinuosamente gli elementi verticali, generando dal difetto, un immaginario bosco minerale. La sensazione di stare in uno spazio esterno è ciò a cui punta il progetto ed è amplificata dalle grandi superfici trasparenti e dai lucernari, comunque presenti per traguardare la vista oltre il limite del soffitto. Lo spazio è concepito come fluido, dinamico e privo di elementi interferenti, consente l’accesso diretto ai locali igienici ed alla zona notte divisa per mezzo di una parete scorrevole e potenzialmente utilizzata per altre attività dotando la stessa di lettini impilabili. Arredi: Una parete fuori scala, nel rapporto con gli infanti, e a forte spessore è rivestita con lastre della Laminam in gres porcellanato laminato di dimensioni 3000x1000x3mm di spessore finitura in grigio basalto. Queste lastre consentono l’uso della parete come



lavagna favorendo la libertà espressiva chiaramente ristretta in ambito familiare; d’altronde chi non hai mai avuto un disegno di bambino sulle pareti di casa? Alla quota del pavimento la parete accoglie dei contenitori con ante a battente con apertura a scrocco con cassa in legno e anta in listellare rivestito anch’esso con lastre di gres laminato di colore chiaro. Il ridotto spessore della lastra consente il rivestimento degli sportelli favorendo una sensazione tattile di tipo minerale, risultando facilmente pulibile e praticamente indistruttibile. Di fronte, una panca posta a 30cm di altezza,

nasconde dei contenitori su ruote di dimensioni 30x30x40cm che possono essere trasportati dai bambini grazie ad una cordicella, favorendo l’attività motoria del bambino ed infondendo in esso il senso di cura di qualcosa che sembra vivo, come se imitasse il genitore che lo tiene per la mano. La panca si sviluppa per 9,00ml di lunghezza e di conseguenza è in grado di contenere 30 elementi, in potenza ad uso esclusivo di ciascun bambino nel numero di due a testa. Lo stesso spazio, può trasformarsi in un grande piano per attività o per il pranzo senza stravolgere la sua essenza nativa.

Questi contenitori, quelli sotto la lavagna ed una libreria incassata a parete, consentono di organizzare lo spazio in maniera libera, per le diverse attività, risultando privo di impedimenti. Spazio esterno: Allo spazio esterno si accede dalla rampa di distribuzione verticale in corrispondenza del pianerottolo intermedio ed è distinto in due macro sezioni: lattanti e divezzi. Allo scopo di favorire l’attività sensoriale al suo interno sono previsti tappeti erbosi, superfici in legno, vasche di sabbia; movimenti di terra che formano delle collinette ed



una grande piano inclinato in cui è inserito un boschetto che raccorda la quota a quella dello spazio attuale esterno, risultando protetta sia dalle alberature che da un muro traforato. Dal lato opposto, una parete in listelli di legno, scherma e protegge dalla zona impianti. Un tunnel perforato, pietre parlanti, ed altri accessori, settorializzano lo spazio che rimane di per sé aperto, favorendo le attività motorie di gruppo. La scelta delle specie ha tenuto conto dei fattori allergenici ed è stata orientata ad una riduzione nel numero di essenze vegetali; tra quelle arboree è stata scelta la Magnolia grandiflora e la Ma-

gnolia soulangea in modo da garantire nel corso dell’anno una fioritura alternata tra inverno ed estate. Quelle arbustive sono di tipo aromatico mediterranee facilmente ritrovabili sulle nostre tavole. Il tappeto erboso è una miscela di diverse specie erbacee a fioritura primaverile facili da raccogliere dai bambini, non tossiche, dal fascino eterno, come ad esempio, la margheritina (Bellis perennis). E’ prevista la possibilità di iniziare i bambini alla cultura delle piante attraverso la coltivazioni di ortaggi. La musica è presente in maniera inedita nascosta all’interno di sassi parlanti.



Appartamento, Roma

Il cielo in una stanza

Un secondo progetto per uno stesso committente, lascia immaginare che il lavoro fatto una volta sia stato apprezzato; e rinnovare la fiducia concessa, è gratificante e sufficiente a giustificare tutto il tempo dedicato. Far seguire ad una cosa giusta, un’altra cosa giusta, costruire lo spazio di vita delle persone, insinuarsi in mappe psicologiche, sentimentali, e percettivo-emozionali, legarle al lato economico, sono solo alcuni dei canali in cui l’architetto si trova ad operare. L’appartamento di 160,00 mq, insiste in un comprensorio residenziale con piscina in Via Vallombrosa, è costituito da una serie di edifici a tre piani a tripla esposizione, ed è posizionato sulla parte più alta del colle che affaccia sul parco dell’Insugherata. Il paesaggio non necessita di commenti e forse l’emozione più forte che ho avuto entrando in questa casa, è stata la vista del panorama che si è offerto davanti agli occhi, da un’altezza straordinaria, che somma quella dell’edificio di circa 30,00ml (nonostante al terzo piano la casa affaccia verso il parco

su uno strapiombo), al naturale declivio della collina consentendo una lettura come da una vista a volo d’uccello. Veramente mozzafiato. La prima impressione è stata quindi quella di dedicare tutto il lato verso il parco, con la vetrata ad “L” che abbraccia un perimetro visivo di circa 18,00ml, alla zona giorno. In questa scheda sono pubblicate immagini contrastanti in quanto l’esigenza funzionale del cliente non corrispondeva pienamente con le potenzialità individuate. E grandi sforzi sono stati fatti per condividere alcune riflessioni e molto tempo è passato prima che fossi io ad adeguarmi alle richieste della committenza. C’e anche da dire che la superficie dell’appartamento rendeva certamente possibile assecondarle queste esigenze, come quella di avere una cucina chiusa ed al tempo stesso un soggiorno di dimensioni più che dignitose. Per queste ragioni la distribuzione ha privilegiato la funzionalità rispetto forse ad aspetti maggior-

mente legati alla vita sociale. Tuttavia siamo riusciti, insieme, a raggiungere una serie di compromessi, sintetizzabili nella dimensione del varco di accesso alla cucina, a tutt’altezza, con la porta a filo muro che si fonde con la parete, e di larghezza tale da garantire uno scorcio sul paesaggio visibile dal soggiorno, senza violare la privacy richiesta. La cucina della Arclinea, si sviluppa a forma di “C” definendo uno spazio ergonomico e di misure sartoriali nonostante i circa 20,00mq. Di fronte il canale di accesso/visuale è accentuato dalla penisola del piano che in quel tratto funziona come postazione per un pranzo veloce e dalla grande parete frigo-forno-dispensa. La gerarchia distributiva ha determinato la sua posizione nel punto corrispondente al vertice della terrazza, dove lo spazio è maggiormente dilatato e consente di posizionare un ampio tavolo all’esterno, quasi fosse una proiezione della cucina stessa. La ragione delle scelte distributive è sempre da ricercare in molteplici fattori e le preferenze finali



sono sempre un equilibrio. In prossimità dell’ingresso è presente tutta una parete contenitiva su due lati che funziona come appenderia e scarpiera nella parte più prossima ad esso, e come ripostiglio-lavanderia, isolabile per mezzo di una doppia porta scorrevole, a ridosso del bagno di servizio e della terrazza dedicata; per dimensioni si presta ad essere il luogo autonomo in cui opera la persona che aiuta la signora nelle faccende domestiche. Questa soluzione determina uno spazio talmente riservato, per lavare, stendere, stirare, etc., quasi da non dover neppure intaccare la privacy della

famiglia. Diversamente da quanto realizzato, ho preferito inserire in questa scheda una planimetria che sposa gli assunti di partenza e che si presenta come un rettangolo puro che identifica lo spazio del living integrato con il pranzo e la cucina a vista e che, alle spalle di questa, prosegue con il paesaggio. La scelta di fornire un bagno privato alla camera da letto, riduce la spazio di distribuzione ad un niente, e contribuisce a generare una pianta di una semplicità disarmante, dove i percorsi griglia sono sempre organizzati dagli arredi. La vista del parco era talmente dirompente, e i tre

accessi alla terrazza dalla zona giorno più che sufficienti, tanto da consentire di rinunciare ad uno di essi e sostituire una delle aperture con una esuberante superficie fissa trasparente di circa 10,00mq, essa stessa una quadro sul paesaggio che, quando seduti sul divano, si perde a vista d’occhio verso la campagna di Roma Nord.





Interecontinental Hotel De La Ville, Roma

LA LUNA NEL POZZO

Il roof garden dell’Hotel de la Ville del Gruppo Intercontinental in Via Sistina, si trova ad un livello intermedio dell’edifico che ospita l’albergo. Questo determina una strana visione dello spazio che per dimensioni appare quasi come se fosse un cavedio, od una corte di servizio, sulla quale affacciano dai quattro ai sei livelli di stanze. Ne deriva una mancanza di qualità dovuta a due fattori: la necessità di privacy dalle stanze poste ai piani superiore la divisione del cavedio in due sub spazi causata dal canale di connessione tra le sale dell’albergo, la serpentine, ne corrompe la qualità intaccando i potenziali rapporti tra larghezza ed altezza, limitando la sensazione di un ambiente omogeneo. Presenta inoltre una differenza di quota proprio a ridosso delle porte di uscita che, oltre ad essere molto pericoloso, rende questo canale avulso dalle sue ali adiacenti all’esterno, evidenziando quindi, la funzione di taglio che esso sottende. Si è cercato di affrontare questi caratteri sfavore-

voli, operando in diversi modi. Per quanto riguarda la sensazione di appartenenza, questa viene interpretata espandendo la dimensione trasversale del canale di collegamento verso l’esterno. Questa operazione è risolta posticipando il cambiamento di quota, dilatando lo spazio di sbarco all’uscita del percorso, e realizzando una piattaforma in decking che per finitura unifica gli spazi di destra e di sinistra. La sensazione, quando le porte saranno tutte aperte, sarà quella di un unico spazio coeso. Al tempo stesso si presenta come un elemento di filtro tra il canale, le sale ristorante e il bar all’aperto, che in questo modo godono di una maggiore riservatezza. Dei divani in pietra, la panca ed altri eventi che portano un po’ di vegetazione nella corte, come il grande ulivo, settorializzano, rendendoli più intimi, alcuni ambiti, ed al tempo stesso determinano dei percorsi virtuali. Il cielo è invece lasciato visibile nella maggior par-

te del giardino. Tuttavia, questo risulta puntualmente mitigato e non escluso, per mezzo di diversi sistemi di copertura che garantiscono, oltre ad un doveroso grado di privacy, anche un buon ombreggiamento. Per tale ragione sono stati pensati sia un elemento fisso, un gazebo dai motivi liberty, sia un sistema mobile di tende a scorrimento su binari in acciaio. Altri elementi servono a ordinare le forme, o a isolare, nascondendoli, tutti quegli spazi d’uso necessari al servizio di ristorazione. Le grandi pareti di legno dogato o le sedute/aiuole sulla parete circolare della sala da the, favoriscono anche il controcampo visivo dall’interno, ponendo all’altezza delle finestra la grande vasca delle aromatiche ornamentali. Un progetto pensato per essere vissuto all’esterno, ma che ovviamente, non trascura l’importanza di essere visto anche dall’interno.







Concorso Internazionale di Progettazione per Piazza Alcide De Gasperi, Grottaferrata

Lines

Ricercare un segno unitario chiaramente leggibile e comprensibile, la volontà di realizzare una superficie di parcamento che consentisse un ingresso/uscita a raso sulla piazza, ed il tema del riuso dell’edificio esistente, sono gli obiettivi che il progetto vuole perseguire. La prima operazione è stata quella di definire una regimentazione del flusso veicolare riducendo al minimo la carreggiata nei due sensi di marcia privilegiando, per ragioni di geometrie generatrici, l’attuale posizione del tratto lineare, inserendo inoltre una corsia preferenziale per la sosta degli autobus e dei taxi, e ordinando anche i punti di attraversamento sia in maniera visiva che fisica. Questa operazione permette di ridurre la frattura che la strada genera nei confronti dello spazio che si presenta nella proposta progettuale completamente pedonale. Si è scelto di forzare il piano base con la forma rigida di un quadrato ed al tempo stesso inserire, a livello superficiale, una serie di elementi, Lines, che si proiettano nelle due direzioni ortogonali

alla strada reagendo alla sua longitudinalità come dei punti di sutura, o degli elementi che cercano di collegare l’attuale piazza Alcide dei Gasperi con la restante appendice di risulta. Questi elementi sono sia oggetti di arredo ma hanno anche la funzione di portare aria e luce ai parcheggi ed al tempo stesso generano una relazione tra le diverse quote. L’altezza variabile consente di settorializzare uno spazio che altrimenti sarebbe troppo ampio per le diverse funzioni a cui deve sopperire, essendo uno dei lati del quadrato della dimensione di circa 80,00ml. Trasversalmente una pensilina fotovoltaica si riallinea nella direzione opposta della città, copre i chioschi per la somministrazione di generi alimentari ed i servizi, e si configura come portale di accesso alla piazza. Questa risulta divisa per funzioni quali il gioco, passeggiare, conversare, spettacoli all’aperto, favorendo la socializzazione nell’intero corso della giornata e per le diverse fasce di età. L’area gioco rimane nella posizione attuale e viene

anche confermata tutta la vegetazione esistente. Il verde segue i bordi del lotto amplificando il grado di protezione verso il traffico cittadino ed è in prevalenza piantato a querce, ricostruendo l’ecosistema precedente. Un agrumeto sottolinea il lato romantico di un tratto di piazza e rappresenta un segno della mediterraneità. Per quanto riguarda il parcheggio questo si sviluppa su due livelli per circa 4.000 mq cad, con doppio ingresso ed uscita dall’attuale piano stradale e dal livello di circa 7,00 metri più basso di via dell’Artigianato. Proprio questo salto di quota ha suggerito la creazione di uno spazio intermedio, un cuscinetto tra le quote 335,00 e 328,00 slm., sul quale organizzare una piazza mediana con funzione prevalentemente commerciale e con attività legate alla ristorazione. Il salto di quota permette di avere un livello introverso, protetto, ed una connessione a gradoni che da una parte sposa l’andamento collinare verso



il vivaio e dall’altra permette l’inserimento di una gradonata per eventuali manifestazioni culturali o proiezioni. Questo livello permette anche di avere un accesso diretto dalla quota del parcheggio (330,00ml slm.) leggermente inferiore alla piazza con la quale si raccorda con un piano inclinato favorendo la totale accessibilità da parte delle persone diversamente abili, la cui fruibilità è estesa grazie ai collegamenti verticali meccanizzati che dal piano del parcheggio portano ai diversi livelli, nonché alla mancanza totale di barriere architettoniche sviluppando le piazze in modo planare.

Lo spazio sottratto genera delle volumetrie semi-ipogee evitando di creare edifici sul piano della piazza. L’altro livello è anch’esso con uscita a raso su Via dell’Artigianato alla cui quota viene ricavata una ulteriore piazza pedonale adiacente all’edificio esistente ed una zona verde che nasconde il parcheggio e che permette di dotarlo così di illuminazione e ventilazione naturale. Il tema del riuso prevede l’utilizzo degli attuali magazzini attraverso la realizzazione di un piano intermedio che si connette alla quota della piazza mediana e di un volume che viene poggiato sulla

base della terrazza esistente a quota 335,00 ml slm. Questo è stato pensato come il magnete dell’intero complesso; un organismo commerciale su tre livelli con accessi da Via dell’Artigianato, dalla piazza a quota 331,00 e dalla piattaforma del cavallino. Un elemento fortemente distintivo che possa avere la funzione di una libreria, caffetteria, centro culturale, emeroteca, con servizi che possono spaziare dalla vendita di materiale musicale a quello di prodotti che attirano sempre un grande pubblico come la telefonia o l’informatica di tipo



specializzato. La superficie trasparente traslucida non grida a formalismi ed è pensata come un faro per la comunità criptense. L’arredo della piazza utilizza materiali locali, come la pietra ed il legno, il cui calore caratterizza spesso i paesaggi collinari, interpretati chiaramente in chiave contemporanea. L’illuminazione è di tipo misto con tecnologie rinnovabili autoalimentate, come i grandi elementi verticali in acciaio corten, integrata con una a basso impatto energetico e fortemente scenografica, come i fasci led posti sotto le panchine, la cui

struttura listellare permette di enfatizzare questi elementi anche in notturna. In caso di particolari eventi, la strada può essere completamente chiusa e lo stesso spazio della piazza ampliato grazie alla possibilità di spostamento della porzione di alberature piantate in vaso.



Manin Suites, Roma

SWEETs

Questa è stata la prima occasione di progettare una camera di albergo, e quello che mi è stato subito chiaro, era il rischio di creare un’immagine forzata che trascurasse invece gli aspetti legati alla manutenzione ed alla funzionalità.. Il Manin Suites, alle spalle della stazione Termini, lungo l’omonima via, nonstante non abbia bisogno di formalismi per attirare clienti, si pone ad un livello alto rispetto alla media degli hotel che fanno servizio di affitta camere. Affrancandosi da luoghi comuni che identificano questa tipologia di albergo come di esclusivo pernottamento, soprattutto se low cost, ricerca invece, grazie anche alla visione del committente, che per ragioni di lavoro è abituato a viaggiare, un design democratico ed accessibile a tutte le le tasche, che determina le scelte estetiche, funzionali e di comfort influendo necessariamente sulla qualità del viaggio. Per tale ragione è stata data moltissima importanza ai bagni che vengono dimensionati praticamente sulla base del piatto doccia da 180cm.

Questo favorisce un ottimo risveglio, se chiaramene, anche il materasso fa il suo dovere. Le pareti sono completamente rivestite di lastre di gres porcellanato laminato conferendo un carattere di sala da bagno ad uno spazio estremamente compresso (3,00mq) che si distingue esclusivamente per la variazione cromatica della superficie in corrispondenza del lavabo, anch’esso di dimensioni esuberanti, e dalla finitura materica delle lastre utilizzate per la doccia. Il controcampo dimensionale è quello che determina il canale d’ingresso segnalato dalla struttura dell’armadio All’interno le stanze si presentano con un piano d’appoggio lineare che si svilluppa per tutta la dimensione della camera e funziona come principio ordinatore della composizione rafforzato dalla parete sospesa nella quale sono incassati i televisori e i sistemi di illuminazione a canale Led. La mensola a sbalzo di circa 4,00ml funziona anche come scrivania, compensa e cela il posizionamento del frigo bar, ed è rivestita anch’essa, di

lastre di gres porcellanato laminato. Materiale duraturo e di facile manutenzione. Piccolissime nicchie sono pensate per oggetti quali mappe, telefoni, documenti, garantendo un ordine mentale delle cose importanti da prendere nella stanza. Nello spazio di risulta dedicato alla cucina è stato realizzato un piano di soli 35,00cm con lavello integrato che lascia alle spalle un passaggio di 60,00cm. In una logica commerciale tutto è stato realizzato con elementi industriali, in cui è la parete ad essere su misura, non certamente la falegnameria.







Museo della città di Pisa. Recupero delle aree per servizi al pubblico del museo delle navi. Cittadella e Torre Guelfa

A TUTT’ALTEZZA

Il complesso del Fortilizio Guelfo è costituito dalla porta Degazia, dall’anteporta con ponte levatoio, dal palazzetto fortificato, ampliato sotto la dominazione fiorentina, dalla Torre Guelfa e dall’edificio laterale da cui partiva l’antico ponte a mare (“Pons Maris”). Quest’ultimo fu costruito negli ultimissimi anni del XIII secolo e collegava la porta Degazia al bastione di Stampace che, posto in prossimità dell’imboccatura del canale dei Navicelli mediceo, arrivava fino a Livorno. L’analisi storica non si può limitare al solo edificio del fortilizio ma si deve allargare a tutta la zona dato che in nessun periodo storico il suo destino è stato slegato dal contesto in cui si trova e con il quale anzi ha condiviso nei secoli mutamenti di destinazione e geometria, e periodi di sviluppo alternati a lunghi periodi di abbandono. La “Turris de Arno” risale al tempo della costruzione del terzo cerchio delle mura urbane (1155-61) sotto il consolato di Cocco Griffi, mentre la “Porta Degazia” per alcuni storici è posteriore (fine XII

secolo). All’inizio del 1200, in seguito alle numerose ed importanti vittorie riportate dalla flotta della Repubblica Pisana in tutto il Mediterraneo, si riunirono, in un unico ampio spazio di circa quattro ettari, le intense attività cantieristiche dove venivano varate le navi pisane. Inizia così la costruzione della Tersana e quindi dei tre lati del recinto murario dell’area suddetta che si addossava al tratto meridionale del lato ovest delle mura comunali. La torre fu edificata durante la prima dominazione fiorentina (1406), quando venne ristrutturata tutta la zona di quello che era l’Arsenale pisano. Il nome venne scelto in contrapposizione alla più antica Torre Ghibellina, eretta nel 1290 all’angolo Sud-Ovest del quartiere e andata in seguito distrutta. La torre aveva anche il compito di permettere l’avvistamento, essendo alta abbastanza da scorgere il mare, e al tempo stesso di dominare la città, essendo chiaramente visibile dalla prima metà dei lungarni. Il fortilizio fu costruito dai fiorentini negli anni

1408-1420 ed alcune fonti parlano della ipotetica collaborazione di Filippo Brunelleschi; varie modifiche sono state poi apportate nei secoli successivi. Durante la guerra sono andate distrutte gran parte delle strutture esistenti che sono state poi fedelmente ricostruite. L’intervento di restauro doveva prevedere la realizzazione di un corpo scala con ascensore che collegasse i piani superiori e la realizzazione al piano terra di servizi per persone con impedite o ridotte capacità motorie, la riapertura dell’arcata dell’anteporta, attualmente tamponata, e la realizzazione di due vetrate, una fissa in corrispondenza dell’apertura più grande, e una invece apribile per consentire anche un’uscita di sicurezza sul fronte ovest al fabbricato in alternativa all’unica apertura di accesso esistente sul fronte nord. Il progetto doveva inoltre prevedere anche l’inserimento di una piattaforma elevatrice da ubicare all’interno della Torre Guelfa nel vano libero tra le rampe della scala al fine di rendere accessibili, anche alle persone con ridotta mobilità, le stanze


Confronto in pianta e sezione tra la soluzione a bando di gara e la proposta migliorativa.


ai piani superiori dalle quali si vede lo splendido panorama dell’area e della città. Il progetto rappresenta una proposta migliorativa alla soluzione posta a bando di gara. Questo prevedeva la realizzazione dei servizi di accoglienza, dei bagni e di un vano scala che collegasse i vari piani dell’edificio, acquisendo di fatto quasi la totalità del piano terra, dove i servizi venivano inopportunamante distribuiti, e la realizzazione di un ballatoio al piano mezzanino dalle forme morbide, il cui solaio però, insistendo per circa 1/3 sulla superficie della pianta, schiacciava la dimensione verticale del fortilizio, snaturando-

ne le sue caratteristiche. Inoltre il vano scala si sviluppa libero nello spazio senza presentare alcuna qualità, limitandosi infatti ad una serie di rampe che ruotano intorno al volume dell’ascensore, sviluppando un’area di sedime del tutto sproporzionata. L’idea progettuale prevede l’accorpamento delle funzioni, di servizio e del vano scala, in un unico elemento che si pone longitudinalmente a ridosso della parete superiore e pensato a tutt’altezza, soluzione che permette di esaltare, comprimendo lo spazio della pianta, la verticalità dell’edifico. Una parete monolitica è posta quindi parallela-

mente al lato lungo, ed all’interno di essa è stata inserita una scala lineare il cui andamento, confortato anche dalla ridotta dimensione trasversale, imprime un senso di claustrofobia, chiaramente ricercata, tanto da farlo sembrare scavato nella roccia. La grande parete è pensata come autonoma e completamente avulsa dalla preesistenza; un grande piano verticale che si impone all’interno del volume. Su questa, viene appesa a sbalzo la rampa delle scale che, salendo linearmente, impone al visitatore la comprensione dello spazio in altezza.



A bilanciare il sistema è la posizione simmetrica del ballatoio, anch’esso stretto e lungo ad esaltare la plasticità dell’intervento. Circolarmente ci si muove intorno alla nuova parete monolitica, che consente esperienze diverse nel passaggio tra lo spazio intra moenia a quello a doppia altezza del ballatoio. Al piano terreno, le strutture di accoglienza trovano posto al di sotto della lunga rampa lineare, sviluppando nelle porzioni ad altezza ridotta i locali di servizio, mentre man mano che la quota diviene più alta, vengono inseriti il bagno per persone con ridotta mobilità e lo spazio di servizio al banco di

accettazione. Questo si spinge in avanti lasciandosi alle spalle della parete esclusivamente la dimensione necessaria al passaggio e si proietta, formalmente, al di sotto della linea del ballatoio, contribuendo anch’esso alla valorizzazione della dimensione longitudinale. L’ascensore è posizionato nell’angolo sulla sinistra e sbarca direttamente al livello della sala espositiva. All’ultimo livello, la rastremazione della muratura permette l’isolamento sia della rampa che del vano ascensore confermando il loro affrancamen-

to dall’edificio storico, palesando la lettura dell’intervento contemporaneo. Qui è la capriata in legno con la sua struttura essenziale a predominare nella lettura dello spazio.









Attico, superattico e solarium, Roma

CAMERA CON VISTA

Questo lavoro non mi è stato pagato. Mi è stato commissionato da un mio ex studente che, per età, potrebbe essere mio padre. Un bravo artigiano, falegname, pittore, ma in fondo una persona di rara scortesia. Insomma una grande delusione, visti i rapporti personali e la complessità del progetto. La casa si sviluppa su due livelli, praticamente sgombri, e la terrazza. La particolarità è data dai due affacci con vetrate a tutt’altezza che, quasi fosse un tunnel, ne fanno un cannocchiale sul paesaggio romano da Est a Ovest. In altre occasioni ho evidenziato la difficoltà di lavorare su superfici geometricamente incoerenti, in questo caso invece, l’unità immobiliare si presenta costituita da due rettangoli, o meglio ancora da due parallelepipedi svuotati, essendo le superfici di testata trasparenti, dove, se non fosse per la parete che abbraccia le colonne della cucina, tra l’altro non indispensabile, lo spazio si disgiunge e distribuisce esclusivamente per mezzo degli arredi.

L’unica anomalia è la protuberanza del bagno e della fascia dei servizi che tuttavia, in virtù del loro proprio arretramento e autonomia rispetto alla linea della parete di ingresso, si affrancano lasciando libero lo spazio del soggiorno. Verso la terrazza che guarda er cupolone, la parete curva, come fosse un’abside, piega la lettura dello spazio che, come in un circuito, riporta, seguendone la linea immaginaria, verso la cucina. La scala è una vera e propria scultura che da sola basterebbe ad organizzare verticalmente lo spazio e, annodandosi su se stessa, collega i tre livelli della casa. Come negli spazi a doppia altezza, dove è la comprensione dei diversi livelli a definire la qualità dello spazio, la relazione tra questi è enfatizzata da un taglio sul solaio all’interno del quale è stato posizionato un acquario. La luce che filtra attraverso di esso, muove tutta la casa in una vibrazione che porta, in senso heideggeriano, il cielo [e l’acqua] sulla terra. Al primo livello, allo sviluppo longitudinale si

contrappone il blocco dispensa-frigo-forno che identifica lo spazio della cucina come separato dal soggiorno, e su di esso, si poggia timidamente in tangenza, quasi a sfiorarlo, la scala. L’isola della cucina, con la sua parte terminale che viene utilizzata come tavolo, unico tavolo, si pone come trait d’union e determina un senso di appartenenza ibrido tra le due funzioni specifiche. Lo spazio di lavoro (preparazione-cottura-lavaggio), si orienta verso l’altra terrazza che si propone come una protesi dello spazio interno. La grande parete libera che connette i due esterni, e rende unico l’interno, è stata pensata come una grande superficie espositiva. La partenza della scala è stata oggetto di grande attenzione; inizia immediatamente a ridosso della porta d’ingresso, quasi a suggerire un percorso preferenziale verso la zona notte, consentendo di liberare lo spazio di passaggio, per non battere la testa, nella sua proiezione sul soggiorno. Piroettando su se stessi si raggiunge il secondo livello, con lo sguardo verso il cielo ma dirottato



verso il controcampo esterno con lo sbarco in una zona che ancora non appartiene alla stanza da letto, piuttosto un altro piccolo luogo, dove una coppia di sedie Barcelona suggerisce la lettura di un libro o una conversazione a due. Se al primo livello era la parete contenitore a funzionare da limite, qui è solo un segno a terra a identificare, nella totalità dello spazio, la divisione tra questo e la camera da letto; l’acquario per l’appunto. Il doveroso senso di protezione negato dalla posizione del letto inserito al centro della stanza, in uno spazio privo di “angoli”, è risolto nella scelta di

una configurazione a conchiglia, che ispira l’idea di avere una testata, in qualche modo, protetta. Fisicamente invece la zona del bagno è separata per mezzo dell’armadio bifacciale, lungo la cui pertinenza troviamo la doccia, posta sopra all’acquario, come a voler immaginare che l’acqua defluisca in esso. La soluzione consente di sganciarla dal contesto del bagno, che incolonnato su quello precedente, risulta a questo livello di dimensioni limite. Proseguendo in senso verticale si arriva al solarium. Questa volta la direzione di sbarco riporta lo

sguardo verso un panorama che abbraccia tutta Roma, a perdita d’occhio verso il Gianicolo, i Castelli fino ad immaginare la linea del mare. La sensazione di galleggiamento è percepita grazie al distacco tra la pedana e la linea del parapetto per mezzo di uno spessore che consente anche di avere un’altezza adeguata per la piccola piscina in mosaico che si proietta anch’essa sul paesaggio. Questa, allineandosi con il volume della scala, identifica un sistema che si isola dal solarium e ricostruisce il medesimo cannocchiale prospettico dei livelli sottostanti. Defilato sulla destra troviamo uno spazio di ser-



vizio per gli arredi, uno spogliatoio e la doccia privata. Alla parete in legno che lascia un senso di permeabilitĂ si contrappone una finestra sul paesaggio che lascia, alla quota di seduta, la doverosa privacy richiesta dalla presenza, su quel lato, di altri edifici.









Woqod Tower, Doha, Qatar

Woqod Tower

La prima volta che sono arrivato a Doha, pioveva. Poi non è più piovuto . Lo scenario era incredibile, fiumi d’acqua che si riversavano nelle strade che, a dispetto della tecnologia, non riuscivano a contenere-espellere questo fiume in piena. Poi solo sole. Tanto. Credo sia il sogno di ogni architetto lavorare ad un grattacielo. E devo dire che questo progetto mi ha permesso di torgliermi un sassolino dalla scarpa concedendomi di confrontarmi innanzitutto con me stesso e poi con professionalità di eccellenza; una esperienza formativa essenziale. Se dovessi pensare all’immagine che ho provato il mio primo giorno di cantiere mi sovvengono le formigas della Serra Pelada in Brasile, la miniera resa famosa dagli scatti di Sebastião Salgado. Tante, tante, piccole macchioline blu che si muovevano affannosamente in una buca di 30,00ml di altezza. Stavano gettando le fondazioni. Il cantiere, insieme alla citta’, cresceva in tempi acceleratissimi, fino ad arrivare al volume della torre che s’innalzava di circa un piano a settimana.

Lo scenario circostante era impressionante, la testa roteava in tondo volgendo lo sguardo verso il cielo, sempre giallo; come in una giostra, torri di tutti i tipi, forme e misure, si stagliavano con il loro ritmo verso l’infinito. Abituarmi a lavorare in uno studio formato da ingegneri egiziani e siriani, non è stato per niente facile, a partire da caratteri legati alla lingua, passando per la religione e finendo con i ritmi di lavoro. La mattina, l’autista mi veniva prendere per portarmi in ufficio, e la sera mi riportava a casa. Ero quasi un suo ostaggio. Ciò che mi ha sempre affascinato della professione è stato il cantiere, la polvere che diviene materia, vedere quotidianamente crescere fisicamente i tuoi pensieri, immagini della mente che si trasformano in pietra. Purtroppo in ufficio in qualche modo si era prigionieri, sia perché il cantiere era un luogo estremamente pericoloso, sia perché faceva un caldo veramente eccessivo. Non so cosa mi abbia spinto a compiere quest’atto

di coraggio, non so se oggi lo rifarei. Prendere in mano un progetto esistente, leggere tutti gli elaborati, che non ti appartengono, metabolizzarli, e poi spiegare tutto alla dirigenza della compagnia petrolifera nazionale, la Woqod Oil. Ho un ricordo nitidissimo della prima riunione, io, il proiettore, e il top della dirigenza della compagnia, tutti rigorasamente vestiti di bianco. Questo è stato il dono per una decisione importante che ho preso nella mia vita e che ha visto un taglio con la carriera accademica. Una bella ricompensa direi. Nel mezzo della discussione del dottorato, con un caldo secco in qualche modo sopportabile ma con punte di 52° all’ombra, cataste di reti elettrosaldate e ferri di attesa, persone del tutto non qualificate eseguire le più semplici operazioni possibili, la preparazione all’esame di abilitazione a Doha, le scale di legno provvisorie a 170,00ml di altezza prive delle minime protezioni, amori ed altre storie lasciate a Roma; tutto ciò prima di raggiungere il cielo con il puntale.















Mulino Natalini, Roma

MULINO

Ho visto persone molto facoltose lavorare in un seminterrato, altre con case da sogno, vivere nel tinello. Perchè? Probabilmente per un senso di riservatezza o perchè la dimensione dello spazio ha le sue regole, o meglio le sue proporzioni, e se uno spazio male ci accoglie, è perché è mal progettato. Per tale ragione pongo alla fine quest’ultimo progetto che è stato il mio spazio di lavoro. Quando ho salito le ripide scale in legno scricchiolante di questo edificio, già si percepiva tutta la storia che permeava i suoi muri di pietra. Sensazione che ha trovato conferma nell’immagine che mi si è posta davanti alla porta d’ingresso, uno spazio a tutt’altezza con un pavimento in tavolato di legno inchiodato attraverso le cui fessure si intravedeva il piano sottostante. Una fabbrica di idee che ha visto passare tanti bravi artisti e progettisti tra i quali non posso non menzionare gli stARTT, e molti altri, che come me, hanno abitato queste mura. La grande navata di circa 200,00mq con il suo soffitto alto 4,50ml era suddivisa in base alle campate dei pilastri ed io ne occupavo una di queste.

Come si evince dalle foto, i ragazzi che mi avevano preceduto avevano talmente saturato lo spazio che ben poco rimaneva della poesia dettata dalla semplicità di materiali genuini, legati alla produzione di farine. Infissi in ferro col tempo oramai fatiscenti dai quali penetrava spesso la pioggia, travi in acciaio a cui erano appese, come carriponte, le catene per il sollevamento dei sacchi, lo scivolo a chiocciola in legno, una vera opera d’arte, su cui questi venivano fatti scivolare e il trespolo in cui venivano confezionati. Tutto sparito sotto cumuli di carta e fogli appesi alle pareti. La prima riflessione è stata proprio in merito alla riservatezza. Ma che senso ha rendere privato un open space? Di conseguenza una delle prime scelte è stata proprio quella di eliminare qualsiasi barriera guadagnando in questo caso la sensazione di uno spazio che si proiettava al di fuori della propria campata di appartenenza, trasformando la forma quadrata, in un rettangolo. Forma di cui se ne riconosceva la sagoma tratteggiata in altezza, dalla trave di campata, ed enfatiz-

zata dal posizionamento degli arredi che ricucivano la superficie di appartenenza. Il lato con le due superfici finestrate è stato scandito dalla disposizione delle cassettiere su ruote e dal grande quadro. Ai bordi due scrivanie lineari di circa 6,00ml funzionano come grande piano di appoggio che nasce con lo scopo di posizionare tutta la documentazione di studio in modo da lasciare libero il tavolo principale. La dimensione residua al centro era talmente esuberante che per addomesticarla, nel vero senso della parola, è stato necessario disegnare un tavolo quadrato di 2,40x2,40ml, di dimensioni pari quasi a quelle di una stanza singola. Su di esso cala una lampada di tipo industriale che abbassa il soffitto ad una quota a dimensione più umana. Tutto questo per dire che è lo spazio che accoglie la dimensione degli oggetti e non viceversa, a meno di una progettazione ex novo. In questo caso ha accolto il grande tavolo, che all’occorrenza, si trasformava in un campo per tornei di ping pong.









Anagrafica Nome, Cognome

Massimo Valente

Data di Nascita

22 Gennaio 1970

Sesso

Maschile

NazionalitĂ

Italiana

Contatti

Via Elio Stilone 4 00174 Roma, Italia 0039-6-7480891 0039-3391024563 m.valente@awn.it www.massimovalente.eu



Titoli Scientifici Laurea quinquiennale in architettura comunità Europea Abilitazione e iscrizione all’albo degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori di Roma e Provincia Abilitazione e iscrizione all’Albo degli Architetti di Doha, Qatar Abilitazione al corso sulla sicurezza nei Cantieri PHD in Architettura degli Interni e Allestimento Docente a Contratto presso “La Sapienza” Università di Roma, Facoltà di “Architettura a Valle Giulia”, Facoltà di Architettura “Ludovico Quaroni” Docente nel Master in Architettura e Paesaggio, “La Sapienza” Università di Roma Docente nel corso post lauream R.e.a.m, Univesità degli studi “Mediterranea” di Reggio Calabria Docente nel corso di Dottorato XXIV ciclo, “Progetto dello Spazio e del Prodotto di Arredo”, “La Sapienza” Università di Roma Visiting professor TONGJI UNIVERSITY di SHANGHAI Relatore nel Laboratorio di Tesi di Laurea Cultore della Materia settore disciplinare ICAR 14 Membro del consiglio direttivo dell’Inarch Ricercatore presso “La Sapienza” Università di Roma Diploma Level Four, British Council



Elenco delle pubblicazioni

Valente M., 45k, Livingroome, Gangligom Edizioni, Roma 2019 Valente M., Muscat, Catalogo Open House Roma, Varigrafica Viterbo 2019 Valente M., L’Isola e la Balena, Catalogo Open House Roma, Varigrafica Viterbo 2018 Valente M., Rapidity and Contradictions. Cultural Contamination and Features oh Chinese Architecture, in N. Valentin (a cura di) The Influence of Western Architecture in China, Gangemi Editore International, Roma, 2017 Valente M., Visioni, in Progetti Speciale Roma n°12, Roma 2017 Valente M., Percorsi Astratti, in Progetti Speciale Roma n°10, Roma 2016 Valente M., Nuovi Paesaggi Urbani. Il Parco delle Mura di Piacenza, in AAVV. AR, Prospettive edizioni, Roma, 2014 Valente M., Un progetto integrato per far rivivere le antiche mura, in AAVV., Inforum, Regione Emilia Romagna, 2014 Valente M., Aménagement d’espace publics, in Station Ceva Champel Hopital,Départment des constructions et de l’aménagement, Genève, 2014 Valente M., Fluidità e dinamismo visivo, in Progetti Roma n°14, Roma 2014 Valente M., A misura d’uomo, in HC, anno IX n°47, Roma, 2014 Valente M., Il valore intimo dello spazio, Edizioni Kappa, Roma, 2010 Valente M., Il Senso e il Significato dello Spazio Interno, Tesi di Dottorato XX ciclo in Architettura degli Interni e Allestimento, Università degli Studi di Roma “La Sapienza” Facoltà di Architettura Valle Giulia - Ludovico Quaroni Valente M., Esterno interno, in AA.VV. Gli interni nel progetto sull’esistente a cura di Cornoldi A.,IUAV il poligrafo, Padova, 2007 Valente M., Il Sistema delle Componenti, in A. Ippolito (a cura di) Il Parco urbano contemporaneo, Alinea, Firenze, 2006 Valente M., Concorso internazionale per il “Lungomare di Ostia, in AA.VV., relazione di progetto, a cura del Centro Interdipartimentale Territorio Edilizia Restauro Ambiente, Roma, 2005 Valente M., Concorso Internazionale per il nuovo municipio di Santa Marinella, in AA.VV, relazione di progetto, Grafiche Chicca, Tivoli, 2004 Valente M., Riqualificazione della città storica, Ambito Via Giulia, in AA.VV. Forum Tevere, polarità urbana e polarità naturale. Le proposte selezionate, Palombi editore, Roma, 2004 Valente M., Concorso internazionale di idee per una nuova tipologia edilizia residenziale in un nuovo quartiere di Roma nel “Parco Talenti, in AA.VV, relazione di progetto, Gangemi Editore, Roma, 2003 Valente M., Consulto Internazionale Idee per il Tevere, Prospettive edizioni, in AA.VV., relazione di progetto, Roma, 2003 Valente M., Piazze, parchi e giardini, L’asse di Via dei Coronari, in Roma 3° millennio, Le identità possibili, a cura di R. Panella, Palombi editore, Roma, 2003 Valente M., Concorso per la progettazione di tre parcheggi di scambio a Roma, in AA.VV. relazione di progetto, Prospettive edizioni, Roma, 2003 Valente M., Il Sistema della Mobilità, in AA.VV., Forum Tevere, polarità urbana e polarità naturale, Palombi editore, Roma, 2002 Valente M., Complesso residenziale Rokko I, in A. Ippolito (a cura di), Notoria di sette opere, Fratelli Palombi, Roma, 2000



Concorsi Internazionali

2015

2010

2002

Concorso internazionale per la riqualificazione di Piazza alla

Concorso di idee per la riqualificazione di piazza s. Rufo”, Rieti

Concorso internazionale di idee per una nuova tipologia edi-

Scala a Milano

2009

lizia residenziale in un nuovo quartiere di Roma nel “Parco

2014

Concorso per la progettazione di uno spazio Benetton a Tehe-

Talenti”. Progetto pubblicato

Concorso internazionale per la riqualificazione della piazza di

ran “Designing Teheran”

2002

Plovdiv

2007

Concorso di progettazione in due fasi per adeguamenti archi-

2013

Concorso ad inviti per il “Restyling” del centro commerciale

tettonici, funzionali ed impiantistici e la costruzione di un edi-

Concours pour la construction de la maison du quartier de

“I Granai” a Roma. Progetto selezionato per la seconda fase.

ficio scolastico per l’istruzione professionale presso il campus

plateau -Lancy, Geneve, Swiss, Progetto pubblicato

2006

di Sondrio.

2013

Project Financing: Progettazione definitiva di strutture di ser-

2001

Neubau des Eingangsgebaudes mit Gaststatte, Freilichtmu-

vizio e di riqualificazione ambientale, al fine di realizzare una

Concorso per la progettazione di tre parcheggi di scambio.

seum Glentleiten

nuova centralità urbana.

Vincitore di menzione, progetto pubblicato

2012

2005

2001

Concours pour la construction de la Station Ceva Cham-

Concorso internazionale di progettazione per un punto di ri-

Project Financing: Progettazione preliminare di strutture di

pel-Hopital, Progetto pubblicato

storo al museo di Capodimonte a Napoli.

servizio e di riqualificazione ambientale, al fine di realizzare

2012

Progetto selezionato per la seconda fase del concorso.

una nuova centralità urbana. Strutture di servizio alla riserva

Concorso di idee per la redazione di un progetto integrato di

2005

del parco dell’Insugherata, percorsi ciclabili e naturalistici, vi-

valorizzazione del parco delle mura di Piacenza

Concorso internazionale per il “Lungomare di Ostia”.

vai, giardini tematici, attività sportive e ludiche.

Progetto vincitore del terzo premio, progetto pubblicato

Progetto pubblicato

2001

2011

2004

Concorso nazionale per la progettazione esecutiva sul tema

III Edizione “80 VOGLIA DI CASA” “L’Ambiente Unico”

Concorso Internazionale per il nuovo municipio di Santa Mari-

dell’arredo urbano di piazza Pio XII a Cursi.

Mostra/concorso di progetti già realizzati sul tema dell’abitare

nella. Progetto pubblicato

Vincitore del secondo premio, progetto pubblicato

Progetto selezionato

2003

1995

2011

Progettazione per le strutture di servizio e di riqualificazione

Concorso internazionale per la progettazione di un centro po-

Concorso di progettazione per la realizzazione di un asilo nido

dell’area di Via Giulia – Vicolo della Moretta. Coordinatore del

lifunzionale al Borghetto Flaminio in Roma.

aziendale nella sede della Giunta della Regione Lazio, via C .

gruppo di progettazione. Progetto selezionato

Colombo n.212 Roma

2003

2010

Europan 7- Periferia “In”. Concorso internazionale per la riqua-

Concorso di idee per la riqualificazione urbana di piazza Alcide

lificazione dell’ambito fluviale del fiume Pescara e di una città

de Gasperi a Grottaferrata, Roma

della musica inserita nell’ambito paesaggistico del parco flu-

2010

viale a Pescara

Procedura aperta per l’affidamento della progettazione ese-

2003

cutiva ed esecuzione dei lavori relativi al recupero

Consulto internazionale di idee per il Tevere.

dell’area della cittadella: recupero di aree per servizi al pubbli-

Progetto pubblicato

co del museo delle navi, Pisa



Attività di progettazione 2020

Appartamento, Via Lattanzio, Roma

2011

Appartamento al Parco degli Acquedotti, Roma

2004

Uffici Direzionali SIR SUPERMERCATI, Via Tor Cer

2020

Appartamento, Via Fossato di Vico, Roma

2010

Atelier a Largo Appio Claudio, Roma

vara, Roma

2019

Pareti Umane, MACRO ROMA

2010

Villa bifamiliare, Vermicino, Roma

2003

Appartamento, Largo Leopardi, Roma

2019

Dammuso, Pantelleria, Trapani

2010

Edifici plurifamiliari a Vigevano

2003

Attico, Casal Monastero, Roma

2019

Appartamento, Via Lucio Elio Seiano, Roma

2009

Appartamento, Piazza Santa Maria Ausiliatrice,

2003

Appartamento, Via Belluzzo, Roma

2019

Appartamento, Via Mogadiscio, Roma

Roma

2003

Uffici Operativi Siar, Via Casilina Vecchia, Roma

2019

Appartamento, Sofia, Bulgaria

2009

Piazza Santa Croce, Castel Giuliano, Bracciano,

2002

Appartamento, Via Paolo Albera, Roma

2018

Appartamento e uffici, Verona

Roma

2002

Attico, Via Courmayeur, Roma

2018

Appartamento, Via Chiari, Roma

2009

Villa – MAKUTI, Malindi, Kenya

2002

Appartamento, Via Fonteniana, Roma

2018

Villa unifamiliare, Teheran, Iran

2009

Ambasciata di Algeria, Doha, Qatar

2002

Uffici direzionali Eurosiar Via Giovanni de Agostni,

2018

Progetto di una villa unifamiliare, Formello, Roma

2009

Roof Garden Hotel Intercontinetal De la Ville,

Roma

2018

Recupero di un edificio agricolo, Fiesole, Firenze

Roma

2001

Attico e superattico, Via d’Aragona, Barletta, Bari

2017

Appartamento, Via Ugo de Carolis, Roma

2009

Appartamento, Villanova, Roma

2001

Uffici della Banca MEDIOLANUM, Viale Giulio Agri

2016

Biennale di Venezia 2016

2009

Attico, Via Istria, Roma

cola, Roma

2016

Villa bifamiliare, Tamarindo, Costa Rica

2008

Progetto esecutivo della Woqod Tower, Romatre

2000

Villa unifamiliare, L’Avana, Cuba

2015

Appartamento, Clivo Mura Vaticane, Roma

Project, Doha, Qatar

2000

Appartamento per un disabile a Vermicino, Roma

2015

Appartamento, Via San Remo, Roma

2008

Complesso di uffici e residenze, Romatre Project,

1999

Appartamento, Grottaferrata, Roma

2015

Appartamento, Piazza Santa Maria Ausiliatrice,

Doha, Qatar

Roma

2008

Edifici residenziali plirifamiliari - Romatre Project,

2015

Panetteria, Roma

Doha – Qatar

2014

Uffici Banca Mediolanum, Roma

2008

Edifici residenziali unifamiliari, Compound - Roma

2014

Appartamento, Via Vallombrosa, Roma

tre Project, Doha – Qatar

2014

Appartamento,Via della Vite, Roma

2008

Giardino e spazi esterni di una villa nel parco dei

2013

Appartamento Via Silvestro II, Roma

Monti Simbruini, Palombara Sabina, Roma

2013

Coppia di appartamenti, Fonte Meravigliosa, Roma

2007

Villa quadrifamiliare a Grottaferrata, Roma

2012

Giardino e spazi esterni di un appartamento, Parco

2007

Palazzo storico a Collelungo, Rieti

degli Acquedotti, Roma

2006

Hall dell’istituto San Tommaso di Villanova, Roma

2012

Attico e superattico con solarium, Camilluccia,

2006

Roof garden dell’hotel “La Griffe”, Via Nazionale,

Roma

Roma

2012

Bed and Breakfast, Via Daniele Manin, Roma

2006

Appartamento, Via di Villa Pamphili, Roma

2012

Appartamento, Parco della Caffarella, Roma

2005

Appartamento, Via Acaia, Roma

2012

Appartamento,Via Carlo Felice, Roma

2005

Appartamento nella palazzina del Magni, Corso

2012

Giardino e spazi esterni per una villa unifamiliare a

d’Italia, Roma

Casal Monastero, Roma

2005

Uffici Direzionali MAP, Casal Palocco, Roma

2011

Appartamento a Largo Appio Claudio, Roma

2004

Attico, Anguillara, Roma

2011

Attico, Villa Lais, Roma

2004

Villa unifamiliare, Bucarest, Romania



Ringraziamenti

Un sincero ringraziamento va a tutte le persone che mi accompagnano in questo percorso. Rayna Harizanova che, oltre ad aver partecipato nell’attività di progettazione, ha gestito e realizzato gran parte della post produzione, i committenti, fornitori, docenti, studenti, consulenti e tutti i collaboratori che alacremente hanno contribuito alla realizzazione di questi progetti, sposando una filosofia di pensiero fuori dai luoghi comuni. Ascione Denise, Barasheva Anastasia, Botti Gianluca, Burda Klit, Caruso Alessia, Combusti Maria Gabriella , De Lucia Giulia, Dinelli Simone, Dolfi Veronica, Frasghini Valentina, Fucà Alessandro, Ghelli Francesca, Gilesi Davide, Gratteri Andrea, Harizanova Rayna, Isabella Lorenzo, Persanti Davide, Pettine Lucio Lorenzo , Pirri chiara, Poli Lorenzo, Salbitani Flavia, Santacroce Marta, Santoiemma Pietro, Savelli Serena, stARTT, Tavani Cristiano, Terrano Salvatore, Tramonti Carolina, Trippa Enrico, Vagnoni Massimo, Zyberaj Ergi. Riferimenti fotografici: Paolo Callarà.


MASSIMO VA L E N T E architetto


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