Cervelli in fuga

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Da “Cervelli in fuga? Mica tanto.” Pubblicato su3 aprile 2013 by davide mancino in JEKYLL

“… La versione “ufficiale” è che sia in corso una specie di esodo di massa: ondate di giovani altamente formati abbandonano l’Italia; anni di investimenti in istruzione sprecati a vantaggio degli altri Paesi, che godono dei frutti del lavoro della scuola italiana senza spendere un centesimo. … Questo in generale. E la crisi? E nel campo della ricerca, invece? Per capirlo abbiamo consultato il più recente degli studi disponibili, guidato da Chiara Franzoni e pubblicato suNature Biotechnology, che ha analizzato il percorso di ricercatori provenienti da 16 nazioni e 4 diversi campi disciplinari. Anche qui i risultati vanno in una direzione inaspettata: la percentuale di giovani scienziati emigrati dall’Italia è del 16,2%. Pochi punti in più rispetto a Francia, Danimarca e Svezia (tutte fra il 13 e il 14%), ma comunque molto “meglio” rispetto a Germania (23,3%), Gran Bretagna (25,1%) e Belgio (21,7%). Nulla di straordinario, insomma, mentre gli Stati Uniti si confermano – pur se in declino relativo – ancora il centro mondiale per la ricerca e l’eccellenza. Soltanto in Giappone i ricercatori emigrano meno: 3,1% contro un 5% degli americani. … Che conclusioni trarne? Ricerca e università italiane sono forse il migliore dei mondi possibili? No, anzi: tutt’altro. Questa è la risposta più immediata, ma è anche sbagliata. E lo dimostra lo stesso studio di Franzoni, da cui emerge quello che è il dato più significativo per raccontare l’intera storia: solo il 3% degli scienziati dei settori in esame, in Italia, arriva dall’estero. La percentuale più bassa (e di gran lunga) fra tutte le nazioni sviluppate. Segnale evidente di un Paese provinciale, chiuso agli stimoli esterni; incapace di attirare merito e competenza. La stessa conclusione cui anche altri erano pervenuti già qualche anno fa. E in questo senso anche quanto in prima battuta sembrava un dato positivo – il basso numero di emigrati – può essere letto come l’incapacità degli italiani di inserirsi in un contesto che già oggi è globale, e in futuro non potrà che esserlo ancora di più. Un’ipotesi che ormai circola sempre più spesso.


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