L’influenza dell’architettura Occidentale in Cina dal 1840 ad oggi
L’influenza dell’architettura Occidentale in Cina dal 1840 ad oggi
Rapidità e Contraddizioni Se chiudo gli occhi, non so più dove sono1. Lo scenario del narratore è quello della città di Shanghai. Lei, Mian Mian, una scrittrice cinese, a descrivere come alla fine degli anni novanta sia avvenuta una metamorfosi talmente radicale nella struttura urbana tale da coinvolgere a livello genetico gli abitanti della città. Una trasformazione istantanea che non lascia neppure il tempo di capire quello che è successo, perché basta un pensiero, ed ancora qualcosa è cambiato. Il plastico che riproduce questo scenario ne è la palese testimonianza. Credo non sia possibile introdurre discorso alcuno in seno all’architettura cinese, senza considerare l’imprescindibile parametro temporale, soprattutto quando il tema della ricerca è di comprendere quali siano le influenze che la visione occidentale, consapevolmente o no, ha suggerito o imposto con i propri modelli. Non si può non considerare che in poco più di 150 anni la Perla d’Oriente ha subito una stratificazione tipologica tale da considerare “città storica”, i quartieri sviluppatisi a ridosso dell’epoca delle
concessioni. Quegli stessi quartieri, come quello di Tian Zi Fang 2 nel cuore della concessione francese, divengono oggetto di interventi di recupero (nella maniera cinese), si fanno testimoni del contrasto, con il loro dedalo labirintico di vicoli, tra l’architettura tradizionale e il nuovo cielo, lo sfondo contemporaneo su cui si stagliano i grattacieli. Stratificazioni che hanno segnato lo sviluppo di una qualsiasi città o civiltà occidentale, ma sempre spalmando tale mutamento in tempi decisamente più lunghi. Stratificazioni che hanno letteralmente schiacciato quella linea orizzontale omogenea, definita dalla ripetizione dello stesso ed unico modello edilizio, la casa a corte, derivazione di una cultura che fino al 1840 era rimasta congelata, limitandosi al perfezionamento di modelli vernacolari, apparentemente obsoleti, inadatti a confrontarsi con le nuove esigenze imposte alla storia, ai costumi, alla politica, all’economia di un popolo che ha fatto del senso di permanenza una ragione di vita. Tutto ciò a seguito della Guerra dell’Oppio, il conflitto scatenato da interessi puramente commer-
ciali dall’impero coloniale britannico, che ha lacerato un regno oramai in decadenza, infliggendo alla Cina un’umiliazione senza precedenti, amplificata dall’evidente sbilanciamento logistico-militare. Insomma fu come picchiare un bambino. Di questo periodo che vede, partendo dalla trasformazione del Bund (sulla riva dello Huangpu, tributario di destra dello Yangtze, il fiume azzurro), l’estensione delle concessioni (a seguito della seconda Guerra dell’Oppio), la caduta dell’impero del Sol Levante, la nascita del partito Nazionalista con Sun Yat Set, la guerra sino-giapponese, l’eredità di Chiang Kai-shek, la guerra civile, la Grande Marcia e la politica di Mao Tze Tung, la fondazione del partito comunista, la nascita della Repubblica, si focalizzeranno solo alcune tappe in quanto ritenute particolarmente significative per comprendere come, siano state delle scelte politiche a comportare dei mutamenti, non tanto nel tessuto della città, quanto piuttosto, come dice Mian Mian, nei geni degli abitanti, intaccando la sfera più intima della tradizione cinese: il senso della famiglia. A queste tappe che sono il periodo delle conces-
sioni, la nascita della Repubblica e la politica di Mao, l’apertura di Deng Xiao Ping, ed allo slogan “Better City, Better Life” , faccio orientativamente corrispondere, rispettivamente, le prime contaminazioni culturali delle nuove tipologie edilizie dei Long Tang, delle unità di lavoro Danwei, gli High Rises, e la metamorfosi istantanea che, con le olimpiadi di Pechino 2008 e l’esposizione universale di Shanghai 2010, ha fagocitato definitivamente lo stile di vita della città, in maniera particolarmente evidente in quest’ultima che, proprio come la Fenice (che insieme al Drago, alla Tigre e alla Tartaruga, formavano le quattro figure magiche degli animali protettori), rinasce sulle proprie ceneri, e che fiera si mostra in un futuro oramai prossimo, immaginato nei romanzi di Phil Dick, nello skyline del Pudong, che neanche a farlo apposta sembra fare il verso al cugino minore: il Bund. I casi di studio non possono certo essere rappresentativi della Cina intera, anzi, direi che gli esempi
proposti si riferiscono piuttosto ai simboli di questa metamorfosi: la città imperiale di Beijing, ed il caso unico di Shanghai che in questi 150 anni vede chiudere un anello temporale, assecondando ironicamente quel senso di ciclicità tutto cinese, che è iniziato proprio dal Bund per concludersi sulla sponda opposta. L’analisi è quella dei caratteri dell’architettura cinese da un personale punto di vista, legato quindi a una specifica chiave di lettura, ed è chiaro che cambiando il codice, cambierebbe anche il risultato delle riflessioni. La tesi è di evidenziare come, nonostante l’invasione mediatica delle visioni internazionali, l’architettura cinese, almeno fino ad un certo punto, sia stata in grado di mantenere saldi i suoi caratteri vernacolari. In questo panorama, la chiave di lettura settorializza la ricerca escludendo l’aspetto pubblico da quello privato. Questo perché la mancanza
di modelli quali la piazza, il palazzo, la stazione, il teatro, la biblioteca, etc., renderebbe del tutto inattendibile qualsiasi termine di paragone. La ricerca si concentrerà sugli aspetti culturali e morali, legati alla filosofia di Confucio e al Taoismo, che si rispecchiano nella definizione del luogo, sulla formazione della città e del suo rapporto con la campagna, nella gerarchia dell’organizzazione sociale che come in un frattale, si riflette a sua volta nella struttura familiare e nella casa. Della scala residenziale, a sua volta, come in un gioco di scatole cinesi, si è scelto di parlarne dal punto di vista dell’essenza, differendo ad altra sede quello della forma. Perché tra queste ci passa l’infinito e oltre, come direbbe Buzz. Perché a volerne fare una questione di forma, in cinese yong, si potrebbe facilmente cadere in un equivoco, essendo l’apparenza talmente dirompente da non lasciare alcun dubbio in seno all’utilizzo di codici di palese derivazione occidentale,
anche se fondamentalmente non è altro che una risposta a specifiche esigenze funzionali. Mi permetto di sottolineare il concetto di apparenza perché, per dirla con le parole di Pessoa, noi non vediamo ciò che vediamo, ma vediamo ciò che siamo, e di conseguenza in quel tipo di forma riconosceremmo solo gli aspetti che ci appartengono. A meno di un approfondimento, non sarebbero comprensibili le ragioni per le quali l’architettura cinese rispetta e ricerca invece, alcuni principi morali che ne definiscono i caratteri, quali il senso del luogo, le direzioni cardinali, la centralità, a cui fanno riferimento la simbologia del cerchio, del quadrato e dei numeri magici, il tema del recinto, la standardizzazione, il modulo tridimensionale, la simmetria bilaterale, la gerarchia dell’organizzazione sociale, il senso della comunità, come pure quello della privacy, e di come questi si siano materializzati all’interno dell’architettura cinese. La scelta di lasciare ampio spazio all’architettura
tradizionale cinese è dovuta a due ragioni: la prima è che il modello della casa a corte è rimasto congelato nella sua tipologia ripetitiva fino al 1840 la seconda è legata al tema stesso del saggio, quello dello studio dei caratteri, che non possono che riferirsi alla tradizione vernacolare. E’ evidente che la Cina storica sia tutt’altra cosa dalla Cina moderna. IL LUOGO La popolazione cinese è stata prevalentemente costituita da contadini che di conseguenza hanno basato da sempre la loro sopravvivenza sull’agricoltura. Ne deriva quindi un rapporto di sudditanza nei confronti della natura che stimola una sensibilità particolare che rasenta la riverenza, un profondo rispetto di quelle che sono le leggi che legano il Cielo alla Terra, rispetto che si trasformerà in una vera e propria filosofia, quella del
Feng Shui, presente già all’epoca della dinastia Zhou (XII-III sec. A.C.). L’osservazione degli eventi, la loro ciclicità, il ripetersi della stagioni, hanno portato alla considerazione della presenza di un equilibrio dinamico, tra giorno e notte, bianco e nero, bene e male, dal quale deriva la pratica Taostica, che si fonda sul fatto che nella natura è presente un meccanismo di autoregolazione che può manifestarsi soltanto se non gli si fa violenza.3 Nasce quindi dalla convinzione che il destino dell’uomo e quello della natura siano fortemente interconnessi essendo la terra un unico organismo vivente, e che dall’opera dell’uomo derivino riverberazioni che a sua volta si riflettono sul naturale evolversi degli eventi. Una specie di fiducia cosmica permea questo sentimento che punta a percorrere la giusta via “il Tao”, alla ricerca di quei luoghi speciali in cui queste forze contrastanti e complementari, yin e yang, si
Fig. 1 Istant China, la trasformazione della sponda del Pudong avvenuta nell’arco di circa vent’anni vista dal Bund Fig. 2 Al terzo piano dello Shanghai Urban Planning Exibition Center, è presente un plastico di 700,00mq che anticipa l’immagine di Shanghai nel 2020. Fig. 3 Il tessuto orizzontale dei vicoli della città storica e sullo sfondo la città verticale. Foto di Jandyzhu Fig. 4 Timeline della trasformazione urbanistico-tipologica della città. Dalla linea omogenea orizzontale delle Si eyuan, ai Longtang, le Shikumen, le unità di produzione Danwei fino alla ricerca ossessiva del cielo, in tutte le sue possibili declinazioni Fig. 5 Impianto della città di Beijing (1914). Il sistema concentrico di mura
trovano in equilibrio, perché lì la natura sarà particolarmente favorevole, o meglio, è in quel posto che il Qi, l’essenza vitale, invisibile, si rende visibile al geomante, che in quel preciso punto individua il centro del centro, il luogo in cui i piani dell’Universo, Cielo, Terra e Uomo, si congiungono. Chiaramente la difficoltà di trovare un ambiente che rispondesse pienamente alle caratteristiche ideali, fanno del Feng Shui un’impalcatura culturale che serviva piuttosto a trovare i rimedi, o le strategie, per eseguire le dovute correzioni, che potevano implicare lo spostamento del corso di un fiume, piuttosto che la realizzazione di una collina artificiale, divenendo uno studio sistematico ed un metodo con la dinastia Han, e definendo, attraverso la realizzazione di manuali, le norme progettuali e morali che arrivarono fino all’analisi ad personam, attraverso la lettura della bussola geomantica e dei relativi trigrammi I-Ching. Qualsiasi insediamento umano sarebbe dovuto
nascere nel punto in cui era maggiormente favorevole il Qi, essere scrupolosamente orientato lungo l’asse Nord–Sud, assecondare le posizioni cardinali ponendo a Sud l’ingresso e gli edifici principali, mentre a Nord i servizi. Alle cinque posizioni cardinali corrispondevano, in senso orario a partire da Nord, i cinque elementi: fuoco, metallo, acqua, legno ed al centro la terra. Un modello di casa ecologica, che anticipa e fa invidia a chi oggi si occupa di risparmio energetico, costituita da un tampone termico sul lato nord, a protezione dai venti freddi, dove sono posizionante le cucine e i magazzini, da muri perimetrali privi di finestre, da un’ampia copertura che lascia passare il tenue sole invernale e che protegge di converso dall’incidenza verticale del caldo sole estivo. Certamente la sensibilità al territorio, il tema del centro e delle direzioni cardinali non sono state un’esclusiva della cultura cinese. Nell’architettura islamica, il centro era il punto
dal quale scaturivano i quattro fiumi sacri che nel giardino corrispondeva alla posizione della fontana. Gli assi Nord-Sud ed Est-Ovest, ne seguivano il flusso attraverso canali, o percorsi che li rappresentavano. Nell’architettura romana erano presenti invece due figure, quella dell’Aurispice e dell’Augure, che trovano riscontro in quella del Geomante. L’Aurispice interpretava la salubrità o la vivibilità di un luogo attraverso la lettura delle interiora di animali, mentre il collega segnava a terra con la verga gli assi, gerarchici per dimensione, del Cardo e del Decumano. Questi erano rappresentativi della struttura della città, soprattutto se di fondazione, regolavano i castra, e nel loro centro era il mundus, l’ombelico del mondo, nuovamente il centro del centro. Ma condividevano anche il senso di privacy della cultura islamica, delle musharabiya cui corrisponde lo Yingbi, il muro d’ombra, o dello spazio cen-
trale della Si heyuan, la casa a corte cinese, cui corrispondono l’atrium o l’impluvium della domus romana. Tuttavia rispetto ai cinesi, i romani si preoccuparono per lo più di assicurarsi un luogo in cui la natura fosse favorevole, non tanto del fatto che la loro presenza potesse invece turbarne l’equilibrio generale. Divergenza non da poco. Con il tempo però, i rituali, l’attenzione nella lettura del territorio, vennero in qualche modo contaminati dalla credenza popolare scadendo in una superstizione che condizionerà tutta la produzione successiva. Architettura senza architetti che farà riferimento quasi esclusivamente ai trattati o ai manuali risalenti già alla dinastia Zhou (XII-III sec. A.C.), come lo Zhou Li (i riti di Zhou), e nel tempo al Mujin (sulla lavorazione del legno), allo Yingzao Fashi (norme sulle costruzioni), il più antico manuale di
elementi standardizzati e prefabbricati al mondo, o al Gongcheng Zuofa Zeli (regole strutturali) che basava la costruzione di un edificio in funzione del modulo strutturale del sistema mensolare Dou Gong, impiantando così una vera e propria grammatica dell’architettura cinese. LA CITTA’ (ed il suo rapporto con la campagna) Il contadino è stato in Cina, nella piramide sociale, secondo soltanto ai letterati. La fondazione stessa della città dipendeva quasi più dalla loro volontà piuttosto che da interessi commerciali. Interessi che non sono mai stati incoraggiati dalla filosofia confuciana, anzi. I mercanti erano considerati una categoria da aberrare perché era impensabile che qualcuno potesse arricchirsi sulle spalle del lavoro altrui, ed il posto in cui si svolgevano gli scambi era spesso in un luogo appartato. Di conseguenza le città, a meno di quelle a carat-
tere militare o amministrativo, non sorsero come in occidente lungo le direttrici commerciali, quanto lungo i corsi d’acqua o in luoghi favorevoli all’agricoltura. I codici morali contenuti nel Feng Shui, non furono mai una ideale, ma si concretizzarono, attraverso le descrizioni dello Yingzao Fashi, nell’organizzazione della città. Il luogo in cui essa doveva sorgere era il centro del centro, punto in cui si sarebbero riuniti i tre piani dell’Universo, cosa del resto del tutto comprensibile per un paese che, come riporta il nome stesso Zhong guo, si riteneva fosse il “regno di mezzo”. Qui si sarebbe dovuto sedere il sovrano, con lo sguardo rivolto al sole, e lì ci sarebbe stato l’edificio più importante della città: il Mingtang o la sala della luce, dove l’imperatore avrebbe esercitato il suo potere e come la città, secondo una ricostruzione letteraria, sarebbe stato diviso in nove parti e avrebbe dovuto avere dodici aperture.
Fig. 1 Istant China, la trasformazione della sponda del Pudong avvenuta nell’arco di circa vent’anni vista dal Bund Fig. 2 Al terzo piano dello Shanghai Urban Planning Exibition Center, è presente un plastico di 700,00mq che anticipa l’immagine di Shanghai nel 2020. Fig. 3 Il tessuto orizzontale dei vicoli della città storica e sullo sfondo la città verticale. Foto di Jandyzhu Fig. 4 Timeline della trasformazione urbanistico-tipologica della città. Dalla linea omogenea orizzontale delle Si eyuan, ai Longtang, le Shikumen, le unità di produzione Danwei fino alla ricerca ossessiva del cielo, in tutte le sue possibili declinazioni Fig. 5 Impianto della città di Beijing (1914). Il sistema concentrico di mura
“Ad ognuna di queste corrispondeva un mese dell’anno cinese: con una circumambulazione in senso solare, ad ogni mese il sovrano si situava davanti ad una diversa apertura, in modo da porsi nel punto corrispondente alla posizione astronomica della Terra in quel momento”.4 Cosi il Mingtang si collocava nel centro cosmico ideale dell’intero Universo e “le dodici aperture formavano uno zodiaco e in tal modo corrispondevano esattamente alle dodici porte della Gerusalemme Celeste quale è descritta nell’Apocalisse; Gerusalemme Celeste che, inoltre, è sia il Centro del Mondo, sia un’immagine dell’Universo sotto il duplice aspetto spaziale e temporale”.5 I numeri magici erano il tre, riferito al Cielo, il nove, come le provincie costituenti la Cina, all’epoca della sua unificazione, e il dodici, cui corrispondono i mesi dell’anno e le costellazioni celesti. Le forme privilegiate erano il cerchio, che rappresentava il Cielo, ed il quadrato, che rappresentava
la Terra. Le mura, Chen, che in cinese significa anche città, erano identificate con il concetto stesso di città. In un sistema frattale (ritornano le scatole cinesi), la cinta murata racchiudeva la città proibita, a sua volta un’altra racchiudeva la città imperiale, ed ancora una volta la città cinese, ed a scala territoriale, con la grande muraglia, l’impero tutto. Non avevano primamente una funzione difensiva, quanto piuttosto servivano a distinguere ciò che è fuori, Wai, da ciò che è dentro, Nei. Il tema del recinto frattale è di fondamentale importanza e ricorsivamente lo troviamo ancora una volta come componente del distretto, dell’isolato, ed arrivando alla più piccola unità indivisibile, nella residenza, come un muro privo di finestre a protezione dell’intimità familiare. La città, al pari della casa, è uno spazio riservato e chiuso in se stesso. La tipologia a corte costituiva una microscala del
sistema generale, ambiente completamente introverso nel quale si svolgeva sia la vita privata sia quella collettiva. In un paese che non conosceva la cultura dello spazio pubblico, gli scambi avvenivano nelle corti private, o a ridosso delle strade principali, o tra gli Hutong, gli strettissimi vicoli di distribuzione alle case. Questi erano un sottomodulo, anche cieco, della griglia che derivava dalle direttrici cardinalmente orientate, Jin e Wei, che attraversavano sui quattro lati la città, per estendersi al di là da essa, in corrispondenza delle rispettive porte. Uno schema sempre di derivazione Zhou Li, ne descrive l’organizzazione: ”Si tracci poi un quadrato di nove “Li” per lato. Ogni lato avrà tre porte. Dentro la città correranno verticalmente da nord a sud nove strade e altrettante trasversalmente da est ad ovest. Le strade verticali avranno nove carreggiate. Il centro del palazzo poggerà sul piano
Fig. 6 Sviluppo della Si heyuan a partire dal modulo base ad unica corte
di intersezione più centrale delle vie che si incrociano”. Tutte queste indicazioni, alcune peraltro anticipate, sono chiaramente riscontrabili tanto nell’impianto letterale della città di Chang’ An, quanto in quello dell’attuale Beijing, Pechino. La ricorsività del recinto, la maglia stradale, gli assi processionali, tutto sfocia nel Taihedian, il Palazzo della Suprema Armonia, l’edifico più importante del complesso della città proibita. Il centro del centro. Nessuna emergenza poteva interferire con l’altezza degli edifici imperiali e, di conseguenza, le case potevano essere al massimo di due piani. In linea generale, questo tipo di organizzazione, il recinto, la griglia, il modulo, e rispettivamente i Lilong, gli Hutong, il senso del centro, la corte, il pozzo del cielo, rimane praticamente congelata nei secoli, come in una capsula del tempo, e a meno dell’urbanistica delle concessioni, subisce
un profondo cambiamento solo con le politiche di Mao Tze Tung e di Deng Xiao Ping. Le anticampagne portate avanti dal partito comunista di Mao contro gli speculatori, i burocrati ed il consumismo in generale, puntavano a formare un sistema urbano città-campagna, di derivazione tipicamente sovietica. Già nel succedersi delle varie dinastie, i rapporti tra città e campagna privilegiarono lo sviluppo di una piuttosto che l’altra. Ed in questa altalena il sistema è risultato nella media equilibrato. Lo scopo della politica di Mao era di eliminare qualsiasi tipo di differenza, anzi, convinto come era della forza del motore contadino, e del potere esercitato dal partito sull’industria, favorì invece una de-urbanizzazione. Si raggrupparono le comunità preesistenti in comuni rurali autosufficienti, e la città perse qualsiasi attributo consumistico per divenire, al pari della campagna, un centro di produzione.
La volontà era quella di evitare lo spostamento di persone e il conseguente impoverimento della campagna. Provocò invece la paralisi della vita sociale urbana, che c’è da dire a seguito delle riforme, non venne minimante tonificata. Ottenne quindi l’industrializzazione senza urbanesimo, e diversamente da quanto avvenne in Europa non favorì l’autonomia del singolo, in termini di autosviluppo e miglioramento delle condizioni personali. Questo cambiamento avvenne nel corso della riforma agraria del 1950; il piano urbanistico di natura anticlassista doveva prevedere i seguenti punti: standardizzazione delle unità abitative controllo della grandezza della città individuazione di un centro per dare l’immagine del potere centrale unità di vicinato
Fig. 7 Esempio di una Si Heyuan a tre corti
Dal programma sembrerebbe che la proiezione della città conservasse in nuce le caratteristiche organizzative derivate dalla manualistica imperiale, nell’unicità della tipologia, nel controllo e quindi nella definizione non muraria dei limiti, il senso del centro e il microcosmo autogestito. Tuttavia il risultato di queste scelte, dovendo favorire anche la produzione agricola, non potevano che incidere sulla territorialità, tagliando spazi alle tipologie edilizie sia vernacolari che di derivazione anglo-cinese, per favorire alloggi multipiano. E’ chiaro che questo tipo di abitazione non poteva più riunire la generazione familiare, che peraltro aveva già subito una forte separazione all’interno delle comuni agricole dove le vite di uomini, donne e bambini vennero inverosimilmente disgiunte. Dal punto di vista formale saranno inevitabilmente adottati i modelli dei condensatori sociali sovietici, e il pluralismo di derivazione occidentale. La città inizia ad assumere una dimensione verticale.
GERARCHIA SOCIALE La piramide sociale pone alla base della sua stessa struttura il rapporto di riverenza nei confronti di colui che è il messaggero del Cielo in Terra, l’imperatore, e del ruolo del dominus nella famiglia patriarcale. Questi due aspetti derivano dalla morale confuciana, dal senso dell’etica, del rispetto reciproco, dell’amore filiale, che ha portato nel tempo alla costruzione di un apparato burocratico che ha anticipato di duemila anni le politiche sociali europee. A partire dalle prime dinastie di struttura feudale, la Cina, il centro del mondo, ha sposato, con l’avvento della dinastia Qin, il sistema imperiale, nella figura del primo sovrano Shi Huang Di, il quale impose già nel 220 A.C. una normalizzazione che interessava tutti i piani della società, dal tipo di moneta, all’unità di misura, ai pesi, allo scartamento assiale dei carri per uniformarli alla larghezza delle
strade imperiali. Apparato che si è perfezionato con la successiva dinastia, tipicamente cinese, gli Han, perseguendo un modello di selezione dirigenziale basato sul sistema della meritocrazia e che portò alla nascita di un gruppo di funzionari statali colti. La cultura letteraria e morale che essi dovevano possedere era considerata la condizione sine qua non per il conseguimento della via etica, perché si pensava che fosse loro compito dare il buon esempio, e per questa ragione erano obbligati a sostenere una rigida selezione, quella degli esami di stato. In questo stesso periodo, a dispetto del luogo comune che vede la Cina come un paese chiuso, si erano aperti i canali di commercio con l’occidente, attraverso la via della seta. La condivisione di scelte operate da persone ritenute giuste, generava un sentimento di appartenenza, incoraggiando il senso della collettività,
Fig. 8 Il sistema mensolare Dou Gong
che è una caratteristica tutta cinese, di una società chiusa nell’ambito familiare ma al tempo stesso partecipe di una solidarietà genetica che è esprimibile nel concetto di Guang xi: la disponibilità ad aiutare il prossimo. Questo atteggiamento generava una differenza di potenziale, un senso di sospensione, tra chi faceva il favore e chi lo riceveva, come se ci fosse un tacito accordo a contraccambiarlo, qualora ce ne fosse stata la necessità, senza che però ci fosse alcun obbligo. Piuttosto per un senso di giustizia divina, direi. E scendendo di scala, il senso del rispetto, della pietà filiale, si riflettevano a loro volta, nel microcosmo domestico e nell’organizzazione gerarchica della casa. I nuclei familiari potevano comprendere anche diverse generazioni che coabitavano sotto lo stesso tetto, ed in un sistema di questo tipo i compiti dei singoli non potevano che essere specifici, ad iniziare dai ruoli ricoperti dall’uomo e dalla donna.
La struttura delle interrelazioni socio-spaziali riflette e riproduce, le funzioni e le posizioni all’interno della gerarchia dei rapporti sociali, coerentemente con la filosofia confuciana. Il patriarca viveva nell’edificio centrale, gli altri membri della famiglia in quelli laterali, o posteriori, coerentemente con il rispettivo ruolo. “Nell’abitazione, l’esterno e l’interno sono chiaramente divisi: l’uomo vive all’esterno, le donne negli appartamenti interni. Questi ultimi sono collocati nel retro della casa, le porte restano chiuse a chiave e sorvegliate dagli eunuchi. Senza validi motivi gli uomini non vi possono entrare, né le donne li lasciano”6 La famiglia cinese è quindi un microcosmo, lo Stato in miniatura. “La famiglia, non l’individuo, era l’unità sociale e la componente responsabile nella vita politica locale”7 Questa ferrea organizzazione aveva in realtà una più sofisticata funzione educativa; era a tutti gli
effetti un “tirocinio didattico” che in sé rappresentava l’incondizionata accettazione della sovranità imperiale. In questo sistema chiuso, il concetto di corte e di centro, sono gli stessi alla micro scala di quelli che costituiscono l’organizzazione del palazzo imperiale. La corte rappresenta il pozzo del cielo, e come per il Mingtang o il Taheidian, il punto nel quale il Cielo comunica con il centro della Terra. LA CASA La tipologia a corte rappresenta un modello che nel tempo si è sicuramente perfezionato, ma che ha mantenuto costanti le invarianti socio-spaziali. Queste invarianti sono le stesse che abbiamo incontrato quando abbiamo parlato della città. Il senso del centro, il recinto, il senso di appartenenza, l’orientamento cardinale, la gerarchia spaziale, il senso della comunità e dicotomicamente quello
Fig. 9 Tipologia base della vecchia Shikumen. 1. Corte di ingresso, 2. Stanza principale, 3. Stanze laterali, 4. Stanze laterali, 5. Cucina, 6. Magazzini, 7. Corte secondaria
della privacy, l’utilizzo del modulo, la forma quadrangolare, gli accessi. A questi si aggiungono i caratteri specifici quali il basamento, l’utilizzo del legno, il sistema strutturale puntiforme, il sistema strutturale Duo Gong, la poetica del tetto, e il muro d’ombra. A titolo esemplificativo è stata analizzata una Si heyuan a tre corti, che non rappresenta il modello più diffuso, ma il prototipo ideale dell’organizzazione socio-spaziale della casa. Nel claustrofobico labirinto distributivo dei vicoli, la Si heyaun era limitata da un alto muro rigorosamente grigio, colore imposto dai regolamenti imperiali, orientata secondo l’asse Nord-Sud. Era costituita da tre corti, due di servizio ed una principale al centro dello spazio. Su questa affacciavano il padiglione del padre di famiglia, gerarchicamente rappresentato non solo dalla centralità ma anche per dimensioni, dimensioni che si basavano su un modulo volumetrico, lo Jian. Questo padi-
glione era riservato anche ai rituali e alle funzioni di rappresentanza. Sulle ali erano collocati quelli che ospitavano le famiglie dei figli sposati, mentre ai lati dell’edificio principale ne erano posizionati altri, più bassi, destinati ad ospitare le concubine o i servitori personali. Nella corte Sud, si accedeva per mezzo dello Yingbi, il muro d’ombra, che serviva a proteggere da sguardi indiscreti l’intimità domestica, nonché dagli spiriti malvagi. Nei percorsi di avvicinamento, la cultura cinese ha sempre preferito evitare la linea retta, in quanto definita dal Feng Shui come una “freccia”, portatrice di sventura. Su questa corte affacciavano le stanze degli ospiti o dei guardiani. Attraverso la porta del fiore verticale si accedeva alla corte interna. Da qui un percorso centrale scandiva la simmetria bilaterale e portava, attraverso il padiglione principale, alla corte sul lato Nord. Questo era lo spazio riservato alle cucine, ai magazzini ed alle camere per i servitori.
Un organismo rigidissimo ma all’occorrenza fluido, reversibile in funzione delle specifiche esigenze, capace di adattarsi anche in virtù dell’uso di una pianta libera, che ha anticipato di secoli, uno dei cinque punti dell’architettura di Le Corbusier. Un sistema standardizzato, in grado di controllare a monte la produzione, del quale si conoscevano i pezzi, e quindi i costi, le modalità di assemblaggio, la possibilità da parte dei funzionari di verificare personalmente la qualità del legname, indipendentemente dal luogo di costruzione, e che anticipava anch’esso lo sviluppo industriale paragonabile alla modularità del Crystal Palace di Paxton. La griglia di pilastri e travi era sormontata dal sistema mensolare, assemblaggio di blocchi, Dou, e braccia, Gong. Un fiore tridimensionale che con la sua apertura riduceva l’interasse strutturale di riferimento al sostentamento della copertura. Un sistema che lavorava esclusivamente per incastro, che ha da
Fig. 10 Varianti con le quali si è sviluppata la tipologia della Shikumen fino alla divisione in appartamenti. La casa si comprime a svantaggio degli spazi a questo punto non piÚ indispensabili, come la serie di corti. Di queste ne rimane una flebile memoria, sintomo palese di una prossima scomparsa
sempre privilegiato l’uso del legno, nonostante la sua caducità, interpretata come una giusta contropartita nel rispetto della ciclicità degli eventi. Si pensava infatti che l’edificio non dovesse superare la vita del proprietario, anche per questioni rituali. A coronamento del sistema il grande tetto, la cui forma sembra galleggiare sospesa nell’aria, annullando qualsiasi effetto di pesantezza nonostante la sua obiettiva esuberanza, e di questo argomento è un vero peccato non avere lo spazio per parlarne.
Quello che ho cercato di far emergere da questa descrizione, è come i caratteri dell’architettura cinese non dipendessero da una forma specifica, non che non l’avessero, anzi, ma ciò che era primamente importante era il ruolo di ciascuno edificio nello spazio e la loro specifica e rituale sequenzialità. Nel periodo immediatamente successivo alla presa di possesso dei territori da parte delle delegazioni straniere fu necessario riorganizzare la struttura urbana per il notevole afflusso di contadini che si riversavano nella città a causa della possibilità di trovare nuove prospettive di lavoro o semplicemente per partecipare alla realizzazione dei cantieri. In questa occasione fu sperimentato un prototipo provvisorio: i Long Tang. La vera novità fu invece rappresentata dalle case Shikumen, all’interno dei quartieri Li Long, unità di vicinato con un numero standardizzato di case
consecutive, che furono il primo tentativo di fusione culturale tra l’architettura vernacolare cinese e la tipologia a schiera di chiara derivazione inglese. La struttura di questa abitazione manteneva infatti ancora l’assetto delle vecchie Si heyuan, con una corte interna protetta, una sala principale e le ali che l’affiancavano. E sebbene diversa nella tipologia costruttiva, e nonostante la compressione dimensionale, manteneva in nuce l’organizzazione socio-spaziale e il senso di appartenenza ad un microcosmo familiare. Questa è la tipologia che fa da ago della bilancia con quella che sarà la deriva dei valori culturali annessi alla famiglia derivati dal Danwei. La sua affermazione in diverse varianti, per ragioni economiche e di superficie, ha aperto la strada allo sradicamento generazionale dei principi del microcosmo familiare. E’ con la riforma agraria di Mao che si sperimentano le unità di produzione (Danwei), dei conden-
Fig. 11 Scene di vita all’interno delle unità di produzione. Le Danwei rappresentarono non tanto uno stile, quanto piuttosto le strategie della politica di partito.
satori sociali sul modello sovietico che accolgono i contadini, privati delle loro famiglie di appartenenza, ed ai quali viene offerto un surrogato di quelle fitta rete delle relazioni personali, costituito dalla eterogeneità della collettività stessa, a fronte della garanzia di un lavoro, di un certo grado di sicurezza e assistenza sociale. Una famiglia a scala territoriale. Del resto per un costo che veniva detratto dal 5% dello stipendio, il miraggio di un bagno in casa e dell’acqua potabile, sono stati il prezzo da pagare per lo sradicamento tradizionale. Le unità di produzione autosufficienti, Danwei, progettate per “rappresentare la centralità del lavoro collettivo e l’uguaglianza delle relazioni sociali”8, finirono invece per invertire l’ordine simbolico della gerarchia funzionale del modello precedente. _ La politica di apertura condotta da Deng Xiao Ping, successore di Mao, non fu da meno, quando
nel 1985 varò una riforma agraria subordinata alla politica demografica. Per la prima volta si creò una spaccatura conflittuale tra la città e la campagna, stavolta in competizione tra loro. Questo portò alla realizzazione di nuovi edifici, ancora più alti, con appartamenti sempre più piccoli, non più finanziati dallo stato e quindi ad appannaggio solo di classi più agiate. Si inizia a concretizzare quindi anche una differenziazione del lavoro, uno sbilanciamento sociale che generava una spaccatura tra classi necessariamente diversificate. La nuova tipologia edilizia, la Xiaoqu, manteneva oramai dei caratteri vernacolari, solo la standardizzazione del passo dei pilastri, con un inverosimile interasse di 3,82ml (dimensione basata sul bilancio costo e altezza sottotrave) i recinti e gli accessi, comunque riservati e sotto il controllo di personale addetto.
I provvedimenti in merito alla crescita demografica esponenziale, portarono alla politica del figlio unico, frantumando quell’universo familiare che poteva arrivare a contare anche 100 membri all’interno di una Si heyuan; la famiglia, ridotta ad un massimo di tre persone, implode su se stessa, come la casa che non aveva senso mantenesse le caratteristiche che ne avevano forgiato il prototipo tradizionale. L’isolamento individuale che ne derivò, non aveva precedenti. Per limitare il fenomeno di spostamento di masse di contadini, che a causa delle limitazioni economiche non potevano permettersi di pagare un affitto, il governo ha imposto la carta di residenza, che proibiva lo spostamento dal punto di nascita, fosse questo rurale o urbano. Se nascevi in campagna restavi in campagna. Viceversa nella città. La disintegrazione della struttura familiare, attraverso l’allontanamento generazionale avvenu-
to con le unità di produzione, la politica del figlio unico, la carta di residenza (hukou), sono le vere ragioni che hanno incoraggiato la compressione dell’unità residenziale che implode su se stessa al punto da garantire, nei casi limite, il minimo sindacabile di superficie, 4,00mq a persona, per intenderci a mala pena lo spazio per scendere dal letto, per chi chiaramente se lo poteva permettere, generando nuove categorie sociali, come quella della “tribù dei topi”, persone che abitano nei seminterrati dei palazzi, che supportano il settore dei servizi di Pechino remunerate pochissimo, tanto da costringerli al confine della clandestinità _ , o quella dei fluttuanti, i Mingong, milioni di persone senza identità, non più contadini, e non ancora operai, che ogni giorno vanno e vengono dalla città. Una popolazione in grado di adattarsi a qualsiasi condizione, e soprattutto di dormire in qualsiasi luogo, come dimostra quanto documentato nel distretto di Kowloon, a Hong Kong.
Persone senza fissa dimora che scelgono i fastfoods come loro residenza fittizia; aperti 24 ore su 24 garantiscono un pasto ad un costo accessibile, con il lusso di poltrone imbottite, aria condizionta e wi-fi, tutto compreso nel prezzo. Paradossale se si prende in considerazione il fatto che, a dispetto di queste condizioni, esistono città, come quella di Ordos nella Mongolia interna, abitate dal 2-3 percento della popolazione. E tanto per avvalorare la tesi di iniziale, della città istantanea ed in continuo cambiamento, neanche il tempo di scrivere questo paper che il governo cinese, ha varato una legge che entrerà in vigore dal 1 gennaio 2016 e che estende, al secondo figlio, la struttura del nucleo familiare. Chissà non ne nasca una nuova tipologia edilizia.
Fig. 12 Concrete Jungle, Hong Kong. Photo by Tpsdave Fig. 13-14 Una vita sotterranea, da un articolo tratto da TPI news (The Post Internazionale) Fig. 15-16 Scene di vita in appartamenti di circa 6,00mq, abitazioni che fanno concorrenza ai teorizzatori dell’Existenzminimum, dove nei casi più disperati è sufficiente una poltrona all’interno di un McDonald’s per garantirsi un posto letto, da un articolo tratto da TPI news, (The Post Internazionale).
1. Quel che ricordo dei primi anni Novanta è che sempre, sve-
6. Van Gulìk R.H., La vita sessuale nell’antico Cina, Adelphi,
gliandomi la mattina, pensavo: se chiudo gli occhi e li riapro
Milano, 1974
non so più dove sono. È in corso una metamorfosi che sta
7. Nell’organizzazione sociale cinese il concetto di gruppo
provocando una mutazione profonda nei geni degli abitanti
prevale su quello d’Individuo. Un esempio per tutti: del reato
della mia città.
commesso da un singolo, veniva chiamata a rispondere tutta
2. Cfr. Architettura in Cina, in Costruire in Laterizio, n° 135,
la sua famiglia.
maggio-giugno 2010
Cfr. G. Parlse, Cara Cina, Einaudi, Torino 1972
3. Arena L. V., Vivere il Taoismo, Milano, Mondadori, 1996
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4. Gazzola L., La casa della Fenice: La città e la casa nella cul-
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