Roma Terzo Millennio

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Direzione della collana Antonino Terranova Direttore del DAAC


Riflessione progettuale sulle identitĂ possibili di Roma frutto di ricerche e progetti sperimentali condotti all'interno del Laboratorio di Progettazione "Roma" del DAAC e di confronti con l'ACER e le sue operative: Costruttori Romani Riuniti Grandi Opere e l.S.V.E.U.R l'IN/ARCH ha ospitato i seminari preparatori, l'ACER il workshop internazionale di progettazione, il Palazzo delle Esposizioni di Roma il forum e la mostra

l'iniziativa e' stata ideata da Raffaele Panella (Direttore del DAAC dal 199412000}


COMITATO SCIENJilFICO DEL!. l!'INIZIATIVA Raffaele Panella Paolo Angeletti Orazio Carpenzano Achille Maria Ippolito Giuseppe Rebecchini Roberto Secchi Marco Vivio Paola Veronica Dell' Aira

(segreteria del comitato)

漏 2003 Tutti i diritti spettano alla Palombi Editori Via Germanico 107, 00192 Roma

P.ROGl;.TTO GRAFleO Tommaso Pallaria

SUPERVISIONE Orazio Carpenzano ASSISTENZA GRAFICA E REDAZl0NALE a cura della Casa Editrice ISBN 88-7621-094路6:


ROMA 3° MILLENNIO LE IDENTITÀ POSSIBILI materiali per un progetto sulla metropoli


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Presentazione Antonino Terranova (Direttore DAAC) Silvano Susi (Presidente ACER)

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Il Manifesto a cura del DAAC e dell'ACER

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Introduzione Raffaele Panella

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Consuntivo dell'iniziativa Paola V. Dell'Aira

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Rapporti con le istituzioni - L'incontro tra teoria e prassi Achille M. Ippolito

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Progetti per Roma del DAAC e progettualità a Roma Orazio Carpenzano

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LE OPERE IN MOSTRA AL PALAZZO DELLE ESPOSIZIONI Città Museo Quale forma per la Città-Museo di Roma Raffaele Pane/la La porta della Città-Museo di Roma. Il nuovo Museo-Laboratorio della storia urbana nel sistema del Museo Nazionale Romano La "Porta Nord" della città antica e la direttrice Flam inia Il Parco centrale dei Fori. Scenari ed interventi strategici Il Parco centrale dei Fori. Progetto della nuova via dei Fori Imperiali e delle nuove stazioni della Metropolitana Le mura come ambito strategico e parco lineare integrato. Dalla strategia dei progetti urbani alle esplorazioni dei progetti di ricerca Alea per Roma. Il nuovo sistema delle centralità urbane Forme storiche e forme archetipe della città. Materiali di base del progetto

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Il centro della Cristianità Roma. Città sacra e città laica Paolo Angeletti Il carattere sacro di Roma Gli assi sistin i Progetto per un parco lineare delle mura presso Santa Croce in Gerusalemme Multiculti Il centro della Cristianità Il Tevere e Roma

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La Capitale Roma Capitale: nuova direzionalità e nuova identità urbana Giuseppe Rebecchini Montecitorio. Nuovo edificio a servizio del Parlamento I Ministeri a Roma: via XX Settembre Il Centro Direzionale del nuovo Millennio

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Mobilità Roma. Per una nuova rete degli attraversamenti Orazio Carpenzano Vallo Ferroviario. Polo Intermodale tra la piazza Zama e l'ex caserma Zignani e il Parco della Caffarella Asse di via Cesare Baronie nel quadro della riqualificazione urbana del quartiere Appio Latino -Tuscolano Il Vallo Ferroviario. Distanza e individualità Roma. Il sistema ambientale, archeologico e monumentale di una metropoli sui binari Intersezioni. Tra via Appia Nuova e via Tuscolana, progetto di riqualificazione del Mandriane e di via Demetriade e Porta del Sistema dei Parchi di Roma Sud

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Il Paesaggio della Strada Progetto di una stazione ferroviaria al Pigneto-Roma Porta Salaria. Le nuove porte della città come sistemi di riqualificazione urbana e territoriale Staccando l'ombra da terra. Pre-visione Ostiense

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La città delle case La "Città delle Case". I temi e le aree Studio Roberto Secchi S. Lorenzo. Riqualificazione di un quartiere del centro città inserito in un sistema di grandi funzion i urbane Via della Lega Lombarda. Riqua lificazione di un'area strategica per la creazione di grandi servizi urbani "La strada". Un forum della cu ltura a Ponte Mammolo San Basi lio Via Tiburtina. Riqualificazione del tratto fra via di Portonaccio e via di Casal Bruciato Interventi di riqualificazione del nucleo spontaneo di Villa Adriana a Tivoli La fiera del travertino: la pietra, il lavoro, il territorio Il Children's Museum: la riqualificazione di un 'area compromessa Abitare i confini della città estesa: tra Prenestina e Casilina, un progetto per la Borghesiana Displacements

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Piazze, Parchi e Giardini La progettazione dei vuoti urbani a Roma Achille Maria Ippolito Pineto lnsugherata Vejo: un sistema di parchi Ambito Salario-Flaminio. Un nodo di interscambio come luogo del collettivo urbano Asse dei Coronari. Un sistema di vuoti storici Un nodo di interscambio come luogo del collettivo urbano Infrastruttura e verde. Modello di piazza-giardino nella cintura periferica romana Recupero del decoro e dell'immagine urbana: "maschera" a piazza dell'Oro

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Proposte dalle Università straniere Contributi internazionali Paola Guarini Tecniche Universiteit Delft Techn ische Universitat Darmstadt Bauhaus Universitat Weimar

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Appendice: 7 progetti per la riqualificazione urbana di Roma

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IL FORUM Renato Nicolini Franco Zagari Amedeo Schiattarella Paolo Buzzetti Domenico Cecchini

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Direttore del Palazzo delle Esposizioni Presidente dell'IN/ARCH Lazio Presidente dell'Ordine degli Architetti di Roma e Provincia Presidente dell'ACER Assessore alle Pol itiche del Territorio del Comune di Roma

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Giulio Fioravanti, Vittoria Crisostomi, Mario Lupano, Serg io Risaliti, Lucio Passarelli, Christophe Girot, Elias Torres Tur, Herman Van Bergeijk, Jacques Boulet

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Conclusioni Raffaele Pane/la

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Oltre il Forum Marco Vivio

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La porta della Città-Museo di Roma Il nuovo Museo-Laboratorio della storia urbana nel sistema del Museo Nazionale Romano Raffaele Pane/la, M. A/ecci, P. V. Dell'Aira, A. Di Giacomo, P. Guarini, G. Indovina La "porta Nord" della città antica e la direttrice Flaminia Raffaele Pane/la, F. De Luca, R. De Sanctis, M. Raitano, G. Mussi, F. R. Palagiano Il Parco centrale dei Fori. Scenari ed interventi strategici Raffaele Pane/la

Il Parco centrale dei Fori Progetto della nuova via dei Fori Imperiali e delle nuove stazioni della Metropolitana Raffaele Pane/la, F. Cutroni, F. De/i, R. De Rose, A. Fiori, P. Rosa; coord. redazionale: R. De Rose

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Il carattere sacro di Roma Paolo Angeletti, E. Angelini, P. Capolino, G. Cassiani, A. del Franco

Gli assi sistini Paolo Ange/etti, E. Ange/ini, P. Capolino, G. Cassiani, A. del Franco

Progetto per un parco lineare delle mura presso Santa Croce in Gerusalemme Thomas Ba/ke, Alberto del Franco - Regensburg, Roma

Multiculti Studio.eu - Berlino. Paola Cannavò, S. Tischer, G. Heck e M. Mommsen

Montecitorio. Nuovo edificio a servizio del Parlamento Giuseppe Rebecchini, A. Criconia, A. Di Franco, F. Lorenzi, C. Naseddu

I Ministeri a Roma: via XX Settembre Giuseppe Rebecchini, A. Criconia, A. Di Franco, F. Lorenzi, C. Naseddu Il Centro Direzionale del nuovo millennio Giuseppe Rebecchini, A. Criconia, A. Di Franco, F. Lorenzi, C. Naseddu Vallo Ferroviario Polo Intermodale tra la piazza Zama e l'ex caserma Zignani e il Parco della Caffarella Orazio Carpenzano, A. Bernabei, F. Contini, F. Felli, V. Preci; c oordinamento urbanistico: Rosario Pavia Asse di via Cesare Baronio nel quadro della riqualificazione urbana del quartiere Appio Latino - Tuscolano Orazio Carpenzano, F. Contini, F. Felli; coordinamento urbanistico: Rosario Pavia

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Il Vallo Ferroviario. Distanza e individualità Livia Toccafondi, A. Ba/duini, C. Cecere, A. Cuva, R. Marrocco, F. Rubeo, M. Noè Sacchetti Roma. Il sistema ambientale, archeologico e monumentale di una metropoli sui binari Piero Salvagni; elaborazione grafica: A. Santonati Intersezioni. Tra via Appia Nuova e via Tuscolana, progetto di riqualificazione del Mandrione e di via Demetriade e Porta del Sistema de Parchi di Roma Sud Alessandra Capuano, F. Morgia e S. Borgia, P. Cannata, A. Faticanti, B. Ferlito, G. Forte S. Lorenzo. Riqualificazione di un quartiere del centro città inserito in un sistema di grandi funzioni urbane Roberto Secchi, S. Menechini, D. Dykmann, F. Spadot, P. Spadot, A. Verde Via della Lega Lombarda. Riqualificazione di un'area strategica per la creazione di grandi servizi urbani Laboratorio di Tesi di Laurea, responsabile: prof. Roberto Secchi; coordinamento: arch. Luca Scalvedi progetti di: F. Spadot, P. Spadot

"La strada". Un forum della cultura a Ponte Mammolo Technische Universitat di Darmstadt - Claudia Passaquindici, Guido Mrziglod progetti di: U. Hesse, S. Nellessen, N. Sch6nfelder, S. Adamietz, M. Albert, T Didden, M. Hetmann, M Kaminsky, M. Malter, N. Maltz aris, M. Randazzo, C. Stie/, B. Titz, V. Visnjic

San Basilio Paola V. Dell'Aira, M. G. De Dominicis, M. Darò, V Serafini; consulenz a: M. Quieto

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Pineto lnsugherata, Vejo: un sistema di parchi Achille M. Ippolito, Paola Gregory, E. di Munno, A. Quaglio/a, G. Turano, L. Pastorini, e M. Antonini, S. Q uilici, E. Todini (paesaggisti), A. Nemiz (fotografo)

Ambito Salario Flaminio. Un nodo di interscambio come luogo del collettivo urbano Achille M. Ippolito, Cristiano Tavani, E. Cipriani, C. Colombo, A. Rendine, F. Pagliano Tajan i, R. Ricci Asse dei Coronari. Un sistema di vuoti storici Achille M. Ippolito, Massimo Valente, P. Di Nubi/a , V. Piscitelli, G. Roncoroni, L. Ventura


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Le mura come ambito strategico e parco lineare integrato. Dalla strategia dei progetti urbani alle esplorazioni dei progetti di ricerca Ricerca ANCSA - Paola Falini, Antonino Terranova, A. Criconia (progetto urbano); collaboratori: D. Serretti e altri Laboratorio di Tesi di Laurea, responsabile: prof. Antonino Terranova; coordinamento: arch. A. Cantalini, A. Capuano, A. Criconia, F Toppetti; progetti di: L. Giavarini, G. Giujusa, R. Marini, F Ambrosio, L. Capparella, C. Carpineto, B. Caruso, A. Berretta, R. Buccolini, S. Pieretti; elaborazione grafica: S. Cantalini, A. Feo

Alea per Roma. Il nuovo sistema delle centralità urbane Giuseppe A. Cappelli, R. Gentile, C. Guglie/mi, P. Guidugli, R. Patti, L. Reale, R. Roncolato, A. Sforza, R. Sforza forme storiche e forme archetipe della città: materiali di base del progetto Laboratorio di Tesi di Laurea, responsabile: prof. Gianfranco Moneta; coordinamento: arch. M. Croceo; progetti di: P. Ivone, D. Zaccagnini; tavola redatta da R. Togni

Il centro della Cristianità Dario Gazapo, Concha Lapayese - Madrid

Il Tevere e Roma Vezio Nava - Helsinki

Il Paesaggio della Strada Lucio Altare/li, G. Donini, M. Mascherucci, S. Passi Progetto di una stazione ferroviaria al Pigneto - Roma Laboratorio di Tesi di Laurea, responsabile: prof. Lucio Altare/li; coordinamento: arch. Paolo Zoffoli; progetto di: S. Passi

Porta Salaria. Le nuove porte della città come sistemi di riqualificazione urbana e territoriale Flavio Trinca, E. Von Normann, M. Cannarsa, G. Leoni, A. Sal vucci, B. Spanò

Staccando l'ombra da terra. Pre-visione Ostiense Piotr Barbarewicz, Renato Bocchi, Claudio Lamanna, V. Bonometto, A. Perneche/e, L. Poian, R. Ravazzolo, M. Zambon, G. Berluti, P. Pi/otto

Via Tiburtina. Riqualificazione del tratto fra via di Portonaccio e via di Casal Bruciato Andrea Bruschi, Luca Scalvedi, Laura fermano, G. Tiberio Sepe, C. Costanze/li Interventi di riqualificazione del nucleo spontaneo di Villa Adriana a Tivoli Maurizio Moretti, F Quici

La fiera del travertino: la pietra, il lavoro, il territorio Laboratorio di Tesi di Laurea, responsabile: prof. Roberto Secchi; progetto di: C. De Angelis

11 Children's Museum: la riqualificazione di un'area compromessa Laboratorio di Tesi di Laurea, responsabile: prof. Roberto Secchi; progetto di: G.B. Reale

Abitare i confini della città estesa: tra Prenestina e Casilina, un progetto per la Borghesiana Anna Giovannei/i, M. Lombardini

Displacements SCIATTO produzie + POK - F /ovino, V. Bindi, M. Pompi/i

Un nodo di interscambio come luogo del collettivo urbano Laboratorio di Tesi di Laurea, responsabile: prof Achille M. Ippolito; coordinamento: arch. Cristiano Tavani; progetti di: F Piombarolo, A. Rendine, R. Ripani, G. Roncoroni, F Vitali

Infrastruttura e verde. Modello di piazza-giardino nella cintura periferica romana Efisio Pitzalis, G. Hanssen, M. Raitano Recupero del decoro e dell'immagine urbana: "maschera" a piazza dell'Oro Fausto Ermanno Leschiutta, S. Roncoroni, F Viscardi, A. Cantarana; elaborazioni renderig: V. Ramette, F Spera


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ma del 3° Millennio. Le identità possibili è una iniziativa, ed una ricerca analiticorogettuale, che dimostra una perdurante ed aggiornata sensibilità del Dipartimento a quei apporti tra analisi e architettura della città cui fu intitolato agli inizi degli anni Ottanta.

I plurali ed i sottotitoli mostrano peraltro anche la consapevolezza dei molti cambiamenti ovviamente intervenuti nel frattempo e dunque dell' esigenza di esprimere sì un giudizio sulle relative vicende, ma insieme di predisporre parametri e strumentari diversi da allora. Sono cambiati i "Corpi dell'Architettura della Città" - come abbiamo denominato un nostro convegno in corso di pubblicazione - ovvero della città-società e dell' architettura-progetto nelle loro articolazioni ed interferenze disciplinari e multidisciplinari. Soprattutto in ordine alle relazioni tra pubblico e privato, tra piano e progetto - tra «progetto e destino», come recitava il celebre testo di Giulio Carlo Argan troppo ottimisticamente teso sul primo termine in quanto superamento illuminista del secondo? - , tra prevedibilità ed imprevedibilità, tra spazi aperti ed infrastrutture, tra manufatti architettonci permanenti ed impermanenti, tra estetica ed anestetica della città, che non è detto debba essere sempre "bella" secondo i punti di vista degli architetti. Il Dipartimento ha fatto bene a sostenere sempre una idea forte e pregnante della architettura, ed a collegarla con una idea perspicua della città di Roma da tenere come matrice e come memoria, perfino come materiale poetico per eserciz i di nostalgia positiva (non di lamentevole e pessimistico rimpianto). E tuttavia nel momento in cui il vecchio inadeguato centro-storico cresce in una promettente ma ancora incerta città-storica nel nuovo PRG, nel momento in cui si affrontino nel quadro ormai pervasivo del progetto urbano, della riqualificazione urbana, questioni di vecchie e nuove centralità e infrastrutturalità nelle periferie, è stato utile porre in atto procedure più disarticolate e problematiche, e sarà utile a mio parere continuare. L' esigenza di denominare e studiare nella sua specifica novità una Città-Museo, ad esempio, mi sembra significativa di tale intenzione di rinnovamento delle posizioni anche teoriche - di una teoricità che non presuma né di essere una teoria soltanto né di costituire un aprioristico imperativo alle pratiche, ma voglia e sappia partire anche dalla loro fenomenologia empirica - alla quale sono particolarmente sensibile per il mio lavoro sulle mura come ambito strategico: tra le nobili intenzioni della tutela sacrale o feticistica del patrimonio e le ignobili svendite del medesimo nel pittoresco mediterraneo ciò che sfugge è proprio il compito di elaborare consapevolmente un progetto politico, ed un progetto architettonico, intorno alle modalità migliori di funzionamento di una "macchina turistica" comunque già all'opera. Correnti notevoli del pensiero dell' architettura internazionale - e bisogna ormai dire planetaria, o globale, con tutte le durezze e le sospettabilità relative! - suggeriscono che la contrapposizione tra architettura nobile ed ignobile edilizia cittadina non possa più avere lo stesso corso che nel Novecento, che il triviale e il banale, il commerciale e il seriale semplicemente debbano essere assunti come costituenti dell'insediamento metropolitano contemporaneo (grandi numeri e società di massa segmentata, prevalenza della comunicazione-informazione - quella che Fruttero e Lucentini denominarono con brillantezza snob «La prevalenza del cretino»? - dominanza della "città generica" del flusso del divenire sulla stabilità, della quantità sulla qualità, eccetera) in una complessiva a-morfia dalla quale fenomeni di bellezza debbano semmai concrescere come fermentazioni e parassiti opportunistici, non per contrapposizioni "modellistiche" dall'alto, dure e pure, dure ma fragi li nella loro indeterminatezza economica e sociale.

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lo sono convinto che il nostro compito non sia semplicemente cedere magari con compiacimento al difficile andazzo, ma che sia controproducente semplicemente contrapporre idee idealistiche e passatistiche di uAa impotente "città europea" (la quale, nelle altre capitali, sta da tempo affrontando lo scontro con ulteriori modernizzazioni, perfino nelle figure turrite degli high-rise building disturbanti i centri ed innervanti nodalità esterne). Il nostro compito dovrebbe essere mi sembra, come al solito, quello di r:icercare con pazienza ed intenzionalità espressiva forme appropriate - non dottrinarie, non pregiudiziali, non autarchiche - di confronto con quella realtà ispida verso equilibri innovativi. Più facile a dirsi. Ma ciò mi porta a segnalare anche un carattere prezioso di questa ricerca, la attiva e non pretestuosa collaborazione tra i cultori della materia ed i produttori materiali dell'architettura della città di Roma. Augurandomi che, con ulteriori messe a punto, l'incontro continui. Che cosa stiamo facendo nel frattempo? Mediante ulteriori analisi e progetti che vanno dalle Porte Metropolitane per Roma a Roma città eterna/città sostenibile ed a Roma città mediterraneometropolitana, e che mi auguro riescano ad estendersi almeno a fenomeni tralasciati come la MaglianaPortuense, spero di impostare una sorta di "ri-descrizione di Roma", che rievochi la voglia di conoscenza della Descrizione di Roma tentata da Leon Battista Alberti in un bel disegno che delinea il profilo delle mura urbane sulla base di un centro e di coordinate radiali, ma prenda atto della complessità o meglio proprio della complicatezza, del carattere eterogeneo e conglomerato, contaminato e instabile di una città che per essere compresa ha bisogno di una certa qual maggiore umiltà, di un ritorno alla narrazione storica anche della contemporaneità, di una progettualità più concreta ed opportunistica, di una - come scriveva Ludovico Quaroni - «architettura come disciplina impura». Un «regno dell' urbano» (così lo evocava criticamente la Choay) che ha raggiunto le soglie della non-rappresentabilità: né da parte di un nuovo glorioso Nolli, quello che per primo sezionò gli edifici monumentali evidenziando nella planimetria le gerarchie urbane di una Roma che solo in piccole parti superava le sue mura, né da parte di elaborati grafici di piano regolatore generale o variamente programmatori, inesplicabili ed insufficienti a spiegare alcunchè senza una mole considerevole di documenti normativi, processuali , partecipativi, eccetera. Da una parte mi sembra senz'altro positivo quel crescere della città nel territorio storico liberandosi dalle cinte murarie mentre gli abitanti si liberano dai vincoli di una cittadinanza ormai inadeguata. Da un' altra parte mi sembra naturale che lo strano fenomeno cui stiamo assistendo - una città storica per antonomasia se mai ce ne furono, una città capace più volte nella sua storia di dare "lezioni di urbanistica" e di architettura alla civiltà occidentale - ormai da diversi decenni , e con sempre pià estesa insistente protervia, si stia trasformando senza ricorrere ad alcuna nozione di "impianto urbano" o di "forma architettonica" anche paradossalmente informale della città.

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Chi non voglia virare tale dilemma nei colori sinistri del pessimismo dovrà allora riconoscere i caratteri regressivi di alcuni fenomeni di dissoluzione metropolitana (che a Roma da sempre prendono facilmente i registri dello sciatto e del precario, dell'irredimibile desolazione, degli eccessi inspiegabili del lassismo e insieme del vincolismo sfrenati), ma dovrà cercare là dentro - dentro soglie inquietanti di anarchia? - le modalità per qualsiasi possibile trasformazione .

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Dovrà cercarli credo con ottiche nuove, e punti di vista anche non architettocentriche: qualcosa come ciò che fece Reyner Banham quando lo storico inglese si trovò dentro Los Angeles. Capì che per leggere un libro diverso dal libro di pietra che era stata Parigi per Victor Hugo gli occorreva prima di tutto apprenderne l'inabituale linguaggio. E ne uscì un libro che definiva quella metropoli orizzontale - della quale era facile per Woody Allen prendersi gioco come del luogo in cui si era inventata solo la freccia della svolta a destra dei semafori - «una architettura delle quattro ecologie». Per non parlare, potrebbe aggiungere Rem Koolhas, delle sue svariate economie .

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So bene che un simile taglio è imputabile di mancanza di attenzione specifica alle categorie dell'architettura - figure e misure e materie, le conosco e ne godo - me ne scuso ma mi difendo ipotizzando che per ritrovare adeguatamente quelle categorie si debbano piaccia o meno - certo a me piace, anche perché confido possa orientare più generalmente e politicamente le intenzionalità con cui agiamo nel mondo, e ne godo - operare ed elaborare "attraversamenti" non estetizzanti della realtà. Ritengo peraltro che quegli attraversamenti, elaborati alla luce di una teoria critica della condizione metropolitana, ma anche di una diagnosi lucida delle mancanze attuali, potrebbero stimolare una nuova consapevolezza, e voglia, di riprendere in mano il progetto di architettura, il progetto politico di architettura, in quanto suscitatore di conflitti all'interno della melassa entropica di territori paradossalmente e scelleratamente stabili per reciproci infiniti estenuati ed estenuanti equilibri di convenienza, e sia pure di infimo livello, di abitanti per i quali sembra valere l'orrendo detto secondo il quale "al peggio non c'è mai fine" magari coniugato con il livido "il meglio è nemico del bene". Può essere infine che fra quegli attraversamenti uno in particolare ce ne tocchi, più vicino e direttamente incidente sulla nozione di architettura, eppure sovente da noi trascurato ed evitato, per il sospetto ideologico di una ideologia negativa della tecnica, ed in particolare della tecnologia dell'attività edilizia. Ora quella tecnica ci ritorna addosso non soltanto con le tradizionali vesti della costruzione, la tettonica e i componenti eccetera, ma anche con le disorientanti maschere delle immagini della comunicazione della esteticità diffusa dei comportamenti nella società contemporanea. Roma è anche quella città i cui giornali ogni giorno annunciano nuove demolizioni dei brutti e abusivi cartelloni pubblicitari ma nessun giorno arrivano alla coscienza ormai banale di una qualità peculiare della pubblicità nella bellezza mobile della città contemporanea. Mi scuso anche di questa trattazione frammentaria, ma confido sia utile sintomaticamente a mostrare la complessità, discontinuità, indeterminatezza con cui dobbiamo fare i conti. Rimane la sfida di sempre: che opere di architettura talentuose, nate magari non si sa da dove, riescano a portare ad espressione sintetica questo mio disordine. E l'altra ancor più impegnativa e necessaria: che tali opere, in un rinnovato circolo virtuoso tra architettura e costruzione - senza nessuno dei due non si dà dawero architettura - riescano a porsi sul piano della fattibilità all'interno di un coraggioso comune discorso sulla città di Roma città metropolitana.


PRESENTAZIONE

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SILVANO SUSI

accolgo volentieri l'invito del prof. Raffaele Panella ad esprimere il mio pensiero sull'iniziativa: Roma 3° Millennio. Le identità possibili. Iniziativa della quale voglio rilevare una caratteristica non comune, quella cioè di mantenere, anche a distanza di qualche anno, il suo interesse culturale e la sua carica propositiva.

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L'iniziativa nacque in modo coordinato fra il DAAC (Dipartimento di Architettura e Analisi della Città) dell'Università "La Sapienza" diretto dallo stesso prof. Panella e l'ACER (Associazione dei Costruttori Edili di Roma e Provincia), all'epoca presieduta dall'amico ing. Paolo Buzzetti. Ci muovevano la preoccupazione comune sulle configurazioni future che la nostra Città avrebbe potuto avere, in un periodo emblematico e ricco di cambiamenti e prospettive non sempre serene e tranquillizzanti. La novità del metodo era costituita dal l'affrontare il problema nell'ottica delle diverse "possibili identità", ovviamente fra loro compatibili e sinergiche. Ciò ha contribuito non sono a dare alla iniziativa un taglio particolarmente stimolante sotto il profilo culturale, ma anche (e ciò ovviamente ci interessa anche come imprenditori oltre che come cittadini) ha condotto a concepire progetti e idee suscettibili di una valorizzazione produttiva. Un capitolo di questa pubblicazione evidenzia una serie di proposte che si sono rivelate meritevoli di un approfondimento, progettuale ed economico, per possibili realizzazioni da parte di imprenditori, attraverso gli strumenti del project financing. Basterebbe (come prima accennavo) questo solo fatto a testimoniare della validità di una iniziativa, partita concettualmente quattro anni or sono e che ha visto la sua realizzazione prima in tre seminari preparatori svoltisi nel gennaio e febbraio 2000 e, successivamente, culminata nella Mostra e nel Forum che hanno avuto luogo alla fine dello stesso anno nei locali del Palazzo del le Esposizioni, con la partecipazione di esponenti illustri della cultura, della professione, dell'imprenditoria e della politica. Successivamente, nel corso del 2001 e di questo 2002, si è svolto, fra imprenditori e ricercatori, un concreto lavoro di selezione dei progetti che apparivano più interessanti sotto il profilo della fattibilità. Raggiunta questa prima tappa, è seguito un lungo, paziente e difficile lavoro di definizione dei parametri operativi di fattibilità, degli oneri stimabili e degli elementi per formulare concrete proposte di project financing, da inserire nell'apposito Programma del Comune. Siamo, al momento in cui scrivo, ancora in una fase aperta, in quanto le nostre proposte sono ancora all'esame delle Autorità Comunali. È con l'augurio di un meritato successo che chiudo dunque questo mio saluto, rinnovando l'apprezzamento per una iniziativa per la quale il tempo conferma il carattere di esempio per altre che seguiranno.

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'iniziativa Roma 3° Millennio. Le identità possibili nasce dal proposito congiunto di una struttura universitaria, il DAAC - Dipartimento di Architettura e Analisi della Città dell'Università di Roma "La Sapienza" - ed una realtà produttiva, l'ACER Associazione dei Costruttori Edili Di Roma e Provincia - di affrontare e discutere gli urgenti e pressanti temi legati allo sviluppo di Roma. Animati dalle medesime preoccupazioni sulle possibili identità future di questa città, mondo scientifico e mondo produttivo hanno messo a frutto le loro conoscenze e la loro esperienza per interrogarsi e avanzare ipotesi operative sui temi dell'ammodernamento della complessa e difficile realtà romana. Attraverso un lavoro comune, costruito su idee, su valutazioni critiche e riflessioni letterarie, su progetti anche parziali, fattibili e sostenibili, DAAC e ACER, hanno deciso di elaborare un disegno della città di Roma, da offrire come contributo propositivo per il terzo millennio. Un disegno dotato, quindi, anche di un'anima economica capace di trovare al suo interno forme concrete di attuazione, nella finalità di un aumento complessivo della ricchezza sociale, come si richiede ad una moderna capitale d'Europa e del Mondo. Queste, in sintesi, alcune delle questioni affrontate: - come cogliere e far vivere, nel senso più dinamico e attualizzante del termine, i maggiori valori identitari di Roma sullo sfondo del generale fenomeno di globalizzazione; - come abbracciare l'immenso universo della tutela e della salvaguardia senza scalzare l'istanza di un moderno funzionamento che la nuova realtà metropolitana impone; - come consentire a Roma di competere con le altre capitali europee sia nella offerta di servizi, sia nella creazione di adeguate opportunità di investimento e di attrazione di risorse a livello intern azionale; - come ridefinire il ruolo dell'impresa e del capitale privato nella costruzione della città, considerando l'essenzialità della sua presenza ai fini dello sviluppo, tenendo ferma la necessità di un disegno complessivo definito in sede pubblica. La storia, la memoria, la conservazione dell'immenso patrimonio storico, rappresentano infatti un peso enorme per chiunque guardi a Roma e si interroghi sul suo destino. Eppure, accanto alla questione della permanenza del suo centro, al problema del recupero e della reinterpretazione dei valori sedimentati all'interno del suo tessuto, la Roma di oggi pone con altrettanta forza ed urgenza la questione dell'ammodernamento complessivo delle sue strutture, a cominciare dall'affermazione della sua dimensione metropolitana e dalla organizzazione di una nuova rete di trasporti che la renda finalmente permeabile e godibile. Su Roma, memoria del passato, topos della grande civiltà che ha informato di sé il mondo, sul suo possibile futuro di metropoli contemporanea, occorre coltivare una grande capacità di ascolto ed incentivare la progettualità. Il carattere internazionale dell'iniziativa è inteso ad aprire orizzonti provenienti da mondi anche molto lontani, che si nutrono correntemente del moderno, su questioni quali la fruizione dei suoi immensi "giacimenti di antichità", il suo ruolo di capitale della cristianità, il suo confronto, in termini di immagine e di funzionamento, con le moderne capitali mondiali. Il consulto è organizzato per aree tematiche. Esse rappresentano alcuni dei volti della città; anticipano angolazioni possibili dalle quali osservare il suo intricato contesto:

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Città-Museo Roma, nella sua stratificazione millenaria, dalla città romulea alla città imperiale, con i suoi monumenti famosi in tutto il modo ed il suo centro, il Foro, progressivamente portato alla luce, alla città "moderna" degli anni Venti e Trenta, diventa progressivamente museo a cielo aperto assorbendo e rivalutando la rete di per sé già straordinaria di luoghi museo. Eppure nessuno sembra avvedersi del processo di musealizzazione urbana immanente, in senso progettuale e di anticipazione cosciente dei delicati problemi che esso pone. Si pensi alla

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complessità del tema della compresenza tra attività residenziali, produttive e di servizio, legate alla vita di oggi, e alla funzione museale nella sua forma moderna, di avvicinamento consapevole e documentato al bene culturale e di suo god imento, in un adeguato contesto di servizi specifici e specializzati. Prevale piuttosto la preoccupazione per il problema del numero dei visitatori, per quello della sicurezza degli uomini e delle cose, che sono sì questioni di prima urgenza, ma non esclusive di altre importanti azioni, quali lo sviluppo e l'adeguamento dei servizi, lo sviluppo di un apparato produttivo specifico, il potenziamento delle strutture legate all'accessibilità. Si tratta, nella sostanza, di affrontare l'intera questione secondo un disegno nuovo e coraggioso, evitando di affidarsi unicamente a misure di interdizione. Se è vero che Roma è destinata a divenire "museo a cielo aperto", dovremo superare il vincolo fine a sé stesso, imparare a convivere con il fenomeno del richiamo di massa, scongiurare degrado e abusivismo, entrare in un'ottica di gestione produttiva e di valorizzazione del bene tutelato. Il centro della cristianità Roma capitale della cristianità ripropone a livello simbolico il tema del doppio, in cui molti hanno individuato la matrice stessa della struttura della città di Roma. L'occupazione del territorio del Vaticano, avvenuta quando Roma si contrae e si sposta trans tiberis, esprime ed allude a un'alternativa alla città imperiale in decadimento, localizzata attorno ai Fori e al Campo Marzio. Da allora la storia di Roma sarà caratterizzata da una doppia sovranità, in bilico tra il potere temporale dei papi e le rivendicazioni di autogoverno della civitas. Questo rapporto, di una Roma che cresce "all'ombra delle sue chiese", si incrina nel XX secolo, quando diviene preponderante l'identità laica con Roma Capitale d'Italia. Oggi come entità contenuta e circoscritta nella città, ma con una sfera di attrazione che coinvolge il mondo intero, il Vaticano richiama piuttosto il tema dell'inclusione, e si configura quale oggetto incastonato all'interno di un tessuto urbano fortemente congestionato. Il delicato rapporto tra la città laica e la città cristiana va affrontato contemporaneamente da più punti di vista, considerando l'eccezionale contributo che la città della cristianità porta alla internazionalizzazione della città laica. D'ora innanzi si tratterà di considerare Roma capitale della cristianità come componente da coinvolgere nei più globali problemi di funzionamento e di sviluppo urbano. Su quali elementi deve poggiare un progetto globale che affronti il tema della relazione fra le due città, per il terzo millennio? La parzialità delle opere giubilari (parcheggio del Gianicolo, sottopasso, sistemazioni delle piazze delle basiliche) non è da ascriversi in primo luogo all'assenza di tale disegno? La capitale Nel dicembre 1990 il Parlamento vara la legge 396/90 dal titolo Interventi per Roma, capitale della Repubblica, riconoscendo il ruolo giocato dalla città nell'organizzazione e nel funzionamento della Capitale e l'esigenza di concorrere mediante speciali misure, di ordine finanziario e procedurale, alla sua gestione. L'art.1 della legge, nel duplice intento di assicurare alla città di Roma uno sviluppo equilibrato e di garantirle la rappresentatività che compete al suo ruolo, individua sette obiettivi da perseguire; di questi, il principale consiste nella realizzazione del sistema direzionale orientale (SDO) che avrebbe assolto il compito del reinsediamento razionale della pubblica amministraz ione dello Stato, che oggi occupa un grande spazio centrale frammentato in una miriade di sedi. Un punto chiave del programma di interventi era costituito (e dovrà esserlo anche in futuro) dal riuso delle sedi istituzionali storiche, che continua a rappresentare per Roma un problema aperto, tanto più all'interno di un contesto politico-istituzionale in cui vanno tendenzialmente cambiando in senso autonomistico i rapporti fra lo Stato centrale e il Paese, e in cui va naturalmente restringendosi la domanda di spazio della Pubblica Amministrazione a livello centrale.

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Come dovrà porsi il problema del funzionamento e dell'immagine della città politica e di quella amministrativa visto che alla caduta del piano per lo SDO non è stata sostituita alcuna idea in grado di dare un'immagine identificativa alla capitale? Quale politica dei serviz i e delle attrezzature deve mettere in atto una città che deve puntare a competere, senza rinunciare ad una sua identità, con la Parigi di Mitterand, la Barcellona di Marragal, la Berlino della Potsdamer Platz? Mobilità Roma ha un ritardo storico nei trasporti urbani che si ha in animo di colmare con una robusta "cura del ferro", che con senta alla città di dotarsi di una rete di trasporti metropolitani che assicuri la permeabilità e l'accessibilità sulle grandi direttrici. Il tema delle "porte metropolitane", come luoghi di scambio intermodale incentrate sulla rete del ferro, introduce in modo diretto il problema di una speciale identità di Roma in questo ambito e nel confronto con le mirabili porte della città antica. Sotto questo profilo Roma presenta una molteplicità di nuovi luoghi ad alta potenzialità urbana, assur:nendo che un luogo non può funzionare come nodo di scambio tra l'automobile e la ferrovia se contestualmente non assolve ad altre funzioni urbane di tipo territoriale, economico, ambientale e culturale. La questione dell'interscambio, che è irriducibile alla mera problematica trasportistica, pone quindi, per Roma, il problema non solo della definizione dei principali caratteri architettonici e urbanistici delle Nuove Porte, ma soprattutto quello della gestione di vaste operazioni complesse, non dissociabili da un generale programma di riordino funzionale e territoriale della città e non concretamente attuabili senza opportuni dispositivi attuativi. Si tratta di adeguare le previsioni urbanistiche della costruenda area metropolitana a questa necessità, liberandole da quel carattere di settorialità e di ordinarietà. E si tratta di porre in essere un'estesa progettualità che faccia ricorso a meccanismi previsionali e attuativi di tipo nuovo, in grado di attivare tutte le risorse finanziarie disponibili. La città delle case Roma è città di case bellissime, ma anche di quartieri inabitabili. La loro riqualificazione è tema di altrettanta urgenza per Roma È una questione ampia che investe l'intera compag ine urbana, dal suo tessuto più consolidato sino ad arrivare agli insediamenti periferici abusivi. La Roma del degrado abitativo non è infatti solo quella lontana dal centro, ma è spesso anche quella ricompresa all'interno dei tessuti più vecchi. Anche qui, tenendo ferme le esigenze di tutela storica e rispetto ambientale, occorrerebbe poter agire per ampie aree di ristrutturazione, intervenire con progetti di scala urbana contemplando la possibilità di interventi di demoliz ione e ricostruzione. Se per la città consolidata, la questione della ristrutturazione urbana dovrà liberarsi dal pregiudizio conservativo, per le aree periferiche si mostra invece urgente la formazione di una sensibilità meno generalizzante nei confronti dei luoghi. Le periferie romane, tanto quelle spontaneamente sorte quanto quelle progettate, non sono infatti generici brandelli di campagna divenuti città, ma territori densi di testimonianze storiche, tra i cui segni andrebbe ricercata la chiave dell'intervento di riqualificazione. Dal punto di vista funzionale è pressante all'interno di molti quartieri la necessità di re-integrazione

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di standard e servizi; per questo occorre una maggiore capacità e flessibilità di intervento facendo ampio ricorso alle nuove possibilità introdotte dai PRU, Programmi Integrati, Contratti di Quartiere, PRUSST, incentivando al massimo l'intervento privato, velocizzando e semplificando le procedure realizzati ve. Infine, va affrontato il problema dell'invecchiamento dei modelli insediativi residenziali, da cui discende in gran parte la crisi e il degrado dell'edilizia moderna; va posta la necessità di una revisione degli standards (dalla dotazione di spazi di relazione, all'esigenza di mobilità ed accessibilità); va rivolta massima attenzione al manifestarsi di nuove forme abitative: I' "abitare disperso", I' "abitare la rete", I' "abitare negli interstizi della straficazione storica". Piazze-parchi-giardini Dalla fissazione della grande maglia dei futuri parchi territoriali e dal varo del Programma Centopiazze da parte del Comune di Roma, il tema sta acquisendo sempre maggiore importanza e merito. L'identità di Roma in questo campo è indiscutibile e fortemente consolidata. Il progetto dei "vuoti" e degli spazi collettivi della città di Roma impone uno sguardo attento ai valori identitari, capace di cogliere le differenze nel vasto campionario offerto, dai luoghi più stratificati e ricchi del centro storico a quelli diffusi del più recente paesaggio metropolitano. Avvicinandosi infatti ai margini della città, il tema dello spazio collettivo perde la forma del progetto di piazza per assumere via via quella del progetto di parchi e giardini. I temi posti dalle due distanti realtà, del centro consolidato e della rada, policentrica regione metropolitana, possono agire positivamente nell'interazione dei valori messi in campo: da un lato una città storica non ostile nei confronti di un proprio aggiornamento di senso ed attenta alle nuove forme dello scambio sociale, dall'altro una città paesaggio diffidente verso l'omologazione, sensibile al rilievo delle singolarità dei luoghi, rispettosa delle tracce che anche qui, sebbene in ordine e misura diversa, la storia ha generosamente lasciato come ricca alternanza tra presenze antropiche e natura. Ciò che manca è una solida visione di questi sistemi come strumenti di rivalutazione e trasformazione; occorre una visione più aperta nelle disposizioni normative e proced urali che dia maggiore incentivo all'intervento privato e che consenta attraverso l'intervento sui vuoti di rig uadagnare anche la periferia, di assorbire il suo degrado, le aree dismesse, quelle abusive, il verde incompiuto dei PEEP.

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INTRODUZIONE

RAFFAELE PANELLA

orna 3° Millennio. Le identità possibili nasce dalla convinzione che la questione centrale che coinvolgerà Roma, nei prossimi anni, è come far evolvere i suoi straordinari valori identitari nel contesto del generale fenomeno di globalizzazione; come far convivere e fare evolvere, in particolare , la tutela dei beni culturali sterminati di questa città con il bisogno di efficienza e funzionalità che la nuova dimensione europea e mondiale impone; come sostenere la competizione con le altre capitali europee sulla qualità dell'offerta di servizi ma anche sulla capacità di attrarre investimenti e risorse. Si tratterà di porre in essere un quadro coerente di politiche urbane che confluiscano in un'idea di città abbastanza forte e convincente da consentire di associare, come era nelle intenzioni della legge su Roma Capitale, le istituzioni statuali centrali con quelle locali, di coinvolgere al livello adeguato le nuove istituzioni europee e, in ogni caso, la Chiesa di Roma. Si tratterà anche di mutare comportamenti: nel rincorrere una "normalità" negata da ritardi storici e da governanti compiacenti, affiorano chiusure e insofferenze che deprimono la progettualità, la riducono a tecnica della amministrazione quotidiana. La cultura architettonica e urbanistica di questa città può imboccare una strada diversa. Roma 3° Millennio è un tentativo di delinearne il tracciato. L'identità di Roma riconosciuta universalmente, che in qualche modo pone in essere altre identità, é quella di essere il luogo della più alta concentrazione di beni culturali del mondo, una parte essenziale dei quali è costituita dalle strutture fisiche della città. È possibile contemperare la tutela di questo patrimonio con lo sviluppo, garantendo alla città di competere in tema di accessibilità, qualità dei servizi offerti, opportunità insediative con le grandi capitali d'Europa senza perdere la sua identità? Come molti altri operatori culturali, forze politiche e imprenditoriali, gruppi di opinione, noi pensiamo che sia possibile, e che lo sviluppo basato su queste risorse sia il più stabile e sicuro, il meno attaccabile dalla contingenza. Uno dei compiti prioritari attribuiti a Roma 3 ° Millennio. Le identità possibili è stato di esplorare questo rapporto dal punto di vista delle scienze urbane e dell'architettura, costruendo anche ipotesi di lavoro attraverso progetti costruiti su dati reali, o su simulazioni di ben circoscrivibili condizioni operative , salvo verificarle sia gli uni che le altre sul piano economico e della fattibilità tecnica. Nel corso dello sviluppo dell'iniziativa, segnatamente, nel corso dei seminari che si sono tenuti sul tema, abbiamo compreso che l'attestamento a un livello più alto del rapporto fra tutela e sviluppo nel campo dei beni culturali urbani comporta politiche urbane prima che urbanistiche; comporta inoltre misure di grande complessità che toccano assetti e rapporti istituzionali delicati, tra lo Stato e il Comune di Roma nella gestione dei rispettivi patrimoni di aree urbane, edifici, manufatti; tra entrambi i livelli istituzionali e i privati. Abbiamo concluso, in ogni modo, che un rea le progresso sul tema del rapporto tra tutela e sviluppo dei beni culturali urbani presume anche una diversa e specifica modalità di essere e di usare la città che possiede quei valori, rappresentabile in una forma museale specifica del tutto nuova, che sia in grado di coinvolgere istituzioni museali, singoli monumenti e parti intere di città, accessibilità e trasporti, servizi e modalità di gestione. Abbiamo dato a questa forma museale specifica il nome di Città-Museo. Naturalmente, parliamo di museo in senso moderno, anticipando che é qualcosa di diverso dalla somma di tutti gli edificimuseo della città, compresi gli archivi, le biblioteche, le accademie e i centri di ricerca che si occupano dei beni culturali urbani, nonché dei monumenti veri e propri, delle aree archeologiche e delle parti di città di valore storico architettonico. L'idea di trasformare la parte più significativa e rappresentativa di Roma in Città-Museo non nasce solo da una esplorazione teorica sulla naturale evoluzione della forma museale applicata alle città, in particolare, alle città d'arte; ma dalla costatazione della concorrenza di determinati fatti che a Roma sono in tutta evidenza: alcune categorie di beni sono musealizzati per il loro valore intrinseco a prescindere dalla localizzazione nel tessuto della città; molti altri sono concentrati in aree in qualche modo già organizzate (alcune aree archeologiche, le ville storiche, per esempio); altre aree sono divenute o si stanno avviando a divenire parchi archeologici (il Parco dell'Appia antica e i parchi previsti dalla legge n° 391/90 per Roma Capitale). Ma solo gli studiosi sono in grado di

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rapportare questo mosaico frammentario alle relazioni di senso e di forma con la città, nella sua stratificazione millenaria di città romulea, e di città imperiale, di città rinascimentale-barocca e di città moderna, infine, di città contemporanea sia pure limitata a quei frammenti di monumentalità che essa ci ha pure offerto. Questo immenso patrimonio è privo di un assetto funzionale organico, manca di una rete di servizi specifici e specializzati che riguardano sia strutture fisiche sia la comunicazione; manca di un laboratorio nel quale le università romane e quelle straniere insediate a Roma, le accademie, le scuole, possano giocare un ruolo importante accanto alle forze produttive specializzate nel recupero edilizio e ambientale, nell'introspezione archeologica e nella ricostruzione, nella produzione e erogazione di servizi specifici, nell'informatica, e nell'industria culturale. Insomma l'assenza di un assetto funzionale organico, che noi identifichiamo nella forma della Città-Museo, impedisce la promozione e lo sviluppo delle sue enormi potenzialità in senso produttivo. Perché a Roma questa opportunità non è oggetto se non di un contenzioso, quanto meno di un dibattito serio? Perché sul piano urbanistico la ricerca evolve al punto di porre in essere nuove categorie che vanno al di là del "centro storico" e sul piano delle politiche urbane rimaniamo ancorati ancora alla politica dei due tempi: prima la tutela, poi si vedrà? È fin troppo evidente che le resistenze nascono dalla circostanza che Roma non è Pompei ma una città viva con grandi problemi di allocazione delle funzioni centrali, che vengono a permanere proprio sulle strutture urbane che presentano il sedime più elevato di beni culturali; che si pongono a Roma problemi che altrove sono già drammatici, relativi all'uso dei monumenti che fanno riflettere sulla loro fragilità, problemi di accessibilità e così via. Ma a ben vedere tali problemi non sono dissimili da quelli che ha posto il Giubileo. Bisognerà riflettere seriamente sulla esperienza giubilare, che ha certamente irrobustito la rete dei servizi della città e che ha già fornito numerose verifiche su fatti impensabili solo qualche anno fa, tra i quali, la numerosità degli arrivi, l'organizzazione dei flussi, l'accoglienza, la sicurezza. Esso è stato, dunque, un campo di sperimentazione di grande valore per la realizzazione della Città-Museo, poiché ha concentrato in un tempo ristretto e attorno ad un'unica funzione un flusso che riequil ibrato e diversificato su diverse funzioni diventerà (dovrà diventare) costante nei prossimi anni. Il progetto del Parco archeologico centrale e dei Fori, indicato dalla legge per Roma Capitale, può essere il primo momento di sperimentazione di una forma museale che comprende aree archeologiche e monumentali che includono parti e pezzi di città moderna con le loro attività, il loro bisogno di mobilità, eccetera, associata ad un laboratorio produttivo. Ma altre aree di grande concentrazione di beni culturali urbani possono essere coinvolte nell'assetto organizzativo finale della Città-Museo. Infine, talune aree possono assolvere a compiti strategici nella organizzazione della Città-Museo; si tratta delle "porte" del nuovo sistema che abbiamo circoscritto a due casi studio emblematici: piazza dei Cinquecento e piazzale Flaminio. Tutte queste aree sono confluite nella ricerca di progettazione documentata nella Mostra al Palazzo delle Esposizioni di via Nazionale, della quale forniamo appresso i principali materiali. Naturalmente una politica urbana, mirata alla formazione della Città-Museo di Roma, come rivalutazione della sua identità primaria, va ben oltre le politiche urbanistiche e anche l'impiego del progetto architettonico-urbano. Siamo consapevoli di aver aperto semplicemente un problema che postula approfondimenti che vanno da quello istituzionale a quello gestionale, dal reperimento delle risorse alle strategie dell'investimento, dal ruolo delle singole strutture urbane coinvolte nella trasformazione alla rete dei trasporti (che dovrà essere compatibile sia con il funzionamento della Città sia con il funzionamento del Museo).

È proprio l'evento giubilare, che prima abbiamo richiamato, ad aprire una seconda questione che può sembrare del tutto owia sia nei contorni che negli sbocchi finali e che invece non lo è, esattamente come awiene per la Città-Museo, a giudicare dall'assenza di un dibattito pre e post giubilare e comunque dall'assenza di una specifica politica urbana. Ecco perché parliamo di una

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seconda identità possibile di Roma, quella di essere il centro della cristianità. Di una cristianità. Il delicato rapporto tra la città laica e la città cristiana va affrontato contemporaneamente da più punti di vista, considerando l'eccezionale contributo che la città della cristianità porta alla internazionalizzazione della città laica, ma anche il ruolo di singolare e eccezionale servizio che la città laica con la sua concentrazione di beni culturali e di servizi specifici offre alla prima; donde l'esigenza di coinvolgere tale ruolo nei problemi di funzionamento complessivo della città laica e del suo sviluppo. Non si tratta certamente di proporre una nuova via Alessandrina, o una via della Conciliazione, ma che esista un problema di rapporti funzionali formali tra il Vaticano e gli altri siti della città della cristianità è fuori discussione. Infatti, non solo è coinvolta la città vaticana ma l'intera rete degli spazi della cristianità nel loro rapporto con la città laica, con il fiume, segnatamente con gli spazi e le strutture dell'accessibilità. Noi abbiamo la convinzione che le più emblematiche opere giubilari abbiano fatto riferimento ad un'ottica priva di quel respiro che un rapporto finalmente maturo tra città laica e città capitale della cristianità dovrebbe avere. Il parcheggio dei pullman al Gianicolo é una soluzione "domestica" se inquadrata nell'ottica di una necessaria accessibilità al Vaticano alla scala planetaria; qualcun altro ha pensato per tempo al Jubilee fine, per servire attrezzature e luoghi molto meno importanti. Altro che "sottopassino" con relativo estenuante dibattito e gioco dei rimandi tra una Chiesa che non vuole apparire, perché ha ben altri strumenti di comunicazione, e l'arroganza da minoranza oppressa di certa cultura laica che fa finta di ignorare il ruolo della Chiesa nel primato di Roma nel mondo. Eppure l'opera di sistemazioni delle piazze, voluta e condotta decorosamente dal Comune di Roma, segnatamente per quei luoghi urbani interconnessi con le strutture del culto, ha mostrato la validità e la grande opportunità per la città di utilizzare appieno la doppia natura della città. La straordinaria operazione pianificatoria che la Chiesa ha predisposto per il Giubileo soprattutto nel governo dei grandi flussi non ha avuto adeguato riscontro nel comportamento dello Stato che non ha messo a disposizione per tempo le risorse necessarie costringendo il Comune di Roma ad una affannosa rincorsa. Ma non ha trovato adeguato riscontro neanche nella città laica che ha faticato a definire una politica urbana dello stesso respiro. Esistono forse, oggi più di ieri, le condizioni per identificare i punti di forza e le debolezze dell'armatura urbana e della rete dei servizi sulla quale intervenire per ridare slancio ad un rapporto più maturo tra la città e il centro della cristianità. Parliamo di una identità possibile per segnalare le potenzialità inutilizzate. La terza identità possibile di Roma riguarda la funzione di Città Capitale, città capitale di uno dei quindici paesi della Comunità Europea, e anche città del mondo che ha dinanzi a sé l'immane compito di fare da cerniera tra l'Europa e i paesi che si affacciano sul Mediterraneo. Come dissociare un'idea di Roma dal suo ruolo di Capitale, sia pure di uno Stato non accentratore che rivaluta le autonomie regionali e locali e quali sono gli elementi, i monumenti, le parti che ne consentono la riconoscibilità (e la funzionalità) dopo la caduta dello SDO come centralità alternativa al centro città che gravita da sempre su piazza Venezia? Se rifiutiamo la dispersione democristiana dei ministeri (2,5 milioni di mq di uffici) da e per ogni dove e l'indifferenza alla pervasività reale della città politica nei confronti della città "ordinaria", come non pensare alla formazione di un "foro italico" della seconda repubblica, dopo quello umbertino e quello mussoliniano? Sarà sufficiente una ridistribuzione della Pubblica Amministrazione su un numero ridotto di centralità urbane. E quale uso fare dei vecchi contenitori, ammesso che valga la pena di "liberarli", atteso che quasi tutti furono progettati proprio per ospitare la pubblica amministrazione della capitale Nel dicembre 1990 il Parlamento vara la legge 396/90 dal titolo Interventi per Roma, capitale della Repubblica, riconoscendo il ruolo giocato dalla città nell'organizzazione e nel funzionamento della capitale e l'esigenza di concorrere mediante speciali misure, di ordine finanziario e procedurale,

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alla sua gestione. Ma è necessaria una politica urbana, una idea di capitale che possa recepire quelle misure. La legge per Roma Capitale contemperava anche altri aspetti della vita della capitale; è stato calcolato che il fabbisogno finanziario del primo programma attuativo fosse di venticinque mila miliardi di vecchie lire italiane, per ridare a Roma una fisionomia di capitale adeguata ai tempi; da dove si prendono questi soldi se nei primi dieci anni di attuazione della legge ne sono stati stanziati meno del 5%? Ma, anche, quale architettura della città deve mettere in atto una struttura urbana che deve puntare a competere, senza rinunciare ad una sua identità, con la Parigi di Mitterand, la Barcellona di Marragal, la Berlino di Potsdamer Platz e del rinnovato Reichstag? Alcune indicazioni che invitano a rimettere in discussione scelte stancamente ripetute e a trovare spunti per una nuova politica urbana sono emersi nel corso dei seminari e nelle ricerche di progettazione documentate nella Mostra. La quarta identità possibile di Roma riguarda la città della vita di tutti i giorni, delle case, delle strade, delle scuole, dei parchi e dei giardini, la città esaltata dai pochi, e che fa disperare i molti. Qui le contraddizioni si toccano con mano: Roma, anche a prescindere dalla città storica al di qua e al di là del Tevere, è città di case bellissime e di quartieri inabitabili, di parchi straordinari e di mancanza di verde, di aree permeabili e accessibili e di zone segregate in una periferia irraggiungibile. Quanto alle case, solo oggi si inizia a scoprire la numerosità e a rivalutare la qualità dei quartieri "pianificati" tra l'inizio del Novecento e gli anni Sessanta, tra i principali: la Garbatella, Testaccia, San Saba, Tiburtino IV, San Basilio, Tuscolano, Valco San Paolo, Vigne Nuove, Spinaceto, il Villaggio Olimpico. Questi vengono a sommarsi con un proprio profilo identitaria alle parti di città costruite con una regola agli inizi del secolo: Prati, Flaminio, Parioli, Nomentano, Esquilino, Monteverde, Città Aniene, Ostia, la città balneare di Roma e tanti altri. E vengono a sommarsi ai "modelli" dispersi nel mare delle palazzine o degli intensivi, fatti per mano di Libera, Moretti, De Renzi, Ridolfi, Aymonino, ma anche Luccichenti, Monaco, Marchi, Magni, Di Castro, Passarelli. È realmente una "condizione di necessità" imposta dalla non-città delle discontinuità, dei vuoti urbani e del "rovesciamento dei margini " l'orrore dei pretenziosi nuovi quartieri arroccati sul GRA o dei nuovi centri residenziali disposti lungo le vecchie consolari, che so, alla Rustica? Indiscutibile è l'identità di Roma in tema di piazze, di parchi, di giardini che provengono ad essa dalla storia. Roma è conosciuta nel mondo anche per le sue piazze e i suoi straordinari giardini legati alle ville storiche. Solo in quest'ultimo decennio è stato finalmente esplorato il tema dei nuovi spazi aperti collettivi della città contemporanea, ma un bilancio completo delle esperienze legate in particolare al programma Cento piazze, deve essere ancora fatto. Meno esplorato é il problema dei "vuoti", che hanno un ruolo nodale nel più recente paesaggio metropolitano. Roma, inoltre, deve essere anche pronta a darsi nuove forme di abitare caratterizzate da nuove tipologie e nuovi standard, relativi agli spazi di relazione, all'esigenza di mobilità ed accessibilità. Ma il vero nodo è la riqualificazione, che deve investire l'intera r. compagine urbana, dal suo tessuto più consolidato sino ad arrivare agli insediamenti periferici abusivi. La Roma del degrado abitativo non è infatti solo quella lontana dal centro, ma è spesso anche quella ricompresa all'interno di tessuti moderni. Il tema della riqualificazione urbana a Roma si carica delle significatività e unicità dei contesti sia costruiti che aperti. È sufficiente a questo fine il ricorso alle possibilità introdotte dalle leggi che attivano privati e impresa, o occorre una maggiore capacità e flessibilità di intervento, aprendo un campo sperimentale più vasto? Qui la politica urbanistica prende il soprawento. Certo, è incomprensibile

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che a Roma sia così difficile praticare delle forme di renewal radicale di interi quartieri o di pezzi come avviene nelle altre città europee. Roma, in ogni caso, deve progettare l'abitazione per gli immigrati dai paesi del bacino mediterraneo, se vuole effettivamente svolgere un ruolo di cerniera tra Europa e i paesi poveri dell'altra sponda del Mediterraneo. Non basta la realizzazione della Moschea più grande e imponente di Europa. Quanto alla mobilità, tutti sappiamo che Roma deve recuperare un ritardo storico nei trasporti urbani e nella rete infrastrutturale. Ma lo sta facendo con vigore e intelligenza mediante la proposizione di una nuova rete integrata basata sul ferro. Non altrettanto può dirsi, salvo forse il solo caso dell'Ostiense, delle politiche urbanistiche da porre in essere per utilizzare la nuova rete come occasione di riqualificazione e di ridistribuzione dei pesi e delle funzioni. Altrimenti la ricaduta é modesta. Il tema delle "porte metropolitane", nel confronto con le mirabili porte della città antica, che noi stiamo curando all'interno dell'università da alcuni anni, come luoghi di scambio intermodale incentrate sulla rete del ferro (ma anche il Comune di Roma aveva avviato studi e proposte molto interessanti, purtroppo cadute nel dimenticatoio), rinvia al tema della riqualificazione urbana questa volta in un'ottica che attribuisce alla infrastrutture un ruolo conformativo misurato sulla importanza di questo settore nella costruzione fisica della "modernità". Ma, come avremo modo di vedere, nella fattispecie, a piazza dei Cinquecento, si sbaglia chi pensa che lo spazio delle nuove porte metropolitane sia solo in periferia, riguardi solo il GRA o la nuova rete delle infrastrutture di scala sovraurbana. Nella costruzione della modernità i temi posti dalle due distanti realtà, del centro consolidato e della rada, policentrica, regione metropolitana, possono agire positivamente nell'interazione dei valori messi in campo: da un lato una città storica non ostile nei confronti di un proprio aggiornamento di senso; finalmente libera di mostrare la sua stratificazione, attenta alle nuove forme dello scambio sociale, dall'altro una "città paesaggio" liberata dal rapporto univoco con l'unica e assoluta centralità urbana, che appare finalmente sensibile alla singolarità dei luoghi nella loro stratificazione di presenze antropiche e di natura. Su questi sei temi, che corrispondono a questioni nodali per lo sviluppo della città, e che presuppongono altrettante politiche urbane prima che misure di carattere urbanistico, il Dipartimento di Architettura e Analisi della Città dell'Università di Roma "La Sapienza'', ha trovato nell'Associazione dei Costruttori Edili di Roma e Provincia, il partner adeguato per costruire insieme un quadro di proposizioni costituito da idee progettuali, da progetti veri e propri, o semplicemente da valutazioni e riflessioni critiche, da offrire alla città e alle sue istituzioni per il terzo millennio. Il rapporto che l'università ha inteso intrattenere con l'ACER é tanto più interessante oggi perché va mutando il ruolo dell'associazione, da soggetto che realizza interventi decisi altrove, a soggetto che promuove le iniziative trasformative, segnatamente nel campo ancora abbastanza aperto della riqualificazione urbana. Dall'altra parte, l'università ha deciso di confrontarsi con le logiche del mondo produttivo, per rendere più incisive le sue idee e i suoi progetti. Al di là delle differenze che caratterizzano i due soggetti, anche nel rapporto con la città e le sue istituzioni, non c'é dubbio che il rapporto sarà tanto più costruttivo, in futuro, quanto più prevarrà il profilo imprenditoriale dei nostri interlocutori e, in pari tempo, la capacità nostra di progettare le trasformazioni urbane.

È appena il caso di annotare che un obbiettivo così ambizioso comportava la realizzazione di un apparecchio molto complesso concettualmente e operativamente: da un lato occorreva tenere insieme, cosa sommamente difficile quando il tema è Roma, senso della storia e capacità di innovazione, assumendo come ultimo strato le fenomenologie urbane contemporanee, senza presumere processualità e rapporti di causa effetto transtemporali, consapevoli che è proprio l'assenza di continuità con il passato il dato di novità di taluni tratti del fenomeno urbano

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contemporaneo. Ma consapevoli anche che il palinsesto restava e resta comunque il dato concreto con cui il progetto deve fare i conti; ecco perché siamo ripartiti dal rapporto con la storia, approdando all'ipotesi di Roma come C ittà-Museo. Dall'altro occorreva promuovere un interesse prima e un dibattito poi al quale partecipassero le forze intellettuali e gli operatori pubblici e privati della capitale, per circoscrivere i temi, per cogliere tutte le possibili alternative e poter costruire ipotesi di lavoro credibili sulle quali awiare ricerche di carattere progettuale. Occorreva recuperare le risorse intellettuali in ambito universitario, possibilmente, non solo romano, e creare le condizioni per poter materialmente sviluppare tali ricerche in modo coordinato, evitando il rischio di perdere di vista le ipotesi di lavoro iniziali e gli obiettivi. Bisognava, infine, rendere comunicabile e comunicare effettivamente questo lavoro attraverso una Mostra e un Forum che ne discutesse i risultati . Bisognava per ultimo, anche al di là del Forum, individuare e sviluppare in termini di fattibilità con il nostro partner quei progetti di parti significative o anche solo di frammenti, che avessero un ruolo strategico in un quadro di politiche urbane condiviso e potessero essere immediatamente realizzati. L'iniziativa che volevamo awiare doveva avere un carattere internazionale, perché la cultura architettonica e urbanistica della città, ma anche il mondo della produzione, traggono certamente giovamento dal confronto con l'immagine di Roma che la comunità internazionale si é fatta. A Roma serve avere a che fare con ottiche diverse; serve riflettere sulla immagine che di essa hanno gli operatori culturali, i ricercatori e gli studiosi degli altri paesi europei e del mondo intero. Abbiamo coinvolto nell'iniziativa le Facoltà di Architettura di Darmstadt, Weimar e di Delft e eminenti studiosi francesi, spagnoli, olandesi e tedeschi. All'iniziativa abbiamo dato il nome di Roma 3° Millennio. Le identità possibili. La collaborazione tra università e forze produttive, nella fattispecie, i costruttori di Roma riuniti nell'ACER non é una novità assoluta: esattamente dieci anni fa l'iniziativa "Quale periferia per Roma Capitale", v ide associati l'ACER e l'Istituto di Edilizia della Facoltà di A rchitettura d i Roma, diretto da Ciro Cicconcelli, per il disegno di un pezzo di Roma Nord . Altre iniziative sono in corso tra i costruttori e l'università. L'ampiezza delle questioni affrontate con l'ACER nel corso della iniziativa e l'integrazione di competenze rea lizzata in sede progettuale segnano almeno per il mondo universitario una svolta nella direzione di un impegno più pregnante ad affrontare questioni reali di trasformazione della città e a mettere in gioco il proprio sapere sul tema della fattibilità economica degli interventi. La promozione è stata affidata a un Manifesto; sono seguiti poi dei seminari patrocinati dall'INARCH. Sulla base del lavoro seminariale e delle ricerche di base condotte dal DAAC sono stati redatti dei Dossier che hanno istruito il tema e che abbiamo distribuito ai gruppi di progettazione, i quali si sono dati convegno in un workshop, ospitato dall'ACER che ha consentito di elaborare e dibattere le ipotesi emerse nel corso dei Seminari, per poterle presentare al pubblico. Qui è intervenuto il Palazzo delle Esposizioni che ci ha offerto gli spazi per la Mostra e il Forum finale sui risultati dell'iniziativa.

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Achille M. Ippolito Paola Gregory

PINETO INSUGHERATA VEJO: UN SISTEMA DI PARCHI

Enrico Di Munno, An drea Quagliola Giulia Turano, Luca Pastorini

Ubicati nel settore nord-ovest di Roma, il parco urbano del Pineto (sup. 243 ha, L.R. n.21 del 23/2/87), la riserva naturale dell'lnsugherata (sup. 697 ha, L. R. n. 29 de 6/10/97) e il parco naturale di Vejo (sup.14.984 ha, di cui 7. 174 interni al Comune di Roma, L. R. n. 29 del 6/1 0/97) costituiscono un importante insieme paesaggistico nella duplice accezione ecologico-ambientale e storico-culturale: un ampio "cuneo verde" di penetrazione nella città, strutturato lungo le vie consolari Flaminia, Cassia, Trionfale e la ferrovia FM3 Roma-Cesano-Viterbo. Parte, un tempo, dell'agro veientano e poi romano con la sua stratificazione di reperti archeologici (basti citare l'anti ca città di Vej o e le necropoli etrusche, la Villa di Lucio Vero sulla via Clodia e la cosiddetta Tomba di Nerone), di castelli e casali medievali, ville e tenute agricole accanto a lacerti naturalisti ci incontaminati, l'insieme individuato appare oggi come una sequenza di recinti scarsamente permeabili e, in larga parte, privi di interrelaz ioni specifiche con la periferia urbana e metropo litana di recente formazione . Nell'ottica di superare, per punti, l'attuale condizione di enclave propria di queste riserve naturali, appoggiandosi alle grandi infrastrutture della mobilità esistenti - in parti colare il passante ferroviario in grado di costituire l'ossatura portante di un ipotizzabile sistema - si sono individuate alcune aree specifiche di margine ch e, scavalcando le singole perimetraz ion i, includono parti di parco e di città. Abbiamo definito queste aree "zone di soglia" a evidenz iare il luogo di passaggio e mutaz ione da una realtà ad un'altra, ma anche il luogo dove due identità si attestano, si confrontano, si riflettono, si difendono. La soglia è quindi innanzitutto un concetto c he consente di individuare potenz iali zone di trasformazione in cui sia possibile evidenziare un progressivo scivolamento fra il parco e la città, un rito di passaggio che include il concetto di intervallo, di tramite fra due identità nello spaz io e nel tempo. Per questo pu r essendone distinta , la soglia partecipa di entrambe e agisce da attrattore dinamico, zona di espansione e contrazione, ma anche punto di chiasmo e di inversione, luogo in cui la natura diventa artificiale e l'artificio diventa naturale. (P.G.)

e Marco Antonini, Simone Quilici, Emanuela Todi ni (paesaggisti) Andrea Nemiz (fotografo)

Soglia lnsugherata-Ottavia I Ipogeo degli Ottavi: centro di arti contemporanee e parco lineare. Il centro, in gran parte scavato nel terreno, comprende sale espositive, laboratori artistici e sala conferenze. Attraversato da un percorso pedonale sopraelevato che scavalca la via Trionfale e sottopassa la ferrovia FM3, costituisce uno degli accessi principali al sistema dei parchi.

SISTEMA DEI PARCHI Pmeto - lnsughorata - Ve,o CARATTERI STORICO·PAESAGGISTICI

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Soglia Pineto-Trionfale: museo del parco e nuovo accesso di quartiere. L'intervento prevede la realizzazione di un sistema di rampe a raccordo del dislivello esistente fra nuovo e vecchio tracciato della via Trionfale , la valorizzazione di un fontanile antico, la sistemazione di sale espositive al di sotto dell'attua/e sede stradale, la sistemazione di aree a verde attrezzato.

Nella sog lia i rapporti codificati figura-sfondo si intreccia no sfoca ndo i rispettivi limiti: gli spazi costru iti - a carattere collettivo - contaminano la natura e questa corrode le form e cristall ine. Qui percorsi urbani e naturalistici si riann odano, si scambiano, si invertono: nastri flessibili si accumu lano nei luogh i di accesso e si innervano da qui nei parchi. Lu ngo questi percorsi è possibile prevedere, accanto al riuso e alla ri qualificazione di manufatti esistenti, interventi-installazioni di /andart a ri attivare l'interazione fra il visitatore e l'ambiente naturale: in esso il "perdersi" dovrà avere un esito dive rso dal disorientamento, costringendolo a ricostruire di volta in volta i propri punti di riferimento . ....j,,,

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SOGLIA INSUGHERATA ·OTTAVIA/ IPOGEO DEGLI OTTAVI Planimetria generale degli interventi previsti

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Area attrezzata a verde

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Achille M. Ippolito Cristiano Tavani

AMBITO SALARIO FLAMINIO UN NODO DI INTERSCAMBIO COME LUOGO DEL COLLETIIVO URBANO

Elisabetta Cipriani Claudio Colombo Annalisa Rendine Fabrizio Pagliano Tajani Raffaella Ricci

e porte di Roma , nuove centralità urbane, sono state indicate nelle intersezioni tra GRA, ferro e rete viaria del territorio metropolitano, come punti di interscambio capaci non solo di incentivare l'uso del mezzo pubblico, ma anche di attrarre utenza e fornire comunicaz ioni interattive con la città e il contesto. Il nodo è visto come magnete urbano, attrattore di aggregazione sociale, nuovo luogo del collettivo mediante la riqualificazione ambientale ed urbana del sito e del paesaggio. L'ambito Salario-Flaminio ha elevate potenzialità di interscambio, poiché transitano il GRA, le strade consolari radiali Salaria e Flaminia, e le linee di trasporto su ferro (FM1 e Roma Nord). Il territorio, di grande valore ambientale, è segnato dalla valle del Tevere, e il GRA rappresenta l'unica possibilità di scavalcare il fiume. L'edificazione si presenta varia: alle res idenze si alternano attiv ità produttivo/commerciale e capannoni industriali. Alla scala territoriale gli interventi proposti per sfruttare le potenz ialità di quest'ambito sono: - realizzazione della duplice funzione di scambio e sosta, (infrastrutture e funz ioni attrattive di riqualificazione urbana); - realizzazione di un asse di collegamento tra i due nodi; - realizzazione del parco dell'agro-romano. Quest'ultimo, attrezzato per lo svago e la sosta è dotato di percorsi ciclabili e naturalistici, serre, vivai, giardini tematici, attività sportive e di gioco. Il Tevere, riappropriato delle sua attuabile navigabilità, sarà attraversato da ponti che fortificano le connessioni urbane.

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Piano di assetto L'area si caretterizza per: - l'altissima potenzialità di interscambio dei due punti di intersezione con il GRA ; - la presenza di elementi di grandissimo valore ambientale; - la posizione di cerniera tra il nucleo produttivo - terziario Flaminio/Salario e la Valle del Tevere; - il parcheggio di scambio di Saxa Rubra; - la possibile navigabilità del fiume.

Alla scala architettonica il progetto si è focalizzato sulla Porta Salaria e si articola sui seguenti elementi: - la piazza della Porta, pensata come elemento connettivo unificatore e fulcro sul quale si attestano le varie funzioni, è affondata di quattro metri rispetto al livello della quota circostante, come un calco nel terreno, costituisce un recinto che induce la sensazione di appartenenza di protezione e di isolamento dal rumore delle infrastrutture circostanti ; - il Mali, è la porta di accesso alla città. Concepito come un flu sso continuo e lineare si autoconfigura in relazione allo sviluppo del-

Fotomontaggio con l'inserimento dell'intervento

Veduta zenithale del plastico

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le varie funzioni che si susseguono e si trasformano continuamente. Il movimento è la fondazione dello spazio. Nel suo attraversamento lineare si passa dal parcheggio scambiatore all'hotel-centro congressi alla stazione treni, si attraversano sopra e sotto le infrastrutture esistenti , ci si snoda nel centro

commerciale, nelle attività culturali e ricreative e attraverso la piazza della porta si giunge sino al Tevere dal quale, con un ponte pedonale, si raggiunge l'agro romano. A questo andamento orizzontale fanno contrasto le due torri che si confrontano con quelle di Castel Giubileo misurando il territorio. (C.T.)

Pianta e sezione Il progetto, più che una forma stabile è stato concepito come una forma in divenire, di organizzazione di stati futuri possibili. Esso si dovrà cioè misurare con /'esigenza di flessibilità e trasformabilità nel tempo. Un disegno aperto, un sistema di autorganizzazione che possa modificarsi in funzione di nuove condizioni a venire, sensibile al dispiegarsi delle possibilità: un paesaggio artificiale dove al suo interno sono ospitate le varie attività commerciali, culturali ricreative e sportive collegate tra loro da rampe e scale poco ripide.

Vista dal fiume Tevere Poichè /'edilizia del GRA è attualmente costituita da una serie di edifici impenetrabili ed opachi, di qui /'esigenza di realizzare facciate mediatiche interattive che con la loro trasparenza e fluidità permettono di vedere il movimento delle persone al suo interno, mentre la copertura, segno percepibile alla grande velocità, con il suo andamento a zig zag è pensata come veicolo di elementi pubblicitari sempre mutevoli.

Vista dalla via Salaria. Piani inclinati e rampe gradonate connettono la piazza della porta con il parco attraverso una graduale osmosi di minerale e vegetale. Un ponte pedonale sul Tevere la collega all'Agro romano.

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ASSE DEI CORONARI

Achille M . Ippolito Massimo Valente

UN SISTEMA DI VUOTI STORICI

Prospero Di Nubila Valentina Piscitelli Giulia Roncoroni Lucilla Ventu ra

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R. Lanciani Forma Urbis Romae, in rosso si evidenzia il tracciato della via Recta

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a dei Coronari attualmente si presenta come parte dell'asse storico della via Recta, oggi percettivamente interrotto in prossimità dell'intersezione tra questo e via Zanardelli, nato con lo scopo di collegare l'antica via Lata con San Pietro attraverso il ponte Neroniano di cui non si ha più alcuna traccia. L'obiettivo del progetto è quello di realizzare un sistema asse-vuoti che individua lungo tutto il tracciato dell'antica via Recta, il principio ordinatore del sistema stesso e che, attraverso la progettazione di una nuova spazialità punta così alla restituzione della continuità della percezione spazio-visuale e trova nei vuoti un momento di pausa, un episodio, un'occasione per vivere in maniera differente la città. L'individuazione dell'area di progetto si concentra lungo uno dei numerosi vuoti del sistema ed in particolare ne ll'area compresa tra piazza di Tor Sanguigna, piazza delle Cinque Lune e via Zanardelli in quanto rappresenta il punto più significativo in cui la percezione dell'asse viene ad essere interrotto a causa del-

la frattura generatasi a seguito degli sventramenti, le cui lacerazioni determinano spazialità prive di qualsiasi geometria e che restituiscono un fa lso, una manipolazione del tessuto ed ilizio della città storica. La volontà di ri cucitura percettiva si concretizza attraverso la manipolazione del piano orizzontale e l'inserimento di un piano verticale. La manipolazione del piano orizzontale deter-

G. Lugli e I. Gismondi (1949) in rosso si evidenzia la connessione della via Recta con la via Leonina e la via Lata alla Porta Flaminia.

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Planivolumetria dell'area d'intervento il progetto inserito nel tessuto edilizio esistente come verifica della tesi di progetto

mina una mutazione dello stato orografico del terreno attraverso la realizzazione di una piazza a tre livelli memoria delle diverse stratificazioni verificatesi durante lo scorrere del tempo. In particolare il primo livello riporta alla luce la quota archeologica della Roma antica con la restituzione degli scavi dello Stadio di Domiziano attualmente individuabili attraverso una apertura sull'attacco a terra dell'edificio realizzato da Foschini in prossimitĂ del lato est di piazza Navona. L'inserimento del piano verticale si concretizza attraverso la realizzazione di una quinta trasparente che muta l'attuale percezione spaziale mantenendo inalterata quella visuale. La quinta diventa cosĂŹ in elemento di mediazione tra le differenti quote altimetriche attraverso una rampa che collega in prossimitĂ della piazza di Tor Sanguigna la quota storica con quella attuale. Nel percorrere la rampa si arriva lungo l'attuale quota stradale dove la quinta accoglie una serie di box trasparenti dotati di postazioni con totem informativi e multimediali, per terminare in prossimitĂ di piazza delle Cinque Lune plasticizzandosi gradualmente in una struttura atta a contenere gli elementi di collegamento verticale meccanizzati. Infine il progetto si conclude con l'identificazione di un nuovo asse visuale lungo la direttrice di via Zanardelli, che attraverso un anello anulare pedonale segna un percorso alternativo a partire dalla mediana del nuovo asse di progetto per raggiungere attraversando il

Tevere i giardini di Castel Sant'Angelo culminando attraverso la nuova direttrice prospettica nella testata della basilica di San Pietro. (M.V.)

Vista panoramica in fondo Piazza delle Cinque Lune, a sinistra la trasformazione del piano base determina attraverso due piani inclinati un piano verticale virtuale. Sulla destra la quinta trasparente che esce dal terreno attraverso una rampa collega la quota storica con quella attuale

Sezione prospettica sulla piazza a tre livelli: la quota archeologica, la quota intermedia, la copertura praticabile

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Laboratorio di Tesi di Laurea responsabile: prof. Achille M. Ippolito coordinamento: arch. Cristiano Tavani

UN NODO DI INTERSCAMBIO COME LUOGO DEL COLLETTIVO URBANO Il nodo di interscambio è un complesso multifunzionale integrato nel tessuto urbano, finalizzato al collegamento di diverse parti della città, attraverso la definizione di una rete di relazioni con le infrastrutture viarie, con gli altri mezzi e sistemi di trasporto pubblico e privato, con i principali percorsi pedonali e con le piazze. Questo sistema rappresenta una soluzione ai problemi della mobilità delle metropoli contemporanee, in quanto è in grado di agevolare e velocizzare lo spostamento delle persone in ambito urbano ed extraurbano, ricoprendo esso stesso il ruolo di scambiatore di flussi privatopubblico. L'integrazione del nodo con il contesto avviene mediante l'inserimento di una serie di servizi collettivi, dal commercio al terziario, al verde pubblico, dalla residenza agli spazi culturali e ricreativi, disincentivando gli spostamenti giornalieri. Se fino ad oggi i nodi di interscambio sono stati luoghi solo di passaggio, ora si tende a far si che le funzioni in essi esplicate siano volte sempre più a renderli luoghi di interscambio anche sociale. Data la complessità di questo tipo edilizio è stata effettuata una ricerca su diversi esempi progettati e/o realizzati nel mondo; questi sono stati accuratamente analizzati con lo scopo di determinarne una classificazione. Il metodo di analisi utilizzato è basato su quattro aspetti: contesto, organizzazione funzionale, distribuzione e geometria. Per la classificazione, sono stati considerati due parametri di riferimento: i modi di trasporto ed i servizi presenti (di supporto diretto al viaggiatore e indiretto di servizio urbano). Per la città di Roma alcuni tra i programmi della mobilità, prevedono la localizzazione dei nodi di scambio in corrispondenza delle arterie più congestionate dal traffico. Nel laboratorio di tesi di laurea sono state studiate alcune aree: Collatino, San Basilio, Pantano e Salario. Nel nodo Collatino transitano il GRAe la ferrovia Roma-Guidonia che risulta essere la potenziale linea di raccolta del flusso di traffico che attualmente grava sulle vie Collatina e Prenestina. L'area di intervento è organizzata a cavallo del GRA con la possibilità di attraversamento. Per legare l'intervento alla periferia cittadina, i servizi di supporto urbano sono dislocati lungo un percorso funzionale che dalla stazione FS (con annessi parcheggi e terminal per i taxi), arriva ai margini della borgata la Rustica. (F.P.)

Il nodo San Basilio è situato nella zona est della città all'interno del GRA, ove è previsto il prolungamento della metropolitana B, che si svilupperà da Rebibbia a Settecamini. L'ampliamento nasce dall'esigenza di decongestionare il traffico delle vie Tiburtina e Nomentana e di creare un nuovo nodo di scambio direttamente collegato con il raccordo. Il vicino nodo di ponte Mammolo, infatti, arrivato a saturazione subito dopo l'apertura, è collocato troppo internamente, e quindi è destinato a svolgere un ruolo di scambio prevalentemente a livello interquartiere. Il progetto è caratterizzato da edifici che si incastrano tra di loro, all'interno dei quali vi sono funzioni diverse: commerciale, terziaria, ricreativa e sportiva. La stazione è in asse con il percorso della metropolitana ed è caratterizzata da una copertura ondulata che evidenzia il movimento che si svolge al suo interno. La piazza è l'elemento di connessione tra il quartiere ed il nodo. (G.R. ) Il nodo di interscambio denominato Pantano Borghese è il terminale della linea metropolitana c di Roma e rappresenta sia lo scambio dei modi di trasporto sia il luogo del ritrovo e del tempo libero dei residenti della zona e di tutti i pendolari che gravitano su questa importante fermata. Per questo motivo sono state pensate due piazze importanti: una rappresenta la nuova piazza del quartiere e l'altra l'importante spazio dedicato alla stazione dei bus regionali. Fra queste emerge l'edificio della stazione della metropolitana che, con la sua forma dinamica, racchiude funzioni importanti come il centro commerciale e le grandi sale cinematografiche. (R.R.) Il nodo Salario è situato nel settore est della periferia romana, ai piedi delle colline della Marcigliana e Castel Giubileo, in rapporto sia con l'abitato che con la grande viabilità. È luogo ad elevata potenzialità di scambio in cui transitano in uno spazio ristretto: GRA, Salaria ed FM1. Con il progetto si vuole convogliare le auto private in un luogo che funga da scambiatore privato-pubblico ed al tempo stesso da luogo per lo svago e la sosta. Il cuore del progetto è la piazza, che si materializza come vuoto progettato attorno al quale gravitano le funzioni ricreative, culturali e di supporto diretto allo scambio. Forte è anche l'esigenza di connessione con l'agro romano, una raggiera di terrazze di verde penetrano direttamente nella piazza. (A.R.)

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progetti di: Francesca Piombarolo Annalisa Rendine Roberta Ripani Giulia Roncoroni Federico Vitali

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Efisio Pitzalis

INFRASTRUTTURA E VERDE MODELLO DI PIAZZA-GIARDINO NELLA CINTURA PERIFERICA ROMANA

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La zona detta del Mulino di Santa Felicola si trova sulla direttrice della via Ardeatina, a ridosso di un tratto del GRA. Il sito è caratterizzato da una conurbazione derivante dal fenomeno dell'abusivismo edilizio. Una edificazione rapsodica e, ovviamente, slegata da ogni gerarchica sequenza visiva e temporale, ne costituisce la logica di formazione. Alla piazza-giardino è affidato il compito di costituire un fulcro di aggregazione e un segno di riconoscibilità per il quartiere, che nel tempo, nonostante i limiti connessi alla sua crescita spontanea , ha trovato una fisionomia in grado di sottrarlo al degrado cui sembrava inevitabilmente avviato. Le premesse progettuali muovono verso una definizione più precisa dei margini di intervento, senza rinunciare però a una configurazione "aperta'', priva cioè di una finitezza assolutista, inadeguata al luogo nei suoi aspetti orografici e semantici; ovvero: inadatta alla sua crescita, alla sua vocazione, alla sua evidente origine agricola . Per questi motivi, il progetto assume un disegno generale con molteplici direzioni e si sviluppa secondo un sistema a gorgo in scavo e in riporto. L'accesso principale alla piazza-giardino è previsto sul lato confinante con il perimetro edilizio esistente, di fronte all'ingresso della chiesa. Un parterre completamente pavimentato, con trattamento in pietra bicromo, è la prima area pubblica di sosta situata in prossimità della chiesa ; e in questo modo circoscrive un ambito di maggiore valenza urbana posto sulla confluenza dei tratti stradali esistenti. Una fontana a sfioro è collocata lungo il perimetro della piazza verso il giardino. Nei vari punti non occupati dalle recinzioni delle abitazioni, il perimetro dell'intera area di intervento è schermato da tre elementi gradonati. Si tratta di spalti in terra rinverdita, alternata a pezzature di pietra e di cemento, che definiscono architettonicamente i bordi della piazzagiardino e che costituiscono luoghi di sosta rivolti verso l'interno. Gli spalti sono integrati da filari di alberi per schermare la vista sui capannoni industriali e sul tratto di GRA in direzione nord. L'area interna individuata dai bordi è trattata con un sistema di calibrati rilievi e depressioni che

Geneviève Hanssen Manuela Raitano

assecondano l'andamento altimetrico del terreno e si raccordano ai diversi livelli con dei terrazzamenti a verde parzialmente pavimentati. Il declivio tra la chiesa e il GRA è colonizzato da un sistema di atolli in materiale lapideo e cementizio che contengono alberature di pregio, panchine e muri per l'ombreggiatura. Due cavità circolari in terra rinforzata, repliche del grass mound ad Aspen di Herbert Bayer, alloggiano l'area gioco bimbi, mentre l'efflorescenza dei rotoreliefs satura le zone interstiziali tra i terrazzamenti lapidei e la venatura di attraversamento del giardino. Si tratta, in definitiva, di un lavoro sullo "spazio complementare" che, allusivamente, si costruisce seguendo la logica del "termitaio": legge di fondazione allegoricamente intrecciata alla natura collinare e all'orizzonte cupolato del paesaggio romano. Tavola presentata alla mostra

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INTRODUZIONE AL FORUM Direttore del Palazzo delle Esposizioni

a prima cosa su cui riflettere è il titolo stesso del forum, Le identità possibili. C'è una contraddizione, in qualche modo un'antinomia, nel concetto di identità possibile. Da una parte l'identità è qualche cosa che tende a defin ire dei caratteri che non mutano, dall'altra la natura stessa della città è qualche cosa che è sempre aperta a delle definizioni possibili, che ancora non sono state date. Robert Musil scriveva che le città si riconoscono dai rumori. Il rumore della città è come il passo delle persone. Dal rumore di Vienna lui riconosceva di essere in quella città. Possiamo dire che gli elementi identitari che caratterizzano la città sono molto collegati al modo con cui la città viene vissuta e percepita. Roma indubbiamente ha delle caratteristiche che sono costanti, un po' appunto come l'immagine musiliana del rumore che fa riconoscere Vienna . Probabilmente non sono caratteristiche così legate al passato . Sono caratteristiche che possono essere usate come categorie per orizzontarci attraverso questa grande sezione diacronica nella storia del mondo che è Roma. In questo senso cominciamo a comprendere il concetto di "identità possibile". Proseguiamo con le citazioni. Sigmund Freud si emozionava di fronte a Roma pensando alla possibilità di vedere, tutte insieme, tutte le Roma che si sono susseguite nel tempo. Indubbiamente l'identità di Roma è qualche cosa che mette in relazione la città attraverso le diverse epoche . Essa è così legata ad atteggiamenti mentali ed interpretativi della singola persona che contempla Roma, che appare chiaro in quest'ottica in che modo l'identità si configuri come possibilità. Secondo quest'ottica è ovvio che tutte le interpretazioni che diamo della città risentono di quella che io chiamerei una cattiva soluz ione del rapporto tra architettura e urbanistica, in cui l'urbanistica possiede la primatia, rendendo difficile la definizione delle identità possibili della città. Vorrei fare un ragionamento su questo concetto. Non voglio criticare gli sforzi dell'Amministrazione per arrivare ad approvare il Nuovo Piano Regolatore, tuttavia è difficile nascondere la mia sotterranea convinzione che il Piano Regolatore sia sostanz ialmente uno strumento poco efficace per governare la crescita delle città. Inevitabilmente la caratteristica progettuale dell'urbanistica si tinge di intenz ionalità politica. Se si pensa che lo scopo del piano regolatore è di definire l'assetto della città nei prossimi 25 anni, si è finito per portare gli urbanisti e i responsabili delle città a progettare delle immagini statiche e anche un po' paradossali. Abbiamo invece bisogno, affrontando il tema della città, di liberarci dall'idea di poter definire formalmente in tutte le sue parti l'identità urbana. Queste sono operazioni che finiscono per esprimere le velleità più che le volontà, le intenzionalità ideologiche e politiche delle amministrazioni che si susseguono, rimanendo in qualche modo estranei all'architettura. Abbiamo bisogno di strumenti diversi che raccorcino la forbice che c'è tra architettura e urbanistica. Non spetta all'urbanistica progettare la città tra 25 anni, spetta all'urbanistica stabilire un codice di procedure e di sistemi che non necessariamente debbano essere localizzati territorialmente come siamo abituati a fare negli elaborati dei nostri piani urbanistici. Spetta infine all'architettura intervenire dove il problema urbanistico è senza soluzione. Un esempio che abbiamo commentato più volte negli ultimi tem pi riguarda la vicenda del concorso per il Palazzo dei Congressi all'Eur, che finalmente rom pe con un costume un po' "cerchiobottista" di fare una cosa qui e una lì. Si sceglie di defini re una soluzione attraverso la strada della qualità architettonica, rispettando le configurazioni che le parti di città hanno assunto. La stessa questione si ripropone per tutta una serie di temi importanti. Direi che il merito di questo convegno è quello di configurare il concetto di "identità possibile" della città non in man iera astratta, ma in riferimento a questioni molto concrete. Sono le questioni rappresentate dalle diverse aree t ematiche presenti alla mostra, "riempite" dalle immagini e dai contri buti di una delle Facoltà di Architettura di Roma. Accanto a questa sono presenti i contributi della Facoltà di Arch itettura di Weimar, a dimostrazione del fatto che bene o male apparteniamo a q uella cultura, e della Facoltà olandese di Delft, che si è

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mossa con molta disinvoltura, proponendo soluzioni molto interessanti. Al di là delle questioni di stile credo che le categorie individuate siano quelle giuste. Innanzitutto mi sembra molto importante che sia stato dato un ri lievo così forte al tema della città. museo. Anche la città politica ha contributi di grande rilievo tuttavia sulla città politica da tempo siamo arrivati alla proposizione di un intervento nella zona di Montecitorio, voltando definitivamente la pagina sbagliata, iniziata con il concorso per il nuovo edificio della Camera dei Deputati e con la decisione della Camera di non procedere su quella strada. Lo conferma la presenza dello sgangherato e brutto parcheggio, che sta lì da 40 anni e che rappresenta la rinuncia allo splendido edificio progettato da Samonà. Si pensi in alternativa a rivisitare oggi il contributo che allora parve così polemico e intelligente di lnsolera. La Camera ha fatto esattamente quello che prevedeva lnsolera: si è espansa a macchia d'olio occupando ora la Galleria Colonna, ora un'ex-banca. Tra le due ipotesi io avrei preferito l'edificio di Samonà. Sono molto perplesso di fronte a questa idea di espandere sempre di più la funzione politico-parlamentare all'interno del centro della città. Potrebbero inoltre esserci nel prossimo futuro riforme federaliste che diminuiranno o dimezzeranno il numero dei parlamentari , come si sostiene ormai da molto tempo e che indubbiamente renderebbero questi spazi, che la Camera ha così ampiamente realizzato nel centro storico, superflui. Sempre nell'area tematica della capitale, emerge la questione del centro direzionale, che a questo punto diviene progetto nella sue forme astratte perché dove sarà, non lo sa più nessuno. Con riferimento invece alla città delle case sembra che abbiamo metabolizzato l'atteggiamento giusto con cui porci. Ritengo che la soluzione proposta per la via Tiburtina sia particolarmente interessante. È finito il periodo che ricordo bene - perché gli anni Settanta sono stati per me un periodo di formazione decisiva, vista la mia collocazione generazionale - in cui si pensava di intervenire con i grands ensembles come Corviale, Vigne Nuove, Laurentino. Questi edifici sono stati sottoposti a critiche ingenerose e sbagliate anche se la visione ingenua che si aveva allora di una città che poteva essere qualificata soprattutto da grandi zone residenziali, pensate con l'occhio, con la mente e con il desiderio al Karlmarxhoff di Vienna, si è rivelata errata. La soluzione speri mentata sulla Tiburtina consente di mantenere l'aspetto positivo di questa impostazione, cioè la necessità di definire a grande scala l'intervento abitativo, che rimane un principio architettonico giusto. In più il progetto considera l'esigenza di ripartire diversamente la popolazione all'interno di questi grandi interventi, uscendo da logiche molto elementari in cui 5.000 abitanti erano paragonabili naturalmente a un piccolo comune, senza tuttavia nessun tipo di organizzazione della vita collettiva. Sul terreno della città politica e della città delle case siamo quindi di fronte a tesi che sono state concepite ormai da tempo e che è giusto ripetere. Mi sembra invece che il contributo più polemico nei confronti delle difficoltà dell'amministrazione comunale, sia quello - ed esprimo questa preferenza forse perché occupandomi del Palazzo delle Esposizioni vi sono naturalmente portato - della città-museo. Sulla questione di via dei Fori Imperiali trovo molto giusto tentare di chiudere con un disegno le

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infinite possibilità che abbiamo di fronte. Le identità possibili indubbiamente si definiscono quando tra le tante possibilità se ne sceglie una. Però non c'è dubbio che la situazione con cui sta procedendo il lavoro di scavo su via dei Fori Imperiali mi ricorda un po' un personaggio reso famoso da uno scrittore romantico tedesco molto di moda in Italia, Ernst Theodor Amedeus Hoffmann. Hoffmann tra i suoi personaggi ne ha uno che mi è molto caro, il consigliere Crespel, che decide di costruirsi la propria casa e tuttavia disprezza i sistemi accademici. La costruisce quindi cominciando a fare le fondamenta, poi a tirare su le pareti e poi ad aprire a caso qui una porta, lì una finestra , secondo l'umore del momento. Questo riferimento mi sembra descriva nel modo giusto il sistema di scavi di via dei Fori Imperiali. Qui si scava, là si scava, qui togliamo un giardinetto, qui mettiamo una stradina, qui mettiamo un chiosco. E poi cosa accadrà? Con la differenza inoltre che i consiglieri Crespel che agiscono sugli scavi dei Fori sono numerosi, ciascuno con una sua idea molto frammentata e articolata e magari si pestano un po' i piedi tra loro. Ogni tanto sembra risorgere l'edificio ctonio di Benevolo e Gregotti o sembra di sentire la voce del compianto Cederna che parla della collina della Velia, uno dei sette Colli sbancati dal fascismo. Ormai è sbancato, e sembra valere il detto "colle sbancato capo ha". La stessa questione credo valga per il Campidoglio che è un altro colle trasformato in collina di marmo: "ormai c'è e ci deve piacere''. Oppure sui giornali a intervalli ricorrenti, ogni quattro anni, ricompare improwisamente il Palazzo Silvestri Rivaldi. Si progetta di farne il museo dei Fori. In realtà il progetto per l'area dei Fori è interessante perché è legato a un ragionamento che grossomodo tripartisce l'area centrale in tre settori segnati dalla porta sulla Flaminia e dalla porta d'ingresso al Parco, secondo la sequenza Colosseo-Piazza Venezia-il Corso. Mi sembra sia giusto definire città-museo anche l'area segnata dalla via Flaminia. Il concetto che vorrei sottolineare è che quando un museo diventa una città non è più un museo. D'altra parte oggi ci accorgiamo che tra gli spazi pubblici, quelli destinati a funzioni culturali e museali sono spazi trendy. Oggi la questione dei musei è trendy. Pensate ad esempio al Guggenheim di Bilbao. Gehry è stato il nostro sindacalista, ha dimostrato quanto valgono i progetti d'architettura. Grazie a un progetto riuscito bene, che ha fatto discutere tutto il mondo, e ad alcune stravaganze d'artista - come usare il titanio come materiale di copertura che cangia alla luce del sole - a Bilbao, città atroce e bruttissima, sono arrivati un milione e più di visitatori per il Museo di Frank Gehry. Un museo in fondo interessante per l'architetto. Per chi si occupa d'arte può invece portare a delle visioni un po' falsate della storia dell'arte perché, essendo stato pagato dagli americani, le collezioni sono un inno alla grande arte americana di questo secolo. La questione fondamentale è che, grazie all'intervento di un architetto, Bilbao è diventata una città d'arte . E che ci sarebbe di male se Roma diventasse una città d'arte? Con la modifica che ha avuto il concetto di museo, non più luogo destinato a delle élite ma luogo in cui si incontra normalmente tutta la popolazione, Roma è una città-museo molto particolare. Gehry ha dato dimostrazione a Bilbao che un edificio ben progettato è un valore grande per la città, cosa che hanno dimenticato un po' tutti i funzionalisti eccessivi, tutti quelli che giudicano la vicenda della città lasciando da parte le considerazioni di qualità. Infine un'altra soluz ione progettuale di interesse nella mostra riguarda l'idea di intervenire molto radicalmente sulla Stazione Termini, in modo da liberarci da questa selva di autobus che accoglie il visitatore e che sembra dare l'immagine che Roma sia una città in cui i_trasporti funzionano bene. Al posto degli autobus c'è questa piazza scavata che consente di congiungere i sotterranei della nuova "macchillata" stazione con i sotterranei delle Terme di Diocleziano. Mentre avevo trovato un po' eccessiva l'immagine, che ho visto tempo fa, della Metro C con questa nuova stazione a Largo Argentina con colonne e scale mobili insieme, mi sembra invece realizzabile la situazione raffigurata nel progetto di Termini. In generale mi sembra che nella definizione delle identità possibili di Roma, attraverso l'individuazione di queste tematiche, esca fuori un'immagine di città molto configurata.

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Con questo Forum forse si awia un ragionamento su Roma che invece è più difficile fare visitando la grande mostra del Vittoriano sulle cose realizzate in questa città. In quello sterminato mare il concetto di identità possibile si smarrisce a favore del bilancio delle cose fatte e della presentazione di tutti i progetti futuri, che è un modo per fare emergere con involontaria chiarezza la questione che tra tanti progetti non esista il progetto. È chiaro che il centro degli eventi che possono interessare un'istituzione come il Palazzo delle Esposizioni è proprio la riflessione sulla città. Mi piacerebbe quindi che a questo Forum ne seguissero altri. Mi piacerebbe che questo terzetto - Ordine degli Architetti, Dipartimento della Facoltà di Architettura e Acer - proseguisse la sua attività. Roma, purtroppo, come l'ostrica intera, non si può ingoiare tutta perché è gigantesca, è un territorio. La sua caratteristica tuttavia è molto simile a quella dello squisito mollusco, non la possiamo tagliare col coltello, dobbiamo prenderla tutta insieme. Di Roma dobbiamo accettare il passato, il presente, questa vocazione di città, che cresce grazie agli altri. Borromini non era nato a Roma, eppure non possiamo non nominarlo se pensiamo a un architetto romano! Dobbiamo quindi ragionare su Roma comprendendo che Roma è una città in cui l'elemento quotidiano e l'elemento museale convivono. Ci sono tutti e due, non se ne può dimenticare nessuno. Credo che potrebbe essere interessante per affrontare questa unità così articolata, così complessa e così contraddittoria ogni tanto ricavare dello spazio, fare dei vuoti, ragionare sul modo con cui questa città che sembra così densa in realtà al suo interno ha larghe zone di pausa. Mi riferisco alla teoria dei vuoti urbani di Samonà. La seconda questione su cui volevo ragionare riguarda i limiti del progetto. Abbiamo bisogno di definire quali sono i limiti del progetto. Ci sono delle parti di Roma, in particolare via dei Fori Imperiali, che sono difficili da delimitare. Abbiamo sempre richiamato l'attenzione sull'esigenza che si definissero le aree di bordo di via dei Fori Imperiali , di questo vuoto urbano così singolare rispetto al quale le posiz ioni tendono sempre a essere dialettiche, perché molto difficili da risolvere. Inoltre capisco che la forma definitiva che assumerà l'area dei Fori dipenderà da molte questioni rispetto alle quali gli architetti possono intervenire fino a un certo punto: gli equilibri di potere, la Sovrintendenza, il Comune, etc. Però fissare il bordo, fissare i confini, capire la relazione di questa parte della città con le altre parti, è qualche cosa di assolutamente indispensabile. È anche indispensabile, probabilmente, che cominciamo a ragionare seriamente sul rapporto che c'è tra architettura e urbanistica andando oltre il punto di approdo che si è raggiunto oggi. È importante il fatto che si sia abbandonata l'idea del piano regolatore come delle tavole della legge. Forse la cosa più positiva che ha fatto l'Amministrazione Rutelli è stata quella di avere allegramente demolito una serie di luoghi comuni che riguardavano l'assetto urbanistico di Roma. Mi pare evidente che l'operazione urbanistica sarà sempre più un'operazione contrattuale tra Amministrazione e singoli privati. Che regole diamo a questo? In verità nella maggior parte dei paesi del mondo l'urbanistica ha delle regole molto severe, e sposta queste regole dal piano della localizzazione territoriale, che è invece di competenza dell'architetto, al piano della quantità di metri cubi che si possono costruire, delle destinazioni che sono opportune, etc. Insomma la debolezza dell'urbanistica italiana è di

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appoggiarsi ancora su strumenti legislativi che presuppongono l'indifferenza della proprietà dei suoli all'edificazione, il che tra tutte le credenze umane è la più improbabile ad avverarsi. Un'ultima cosa riguarda la questione del futuro e del passato. Credo che in Italia ci sia una specie di resistenza inconsapevole nei confronti del nuovo. A Roma poi abbiamo l'esempio di Piranesi. Perché Piranesi è considerato moderno? Perché nel suo sforzo di ricostruire l'antico si pone a paragone lui, moderno, con gli antichi. Questo in effetti è anche il modo con cui Roma è cresciuta. Roma è una città che nei suoi quasi 30 secoli di storia ha sempre visto la propria edificazione misurarsi con il passato. Tuttavia misurarsi col passato non vuol dire copiarlo. Anzi, pensate alla libertà inventiva di Piranesi proprio nei confronti della tradizione antica, quando non è vista come qualche cosa di finito. È naturale che per l'architetto non sia una cosa fin ita perché noi ragioniamo sulla città e sull'architettura per costruire, per progettare , per trasformare: un compito diverso da quello dello storico.

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FRANCO ZAGARI Presidente dell'IN/ARC H Lazio L'IN/ARCH Lazio è ben lieta di trovarsi accanto al Comune di Roma, al Palazzo delle Esposizioni e all'Ord ine degli Architetti di Roma nel patrocinio di questa iniziativa. Ringrazio molto Renato Nicolini. La sua introduzione è stata così ampia da alleggerire il mio compito. Mi limiterò a dire che questa manifestazione, così intensamente voluta, faticosa e partecipata, come testimonia con evidenza il lavoro che introduce questa sala, fa parte di un'onda di cambiamento che stiamo vivendo e che dobbiamo tutti insieme bene interpretare. Il tempo è politicamente incerto; andiamo contemporaneamente verso un cambiamento politico di governo della città e di governo del paese che potrebbe, se le proiezioni dei sondaggi dovessero essere affidabili, ritrovare una opposizione fra il governo della città, e quello nazionale. I problemi dell'architettura, dell'urbanistica della città si pongono in questa lunghezza d'onda, con una novità apprezzabile. La situazione di dibattito pubblico, di sensibilità pubblica che abbiamo rispetto all'architettura è del tutto diversa rispetto a quella di dieci anni fa. Su questa novità bisogna lavorare. Trovo molto significativo che questa manifestazione sia stata voluta congiuntamente da un Dipartimento della Sapienza e dai Costruttori Romani. Il lavoro sulle identità e sulle vocazioni è un lavoro che parte da un incontro fra architettura ed economia, che si pone proprio in questo tempo come elemento di novità e di speranza. Renato Nicolini faceva riferimento al caso di Bilbao. Si è fatto trascinare dal suo talento letterario. In realtà Bilbao è una città piuttosto bella e il Guggenheim è la punta di un iceberg che è stata sapientemente guidata dal governo regionale, dal governo locale. Un sindaco della grandezza di lriaki Azkuna, un direttore della manovra urbanistica come Pablo Otaola che rovescia la politica della città partendo proprio dal cuore, il nuovo Guggenheim. L'operazione coinvolge il fiume e le zone industriali, trasformandole secondo nuove funzioni , fino al porto. Una città che vede in parallelo a Geehry opere fortemente popolari come la metro di Foster, la

passerella e l'aeroporto di Calatrava. Nel bene e nel male è una città che sta fortemente puntando sull'architettura. Certamente quella di Bilbao, con i problemi enormi che la comunità basca ha e che leggiamo tutti i giorni, è una situazione più di Stato nascente rispetto alla nostra, se non altro di utopia economica molto convinta e determinata. Quali saranno le possibilità di apertura de ll'economia di Roma? lo non l'ho ancora perfettamente capito. Certamente i temi del dibattito sono molto ben posti. Accanto a quelli così chiaramente già citati da Nicolini della città politica, della città archeologica e della città così giustamente chiamata delle case, qui altri temi sono stati molto bene orchestrati. Mi riferisco al tema della mobilità, del paesaggio e non ultimo a quello della cristianità. Tutti noi abbiamo capito di esserci trovati impreparati alle soglie del Giubileo e forse fortemente delusi. Mentre un ampio riconoscimento alla qualità delle opere del Giubileo è stato dato rispetto ad una novità di uso della città, ad una grande pulizia di edifici, all'apertura di nuove pedonalizzazioni, eccetera. Dal punto di vista dell'architettura contemporanea mi sembra invece che possiamo citare unicamente il ponte degliAnnibaldi e il ponte di via Leone Xlii. Due ponti soprawissuti all'unica operazione che avesse come impostazione la volontà di cercare per il Giubileo un segno di architettura contemporanea. Non voglio essere in questo momento il piazzista dell'architettura contemporanea, ma sottolineare che i temi legati alla fortissima identità che noi abbiamo di convivere con uno dei centri religiosi più importanti del mondo non sono stati profondamente capiti e assimilati dagli architetti. Questa è una città che ancora ragiona Tevere oltre Tevere. Che dire della mobilità? L'immagine di Constant Rome è un'immagine fortissima, un'immagine da utopia millenaria certamente, ma un'immagine che apre . Riguardo al paesaggio, vediamo rovesciare il Pineto e l'lnsugherata, considerati non semplicemente come una somma di materiali di metri quadri ma attraverso una visione del mondo contemporaneo complessa, unitaria. In questi anni a Roma il paesaggio è stato un po' vissuto come una riserva di clorofilla, come una riduzione

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ideologicamente anti progettuale, anti qualsiasi progetto che abbia la consequenzialità fra un'ipotesi e un effetto. Roma oggi si sta muovendo. Questa è un'onda, un'onda che non voglio assolutamente sopravvalutare. Come tutte le città eterne ha i suoi flussi e riflussi. Gli architetti manifestano la loro volontà di parlare con il mondo dell'economia. La specificità di questa iniziativa risiede proprio nell'incontro fra l'architettura e l'economia. In realtà, in questo caso, questo dialogo è stato più un postulato che una vera e propria esplicazione. Come è stato detto, i costruttori stanno vivendo un momento che li assorbe particolarmente per l'evoluzione democratica della vita della loro associazione e quindi non sono stati così presenti come avrebbero voluto ma chiunque di voi legga la rivista «Costruttori romani » sa che i costruttori sono tutt'altro che assenti intellettualmente dal dibattito. L'altro elemento da sottolineare riguarda il contributo che questa manifestazione e queste istituzioni offrono all'architettura. Ci vuole una unità fra gli architetti. Uno dei tanti segnali che vengono da questa apertura al pubblico, in questa sede, di questa iniziativa, è una forte volontà costruttiva di dialogo nella certezza delle proprie posizioni. Noi architetti dobbiamo parlare di più e meglio al pubblico. Dobbiamo convincere i giornali a trasformare le cronache locali in una comunicazione più ricca e più approfondita. Penso che gli architetti debbano andare al cuore della stampa. Certo la stampa si interessa molto di più di prima all'architettura, più sulle pagine culturali nazionali che su quelle locali, che sono decisamente sotto-interessate ai problemi dell'architettura. Noi architetti dovremmo convincere i giornali a trasformare le pagine locali in una comunicazione più ricca e più approfondita sui temi dell'architettura. Dovremmo capire, non necessariamente sempre assecondare, le esigenze del pubblico, e saperlo convincere. È una nuova mentalità, una nuova condizione dell'architettura. Vorrei infine ringraziare i nostri ospiti, il Palazzo delle Esposizioni. Ringrazio naturalmente, a nome di tutti, Raffaele Panella per questo sforzo che mi sembra manifesti una attitudine com pletamente nuova e diversa.

AMEDEO SCHIATTARELLA Presidente dell'Ordine degli Arct1itelti di Horna e Provincié1 Ho seguito con grande attenzione buona parte d i questa iniziativa, prima i seminari all' IN/ARC H, poi il Forum. Durante i seminari avevo già segnalato il grandissimo valore che io e l'organismo istituzionale che rappresento, l'Ordine degli Architetti di Roma e Provincia, attribuiamo a questo ciclo di conferenze, sulle identità possibili della Roma del terzo millennio. Un aspetto che mi sembra interessante sottolineare, almeno per quanto riguarda il mondo della professione, è che in questi ultimi quindici anni tutta la riflessione sulla strategia o ancora meg lio sulla gesti one della trasformazione del territorio è stata fatta in un luogo che non apparteneva alla dimensione dell 'a rchitettura ma apparteneva ad una dimensione più propriamente politica e amministrativa. In pratica ha sig nificato che, dalla fine degli anni Sessanta a Roma non si parlasse più di architettura, non si riflettesse più, non si discutesse più perché le decisioni, le riflessioni avvenivano da un'altra parte. È stato un momento difficile in cui l'architettura si è ripiegata su se stessa , si è tirata indietro, si è rifugiata in parte nell'u niversità, in parte negli studi professionali cercando esiti ind ividuali. Ho visto in questo ciclo di conferenze il segno di un cambiamento: voler ritornare a parlare, a confrontarci, a discutere, se possibile anche a litigare sull 'architettura. Cominciamo quindi a voler riflettere e voler prefigurare i possibili futuri di questa città. Forse è anche un modo per contrapporsi alla recentissima invenzione di tipo tecnico del "pianificar facendo". Questo tipo di pianificazione , che mi lascia molto perplesso, sembra non avere il respiro di una strategia complessiva, o per lo meno sembra non nascondere dei disegn i coerenti, che costruiscono una log ica unitaria. In questa mostra e in questi incontri esiste invece una trama chiara in cui la città è esaminata come sistema di sistemi, in cui vengono esaminati i grandi tem i della città costruend o

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delle logiche che tendono a sovrapporsi, a stratificarsi e a intersecarsi in un sistema più complesso. È anche un modo diverso rispetto al passato e rispetto al contemporaneo per esaminare e per riflettere sulla città. Negli anni Sessanta c'erano i grandi temi. Da una parte l'utopia e dall'altra parte i grandi temi urbani, le grandi strutture urbane, la grande fiducia nella democrazia dell'architettura. Si costruiva attraverso modelli astratti, come Corviale o altri interventi, che hanno dimostrato poi i loro li miti . Corviale rappresenta una cultura italiana dell 'architettura che si contrapponeva ad una costruzione della città per punti, per piccole parti sconnesse. Non intendo condannarl a. Quello che abbiamo visto qui alla mostra e durante queste conferenze è piuttosto un modo più coraggioso e se volete più laico di affrontare l'architettura della città, misurandosi con il valore della concretezza da una parte e della provocazione dall'altra. Viene affrontato il problema reale, visto però a livello di sistema, e contemporaneamente vengono sviluppate proposte di tipo architettonico che non sono quelle della banalità o del la superficialità. Questo sembra rappresentare un grosso passo avanti, il segno dello sviluppo di una nuova stagione in cui fina lmente potremo confrontarci con l'amministrazione, con quanti cioè si occupano dell'architettura e della costruzione della città del domani, prima degli eventi e non dopo. Purtroppo il momento politico non è felice. Purtroppo durante questo convegno non c'è stata la presenza dell'amministrazione e me ne rammarico perché sarebbe stato l'interlocutore necessario. È evidente che questo ragionamento che si è voluto sviluppare sull'architettura è un ragionamento che riguarda il nostro ambito disciplinare, visto nelle varie accezioni e quindi visto dalla parte dell'università, che è stata una grande protagonista. Noi siamo stati semplicemente delle spalle interessate e compiaciute. L'iniziativa ha visto, in prima battuta, protagonista l'università, insieme all'IN/ARCH e al-

l'Ordine professionale. È ch iaro tuttavia che questa riflessione era rivolta anche all'amministrazione. Era un modo per indicare una possibile strada ed un possibile terreno comune per riflettere sulla città e suggerire un nuovo modo di pensare la città che spero ci possa essere utile nei prossimi anni. Esprimo quindi la mia grande felicità per questa iniziativa, il mio compiacimento e i complimenti al professor Panella e a tutti coloro che la hanno organizzata e promossa. Sicuramente è un punto di partenza importante per tutti , non soltanto per l'università ma anche e soprattutto per il mondo professionale e per il mondo dei costruttori.

PAOLO BUZZETTI i:iresidente dell'ACER Quando un anno e mezzo fa ci è venuto in mente di collaborare tra Associazione Costruttori e Università di Roma, con il DAAC, sembrava un rapporto tra mondi diversi ed estranei. Invece il messaggio principale che scaturi sce da questi giorni di convegno, da queste attività che abbiamo svolto e da quello che resterà e che continueremo a fare, è la volontà di superare la barriera tra il mondo della cultura e quello dei "brutti, sporchi e cattivi" costruttori, cominciata all'inizio degli anni Novanta. Credo che questo proposito sembrasse un'utopia insuperabile in passato. Oggi possiamo invece dire che ha portato qualcosa di positivo.

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Sicuramente noi continueremo ad appoggiare i progetti che sono stati presentati in questi giorni. Che lo strumento del promotore sia il Project Financing oggi non ha importanza, lo vedremo in seguito. Tuttavia il progetto per i Fori Imperiali del professor Panella e tutte le altre proposte presentate sono un qualcosa su cui continuare ad impegnarsi negli anni futuri. Di certo il professor Panella ha avuto il merito principale, con questo suo spirito da ragazzo e nello stesso tempo competenza da maestro, nel guidare, in quest'anno e mezzo, queste riflessioni. Il merito di aver coordinato e poi portato avanti tutti questi discorsi è principalmente suo. Oggi vorrei limitare il mio intervento a poche osservazioni sul Piano Regolatore. Prima però vorrei esprim ere qualche concetto di carattere generale. Sicuramente un difetto della città sta nella Roma dell'oblio, nel fatto che parliamo troppo e non facciamo. Questo non fare fa sì che le parole rimangano soltanto parole. È banale ma la grande verità è che come si comincia a fare qualcosa, immediatamente le parole acquistano un loro significato, ci si concentra sui fatti concreti e si risolvono i problemi da soli. Penso che le disamine sulle cose le abbiamo fatte tutte. Penso che, contrariamente agli anni Sessanta ritratti nel film di Rosi, oggi «le mani su lla città» non le abbiano solo i costruttori

ma anche i progettisti, nel senso positivo. In questi anni si sta progettando molto ma fino ad oggi nulla di sostanziale è partito. Questo è il grande difetto. Solo con la verifica sul campo si riuscirebbe ad aggiustare e a mettere a posto le cose, a farle funzionare. A questo aspetto lego il concetto del rinnovamento che forse non è apprezzato dai non addetti ai lavori ma per noi è avvenuto ed è costato lacrime e sangue. Quando sono diventato presidente dell'ACER nel 1995 ci siamo trovati di fronte alla variante delle certezze, al taglio delle cubature del vecchio piano regolatore , alla post-tangentopoli. Abbiamo deciso di aderire all'idea di una nuova impostazione, e questo è costato un passaggio culturale importante, che ha significato uno spostamento rispetto al concetto di espansione che si era vissuto fino a quel momento. Nonostante l'abusivismo, che ha prodotto dal dopoguerra ad oggi quaranta milioni di metri cubi di costruzioni abusive, abbiamo detto che la città andava ricostruita su se stessa, ripensata, riqualificata. Abbiamo aderito a questo rinnovamento. Gli articoli 11 , questo brutto termine burocratico, sono nati obiettivamente su una collaborazione e una discussione fatta con l'amministrazione. Sono un fatto importante, sono il futuro. Sono il concentrarsi su questa Roma, certo che deve mantenere il senso del passato, ma che si-

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curamente è anche una Roma costruita in maniera convulsa negli anni Cinquanta e Sessanta e che ha bisog no di una riqualificazione profonda. Abbiamo capito che nulla si può fare senza un consenso politico perché il sindaco viene eletto dai cittadini e poi non va più a fare cose nella città che sono decise a vertici di segreterie politiche ma va a decidere quello che nel dibattito cittadino viene considerato fattibile. Sono nati problemi col territorio, con le circoscrizioni. Guardate il caso dei parcheggi come esempio e guardate il caso di questi articoli 11 dove la discussione è stata portata sul territorio, con le circoscrizioni, con i cittadini e lì si è cercato di realizzare, adattare e mettere a punto il progetto. Bene, questa è la strada del futuro e questo messaggio culturale, questa identità, questo punto di contatto tra il mondo della cultura, l'amministrazione, il mondo delle costruzioni e dei progettisti è un qualcosa che è stato costruito in questi anni. Purtroppo i risultati non sono ancora così evidenti. Ora bisogna cominciare a fare, a mostrare le realizzazioni , le conclusioni e da qui si potrà vedere conseguentemente i risultati. Un secondo elemento che volevo sottolineare riguarda la questione politica. La politica da noi è ancora infantile . A Roma abbiamo visto che una metropolitana può essere di destra e di sinistra. Il motivo per cui non si è fatta la metropolitana del Giubileo è stato questo, perché qualcuno voleva la metropolitana leggera e qualcuno quella pesante: quella pesante era di sinistra e quella leggera era di destra. La realtà è questa. Non si ha un esatto ruolo delle diverse competenze. In realtà decidere una metropolitana è un fatto tecn ico, non ci vuole una decisione politica . Ci vogliono i soldi certo, ci vuole la programmazione, ci vuole il tempo per farla però non è una cosa così complicata. La politica purtroppo guasta le cose. Ora siamo a un momento decisivo nella storia di questa città perché dopo trent'anni si sta vedendo se fare o non fare il Piano Regolatore. L'opposizione dice che non vuole il Piano Regolatore e la maggioranza al governo lo vuole. Ma il Piano Regolatore è un fatto politico? De-

ve essere condizionata dalla battaglia politica che si fa in Italia per il presidente del consiglio e per chi vince le elezioni o piuttosto è un fatto importante per questa città , decisivo per i prossimi anni? Questi sono i temi fondamentali sui quali invece io vedo che non interveniamo a sufficienza, come mondo della cultura, come mondo delle costruzioni, come mondo dei professionisti. Cerchiamo, da paese civile, di mettere le decisioni nei campi giusti e non lasciarle nei campi sbagliati. La politica non deve decidere, non deve strumentalizzare un passaggio così importante. Purtroppo, invece, è quello che sta avvenendo. Così come si sta verificando dopo tanti anni, ad esempio, per l'approvazione dei programmi di riqualificazione degli articoli 11. Un altro elemento da sottolineare riguarda dove prendere i soldi dei finanziamenti. Sinceramente credo che oggi a Roma questo non sia più un problema fondamentale. Ci sono investitori stranieri che sono alle porte e chiedono di intervenire e di investire. Ormai questo processo di internazionalizzazione di Roma, onestamente è avvenuto. Anche questo non è un concetto politico. Roma ha visto una crescita esponenziale del turismo internazionale, è una meta ambita, sta nel circuito delle città che contano. Investitori che vogliano redditività dai fab-

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bricati o vogliano intervenire in opere di riqualificazione ci sono. Sono solo intimoriti e dubbiosi perché vedono un groviglio di norme confuse e tempi lunghissimi. Non vedono certezza negli investimenti. Occorrono quindi regole chiare e uno snellimento della burocrazia, che purtroppo è il nostro grande problema. Le singole persone sono anche molto preparate e competenti , ma negli uffici abbiamo problemi di mancanza di programmazione e di efficienza. Questi in sintesi sono alcuni dei grandi problemi che abbiamo di fronte e che dobbiamo risolvere per andare avanti. Concludo dicendo che il Piano Regolatore, che in questo prossimo mese e mezzo sapremo se verrà fatto o no, è stato presentato troppo tardi. Un Piano Regolatore deve meritare una discussione approfondita e lunga, non può essere fatto all'ultimo momento. La politica ancora una volta ha deciso i tempi di questa discussione. Noi comunque ci siamo rimboccati le maniche, abbiamo studiato e ragionato. Che cosa deve contenere un Piano Regolatore? Sicuramente l'obiettivo di incentivare il fare, di promuovere la riqualificazione della città e delle reti di trasporto. Queste sono le due esigenze che la città richiede fortemente, questi i due nodi su cui concentrarsi per operare a Roma. Il resto sono chiacchiere o accademia. Cosa occorre che questo Piano Regolatore, al di là del momento politico abbia? Deve avere sicuramente una definizione finale della rete dei trasporti e di quelle quattro o cinque cose fondamentali che servono, che qui non ripeto e che ormai è noto a tutti quali debbano essere. Deve inoltre avere delle norme di transitorietà che impediscano che un Piano Regolatore fatto nel 200 1 sia attuabile nel 2007 perché ci vogliono sei anni di approvazioni, di controdeduzioni e di questioni varie. Dobbiamo rispondere ad esigenze attuali e moderne. Un Piano Regolatore studiato oggi deve essere funzionante fra sei o otto mesi, non può essere studiato oggi per i prossimi otto o dieci anni. Deve avere delle norme transitorie che consentano di far continuare la vita nella città in questa attesa di decisioni che oggi sono di cinque o sei anni. Deve contenere, infine, quelle norme di riqua-

lificazione che consentano di operare sul tessuto della città con interventi di tipo medio-piccolo, che devono essere naturalmente oggetto e progetto degli architetti, e che devono infine essere discussi sul territorio con i cittadini che ne avranno utilità. Ci sono tante città a Roma, che hanno bisogno di servizi e di riqualificazione edilizia, ci sono progettisti in grado di farlo mantenendo tutte le tradizioni positive di Roma, dei grandi segni e dei grandi monumenti. L'invito è questo: rivediamoci qui o in qualsiasi degli spazi a disposizione, costruiamo tutti gli interventi e tutte le proposte progettuali possibili. Allo stesso tempo però sollecitiamo il mondo romano della cultura, il mondo dei progettisti, il mondo dell'università - e stiamo facendo questa cosa insieme - a farci sentire dal mondo della politica per fa r capire queste cose, lasciando da parte una certa "superbia". Quello che non funziona lo abbiamo capito tutti, e fino ad oggi il prezzo più alto lo hanno pagato chi costruisce e chi progetta. Tuttavia francamente credo che adesso sia importante lasciare da parte le critiche, uscire da questo isolamento e intervenire pesantemente sulla città perché se il mondo della cultura si muove in questo senso, certamente riesce ad incidere e ad incidere in maniera speriamo decisiva.

DOMENICO CECCHINI alle Politiche del Territorio del Comune di Roma As~essore

Sappiamo dal punto di vista statistico, economico, eccetera, quanto sia cambiato negli ultimi vent'anni lo scenario urbano. Credo che da qualche anno abbiamo intrapreso un percorso d iverso, siamo in uno scenario diverso. E da quello che ho potuto capire vedendo la mostra che avete predisposto è uno scenario che richiede delle impostazioni strategiche sulla città. Sicuramente c'è un rinnovamento, un cambiamento, di cui il Giubileo è stato in qualche modo acceleratore. Il fatto che in alcun i luoghi che eravamo abituati a vedere sempre uguali, ch e si trattasse di un quartiere periferico o di corso Vittorio , in

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modo ancora certamente non soddisfacente, con un'immensa fatica, le cose si siano mosse, sembrerebbe quasi non rilevante per un architetto. A mio avviso è invece rilevantissimo. Così come è rilevante l'esperienza delle cosiddette opere a scomputo, dizione sgradevole forse per indicare che ci sono migliaia di ex abusivi, di persone che si sono fatte la casa fuori del piano, dagl i anni Cinquanta in poi. Oggi queste persone affrontano insieme il problema della rata di ammortamento del mutuo, del progetto tecnico della rete e su questo cominciano a costruire un'idea del loro quartiere e di spazio pubblico. O ancora i programmi di recupero urbano. Tutto questo rappresenta un elemento di novità rispetto al passato. Mi fa intravedere la possibilità da parte dei giovani di essere nella città in modo molto diverso rispetto alla mia generazione, con una domanda di qualità urbana. Il tema del vostro convegno, le identità possibi li, è sicuramente centrale. È il luogo centrale di una riflessione sulle strategie urbane, di un'elaborazione complessissima che ha mille protagonisti, è un concerto di voci. Rappresenta una tendenza di un'econom ia, di una società e di una cultura metropolitana in un certo periodo di tempo. Tutto questo deve poter confluire in un'idea strategica della città in cui poter cominc iare a fare l'inventario delle identità possibili. Vi è necessità di questa idea strategica e abbiamo lavorato in questi anni per costruire le identità e le strategie urbane. Di queste strategie l'urbanistica e l'architettura sono un elemento, un aspetto, non sono il tutto. Però noi ci occupiamo, all'interno di questo convegno e di questa serie di laboratori che sono stati svolti in collaborazione dall 'università e dall'ACER, soprattutto di questioni di urbanistica, di città fisica , di architettura, di edilizia. La riflessione che vorrei fare a conclusione di questo saluto e ringraziamento è la seguente. Mi veniva in mente che nella prima occasione pubblica, sette anni fa, dissi che il lavoro degli anni successivi da parte nostra sarebbe stata la ri cerca della qualità. Noi, come amm inistrazione, abbiamo sostenuto nel lavoro la ricerca della qualità. Abbiamo portato avanti quell 'insieme di elementi ,

non tanto raccontabili , descrivibili ma soprattutto misurabili che danno la qualità urbana, la qualità urbanistica. Tutta la vicenda ci ha visto utilizzare quegli strumenti che ormai si citano con il numero degli articoli corrispondenti: gli arti coli 2, 11, 16. Sostanzialmente questi programmi nuovi, che sono stati introdotti da leggi nazionali e che hanno al centro l'idea giusta che solo attraverso una collaborazione, una partnership, un incontro tra l'indirizzo e le funzioni pubbliche e l'operatività dell'impresa e del privato si possa gestire una fase della storia delle città che è non più di crescita, ma di riformulazione, ricostruzione della città su se stessa. Quando si parla di riqualificazione, si intende che quello che è stato realizzato in decenni di crescita, di aumento tumultuoso, va rifunzionalizzato. Va riusato con altri criteri e soprattutto vanno fatte fortissime iniezioni di qualità urbana e cioè di funzioni, di attività, di spazi che servano non solo ad abitare, a lavorare e a muoversi co n gra nde difficoltà, ma a nc he a trascorrere tutta quella crescente quota di tempo a produrre e consumare cultura che è una funzione crescente della vita metropolitana. Tutto questo si chiama, in termini un po' generici, riqualificazione. Noi abbiamo usato molto questi strumenti che credo siano gli strumenti fondamentali del pros-

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simo futuro perché sono decisivi. Non solo perché c'è questa partnership della quale occorrerà comunque rivendicare sempre la necessità, la trasparenza, l'operatività e così via. Soprattutto perché superano una troppo lunga stagione, se volete razionalista e funzionalista, ch e ha definito strume nti tematici monofunzionali e che ha con uno spirito cartesiano suddiviso in funzioni , caselle, attività, luoghi deputati a questo o a quello, la città che cresceva, la città delle due successive rivoluzioni industriali . La stag ione che viviamo da dieci, quindici anni ormai dice delle altre cose per fortun a. Il punto essenziale di questi strumenti è che possono facilitare, possono indu rre un'idea integrata, un'idea più attenta all'effettiva vita della città, al lavoro delle persone. Certamente i quartieri di edilizia residenziale pubblica, le case dell 'INA Casa prima, della 167 poi ha nno disegnato alcuni punti. Ma la città è soprattutto reti , è soprattutto spazi pubblici. È insieme case, edifici , opere pubbliche, eccetera. Il Piano Regolatore che stiamo concludendo e che incontra forze potenti di opposizione propone un numero forte di programmi di recupero, che in base alle normative sono dei preprogetti d i risistemazione di quartiere attraverso sistemi integrati, reti locali di interventi, di opere pubbliche, reti di trasporto tecnologico e così via, spazi pubblici , ed ifici pubblici e - in misura globalmente prevalente - iniziative private di servizio o di residenza. Sono, appunto, i grandi ambiti della nostra periferia. Un impegno che ho preso e che riconfermo qui al presidente dei Costruttori Romani, è stato quello di decidere prima questi articoli 11 , cioè questi programmi di recupero, immediatamente dopo il Piano. Deciderli prima dà garanzia che il Piano non resti in attesa delle contro ded uzioni per essere applicato ma sia, in questo grande laboratorio che siamo riusciti a fare a Roma, l'attuazione immediata e concreta del nuovo Piano. Questi programmi stanno tutti dentro la cartografia 1: 10.000 del nuovo Piano. Il punto essenziale e decisivo è come si realizzeranno questi interventi e che insegnamento daranno per un nuovo corso urbanistico a Roma. lo sono assolutamente convinto che la tappa

che abbiamo già iniziato a percorrere sia quella che si chiama progetto urbano , ne lla sua versione europea e noi non siamo ancora molto attrezzati . L'esperienza di questi articoli 11 è significativa. Pensate ad esempio a San Basilio piuttosto che a Labaro, piuttosto che alla Magliana. A San Basilio si prevede la realizzazione di un vero e proprio centro civico per una città di circa 80.000 abitanti con una piazza avente funzioni commerciali e servizi; un piccolo incubatore di attività con intorno altre strutture, solo in piccola misura residenziali. Diventerà uno dei tanti esempi di come si è fatta la città dal dopoguerra ad oggi. San Basilio è un piccolo palinsesto del più grande palinsesto della città di Roma. Ci sono luog hi della città che urlano la loro qualità, abbiamo dei tesori nascosti che bisogna veramente lucidare, pulire, ripensare. Però noi non siamo ancora attrezzati. Tutti questi programmi di recupero vanno in consiglio con il planivolumetrico, una cosa rispetto alla qua le Ludovico Quaroni si arrabbiava vent'anni fa; mi ri cordo le sue lezioni. La norma regionale prevede che ancora si debba fare il planivolumetrico, per una cosa che nel tempo ha una vita dinamica forte come il progetto urbano . In realtà è possibilissimo che il centro di San Basilio, e ce ne sono molti altri di questo tipo nella città, di qui a due anni

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sere sottolineata a sufficienza. Trasformare le nostre città in musei significa ossificarle». E cita lo storico Roy Porter: «Quando le costruzioni prendono il sopravvento rispetto alla gente non ingeneriamo storia ma retaggio» 1 . Roma, certo, non è una città moderna. Tale carenza è stata notata molte volte e sono stati fatti vari tentativi per invertire questo stato di cose. Prima di entrare nel dettaglio dei nostri progetti per "Roma nel 3° Millennio", vorrei dire qualcosa su quella che potremmo definire la prospettiva olandese di Roma. Se guardiamo la storia di questa prospettiva ci rendiamo conto che, a partire dal XIX secolo, gli architetti olandesi in generale non hanno più rivolto la loro attenzione verso Roma. Gli architetti di quel secolo, da Jan David Zocher a Willem Kromhout, la visitavano come tappa obbligatoria del loro itinerario. I viaggiatori del Grand Tour non tralasciavano di vedere le opere architettoniche romane, come attestano i tanti disegni da loro lasciati. Ma l'ispirazione è difficile da trovare. Alla fine del secolo fu istituito il Prix de Rome, una specie di borsa di studio che dava a giovani artisti di talento la possibilità di viaggiare all'estero e fare nuove esperienze nell'ambito di luoghi di estrazione diversa. Dei vari vincitori quasi nessuno scelse l'Italia, togliendo così senso al nome del premio. Era ovvio che questi architetti cercavano ispirazione in quei paesi che affrontavano problemi simili a quelli olandesi2 . Ci si domandava cosa poteva dare l'esperienza italiana a un artista olandese. Del resto un pittore olandese al sud avrebbe avuto nostalgia per gli "sfumati colori del nord" e si sarebbe sentito a casa sua solo nei momenti in cui l'Italia era bagnata dalla pioggia 3. Senza aver vinto il Prix de Rame ma di sua iniziativa il giovane Berlage, nella migliore delle tradizioni del Grand Tour, visitò l'Italia, ma Roma ebbe su di lui un effetto quasi impercettibile. Fu per lui di maggiore ispirazione Venezia, come dimostra il titolo di uno dei suoi primi articoli «Amsterdam e Venezia». Ma di tutte le città visitate fu Parigi a cogliere la sua immaginazione. Un altro articolo scritto in quello stesso anno parlava di San Pietro, ma certo non in termini lusinghieri. A dire il vero, sottolineò più i difetti che i pregi di questa costruzione. Ciò malgrado, alcuni disegni tenuti nel suo archivio denotano come alcune costruzioni, co-

me Villa Giulia, attirarono la sua attenzione. Negli anni a seguire, lo scrittore Louis Couperus fu in tutta probabilità uno dei pochi intellettuali olandesi a risiedere a Roma per un certo periodo di tempo. Nel suo trattato Couperus al tempo di Couperus, Mario Praz aveva già notato la mancanza di interesse per Roma manifestata da questo scrittore olandese4 . Per Couperus, uno dei pochi artisti olandesi della scuola del decadentismo, le vedute della campagna erano ben più importanti di quelle della città, in quanto più ricche di incontri occasionali. Persino grandi eventi come la mostra del 1911 sembrano non aver suscitato grande interesse negli artisti olandesi. L'immagine statica della città era considerata fu ori moda e comunque non rappresentativa del mondo moderno. Inoltre, per molti Roma era il frutto di un pensiero autoritario simboleggiato nel frequente uso di massi pesanti e di colonne di stile classico. È al contempo ironico e rimarchevole che uno dei primi a provare interesse per i problemi della Roma moderna, sia stato il professore di storia dell'arte e direttore dell'Istituto Olandese di Roma G. J. Hoogewerff. Nel suo libro Felix Roma , pubblicato nel 1928, fece un'analisi sia verticale che trasversale della città eterna e delle sue idiosincrasie5 . Hoogewerff, profondo conoscitore di Roma, tocca nel vivo i difetti di Roma e della politica di Mussolini. In particolare, nel capitolo dedicato a «Roma Metropolis» , dà una immagine alquanto ridicola della tragica situazione del traffico della capitale. A suo dire, Roma moderna è troppo moderna per Roma. È conscio del fatto che il centro di Roma non è, per esempio, più grande di quello di Haarlem in Olanda. L'isolamento dei monumenti non fa che produrre vuoti incolti che riducono tali monumenti a semplice funzione decorativa. Sono toccanti le sue osservazioni su come la popolazione della metropoli fu costretta a guidare a destra a seguito del decreto del marzo 1925. E per quanto concerne le metropolitane osserva che anche se allevieranno un po' la situazione, sara nno ben poca cosa, considerando anche le enormi difficoltà che sarà necessario affrontare nel farle. Il professore olandese apprezza il lavoro di Marcello Piacentini, e in particolare la sua proposta di trasferire la stazione principale in un luogo dove poteva meglio servire le esi-

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1

R. RoGERS, Cities far a small planet, London 1997, p. 82.

2

Cfr. H. IBELINGS (ed.), Uitgesproken talent. De geschiedenis van de Prix de Rame voor Schone Bouwkunst, Rotterdam 1990.

3

J. D1JKSTRA et a l., Prix de Rame. 100 jaar, Utrecht 1985, p. 29.

4

M. PRAZ, Panopticon Romano Secondo, Roma 1977, pp. 120133.

5 G.

J. H ooGEWERFF, Fe/ix Roma, Zutphen 1928, cap. 23.


genze del trasporto di massa. Illuminante è il fatto che, pur essendo storico dell'arte, Hoogewerff indica chiaramente il fatto che Roma debba modernizzare il suo sistema di viabilità e adattarsi alle regole del mondo esterno. Essa non può contare sulla sua reputazione per avere uno status separato. Di tutt'altro tono è l'articolo che Theo van Doesburg pubblicò poco dopo, nel 1929. Il titolo «La battaglia per Roma: monumentalità classica o architettura del traffico» già dà indicazioni della direzione che Doesburg vuole prendere6 . In quanto modernista radicale rigetta la monumentalità classica, e chiede un'architettura funzionai-costruttiva come quella che intravedeva nel lavoro di giovani architetti come Gaetano Minucci e Adalberto Libera. Van Doesburg non voleva avere nulla a che fare con il Piacentini. La rivisitazione della tradizione romana doveva portare all'abolizione dell'ornamentale e produrre edifici capaci di mostrare in che cosa erano veramente grandi i Romani: la costruzione. Evidente ammirazione per il lavoro di Piacentini la si trova invece negli scritti di S. van Ravesteyn, uno dei pochi architetti olandesi che fu ispirato da Roma. Nel 1936 aveva visitato una mostra con proposte per la pianificazione della città. Fu comunque solo dopo la guerra, nel 1952, che pubblicò un articolo su via della Conciliazione e i benefici che l'intervento aveva portato alla città. Poco prima, van Ravesteyn, architetto della stazione centrale di Rotterdam, aveva scritto un articolo sulle stazioni d' Italia nella stessa rivi sta di arch itettura «Forum». Il suo interesse per l'architettura italiana traspare dalla lezione che egli diede a Roma nel 1954 sull'architettura olandese, e dai suoi studi su piazza del Popolo a partire dal 1958. Ma van Ravesteyn, che non aveva paura di inserire motivi barocchi nel suo lavoro, era un'eccezione. Va inoltre aggiunto che non può in nessun modo essere considerato un urban planner. Il suo punto di vista era di quello di un esterno7 . L'immagine di Roma era in un certo qual senso periferica alla cultura olandese mentre interessava di più scrittori e pubblicazioni anglosassoni, le quali avevano comunque una certa influenza in Olanda. Fu grazie a queste pubblicazioni che Roma non sparì completamente dal dibattito sull'architettura, anche se veniva sempre presentata

come caso irto di particolari problematiche dal quale trarre lezioni, ma che non poteva essere visto come esempio moderno di urban planning. Già prima della seconda guerra mondiale, nel 1938, il sociologo americano Lewis Mumford dedicò alcuni paragrafi a Roma nel suo libro «La cultura delle città». Piuttosto che come esempio di nuovo ordine urbano, Mumford incluse Roma quale esempio di contro-immagine. Scrisse: «Proprio l'indistruttibilità di pietra e mattoni, che permette loro di resistere al tempo, le porta anche e in definitiva a resistere alla vita. La pietra dà un falso senso di continuità per il mero fatto che continua a esistere senza essere scalfita dagli eventi. Ma il fatto è che la forma esteriore può solo confermare una vita interiore: non ne è un sostituto. Ogni credo vivente, ogni desiderio e ogni idea, deve essere rinnovato in perpetuo, di generazione in generazione: ripensato, riconsiderato, nuovamente voluto, ricostruito, se si vuole che duri nel tempo. L'avvizzimento che nel corso dei secoli l'antica Roma ha dato all'immaginazione dell' Italia testimonia la forza pietrificante del monumento: ogni generazione si trova a montare di guardia sopra un cimitero, e ripete la parola d'ordine della sua impolverata sfida» 8 . Ma è proprio la discussione sul monumento e l'utilizzo di antichi materiali di costruzione che gli olandesi vedono come praticamente inutili. In occasione dell'Anno Santo del 1950 I' «Archi-

6 T. VAN DOESBURG,

De Stijl en de Europese architectuur De architectuuropstellen in Het Bouwbedrijf 1924-1928, Nijmegen 1986, pp. 217-222.

7

Per l'elenco degli scritti di van Ravesteyn cfr. il catalogo S. van Ravesteyn, Amsterdam/Utrecht 1977.

....

_, J " I "

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·-


tectural Review» pubblicò un numero speciale sulla città eterna intitolato: «Roma: la terza sacca». Henry Hope Reed diede qui il suo punto di vista sui problemi di Roma e sulle loro cause. Vedeva alla fonte dei problemi di Roma il fatto che si costruivano praticamente solo strade e sosteneva che dietro i problemi della Roma moderna c'erano la speculazione e l'imperialismo. Non ebbe poi timore nell'additare le responsabilità dei romani benestanti e la loro politica. «Sembra che ci sia una mancanza di senso critico, una mancanza di accurata valutazione del nuovo, una mancanza di istintivo apprezzamento di quello che la città rappresenta in senso architettonico sia per la storia che nel mondo». Reed ha ragione, ma va aggiunto che c'è una mancanza di coraggio, non a parole ma nei fatti. Una volta presa una decisione, verrà rid iscussa sino alla fine del mondo. Magari una costruzione verrà iniziata, ma poi verrà lasciata diventare rudere appena il dibattito che la travolge assumerà toni pesanti. Lo storico americano di town planning Spiro Kostof si appropriò del termine "terza sacca" nella sua mostra americana sulla terza Roma, con il sottotitolo "traffico e gloria"9 . La sua tesi era che politici, proprietari terrieri e speculatori avevano «distrutto un terzo dell'ambiente urbanizzato e più della metà del verde in nome del progresso e del rinnovo urbano». Roma era stata costretta a diventare città moderna da una popolazione implosiva e dalla macchina. Kostof praticamente non parla dei piani fatti prima del 1973 - la storia di quella che lui chiamava la quarta Roma - ma ha da dire su alcuni interventi come il famoso "asse attrezzato" che «potrebbe prosciugare la vita natia della città e trasformare il centro città in un fantasma per turisti e pellegrini. Ma fondamentalmente lo è già. La Roma dei romani è la periferia che invade il tesoro all'interno delle mura, ormai solo una frazione della disordinata massa cittadina». La sua conclusione è che il centro di Roma è diventato nulla più che un museo. Pur accettando tale affermazione ciò non significa che non vi sia ancora rapporto tra le parti museali e altre parti vitali della città che hanno bisogno di essere rafforzate e ripianificate. La viabilità, sia quella veloce che quella lenta, va ridefinita in maniera ordinata e al contempo spettacolare, in sintonia con la dizione dei nostri tempi.

Come scrisse T. S. Eliot, «i monumenti esistenti formano un ordine ideale fra di loro, che è modificato dall'introduzione della nuova (veramente nuova) opera d'arte posta fra loro. L'ordine esistente è completo prima dell'arrivo dell'opera nuova; perché esista l'ordine dopo la soprawenienza del nuovo, l'intero ordine esistente deve essere, anche se solo minimamente, cambiato; e così i rapporti , le proporzioni, i valori di ogni opera d'arte rispetto all'intero devono essere riaggiustati; e questa è la conformità fra il vecchio e il nuovo. Chiunque abbia accettato tale concetto dell'ordine[...] non troverà assurdo che il passato debba essere cambiato dal presente in egual misura in cui il presente è indirizzato dal passato» 10 . Per quanto concerne i nostri progetti, è chiaro che non ci aspettiamo soluz ioni dall 'uso di un fiorito linguagg io architetton ico mirato a "modernizzare" una città che si è sempre opposta a tale attitudine. Partiamo da considerazioni su ll'uso futu ro della città in contrapposizione al suo attuale funzionamento. Rielabora ndo il pensiero di Louis Kahn s ul le parti a serviz io e le parti servite di un a costruz ione abbiamo proiettato tale concetto sulla città. Ciò ci ha portato alla considerazione che le infrastrutture della città saranno in futuro la sua spina dorsale, e che se tale spina dorsale non ne costituisse l'identità creerebbe comunque possibilità per le vecchie e le nuove

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6

L. MuMFORD, The culture of cities, New York 1938, p. 435.

9 S. KosrnF, The third Rame. Traffic and glory, Berkeley 1973. 10

Se/ected Prose of T. S. Eliot, London 1975, p. 68.

11 S. CHERMAYEFF,

Random thoughts on the architectura/ condition, in The history, theory and criticism of architecture, Camebridge (USA) 1965, p. 29.


1I

identità, formando una dinamica struttura di base sulla quale costruire un ulteriore sviluppo della stessa, pur con tutte le sue contradd izioni . Non è nostro intento interferire nelle discussioni fra istituzioni o prendere posizioni , così come non ci interessa una rifl essione su queste istituzioni e sul modo con il quale arrivano a determinati compromessi invece di raggiungere una convinzione del loro ruolo, non solo rispetto a Roma ma in generale rispetto al mondo. Roma è una città globale e dovrebbe guardare a come altre città g lobali affrontano i loro problemi, ma non dovrebbe dimenticare che la sua stratificazione culturale è ben più ricca, e che in quel senso è unica e più globale di qualsiasi altra città. Come disse Lord Byron, se cade Roma cade il mondo. Roma si è trovata a vacillare molte volte sotto il peso della corruzione e di altri fattori. Il mondo è ancora in piedi e Roma dovrebbe guardare a questo mondo e guadagnarsi il proprio ruolo futu ro. Roma è più del «prototipo di tutte le città storiche europee» , come fu scritto in un «Architectural Review» del 1956. È un esempio di come affrontare grandi, complicate, complesse città che avranno particolari difficoltà negli anni a venire, nel loro tentativo di fa r confluire differenti identità in un agglomerato unico. Per Roma, un rinfrescante confronto con opinioni che vengono dall'estero potrebbe liberare la città e molti dei suoi amministratori dalla loro storica sclerosi mentale. L'adottare visioni radicali richiede coraggio e, soprattutto, la consapevolezza che possano riuscire solo se non si pensa alla città su scala locale, ma coinvolgendo un territorio più ampio. I costi saranno maggiori, ma lo saranno anche i benefici per il funzionamento della città in tutte le sue dimensioni. Ciò non significa che Roma debba cadere nella pratica comune di invitare "i grandi nomi" a costruire nella città. Già nel 1965 Serge Chermayeff ammonì che ormai gli architetti non sono solo soggetti allo sfruttamento di speculatori professionisti , che certo non sono dediti al bene delle cause comuni, ma che essi stessi stanno diventando speculatori. «Essi sono peggiori degli speculatori; gli architetti sono delle prostitute, svolgono la seconda delle professioni più antiche, aspettando agli angoli delle strade che

qualcuno li carichi, e pensano che sia un bene essere caricati da gente con molto denaro» 11 . Ciò nonostante, si deve dare un'opportunità all'immaginazione a livello urbano. I progetti olandesi qui presentati sono il risultato di un seminario durato tre giorni. Le informazioni sono state reperite principalmente su Internet.

JACQUES BOULET Ecole d'Architecture di Paris La Villette Racconti. Fine delle città e della città. La città sarebbe cosa del passato, ridotta alla traccia di se stessa. Il sentimento di una scomparsa lenta, dove si fondono inquietudine e nostalgia, a volte speranza, spesso indifferenza, ha allontanato dai discorsi sulla città le convinzioni più ferme. Dopo la città benefica o malefica, promessa della libertà e origine di ogni corruzione, l'espansione diffusa della società urbana, la sua dispersione. Dopo l'urbano, qualcosa senza nome, già presente nei parossismi dell'urban izzazione e nella devastazione urbana, un al di là del non-urbano, ancora a venire come un ambiente di non luogo. Tuttavia l'annuncio di un cyber-mondo promette un'imminenza comunitaria, quella del villaggio globale o della città planetaria, che si giocherà sulla scena di uno spazio pubblico virtuale. La città è morta, viva la città? Domande. Fine delle città e della città. La questione della città, del suo senso, non si po rrebbe più dunque che a partire dalla sua assenza o dai suoi resti, o semplicemente non avrebbe più senso. Quale città è scomparsa dopo tante altre? Che cosa fu quella città? Che cos'è la città? Che città vogliamo? Tali domande richiederebbero delle risposte che aggiungano nuove istituzioni innalzate alla diversità di ciò che fu definito "città" nel corso della storia. La città non è più una questione di quest'ordine ma un problema, piuttosto tecnico, urbanistico, dell'ordine di cosa fare o di come fare? Cosa fare delle città storiche? O come fare della città, dell'u rbano e anche de lla città su lla città? La città, diventata problema, rientra ormai nella competenza di un esperto in habitat. Le soluzioni mettono in opera una razionalità

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SI ringraziano: Il Palazzo delle Esposizioni di Roma L'ln/Arch Lazio L'Ordine degli Architetti di Roma e Provincia Il Comune di Roma, Dipartimento alle Politiche del Territorio La Società Roma 2000 Le Università di: Delft, Weimar, Darmstad Tutti coloro che a vario titolo hanno dato il loro prezioso apporto progettuale e teorico contribuendo alla qualità degli esiti di questa iniziativa Antonio Donato Puzzutiello per le immagini fotografiche scattate durante la mostra e il Forum, utilizzate in questo volume

Traduzioni: Stephen Scott per i testi in inglese Isabella Ceccarini per i testi In francese Marco Fano per i testi in spagnolo

Crediti fotografici: Le Piante di Roma a cura di A. P. Frutaz Volumi I, Il, Roma 1962 Istituto Italiano di Cultura in Libera Università " La Sapienza" Facoltà di Architettura di Roma -Progetto RomaLa Facoltà di Architettura e la Città Anno 2000 «Cap itolium», novembre 1997, I, n. 3 «Capitolium», aprile 1999, Il, n . 8

L'ar chitettura di Villa Borghese a cura di Beata Di Gaddo Groma Quaderni 5, Fratelli Palombi Editori, Roma Roma Antiqua Grandi Edifici Pubblici Edizioni Carte Segrete Roma 1992 Roma Antiqua L'Area Archeologica Centrale ~cadèmie de France, Rome . Ecole francaise de Rome & Ecole nationale superieure des Beaux-Arts Roma 1985 Roma Anni Novanta L'edilizia residenziale pubblica e la nuova forma della città Sapere 2000




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