UNO NESSUNO OTTOMILA La questione del Regolamento Edilizio Unico: vicende e problemi
UNO NESSUNO OTTOMILA La questione del Regolamento Edilizio Unico: vicende e problemi
relatore: prof. Stefano Moroni
Matteo Calati, 834125
Scuola di Architettura Urbanistica Ingegneria delle Costruzioni Corso di Laurea Magistrale in Urban Planning and Policy Design
anno accademico 2015 / 2016
Indice Abstract.........................................................................................................4 0 Introduzione................................................................................................7 1 Il regolamento edilizio in Italia...................................................................11 1.1_ Dalla nascita alla Legge Urbanistica del 1942..........................................12 1.2_ Le definizioni di Regolamento Edilizio: confronto tra Regioni......................17 1.3_ Confronto tra regolamenti edilizi...............................................................25 2 Verso il regolamento edilizio unico............................................................29 2.1_ La perdita di integrità...............................................................................30 2.2_ Il problema della semplificazione..............................................................33 2.3_ La nascita del Regolamento Edilizio Unico...............................................38 3 I problemi dell’attuale (e del futuro) regolamento edilizio.........................43 3.1_ 8000 regolamenti: perché tante differenze?.............................................44 3.2_ Critiche agli attuali regolamenti edilizi........................................................46 3.3_ Le 42 definizioni univoche.......................................................................53 3.4_ “Superficie” ed il ripresentarsi della questione urbanistica..........................58 4 Commenti e considerazioni finali..............................................................63 4.1_ Regolamento Edilizio Unico: pro e contro.................................................64 4.2_ La ‘soddisfazione’ del cittadino, letta tramite il caso delle safety regulations.............................................................................................69 4.3_ Il rapporto unificazione - semplificazione...................................................73 4.4_ Conclusioni.............................................................................................77 Bibliografia...................................................................................................80 Appendice I_ Interviste.....................................................................................................84 II_ Quadro delle definizioni uniformi................................................................128
Abstract Uno, Nessuno, Ottomila fa chiaro riferimento all’opera pirandelliana Uno, Nessuno e Centomila, ad indicare la natura degli 8000 regolamenti edilizi attualmente vigenti in Italia. La similitudine con il romanzo non si limita tuttavia al solo titolo: il regolamento edilizio è da molto tempo in una ‘crisi di identità’, evidenziata da anni da parte di architetti, geometri, ingegneri, costruttori e tutte quelle figure professionali aventi uno stretto rapporto con questo documento, sottolineando come le eccessive differenze di articoli, struttura ed intenti tra un regolamento edilizio e l’altro abbiano reso ingestibile e non più appetibile l’attività edilizia in Italia. Quello che si vuole trattare in questa tesi, oltre ad una ricostruzione della attuale situazione della regolamentazione edilizia, è la concezione e sviluppo del regolamento edilizio unico, testo che ha lo scopo di andare a sostituire tutti e 8000 i regolamenti con un solo documento, al fine di rigenerare e semplificare l’attività edilizia in Italia. La tesi, come appena detto, si compone di una analisi degli attuali regolamenti edilizi e la prima bozza del regolamento edilizio unico, andando poi a riscontrare le varie criticità che emergono dall’attuale sistema documentaristico tramite articoli, commenti personali e soprattutto interviste ad architetti, geometri e costruttori, allo scopo di far emergere i pensieri ed i dubbi dal punto di vista di diverse figure professionali. La tesi si conclude quindi con un resoconto riguardo i pro ed i contro sul futuro regolamento edilizio unico, e se abbia senso averne uno, ottomila… o nessuno.
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Uno, Nessuno, Ottomila (One, No One, Eight Thousand) is a clear reference to the work of Luigi Pirandello Uno, Nessuno e Centomila (One, No One and One Hundred Thousand), to specify the nature of the 8000 building codes actually active in Italy. The similarities with the novel are not just related to the title: the building code suffers of an ‘identity crisis’, highlighted across several years by architects, surveyors, engineers, builders and any other professional figure related with this document, underlining how the excessive differences between articles, structures and intents between on building code and the other made unmanageable and no more attractive the building activity in Italy. What this thesis wants to show is, together with a reconstruction of the actual situation in building documents, the idealization and development of the unique building code, text with the role of substituting the whole 8000 building codes with one single document, in order to regenerate and simplify the Italian building activity. The thesis, as just mentioned, is composed by an analysis of the existing building codes and the first draft of the unique building code, recognizing then the different problems emerging from the actual documentary system, by the use of articles, personal opinions and especially interviews with architects, surveyors and builders, in order to arise thoughts and doubts according to the point of view of different professional figures. The thesis concludes with a summary about pro and contra the future unique building code, and if it is reasonable to have one, eight thousand‌ or no building code.
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0 Introduzione
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In un articolo de Il Corriere pubblicato a fine gennaio 2016 si è parlato dell’assurdità di alcuni articoli contenuti nei regolamenti edilizi di tutta Italia, in alcuni casi arrivando all’ilarità per quanto siano specifici o superflui, come è possibile leggere all’art.42 del regolamento edilizio di Firenze, per il quale «non costituiscono pareti finestrate le pareti prive di aperture» (Rizzo, 2016). Nel medesimo articolo si continua poi ad analizzare in maniera ‘tragicomica’ le differenze tra le principali città italiane in materia di definizioni, dalle camere matrimoniali «di 14 metri quadrati a Firenze e di 12 a Milano, mentre a Reggio Calabria […] devono avere una cubatura minima di mc. 24,30», al rivestimento impermeabile dei bagni, dove «a Milano deve avere un’altezza minima da terra di un metro e 80 centimetri [mentre] a Napoli basta un metro e mezzo» (Rizzo, 2016).
8000 regolamenti per 8000 Comuni Questa introduzione ha lo scopo di rendere evidente il caso Italiano per quanto riguarda la ripartizione dei regolamenti edilizi, dato che l’attuale normativa prevede che ogni Comune (basandosi su linee guida dettate da Governo e Regioni) ha la facoltà ed il dovere di compilare il proprio regolamento edilizio, generando di conseguenza l’attuale situazione di 8000 differenti regolamenti per 8000 Comuni. Il vero problema, quello che rende davvero necessario trovare una soluzione alternativa, sono le strutture sempre più complicate di tali documenti, che negli anni sono diventati enormemente descrittivi e propensi all’interpretazione, generando non solo confusione ma anche un allungamento nei tempi di sviluppo, con conseguente aumento dei costi e perdita di interesse da parte degli investitori. Stando a Legambiente, sono stati ben 1182 i Comuni che negli ultimi anni hanno apportato modifiche al proprio regolamento edilizio, soprattutto per quanto riguarda l’inserimento dei parametri riguardanti la riduzione dei consumi energetici e idrici, per migliorare la vivibilità e salubrità degli edifici (Legambiente, 2015).
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I lunghi tempi dell’edilizia italiana In una recente ricerca della Banca Mondiale, l’Italia si classifica al 151° posto su 185 Paesi analizzati in relazione ai giorni necessari ad ottenere un permesso edilizio, precisamente 227,5 giorni, con Danimarca e Finlandia prime in Europa con 64 giorni ciascuna; ci superano addirittura Paesi come Ucraina e Macedonia, con rispettivamente 67 e 74 giorni (World Bank Group, 2015). È soprattutto per questi motivi, fa notare il Consiglio Nazionale degli Architetti, che l’interesse per l’edilizia in Italia sia crollato negli anni, ed i grandi investitori abbiano perso interesse per il nostro Paese, rivolgendosi altrove; considerando poi che il settore dell’edilizia rappresenta il 15% del Pil nazionale, è evidente l’interesse di architetti e tecnici di introdurre (o re-introdurre) un Regolamento Edilizio Nazionale, speranzosi che la promessa del decreto Sblocca Italia raggiunga prima o poi una conclusione (Il Ghirlandaio, 2014). Sono i sostenitori del documento unico a commentare che sia la frammentazione e la differenziazione del regolamento edilizio il suo vero tallone d’Achille: «una vera e propria follia normativa», ha commentato l’ora ex-presidente del Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori (Cnappc) Leopoldo Freyrie, una frammentazione «che aveva partorito ben oltre 8mila regolamenti diversi, uno per Comune, generando solo confusione e complicando enormemente non solo la costruzione, ma soprattutto la rigenerazione degli edifici» (Iorlano, 2014).
Lo Sblocca Italia In cosa consiste la speranza riposta nel D.L. 133/2014, detto appunto Sblocca Italia? Questo documento, appoggiandosi alle disposizioni del d.P.R. 380/2001 prevede la stesura di un regolamento edilizio unico con un team-work tra Governo, Regioni ed autonomie locali, in modo da adottare lo schema di un regolamento edilizio-tipo per semplificare, uniformare ed adottare le attuali norme; si dovranno in questo modo indicare i requisiti per le prestazioni energetiche degli edifici - già ampiamente menzionate da norme europee e nazionali - per poi stabilire un livello prestazionale unico e valido per tutto il territorio.
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Le grandi aspettative verso il documento unico stanno anche nella possibilità di poter usufruire di un testo che, come dichiarato in un
articolo di Legambiente dallo stesso vicepresidente Edoardo Zanchini, comprenda in modo chiaro, semplice ed universale «gli interventi di riqualificazione energetica e antisismica del patrimonio edilizio, […] per chiarire i parametri di riferimento per gli interventi e le prestazioni da
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raggiungere, tenendo conto delle Direttive europee e del quadro delle innovazioni già prodotte dai regolamenti edilizi comunali oggi diffuse nel territorio italiano, [il tutto] facendo attenzione a non abbassare l’asticella degli obiettivi energetici in edilizia e lasciando la facoltà a Regioni e Comuni, all’interno dei parametri stabiliti, di fissare obiettivi più ambiziosi di innovazione» (Legambiente, 2015). Nel medesimo articolo, vengono inoltre chiariti quali dovrebbero essere i punti da tenere in considerazione durante la creazione del regolamento edilizio unico: «il primo obiettivo del regolamento tipo deve essere quello di chiarire i riferimenti per gli interventi in modo da accompagnare l’innovazione, [mentre] il secondo obiettivo riguarda la semplificazione degli interventi di efficienza energetica, [soffermandosi soprattutto sull’] introdurre semplificazioni e vantaggi per gli interventi di retrofit energetico degli edifici condominiali» (Legambiente, 2015). Le aspettative sono tante, la posta in gioco per la rinascita dell’edilizia italiana è molto alta e ad avvantaggiarsene non sarebbero solo i privati ed i professionisti, ma anche i cittadini stessi. Procedendo ora con ordine, vediamo lo sviluppo storico degli attuali regolamenti edilizi e la realizzazione di quello unico.
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(fonte: edilportale.com)
1 Il regolamento edilizio in Italia
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1.1_ Dalla nascita alla Legge Urbanistica del 1942 Vediamo di creare una breve storia sulla nascita dei regolamenti edilizi in Italia e la loro evoluzione, considerando anche la loro origine a livello europeo.
Dal medioevo al tardo ‘800 È a partire dal periodo tardo-medioevale che, in Italia, è possibile trovare le prime disposizioni di natura edilizia ed urbanistica, anche se già con Vitruvio nel suo De architectura del 25 a.C., e successivamente Leon Battista Alberti nel 1450 con il De re aedificatoria, si possono identificare delle regole sull’edificazione urbana, descrivendo i materiali da utilizzarsi e linee guida struttura esterna degli edifici. Tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, prima in Inghilterra, poi in Francia ed in fine in Italia, si iniziarono a produrre i primi documenti riguardanti i provvedimenti per igiene e sanità all’interno dei centri urbani, divenuti in quel periodo densamente abitati e richiedenti modalità per ridurre la diffusione di malattie e germi. Il primo, per l’appunto in Inghilterra, avvenne nel 1848 con il Public Health Act, divenuto poi Board of Health: tale documento andava a garantire una maggiore salubrità ai cittadini inglesi, in modo da ridurre la diffusione di malattie e pestilenze causate molto spesso da un sistema edificatorio inizialmente molto libero. Vennero instaurati in questo modo un sistema di nettezza urbana, la realizzazione di fognature sotterranee (con rimozione di quelle superficiali), i primi bagni e lavanderie pubbliche ed altre restrizioni su tipo di pavimentazioni ed attività commerciali. In Italia lo stesso provvedimento avvenne con la Legge n.2892 del 1885, “Per risanamento della città di Napoli” - detta più comunemente Legge Napoli -, destinata al recupero e alla riqualificazione della stessa città partenopea, a partire dalla realizzazione di un sistema fognario e di uno viabilistico all’interno dei nuovi quartieri, per garantire maggiore illuminazione su strada e dalle finestre.
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L’edilizia ad Ascoli Piceno Una delle prime implementazioni di un regolamento edilizio in Italia si ha verso la metà del diciannovesimo secolo, nella città di Ascoli Piceno: il provvedimento, voluto dal Governo pre-unità, si volse non solo per garantire l’adeguato livello di salubrità all’interno della città, quanto più
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per formare e garantire un certo livello di omogeneità all’interno del territorio italiano, fisico e morale. Questo desiderio di uniformità sorse perché le regole edilizie dell’epoca facevano riferimento a regolamenti quali lo Statuto del Popolo del 1377 e gli Statuti dei Viali (Stabilini, 2012), più volte modificati nel corso dei secoli: tali documenti non descrivevano la pratica edilizia come una serie di regole cui fare riferimento, ma era a discrezione del proprietario terriero prendere decisioni riguardo le attività costruttive da svolgere sul proprio territorio. In poche parole l’edificante, all’interno delle mura della proprietà, aveva libero arbitrio e completa indipendenza dalla pubblica amministrazione. Di fatto, nella città di Ascoli (come in molti altri comuni dell’epoca), era lecito «a ciascun proprietario lo sbizzarrirsi a talento sulla scelta delle forme e degli stili a ragione del suo gusto o dell’Architetto o della destinazione del fabbricato» (Stabilini, 2012); altresì era concesso spingere la propria autorità sull’immediato intorno, qualora due vicini volessero chiudere le strade presenti tra loro. Ad essere più precisi, erano sì presenti delle norme che tentavano di mantenere l’unità ed il bell’aspetto delle città, ma le uniche possibilità di modifiche urbane da parte dell’amministrazione erano concesse sul suolo pubblico, senza avere alcun potere sulle proprietà private. Tali disposizioni, per la città di Ascoli Piceno, rimasero in vigore fino all’annessione al Regno d’Italia. Fu con il ripristino del governo pontificio del 1816 che vennero introdotte nuove norme sull’edilizia, le quali portarono ad un graduale indebolimento delle facoltà individuali, ad un sempre più forte interesse nel conservare gli edifici storici e quelli di carattere artistico, alla realizzazione di strade più ampie e ariose e ad una maggior tutela dell’igiene urbano e dell’abitato.
I primi regolamenti edilizi È solo nel nel 1843 che viene redatto il primo testo completo di regolamento edilizio, a Torino: fino ad allora i vari regolamenti approvati non riguardavano l’intera città, ma si limitavano all’area di espansione
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urbana. Il fine di avere un documento che riguardasse tutto il territorio comunale aveva l’importante funzione di limitare il diffondersi di varie forme di speculazione sui vecchi piani, oltre all’accertarsi che l’edilizia privata non fosse in contrasto con le opere di abbellimento decretate per la città. I neonati regolamenti edilizi si caratterizzavano per la presenza di molte definizioni di carattere strutturale, descrivendo in maniera più o meno dettagliata i tipi di materiali concessi per la costruzione e la copertura delle pareti, le distanze tra edifici, la posizione delle canne fumarie e via dicendo: con questo provvedimento emerge l’evidente desiderio di omologazione ed unificazione dell’architettura a scala urbana, tramite la stesura di un documento che dia nelle mani della pubblica amministrazione la facoltà di standardizzare l’attività edilizia. Fu proprio con l’evoluzione, la crescita e la ridefinizione di tali regolamenti e norme igienico-sanitarie che, nel corso dell’ultimo secolo, si è venuto a comporre quello strumento che comunemente oggi siamo soliti chiamare regolamento edilizio.
Da orale a scritto Qualora dapprima la conoscenza di tale documento era formalmente orale, la pubblicazione di un regolamento edilizio divenne oltremodo necessaria quando la composizione delle aree urbane raggiunse un livello tale da potersi definire città. Fu essenziale in questo senso la definizione di un documento che elencasse e definisse la proprietà di spazi e strutture, distinguendo quindi le proprietà private da quelle pubbliche: questa differenziazione scritta andava a sottolineare ancor di più la percezione che un cittadino aveva dello spazio urbano attorno a sé, trovando precisazioni su ciò che era concesso fare a seconda della natura del luogo. Un chiaro esempio si evince con la lottizzazione di un terreno, ove il proprietario va a sancire normativamente i propri diritti, il possesso del suolo e di tutto ciò che sorge sopra ad esso; allo stesso modo il regolamento edilizio pone dei limiti sul tasso di edificazione e sulla frammentarietà dell’ambiente urbano.
Il regolamento edilizio e l’urbanistica Il regolamento edilizio fin dalla sua nascita è stato uno strumento
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fondamentale e completo, contenente al suo interno ogni passaggio che il processo edilizio va a toccare, dall’ideazione alla demolizione ed
allo smaltimento: già agli inizi del XX secolo, quando ancora mancavano legislazioni statali di carattere urbanistico, fu il regolamento edilizio a sopperire tali assenze, contenendo già in sé caratteri e discipline di tipo amministrativo, anticipando le funzioni che in seguito furono acquisite dai PRG (oggi PGT); allo stesso modo, le prime discipline relative
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alle funzioni della polizia urbana (altro elemento fondamentale per la definizione del documento) furono inserite all’interno del regolamento edilizio con la L.2248 del 1865, detta Legge per l’unificazione amministrativa del Regno d’Italia, descrivendo le prestazioni necessarie di un edificio allo scopo di garantire la viabilità interna al centro abitato. Fu con l’avvento della Legge Urbanistica n. 1150 del 1942 che si giunse ad una disciplina del regolamento edilizio più simile a quella attuale, stabilendo in maniera definita e chiara i contenuti e le procedure di tale documento. Nello specifico, era l’art.33 quello che definiva il contenuto dei regolamenti edilizi comunali (ora abrogato dall’art. 136 del d.P.R. n. 380 del 2001); questi dichiarava: «I Comuni debbono con regolamento edilizio provvedere, in armonia, con le disposizioni contenute nella presente legge e nel testo unico delle leggi sanitarie approvato con R. decreto 27 luglio 1934, n.1265, a dettare norme precipuamente sulle seguenti materie, tenendo, se ne sia il caso, distinte quelle riguardanti nucleo edilizio esistente da quelle riguardanti la zona di ampliamento e il restante territorio comunale: 1.
la formazione, le attribuzioni e il funzionamento della Commissione edilizia comunale;
2.
la presentazione delle domande di licenza di costruzione o trasformazione di fabbricati e la richiesta obbligatoria dei punti fissi di linea e di livello per le nuove costruzioni;
3.
la compilazione dei progetti di opere edilizie e la direzione dei lavori di costruzione in armonia con le leggi in vigore;
4.
l’altezza minima e quella massima dei fabbricati secondo le zone;
5.
gli eventuali distacchi dai fabbricati vicini e dal filo stradale;
6.
l’ampiezza e la formazione dei cortili e degli spazi interni;
7.
le sporgenze sulle vie e piazze pubbliche;
8.
l’aspetto dei fabbricati e il decorso dei servizi ed impianti che interessano l’estetica dell’edilizia urbana (tabelle stradali, mostre e affissi pubblicitari, impianti igienici di uso pubblico, ecc.);
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9.
le norme igieniche di particolare interesse edilizio;
10. le particolari prescrizioni costruttive da osservare in determinati quartieri cittadini o lungo determinate vie o piazze; 11. la recinzione o la manutenzione di aree scoperte, di parchi e giardini privati e di zone private interposte tra fabbricati e strade e piazze pubbliche e da queste visibili; 12. l’apposizione e la conservazione dei numeri civici; 13. le cautele da osservare a garanzia della pubblica incolumità per l’esecuzione delle opere edilizie, per l’occupazione del suolo pubblico, per i lavori nel pubblico sottosuolo, per le ribalte che si aprono nei luoghi di pubblico passaggio, ecc.; 14. la vigilanza sull’esecuzione dei lavori per assicurare l’osservanza delle disposizioni delle leggi e dei regolamenti. Nei Comuni provvisti del piano regolatore il regolamento edilizio deve altresì disciplinare: la lottizzazione delle aree fabbricabili e le caratteristiche dei vari tipi di costruzione previsti dal piano regolatore; l’osservanza di determinati caratteri architettonici e la formazione di complessi edilizi di carattere unitario, nei casi in cui ciò sia necessario per dare conveniente attuazione al piano regolatore; la costruzione e la manutenzione di strade private non previste nel piano regolatore». Questi, come sottolineato nell’ultimo punto, andava a definire i contenuti del regolamento edilizio e la sua integrazione con il PGT. Riassumendo, se da un lato il regolamento edilizio ha avuto l’importantissima funzione di garantire la sicurezza e l’igiene all’interno delle crescenti città italiane e di creare un ideale di stile che oggigiorno è ancora visibile su tutto il territorio nazionale, l’aumentato potere burocratico dello stesso documento lo rese vincolante e sempre meno accessibile alla popolazione, come andrò a spiegare nei capitoli a seguire.
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1.2_ Le definizioni di Regolamento Edilizio: confronto tra Regioni 1.
Comeabbiamopotutovedere,oggigiornoiregolamentiedilizisono
1.2
numerosissimi,unoperComuneitaliano,matuttisibasanosudelle specifichedettatesiaalivellonazionalechedallapropriaRegione. Ledefinizionidiregolamentoediliziosisonoaggiornateedadattatenel corsodeglianni,maquiandròadelencaresialadisposizionenazionale, siairegolamentiedilizi-tiponormatidallevarieRegioni,ovviamente basatisullastessanormativastatale.Perquestionidipraticitàandròad analizzaresoloidocumentidialcuneRegioni,inmododapotercreare un più facile confronto.
Il Testo unico Adoggi,l’attivitàediliziaetuttociòchenecomportaènormatadalTesto unicodelledisposizionilegislativeeregolamentariinmateriaedilizia (d.P.R.n.380del2001)ilquale,oltrealdichiararedicomeilGoverno, leRegionieleautonomielocalidebbanoaccordarsiperl’adozionediun regolamentoedilizio-tipo,descriveall’art.4ilcontenutonecessariodei regolamenti edilizi comunali: Il regolamento che i Comuni adottano ai sensi dell’articolo 2, comma 4, deve contenere la disciplina delle modalità costruttive, con particolare riguardo al rispetto delle normativetecnico-estetiche,igienico-sanitarie,disicurezza e vivibilità degli immobili e delle pertinenze degli stessi. -ter. Entro il 1º giugno 2014, i comuni adeguano il regolamento di cui al comma 1 prevedendo, con decorrenza dalla medesima data, che ai fini del conseguimento del titolo abilitativo edilizio sia obbligatoriamente prevista, per gli edifici di nuova costruzione ad uso diverso da quello residenziale con superficie utile superiore a 500 metri quadrati e per i relativi interventi di ristrutturazione edilizia, l’installazione di infrastrutture elettriche per la ricarica
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dei veicoli idonee a permettere la connessione di una vettura da ciascuno spazio a parcheggio coperto o scoperto e da ciascun box per auto, siano essi pertinenziali o no, in conformità alle disposizioni edilizie di dettaglio fissate nel regolamento stesso. -quater. Decorso inutilmente il termine di cui al comma 1-ter del presente articolo, le regioni applicano, in relazione ai titoli abilitativi edilizi difformi da quanto ivi previsto, i poteri inibitori e di annullamento stabiliti nelle rispettive leggi regionali o, in difetto di queste ultime, provvedono ai sensi dell’articolo 39. -quinquies. Le disposizioni di cui ai commi 1-ter e 1-quater non si applicano agli immobili di proprietà delle amministrazioni pubbliche. -sexies. Il Governo, le regioni e le autonomie locali, in attuazione del principio di leale collaborazione, concludono in sede di Conferenza unificata accordi ai sensi dell’articolo 9 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, o intese ai sensi dell’articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131, per l’adozione di uno schema di regolamento edilizio-tipo, al fine di semplificare e uniformare le norme e gli adempimenti. Ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettere e) e m), della Costituzione, tali accordi costituiscono livello essenziale delle prestazioni, concernenti la tutela della concorrenza e i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale. Il regolamento edilizio-tipo, che indica i requisiti prestazionali degli edifici, con particolare riguardo alla sicurezza e al risparmio energetico, è adottato dai comuni nei termini fissati dai suddetti accordi, comunque entro i termini previsti dall’articolo 2 della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni. Nel caso in cui il Comune intenda istituire la Commissione edilizia, il regolamento indica gli interventi sottoposti al
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preventivo parere di tale organo consultivo.
Alivelloregionale,invece,prenderòadesempioitestivigentidi Lombardia, Lazio, Piemonte e Puglia.
Lombardia LaLeggeRegionale11marzo2005n.12,dettaLeggeperilgoverno delterritorio,èlanormativalombardainvigoreperquantoriguarda latutelaegestionedelpaesaggio,isuoibenistoriciequelliculturali,
1.2
epresentaiprincipidisussidiarietàedadeguatezzanelladifesadel territorio.Ditalelegge,èl’art.28chetrattanellospecificoqualisianole funzioni a tal riguardo del regolamento edilizio, ovvero: Il regolamento edilizio comunale disciplina, in conformità alla presente legge, alle altre leggi in materia edilizia ed alle disposizioni sanitarie vigenti: le modalità di compilazione dei progetti di opere edilizie, nonché i termini e le modalità per il rilascio del permesso di costruire, ovvero per la presentazione della denuncia di inizio attività; qualora il comune non provveda si applicano le disposizioni della presente legge; le modalità di compilazione dei progetti di sistemazione delle aree libere da edificazione e delle aree verdi in particolare e le modalità per la relativa valutazione; le modalità per il conseguimento del certificato di agibilità; le modalità per l’esecuzione degli interventi provvisionali di cantiere, in relazione alla necessità di tutelare la pubblica incolumità e le modalità per l’esecuzione degli interventi in situazioni di emergenza; la vigilanza sull’esecuzione dei lavori, in relazione anche alle disposizioni vigenti in materia di sicurezza, con particolare riguardo all’obbligo di installazione di sistemi fissi di ancoraggio al fine di prevenire le cadute dall’alto; la manutenzione e il decoro degli edifici, delle recinzioni prospicienti ad aree pubbliche e degli spazi non edificati; l’apposizione e la conservazione dei numeri civici,
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delle targhe con la toponomastica stradale, delle insegne, delle strutture pubblicitarie e di altri elementi di arredo urbano; le norme igieniche di particolare interesse edilizio, in armonia con il regolamento locale di igiene; la composizione e le attribuzioni della commissione edilizia, se istituita, ai sensi dell’articolo 30; le modalità di compilazione dei progetti delle opere viabilistiche e dei progetti di sistemazione delle aree verdi annesse, di rispetto e sicurezza, come svincoli, rotatorie e banchine laterali; 2.
le modalità per il conseguimento della certificazione energetica degli edifici. Il regolamento edilizio non può contenere norme di carattere urbanistico che incidano sui parametri urbanistico-edilizi previsti dagli strumenti della pianificazione comunale.
Lazio PerquantoriguardalaRegioneLazio,ildocumentovigentechedescrive lefunzionidelregolamentoedilizioèunpo’piùdatato.Sitrattadella L.R.22dicembre1999n.38,dettaNormesulgovernodelterritorio, aggiornata con la Legge Regionale 17 marzo 2003 n.8. Dellalegge38/1999,èl’art.71chenormal’utilizzodeiregolamenti edilizi: I comuni adottano i regolamenti edilizi di cui all’articolo 33 della l. 1150/1942 nel rispetto dei criteri generali stabiliti dalla Giunta regionale con la deliberazione di cui all’articolo 70 (si precisa che le ivi richiamato art. 33 ex L 1150/1942 con s.m.i., è stato abrogato dal DPR 380/2001, art. 136, c. 2, lett. b); in luogo della L 1150/1942, art. 33, v. ora DPR 380/2001 con s.m.i., art. 4). Gli schemi dei regolamenti edilizi adottati o delle loro varianti sono trasmessi alla provincia la quale, entro sessanta giorni dalla data di ricevimento, può far pervenire al comune osservazioni sulla rispondenza ai criteri generali
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indicati al comma 1, proponendo eventuali modifiche. Decorso il termine di cui al comma 2 i comuni adottano
i regolamenti edilizi o le loro varianti, pronunciandosi motivatamente sulle eventuali osservazioni della provincia. Le disposizioni del presente articolo si applicano successivamente all’emanazione dei criteri generali indicati al comma 1 e comunque a partire dal settimo mese successivo alla data di entrata in vigore della presente legge.
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Piemonte DellostessoperiodoèildocumentodellaRegionePiemonte,ovvero laLeggeregionale8luglio1999n.19.Anchequestodocumentoha subito un aggiornamento, tramite la L.R. 20/2009. Descrivente il regolamento edilizio è l’art.2: Ogni comune deve essere dotato di regolamento edilizio. Il regolamento edilizio comunale, in armonia con le disposizioni di legge, disciplina: la formazione, le attribuzioni ed il funzionamento della commissione edilizia; gli adempimenti inerenti alle trasformazioni edilizie ed urbanistiche del territorio ed alle relative procedure; i parametri e gli indici edilizi ed urbanistici, come definiti dalla Regione nel regolamento edilizio tipo; l’inserimento ambientale, i requisiti prestazionali ed il decoro del prodotto edilizio; le prescrizioni costruttive e funzionali per i manufatti; l’esercizio dell’attività costruttiva e dei cantieri; la vigilanza e le sanzioni. Le prescrizioni dei regolamenti riguardanti il prodotto edilizio elencano le esigenze alle quali debbono corrispondere i requisiti prestazionali che il prodotto stesso deve possedere, senza necessità di vincolarlo a specifiche soluzioni tecniche, quantitative o formali, precostituite.
Puglia Per la Regione Puglia, invece, siamo di fronte al testo più recente di quellimenzionati,oltreadessereilpiùspecifico:laLeggeRegionale9 marzo2009n.3,Normeinmateriadiregolamentoedilizio.Diquesta,
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sono i primi due articoli ad interessarci. L’art.1Regolamentoedilizio.Competenzaall’adozioneecontenuto dichiara: I comuni, nell’ambito della propria autonomia statutaria e normativa di cui all’articolo 3 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali emanato con decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, disciplinano l’attività edilizia, con le prescrizioni e i limiti previsti dalla presente legge e dalle norme di settore nazionali e regionali. A tal fine, i comuni si dotano di un regolamento edilizio che, in armonia con le previsioni di cui al comma 2 dell’articolo 4 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia emanato con decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, disciplina le modalità costruttive, con particolare riguardo al rispetto delle normative tecnico-estetiche, igienico-sanitarie, di sicurezza e vivibilità degli immobili e delle pertinenze degli stessi. Con il regolamento edilizio può essere istituita la commissione edilizia comunale e regolamentata la sua attività. A decorrere dal 1° gennaio 2009, il regolamento edilizio deve prevedere, ai fini del rilascio del permesso di costruire per gli edifici di nuova costruzione, l’installazione di impianti per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, in modo tale da garantire una produzione energetica non inferiore a 1 chilowatt (KW) per ciascuna unità abitativa, compatibilmente con la realizzabilità tecnica dell’intervento. Per i fabbricati industriali, di estensione superficiale non inferiore a 100 metri quadrati, la produzione energetica minima è di 5 KW. Non possono essere previste nel regolamento edilizio norme di carattere urbanistico. L’art.2 Schema-tipo di regolamento edilizio descrive: La Giunta regionale, previa concertazione con le rappresentanze dei comuni e delle parti sociali, può
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approvare uno schema-tipo di regolamento edilizio, al quale i comuni possono adeguare il proprio regolamento
locale. Per esigenze di uniformità, ovvero per consentire un’omogenea disciplina dell’attività edilizia in specifici settori o con specifiche modalità, ovvero per conseguire specifici obiettivi di pubblico interesse, la Regione può dettare norme che vengono dichiarate espressamente integrative dei regolamenti edilizi comunali e che
1.2
sostituiscono automaticamente eventuali previsioni di contenuto difforme.
Analisi comparativa Analizzando i testi, si evince fin da subito che il desiderio, a livello nazionale, sia quello di garantire un miglioramento prestazionale degli edifici, fondamentalmente riducendo i consumi energetici. Ed in fin dei conti, è proprio questa la principale differenza nel d.P.R. n.380/2001 oltre ad una riscrittura in chiave più ‘prolissa’ degli stessi punti - rispetto all’abrogata Legge Urbanistica del 1942. Per quanto riguarda la trasposizione del documento a livello regionale, bisogna tenere in considerazione il diverso anno di pubblicazione delle leggi e la conseguente struttura. Per quanto riguarda i due documenti più datati, quello del Lazio e quello del Piemonte, la necessità di aggiornamento si rese necessaria per ovvie ragioni, essendo antecedenti la vigente legge nazionale; tuttavia, per entrambi le modifiche sono state minime, e quindi è possibile fare un confronto più evidente con le altre due leggi analizzate, quella lombarda e quella pugliese. Procediamo quindi con ordine: la legge laziale risulta la più semplice e ‘scarna’ nella sua struttura perché si limita unicamente a richiamare il contenuto del d.P.R. senza nemmeno citarlo, proseguendo poi con il processo di formazione del regolamento comunale: l’articolo risulta fondamentalmente chiaro, riuscendo a lasciare molta libertà ai Comuni per la definizione del regolamento edilizio. Di simile immediatezza nella lettura è la legge per il Piemonte, la quale riprende i contenuti richiesti dalla ex Legge Urbanistica più l’aggiunta del miglioramento prestazionale come obbiettivo: anche in questo caso, le guide per i Comuni risultano semplici ed immediate. Spostandoci ora sulle due leggi ‘post 2001’, quel che si nota da subito
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- soprattutto considerando la lunghezza degli articoli - è una grande differenza di carattere strutturale e di contenuti. La legge lombarda è molto scrupolosa nella determinazione dei contenuti per i regolamenti edilizi, e nonostante prenda spunto della vecchia Legge Urbanistica, questi vengono rielaborati, estesi e proposti in chiave più dettagliata e specifica; viene inoltre aggiunta, al punto k, la necessità di apportare la certificazione energetica degli edifici. Infine, per la Regione Puglia, si hanno solamente dei rimandi al decreto 380/2001 ed il punto sulla libertà delle amministrazioni nel determinare il regolamento edilizio, ma è proprio per questa Regione che si notano delle sostanziali differenze: il punto 3 del primo articolo dà degli specifici parametri numerici per quanto riguarda la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, dando specifiche richieste prestazionali a seconda della metratura degli edifici. In un certo senso, questo può apparire come un vero e proprio tentativo di uniformità a livello regionale, fornendo dei rigidi parametri che poi vengono mantenuti in ogni singola municipalità, limitando le discrepanze in questo senso tra Comune e Comune; è nella stessa legge, all’articolo 2, che si sottolinea l’importanza di formare uno schema-tipo per i regolamenti edilizi, ulteriore aiuto per la determinazione del regolamento comunale nonostante lo stesso articolo, subito dopo, precisi che la Regione ha la facoltà di sovrapporre il suo volere a quello dei Comuni nel caso sia necessario apportare modifiche. Quindi, nonostante i buoni intenti di uniformità, questa legge regionale dimostra ancora di come il regolamento edilizio continui a perdere rilevanza ed importanza, dichiarandosi autonomo ma modificabile dalle sfere più alte in qualsiasi momento (vedi capitolo 2.1).
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1.3_ Confronto tra regolamenti edilizi Andiamo ora ad analizzare la struttura e composizione generale di alcuni regolamenti edilizi di recente aggiornamento, scelti per diverse
1.3
dimensioni e posizioni geografiche allo scopo di avere una visione più globale delle amministrazioni italiane. I regolamenti in questione sono quelli di Firenze, Jesolo (VE), La Spezia, Piario (BG) e Scandicci (FI), rispettivamente aggiornati a luglio, gennaio, luglio, febbraio e maggio 2015. Questo esercizio ha la funzione di paragonare diversi regolamenti e trovare i punti in comune e differenze, parametri che verranno ripresi e ritrattati più avanti nella tesi allo scopo di evidenziare errori e possibili soluzioni, sulla base delle interviste effettuate e le aspettative verso il regolamento edilizio unico (vedi capitolo 3.2). Procediamo con lo studio dei cinque documenti.
La struttura Guardando dal punto di vista della struttura, tutti e cinque i documenti, grossomodo, mantengono lo stesso criterio e disposizione, ovvero l’oggetto del regolamento edilizio, la struttura degli organi municipali che lo utilizzano, le documentazioni per le varie attività, definizioni e requisiti. Come appena detto, la disposizione è grossomodo simile per tutti i Comuni, ma faccio un esempio: se da un lato i regolamenti analizzati provvedono a definire nei primi articoli la composizione ed i soggetti comunali destinati all’attività edilizia, quali la Commissione Edilizia e di Paesaggio o lo Sportello Unico per l’Edilizia, nel solo Comune di Jesolo questi sono del tutto assenti, o meglio, rientranti in una categoria di articoli ‘soppressi’ e non più di interesse nel regolamento edilizio (Comune di Jesolo, regolamento edilizio). Di questa caratteristica fa chiaro riferimento il geom. Carettoni, il quale ribadisce il fatto che non esista un vero problema nel leggere e comprendere i regolamenti edilizi, quanto la vera difficoltà sia relativa al «crescere in una città piuttosto che in un’altra, quindi la conformazione degli edifici, la storia della città e così via, oltre il capire maggiormente quel che sta scritto nel regolamento in funzione del luogo in cui si lavora» (Carettoni, intervista).
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Le definizioni Se da un lato esistono parametri e misure minime stabiliti a livello nazionale che vengono necessariamente rispettati in tutti i regolamenti edilizi, è pur vero che ogni amministrazione comunale dà un proprio significato ad ogni parametro, favorendone alcuni e non citandone altri. Abbiamo ad esempio il regolamento di Firenze, che descrive dettagliatamente con funzioni, misure, distanze e prestazioni i vari elementi dell’apparato edilizio, come cortili, chiostrini e cavedi (che tra l’altro si differenziano tra loro solo per alcune misure), scale, locali, soppalchi e via dicendo, per una dozzina di articoli (Comune di Firenze, regolamento edilizio); le definizioni trattano addirittura di elementi di cui qualsiasi costruttore ne avrebbe già la competenza, come il cono di deflusso di camini e canne fumarie che si determina con «il vertice ubicato al centro della bocco superiore del condotto di evacuazione dei fumi [, quando] in corrispondenza di pareti prive di aperture il segmento generatore del cono si assume inclinato di 15° rispetto all’asse [, mentre se] in corrispondenza di pareti finestrate o con aperture il cono deve essere inclinato di 45° […]» (Comune di Firenze, regolamento edilizio)…e questo non è nemmeno un quinto della definizione di camini! Gli altri regolamenti analizzati dal canto loro si sviluppano in modo simile, chi con più e chi con meno dettagli, rimanendo pur sempre molto descrittivi.
Il rimando a documenti esterni Riprendendo l’analisi dei regolamenti sulla base della loro struttura, quello del Comune di Scandicci è senz’altro un caso particolare perché composto da soli 16 articoli. La soluzione utilizzata da questa amministrazione è stata tanto facile quanto scontata: all’art.2 si dichiara che il regolamento edilizio si compone di Regolamento per la disciplina dell’attività edilizia, Norme per il miglioramento dell’illuminazione pubblica e privata, Regolamento igienico-sanitario, e così via (Comune di Scandicci, regolamento edilizio); in poche parole, il regolamento si limita ad indicare altri documenti di riferimento, indicandone l’esistenza e nulla più. Questa è la vera caratteristica che qualunque regolamento edilizio dovrebbe avere, ovvero richiamare articoli e testi esterni.
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La premialità Come ultima considerazione, vorrei mettere alla luce un elemento che viene trattato in uno solo dei regolamenti analizzati, un dettaglio che verrà più o meno direttamente menzionato da tutti i professionisti intervistati quale principio fondamentale per il futuro regolamento edilizio unico: la premialità. Nel solo regolamento edilizio di Piario, appunto, il termine premiale viene ripetuto in più contesti, a sottolineare il volere comunale a stimolare i
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progettisti a raggiungere determinate prestazioni negli edifici; la premialità viene inoltre richiamata in un articolo a sé stante (Comune di Piario, regolamento edilizio), dove l’amministrazione dichiara che, qualora venga raggiunta una determinata classe energetica, ci saranno delle riduzioni in percentuale sugli oneri di urbanizzazione primari e secondari.
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(fonte: giurdanella.it)
2 Verso il regolamento edilizio unico
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2.1_ La perdita di integrità Come da titolo, a partire da metà del secolo scorso il regolamento edilizio è andato via via perdendo parte della sua importanza, a causa di decreti, sovrapposizioni ed implementazioni ad altri documenti, oltre ad un inasprimento della sua composizione burocratica che ne ha generato una difficile lettura ed interpretazione (vedi capitolo 1.1). Qui di seguito andrò ad indicare i motivi che ne hanno causato il suo decadimento. Prima di iniziare vorrei prendere in considerazione una delle principali funzioni del regolamento (nonché primo capitolo), ovvero il descrivere nel dettaglio la composizione e le funzioni della Commissione Edilizia. Tale membro è composto principalmente da addetti comunali e qualche soggetto esterno con competenze in campo edilizio (a seconda di come specificato nel regolamento ) ed ha la principale funzione di vegliare sulle attività edilizie comunali, con la facoltà di esprimere giudizio, rifiutare o accettare una concessione edilizia; benché tale commissione non abbia un valore vincolante su tali decisioni, gli è stato attribuito un potere a livello giuridico, ovvero «un carattere obbligatorio costituendo un indissolubile elemento endoprocedimentale espressivo di un giudizio tecnico – giuridico di conformità o meno del progetto alla disciplina urbanistico – edilizia vigente» (Carlin, 2003). Oggi le commissioni edilizie sono molto cambiate ed hanno perso alcune delle loro funzioni, altre ancora sono scomparse dal testo del regolamento edilizio del proprio Comune (vedi capitolo 1.3), ad indicare uno dei tanti problemi di comunicazione tra un regolamento e l’altro.
La sovrapposizione delle norme È importante tenere in considerazione in questa analisi una delle più comuni forme di criticità di tale documento, menzionato anche nel capitolo introduttivo, in riferimento ai limiti di altezza e densità tra fabbricati. Il Decreto interministeriale del 2 aprile 1968 n. 1444 sanciva i limiti inderogabili relativi a densità, altezza e distanza tra fabbricati in
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rapporto agli spazi destinati ad insediamenti residenziali, produttivi,
pubblici o collettivi, ma anche a verde o a parcheggi. Tale decreto aveva la principale funzione di andare a colmare quelle lacune nelle gestioni comunali prive di regolamento edilizio ed in quei regolamenti privi di particolari specificazioni riguardo tali misurazioni. Il problema che venne a verificarsi da tale emendamento fu che, invece di mantenere la sua funzione transitoria, divenne condizionante anche per quei Comuni che già regolamentavano tali distanze tra edifici: tutto ciò comportò evidenti disagi, con tutte le complicanze nell’applicare tali modifiche al proprio regolamento, oltre ad incertezze e ritardi.
2.1
Fu solo con l’introduzione delle più recenti legislazioni regionali che le disposizioni del Decreto Ministeriale furono limitate, come la L.r. n. 12/2005 della Lombardia, recitante all’art. 103: «ai fini dell’adeguamento […] degli strumenti urbanistici vigenti, non si applicano le disposizioni del decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444 […], fatto salvo, limitatamente agli interventi di nuova costruzione, il rispetto della densità minima tra fabbricati pari a 10 metri, derogabile all’interno di piani attuativi».
La perdita di importanza Il regolamento edilizio ritrova le problematiche di sovrapposizione anche in rapporto ad altri documenti urbanistici, dai PGT ai regolamenti di igiene e sicurezza. Nella Legge Urbanistica del 1942 (vedi capitolo 1.1) si trattava il regolamento come un testo che disciplinasse l’attività tecnica-edilizia in modo prevalentemente amministrativo, mentre le norme di piano (Norme Tecniche di Attuazione) si limitavano a mettere in atto tali disposizioni. Oggi il regolamento edilizio ha subito un notevole ridimensionamento delle sue funzioni, finendo con l’essere assimilato nelle norme di piano ed al perdere la distinzione tra un documento e l’altro, causando spesso un fenomeno di sovrapposizione con conseguenti incongruenze, proprio come racconta l’arch. Zuccato riguardo alla pratica edilizia: «ci si ritrova in casi dove la sovrintendenza dice una cosa, il PGT dice ne dice un’altra, il regolamento un’altra ancora» (Zuccato, intervista). Ormai svuotato di parte dalle sue funzioni assimilate, ora all’interno del PGT, ora rimandate dal regolamento di igiene, il regolamento edilizio si presenta come uno strumento dai contenuti generali (ma non generalizzati) che si limita a disciplinare le modalità costruttive, con particolare riguardo alle norme estetiche, sanitarie e di sicurezza.
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A sottolineare la sua perdita di valore è la sua stessa travagliata formazione, partendo da una iniziale situazione di autonomia con la Legge 2248/1865 per poi perdere e riguadagnare valore tra una legge e l’altra fino ai giorni nostri, ormai compresso e quasi annullato a seconda delle disposizioni regionali vigenti (Stabilini, 2012).
Più norme, meno libertà In conclusione, quello che nel periodo ottocentesco era un sistema per garantire una città più salubre, ordinata ed equilibrata si è trasformato nel tempo in un documento che si compone di strumenti urbanistici, i quali descrivono principalmente i procedimenti che il tecnico o l’architetto deve seguire in modo da garantire un prodotto soddisfacente e a norma. Tuttavia, i regolamenti edilizi odierni (come molti altri documenti) sono andati a creare una separazione sempre più netta della sfera teorica da quella pratica, ove il buon senso del realizzatore del progetto è stato sostituito da una serie di norme giuridiche che vanno rispettate e considerate al fine di ottenere un permesso di costruire. Si favorisce una burocratizzazione del processo edilizio a discapito dell’autonomia del professionista, facendo venir meno quel desiderio di sperimentare, osare e proporre soluzioni alternative al cliente che ogni progettista ha sempre desiderato inserire nella propria opera.
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2.2_ Il problema della semplificazione Perché gli articoli contenuti nei regolamenti edilizi - ma allo stesso tempo nelle norme, le leggi e quant’altro riguardi la burocrazia e l’amministrazione - risultino molto spesso così complessi da leggere e comprendere? Sarebbe opportuno dire che il fattore grammaticale è qualcosa che sta molto a cuore al popolo italiano, dato che noi stessi
2.2
spesso ci spremiamo le meningi allo scopo di comporre testi molto sofisticati e ricchi di termini ricercati; ovviamente, tutto questo non compare solo nella letteratura ma ‘purtroppo’ si ripresenta anche nei testi burocratici. Senza fare molti preamboli, è chiaro che un documento complicato sia più difficile da leggere, in particolar modo quando va a scontrarsi con i diversi livelli di educazione della popolazione, andando meno al principale dovere di produrre testi che siano comprensibili per entrambe le parti, burocrati e cittadini. Un documento per la Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione, con tema La semplificazione del linguaggio amministrativo, prova a far luce su questo fatto (Sepe, 2003).
Il linguaggio amministrativo Fin dagli albori delle società civili, il dualismo tra cittadino e Stato è sempre stato un legame basato sul dialogo - soprattutto per garantire la sopravvivenza dell’ente statale -, e per questo motivo grandi pensatori del passato come Montesquieu e Lenin si schierarono sempre dalla parte di un tipo di comunicazione il più semplice e chiara possibile, con leggi che dovevano necessariamente essere comprese anche delle classi sociali più basse. Oggi questo tipo di rapporto è andato quanto mai prima d’ora a scomparire (come nel nostro paese) a causa dalla perdita di fiducia del legislatore verso le capacità dell’interprete/ cittadino, portando ad una esasperazione del testo amministrativo con il tentativo di ridurre al minimo ogni forma di interpretazione; questa, come si spiega nel testo del prof. Sepe, è una tendenza nata da parte delle burocrazie locali di mettersi al riparo dalle pressioni politiche, in modo
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da disporre leggi che diventino automaticamente obbligatorie nell’atto del loro rilascio, andando contro al principio cardine legislativo della certezza del diritto.1 Leggi confuse e scritte male hanno portato ad un caos normativo molto grave e con ripercussioni evidenti a livello locale (le norme amministrative), il tutto guidato dalla tendenza burocratica ad utilizzare un lessico composto da un linguaggio e terminologie tardoottocentesche di difficile comprensione e conseguentemente di grave danno per la società; di fatto, i soggetti più danneggiati sono proprio coloro che devono seguire e tener da conto queste disposizioni, i cittadini, ovvero la fetta di popolazione più ampia.
Il legame Stato-cittadino Nonostante lo scopo stesso delle leggi sia proprio quello di creare un legame scritto tra Stato e popolo, attraverso una comunicazione semplice e comprensibile a tutti, perché in Italia questo tipo di rapporto è sempre stato assente e lo è tuttora? Una prima motivazione viene individuata proprio nella nascita del sistema amministrativo italiano: la logica era quella di avere uno Stato autoritario, capace di governare le masse senza dover necessariamente avere un tornaconto da esse, e per seguire questa linea di governo non vi era una pratica più semplice se non quella dell’utilizzare un linguaggio ed una struttura grammaticale difficilmente comprensibile ai più. Il concetto era quello di garantire un livello di segretezza alle pratiche amministrative. Ancora oggi, le amministrazioni tendono a non addossarsi alcuna responsabilità nei confronti delle leggi da loro stesse rilasciate, mantenendo una comunicazione Comune-cittadino criptica e di difficile interpretazione. Come appena detto, il nostro sistema normativo si basa su un prevalere dello Stato come un ‘sovrano’, in grado di guidare con le proprie decisioni i cittadini ignari delle leggi su di essi applicate. Sono quindi le amministrazioni locali a doversi adattare ai sistemi sovralocali, utilizzando un linguaggio che si adatti il più possibile a quello nazionale e che dia necessariamente poca certezza agli ‘amministrati’; di fatto, mentre in Francia ed Inghilterra le amministrazioni scrivono per il popolo, in Italia queste scrivono per lo Stato (Gramsci, 1975), proprio come menzionato
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1 «Principio in base al quale ogni persona deve essere posta in condizione di valutare e prevedere, in base alle norme generali dell’ordinamento, le conseguenze giuridiche della propria condotta, e che costituisce un valore al quale lo Stato deve necessariamente tendere per garantire la libertà dell’individuo e l’eguaglianza dei cittadini davanti alla legge […]» (Enciclopedia Treccani, 2016)
dall’arch. Rognoni (Rognoni, intervista). Il documento continua con un’interessante analisi della grammatica utilizzata dalla burocrazia, abbinata a dei dati sconcertanti. Da un calcolo effettuato dalla Camera dei Deputati non molti anni fa, il nostro paese conta circa 40mila leggi, mentre molti altri paesi europei ne utilizzano 5/6mila: è evidente l’impossibilità dei cittadini italiani di poter conoscere e rispettare un numero così esagerato di leggi, con il Parlamento italiano che ne rilascia circa 500 all’anno, oltre ai vari regolamenti regionali e norme locali… senza poi contare la tanto criticata bassa qualità degli stessi testi (Ainis, 2002).
2.2
Linguaggio specialistico e linguaggio comune La complessità grammaticale delle leggi italiane ha una motivazione in un certo senso accettabile: il linguaggio specialistico viene utilizzato al posto del linguaggio comune (quello quotidianamente usato) perché quest’ultimo è privo di chiarezza e caratterizzato da terminologie vaghe che non consentono di comunicare un concetto in maniera univoca, sia come vocaboli che come sintassi (Russel, 1985). Questa idea di base ha quindi sì una logica sensata ma contemporaneamente una applicazione sbagliata, perché si è sempre preteso di sostituire totalmente il linguaggio comune con quello specifico, causando una lettura difficile per quasi tutte le utenze. Di fatto, il linguaggio burocratico si basa su terminologie che derivano dal proprio contesto di appartenenza, all’infuori del gergo comune: i termini acquistano così una valenza metaforica o retorica agli occhi di molti, risultando in un linguaggio «sempre tanto espressivo quanto poco comunicativo» (Fedriga, 2002). La pratica più congeniale sarebbe proprio quella di utilizzare prevalentemente un linguaggio comune, proprio perché più immediato ed in grado di esprimere più rapidamente i vari concetti; solo successivamente si dovrebbero integrare le definizioni specifiche, allo scopo di rendere più completa ed univoca la legge stessa. Non bisogna abusare del linguaggio specifico come radicale alternativa a quello comune, ma di riuscire ad alternare le due forme di scrittura per rendere i concetti più precisi e allo stesso tempo leggibili. «La padronanza della lingua equivale alla padronanza dei concetti che le parole rappresentano. Chiarezza di linguaggio è sinonimo di chiarezza di idee» (Sepe, 2003).
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L’abuso dei termini Andando più nello specifico, sono differenti i termini ed i modi di dire impiegati nella stesura di leggi e norme che, a causa della loro dubbia interpretazione, hanno inquinato e snaturato il modo di scrivere del burocrate, come se fosse ‘impaurito’ dall’utilizzare termini e sintassi più semplici. Di questo modus operandi il documento fa riferimento a questi elementi: «espressioni abusate e inutili come “nella misura in cui”, “a livello di”; espressioni inadeguate rispetto al contesto perché appartenenti ad ambiti discorsivi diversi, come “pole position”, “immaginario collettivo”; espressioni figurate logore dall’uso come “l’occhio del ciclone”, “cavalcando la tigre”; espressioni eccessivamente astratte come “tematiche di fondo”, “porre in essere”, “attivarsi”; espressioni che, oltre ad essere abusate, introducono un eccesso inutile di concretezza, come “zoccolo duro”, “gatta da pelare”, “patata bollente”; espressioni passe-partout, come “discorso valido”; eccessi di intensità, come “delirante”, “assurdo”; espressioni di moda che ne estendono troppo l’uso come “praticamente”, “territorio”, “degrado”. Oggi ci si sente ridicoli a utilizzare l’espressione “portare avanti un discorso”, che durante tutti gli anni settanta era un modo di dire comune, che appariva anzi singolarmente efficace e alternativo» (Sepe, 2003).
Un documento unico come soluzione Per andare alle conclusioni, la Camera dei Deputati si sta già applicando da tempo al promuovere il rilascio di testi unici che vadano ad unificare leggi riguardanti la stessa materia, proprio come il regolamento edilizio unico, ma nonostante tutto «le leggi italiane continuano ad essere scritte male, sono ambigue nella formulazione delle disposizioni, piene di refusi, con articoli formati anche da oltre 200 commi e titoli che non corrispondono, a volte, all’oggetto della legge» (Rega, 2002). Bisogna oggigiorno considerare il fatto che la società odierna si basa su terminologie che si sono molto semplificate nel tempo, conseguenza dello sviluppo tecnologico e l’utilizzo di comunicazioni in formato digitale, mentre il politico italiano insiste nell’utilizzo di termini e modi ormai non più in auge, e soprattutto non più altrettanto comprensibili. È per questo motivo che l’amministratore dovrebbe interessarsi di più al linguaggio del cittadino, e creare di conseguenza un testi che si basino il più possibile
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su questo livello di comunicazione: «maggiore è la conoscenza delle competenze, più grande è la possibilità di dare al testo quell’immagine
di autorevolezza che lo renda credibile (Grandi, 2002). Tutto questo ha grande influenza nella realizzazione degli attuali regolamenti edilizi, che sono ancora oggi lunghi, complessi, differenti e destinati all’interpretazione per la loro sintassi discutibile.
2.2
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2.3_ La nascita del Regolamento Edilizio Unico L’utilizzo di un documento unico per i regolamenti edilizi, valido quindi per tutti i Comuni italiani, è una proposta nata molti anni fa, senza aver mai raggiunto una bozza o comunque un effettivo avvio.
Lo Sblocca Italia L’idea si è concretizzata solo nel 2014 venendo approvato, all’interno del decreto legge 133/2014 (detto anche Sblocca Italia), lo sviluppo di un regolamento edilizio unico nazionale, descrivendolo in questo modo all’art. 17-bis: «Il Governo, le regioni e le autonomie locali, in attuazione del principio di leale collaborazione, concludono in sede di Conferenza unificata accordi ai sensi dell’articolo 9 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, o intese ai sensi dell’articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131, per l’adozione di uno schema di regolamento ediliziotipo, al fine di semplificare e uniformare le norme e gli adempimenti. Ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettere e) e m), della Costituzione, tali accordi costituiscono livello essenziale delle prestazioni, concernenti la tutela della concorrenza e i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale. Il regolamento edilizio-tipo, che indica i requisiti prestazionali degli edifici, con particolare riguardo alla sicurezza e al risparmio energetico, è adottato dai comuni nei termini fissati dai suddetti accordi, comunque entro i termini previsti dall’articolo 2 della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni». Per essere più concreti, si potrebbero riassumere le più importanti azioni da conseguire in due punti: «1) l’individuazione delle metodologie di lavoro, di ricognizione
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della normativa vigente e delle modalità di coinvolgimento
delle amministrazioni e dei soggetti interessati (associazioni di categoria, ordini professionali, ecc.); 2) la predisposizione di uno schema tipo di regolamento edilizio che vada a sostituire i regolamenti edilizi ora in vigore, semplificando e uniformando le procedure edilizie» (Agenda per la semplificazione 2015-2017, 2016). Aggiornamento normativo fortemente voluto da anni da parte di architetti, pianificatori, ingegneri e molte altre figure professionali, il regolamento edilizio unico viene sostenuto e guidato nella sua creazione anche da Leopoldo Freyrie – ora ex presidente del Cnappc -, il quale dichiarò, poco dopo l’approvazione del decreto Sblocca Italia:
2.3
«finalmente una riforma di semplificazione di tipo strutturale, che va a vantaggio di tutti i cittadini e del mondo dell’edilizia. Dopo l’approvazione definitiva, il nostro Paese avrà norme chiare e prestazionali, condivise su tutto il territorio nazionale, che favoriranno la qualità dell’abitare; [questo servirà a risolvere l’attuale] follia normativa che aveva partorito ben oltre 8mila regolamenti diversi, uno per Comune, generando solo confusione e complicando enormemente non solo la costruzione, ma soprattutto la rigenerazione degli edifici» (Iorlano, 2014).
I passaggi Il primo dei due punti sopra menzionati, ora concluso, prevedeva che lo Stato e le Regioni avviassero diverse consultazioni (o tavoli di lavoro) (Cabras, intervista) con enti aventi una certa importanza a livello normativo e nazionale, quali ad esempio il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e la Presidenza del Consiglio per la Semplificazione, allo scopo di individuare i membri rappresentati e di raccogliere i contributi di tutti i soggetti aventi interesse nella definizione dei nuovi contenuti; vennero inoltre selezionate due Regioni che si mettessero a capo delle decisioni per la creazione del regolamento, ovvero Basilicata ed Emilia Romagna. In seguito, furono raccolte informazioni attraverso vari questionari (a livello regionale) contenenti linee guida, criteri e schemi tipo per la stesura del regolamento. A conclusione di questa macro-azione, vennero aperti numerosi incontri ed attività di gruppo allo scopo di informare e collezionare altri consigli da parte di membri dell’Ordine degli Architetti, ANCI, ANCE, Confartigianato, Confindustria, Confcommercio e CNA, oltre ad ulteriori meeting a livello comunale e
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regionale (Agenda per la semplificazione 2015-2017, 2016). Il secondo punto, ovvero la realizzazione vera e propria del regolamento edilizio unico, si è caratterizzato fino ad ora del rilascio di 42 definizioni univoche che andranno a comporre buona parte del documento, mentre ancora adesso sono in corso discussioni riguardanti i requisiti prestazionali degli edifici, le norme sul risparmio energetico e la sicurezza degli stessi edifici, elementi già esistenti a livello europeo e nazionale ma non ancora implementati correttamente negli attuali regolamenti edilizi. Contemporaneamente, si sta provvedendo alla stesura di un indice unico, prendendo in esame una grandissima quantità di regolamenti edilizi e raccogliendone punti in comune e non discordanti; un’ultima parte, che sarà allegata al regolamento edilizio unico, sarà un documento relativo all’ASL sulle norme igienico-sanitarie, con la speranza di poter recepire delle nozioni che siano di carattere universale (Cabras, intervista) Un altro elemento ancora, poco citato ma che funzionerà in parallelo al documento unico, sarà l’approvazione di una Agenzia nazionale, ente già attivo in altri paesi esteri e anch’esso sostenuto dall’arch. Freyrie che, continuando dalla precedente intervista, spiega come questo possa essere utilizzato «per la rigenerazione urbana [e] che possa intervenire con denari pubblici per aiutare i processi di rigenerazione dei comuni e regioni attraendo il capitale privato» (Iorlano, 2014), un’agenzia che in poche parole gestisca il capitale nazionale per interventi pubblici allo scopo di attirare contributi da parte di privati, garantendo adeguati investimenti e di conseguenza introiti nelle casse dello Stato.
L’Agenda per la semplificazione 2015-2017 Facendo ora un passo indietro, possiamo considerare come vero e proprio punto d’inizio per il regolamento edilizio unico il 1° dicembre 2014, quando il Consiglio dei Ministri approvò finalmente l’Agenda per la semplificazione per il triennio 2015-2017. Il contenuto di tale documento riporta, al punto 4.1, le azioni previste nel campo dell’edilizia, ovvero: «la sostituzione degli oltre 8000 moduli (almeno uno per Comune) utilizzati per la presentazione delle pratiche edilizie con un unico modulo (da adeguare, dove necessario, alle specificità regionali), al fine di agevolare l’informatizzazione delle procedure e la trasparenza nei confronti di
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cittadini e imprese. Con l’accordo siglato il 12 giugno 2014 tra Governo, Regioni ed Enti Locali in Conferenza Unificata, sulla base dell’intensa
attività svolta dal tavolo per la semplificazione, sono stati già approvati i moduli unificati e semplificati per la presentazione della Segnalazione Certificata di Inizio Attività (SCIA) edilizia e la richiesta del permesso di costruire» (Agenda per la semplificazione 2015-2017, 2016); è chiaro che, indirettamente, si stia parlando degli elementi componenti il regolamento edilizio unico, ma nonostante tutti questi punti siano stati rispettati nei tempi previsti (l’ultimo a giugno 2016), di un effettivo regolamento unico sappiamo ben poco, e vedo molto difficile che tutto questo venga mantenuto entro la data ultima di dicembre 2016, quando di un regolamento edilizio unico non si vede nemmeno l’ombra… «Previsti almeno 6 mesi», commentava sempre Freyrie (Iorlano, 2014), ma da allora sono passati quasi due anni ed ancora siamo fermi ad una
2.3
proposta di bozza.
Oggi Finalmente, a metà febbraio 2016 è stata rilasciata una bozza contenente le 42 definizioni uniche (vedi capitolo 3.3), lasciando quindi tutto il tempo alle Regioni di proseguire con la stesura di un indice per il regolamento edilizio unico, ma anche qui il processo presenta molte difficoltà…
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(fonte: xero.com)
3 I problemi dell’attuale (e del futuro) regolamento edilizio
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3.1_ 8000 regolamenti: perché tante differenze? È questo il senso della tesi, oltre ad essere la questione che ha fatto nascere il desiderio di avere un unico regolamento edilizio di riferimento: perché in Italia esiste questa divisione così frammentaria sulla regolamentazione edilizia? Per dare una spiegazione a questo fenomeno bisogna considerare lo stesso sistema burocratico italiano e la suddivisione dei poteri.
Una rigida gerarchia Fin dagli albori, lo Stato italiano ha ripartito il sistema normativo in tre macro-scale, ovvero nazionale, regionale e comunale, dove il Comune è direttamente influenzato dalla Regione di appartenenza che a sua volta segue le direttive nazionali. Come già trattato precedentemente (vedi capitolo 2.2), il fatto che lo Stato italiano si sia sempre posto come ‘sovrano’ nei confronti della popolazione si è ripercosso nelle modalità burocratiche locali e sovralocali, con amministrazioni atte al rilasciare unicamente documenti che siano in linea con le volontà dello Stato piuttosto che l’essere comprensibili e di facile utilizzo per i cittadini.
Troppo piccoli, troppo diversi Altro fattore ma di carattere storico (vedi capitolo 1.1) va a riscontrarsi nel periodo pre-unità, quando piccole e grandi città nel loro periodo di espansione si trovarono costrette a produrre dei documenti semiufficiali, dettanti linee guida - ma soprattutto limiti – per il processo edilizio allo scopo di controllare e dare un certo ordine alla crescita urbana. Conseguentemente, con l’Unità d’Italia e la nascita dei Comuni, lo Stato dovette trovare un modo per uniformare l’edilizia nazionale e dare ovviamente un senso al Paese unito. Tuttavia, siccome molte città già adottavano un sistema edilizio fortemente personale basato sugli stili, i gusti e le morfologie locali, risultò difficile se non impossibile creare un documento unico per tutto il paese che non demolisse le modalità
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locali così differenti tra loro. Il regolamento edilizio unico non si fece, causa anche della mancanza di dialogo tra le parti.
Un sistema unificato ma frammentato Il risultato, come vediamo oggi, è una documentazione edilizia che attinge per forza di cose ad alcune leggi nazionali e regionali, ma che continua a mantenere la sua natura storica di personalizzazione. Certo, oggi i regolamenti edilizi hanno una struttura in comune e trattano dei medesimi argomenti - ed in un certo senso non si potrebbe nemmeno dire che ci siano queste diversità così eclatanti -, ma proprio a causa di questa loro natura locale i regolamenti edilizi risultano uno diverso dall’altro, a danno di quell’operatore che deve leggere, comprendere, INTERPRETARE ed applicare un regolamento diverso ogniqualvolta sposti le sue attenzioni di un paio di chilometri; proprio come dice l’arch. Rognoni: « […] i principi sono saldi mentre le definizioni sono interpretabili, e di conseguenza si verificano queste differenze a livello
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regionale» (Rognoni, intervista). Quindi, ha senso che esistano 8000 regolamenti edilizi diversi? Assolutamente no, come ci dimostra l’attuale tentativo di stesura di un documento unico e gli esempi provenienti dall’Europa ed il resto del Mondo. Siamo in grado di applicare un regolamento edilizio unico? Questo è ancora tutto da vedere, perché nonostante la buona volontà ed i primi risultati (vedi capitolo 3.3), ci sarà pure un motivo se in più di 150 anni di unità non ci siamo ancora riusciti…
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3.2_ Critiche agli attuali regolamenti edilizi Sulla base dei regolamenti edilizi analizzati, cercherò di mettere alla luce quali siano le criticità più rilevanti ed i motivi che anno portato al desiderare un regolamento unico a livello nazionale. Partendo dall’elemento più visibile e distintivo tra un regolamento e l’altro, ovvero la dimensione dello stesso, il primo pensiero di qualsiasi persona sarebbe il rapporto tra il documento stesso ed il suo Comune, ovvero che i regolamenti edilizi dovrebbero per lo meno essere proporzionali alla scala fisica e di importanza della città stessa. Se si vanno a confrontare su questo punto i cinque regolamenti analizzati si nota subito che questa proporzione sia quanto mai inesatta, ed è facile dimostrarlo mettendo a confronto il capoluogo toscano, Firenze, con la piccola Piario: se il primo conta solo 100 articoli, ha senso che un piccolo Comune di mille abitanti in provincia di Bergamo ne abbia più di 120? Passiamo oltre.
L’indice Sempre riguardo la struttura, un’altra differenza significativa che ho notato è il fatto che ogni Comune utilizzi un indice personalizzato, disponendo gli articoli con una logica che a pare non è comune a tutti, mettendo prima o dopo le definizioni degli elementi architettonici o rimuovendo completamente alcuni articoli, come succede nel regolamento di Jesolo rispetto alla struttura della Commissione Paesaggistica, completamente rimossa (Comune di Jesolo, regolamento edilizio). Benché possa sembrare una banalità, la modifica effettuata dal Comune veneto credo sia innovativa e sensata, opposta all’usanza di definire dettagliatamente le Commissioni e gli Sportelli Unici quali nozioni superflue per il tecnico ed il progettista, ma unicamente questioni interne di carattere amministrativo. Ha senso quindi appesantire il regolamento edilizio con articoli senza alcuna finalità pratica per edilizia?
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L’organizzazione Continuando sullo stesso punto di discontinuità strutturale, il fatto di disporre gli articoli, le definizioni, le documentazioni ed i requisiti in ordini differenti non creano certamente problemi al progettista che opera sempre sotto la stessa municipalità, ma non appena questi si interessi ad attività in diversi Comuni, le difficoltà si presentano evidenti. Questo non è tanto un problema relativo alla rilettura dei documenti, quanto la fattibile possibilità di non individuare o tralasciare un articolo in particolare, a causa dell’importanza più o meno attribuitagli dall’amministrazione locale, con conseguenti confusioni e rallentamenti nel processo edilizio: ad esempio, nel regolamento di La Spezia, i requisiti aero-illuminanti sono divisi in due articoli distinti (Comune di La Spezia, regolamento edilizio), rendendo frammentaria la consultazione da parte del progettista e all’evenienza di possibili errori. Sarà necessario per il regolamento edilizio unico un indice chiaro e
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preciso che non lasci incertezze nella fruizione del documento, di fatto già parte del processo di stesura del regolamento edilizio unico (Cabras, intervista).
Le definizioni Tutti i regolamenti analizzati definiscono gli elementi architettonici con testi più o meno dettagliati a seconda dell’importanza che l’amministrazione comunale attribuisce a quel dato elemento, ed in un certo senso posso anche capire queste modalità, perché ogni amministrazione deve pur essere libera di caratterizzare il proprio Comune, attribuendo specifiche misurazioni e requisiti al fine di richiamare le caratteristiche edilizie e visive tipiche delle città locali, ma fino a che punto il volere della burocrazia può soppiantare le competenze del professionista? Molti degli intervistati si sono lamentati proprio riguardo a questo punto, ovvero sul fatto che i Comuni tendano a guidare ‘mano nella mano’ i professionisti nel loro lavoro, obbligandoli a seguire passo-passo i dettati comunali come se un qualsiasi architetto ed ingegnere non sia in grado di applicare i propri studi e la propria professionalità: tutti sperano un cambiamento sotto questo punto di vista nel regolamento edilizio unico, perché al contrario significherebbe che qualunque persona – o il cliente stesso – sarebbe in grado di svolgere l’intero processo da solo, facendo così sparire le figure professionali ed allo stesso tempo l’ideazione e la creatività dell’architetto
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(Redaelli, intervista).
L’abuso di dettagli negli articoli Come raccontatomi dall’arch. Cabras nella sua intervista: «sono stato di recente a Londra, ed ho visitato degli edifici moderni che sarebbero impensabili per noi, con lampadari talmente bassi che potevo toccarli con le mani, con il rischio di prendere la scossa. Eppure esistono, e non si direbbe che Londra abbia dei problemi a livello edilizio, anzi, tutt’altro. E lo stesso vale per altri ambienti, come quello dei trasporti. In Italia invece abbiamo la smania della ‘perfezione’, volendo dimostrare di essere in grado di utilizzare le più recenti tecnologie, i più alti sistemi di sicurezza e così via, ma alla fine possiamo constatare che questo eccesso non abbia portato altro che a complicazioni e fallimenti» (Cabras, intervista). Sulla base di questo commento, ha senso che il regolamento di Firenze specifichi che gli apparecchi sanitari siano di «materiale resistente, impermeabile e facilmente lavabile» e che i wc siano «provvisti di apparecchi per cacciata d’acqua di portata almeno pari a litri sei e di un sistema a doppia cacciata di portata di litri tre»? (Comune di Firenze, regolamento edilizio) Tutto questo dipende dalle capacità ed il buon senso del progettista stesso, se non ancora prima di lui – in questo caso - dal produttore di sanitari, il quale non avrebbe guadagno a mettere in commercio prodotti non all’altezza del mercato. Certo, nel processo edilizio ci dovrebbe essere anche qualcuno che si prenda la responsabilità di valutare se un progetto soddisfi certi parametri o meno, ma questo è un argomento che tratterò in un altro punto (vedi capitolo 4.1).
Edilizia ed urbanistica Sulla base di quanto detto nei confronti del regolamento edilizio di Scandicci (vedi capitolo 1.3), è quindi possibile ridurre all’osso un regolamento edilizio pur preservandone tutte le funzioni essenziali? Essendo un regolamento approvato ed in vigore, la risposta sarebbe sì MA… c’è sempre un ma. Nonostante il pregio di essere un regolamento molto leggero, di edilizio quello di Scandicci ha ben poco: la maggior parte degli elementi trattati sono di natura urbanistica, a partire proprio
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dalle definizioni che trattano principalmente di parametri territoriali come «lotto urbanistico di riferimento» ed «incremento del carico urbanistico»,
oltre ad un quinto del regolamento stesso destinato solo al calcolo degli oneri di urbanizzazione. A rincarare la dose è invece una ‘mancanza’ all’articolo sulla definizione del documento stesso, ovvero non viene affatto specificato che un regolamento edilizio non deve trattare di elementi urbanistici. Come sempre detto, la questione urbanistica è una delle principali cause di snaturamento degli attuali regolamenti edilizi, ed a quanto pare nemmeno il prossimo regolamento edilizio unico ne sarà sprovvisto (Rognoni, intervista) anche se, a detta dell’arch. Cabras, il riferimento ad elementi urbanistici sarà necessario ma reso il meno dannoso possibile, inevitabile al fine di non modificare tutti i piani urbanistici esistenti (Cabras, intervista).
Il rapporto aero-illuminante Un’altra critica ritrovata in alcune mie interviste a professionisti riguarda
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il fatto che molti regolamenti edilizi nascono già ‘vecchi’ perché si basano e fanno specifici rimandi a normative datate, alcune di esse emanate addirittura più di 40 anni fa. È questo il caso del rapporto aeroilluminante, trattato dal Decreto Ministeriale 5 luglio 1975. Sebbene i cinque documenti analizzati non citino strettamente il dato Decreto, appare evidente che i regolamenti attuali abbiano come riferimento una legge di diversi decenni fa basata su tecnologie e nozioni dell’epoca, poco sensate se rapportate ai giorni nostri. Di fatto, è facile notare che in quasi tutti i regolamenti edilizi si faccia riferimento ad illuminazione ed aerazione naturale in rapporto a quella artificiale, differenziandole per necessità a seconda del tipo di ambiente, che sia ad uso commerciale, pubblico, lavorativo e così via. La cosa da tenere in considerazione è che solitamente questa differenziazione è generata dal fatto che, tradizionalmente parlando, chi svolge un’attività fisica genera odori e per questo si favorisce un’aerazione naturale, mentre chi lavora in ufficio, non faticando, può permettersi anche un’areazione artificiale; ci è ben chiaro, senza ulteriori spiegazioni, che grazie alle tecnologie moderne è possibile ottenere dei sistemi di aerazione che siano molto più performanti e salubri rispetto all’aria naturale, soprattutto in aree urbane soggette ad inquinamento. Parallelamente, i regolamenti edilizi soffrono dell’eccesso di specificità legato a questi documenti, i quali obbligano l’operatore a generare ambienti con requisiti talmente eccezionali da creare, nel caso
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dell’aerazione, vere e proprie camere a tenuta stagna, per le quali basta un minimo di umidità per creare muffa in ogni angolo delle stanze.
Le norme di igiene Simile, a questo punto, è la critica che si può fare nei confronti dei parametri di igiene e sicurezza, anch’essi documenti esterni citati nei vari regolamenti edilizi ma che viaggiano a velocità diverse, proprio come succede per i rapporti aero-illuminati. Se si considerano soprattutto le norme di igiene, queste vengono generalmente redatte dalle ASL locali, le quali dovrebbero avere anche la funzione di controllo e verifica del progetto al fine di garantire la legalità dell’operato. Un quesito emerge a questo punto: non sarebbe più logico avere delle norme di igiene univoche e nazionali? Tutto sommato questo dovrebbe essere un parametro che vada bene per tutti, ed un rapporto minimoindiscutibile sarebbe facile da determinare. Di fatto questo pensiero è lo stesso che si è formato tra i tavoli di studio del regolamento edilizio unico, e come spiegatomi dall’arch. Cabras, si sta pensando di includere le norme igienico-sanitarie all’interno del regolamento edilizio unico, per rimuovere dubbi relativi alle ‘fumose’ definizioni attali e dare fede ad una delle caratteristiche cardine del regolamento edilizio, proprio i parametri igienico-sanitari (Cabras, intervista).
La cura degli edifici di antica costruzione Quello che a mio avviso è sempre stato l’unico principio distintivo di un regolamento edilizio, che lo differenzi da un Comune all’altro, è la caratterizzazione del centro storico e gli edifici di antica costruzione, come rende ben chiaro il regolamento di Firenze. A differenza degli altri documenti analizzati, che si limitano a ripetere più e più volte l’importanza di non danneggiare gli elementi architettonici di carattere storico ed alla loro non-alterazione (senza andare nemmeno in particolari dettagli sulla manutenzione), il regolamento del capoluogo toscano, oltre ad essere ben specifico, fa molti riferimenti anche alla cura e all’aspetto delle superfici esterne di tali edifici, evidenziando soprattutto i materiali validi per il progetto restauro o manutenzione (Comune di Firenze, regolamento edilizio). Se questo come ho appena detto
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è quello che ritengo elemento distintivo di un regolamento edilizio (quale forma di rispetto dell’esistente e continuità storica dell’ambiente
urbano), allo stesso tempo riconosco che sia una condizione un po’ superflua per certi versi, considerando che qualsiasi progettista, nell’atto di progettazione, può basarsi sulle caratteristiche stesse dell’edificio e dell’intorno; allo stesso tempo, ritengo scoraggiante il fatto che in genere i regolamenti edilizi si basino sul descrivere processi già di competenza di qualsiasi tecnico mentre vengano tralasciati dettagli riguardanti la caratterizzazione stessa dei centri storici e la loro specifica manutenzione, non di ovvia competenza per qualsiasi professionista.
La premialità soggetta alla responsabilità Per molti professionisti la questione premio/incentivo è molto importante nell’attuale sistema edilizio, flagellato dalle sempre più insistenti richieste di rinnovamento energetico degli edifici, ma grazie all’incentivo l’architetto o chi si voglia risulti più interessato ed invogliato a proporre soluzioni che garantiscano classi energetiche più alte. Appunto, garantire.
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Come fattomi notare sempre dall’arch. Cabras, la vera difficoltà nell’attuale sistema regolamentaristico – e che di fatto si ripresenterà nel futuro regolamento edilizio unico – è il COME determinare questi parametri e il COME misurarli, al fine che l’amministrazione possa verificare il consumo energetico dell’edificio (Cabras, intervista). Il problema si ricollega sempre al fattore responsabilità e su chi ricade (vedi capitolo 4.1), perché certamente il professionista può ‘giurare’ sulla prestazionalità del proprio progetto, ma gli addetti comunali ancora oggi non hanno un chiaro modello di verifica per l’efficienza energetica, attualmente lo stesso indiscriminatamente dalla scala del progetto: si usano gli stessi parametri per un appartamento come per un grosso sito industriale (Cabras, intervista): una complicazione non da poco, che frena la crescita italiana sul fronte energetico.
Maggior libertà e competenza ai professionisti Per concludere, poco importa che i regolamenti edilizi vengano aggiornati o che mantengano un simile indice; finche i loro contenuti, modalità, terminologie e preferenze saranno differenti, l’operato di qualsiasi tecnico, che sia un architetto, un ingegnere o un costruttore, sarà sempre guidato dalla confusione di regolamenti edilizi troppo differenti tra loro, portando ad inevitabili ritardi in tutto il processo edilizio, alla confusioni e la conseguente perdita di interesse degli stessi privati nel cimentarsi in un progetto. Un regolamento unico, anche se non
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sarà migliore nella struttura, garantirà comunque una certa sicurezza nei passaggi e nelle indicazioni, diventando univoci e di più facile riproduzione. L’unicità del documento sarà a discapito delle autonomie locali? Forse sì, forse no. Non ci resta che aspettare e vedere con i propri occhi.
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3.3_ Le 42 definizioni univoche Come precedentemente detto, a metà febbraio 2016 - e con svariati mesi di ritardo – è stata presentata una bozza contenente una lista di ben 42 definizioni, che vanno a chiarire in modo univoco e definitivo per tutta la nazione come bisogna trattare termini quali superfici, sottotetti, verande e via dicendo (vedi appendice II). Se da un lato possiamo considerare positivo questo primo passo ed il grande lavoro che hanno svolto gli enti coinvolti (vedi capitolo 2.3), non si può non tenere in considerazione il fatto che si è passati da una media nazionale 30 o meno definizioni a più di 40: la causa va sicuramente appuntata, come già trattato precedentemente (vedi capitolo 2.3), alla scarsa
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collaborazione tra Regioni e soprattutto il rifiuto di alcune ad adottare definizioni molto diverse dalle proprie, come successo nel caso di superficie, per la cui definizione si è arrivati necessariamente a scindere tale termine in ben 6 elementi distinti, ovvero superficie totale, lorda, utile, accessoria, complessiva e calpestabile (Calabrese, 2016). Procedendo con ordine, andiamo quindi ad analizzare queste nuove definizioni, provvedendo a confrontarle con quelle dei regolamenti precedentemente visionati (vedi capitolo 1.3) e con i commenti dei professionisti intervistati (vedi appendice I).
La quantità di articoli Se da un primo pensiero a freddo possiamo commentare che 42 definizioni non siano un gran ‘guadagno’ in termini di semplificazione - come detto poco fa -, soffermandosi un po’ di più sulla questione non possiamo non tener conto che, come detto da buona parte degli intervistati, il numero può sì essere considerevole ma l’importate è l’essere riusciti ad individuare un set di definizioni che valgano per tutti i Comuni, col fine di ridurre le incertezze dell’operatore nei frequenti casi di simili definizioni diverse tra loro nella struttura e nei termini. Sempre parlando di quantità, bisogna sicuramente dare un pregio alle nuove definizioni perché riescono finalmente ad essere concise
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e composte da una o due frasi, facilmente leggibili e comprensibili, a differenza di molti attuali regolamenti che si dilungano in modo eccessivo nell’esplicare le caratteristiche di ogni elemento, come accade nel documento edilizio di Jesolo che per poco più di 22 definizioni utilizza ben 8 pagine di solo testo in formato A4: le cause, oltre all’ovvio eccesso grammaticale tipico dei testi burocratici, vanno a riscontrarsi nel fatto che molte di queste definizioni siano composte da parametri, misurazioni minime, misurazioni esatte e limiti, a danno della comodità di lettura e della loro applicabilità in qualsiasi opera edilizia. Queste misurazioni, tra l’altro, non dovrebbero essere menzionate proprio perché già trattate nel testo edilizio regionale di appartenenza o in quello nazionale, e le definizioni univoche qui presenti non si smentiscono, rimanendo vergini da un uso improprio di dettagli. Qui però sorge un dubbio: è importante che le Amministrazioni e le Regioni riescano a superare questo ostacolo ed accettare dei parametri uguali per tutto il territorio italiano o è giusto che ogni area abbia le sue misurazioni personalizzate, in relazione alle caratteristiche geografiche e culturali del luogo? Personalmente credo che, arrivati a questo punto, sia più sensato raggiungere l’uniformità in questo ambito, ovvero avere delle definizioni uniche per tutti, non solo a livello grammaticale ma anche di parametri e limiti. Certo che l’accettare i cambiamenti è una cosa che in Italia raramente funziona, ma per ora bisogna concentrarsi su quello che c’è e che bisogna fare. Ancora sul punto quantitativo, un interessante paragone è quello con il regolamento di Scandicci: Anche qui le definizioni sono inferiori (30) ma come altri regolamenti edilizi sono molto più lunghe e descrittive. C’è tuttavia una sostanziale differenza: mentre 22 di queste definizioni trattano specificamente di elementi che compongono un edificio, le altre 8 sono di carattere urbanistico, come sagoma, lotto urbanistico ed area di sedime. Nonostante sia un errore inserire elementi urbanistici all’interno di un regolamento edilizio (vedi capitolo 1.2), per lo meno il Comune fiorentino fa chiara distinzione tra i due gruppi di definizioni e li inserisce in articoli diversi; questo a dire che le nuove definizioni stanno ricadendo nell’eterno errore di trattare di urbanistica quando si parla di edilizia: « […] quello che stanno facendo adesso è un Regolamento Edilizio che non è un Regolamento Edilizio, proprio perché contiene
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norme urbanistiche, altrimenti sarebbe perfetto» (Rognoni, intervista).
Le definizioni Ad una prima lettura delle nuove definizioni, mi è parso che i termini superficie coperta e sagoma fossero molto simili, non tanto come significato che gli si può attribuire quanto per la definizione attribuitagli, perché da quello che si legge la superficie coperta sarebbe già inclusa nella definizione di sagoma: credo che questa ‘ripetizione’ sia una conseguenza delle insistenze da parte della Lombardia ed altre Regioni di apportare varie modifiche alla definizione di superficie, in modo da adattarsi a quelle esistenti perché difficilmente modificabili (appunto, accettare). Questa è una critica che faccio alle nuove definizioni perché, malgrado gli sforzi, persiste il problema di avere elementi non facilmente distinguibili tra loro o superflui, mantenendo quel vago senso di confusione che aimè persiste nelle documentazioni burocratiche. Come si potrebbe semplificare ulteriormente il quadro delle definizioni di superficie? Se si da conto alle interviste fatte, una soluzione è tanto semplice quanto efficace: «Secondo me basterebbe seguire la Legge
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Bucalossi, che è molto chiara: si considera la superficie utile come quella residenziale e corrispondente alla superficie interna ai muri, mentre la superficie non residenziale raggruppa tutto il resto» (Carettoni, intervista), come del resto viene già fatto da molte amministrazioni, di cui quella del Comune di Scandicci; in questo modo le definizioni di superficie si ridurrebbero da 9 a 2, ma è doveroso considerare quanto tutto questo possa essere praticabile, perché va bene semplificare ma bisogna comunque verificare se questo non porti ad ulteriori lacune. Un altro mio dubbio è stato durante la lettura della definizione di superficie complessiva: nonostante sia comune trovare questo tipo di definizione all’interno dei regolamenti edilizi, anche qui in quello di Scandicci, trovo molto strano il fatto che, come descritto, questi sia la somma della superficie utile ed il 60% della superficie accessoria. Perché viene utilizzata una percentuale così precisa? E come è possibile determinare quantitativamente una parte di superficie? Con queste modalità si intende che statisticamente il 60% di una superficie accessoria sia utile, ma trovo insensata questa definizione quando come accessori vengono considerati portici, balconi, terrazze, tettoie, cantine e vani scala, a mio parere molto diversi tra loro ed impossibili da rapportare ad un’unica percentuale. Questo è un altro di quei casi in cui l’inserimento di un parametro possa generare solo confusione, e credo esistano solo due soluzioni: o includere completamente la superficie
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accessoria nel calcolo della superficie complessiva o non menzionarla del tutto, con il vantaggio di rimuovere la superficie complessiva dal glossario. Le definizioni hanno quindi una grande valenza ed è fondamentale che queste siano chiare nel nome e nella forma, evitando che vengano mal interpretate (come già accade fin troppo frequentemente) perché troppo simili tra loro, e ne fa un chiaro esempio l’arch. Zuccato tra le definizioni di camino: «[…] un regolamento potrebbe aiutare nel definire meglio quello che è la canna fumaria e la canna di insolazione, piuttosto che la canna di esalazione di una caldaia» (Zuccato, intervista).
Le declinazioni locali È possibile che il futuro regolamento edilizio unico possa e debba trattare di tutte le definizioni? Ovviamente sarebbe più comodo, ma al di la di quelle necessarie ed indubbiamente utili a tutti e per tutti gli edifici, le 42 definizioni non includono elementi che risulterebbero superflui e poco sensati per alcuni Comuni. Un banale esempio è quello riguardante la definizione di serra – di fatto non trattata - perché per ovvie ragioni una serra viene concepita in un modo in Valtellina e in un altro nel Salento, e non avrebbe alcun senso unificare definizioni così differenti tra loro, proprio a causa del diverso clima e posizione geografica: in questo caso ogni Regione – o macro-area – dovrebbe avere la facoltà e responsabilità di definire un elemento a seconda delle proprie necessità, tenendo sempre bene a mente di mantenere il senso del nuovo glossario nazionale. Parallelamente, la difficoltà per le definizioni univoche è quella di trovare dei termini che siano validi per tutti e soprattutto che non siano strettamente relativi a terminologie locali: chiostri, chiostrini, cavedi, controsoffitti e via dicendo, sono tutti termini locali o di diversa interpretazione a seconda della Regione (Rognoni, intervista); per questo motivo nella stesura delle nuove definizioni sono stati utilizzati termini univoci e di difficile interpretazione, che siano validi per tutti a prescindere dall’origine geografica o che raggruppino elementi di simile definizione, lasciando anche qui un minimo di libertà alle Regioni di adattarli qualora necessario, come dice l’arch. Cabras: «in alcune zone [d’Italia] il tamponamento è in mattoni, in altre in legno, in altre ancora
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non lo faranno del tutto, ma il concetto è uguale per tutti; è questo il tipo di pulizia che si sta cecando di fare, per cui si semplifica anche da
questo punto di vistaÂť (Cabras, intervista).
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3.4_ “Superficie” ed il ripresentarsi della questione urbanistica Può sembrare una contraddizione e l’andare contro i propri studi, ma è stata l’urbanistica a danneggiare gravemente il sistema della regolamentazione edilizia negli ultimi decenni: mi spiego meglio, procedendo con ordine.
L’interpretazione degli articoli Il regolamento edilizio deve contenere, come definito dal testo unico in materia edilizia d.P.R. 380/2001 (vedi capitolo 1.2), modalità che guidino l’attività costruttiva, il rispetto delle norme igienico-sanitarie, le norme di sicurezza e la riduzione dei consumi energetici degli stessi edifici. Niente di più. A questo punto ogni Regione, a partire dal suddetto testo unico, ha dovuto modificare nel corso degli anni le norme in materia edilizia, adattandole alle proprie necessità pur mantenendo le disposizioni nazionali. Fin qui non ci sarebbe alcun problema, ma proprio a causa della natura interpretativa dei documenti italiani (vedi capitolo 2.2), ogni Regione si è ‘autorizzata’ ad adattare il testo unico a seconda di come sia stato recepito: è proprio qui che entra in gioco la questione urbanistica, perché nel testo unico nazionale non vi è alcun articolo che CHIARAMENTE vieti l’utilizzo di norme di carattere urbanistico, limitandosi unicamente in più parti del documento a tenere in considerazione gli strumenti urbanistici vigenti. Il risultato è stato che solo alcune Regioni, come Puglia e Lombardia (vedi capitolo 1.2), hanno SPECIFICATAMENTE sottolineato, nella definizione di regolamento edilizio, che questi «non può contenere norme di carattere urbanistico che incidano sui parametri urbanistico- edilizi previsti dagli strumenti della pianificazione comunale» (vedi capitolo 1.2); il problema, ovviamente, si è ripresentato anche nella sfera comunale, con l’interpretazione delle norme regionali da parte delle amministrazioni locali, avendo come conseguenza regolamenti edilizi che non trattano di strumenti urbanistici, altri che presentano norme di carattere urbanistico
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ed altri ancora con all’attivo un documento edilizio completamente
stravolto, come il Regolamento Urbanistico Edilizio, o RUE (Cabras, intervista). Il fondamentale problema che si presenta con l’inclusione di caratteri urbanistici è la confusione ed incertezza causata dalle stesse definizioni all’interno dei regolamenti edilizi, spesso in contrasto con gli altri strumenti urbanistici comunali, in primis il Piano di Governo del Territorio: è proprio di questa inefficienza strutturale che stanno trattando oggi Regioni ed altri enti durante la creazione del regolamento edilizio unico.
La questione “superficie” Di fatto, durante il processo edilizio di questioni urbanistiche non ci dovrebbe essere il minimo interesse, a partire proprio dal concetto di superficie. Questo parametro, fortemente richiesto da parte di Regione Lombardia durante la stesura delle recenti 42 definizioni univoche, è stato plasmato come se fosse orgogliosamente soggetto alle volontà delle amministrazioni italiane, avendo conseguentemente come risultato il suo ‘smembramento’ in nove sotto-definizioni, come trattato precedentemente (vedi capitolo 3.3); nonostante ciò, bisogna pur
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sempre tenere a mente che tutte queste sono definizioni già esistenti e ‘storiche’ (Redaelli, intervista). Questo tema, come appena detto, sta tanto a cuore alla Lombardia perché a differenza delle altre Regioni italiane ha lasciato molta più libertà ai propri enti locali di adattare il regolamento edilizio alle proprie esigenze: se nella definizione di superficie utile generalmente si includono luoghi comuni come scale e androni, questi risultano di dimensioni minime per valorizzare la superficie residenziale e di conseguenza quella vendibile; in Lombardia, invece, queste non vengono considerate come parte dei luoghi comuni, ed i progettisti hanno così più libertà nel valorizzarli e renderli accessibili. Con questa premessa, è stata quindi scontata una protesta da parte della Regione lombarda, la quale non poteva semplicemente accettare le definizioni ‘che vanno per la maggiore’ in Italia perché avrebbero danneggiato non poco le quantità edilizie stabilite dai singoli Comuni lombardi, fra tutti quello meneghino il quale, reduce da un recente piano di governo rinnovato, si troverebbe ad affrontare discrepanze con il nuovo PGT. La questione sulle definizioni risulta ancora più eclatante e disagevole se si tengono in considerazione le altre Regioni italiane, dove le direttive su queste definizioni erano più restrittive nonché il caso dell’Emila Romana,
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portabandiera Italiana sull’unificazione amministrativa perché da più di un anno utilizza un regolamento edilizio unico (Frontera, 2016).
Quali definizioni utilizzare? A questo punto, è difficile dare ragione a una o l’altra parte: favorire la Lombardia con definizioni che puntino alla qualità di progetto o mantenere quelle utilizzate dalla stragrande maggioranza delle Regioni italiane? Come ribadito anche dal presidente di ANCE, già presidente a sua volta di Assimpredil (costruttori di Milano e provincia), Claudio de Albertis: «[…] i regolamenti edilizi nulla hanno a che vedere con le norme tecniche di attuazione degli strumenti urbanistici, almeno in teoria. […] Perché nella realtà i regolamenti sono pieni di questioni urbanistiche»; soffermandosi poi sulla questione del regolamento edilizio unico aggiunge: «Noi abbiamo fatto una proposta di compromesso: indicare tre definizioni di superficie: “netta”, “lorda” – cioè comprensiva dei muri – e “costruita” – comprensiva anche delle parti comuni – lasciando poi al singolo comune la scelta di quale recepire nel suo regolamento» (Frontera, 2016), una idea simile a quella spiegatami dall’arch. Cabras, utilizzata poi nella stesura delle 42 definizioni uniche (Cabras, intervista). In conclusione, si potrebbe anche dire che un regolamento possa sì trattare di elementi urbanistici, ma l’importante è che non vadano a scontrarsi con quelli già normati da altri documenti comunali; poi, come dice lo stesso testo unico, il regolamento edilizio può trattare di elementi urbanistici se il Comune in questione non dispone di strumenti urbanistici, ma rimane il fatto che molte amministrazioni abbiano ignorato queste linee guida…
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(fonte: geometri.cc)
4 Commenti e considerazioni finali
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4.1_ Regolamento Edilizio Unico: pro e contro Prima di dilungarmi nell’elencare i commenti dei vari intervistati nei confronti degli attuali regolamenti edilizi e soprattutto sul regolamento edilizio unico vorrei sottolineare una questione basilare, notata solo alla fine di tutte le interviste e menzionata dallo stesso avv. Lavorato: sono gli architetti i soli (se non unici) interessati e favorevoli al regolamento edilizio unico (Grassi – Lavorato, intervista). Di fatto – sempre basandomi sulle interviste -, per i costruttori l’attuale problema non sono i regolamenti edilizi in sé quanto la modulistica ad essi collegata, troppo numerosa ed esosa di materiali da allegare, mentre per i geometri il problema non esisterebbe affatto, quanto la vera difficoltà sta nel comprendere il territorio circostante: «più che di regolamento edilizio è un problema di governo del territorio e gestione urbanistica» (Carettoni, intervista). Non solo i non-architetti non sono particolarmente interessati al regolamento edilizio unico, ma anzi questi si aspettano un totale – o parziale – fallimento, come spiegherò più avanti nel capitolo. Da cosa nasce questa ossessione per il regolamento edilizio unico da parte degli architetti? Una principale risposta sta nel fatto che sia proprio questa figura professionale ad esse la più influenzata – ed influenzante (Carettoni, intervista) - nei confronti del regolamento edilizio, in relazione al fatto che siano molti gli articoli esistenti che vanno a soppiantare le competenze degli architetti più di tutti gli altri, come le definizioni e gli articoli strettamente si tipo architettonico, in maggioranza negli attuali regolamenti. Dopo questa premessa, andiamo a vedere i pro e (soprattutto) i contro secondo gli intervistati.
Il peso burocratico Fin da subito viene fatto riferimento alla continua disparità di potere che si ripresenta nello sviluppo del regolamento unico, ovvero il rapporto tra politica e professionalità e nello specifico tra le Regioni ed i tecnici,
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che siano architetti, ingegneri, geometri o costruttori. Su questo
pensiero sono tutti d’accordo: è ai tecnici che si dovrebbe lasciare più responsabilità e peso decisionale, perché sono proprio loro a lavorare sul territorio ed a conoscerlo a fondo, non i politici (Carettoni, intervista). Quando si parla di burocrazia si fa sempre riferimento al problema relativo alla questione urbanistica, presente negli attuali regolamenti edilizi e ripresentata nella bozza delle nuove definizioni (vedi capitolo 3.2); come più volte detto all’interno di questa tesi, è profondamente sbagliato che il regolamento edilizio tratti di questioni urbanistiche, andando contro alla sua stessa definizione e funzione. Una soluzione a questo problema esisterebbe, per quanto sia definitiva e drastica, ovvero modificare il testo unico in materia edilizia d.P.R. 380/2001 e dichiarare, a questo punto, che il regolamento edilizio possa specificatamente trattare di strumenti urbanistici (Cabras, intervista)… ma sarebbe come sventolare bandiera bianca e dichiarare la totale sconfitta del sistema burocratico, impossibile. Purtroppo dalle Regioni prevale per l’appunto un potere dal lato politico piuttosto che da quello tecnico (Grassi – Lavorato, intervista), ma allo stesso tempo è giusto che sia questo ente a svolgere il lavoro di stesura del regolamento edilizio unico: le Regioni sono nate allo scopo di
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ascoltare e soddisfare le volontà dei loro cittadini, svolgendo sempre il loro lavoro diligentemente; sarebbe ingestibile, d’altro canto, avere 8000 architetti ognuno con i propri pensieri e giudizi, ed è quindi molto meglio che siano le Regioni stesse compilare il regolamento edilizio unico (Grassi – Lavorato, intervista). Dare più autorità ai professionisti sì, ma è sempre meglio lasciare la creazione dei documenti nelle mani della burocrazia.
Retroattività, prestazionalità ed efficientamento energetico Il pericolo che molti temono si ripresenti con il regolamento unico è quello relativo alla retroattività, proprio perché molti degli attuali regolamenti edilizi prevedono questa applicazione, senza dare troppo peso alle conseguenze nei confronti degli edifici esistenti ed il loro aggiornamento (Zuccato, intervista). Quello a cui bisogna pensare nel regolamento edilizio unico è come poter gestire questo evidente problema, che potrebbe danneggiare e rallentare ulteriormente tutto il sistema edilizio italiano, soprattutto nei confronti dell’efficientamento energetico.
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La retroattività del documento fa strettamente riferimento alla prestazionalità degli edifici, e gli attuali regolamenti edilizi peccano in questa caratteristica, perché «se fossero prestazionali, i regolamenti non conterrebbero la norma, ma l’obbiettivo che si vuole raggiungere» (Rognoni, intervista), ed in questo modo dovrebbe fare il regolamento edilizio unico: la semplificazione del documento consistente nello specificare i risultati richiesti, senza indicare tutti i passaggi. La prestazione ovviamente si collega all’efficientamento energetico, tema molto forte negli ultimi anni che ha spinto ancora di più allo sviluppo del regolamento edilizio unico; di questo, si dovrebbe trovare a livello prestazionale il giusto bilanciamento tra richiesta di rinnovo energetico e l’effettivo risultato che si vuole ottenere, rimuovendo l’eccessiva rigidità che si applica oggi nell’edilizia e sostituendola con norme più permissive che spingano alle piccole migliorie al fine energetico (Zuccato, intervista). Ciò che si vuole è un regolamento edilizio che possa guidare e stimolare il miglioramento energetico degli edifici, tramite incentivi ed il giusto compromesso prestazionale, pensando non solo al nuovo ma soprattutto al promuovere l’efficientamento dell’esistente.
La responsabilità «Nell’edilizia il processo di semplificazione è gravemente compromesso anche dal sistema delle responsabilità» (Cabras, intervista). È questo che dichiara apertamente l’arch. Cabras nella sua intervista, una questione su cui ci si potrebbe soffermare per lungo tempo. Perché la questione delle responsabilità è così marcata in tutte le interviste che ho svolto? La burocrazia, proprio perché tende a difendere sé stessa da ogni responsabilità tramite l’utilizzo di testi complessi (vedi capitolo 2.2), genera di conseguenza un aumento della corruzione (Rognoni, intervista). Questo tema è un argomento forte e difficile da intraprendere perché si sviluppa sotto numerose sfaccettature, considerando corrotto chi sfugge dalle proprie responsabilità, chi falsifica i documenti sulle prestazioni edilizie, chi concede appalti mafiosi e così via. Nel caso del regolamento edilizio unico sono questi primi due punti quelli più temuti, i quali possono essere corretti solo tramite la realizzazione di un documento chiaro ed efficace.
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La mancanza di responsabilità si verifica nell’edilizia italiana perché meno si spiega come raggiungere un obbiettivo e più si tende a
dichiarare il falso – quando il professionista non è qualificato -, mentre se l’amministrazione rilascia linee guida molto più rigide e dettagliate allora quest’ultima tende ad effettuare meno controlli (Redaelli, intervista); una lama a doppio taglio, nata dall’eccessiva burocratizzazione dei regolamenti edilizi. Il grave problema che affligge l’edilizia italiana sul tema delle responsabilità è proprio il fatto che non esista più una vera e propria figura di riferimento che si assuma i rischi del processo edilizio, ma piuttosto prevale il modus operandi di chi se ne lava le mani e cerca di incolpare gli altri; proprio per questo motivo i documenti burocratici non dovrebbero essere interpretabili in alcun modo, e questo non semplificherebbe soltanto il lavoro del tecnico, ma anzi sarebbe di grande guadagno per l’amministrazione locale ed il suo potere, perché in questo modo avrebbe meno personale dedicato al rapporto con il professionista ed allo stesso tempo più persone dedite alla verifica dei progetti ed i lavori in corso (Carettoni, intervista). Oggi si tende ad affidare la funzione di controllo a sempre più soggetti esterni, tuttavia la sicurezza rimane la stessa ma con più persone delegate (Zuccato, intervista). «Si dovrebbe responsabilizzare – come è
4.1
successo per i tecnici istruttori e di procedimento - anche il tecnico che assevera o presenta un progetto» (Zuccato, intervista). Il regolamento edilizio unico potrà funzionare solo se si ristabiliranno con chiarezza le responsabilità che ogni figura debba assumersi, dall’architetto all’Ufficio Tecnico, altrimenti non si verificherà alcun miglioramento nel campo edilizio.
Una versione ‘sperimentale’ È corretta l’attuale linea di sviluppo e pubblicazione del regolamento edilizio unico? È questo quello che si stanno chiedendo tutti, e sono altrettante le incertezze a riguardo. Il maggior quesito su cui i professionisti si stanno soffermando è il senso nell’avere fin da subito un regolamento edilizio unico a livello nazionale, dato che si vuole passare di punto in bianco da una normativa di scala locale ad una nazionale, senza vie di mezzo; è vero che esistono delle linee guida regionali, ma il passaggio al momento risulterebbe quanto più brusco ed inaspettabile. Oltre al pensare ad un regolamento unico a scala regionale o metropolitana, le posizioni tra gli intervistati sono diverse: «si dovrebbe
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fare la sperimentazione di un regolamento ad indirizzo prestazionale, fatto in Italia e non copiato da un Paese dove questa formula già esiste e funziona» (Redaelli, intervista) Diversa è invece l’idea dei costruttori: «la nostra proposta era di spostare l’entrata in vigore del regolamento edilizio al primo rinnovo del PGT, ed a quel punto il nuovo strumento urbanistico verrà pensato, costruito ed applicato in relazione alle nuove definizioni» (Grassi – Lavorato, intervista). Questi sono pensieri personali o dei vari Ordini, spesso proposti e fatti notare alle Regioni nel corso di definizione del regolamento edilizio unico, fatto sta che il documento abbia preso la sua direzione e stia procedendo unilateralmente, in attesa della sua prossima pubblicazione: «sarà un trauma? Sì, ma se non lo si fa non si inizierà mai con il cambiamento» (Redaelli, intervista).
Regolamento edilizio unico: sì o no? Ad una prima lettura è evidente che sono tanti i dubbi e le perplessità verso il documento unico, primo perché purtroppo si sa ancora ben poco; secondo perché, di quello che si sa (le definizioni univoche), non tutti sono sicuri dell’efficacia. Come detto all’inizio, gli architetti sono sicuramente i più favorevoli, nonostante anch’essi esprimano scetticismo sotto alcuni aspetti, ma la realtà è che tutti involontariamente fanno riferimento a tutto ciò che c’è di sbagliato negli attuali regolamenti e di conseguenza rispecchiano gli stessi pensieri sul regolamento edilizio unico. Sarà retroattivo? Sarà prestazionale? Come verranno gestite le responsabilità? Per ora non si può che fare supposizioni ed è giusto così, anzi, dovremmo essere tutti più speranzosi e fiduciosi nella politica italiana. Di una cosa si può davvero essere dubbiosi e preoccupati: sarà un regolamento a scala nazionale, che andrà dal nord al sud, dal mare alla montagna, dal caldo al freddo. Siamo davvero sicuri che sia sensato applicare subito un regolamento edilizio per tutta l’Italia, senza passare da una scala ridotta e sperimentale? Il timore della prematurità del progetto è molto alta.
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4.2_ La ‘soddisfazione’ del cittadino, letta tramite il caso delle safety regulations Come si può leggere in un articolo pubblicato sulla rivista Planning Theory riguardante l’efficacia delle safety regulations (Cobin, 2014), si enuncia che regolamenti e normative sono creati allo scopo di ridurre l’incertezza delle persone, descrivendo nel dettaglio come comportarsi in specifiche situazioni. Tali normative, durante il periodo di approvazione, dovendo generalmente relazionarsi con un vasto numero di utenze e persone, affrontando il problema di non essere adatte o accettate unanimemente; nel caso delle norme pubbliche, qualora la maggioranza della popolazione ritenga di beneficio la norma proposta, questa potrà essere approvata efficacemente.
Prima il privato, poi il pubblico Per quale motivo si distingue pubblico da privato in campo normativo? Questa differenziazione sta proprio alla base dell’esistenza dei
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regolamenti e la loro creazione: nel momento in cui si ha una richiesta da parte della popolazione di nuove norme (nel testo definito come fallimento di governo), queste vengono prima formulate dall’utenza privata, allo scopo di ottenere il relativo beneficio; successivamente, la proposta di tali norme viene interpretata dal pubblico come una opportunità di miglioramento - dalla maggioranza - ed il Governo ha così il dovere di approvare la norma, a favore del pubblico ma ancor prima ad interesse del privato. Si potrebbe dire che la funzione dei regolatori e pianificatori non sia quella di garantire le scelte della popolazione e di essere socialmente utili, ma di garantire il beneficio di chi può far valere il proprio potere decisionale ed economico.
L’effetto delle norme Sempre in questo testo, è stato preso in esame l’andamento delle norme antiincendio nella città di Torino, la quale dispone dei dati di tutti gli incendi avvenuti negli ultimi 175 anni. Il particolare risultato che
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emerge dal rapporto tra incendi e regolamenti è che, con l’aumentare delle norme a tutela degli edifici, si è verificato un proporzionale aumento di incendi. Questo va esattamente a dimostrare il particolare funzionamento dei regolamenti: quando il mercato fallisce nel proporre un adeguato livello di sicurezza e qualità, entra in gioco il Governo che deve risolvere il problema tramite normative, per poi ripetersi ciclicamente. Questo particolare effetto succede perché le persone, di natura, tendono a dimenticarsi di un problema quando questo smette di verificarsi per un certo periodo, o semplicemente perché diventano meno interessate al tema; questo vale anche nel caso dell’evoluzione tecnologica e delle norme antiincendio che, nonostante il miglioramento dei sistemi di sicurezza, non arriveranno mai a garantire la soluzione definitiva ma saranno continuamente affiancate da nuove e più efficaci norme.
Un guadagno reciproco? Riassumendo quanto appena detto, il fatto che un aumento di norme combaci con un aumento di incendi, insieme al ripetersi ciclico degli eventi, avviene non tanto perché sia la sfera pubblica a richiede un maggior numero leggi, quanto sono i privati a giovarne maggiormente: costruttori, pompieri, assicuratori e gli stessi burocrati, per farne un esempio, troverebbero compromessa la propri attività nel caso in cui gli incendi venissero completamente debellati, e l’efficienza dei regolamenti è lo specchi di tale situazione; la funzione del politico ed il pianificatore sta tutta nel trovare l’esatto equilibro delle norme e nel caso non si riesca a trovare l’adeguato compromesso, il problema viene semplicemente rimandato o destinato ad altri soggetti (come il mercato). Si può considerare fallimentare questo sistema? A livello di benefici per il pubblico il responso potrebbe essere negativo, ma nel caso dei privati, come appena detto, il vantaggio è più evidente: l’inefficacia può garantire benefici, grazie anche alla ‘ignoranza’ del pubblico rispetto a al privato nel comprendere e sfruttare le normative. I benefici del privato sono ciclicamente garantiti anche al pubblico nel momento in cui la richiesta di scurezza e normative va ad aumentare, ed il regolatore/ pianificatore ha l’opportunità di proporre nuove leggi che permettano il benestare della maggioranza della sfera pubblica; allo stesso tempo la
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richiesta di attenzioni rende le persone disposte a pagare più tasse ed a votare per nuovi politici. Se la qualità dei servizi proposti fosse scadente
non ci sarebbe interesse a pagare di più, e se la percezione di rischio fosse troppo bassa ci sarebbe meno propensione ad investire per la sicurezza ed i servizi del settore privato.
Da tanti regolamenti edilizi ad uno solo Come si può relazionare tale analisi con il fenomeno del regolamento edilizio unico? Lo sviluppo dei regolamenti edilizi è stato progressivo di anno in anno, a volte migliorando, a volte peggiorando. Negli ultimi decenni, con un regolamento diverso per Comune italiano, la difficoltà nella gestione di così tanti documenti diversi si è riversa sia sul pubblico ma soprattutto sui privati, gli ingegneri e gli architetti incaricati dei lavori; lo Stato e le Regioni hanno sempre cercato di mantenere un livello di gestibilità accettabile per tutti gli utilizzatori del regolamento edilizio tramite l’utilizzo, quando necessarie, di nuove norme e leggi incentrate sulla semplificazione e completezza dei processi. Come evidenziato in tutta la tesi, l’eccessiva crescita degli articoli nei regolamenti edilizi, sia in complessità che in quantità, hanno causato il superamento di questa soglia di accettabilità e il malcontento nei rapporti dello Stato e le amministrazioni è diventato più che evidente. La proposta di un regolamento edilizio unico nasce di fatto da una
4.2
richiesta da parte della sfera privata - architetti in primis - allo scopo di ottenere una semplificazione del documento e velocizzazione nei processi edilizi, con un conseguente riscontro economico; con l’intento di riacquistare la fiducia di professionisti e cittadini, lo Stato ha approvato lo sviluppo del regolamento edilizio unico e lasciato alle Regioni il compito della stesura di tale documento (vedi capitolo 2.3).
Le norme antiincendio come il regolamento edilizio? Come si può leggere la manovra del regolamento edilizio unico tramite le conclusioni del testo analizzato? Allo scopo di ottenere un tornaconto in termini di riacquisto di fiducia da parte dello Stato, con l’introduzione di un nuovo regolamento la ‘asticella’ dello scontento pubblico inizierà ad abbassarsi, insieme all’ovvio guadagno da parte della sfera privata dei professionisti, quali architetti, costruttori edili, geometri ed ingeneri se non le stesse amministrazioni locali, fino a quando, in un prossimo futuro, il regolamento edilizio unico non sarà più sufficiente a soddisfare le aspettative pubbliche, e lo Stato si riattiverà nel proporre nuove regole
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e norme, in un ciclo burocratico continuo che mai finirà. È possibile fermare questa ripetitività ed arrivare ad una soluzione finale? Sì ovviamente, delle risposte verosimilmente definitive sono già conosciute da gran parte delle più alte sfere politiche e professionali, ma come detto all’inizio non avrebbero alcun vantaggio a renderle pubbliche, perché non verrebbe più richiesto il loro intervento e perderebbero così potere e lavoro. È difficile da accettare, ma il ripetersi degli eventi e degli errori è un elemento imprescindibile nella storia dell’uomo, e si potrebbe affermare che per natura sia così, punto. Il regolamento edilizio unico è qualcosa che si può e si deve fare a prescindere da queste considerazioni, e che sia un successo o un fallimento poco importa, perché sarà comunque un grande passo avanti nel settore edilizio e burocratico, che innegabilmente andrà ad aiutare i tecnici italiani come - e soprattutto – gli investitori stranieri, e quando il regolamento edilizio unico fallirà… se ne farà un altro.
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4.3_ Il rapporto unificazione semplificazione Fin dalle prime righe di questa tesi mi sono sempre domandato quali siano i processi di unificazione e semplificazione che possano rendere efficiente e funzionale il futuro regolamento edilizio unico. Tuttavia, bisogna considerare che unificare e semplificare siano concetti molto differenti, ed a volte persino discordanti. Tenendo in considerazione le svariate interviste ad architetti, ingegneri e geometri, non sempre questi due elementi vanno di pari passo nelle aspettative per il regolamento unico: quando da un lato il processo di unificazione appare come la funzione fondamentale del futuro regolamento, cioè il raggruppamento di tutti i regolamenti edilizi italiani in un unico testo uguale per tutti, la semplificazione – contrariamente alle mie iniziali aspettative - risulta un elemento secondario, se non quasi irrilevante in alcuni casi. Analizzando quando detto finora, provo a dare una spiegazione a questa disparità.
4.3
Unificare o semplificare? L’unificazione è senz’altro il paramento principale, vero e proprio motivo che ha spinto molti architetti a richiedere un regolamento unico nazionale. Tale processo, come già detto (vedi capitolo 2.3), consiste nell’arduo compito delle Regioni (attualmente accora in corso) di analizzare ognuno degli 8000 regolamenti edilizi esistenti e di trovare i punti in comune o sensati e collezionarli, per poi ricreare un unico indice. Questo meticoloso processo, senza evidenziare tutte le problematiche relative a tempistiche e discordanze tra i testi, se eseguito correttamente porterà ad un documento che potrà comporsi da 10 come da 1000 articoli, e per la quasi totalità dei professionisti si tratterebbe di un enorme passo in avanti per l’edilizia italiana. La semplificazione, d’altro canto, è sì citata da molti professionisti come elemento chiave per la realizzazione di un documento più compatto, leggibile e facile all’uso, ma allo stesso tempo viene considerata come una ‘ciliegina sulla torta’, quando il piatto forte rimane l’avere un singolo
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testo: perché dare meno importanza al semplificare il regolamento edilizio, con il rischio che il risultato possa essere un testo unico composto da centinaia di articoli normanti qualsiasi processo, a loro volta composti da più frasi e poco leggibili?
I tempi di realizzazione del regolamento unico Da un lato, come detto poco fa, bisogna considerare la questione tempo: per la realizzazione del regolamento edilizio unico si sta impiegando molto più tempo del previsto, con la bozza finale del documento in ritardo di svariati mesi rispetto alla data inizialmente prefissata proprio a causa della necessità di mettere d’accordo tutte le Regioni ed il consultare tutti i regolamenti edilizi vigenti. In questo senso, il processo di unificazione è quello fondamentale, lasciando l’eventuale semplificazione del regolamento in un secondo momento, prima o dopo la sua pubblicazione ufficiale. Un secondo motivo, considerando il commento di alcuni tecnici, va a collegarsi all’effettiva necessità di “semplificare” il regolamento edilizio, ma a questo punto è il caso di scomporre ed analizzare più nel dettaglio questo fattore.
Semplificazione quantitativa il primo concetto di semplificazione che viene richiamato è quello di quantità: non basta per molti professionisti unificare il maggior numero di definizioni ed articoli possibile, ma è fondamentale ridurne l’effettivo numero. In questo senso, il lavoro da farsi è quello di analizzare più articoli relativi alla stessa categoria, comprenderne l’effettiva necessità, rimuovere quelli superflui (soprattutto quelli trattanti competenze già proprie di qualsiasi professionista) ed unire più articoli in uno, mantenendo anche un’adeguata lunghezza dello stesso. La criticità relativa a questo pensiero, in confronto al processo di unificazione, fa riferimento proprio alla ‘scrematura’ degli articoli, creando possibili imprecisioni, incomprensioni o incompletezza nei processi… anche se generalmente il problema sta nella competenza del tecnico stesso.
Semplificazione funzionale
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Un secondo concetto di semplificazione è relativo al suo aspetto funzionale: architetti ed accademici desiderano un documento che non
descriva più lunghi passaggi e processi relativi all’attività edilizia, ma che si limiti alle prestazioni richieste dal prodotto edilizio. In tal modo, oltre ad alleggerire sensibilmente la struttura degli articoli stessi, si darebbe maggiore libertà e responsabilità al tecnico addetto al progetto, permettendogli di determinare liberamente i passaggi da intraprendere al fine di raggiungere la prestazione prefissata. Anche in questo caso vengono prese in esame alcune problematiche, come il fatto che un influente numero di professionisti continui a preferire una guida chiara su come svolgere la propria professione, ed il lasciare ‘carta bianca’ al progettista può indirettamente permettere l’utilizzo di processi inadeguati o addirittura illegali, o contrariamente l’indecisione del progettista stesso… ma anche in questo caso tutto ricade sulla competenza del tecnico.
Semplificazione grammaticale Infine, il concetto di semplificazione forse più ignorato - ed allo stesso tempo quello che mi sta più a cuore -, l’aspetto grammaticale: come già trattato in precedenza (vedi capitolo 2.2) una delle difficoltà relative alla consultazione degli attuali regolamenti edilizi ed alla loro lettura sta nell’utilizzo di sintassi e terminologie fuori dal gergo comune ormai da decadi, e di fatto ora presenti unicamente nel mondo burocratico. La necessità di utilizzare una grammatica più attuale, pur mantenendo
4.3
terminologie specifiche ove necessarie, gioverebbe non solo nella fluidità di lettura e comprensione del regolamento, ma allo stesso tempo ridurrebbe la lunghezza degli articoli e rimuoverebbe quelle frasi-fatte troppo spesso utilizzare ed oggigiorno di facile incomprensioni. Anche qui risultano evidenti delle criticità, prima fra tutte la difficoltà di trovare un nuovo linguaggio univoco, che si dissoci quasi totalmente da quello attualmente utilizzato; allo stesso tempo bisognerebbe capire quando utilizzare un lessico più semplificato e quando uno più tecnico, con il rischio di creare maggiore confusione in un testo povero di comunicazione o invariato rispetto a prima.
Il triplice valore della semplificazione A questo punto, tenendo in considerazione queste ultime tre definizioni e soprattutto soffermandosi sulle criticità, appare evidente come una sia complementare dell’altra, trovando vicendevolmente la soluzione al proprio problema: la riduzione quantitativa di articoli è guidata da un
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interesse al valorizzare la funzionalità degli stessi, tramite accorgimenti grammaticali che possano rendere il testo più semplice e chiaro; ovviamente, come ripetuto in tutti e tre i punti, la serietà e professionalità del tecnico e progettista è fondamentale per dare efficacia all’interno sistema edilizio. Per concludere, la semplificazione ha sì meno importanza in rapporto al processo di unificazione, ma se si considerasse il tutto come composto da quattro elementi distinti, quali unificazione, semplificazione quantitativa, semplificazione funzionale e semplificazione grammaticale, allora ognuno di essi avrebbe una valenza equivalente ed innegabile: il futuro regolamento edilizio unico dovrà necessariamente tener conto di ognuno di questi quattro punti, pena la produzione di un documento sì unificato ma poco utile alla rinascita del sistema edilizio italiano.
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4.4_ Conclusioni Quali sono quindi le aspettative verso il regolamento edilizio unico? A questo punto è difficile essere imparziali, perché differenti realtà e punti di vista sono stati presi in esame, ed in ognuno di essi si può individuare una convincente lettura della realtà. Se posso esprimere un giudizio sull’intero sviluppo, dall’idea, alla formazione fino alle prime bozze del regolamento, quello che posso dire è che il sistema edilizio italiano sta subendo una vera e propria crisi, con vicende che vanno dalla diminuzione di interesse nel costruire, il rinnovare ed il mantenere gli edifici, causa di uno pensiero che ha portato ogni forma professionale o meno al focalizzarsi sui propri interessi piuttosto che al bene comune. Purtroppo è così: storicamente l’Italia è frammentata sotto tutti i punti di vista, ed aimè l’unica cosa che continua ad accomunarci è solo la lingua. La suddivisione culturale ed ideologica si è sempre mantenuta in città ricchissime ed autosufficienti ben prima dell’Unità d’Italia, e questo senso di indipendenza continua ad esistere ancora oggi, anche nell’edilizia. Il bivio è questo: favorire l’indipendenza o la comunità?
4.4
L’Italia è un Paese unico, composto da numerose realtà ma pur sempre unico, e per questo motivo bisogna prima pensare al bene di tutti più che del locale. Un nuovo regolamento edilizio, o comunque un aggiornamento nell’edilizia, è la vera necessità che emerge, non tanto forse a livello di attività, di tecnologie o documentazioni, quanto una sensibilizzazione dell’utenza verso un sistema che possa garantire benefici a tutti quanti, nessuno escluso; non bisogna più pensare al proprio guadagno, alla posizione sociale o agli interessi, ma capire che un ‘affare’ lo si fa solo quando sono entrambe le parti ad averne giovamento, e lo Stato (come le Regioni) dovrebbero tenere ben a mente questo concetto, perché quello che davvero necessitano è una riacquisizione di fiducia da parte dei tecnici ed i cittadini, non documenti all’unico scopo di creare confusione e mancanza di responsabilità.
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Forse è vero, il problema della burocrazia italiana è l’esistenza stessa delle Regioni ed il forte potere ad esse attribuitogli: l’Italia è l’unico Paese che concede tanta libertà alle Regioni (Redaelli, intervista), ed il fatto che questa sia una scala intermedia tra Stato e Comune forse è il motivo di tante differenze strutturali in Italia; magari sarebbe il caso di togliere molti di questi poteri alle Regioni, o magari raggrupparle in macro-Regioni, aree dove si potrebbe applicare un primo regolamento edilizio unico. Pensando alla situazione attuale, la basa per un nuovo regolamento c’è e sta procedendo per la sua strada, e poco importano i ritardi che si stanno accumulando, l’importante è arrivare ad una soluzione e ad un miglioramento; certo, come detto più volte c’è un ripresentarsi della questione urbanistica all’interno del regolamento edilizio unico e questo per molti rappresenta una sconfitta prima ancora della partenza, ma bisogna considerare che tutto quello che viene fatto ha un suo significato, e se il regolamento edilizio in corso è così è perché non si può fare altrimenti, causa dello snaturamento di tutta la documentazione edilizia sviluppatosi nel corso degli anni: dobbiamo pazientare, BISOGNA pazientare, e vedere i risultati prima di poter giudicare. Certo, magari un regolamento a scala nazionale è troppo prematuro in un sistema così frammentato ed una sperimentazione ad una scala minore sarebbe molto più saggia, ma in ogni caso il regolamento edilizio unico di deve fare. E se sarà un flop? Poco importa, perché è dagli errori che si trovano le soluzioni, ed un simile cambiamento tanto male non può fare, in un sistema che forse dovrebbe essere riscritto da cima a fondo. Più semplicità, più immediatezza, più dialogo, più professionalità e più libertà. Non bisogna più pensare al curare ma al ricreare l’edilizia italiana, ridargli fiducia ed efficacia, verso un futuro in cui non si può più pensare al costruire, ma al valorizzare quello che si ha.
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Regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265. Testo unico delle leggi sanitarie. Legge 17 agosto 1942, n. 1150. Legge Urbanistica. Decreto interministeriale 2 aprile 1968, n. 1444. Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra gli spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi, da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell’art. 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765. Legge regionale 8 luglio 1999, n. 19. Norme in materia edilizia e modifiche alla legge regionale 5 dicembre 1977, n. 56 (Tutela ed uso del suolo). Piemonte. Legge regionale 22 dicembre 1999, n. 38. Norme sul governo del territorio. Lazio. Decreto del presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380. Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia.
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Legge regionale 17 marzo 2003, n. 8. Modifiche alla legge regionale 22 dicembre 1999, n. 38 (Norme sul governo del territorio) e successive modifiche. Disposizioni transitorie. Lazio. Legge regionale 11 marzo 2005, n. 12. Legge per il governo del territorio. Lombardia. Legge regionale 9 marzo 2009, n. 3. Norme in materia di regolamento edilizio. Puglia. Legge regionale 14 luglio 2009, n. 20. Snellimento delle procedure in materia di edilizia e urbanistica. Piemonte. Decreto Legge 12 settembre 2014, n. 133 (Sblocca Italia). Misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle cattività produttive.
Regolamenti edilizi Comune di Firenze, (luglio 2015). Art. 45, comma 2: Allo scopo di garantire la salubrità dei locali camini, canne fumarie e condotti di evacuazione dei fumi e vapori di cottura devono avere sbocco oltre la copertura. Allo scopo di non compro- mettere le normali condizioni di vivibilità degli immobili contermini i medesimi camini devono essere portati ad altezza di almeno un metro dalla quota della falda e in ogni caso essere col- locati a distanza dagli edifici contermini tale che il cono di deflusso dei gas di combustione non interessi le pareti finestrate degli edifici vicini. A tal fine il cono di deflusso si determina come segue: - il vertice è ubicato al centro della bocca superiore del condotto di evacuazione dei fumi; - in corrispondenza di pareti prive di aperture il segmento generatore del cono si assume inclinato di 15° rispetto all’asse; - in corrispondenza di pareti finestrate o comunque dotate di aperture il segmento generatore del cono si assume inclinato di 45° rispetto all’asse. […] Art. 46. Cortili. Art. 47. Chiostrine. Art. 48. Cavedi. Art. 49. Scale. Art. 51. Locale. Art. 55, comma 1: [...] - apparecchi sanitari di materiale resistente, impermeabile e facilmente lavabile, provvisti di sifone idraulico con camera ventilata tramite conduttura di aerazione distinta da quella di scarico e comunicante con una conduttura verticale di aerazione sfociante in alto sul tetto. I diametri di tali tubazioni di ventilazione non devono essere minori dell’80% dello scarico servito; - vasi wc provvisti di apparecchi per cacciata d’acqua di portata almeno pari a litri sei e di un sistema a doppia cacciata di portata di litri tre.
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Art. 56. Soppalchi. Capitolo XIII: NORME DI TUTELA DELL’ASPETTO ESTERIORE DEGLI EDIFICI DI
PARTICOLARE INTERESSE E DEL TERRITORIO APERTO. Comune di Jesolo, (gennaio 2015). Art. 80. Commissione Paesaggistica – Competenze – Soppresso Art. 81. Commissione Paesaggistica – Composizione e durata – Soppresso Art. 82. Commissione Paesaggistica – Funzionamento – Soppresso Comune di La Spezia, (luglio 2015). Art. 53, comma 4. Requisiti aero-illuminanti. Art. 55. Requisiti aero-illuminanti. Comune di Piario, (febbraio 2015). Art. 8, comma 2: Le verifiche ed i controlli dovranno accertare il rispetto dei requisiti obbligatori, di quelli opzionali previsti in sede di progetto per il conseguimento di premialità e/o deroghe, nonché delle disposizioni del presente AEn. Art. 21, comma 2: […] Premialità per chi raggiunge livelli prestazionali migliori rispetto a quelli imposti. […] Art. 26. Premialità. Comune di Scandicci, (maggio 2015). Art. 2, comma 1: Costituiscono parte integrante e sostanziale del Regolamento Edilizio comunale, unitamente alle disposizioni generali di cui al presente titolo: - il “Regolamento per la disciplina dell’attività edilizia comportante nuovi allacciamenti fognario incrementi di apporti di acque reflue” approvato con Deliberazione del Consiglio Comunale n. 116 del 19.06.1998 (perimetrazione riferita all’ambito di applicazione modificata con Deliberazione della Giunta Comunale n. 247 del 27.06.2001); - le “Norme per il miglioramento dell’illuminazione pubblica e privata esterna attraverso il contenimento del consumo energetico e l’abbattimento
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dell’inquinamento luminoso” approvate con Deliberazione del Consiglio Comunale n. 182 del 29.10.1998; - le “Norme regolamentari del territorio aperto”, approvate con Deliberazione del Consiglio Comunale n. 56 del 27.05.2003, limitatamente alle parti non in contrasto con le sopravvenute norme regionali; - il “Regolamento igienico-sanitario per gli interventi urbanistico-edilizi” approvato con Deliberazione del Consiglio Comunale n. 58 del 27.04.2004; - il “Regolamento per la disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni comunali in materia di vincolo idrogeologico”, approvato con Deliberazione del Consiglio Comunale n. 59 del 27.04.2004; - l’art. 2 (“Antenne e parabole per la ricezione delle trasmissioni televisive terrestri e satellitari”) delle disposizioni regolamentari relative all’installazione di impianti tecnologici e di altri manufatti comportanti modifiche dell’aspetto esteriore degli edifici, approvate con Deliberazione del Consiglio Comunale n. 107 del 13.11.2008.
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I_ Interviste arch. Clara Rognoni Valeriani presso lo studio Rognoni - Valeriani (Milano) 15 aprile 2016
Qual è il suo rapporto con il regolamento edilizio? Io lavoro da 40 anni con i regolamenti edilizi, ed è un rapporto di attenta lettura, osservazione ed applicazione: è un documento imprescindibile per un architetto. Quando è stato redatto il Regolamento di Milano del 1999 facevo parte della commissione - come per il Regolamento del 2014 -, ad indicare la mia forte relazione con il documento stesso. D’altronde il regolamento edilizio è la norma base, ed è da essa che l’architetto inizia a disegnare dal foglio bianco. Con gli anni è normale che i documenti si aggiornino, ma nel caso del regolamento edilizio ho notato che il numero di articoli è andato a crescere in modo smisurato: ha riscontrato questo cambiamento in bene o in male? Consideriamo per esempio il Regolamento Edilizio di Milano del 1904: questo era composto da 88 articoli contenenti tutto il necessario, dal silenzio assenso agli oneri del progetto, le norme igienico-sanitarie e via dicendo. Siamo arrivati all’ultima versione del Regolamento del 2014 che ne contiene 180 trattanti di tutto e di più, malgrado la Legge Regionale 12/2005 della Lombardia descriva nello specifico il contenuto del regolamento edilizio (vedi capitolo 1.2), l’eccesso raggiunto dagli attuali regolamenti è tale che il cittadino, non essendo tenuto a leggere
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tale documento, non può sapere ad esempio che entro novembre
2016 tutti i negozi debbano avere lo scivolo per i disabili, e non lo deve nemmeno sapere, perché non è suo dovere leggere il regolamento edilizio: si è stravolto il senso del regolamento edilizio. Questo sta a sottolineare che i documenti prima erano molto più semplici nella loro struttura, mentre adesso sono prolissi; oltretutto, i Regolamenti non devono trattare di norme urbanistiche (vedi capitolo 1.2), un errore fondamentale ed insopportabile. Fino all’anno scorso [2015] coordinavo la Commissione Interprofessionale che raccoglie l’Ordine degli Ingegneri, Architetti, Geometri e tutti gli altri enti e ci siamo recati a Roma svariate volte per richiedere un Regolamento Edilizio Nazionale, proprio perché non è più possibile gestire 8000 Regolamenti per 8000 Comuni, e ci siamo battuti tanto su questo; tuttavia, quello che stanno facendo adesso è un Regolamento Edilizio che non è un Regolamento Edilizio, proprio perché contiene norme urbanistiche, altrimenti sarebbe perfetto. A questo proposito, basti pensare che in Europa quasi tutti i Paesi hanno un regolamento unico; Francoforte, addirittura, ha un Regolamento di una pagina e mezza; in America, dal Canada al Messico, c’è un unico Regolamento Edilizio! Quindi in Italia il regolamento edilizio unico DEVE potersi fare, ma non con le attuali caratteristiche. Ha riscontrato in passato difficoltà a lavorare con più regolamenti in contemporanea, come interventi a scala più ampia tra un Comune e l’altro?
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Non ho mai lavorato con più documenti in questo senso, poiché sono molto separati tra uno e l’altro e non hanno questa visione che dovrebbe avere la città metropolitana milanese; solo adesso stiamo arrivando ad una concezione più territoriale e di bacino, mentre fino ad oggi ogni Comune aveva il suo confine, come un muro, e con l’altra sponda non aveva alcun interesse a comunicare. Negli anni, a partire dal 1985 con la legge 47 [Norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia], si è cominciato ad uniformare elementi come le definizioni, la manutenzione ordinaria e straordinaria, il risanamento, la ristrutturazione, le altezze minime e così via. Erano indicazioni statali su principi unificati e vincolanti. Il problema a questo punto è che i principi sono saldi mentre le definizioni sono interpretabili,
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e di conseguenza si verificano queste differenze a livello regionale. Esistono numerosi documenti paralleli, come le norme di sicurezza, igiene, polizia locale e via dicendo, ed il regolamento edilizio prende spunto da esse: è utile avere un regolamento così ricco di rimandi, piuttosto che non utilizzarlo ed orientarsi direttamente su questi altri documenti? Avere un regolamento edilizio è necessario. Trattandosi appunto di edilizia, questi documenti escono dal loro ambito ed allo stesso tempo l’attività è regolamentata da tantissime discipline, che il regolamento da solo non può e non deve regolare. Il regolamento edilizio dovrebbe essere un manuale: non una legge o una norma ma appunto un regolamento che applichi leggi e norme, un riassunto per il cittadino che vuole sviluppare un progetto. La sua utilità sta proprio nel fatto che chiunque, consultando il documento, possa ovviare a ciò che non sa o non ricordi, rimandandosi quindi anche ad altri documenti. Sempre su questo argomento, un tema forte in questo periodo è quello sull’efficienza energetica, che di mese in mese rilascia aggiornamenti a livello regionale, nazionale ed europeo, facendo si che qualsiasi regolamento edilizio, anche appena aggiornato, risulti ‘datato’ nel giro di pochi mesi: non avrebbe senso tenerlo all’infuori del regolamento? Qui c’è un fondamento: il regolamento edilizio dovrebbe essere prestazionale e non prescrittivo. L’errore che si fa nei nostri regolamenti è proprio il fatto che sono prescrittivi e la norma, con la tecnologia che abbiamo oggi, risulta subito obsoleta. Questo perché il regolamento, piuttosto che essere gestito da tecnici è redatto da politici. Se fossero prestazionali, i regolamenti non conterrebbero la norma, ma l’obbiettivo che si vuole raggiungere. Quanto è importante la specificità delle definizioni durante il processo edilizio?
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È molto importante. Ho lavorato a Roma e non capivo cosa fosse il
chiostrino, come altre definizioni di parole; se un architetto volesse lavorare senza diventare un esperto di dialetti regionali di tutta Italia, una uniformità sulle definizioni sarebbe utile. Nello specifico, intendo il fatto che si è passati da definizioni di cinque parole a definizioni di cinque righe. Stanno cambiando la Costituzione, e da articoli di nove righe siamo passati ad articoli di novanta righe: siamo dei prolissi, è tutta una questione lessicale e di estetica; questa è la politica italiana. Questo purtroppo riguarda tutti i documenti: se pensiamo al PGT di Milano, che è formato da 740 documenti… una cosa fuori dal mondo. Questo è l’indirizzo politico attuale. Allora ribalto la domanda: semplificando non si arriverebbe all’incertezza? Se fosse prestazionale no. Anzi, più è prescrittivo e più si crea incertezza. Ad esempio, se un testo non mi dice quanti fili d’erba ci devono essere in un metro quadrato, io non so quanti semi devo utilizzare; se invece il testo mi dice di realizzare un prato compatto, non ho problemi. Un qualsiasi professionista ha preso una laurea ed ha fatto un Esame di Stato: cosa gli è servito studiare se poi gli devono normare come è fatta una maniglia o quale sia l’altezza adeguata? Sta al mercato stabilire le capacità di un architetto, e svolgendo dei pessimi lavori questi perderà
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clienti. Tutte costrizione sulla libertà di progettazione attualmente nei regolamenti sono dei vincoli inutili, perché saranno comunque il mercato e la società a fare la selezione. Passiamo ora al regolamento edilizio unico: di quello che sa, come vede tale documento, in positivo o in negativo? Io lo vedo comunque in positivo. Il regolamento edilizio unico è un fatto di sua natura assolutamente positivo, e non importa se sarà fatto male perché sono convinta che comunque poi si metterà a posto. Sul principio di un documento unico io sono assolutamente d’accordo.
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Ho letto delle 42 definizioni univoche, ed effettivamente è meglio averne di certe che differenziate per tutti i Comuni, ma non sono ancora troppe? Sono definizioni urbanistiche! Dunque, sono circa 30 quelle veramente da regolamento edilizio, mentre le restanti sono urbanistiche ed andrebbero rimosse perché incidono in modo assolutamente anomalo sull’urbanistica. Il regolamento edilizio unico incide sulle slp di tutta Italia, ed incidendo sugli indici agisce come PGT nazionale, più che come un regolamento. È una follia. A tal riguardo, ho notato che ben 9 sono le definizioni di superficie: le sembra sensata questa suddivisione ulteriore del termine? Ha sentito delle ‘lotte’ che si sono state tra le Regioni? So che questo è un motivo degli attuali ritardi. Partiamo da un principio: se preferiamo che in ognuno degli 8000 Comuni italiani ci sia una definizione diversa, va bene; se invece vogliamo che, in qualunque degli 8000 Comuni le definizioni siano le stesse, allora bisogna raggiungere un compromesso, un compromesso che è di nove definizioni, che si integrino fra loro. La scelta è stata questa, e man mano forse si andranno a semplificare, ma questa è l’unione di 8000 definizioni diverse e da queste siamo arrivate a 9. Sono ancora troppe? Va bene, magari si arriverà a 7 o a meno, ma sono comunque meno di 8000. In tal senso, preferisco complicare le definizioni del mio Comune, ma con la certezza che andando a Bari, a Monza o a Torino queste siano le medesime. Si parlava di Regioni: quanto sono importanti le funzioni e le decisioni di questo ente, o meglio il suo potere, nella realizzazione del regolamento edilizio unico?
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Ad oggi ne hanno molto di potere: mente il regolamento edilizio è
disciplinato nei suoi contenuti dalla Regione, i Comuni subiscono ed attuano; a questo punto questi ultimi sono totalmente fuori dal dibattito. Non tanto il Comune di Milano in questo caso, ma tutto questo lo stanno facendo le Regioni, sentendo l’associazione dei Comuni, le Regioni e lo Stato. Ci sono anche dei privati che guidano la stesura del documento? No, assolutamente. Al Ministero hanno un paio di tecnici e consulenti per scrivere le definizioni ma non c’è una partecipazione della società civile. Quando hanno fatto il Regolamento di Milano la Commissione Interprofessionale è stata interrogata ed io che la coordinavo sono stata chiamata più volte, ma per il regolamento edilizio unico no. È solo una questione politica. In questo modo non si va ugualmente a perdere la prestazione che richiede il tecnico? Come ho detto in quelle occasioni, io sono un tecnico ed applico il regolamento, non mi importa niente della politica e della regola, io voglio un regolamento chiaro e basta, per poi poterlo applicare; io non faccio politica e non ho un interesse personale, io voglio solo un regolamento che sia unico, chiaro e semplice, ed applicarlo senza fare ulteriori domande; se invece incominciano a darmi un regolamento di 400 articoli e che devo interpretare, o che il funzionario me lo interpreta in un
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modo diverso, allora non ha senso. Datemi un regolamento semplice, anche fatto male, ma che sia chiaro ed applicabile, ed io lo utilizzo. Ho letto un testo sulle safety regulations che prendendo ad esempio le norme anti incendio di Torino: si è riscontrato che, con l’aumentare delle norme anti incendio, aumentarono anche gli incendi. Il collegamento è complesso, ma una motivazione è il fatto che un qualsiasi professionista – in questo caso pompieri, assicuratori, costruttori ma anche politici ed amministratori – non può trovare una soluzione definitiva al problema, perché perderebbe clienti e lavoro,
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quindi deve trovare delle soluzioni parziali, in modo da ‘far credere’ al pubblico di offrire la soluzione più adatta, fino a quando questi richiederà nuove tutele. Non crede che questo fenomeno possa riproporsi con il regolamento edilizio unico? Assolutamente si. Io sostengo che la burocrazia ci ‘distruggerà’, ed è un problema proprio italiano. L’apparato burocratico difende sé stesso, per cui la norma è sempre più complicata e sempre più da interpretare, portando ad un incremento della corruzione ed il disinteresse del benessere cittadino. Ogni legge di semplificazione non fa altro che rendere i testi più complicati: adesso hanno fatto il modello unico per la presentazione delle CILA che è di 32 pagine; quello di Milano era di 5. Esiste anche una sorta di ‘mafia locale’, i così detti local architects: se uno va ad operare in un’altra città deve per forza prendere un tecnico del posto, perché c’è appunto una ‘mafia locale’ che altrimenti non ti lascerebbe lavorare, proprio perché è in grado di interpretare le norme locali. Fino a cinque anni fa a Roma non c’era un vero e proprio regolamento edilizio: se non si prendeva un local architect non si poteva lavorare, una difesa della corporazione. Precedentemente ha detto che il regolamento edilizio dovrebbe essere uno strumento utile anche al cittadino, un manuale. Il cittadino comune riesce effettivamente ad utilizzarlo o interpretarlo? È un manuale per il cittadino ma non dovrebbe essere interpretabile. Se un privato volesse mettersi a posto l’appartamento sarebbe obbligato a prendere un professionista, ma dopo aver letto il regolamento edilizio ed aver compreso come funziona il suo Comune, allora penserebbe che l’architetto che impiega un anno ad ottenere il permesso per fare un bagno sia un incapace. Ancora, il regolamento edilizio è un manuale, ma se il privato non è interessato a leggerlo non vuol dire che il documento non ci debba essere. Quindi molto probabilmente il regolamento edilizio unico non sarà per forza accessibile al pubblico che non ha voglia di interessarsi, mentre ci saranno sempre dei clienti così pignoli che andranno a
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leggerselo tutto e faranno duemila domande, perché giustamente sono interessati alla propria casa.
arch. Tiziano Gianni Zuccato presso il proprio studio di architettura a Bareggio (MI) 18 aprile 2016
Qual è il suo rapporto con il regolamento edilizio? È uno strumento di lavoro a livello quotidiano. Quando non so qualche cosa a memoria devo necessariamente utilizzarlo. È normale che con gli anni i documenti si aggiornino, ma nel caso del regolamento edilizio il numero di articoli è andato a crescere in continuazione: come ha riscontrato questo cambiamento? In male, perché non esiste flessibilità: si tende a far diventare il regolamento edilizio retroattivo, andando quindi a verificare con le metodologie d’oggi quello che è stato fatto 50 o 60 anni fa, che obiettivamente era pensato in maniera diversa. Quindi il regolamento d’oggi non lo si dovrebbe applicare a quello che è stato realizzato e definito molti decenni fa, ma ci vorrebbe un sistema che sia in grado di separare ciò che è nuovo da ciò che è vecchio. Un semplice esempio su Bareggio [Comune a 15km dal confine di Milano] di un edificio realizzato poco prima che entrasse in vigore il famoso ante ’67 [Legge 47/1985 Norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia], volumetricamente l’edificio è stato
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realizzato correttamente, ma tecnicamente la distribuzione interna è parecchio diversa, con uguali appartamenti ma disposti in altro modo; sicuramente il fabbricato è nelle condizioni originarie, ma le diversità interne oggi porterebbero alla sanatoria totale dell’edificio perché ci sono le finestre troppo grandi, gli appartamenti diversi e così via, al punto che la modifica dell’edificio non è fattibile perché ci sono diverse proprietà e verrebbe fuori un disastro dal punto economico. Oggi si lavora solo con le sanatorie, che francamente non ritengo il procedimento più corretto, soprattutto con questa volontà retroattiva che non aiuta il poco lavoro che ci sarebbe da gestire.
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Ha riscontrato in passato difficoltà a lavorare a cavallo tra un Comune e l’altro? Sì, perché di fatto i regolamenti edilizi di diversi Comuni si parlano poco. Faccio ancora un esempio con Bareggio: il confine con Sedriano è via Torino-via Giotto; ho fatto un intervento su via Torino – una sanatoria, tanto per cambiare, - e dovevo fare l’apertura di un passaggio pedonale sul terreno di Sedriano. Quest’ultimo dice «il nostro regolamento non prevede limitazioni su questo punto, ovvero aprire un passaggio sul marciapiede dalla propria abitazione privata è possibile»; il Comune di Bareggio invece «no, io pretendo l’autorizzazione del Comune di Sedriano». Quindi, abbiamo due regolamenti simili ed in qualche modo affiancati, ma quando si tratta di interpretazione tecnica uno e libero e l’altro pretende un documento che non esiste: io non ho ancora capito come risolvere il problema. Quindi una grande perdita di tempo. Assolutamente sì. Esistono numerosi documenti paralleli, come le norme di sicurezza, igiene, polizia locale e via dicendo, ed il regolamento edilizio prende spunto da esse: è utile che si facciano tutti questi rimandi? È utili avere un regolamento edilizio più che altro dovrebbe aiutare la coordinazione dei lavori. Sempre considerando Bareggio, il regolamento d’igiene approvato è del 1989, e mentre tutti gli altri Comuni hanno approvato almeno un paio di regolamenti d’igiene-tipo della Regione, noi siamo rimasti indietro di due: vuol dire che Bareggio non ha recepito gli aggiornamenti igienico-sanitari e qualche arretratezza è evidente. Quindi non solo non viene aggiornato il regolamento edilizio, ma non si aggiornano nemmeno i riferimenti al regolamento d’igiene. Non ha alcuna utilità collegarsi a documenti che non viaggiano di pari passo. Sempre su questo argomento, un tema forte in questo periodo
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è quello sull’efficienza energetica, che di mese in mese rilascia aggiornamenti a livello regionale, nazionale ed europeo,
facendo si che qualsiasi regolamento edilizio, anche appena aggiornato, risulti ‘datato’ nel giro di pochi mesi. Sì, il regolamento edilizio dovrebbe per lo meno agganciarsi alla normativa regionale se non nazionale, ma il vero problema è che in questo periodo di ‘alta inefficienza’ è impensabile per gli immobili che sono già strutturati ed esistenti da decine di anni fare un efficientamento energetico se solo tocchi il 15% o poco più dell’involucro, il che significa che il cittadino che si rifà il bagno o un pezzo di intonaco della facciata deve efficientare tutta la casa, e per questo motivo si rifiuta di farlo. Questo fenomeno comporta secondo me un incremento degli abusi edilizi, ed è un dato di fatto. L’aver inasprito queste caratteristiche e richieste solo perché la Lombardia vuole essere ‘la prima della classe’ ha portato a dei grossi problemi nella verifica, ed io vedo tanti progetti di colleghi che risulterebbero assolutamente inapplicabili, quindi o si dichiara il falso o si fanno abusi edilizi, e dei due non so quale sia il peggio, anche perché per far tornare i conti devi mettere delle prestazioni assurde. L’attuale normativa prevede una classificazione di tutti gli edifici fino alla classe G, ma per tutti quelli precedenti la legge di contenimento energetico [Legge ordinaria del Parlamento 373/1976] non ha senso fare il calcolo, perché è evidente che non sarebbero altro che l’ultima classe: fino al 1976 il risparmio energetico in Italia non esisteva nemmeno lontanamente. Ed anche questo è retroattivo? Diventa retroattivo perché se tu fai poco più di una manutenzione
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straordinaria questa viene considerata ristrutturazione e la Ragione Lombardia implica che una ristrutturazione oltre certi livelli – secondo me molto bassi – ti porta a determinare degli approntamenti di contenimento energetico e addirittura di energie rinnovabili che è molto superiore a quello che il privato cittadino può fare normalmente. Sulla villetta magari riesci a gestirlo, ma sulla palazzina come si fa? Dovresti portare pannelli sul tetto che spesso diventano inapplicabili. In poche parole, non si può pretendere che una casa con un vecchio impianto diventi di classe A, ma bisogna adeguarla per gradi. Se si parte da un livello zero, non è necessario che la normativa pretenda 100, ma magari basterebbe anche 50 per risparmiare quanto richiesto e raggiungere
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una classe accettabile, sia per comfort che per prestazione energetica. Quanto è importante la specificità delle definizioni durante il processo edilizio? Tutto ha influenza, quindi non si può quantitativamente dire quanto siano importanti; dipende da ciò che stai affrontando. Ad esempio, ho avuto dei problemi recenti con la distanza delle canne fumarie: gli 8 metri di distanza, se si guarda il territorio di Bareggio, non sono quasi mai stati rispettati; se tu decidi di non dichiara il camino allora va tutto bene e sono affari tuoi, al contrario se fai tutto in regola devi programmare delle verifiche ma molto spesso si tratta di parametri inverificabili. Quindi cosa fai? Non costruisci perché il camino è fuori norma, quando fino al giorno prima sono stati costruiti sulle facciate e sotto i balconi? Anche lì un regolamento potrebbe aiutare nel definire meglio quello che è la canna fumaria e la canna di insolazione, piuttosto che la canna di esalazione di una caldaia. La specificità delle definizioni è molto importante. Come ho sentito dire da altri intervistati, le definizioni dovrebbero essere prestazionali più che riguardanti il processo. Sono d’accordo. Siccome ci sono troppi regolamenti e troppe interpretazioni è diventato necessario avere un regolamento unico che possa essere aggiornato a seconda delle tecnologie e scorporato dalle parti che possono essere separate - come dicevamo della prestazione energetica -, senza porre dei limiti che sono unicamente numerici; si dovrebbe, un po’ come si fa per la paesaggistica, valutare caso per caso, comprendere il richiedente ed i problemi che si vogliono risolvere. Passiamo ora al Regolamento Edilizio Unico: rispetto a quello che sa, quale è il suo punto di vista? Primo, non voglio parlare di semplificazione perché non ha mai funzionato in Italia.
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Non sono molto informato a riguardo, ma senz’altro sono necessarie regole chiare e per tutti, senza non dare più adito ad interpretazioni. Non
sto parlando di essere ligi al dovere, ma consentire in questi regolamenti una valutazione discrezionale affidata a commissioni specifiche e non, purché in qui casi si possa derogare col fine di migliorare gli edifici e gli spazi. Come detto prima, non bisogna pretendere 100 ma magari 50. Quelli esistenti sono obblighi, e gli obblighi portano sempre male, ad abusi edilizi solo per rimanere nei costi previsti. Ora si tende a tenere il vecchio perché portarlo al rinnovamento costerebbe troppo; ci vorrebbero delle sovvenzioni da parte dello Stato per agevolare tali processi. Il regolamento unico sarà quindi un cambiamento in bene o in male? Bisogna prima vederlo; sicuramente un bene perché ora bisogna sempre recarsi in Comune, leggere il regolamento d’igiene, interagire con l’ufficio tecnico che ha in ogni città un’interpretazione diversa, ed ogni volta riparti da zero. Per me il regolamento unico potrebbe dire che tutti sappiamo come è fatto proprio perché unico, e quindi partiamo da qualcosa che è già almeno in parte conosciuto; poi sicuramente resterà l’interpretazione di zona, perché mi ricordo di Comuni – anche efficienti - con molti testi stratificati nel corso dei decenni e fogli volanti dicenti tutto e di più. Ho avuto occasione di lavorare su immobili che erano soggetti a sovrintendenza e l’elemento – addirittura discordante dal PGT approvato – era legato ad un ‘foglietto’ con estratto di mappa del 1920 circa, dicente «questi sono gli immobili vincolati», quindi senza aggiornamento catastale alla realtà: ci si ritrova in casi
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dove la sovrintendenza dice una cosa, il PGT dice ne dice un’altra, il regolamento un’altra ancora. È follia pura. Quindi ben venga un regolamento unico ma che tenga conto di tutti i passaggi, cioè che si allinei ai dati della sovrintendenza quando c’è un immobile o un ambiente da preservare. Si dovrebbe responsabilizzare – come è successo per i tecnici istruttori e di procedimento - anche il tecnico che assevera o presenta un progetto. Secondo me, se la cosa sta in piedi ed è motivata, si potrebbero superare anche queste commissioni, a mio parere un po’ inutili. Ho letto delle 42 definizioni univoche, ed effettivamente è
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meglio averne di certe che differenziate per tutti i Comuni, ma non sono ancora troppe? Queste possono ancora essere utili. Anche lì, la distinzione effettivamente ora varia da Comune a Comune ed averle di definite, in qualsiasi numero, è un vantaggio. A tal riguardo, ben 9 sono le definizioni di superficie, ed è anche per questo motivo che si è verificato tale ritardo nella loro pubblicazione: ha senso questa ulteriore suddivisione? I regolamenti sono tanti, ed anche il discorso di superfici in qualche modo si intreccia con quello precedentemente detto, come i parametri di risparmio energetico per cui è premiale se superi di un delta la parte richiesta minima, lo scomputo sullo spessore dei muri ecc., per cui la definizione di superficie varia a seconda dell’indice prestazionale che gli si attribuisce; già lì è una complicazione perché ognuno ha diversi parametri per la superficie – come la scala da considerarsi interna o esterna – e veramente la situazione diventa critica, anche perché tocchi il ‘portafoglio’ del Comune. È chiaro che finché non c’è un’ottica comune non riusciranno tanto facilmente a creare questi elementi. 9 definizioni sono sicuramente tante anche se necessarie, ma se si considerano le diverse prestazioni richieste è facile raggiungere questo numero. Il rischio è che creare definizioni che vadano bene per tutta l’Italia comporti la creazione di un documento enorme, e a quel punto le definizioni non sono più né chiare né semplificanti. Ho letto un testo che prende ad esempio le norme antiincendio di Torino: si è riscontrato che, con l’aumentare delle norme anti incendio, aumentarono anche gli incendi. Il collegamento è complesso, ma una motivazione è il fatto che un qualsiasi professionista – in questo caso pompieri, assicuratori, costruttori ma anche politici ed amministratori – non può trovare una soluzione definitiva al problema, perché perderebbe clienti e lavoro e quindi deve trovare delle soluzioni parziali, in modo da ‘far credere’ al pubblico di offrire
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la soluzione più adatta, fino a quando questi richiederà nuove tutele. Non crede che questo fenomeno possa riproporsi con il
regolamento edilizio unico? Come per le norme antincendio, se il tecnico è serio le cose possono funzionare benissimo, altrimenti la mancanza di controllo da parte di chi lo ha sempre fatto – come il vigile del fuoco – non aiuta, ed in questo senso si rischia di diventare solo dei grandi compilatori di carte. Anche la sicurezza da alcuni anni a questa parte ha inserito il coordinatore in fase di progetto ed esecuzione - sicuramente necessario -, con alla fine la stessa sicurezza di prima ma con più persone delegate. Da una parte c’è sempre una normativa che porta ad avere sempre più confusione; dall’altra l’inasprimento dell’obbligo non porta ad un miglioramento e siccome ci sono sempre più norme queste sono sempre meno verificabili. Questo ha un riscontro anche sull’edilizia e la fase di progetto perché ci sono talmente tanti documenti da compilare che alla fine certe cose le fai quasi senza sapere cosa stai firmando se non ci stai attento, come per certe definizioni che se vai a vedere la legge di corrispondenza sono 800 pagine che non puoi stare a guardare per intero. Mi chiedevo se questo ‘prevalere di pochi’ possa ripetersi nella creazione del regolamento edilizio unico. Il mio timore è che, se non fatto veramente bene, il rischio è che chi si autotutela faccia ancora abuso di norme, e siccome scritto in modi diversi ed in diversi punti si rischia che la norma diventi interpretabile e quindi punto e a capo. Credo sia impossibile il contrario. Diciamo di voler fare un regolamento unico, ma se pensiamo alle
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migliaia di Comuni ognuno con il proprio apporto, cosa ne verrà fuori? Forse un volume enorme, e lì dentro non ci può essere un ordine o una selezione che sia corretta ed univoca; siamo in Italia, e per come è l’architettura e l’urbanistica dubito esista una soluzione ottimale. In altri paesi c’è una responsabilizzazione del progettista ed a lavoro terminato si effettuano i controlli; qui invece tutti i controlli si fanno prima, dopo non si fa più nulla ed alla fine basta un pezzo di carta dicente «conforme al progetto depositato».
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arch. Vito Mauro Redaelli presso l’Ordine degli Architetti di Milano 5 maggio 2016
Come membro dell’Ordine degli Architetti, qual è il suo rapporto con il regolamento edilizio? È uno strumento essenziale per progettare. Spesso è un documento molto complesso, che bisogna cercare di rendere il più semplice possibile. L’Ordine ha la funzione di tenuta dell’albo – la funzione principale e storica, a partire dagli anni ’30 - e del recente tema sull’aggiornamento professionale del 2014, oltre ad essere l’interfaccia delle amministrazioni pubbliche su norme, leggi e regolamenti in generale: è una specie di soggetto che gli enti pubblici possono consultare prima di approvare un regolamento edilizio, proprio perché chiedono a noi un parere. Prima c’era poca interazione ma ultimamente molte amministrazioni vengono a chiederci pareri, specialmente il Comune di Milano. Quindi, il regolamento edilizio ricade in questo terzo ambito dell’Ordine. Con gli anni è normale che i documenti si aggiornino, ma nel caso del regolamento edilizio ho notato che il numero di articoli è andato a crescere in modo smisurato: ha riscontrato questo cambiamento in bene o in male? È abbastanza classico che nelle amministrazioni italiane aumentino e si stratifichino i documenti, perché ogni Comune è convinto – in buona fede, ovviamente – che «più ti regolo le procedure e più ti faccio un favore». In realtà a volte si creano delle gabbie che diventano poi insormontabili, perché la burocrazia più si regolamenta e più ha difficoltà a gestire le regolamentazioni che si è data lei stessa. Tenendo in considerazione il regolamento di Milano, è sicuramente diventato più difficile nel tempo gestire tale documento, venendo introdotte anche norme molto particolari e frutto del PGT, ma qui si
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dovrebbe fare un altro discorso (vedi capitolo 2.1). In alcuni casi si è verificato un miglioramento termini di semplificazione,
in altri no; in ogni caso, il regolamento edilizio è sempre cresciuto in dimensioni. L’Ordine ha riscontrato in passato difficoltà a gestire più Regolamenti in contemporanea, nel senso di mancanza di dialogo tra un documento e l’altro? Malgrado l’Ordine non sia direttamente influenzato da queste problematiche, si nota sicuramente questo svantaggio perché le definizioni anche tra Comuni confinanti a volte risultano molto differenti, e chiaramente questo non è il massimo della vita per un professionista. Inoltre ogni regolamento ha le sue ‘trappole’ per mancanza di chiarezza o articoli scritti male, che impari una volta che completi il terzo progetto in un Comune. E magari per il resto della tua vita professionale lavorerai sempre per lo stesso Comune, ma appena ti sposterai in un altro territorio cadrai nuovamente nella trappola. Esistono numerosi documenti paralleli, come le norme di sicurezza, igiene, polizia locale e via dicendo, ed il Regolamento Edilizio prende spunto da esse: è utile avere un regolamento così ricco di rimandi, piuttosto che non utilizzarlo ed orientarsi direttamente su questi altri documenti? Un po’ certamente si complica perché tu hai a che fare con tanti regolamenti diversi e settoriali. Quindi se nel regolamento vai ad includere tutte le altre leggi diventi matto, continuando a cambiare regolamento non appena le altre leggi diventino obsolete. Attualmente queste leggi non vengono fatte proprie, ma all’interno del
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regolamento edilizio si fanno unicamente riferimenti a tali norme. Se un regolamento si svuotasse il più possibile da altre leggi e norme, locali e sovralocali, forse sarebbe meglio. È fattibile avere un regolamento ridotto all’osso? Non lo so, si dovrebbe sperimentare. Sempre su questo argomento, un tema forte in questo periodo è quello sull’efficienza energetica, che di mese in mese rilascia aggiornamenti a livello regionale, nazionale ed europeo, facendo si che qualsiasi regolamento edilizio, anche appena
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aggiornato, risulti ‘datato’ nel giro di pochi mesi: non avrebbe senso tenerlo all’infuori del regolamento? È come abbiamo detto prima, mq per questo tipo di situazione ci dovrebbe essere una norma nazionale o europea che mi dica «da qui al 2020 dobbiamo raggiungere questo obbiettivo, il 20% di riduzione di consumo energetico tramite una linea guida»; lo Stato recepisce questo provvedimento e in un ‘mondo normale’ ci si fermerebbe qui. Nel nostro caso invece lo Stato invia questi dettagli alle Regioni, e a questo punto i Comuni non avrebbero nulla da fare, semplicemente applicare le direttive o al massimo motivare alcune di queste linee guida, con incentivi in primis. Tuttavia, mancando un regolamento unico chiaro, lo Stato dice una cosa, le Regioni fanno le loro leggi personalizzate e tutto risulta fortemente frammentato; forse basterebbe rimuovere questa suddivisione regionale, e tutto rimarrebbe più diretto e meno personalizzabile. Dal mio punto di vista, tu come architetto devi fare un progetto, urbano, edilizio o energetico che dir si voglia, e devi raggiungere un obbiettivo sociale, economico ecc.; se nel regolamento edilizio invece viene scritto come va fatto quel progetto, dicendoti l’orientamento degli edifici, le caratteristiche architettoniche e così via, allora si più togliere direttamente la professione dell’architetto, il cliente prende in mano il regolamento e fa lui il progetto. Certo, in questo senso rimuovendo una figura professionale ci sarebbero meno passaggi, ma così si rimuoverebbe la funzione del progetto, perché per l’appunto il bravo progettista è quello che segue le linee guida e le combina per raggiungere il dato obbiettivo, ma nel processo ci deve essere anche la creatività del progettista. Gli articoli diventano sempre più dettagliati e descrittivi con l’evolversi dei regolamenti. Quanto è importante la specificità delle definizioni nel regolamento edilizio? O meglio, è positivo rendere gli articoli più semplici e prestazionali o semplificando aumenterebbe l’incertezza? Certo che più tu punti sull’obbiettivo e la prestazione - senza dirmi come lo devo fare - più la sfida progettuale diventa complicata. Forse qualche
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professionista direbbe «ad avere un regolamento che mi dica cosa e come fare il mio lavoro quasi quasi mi fa piacere», altri invece direbbero
«no, decido io se un ambiente debba essere più o meno grande», quindi meno si regolamentano le cose e più si lascia spazio al progetto, che è anche la maggiore difficoltà. Si dovrebbe fare la sperimentazione di un regolamento ad indirizzo prestazionale, fatto in Italia e non copiato da un Paese dove questa formula già esiste e funziona; in Italia infatti questo processo è molto particolare, perché se tu non scrivi come debbano essere fatte le cose e come raggiungere l’obbiettivo è più facile che il professionista - non qualificato o spinto dal cliente – dichiari il falso nell’aver raggiunto l’obbiettivo, mentre più il processo è regolamentato e più è facile che i processi non vengano controllati dall’amministrazione. Tutti questi comportamenti discordanti si potrebbe dire che siano figli di un sistema iper-regolato, per cui più tu mi regoli e più io avrò piacere ad andare oltre quella regolamentazione, e qui entra in crisi tutto, a partire dalle tasse. Ripeto, sarebbe il caso di provare questo sistema di regolamento prestazionale in un piccolo Comune, più gestibile, e vedere come funziona. Passiamo ora al Regolamento Edilizio Unico: quale membro dell’Ordine, come vede tale documento, in positivo o in negativo? Positivissimo. Bisogna considerare che ormai le burocrazie non sono più in grado di scrivere in modo chiaro le proprie norme, per cui è il caso di avere un regolamento unico che si sviluppi a cascata, dove tutti gli altri enti si adeguino - così come un modello di pratiche edilizie -, ognuno con piccoli parametri che possono essere cambiati in modo da adattarsi
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alle caratteristiche geografiche. Questo forse sarebbe il sistema ideale. Ho letto delle 42 definizioni univoche, ed effettivamente è meglio averne di certe che differenziate per tutti i Comuni, ma non sono ancora troppe? Purtroppo non ho avuto ancora modo di leggerle nel dettaglio, anche perché è un altro consigliere all’interno dell’Ordine che si occupa di questi temi, gli analizza e rende disponibile un resoconto a tutti i membri. Per quanto riguarda il numero non saprei, le definizioni
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andrebbero analizzate una ad una, ma siccome sono tanti i parametri da considerare potrebbe essere un numero accettabile, o magari alcune sono dei doppioni. A tal riguardo, ho notato che ben 9 sono le definizioni di superficie: le sembra sensata questa suddivisione ulteriore del termine? Dandoci una rapida occhiata, sono tutte definizioni ‘storiche’; è chiaro che se rivoluzioni tutto potresti anche rivoluzionare ancora di più questo elemento e semplificarlo ulteriormente, ma ti assicuro che già arrivare al regolamento edilizio unico è un gran traguardo, e possono essere anche 45 le definizioni, basti che siano chiare. Bisognerebbe quindi andare nel merito una per una. Il difficile adesso sarà che ogni Comune si dovrà adeguare a queste definizioni, ma d’altronde se si vuole semplificare ci dovrà pur essere un momento di transizione, un determinato periodo di tempo per adeguarsi alle nuove norme. Sarà un trauma? Sì, ma se non lo si fa non si inizierà mai con il cambiamento. E di traumi ce ne sono già tanti, dove ogni giorno c’è una norma nuova con cambiamenti a volte pesantissimi. Quale è la posizione dell’Ordine nella formazione del regolamento edilizio unico, soprattutto nella sua formazione iniziale? Noi come blocco territoriale e provinciale abbiamo fatto poco o niente poiché tutto si è svolto a Roma, ma come consiglio nazionale sì, per cui indirettamente c’era stata una proposta sulla semplificazione con tutta una serie di consiglieri che arrivavano dagli ordini territoriali e provinciali. In generale quindi ci si è sempre interfacciati con l’Ordine per cercare di semplificare la struttura del regolamento unico, litigando anche all’interno – chi pro e chi contro la formazione di un documento unico, come è sempre successo - ma il consiglio nazionale alla fine era soddisfatto del risultato ottenuto.
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Ultima domanda: ho letto un testo sulle safety regulations, con a tema le norme anti incendio di Torino: si è riscontrato che,
con l’aumentare delle norme antiincendio, sono aumentati anche gli incendi. Il collegamento è complesso, ma una motivazione è il fatto che un qualsiasi professionista – in questo caso pompieri, assicuratori, costruttori ma anche politici ed amministratori – non può trovare una soluzione definitiva al problema perché perderebbe clienti e lavoro, quindi propone delle soluzioni parziali in modo da convincere il pubblico della soluzione più adatta, fino a quando questi richiederà nuove tutele. Non crede che questo fenomeno possa riproporsi con il regolamento edilizio unico? È possibile, come l’abitudine che vuole l’interpretazione da parte del funzionario, il quale nella migliore delle ipotesi te la da, nella peggiore vuole anche la mazzetta, e questo deve sparire altrimenti non ci risolleviamo più come Paese. Qui ci vuole una norma chiara che idealmente anche un bambino possa comprenderla, e che la qualità di una città sia il frutto della qualità di un progetto e non dell’interpretazione delle norme, perché più si entra nell’ambito e più ci si perde. Per l’appunto, le norme non dovrebbero essere interpretative. Il problema è che poi bisogna provare a farle e vedere se sono fattibili. A livello di principio generale sono d’accordissimo con la semplificazione, ma prima bisogna sperimentare.
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arch. Maurizio Cabras assessore all’Urbanistica presso il Comune di Cinisello Balsamo (MI) e membro dell’ANCI 27 maggio 2016 Come è iniziato lo sviluppo del regolamento edilizio unico? Il regolamento edilizio, che è di pari competenza tra lo Stato e le Regioni, ha individuato nella modifica del d.P.R. 380/2001, all’art.4, la necessita di fare un regolamento edilizio unico, per cui lo Stato, attraverso il suo decreto madre che è il regolamento sul testo unico sull’edilizia dice «lo Stato si impegna ad un accorto Stato-Regioni per formulare un nuovo regolamento edilizio unico», e tutto nasce da lì. Quando si fecero le conferenze Stato-Regioni fu coinvolto in questo specifico il MIT come Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti competente dal punto di vista tecnico - e la Presidenza del Consiglio per la Semplificazione, e tra di loro combinati hanno attivato il percorso della conferenza Stato-Regioni; ognuna di esse ha lasciato un suo membro all’interno di questa commissione. Le Regioni hanno individuato nella Regione Basilicata e nella Regione Emilia Romagna i coordinatori di questo tavolo di lavoro. Quindi, chi modifica il regolamento edilizio? Lo Stato dice «chiaramente io», le Regioni rispondono «un pochino anche noi, come facciamo?»: si ha così la conferenza Stato-Regioni. Chi deve essere chiamato? Il Ministero della Semplificazione dice «ci pensiamo noi», mentre Basilicata ed Emilia Romagna fanno da coordinatrici. Inizia il lavoro, ma di solito per queste situazioni anche l’ANCI [Associazione Nazionale Comuni Italiani] deve avere dei suoi esperti all’interno di queste commissioni, sia nelle sedi Regionali che nelle sedi nazionali. Da li è iniziato tutto, poco più di un anno fa (vedi capitolo 2.3). Facciamo un passo indietro: il regolamento edilizio è obbligatorio? Sì. Chi determina questa obbligatorietà? I Comuni certamente, ma questi la devono determinare per conto proprio o devono essere coordinati? A seguito della modifica della Costituzione sulla parte relativa alla sussidiarietà si è iniziato a dire che alcune competenze sono anche
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dello Stato. Alcune Regioni, a seguito di questa modifica dissero «no, noi vorremmo fare un regolamento regionale», e l’Emilia Romagna,
come il Piemonte ed altre Regioni hanno fatto questo lavoro, e per la competenza regionale i Comuni si sono dovuti adeguare. A questo punto, tuttavia, il Governo ha detto «ha senso che noi abbiamo per ogni Comune o ogni Regione un regolamento diverso, all’interno in un unico Paese? No, non ha senso». Quindi testo unico, modifica del d.P.R. 380 e da qui si propone un regolamento edilizio che valga per tutti quanti. Ma a cosa serve il regolamento edilizio? Basandoci sempre su quanto detto nel testo unico, esso serve a regolamentare alcune specificità di sicurezza, coordinare il prodotto edilizio o ha anche una dimensione urbanistica? È qui che si sta perdendo il nostro Paese, perché la definizione è chiara ed unifica, ma alcuni Comuni hanno iniziato ad introdurvi elementi esterni per motivi non precisati e tutto il sistema si è snaturato, con Comuni che hanno addirittura trasformato il regolamento edilizio in uno strumento di pianificazione urbanistica. A questi tavoli comuni per il regolamento edilizio unico, nel tentativo di fare un punto alla situazione, ci sono stati dei soggetti che hanno preso tutti i regolamenti edilizi delle principali città ed hanno iniziato a leggere e confrontare articolo per articolo, creando delle tabelle con tutte le definizioni e, dopo aver preso i punti in comune e quelli di differenza, hanno iniziando questo primo processo di scrematura; è proprio a questo punto che si è manifestato questo grande disastro in Italia, dove ogni Comune ha iniziato a snaturare in modo differente il significato di regolamento edilizio, e ci si è sempre soffermati su quel problema: può un regolamento edilizio trattare di elementi di natura urbanistica? No, no e poi no. Se oggi dobbiamo fare un regolamento unico, proviamo a correggere questo errore o ce lo dobbiamo portare dietro? Quello che sta venendo fuori dalla commissione uniforme - su cui abbiamo lavorato per un anno – è questo: non devono esserci questioni urbanistiche, anche se – purtroppo - su alcune questioni dobbiamo fare dei riferimenti al fine di
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non modificare tutti i piani urbanistici. Abbiamo speso un anno solo per cercare di unificare le definizioni, all’unico scopo di determinare chi fa cosa: l’urbanistica si occupa dei piani urbanistici, l’edilizia delle costruzioni. Punto. Vogliamo che il regolamento edilizio tratti di urbanistica? Va bene, ma allora bisogna modificare la definizione alla fonte, andando al d.P.R. 380/2001 ed imponendo che il regolamento non tratti solo di edilizia ma anche di urbanistica e quant’altro.
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Ma allora le 42 definizioni che sono stare rilasciate sono sbagliate, se trattano di elementi urbanistici. No, fondamentalmente i soggetti coinvolti hanno cercato il miglior modo possibile di non creare questa confusione, e per questo motivo hanno messo dentro il regolamento edilizio alcuni aspetti urbanistici in modo da non scombussolare l’intero sistema, ma a questo punto ognuno aveva la sua visione: ANCI ad esempio avrebbe preferito togliere del tutto questi elementi. Serve la superficie lorda nel regolamento edilizio? Come fa un architetto a non capire cosa sia la superficie? Abbiamo cercato di ridurre il danno al minimo, sicuramente rispetto alle prime ipotesi che inserivano di tutto, ed ora è stato migliorato e pulito il più possibile. Ci sono dei riferimenti all’urbanistica, questo sì, ma allo scopo di avere un punto di mediazione. Certo, un numero limitato di definizioni è già un guadagno. Non è tanto quello, ma il contenuto della definizione. L’obiettivo che ci siamo imposti come ANCI era considerare l’operatore che da fuori, non conoscendo questo Paese, dicesse «cara Italia, se io devo fare un balcone, balcone è uguale dappertutto o in Lombardia è una cosa ed in Sicilia è un’altra? Cos’è la superficie permeabile?», dato che ogni Regione ha la sua definizione. Quello che abbiamo stabilito è stato il dare una definizione per quel che serve all’architetto, la quale sia il più possibile precisa, senza interpretazione e valida per tutti. Le definizioni sono state un lavoro di scrematura, ma a farne poche alcuni giornalisti hanno subito detto «siete stati bravi perché siete passati da 70 a 40», come se si migliorasse a seconda del numero: se ne avessimo fatte 10 sarebbe stato ancora meglio? Magari così poche non funzionano, ma per alcuni questa era come una gara a ridurre le norme, e poco importa se non funzionano. No, utilizziamo quelle che servono, qual è la differenza se quelle necessarie sono poche o tante? Quello del numero non era stato fissato come un obiettivo, ma di mettere delle definizioni chiare che non coinvolgano elementi urbanistici e che non siano interpretabili, anche se di quest’ultimo punto forse non
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riusciremo mai a trovare una soluzione. Il problema è che ci siamo trovati costretti proprio a creare delle definizioni che anche l’architetto meno
competente non debba avere dubbi e cedere all’interpretazione. Per concludere, se alcune definizioni erano già trattate da altri documenti ed argomenti non venivano utilizzate, senza inserirle nel regolamento edilizio o farne riferimento, per non appesantirlo. Un’altra questione che ha sicuramente portato e spinto alla determinazione del regolamento edilizio unico è stata quella relativa all’efficienza energetica, essendo oggi gestita con difficoltà dai regolamenti edilizi. Come si dovrebbe risolvere questo problema con il documento unico? Ci sono delle leggi di Stato che danno indicazioni sull’efficientamento energetico. Se lo Stato stabilisce cosa voglia dire ad esempio cappotto energetico all’interno delle sue norme, il regolamento edilizio altro non fa che fare riferimento. Anche qua, il lavoro è quello di riprendere norme chiare e riportarle dentro il regolamento edilizio, di Stato o Regionale. L’Unione Europea di norma fissa un principio per lo Stato; questi, ma anche la Regione e in alcuni casi il Comune se lo vuole, può renderlo più restrittivo o migliorativo. Dell’efficientamento energetico i regolamenti edilizi sono obbligati a trattarne, perché l’unica cosa che devono fare e quella di riprendere le guide regionali e statali. Il problema è che, una volta che io introduco delle leggi sull’efficientamento energetico - e di solito sono leggi o premiali o prestazionali - il tema è: come si vanno a determinare e misurare? Il progettista può anche dire «giuro che ci sia un miglioramento energetico», ma l’ufficio tecnico risponde che per legge devi fare questo e quello, aggiungendo «come faccio a esser certo che è così?». Come si fa quindi a calcolare questi parametri? Non sono sicuro che riusciremo a trovare una risposta a questo punto: noi stiamo facendo la semplificazione più ovvia, ma che vantaggio c’è se sono obbligato ad
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utilizzare lo stesso modello di efficientamento sia su gradi aree industriali che su piccoli appartamenti? Il problema al momento è questo, misurare con strumenti molto sofisticati che solo alcuni studi professionali saranno in grado di gestire o trovare un modello più facile, ma come si fa nel caso di situazioni molto più complicate? Forse si potrebbero usare dei sistemi informatizzati già esistenti ma al momento non ne ho idea, fatto sta che l’Emilia Romagna ha fatto un po’ da apripista su questo tema e ad un certo punto si è ritirata.
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Faccio un esempio: sono stato di recente a Londra, ed ho visitato degli edifici moderni che sarebbero impensabili per noi, con lampadari talmente bassi che potevo toccarli con le mani, con il rischio di prendere la scossa. Eppure esistono, e non si direbbe che Londra abbia dei problemi a livello edilizio, anzi, tutt’altro. E lo stesso vale per altri ambienti, come quello dei trasporti. In Italia invece abbiamo la smania della ‘perfezione’, volendo dimostrare di essere in grado di utilizzare le più recenti tecnologie, i più alti sistemi di sicurezza e così via, ma alla fine possiamo constatare che questo eccesso non abbia portato altro che a complicazioni e fallimenti. Nella mia idea ‘utopistica’ di regolamento edilizio unico mi aspetto un documento talmente perfetto e chiaro che la presenza degli uffici tecnici quali controparte del professionista possano venire meno alla sua utilità. Sarà così? Il regolamento regolamenta, non sostituisce. Non va a soppiantare la filiera decisionale ma è il punto di incontro tra ufficio tecnico ed il professionista. Il regolamento deve servire a meglio costruire una relazione, senza rimuovere una delle due figure. Dico questo perché ho sempre considerato l’ufficio tecnico come il soggetto necessario al professionista per ‘interpretare’ il regolamento edilizio. Le grandi battaglie che si stanno giocando adesso, come la modulistica unica o la materia di semplificazione, sono da tenere bene a mente, perché ogni volta che si sentirà dire quest’ultimo termine in Italia si starà facendo inevitabilmente il contrario, aggiungendo sempre un pezzo e piuttosto che toglierlo. Si dice che alcune cose il Comune non le guarda più: nella segnalazione di inizio attività, ad esempio, il progettista non sta chiedendo l’autorizzazione ma si sta limitando ad informare; lo Stato dice «benissimo, la responsabilità la prendi tu, e se la casa cade io non voglio saperne nulla», ma il proprietario ovviamente si rifiuta di assumersi le proprie responsabilità e di conseguenza pure il professionista e gli
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altri soggetti annessi. Una volta il Comune diceva «se vuoi ti do io la concessione edilizia», la quale veniva rilasciata al professionista a cui
era stato valutato il progetto da parte degli uffici tecnici: in quel caso la responsabilità cadeva proprio sul Comune, senza alcun dubbio. Quindi, nell’edilizia il processo di semplificazione è gravemente compromesso anche dal sistema delle responsabilità. Vedo che è molto informato sul regolamento edilizio unico. Ora siamo arrivati al rilascio delle definizioni univoche, ma i vari ritardi che si sono accumulati nel tempo da cosa sono causati? Il regolamento edilizio è composto da tre parti: uno sono le definizioni uniche che sono state completate, mentre ora stiamo lavorando sull’indice, ovvero la struttura del regolamento edilizio, puntando a dire che in tutta Italia il regolamento edilizio avrà la stessa struttura, ovvero una uniformità che permetta di avere una certezza sul regolamento a prescindere dal proprio Paese di origine. Si specificherà che una parte sarà uguale per tutto il paese - come le definizioni ed alcuni articoli -, mentre un’altra potrà essere modificata dalle Regioni per rispondere alle specificità locali. La terza parte del regolamento edilizio unico, che sarà un allegato della seconda, sarà relativa all’ASL, ovvero la conformazione igienico-sanitaria. La speranza era quella di poter già recepire non tanto le definizioni che ci sono adesso, quanto un riaggiornamento dei temi che fanno il regolamento d’igiene. Oggi noi siamo ancora abituati a pratiche come «apri la finestra che circola l’aria» quando in alcuni casi sarebbe decisamente più sensato tenere chiuso ed azionare l’unità di trattamento dell’aria. Quindi a questo livello per il rapporto aero-sanitario siamo andati un po’ oltre. La speranza era di poter avere dal ministero della sanità un nuovo indice di cosa siano queste cose e di poterle inserire nel regolamento ma non siamo ancora sicuri di come e se farlo, quindi la terza parte del
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regolamento edilizio forse verrà introdotta in un altro momento o con altre modalità. Quindi in questo caso le norme igienico-sanitarie sarebbero un elemento interno al regolamento e non un rimando? Adesso noi faremo un rimando, ma sarebbe stato meglio portarlo già dentro in modo da poter aggiornare le pratiche sanitarie utilizzate oggi in
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Italia. Al momento siamo concentrati sull’indice, ed una volta concluso – se mai si concluderà – ci sarà il testo unico per tutti quanti; poi ci lavoreranno le Regioni, ci sarà una fase sperimentale, poi una di messa a punto e così via. Se il regolamento andrà a normare anche delle definizioni non specifiche dell’area, come ad esempio elementi riferenti località marittime e montane, il lavoro di riduzione del documento verrebbe meno, o sbaglio? La Regione potrebbe decidere di non introdurre il regolamento edilizio unico del tutto. Ad esempio, in alcune zone il tamponamento è in mattoni, in altre in legno, in altre ancora non lo faranno del tutto, ma il concetto è uguale per tutti; è questo il tipo di pulizia che si sta cecando di fare, per cui si semplifica anche da questo punto di vista.
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geom. Paolo Fabio Carettoni presso il proprio studio geometra a Milano e membro del Collegio dei Geometri di Milano 12 maggio 2016 Come geometra, qual è il suo rapporto con il regolamento edilizio? È un documento che è entrato quotidianamente nella mia vita professionale. Poiché membro del Collegio dei Geometri – facendo parte della commissione urbanistica – ho avuto modo di studiare l’ultimo regolamento edilizio di Milano già un anno prima che uscisse. C’è differenza nel rapporto con il regolamento edilizio da parte dei geometri rispetto agli architetti? Sì e no, nel senso che quando vengono stesi i regolamenti c’è sempre un po’ di contrapposizione trai i vari ordini, quindi si cerca sempre di prevalere su uno o sull’altro invece di preoccuparsi della cosa comune, ovvero le abitazioni dei nostri clienti. Un po’ di faziosità in alcuni articoli c’è, soprattutto riguardo le gare d’appalto ed alcuni aspetti in particolare dell’edilizia. Con gli anni è normale che i documenti si aggiornino, ma nel caso del regolamento edilizio ho notato che il numero di articoli è andato crescendo in maniera esponenziale: ha riscontrato questo cambiamento in bene o in male? È un cambiamento secondo me in male, nel senso che sono tanti articoli riguardanti delle specificità - ad esempio riguardo il contenimento
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energetico, che è in continua evoluzione – per cui il regolamento edilizio non può rimanere dietro all’evoluzione di questi; va da sé che l’aumento di questi articoli ricomprenda anche delle parti talmente specifiche che non possono essere aggiornate quotidianamente, come invece sostanzialmente avviene leggendo le leggi regionali. Dei richiami a documenti esterni sicuramente andavano fatti, ma non facendone una vera e propria implementazione.
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Ha riscontrato in passato difficoltà a lavorare con più Regolamenti in contemporanea, come interventi a scala più ampia tra un Comune e l’altro? Particolari difficoltà no. Io ho lavorato a Roma, Firenze, Bologna, Bergamo, Lecco e nell’hinterland milanese. Diciamo che particolari problemi nel capire un regolamento non ce ne sono, sicuramente la difficoltà sta nel crescere in una città piuttosto che in un’altra, quindi la conformazione degli edifici, la storia della città e così via, oltre il capire maggiormente quel che sta scritto nel regolamento in funzione del luogo in cui si lavora. Tra Comuni confinanti ovviamente ognuno ha il suo regolamento, però non ho trovato queste grandi differenze; più che di regolamento edilizio è un problema di governo del territorio e gestione urbanistica, e qui c’è molta differenza tra un Comune e l’altro. Per il resto molte cose sono gestite a livello nazionale, come le norme d’igiene - trattate in gran parte nei regolamenti edilizi – che sono uguali per tutti. Come già detto esistono numerosi documenti paralleli come le norme di sicurezza, igiene, polizia locale e via dicendo, ed il regolamento edilizio prende spunto da esse: avrebbe senso integrare totalmente questi documenti all’interno del regolamento, in modo tale da avare un documento unico da consultare? Così no, proprio perché come dicevamo prima, il regolamento edilizio è cambiato in maniera drastica nel tempo, ritrovandoci con alcuni articoli praticamente invertiti rispetto ad anni fa, passando da norme prescrittive - dove si davano misure precise ed inderogabili - a norme più ragionate, e quindi il progettista ha anche più ampia decisione nel progetto. Non bisogna esagerare nel far proprio del regolamento edilizi tutte le leggi e definizioni perché poi c’è il rischio di rimanere indietro. Quindi dei richiami e delle specifiche ci vogliono senz’altro a livello regionale, come per la Lombardia dove in territorio è talmente variegato che è impossibile avere un regolamento edilizio che possa prendere tutto in qualsiasi luogo ed in qualsiasi paese. È normale che ognuno abbia le proprie
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differenze, e quindi è bene avere dei richiami ma non delle specificità.
Sempre su questo argomento, un tema forte in questo periodo è quello sull’efficienza energetica, che di mese in mese rilascia aggiornamenti a livello regionale, nazionale ed europeo, facendo si che qualsiasi regolamento edilizio, anche appena aggiornato, risulti ‘datato’ nel giro di pochi mesi: non avrebbe senso tenere queste norme fuori del regolamento? Non ha alcun senso inserire norme come ‘copia e incolla’ da quelle nazionali. L’unica cosa che ha senso è informare sul regolamento edilizio che esiste una Legge Regionale con delle linee guida ed aggiungere che il regolamento edilizio debba essere conforme alla norma vigente nel momento in cui un professionista presenti il suo progetto. Se invece facciamo un discorso riguardo le primalità ed i vari incentivi che possono essere fatti a livello comunale allora il punto è diverso: ogni Comune dovrebbe incentivare più o meno all’aggiornamento energetico di un edificio, a seconda dei limiti che vengono imposti dalla legge; quindi, se io per legge dovessi arrivare ad una classe energetica B e riuscissi a raggiungere una classe A++ potrei ottenere della volumetria in più, ed in ogni paese può essere deciso se del 15, 10 o 4%, sempre ovviamente maggiorandolo rispetto a quelli che sono gli incrementi dati dalle Leggi Regionali. Il problema a questo punto è che non potrò mai essere in linea con la normativa vigente, perché soprattutto sotto l’aspetto energetico in 9 anni è successo di tutto e di più, con evoluzioni tecnologiche, approcci del cittadino rispetto ad una casa passiva ecc. È sicuramente importante indicarlo ma non implementarlo, altrimenti il regolamento andrebbe riscritto ogni mese. Quanto è importante la specificità delle definizioni durante il processo edilizio? È molto influente, ma lo fa in maniera negativa. Anche come Collegio
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dei Geometri abbiamo sollevato questa questione, soprattutto nel caso di Milano, dove ti dicono tutto ciò che puoi fare ma non ti dicono quello che non puoi fare, mentre secondo me dovrebbe essere il contrario, ed il numero di articoli si ridurrebbe drasticamente; tutto il resto lo puoi fare, perché non si può andare a ricercare tutte le opzioni, andandosi a complicare con dei passaggi grammaticalmente complessi che alimentano esclusivamente un’interpretazione soggettiva. È troppo
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descrittivo. Come dico spesso e volentieri, il regolamento edilizio dovrebbero essere “a prova di bambino”, e tutti dovrebbero essere in grado di comprendere la stessa cosa in modo univoco. Purtroppo la lingua italiana permette questa interpretazione, in tutti i campi. Avere la definizione con la superficie minima delle stanze va bene, ma se ho la possibilità di fare la pianta libera io non metto nessuna stanza e poi la divido io; è chiaro che non vado a fare una camera da letto di un metro quadrato, quello sarebbe un problema mio. Si dovrebbe dare più responsabilità a chi fa il progetto. Passiamo ora al regolamento edilizio unico: di quello che sa, come vede tale documento, in positivo o in negativo? Per quello che so sul documento unico, la vedo complicata perché abbiamo un territorio che è molto variegato, soprattutto in Lombardia. Se poi consideriamo tutta l’Italia abbiamo veramente una diversificazione che è impressionante, come quasi nessun’altro Paese al mondo: consideriamo che in 50km passiamo dal mare ed arriviamo alla montagna. Si può fare un regolamento unico, ma bisogna lasciare il tempo che trova perché poi l’applicazione vera e propria nel quotidiano è secondo me impossibile; se si vuole fare un po’ come la norma regionale sull’aspetto energetico che si prende un edificio campione e si determinano le procedure allora si potrebbe fare, ma io la vedo comunque complicata. Vedremo. Da varie ricerche ho notato che il regolamento edilizio unico è proposto e quasi unicamente supportato dagli architetti. Il fatto che sia spinto dagli architetti è molto semplice, perché non hanno bisogno dei geometri sul territorio. A mio parere invece bisognerebbe viverlo il territorio, per sapere come muoversi non nel palazzo comunale ma all’interno di un luogo: se io lo conosco so anche come utilizzarlo. Quindi il regolamento edilizio unico secondo me funziona solo ed esclusivamente se fossimo in un Paese come gli Stati Uniti, dove ci
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sono distese di centinaia di chilometri e per macro aree posso dividerlo, ma in Italia è impossibile dividere il territorio per macro aree. A parità
di caratteristiche geografiche va bene, ma appena varia come faccio a gestirlo? Secondo me è avventato produrre un regolamento edilizio unico con queste condizioni. Eppure già in gran parte d’Europa i Paesi adottano un regolamento edilizio unico, come mai non riusciamo in Italia? Secondo me perché ci si è sempre riservato il proprio ‘orticello’, e nello stesso tempo è anche complicato – e diventa una questione politica più che edilizia – riuscire a far comunicare tutti. Ci vorrebbe un gruppo di persone scelte per ogni Comune, che si mettano a tavolino e si interfaccino, perché non può essere un politico a scrivere una cosa del genere, come succede sempre: un geometra, un ingegnere, un architetto, un perito e così via, idem tutti i Comuni o macro-Comuni, in modo tale che si possa avere un risconto serio, una base convincente e che vada bene per tutto il territorio, il resto - come il rapporto dei luminari e delle altezze - è già fisso. Il il regolamento unico lo vedo molto prematuro, anche perché è lo strumento che regolamenta l’edilizia vera e propria e quindi deve essere per forza condiviso, non può essere fatto ai livelli alti e dopo abbandonato alle sfere più basse. Sarebbe quindi necessario un gruppo di persone che lo studi a livello nazionale, oppure partire facendo macro aree e poi man mano ridurre l’estensione. Se si considera a livello urbanistico, tutti i Comuni dovrebbero mettersi insieme, come la città metropolitana milanese, ed avere un proprio PGT che possa essere poi esteso alle province vicine; a quel punto si avrebbe un PGT regionale vero e proprio, e da lì si potrebbe fare un regolamento unico che possa avvicinarci al livello nazionale. Ha letto delle 42 definizioni univoche?
Car
Non le ho ancora guardate perché come è successo per Milano sono molto cambiate da una presentazione all’altra, quindi preferisco aspettare con molto distacco. Non le sembrano tante, se lo scopo era quello di semplificare? Dipende a cosa si riferiscono, ma soprattutto dipende dalla loro
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struttura, se sono ancora descrittive o meno; 42 effettivamente iniziano ad essere tante, perché oltre ad altezze e distanze sono poche quelle veramente utili. Ho notato che ben 9 sono le definizioni di superficie: le sembra sensata questa suddivisione forzata del termine? Questo fatto succede perché è relativo alle tassazioni dell’Agenzia delle Entrate, che da sempre ha definito le superfici, i locali principali, accessori, comunicanti ecc., e sulla scorta di queste definizioni cambia il valore della retta catastale. A mio parere questa decisione nazionale va di pari passo agli adeguamenti delle attuali misurazioni: può quindi sembrare strano ma è fattibile. Secondo me basterebbe seguire la Legge Bucalossi, che è molto chiara: si considera la superficie utile come quella residenziale e corrispondente alla superficie interna ai muri, mentre la superficie non residenziale raggruppa tutto il resto. Ho letto un testo sulle safety regulations prendendo ad esempio le norme antiincendio di Torino: si è riscontrato che, con l’aumentare di queste norme sono aumentati anche gli incendi. Il collegamento è complesso, ma una motivazione è il fatto che un qualsiasi professionista – in questo caso pompieri, assicuratori, costruttori ma anche politici ed amministratori – non può trovare una soluzione definitiva al problema, perché perderebbe clienti e lavoro, quindi deve trovare delle soluzioni parziali, in modo da ‘far credere’ al pubblico di offrire la soluzione più adatta, fino a quando questi richiederà nuove tutele. Non crede che questo fenomeno possa riproporsi con il regolamento edilizio unico? Sul tema dei vigili del fuoco c’è stato nel 2011 un grande cambiamento, dove prima le norme erano prescrittive e l’Italia era il primo Paese al mondo con il minor numero di incendi; dovendoci poi adeguare a livello europeo si è dovuto passare ad una norma in cui ognuno può sostanzialmente cercare di arrangiarsi a proprio favore con quello che
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ha in mano; sicuramente in questo modo si lascia più interpretazione e quindi il lavoro dei vigili del fuoco è sostanzialmente più complicato.
La perfezione noi non la otterremo mai, ma può essere che quel che si vuole fare – secondo me sbagliato - sia l’addossare sempre di più al professionista la responsabilità di quel che succede. È una cosa molto complicata perché toglie completamente il controllo ed elimina la sicurezza del professionista, nel senso che non si sa più cosa sia corretto fare e cosa non lo sia, proprio perché c’è troppa interpretazione; dalla parte dell’amministrazione invece, che dovrebbe fare il controllo, questo non viene fatto. Si dovrebbe secondo me tornare come era prima, quando io che costruivo un edificio ricevevo un verbale di prima visita, di seconda visita, terza visita e così via; adesso uno costruisce un edificio e ci dà l’abitabilità, senza domandarsi se tutto sia stato fatto correttamente, poi arrivano a controllare dopo 10 anni dicendoti «ma la grondaia al posto di essere 10 metri di distanza è 2,90m». Il controllo ormai è unicamente formale sotto l’aspetto amministrativo, quindi se hai la carta d’identità valida, hai firmato i moduli e ci sono tutti i documenti del DURC allora è in regola, senza altra verifica. Il regolamento edilizio è uno strumento accessibile al pubblico, ma sono ben pochi i cittadini che si interessano a consultarlo, un po’ per pigrizia ed un po’ per la sua complessità, strutturale e grammaticale. Pensa che con il regolamento edilizio unico ci sarà un cambiamento in questo senso, con un maggiore interessamento da parte del privato cittadino? Può anche essere più accessibile al pubblico ma non vedo l’utilità, nel senso che uno può certamente anche andare a leggerlo, ma pensa di poter fare un progetto a casa sua da solo? Potrà essere magari più chiaro ma il cliente avrà pur sempre la necessità di interpellare un tecnico che sia un architetto, un geometra o un ingegnere. Se vogliamo far sparire tutte le professionalità possiamo ma io sono più per le figure preparate e competenti piuttosto che qualsiasi
Car
persona. Le specificità vanno tutelate, così come nei vari lavori. Il regolamento sarà pure più leggibile, ma non puoi comprenderne il contenuto se non hai fatto gli adeguati studi. Ed il geometra, come tutti gli altri professionisti, continuerà a recarsi presso gli uffici comunali per ottenere chiarimenti.
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Si, il problema secondo è che bisognerebbe proprio rimuovere l’interpretazione, ed in quel caso si potrà avere un maggiore controllo da parte dell’amministrazione pubblica, perché ci sarà sempre meno bisogno di persone che diano spiegazioni e più richiesta di tecnici che vadano in giro ad effettuare i controlli, cosa che invece oggi è tutto il contrario: i Comuni fanno addirittura dei corsi interni su come interpretare i regolamenti una volta aggiornati, cosa che non dovrebbe esistere.
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pian. Luca Grassi e avv. Andrea Lavorato presso Assimpredil ANCE a Milano 26 aprile 2016 Qual è il suo rapporto con il regolamento edilizio? Grassi: Molto stretto perché siamo l’associazione delle imprese edili di Milano, Lodi e Monza-Brianza, e le tre province messe insieme fanno 250 Comuni; ciò vuol dire 250 regolamenti edilizi, poiché è un documento locale ed ogni Comune ha il suo. A seconda di dove sono localizzati i cantieri le nostre imprese gestiscono una regolamentazione diversa. È un documento utilizzato quotidianamente. Con gli anni è normale che i documenti si aggiornino, ma nel caso del regolamento edilizio ho notato che il numero di articoli è andato a crescere in modo smisurato: ha riscontrato questo cambiamento in bene o in male? G: L’aumento dell’articolato l’abbiamo notato anche nei numerosi regolamenti edilizi che abbiamo avuto modo di vedere rinnovati. Sono tanta le amministrazioni comunali che periodicamente rinnovano il loro regolamento edilizio, anche se non esiste una specifica legge che li obblighi a tale rinnovo nel corso del tempo – a differenza del PGT. Cambia tanto la normativa, quella di livello regionale e nazionale, per cui è opportuno – anche se non è scritto da nessuna parte – che il Comune si attrezzi di conseguenza, dato che a partire dal 2010 la disciplina urbanistica-edilizia, già a livello nazionale, si è ribaltata completamente.
G -L
Io ho iniziato a lavorare nel 2007, e c’erano solo due titoli abilitativi: il permesso di costruire e la denuncia di inizio attività, che era l’oggetto di articolato di un regolamento edilizio. Dal 2007 ad oggi abbiamo, oltre a questi due titoli, la comunicazione di inizio attività, la comunicazione di inizio attività libera ed il permesso di costruire. Ce ne sono cinque di tipologie oggetto del regolamento edilizio e
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disciplinate da esso, come la super DIA, inventata Milano. La super DIA non è a livello nazionale, introdotta dal decreto Sblocca Italia? G: Fa parte dello Sblocca Italia ma la ha comunque inventata Milano, perché è la denuncia di inizio attività oggetto di oneri di urbanizzazione. Ci sono degli interventi edilizi di tipo pensante che sono oggetto di oneri di urbanizzazione, come le ristrutturazioni e le nuove costruzioni. A livello nazionale, prima, tutte queste cose si facevano solo con il permesso di costruire, perché permetteva la realizzazione degli oneri di urbanizzazione; le manutenzioni straordinarie, il restauro ed il risanamento conservativo, che pure sono interventi edilizi di carattere minore, si facevano invece con le DIA. Quindi a seconda di quello che si voleva fare si utilizzava l’adeguato modulo. Il permesso di costruire si faceva per interventi edilizi importati, quelli che erano oggetto di oneri di urbanizzazione. La super DIA è il modulo che utilizza per fare le manutenzioni straordinarie, le ristrutturazioni ed i restauri, ma applicati anche alle nuove costruzioni, che ripeto sono interventi soggetti ad oneri di urbanizzazione. Quello che voglio dire è che a livello nazionale la DIA ed il permesso di costruire erano due ambiti molto separati, a seconda di quello che dovevi fare usavi o uno o l’altro titolo abilitativo. La super DIA è un ibrido che c’è solo in Regione Lombardia, o comunque siamo stati i primi. Ha riscontrato in passato difficoltà a lavorare con più regolamenti edilizi in contemporanea, come interventi a scala più ampia tra un Comune e l’altro? G: Dal nostro punto di vista il problema non è a cavallo tra i Comuni, è relativo al fatto che le nostre imprese magari hanno uno, due, tre cantieri aperti in giro per la Lombardia, ed hanno a che fare con tre regolamenti edilizi diversi - in particolare tre modulistiche diverse -, ed è questo il motivo di disagio per in nostri, perché tante volte ogni regolamento edilizio è così specifico che comporta degli allegati in più o in meno da presentare ed il nostro operatore, che ha sempre lavorato nello stesso
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Comune, appena va fuori scopre un mondo tutto diverso e non si preoccupa neanche di verificare il regolamento edilizio, ma nel momento
in cui presenta il titolo abilitativo la SUAP [Sportello Unico delle Attività Produttive] si ferma perché il regolamento edilizio richiede altre cose. Definizioni diverse diciamo di no, ma allegati da presentare nel progetto piuttosto che un modulo diverso a livello planivolumetrico. Ci sono delle piccole cose che sono molto specifiche per ogni Comune, per cui il problema per noi che ci siano tanti regolamenti edilizi diversi non si realizza nel momento in cui un cantiere è a cavallo tra un Comune e l’altro, ma nel momento in cui i nostri operatori hanno più cantieri aperti, ed in ogni città c’è una regola diversa. Esistono numerosi documenti paralleli, come le norme di sicurezza, igiene, polizia locale e via dicendo, ed il regolamento edilizio prende spunto da esse: è utile avere un regolamento così ricco di rimandi? Lavorato: Per quanto riguarda il regolamento edilizio, questo è per quanto riguarda la parte edilizia ed il fulcro della disciplina. Su questo tronco si innestano inevitabilmente discipline che arrivano da altri settori, come la sicurezza, l’igiene, i vigili del fuoco ed ora la normativa sismica. È tutta una serie di settori che inevitabilmente hanno a che fare con il regolamento edilizio, ed è per questo che la disciplina dell’intervento edilizio risulti complessa, perché deve fare riferimento non solo ai tre livelli normativi condizionali che sono il nazionale, il regionale ed il comunale, ma a livello locale sono così tante le normative che vengono ad innestarsi nell’ambito dell’esplicazione edilizia che inevitabilmente il regolamento contiene parecchi rinvii, ed a sua volta le altre discipline devono necessariamente collegarsi con la traccia dettata dal regolamento edilizio. Quindi sarebbe meglio avere un unico documento che assorba totalmente tutti questi documenti?
G -L
L: Potrebbe essere interessante ma non credo che ci si arrivi perché questa è la regolamentazione edilizia, ed io sfido chiunque a dire al relativo settore «guardate che la vostra disciplina la inserisco nel regolamento edilizio»; gli operatori ed i professionisti sanno che nello svolgimento dell’attività devono necessariamente avere a che fare con un filone edile di base pur tenendo conto di varie altre normative,
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indispensabili ed oggetto di specifici controlli di vigilanza nel corso dell’attività. G: Se ci si fa nota, tutti questi riferimenti sono relativi a leggi nazionali, quindi validi per tutti. Non è questo quello che crea la difficoltà, ma il fatto che esista quel riferimento, quindi quando fai un lavoro devi contemplare l’aspetto della sicurezza, dei vigili del fuoco, dell’ASL ecc. Sempre su questo argomento, un tema forte in questo periodo è quello sull’efficienza energetica, che di mese in mese rilascia aggiornamenti a livello regionale, nazionale ed europeo, facendo si che qualsiasi regolamento edilizio, anche appena aggiornato, risulti ‘datato’ nel giro di pochi mesi: non avrebbe senso tenerlo all’infuori del regolamento? G: Il motivo del risparmio energetico È il motivo per cui un Comune deve fare un nuovo regolamento edilizio, ed È il motivo per cui vogliono fare un regolamento edilizio unico. Se non sbaglio il regolamento unico non deve dire tante cose, ma l’efficientamento energetico sicuramente sì: l’avere edifici non energivori è il motivo per cui si sono inventati il regolamento edilizio unico. Sì, la normativa cambia sempre, e questo è un motivo per cui colui che scrive il regolamento edilizio fa sempre riferimento ad una norma; non dice la prestazione esatta, ma fa riferimento ad un articolo proprio perché quest’ultimo ogni due mesi cambia, e per questo il regolamento edilizio non descrive un numero per quanto riguarda l’efficienza energetica ma fa un riferimento normativo, che anche cambiando permette al regolamento edilizio di avere vita lunga. Passiamo ora al regolamento edilizio unico: quale Assimpredil (Associazione Imprese Edili), come vede tale documento, in positivo o in negativo? L: Il regolamento edilizio unico nasce da un’esigenza dei liberi professionisti ed in particolare dell’Ordine Nazionale degli Architetti, che di questo ha fatto una crociata. L’obbiettivo è di arrivare a definire una norma unica perché la difficoltà degli architetti sarebbe quella che se
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io lavoro in un Comune ho determinate regole, se lavoro in un altro la situazione è diversa; io non posso impararmi 8000 regolamenti edilizi
e quindi ho bisogno di unificare ed uniformare. Gli operatori edili hanno le stesse difficoltà, però questa è stata una crociata che i professionisti hanno portato aventi con volontà, forse troppa decisione. Il mio pensiero è che i lavori fatti con molta fretta portano a risultati non ottimali, e forse ragionandoci meglio saremmo potuti arrivare a qualcosa di più organico e ragionato, tenendo anche conto del fatto che la disciplina di Bolzano, quella di Roma e quella di Modica debbano essere necessariamente diverse. Per carità, se è nella misura in cui questa iniziativa è diretta alla semplificazione ed alla razionalizzazione normativa è positivo, ma nella parte in cui si vuole con una sola norma regolamentare cose diverse, ovviamente diventerà qualcosa di inapplicabile e quindi l’effetto negativo si vedrà in sede di applicazione della norma stessa. Per ora l’operazione è solo sulle definizioni, e forse dal punto di vista semplificativo un risultato si è raggiunto. Ecco, non è solo questo il regolamento edilizio tipo, quindi si dovrà vedere più avanti cosa verrà fuori. Quello che noi e gli operatori edili abbiamo subito fatto presente è che il regolamento edilizio non può contenere discipline che impattino con la strumentazione urbanistica, a maggior ragione se le norme transitorie non dicono chiaramente come questo nuovo provvedimento impatti sulla strumentazione in corso, perché se io detto una nuova norma urbanistica che si scontri per esempio con il PGT, allora veramente non si capirebbe più niente. I concetti e le definizioni come superficie e volume hanno un aspetto urbanistico rilevante, e per questo si dovrebbe essere grado di regolamentare in modo lucido e ragionato, oltre al costruire una norma transitoria che faccia sua la successione di questa disposizione: in tal caso andrebbe tutto bene, ma se domani entrasse in vigore nel regolamento edilizio unico una norma con un risvolto urbanistico fondamentale allora salterebbe anche tutto l’impianto urbanistico. La nostra proposta era di spostare l’entrata in vigore del regolamento edilizio al primo rinnovo del PGT, ed a quel punto il nuovo strumento
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urbanistico verrà pensato, costruito ed applicato in relazione alle nuove definizioni. Sulla norma transitoria per ora non ci sono interventi. (l’intervista continua solo con il pian. Grassi) Ho letto delle 42 definizioni univoche, ed effettivamente è
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meglio averne di certe che differenziate per tutti i Comuni, ma non sono ancora troppe? Sono tante, ma sono anche vincolanti. Questo vuol dire che obbligano al rispetto di 42 definizioni. Ad esempio, a Milano e nel Nord Italia si ragiona in metri quadri, al Sud in metri cubi. Varrebbe la pena individuare poche voci che vadano bene per tutti, come le superfici escluse dal calcolo della SLP o del volume. Sono si importanti, ma non devono essere 42. Ho inoltre letto che è stata proprio la Regione Lombardia la causa del rallentamento nel rilascio di tali definizioni, come a far valere la propria posizione di Regione guida. Questo vuol dire che non c’è disponibilità ad adeguarsi, mentre prevale il volere che siano gli altri a doversi adeguare. Questo pensiero non è solo della Lombardia, ma ogni Regione vuol far valere le proprie idee; sono un prevalere del lato burocratico, più che tecnico. Sarà un grosso problema quello del regolamento edilizio unico, perché dovrà prendere in considerazione solo alcuni aspetti; sarebbe bello avere delle definizioni uniche sulle superfici, però se adesso mi dicono che tutti gli strumenti urbanistici devono lavorare in metri cubi, noi che abbiamo sempre ragionato in metri quadri… Il fatto che siano tante le definizioni significa che ognuno ci ha messo del suo. L’ente più rilevante nella determinazione del regolamento edilizio unico sono le Regioni: non sarebbe meglio che siano i tecnici, coloro che alla fine utilizzeranno il documento, a doverci mettere mano? Io sono un architetto, ed è meglio che sia una Regione a fare questo lavoro. Stiamo comunque parlando di un ente medio, che opportunamente è stato individuato quale organizzatore dei contenuti del regolamento. Dico questo perché se vogliamo raggiungere un regolamento unico gli architetti sono 8000 ma tutti uguali, chi guadagna
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più e chi guadagna meno ma tecnicamente allo stesso livello, ed ognuno dovrebbe avere la sua voce in capitolo: impossibile. Sta invece
agli architetti consigliare alla Regione come debba comportarsi, e questo è quello che fa e ci tiene a farlo. Il fatto che sia la Regione a svolgere questo compito non significa che sia un ente rinchiuso in un ufficio fuori dal mondo. La Regione Lombardia, come ha sempre fatto, propone numerosi interventi e tavoli di confronto, m alla fine sta a lei decidere; esiste quindi un dialogo con la Regione Lombardia, ma devi essere tu a bussare alla loro porta, altrimenti non vengono certo a cercarti. Questo è un corretto modo di adoperarsi, nella consapevolezza che poi sarà la Regione a decidere. Ho letto un testo sulle safety regulations riguardo le norme antiincendio di Torino: si è riscontrato che, con l’aumentare di queste, si verificano parallelamente più incendi. Il collegamento è complesso, ma una motivazione è il fatto che un qualsiasi professionista – in questo caso pompieri, assicuratori, costruttori ma anche politici ed amministratori – non può trovare una soluzione definitiva al problema perché perderebbe clienti e lavoro, quindi deve trovare delle soluzioni parziali, in modo da convincere i cittadini di offrire loro la soluzione più adatta, fino a quando questi richiederanno nuove tutele. Non crede che questo fenomeno possa riproporsi con il regolamento edilizio unico? Questo è il motivo per cui è forse opportuno che un regolamento edilizio unico all’inizio dica poche cose piuttosto che cimentarsi a definire ogni tipo di soluzione. Cominciamo pure con le definizioni, il passo successivo potrebbe essere quello di individuare le prestazioni energetiche; io penso che la quest’ultima non sia una cosa che deve raggiungere una città soltanto, perché è l’Europa a decidere che entro il 2020 dobbiamo essere meno energivori, per cui c’è un obbiettivo superiore e tutti dobbiamo contribuire a raggiungerlo. La prestazione
G -L
energetica noi la vediamo come una soglia che potrebbe essere uguale per tutti, da Bolzano a Modica: se a livello regionale si stabilisse che la prestazione energetica minima sia quella lì, poi ci pensi tu a capire come raggiungerla. Magari il regolamento edilizio ti obbliga, in virtù del fatto di raggiungere tale obbiettivo, a mettere i tripli vetri o a fare il muro più spesso: ecco, anche questo non è molto positivo, perché sarebbe
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sì bello avere una prestazione energetica minima da raggiungere, ma tocca a me quale costruttore stabilire come arrivarci, con o senza muri e vetri più spessi; si tende invece a dire nei regolamenti edilizi che le finestre devono avere una prestazione, i serramenti devono averne un’altra, il muro deve essere fatto in questo modo e così via, cioè si prendere il singolo elemento dell’edificio e lo si norma dal punto di vista energetico. Sarebbe bello avere, ripeto, solo l’obbiettivo, mentre al come raggiungerlo ci penso io. Ci sono delle persone per cui questa guida dovrebbe essere detta a livello regionale, e non al giudizio del singolo Comune; poi quest’ultimo potrebbe decide come raggiungere tale obbiettivo, specialmente tramite incentivi. Mi sembra invece che i regolamenti edilizi si ostinino un po’ troppo nel definirti struttura per struttura qual è la prestazione energetica che debba avere quell’elemento. il regolamento edilizio è un documento destinato al cittadino, ma per interesse o complessità quest’ultimo non va a leggerlo, lasciando il tutto al tecnico. Con il regolamento edilizio unico si aspetta che il cittadino si interessi di più a tale documento o no? Non mi aspetto che cambi e che il normale cittadino vada a leggerlo. Che io sappia nessun abitante si è mai interessato al regolamento di Milano, se non che fosse un ingegnere o un tecnico: non c’è interesse da parte di persone esterne a quel mestiere. Che sia un documento pubblico è vero ed è giusto che tutti sappiano dove sia collocato, ma non cambia l’interesse. L’architetto non dovrebbe più avere necessità a recarsi in Comune per spiegazioni, se il regolamento è unico e uguale per tutti. Non succederà MAI che non ci si rechi in Comune per chiarimenti. Vogliamo un regolamento unico? Scriviamo poche cose, magari la prestazione energetica e quali siano le definizioni di superficie, ma non so se sia opportuno scriverci qualcos’altro.
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G -L
II Quadro delle definizioni uniformi
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1_ Superficie territoriale
Superficie reale di una porzione di territorio oggetto di intervento di trasformazione urbanistica. Comprende la superficie fondiaria e le aree per dotazioni territoriali ivi comprese quelle esistenti.
2_ Superficie fondiaria
Superficie reale di una porzione di territorio destinata all’uso edificatorio. È costituita dalla superficie territoriale al netto delle aree per dotazioni territoriali ivi comprese quelle esistenti.
3_ Indice di edificabilità territoriale
Quantità massima di superficie o di volume edificabile su una determinata superficie territoriale, comprensiva dell’edificato esistente.
4_ Indice di edificabilità fondiaria
Quantità massima di superficie o di volume edificabile su una determinata superficie fondiaria, comprensiva dell’edificato esistente.
5_ Carico urbanistico
Fabbisogno di dotazioni territoriali di un determinato immobile o insediamento in relazione alla sua entità e destinazione d’uso. Costituiscono variazione del carico urbanistico l’aumento o la riduzione di tale fabbisogno conseguenti all’attuazione di interventi urbanistico‐edilizi ovvero a mutamenti di destinazione d’uso.
6_ Dotazioni Territoriali
Infrastrutture, servizi, attrezzature, spazi pubblici o di uso pubblico e ogni altra opera di urbanizzazione e per la sostenibilità (ambientale, paesaggistica, socio‐economica e territoriale) prevista dalla legge o dal piano.
7_ Sedime
Impronta a terra dell’edificio o del fabbricato, corrispondente alla localizzazione dello stesso sull’area di pertinenza.
8_ Superficie coperta
Superficie risultante dalla proiezione sul piano orizzontale del profilo esterno perimetrale della costruzione fuori terra, con esclusione degli aggetti e sporti inferiori a 1,50 m.
9_ Superficie permeabile
Porzione di superficie territoriale o fondiaria priva di pavimentazione o di altri manufatti permanenti, entro o fuori terra, che impediscano alle acque meteoriche di raggiungere naturalmente la falda acquifera.
10_ Indice di permeabilità
Rapporto tra la superficie permeabile e la superficie territoriale (indice di permeabilità territoriale) o fondiaria (indice di permeabilità fondiaria).
11_ Indice di copertura
Rapporto tra la superficie coperta e la superficie fondiaria.
12_ Superficie totale
Somma delle superfici di tutti i piani fuori terra, seminterrati ed interrati comprese nel profilo perimetrale esterno dell’edificio.
13_ Superficie lorda
Somma delle superfici di tutti i piani comprese nel profilo perimetrale esterno dell’edificio escluse le superfici accessorie.
14_ Superficie utile
Superficie di pavimento degli spazi di un edificio misurata al netto della superficie accessoria e di murature, pilastri, tramezzi, sguinci e vani di porte e finestre.
15_ Superficie accessoria
Superficie di pavimento degli spazi di un edificio aventi carattere di servizio rispetto alla destinazione d’uso della costruzione medesima, misurata al netto di murature, pilastri, tramezzi, sguinci, vani di porte e finestre. La superficie accessoria ricomprende: • i portici e le gallerie pedonali; • i ballatoi, le logge, i balconi e le terrazze; • le tettoie con profondità superiore a m 1,50; le tettoie aventi profondità inferiore a m. 1,50 sono escluse dal computo sia della superficie accessoria sia della superficie utile; • le cantine poste al piano interrato, seminterrato o al primo piano fuori terra e i relativi corridoi di servizio; • i sottotetti accessibili e praticabili per la sola porzione con altezza pari o superiore a m 1,80, ad esclusione dei sottotetti aventi accesso diretto da una unità immobiliare e che presentino i requisiti richiesti per i locali abitabili che costituiscono superficie utile; • i vani scala interni alle unità immobiliari computati in proiezione orizzontale, a terra, una sola volta; • spazi o locali destinati alla sosta e al ricovero degli autoveicoli ad esclusione delle autorimesse che costituiscono attività imprenditoriale; • le parti comuni, quali i locali di servizio condominiale in genere, i depositi, gli spazi comuni di collegamento orizzontale, come ballatoi o corridoi. Gli spazi comuni di collegamento verticale e gli androni condominiali sono escluse dal computo sia della superficie accessoria sia della superficie utile.
16_ Superficie complessiva
Somma della superficie utile e del 60% della superficie accessoria.
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17_ Superficie calpestabile
Superficie risultante dalla somma delle superfici utili e delle superfici accessorie di pavimento.
18_ Sagoma
Conformazione planivolumetrica della costruzione fuori terra nel suo perimetro considerato in senso verticale ed orizzontale, ovvero il contorno che viene ad assumere l’edificio, ivi comprese le strutture perimetrali, nonché gli aggetti e gli sporti superiori a 1,50 m.
19_ Volume totale o volumetria complessiva
Volume della costruzione costituito dalla somma della superficie totale di ciascun piano per la relativa altezza lorda.
20_ Piano fuori terra
Piano dell’edificio il cui livello di calpestio sia collocato in ogni sua parte ad una quota pari o superiore a quella del terreno posto in aderenza all’edificio.
21_ Piano seminterrato
Piano di un edificio il cui pavimento si trova a una quota inferiore (anche solo in parte) a quella del terreno posto in aderenza all’edificio e il cui soffitto si trova ad una quota superiore rispetto al terreno posto in aderenza all’edificio.
22_ Piano interrato
Piano di un edificio il cui soffitto si trova ad una quota inferiore rispetto a quella del terreno posto in aderenza all’edificio.
23_ Sottotetto
Spazio compreso tra l’intradosso della copertura dell’edificio e l’estradosso del solaio del piano sottostante.
24_ Soppalco
Partizione orizzontale interna praticabile, ottenuta con la parziale interposizione di una struttura portante orizzontale in uno spazio chiuso.
25_ Numero dei piani
È il numero di tutti i livelli dell’edificio che concorrono, anche parzialmente, al computo della superficie lorda.
26_ Altezza lorda
Differenza fra la quota del pavimento di ciascun piano e la quota del pavimento del piano sovrastante. Per l’ultimo piano dell’edificio si misura l’altezza del pavimento fino all’intradosso del soffitto o della copertura.
27_ Altezza del fronte
L’altezza del fronte o della parete esterna di un edificio e delimitata: • all’estremità inferiore, dalla quota del terreno posta in aderenza all’edificio prevista dal progetto; • all’estremità superiore, dalla linea di intersezione tra il muro perimetrale e la linea di intradosso del solaio di copertura, per i tetti inclinati, ovvero dalla sommità delle strutture perimetrali, per le coperture piane.
28_ Altezza dell’edificio
Altezza massima tra quella dei vari fronti.
29_ Altezza utile
Altezza del vano misurata dal piano di calpestio all’intradosso del solaio sovrastante, senza tener conto degli elementi strutturali emergenti. Nei locali aventi soffitti inclinati o curvi, l’altezza utile si determina calcolando l’altezza media ponderata.
30_ Distanze
Lunghezza del segmento minimo che congiunge l’edificio con il confine di riferimento (di proprietà, stradale, tra edifici o costruzioni, tra i fronti, di zona o di ambito urbanistico, ecc.), in modo che ogni punto della sua sagoma rispetti la distanza prescritta.
31_ Volume tecnico
Sono volumi tecnici i vani e gli spazi strettamente necessari a contenere ed a consentire l’accesso alle apparecchiature degli impianti tecnici al servizio dell’edificio (idrico, termico, di condizionamento e di climatizzazione, di sollevamento, elettrico, di sicurezza, telefonico, ecc.).
32_ Edificio
Costruzione stabile, dotata di copertura e comunque appoggiata o infissa al suolo, isolata da strade o da aree libere, oppure separata da altre costruzioni mediante strutture verticali che si elevano senza soluzione di continuità dalle fondamenta al tetto, funzionalmente indipendente, accessibile alle persone e destinata alla soddisfazione di esigenze perduranti nel tempo.
33_ Edificio unifamiliare
Per edificio unifamiliare si intende quello riferito un’unica unità immobiliare urbana di proprietà esclusiva, funzionalmente indipendente, che disponga di uno o più accessi autonomi dall’esterno e destinato all’abitazione di un singolo nucleo familiare.
34_ Pertinenza
Opera edilizia legata da un rapporto di strumentalità e complementarietà rispetto alla costruzione principale, non utilizzabile autonomamente e di dimensioni modeste o comunque rapportate al carattere di accessorietà.
35_ Balcone
Elemento edilizio praticabile e aperto su almeno due lati, a sviluppo orizzontale in aggetto, munito di ringhiera o parapetto e direttamente accessibile da uno o più locali interni.
36_ Ballatoio
Elemento edilizio praticabile a sviluppo orizzontale, e anche in aggetto, che si sviluppa lungo il perimetro di una muratura con funzione di distribuzione, munito di ringhiera o parapetto.
37_ Loggia/Loggiato
Elemento edilizio praticabile coperto, non aggettante, aperto su almeno un fronte, munito di ringhiera o parapetto, direttamente accessibile da uno o più vani interni.
Def 131
132
38_ Pensilina
Elemento edilizio di copertura posto in aggetto alle pareti perimetrali esterne di un edificio e priva di montanti verticali di sostegno.
39_ Portico/Porticato
Elemento edilizio coperto al piano terreno degli edifici, intervallato da colonne o pilastri aperto su uno o piÚ lati verso i fronti esterni dell’edificio.
40_ Terrazza
Elemento edilizio scoperto e praticabile, realizzato a copertura di parti dell’edificio, munito di ringhiera o parapetto, direttamente accessibile da uno o piÚ locali interni.
41_ Tettoia
Elemento edilizio di copertura di uno spazio aperto sostenuto da una struttura discontinua, adibita ad usi accessori oppure alla fruizione protetta di spazi pertinenziali.
42_ Veranda
Locale o spazio coperto avente le caratteristiche di loggiato, balcone, terrazza o portico, chiuso sui lati da superfici vetrate o con elementi trasparenti e impermeabili, parzialmente o totalmente apribili.
Def