Animae pedophylae

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Maurizio La Marca

ANIMAE PEDOPHYLAE 

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INDICE GENERALE Introduzione

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Capitolo 1

1. 1.1 1.2

Criminogenesi storico-sociale del fenomeno pedofilia Cenni sulla genesi storica della pedofilia Pedofilia e società

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1.3

La violenza sui minori – l’abuso sessuale 1.3.1 L’incesto orrore in famiglia Il pedofilo: Orco o Mostro?

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41 49 51 53 54 55 56 58 61 62 64 66 70 72

1.4

Capitolo 2

2. 2.1 2.2

2.3 2.4

L’Universo pedofilia in prospettiva La pedofilia tra crimine e parafilia Diritto e pedofilia – Analisi del diritto sostanziale nazionale in tema di pedo-pornografia 2.2.1 Imputabilità giuridica nei reati di pedofilia 2.2.2 Legislazione comparata 2.2.2.1 Austria 2.2.2.2 Belgio 2.2.2.3 Francia 2.2.2.4 Germania 2.2.2.5 Gran Bretagna 2.2.2.6 Portogallo 2.2.2.7 Spagna 2.2.2.8 Stati Uniti Attività investigativa e strumenti di contrasto Internet e minori 2.4.1 Il codice di autoregolamentazione

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2.4.2 2.4.3

Cyber pedofilia Criminal profiling del cyber pedofilo

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91 96

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Capitolo 3

3. Psicologia, psichiatria e pedofilia 3.1 Approccio psichiatrico e psicanalitico al fenomeno pedofilia 3.2 Criteri diagnostici – Pedofilia situazionale e pedofilia Preferenziale

Capitolo 4

4. Il “Mundus immaginale” pedofilo – Pedofilia e psicologia dell’anima – La visione retrospettiva 4.1 Cenni introduttivi pg 113 4.2 Dalla pulsione di Freud all’archetipo di Jung e Hillman » 114 4.3 Retrospettiva dell’anima » 127 4.4 Angeli e daimones – Destini cosmici – » 138 4.4.1 Il daimon di una giovane vittima: Sabine Dardenne » 148 4.4.2 Satanismo, pedofilia e traffico di organi umani, un osmosi criminale tra leggenda e realtà » 152 4.5 Sessualità, miti e pedofilia » 160 4.6 Un possibile immaginario di un pedofilo omicida : il caso Luigi Chiatti » 169 4.7 L’inferno immaginale di piccole vittime » 183 4.8 Animae Pedophylae – L’importanza di tutela delle nostre immagini » 191 Conclusioni Bibliografia & Sitografia

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Introduzione

Cosa posso fare con questo piccolo animale ? Puoi farci tutto quello che vuoi ! Posso incatenarla? Si Posso farle mangiare la mia merda ? Non lo so Posso pisciarle in bocca ? Certo Posso frustarla ? Si Posso infilarle i chiodi nei capezzoli ? Sicuro tutto quello che vuoi ! Se viene danneggiata, mi aiuti a ripararla ? Vuoi che muoia ? Cosa succede se muore ? Bisognerà trovare il modo di far sparire il corpo e le prove Quanto costerà tutta l’operazione ? Cinquemila dollari Va bene si può fare !!

Stralcio di intercettazione telefonica avvenuta tra un Agente dell’FBI che agiva sotto copertura ed un pedofilo italiano, nell’ambito di una vasta indagine internazionale in tema di pedofilia. – Il processo è stato

definito

con

sentenza

passata

in

giudicato

Reperibile

su

http://web.tiscali.it/abbattilmuro/cronaca.htm)

° Pedofilia, ormai è un termine ed un concetto che tutti hanno portato alla propria coscienza, dopo averne percepito e razionalizzato le mille

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sfaccettature e le mille contraddizioni che di volta in volta hanno alimentato questo importante fenomeno criminale e sociale. Si sono unificati in vari decenni di storia come ruscelli in un fiume, per una complessa circolarità viziosa, i fenomeni di pederastia, perversione, pedofilia, pornografia, di abuso e violenza, in una sorta di grande contenitore, in un grande mondo dove la devianza e la criminalità deformata, rappresentano le figure primordiali, gli archetipi di un’anima in cerca della propria identità. Un mondo dove demoni e dèi tempestosi agitano le coscienze di chi vi vive, dove essenze metafisiche si alleano in complotti strategici per aggirare e demonizzare l’immagine della moralità, il Dio della “coscienziosità”, rinchiudendolo nella profondità degli inferi ed aprendo a Thanatos l’oscura via della perversione e della malvagità. E’ un mondo che mal si coniuga a quello delle nostre coscienze e delle nostre anime, distese marine dove l’occhio scruta la bellezza dell’infinito quasi a percepire la magia dell’iperuraneo platoniano, ma è un mondo esistente, un mondo vero, fatto di crudeltà e di demoniache presenze, con il quale la nostra anima si deve relazionare in un meccanismo di interazione umana e spirituale. Così come nel Fedro, Platone narra come le anime prima di incarnarsi e prima ancora della nascita dei corpi, cerchino con tutte le loro forze di “contemplare”, cioè di vedere in senso metafisico tutto ciò che si trova nella ‘Pianura della verità’, così le nostre anime dovrebbero volgersi a quel magico mondo immateriale per rafforzare l’archetipo della nostra saggezza, di quell’ etica morale che ci permetta giorno dopo giorno di evitare malvagità estreme, quell’archetipo che piuttosto può regalare ad Eros, l’amore universale e la giusta sopraffazione sull’istinto e sulla voglia di distruzione di Thanatos. Più le anime contemplano la pianura della verità e tanto più avranno dignità e consistenza di essere, affermava Platone. “ ….L’anima che ha visto il maggior numero di esseri è legge che si trapianti in un seme di uomo che dovrà diventare amico del sapere e amico del bello, o amico delle muse , o desideroso d’amore. Quella che viene seconda, è legge che si trapianti in un re che rispetti la legge o in un uomo abile in guerre e adatto al comando. La terza in un uomo politico o in un economista o in finanziere. La quarta in un uomo che ama le fatiche , o in uno che pratichi la ginnastica o che si dedichi alla guarigione dei corpi. La quinta è destinata ad avere vita di un indovino o di un iniziatore ai misteri. Alla

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sesta converrà la vita di un poeta o di qualcun altro di coloro che si occupano dell’imitazione. Alla settima la vita di un artigiano o di un agricoltore. All’ottava la vita dio un sofista o di un corteggiatore di popolo. Alla nona la vita di un tiranno …….” (Platone, Fedro, 248.d). Proprio così sono le nostre anime che si sono affacciate su quella verde pianura, che si sono volte a quella visione dove non sono gli onori, le ricchezze e l’appoggio dei potenti a determinarci come uomini ed a condizionare il nostro stare nel mondo, ma il grado di contemplazione della verità. Ed è con il volgere lo sguardo su quella verità universale, che dovremmo cercare di contrastare quelle anime che invece hanno conosciuto solo il mondo degli inferi e la gretta oscurità degli archetipi, nell’ambito dei quali il mito di Narciso invece di insegnare amore, ha mostrato solo rabbia, violenza e distruzione del proprio Sé. Nella nostra società che sempre più si imprigiona a cogliere espressioni finalistiche ed a tentare mai considerazioni di tipo prospettico, il pericolo incombente è quello di un potenziale ritorno ad una visione monoteistica del fenomeno criminale, che imprigionerebbe la capacità immaginativa, annullerebbe l’investigazione profonda e non permetterebbe la visione globale di un qualsiasi paradigma sociale. Pericolo e non certezza, perché si parla di ‘mondo deviato’, ‘mondo perverso’, ma pur sempre mondo, con una propria anima ed una propria coscienza dove i personaggi archetipici che la compongono, possono mostrare a chi la investiga e a chi la interpreta, tutti i loro difetti, i loro conflitti e le loro personalità egoiche o depresse, cosicché si possa intraprendere la via definitiva per una risoluzione del grave problema. In questo libro cercherò quindi di analizzare il fenomeno pedofilia oltre che in modo strettamente pragmatico nei suoi termini concettuali giuridicocriminologico, anche di operare in via sperimentale e dal punto di vista teorico-psicologico, una ‘retrospettiva’ del fenomeno de quo ed una per così dire visione angolare dell’anima pedofila. Entrerò quindi in senso strettamente metaforico, come in un sorta di viaggio dantesco, negli inferi dell’anima di un pedofilo criminale (in particolare quello sadico ed omicida), cercando di catturare per mezzo dell’utilizzo della mitopoietica hillmaniana, la visione completa del teatro archetipico ivi presente, nell’ambito del quale i vari personaggi, rapportandosi ai vari daimones ed agli angeli mediatori, possono risultare

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capaci di influenze cosmiche tali, da offrire quel diverso significato alle varie personalità deviate e violente della nostra società. Tenterò come uno naufrago sbarcato su di un’isola sconosciuta, di apprenderne le loro interazioni, i loro conflitti e le loro numinose bellezze affinché il guardiano dell’anima pedofila, fornisca l’accesso all’immagine primordiale, all’archetipo origine, al mito nascosto nell’Ombra. In conclusione, partendo quindi dalla genesi storico-filosofica della pedofilia e passando velocemente per un’analisi giuridica e criminale del fenomeno pedo-pornografico, affronterò con basi archetipiche, quella diversa ed ‘immateriale’ visione delle animae pedophylae, con occhio comprensibilmente riguardoso alle immagini primordiali che le esprimono e che, per mezzo di strategici e complessi rapporti, anche di tipo cosmicoconflittuali, dirigono la coscienza e la personalità del pedofilo omicida, verso quello che in gergo chiamiamo ‘insolito e perverso destino’.

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1 Criminogenesi storico sociale del fenomeno pedofilia

1.1 Cenni sulla genesi storica della pedofilia Parlare del fenomeno della sessualità umana, vuol dire certamente considerare un insieme di fattori e non solo quelli prettamente biologici. Infatti ad esempio, non possono non essere presi in considerazione i costumi, le tradizioni sociali, le norme morali e deontologiche di ogni tempo e cultura. Basta fare un salto nella storia della Roma e della Grecia antica per scontrarsi subito con culture differenti e norme sul sesso che non avevano minimamente il carattere di universalità. Nella città di Sparta, caratterizzata da costumi sessuali liberi, le donne sposate non avevano alcun obbligo alla fedeltà. Se la coppia non riusciva ad avere figli, esse potevano ottenere dal marito il consenso per intrattenere rapporti con un altro uomo. Ovviamente tale necessità era dettata su una base prettamente demografica, per non alterare il rapporto numerico con le città nemiche. A Lesbo poi, come anche a Sparta, le donne adulte usavano avere delle amanti tra le adolescenti, ed era costume unirsi alle ragazze prima del loro matrimonio, in modo simile ai riti di iniziazione per i ragazzi maschi. Anche la cultura ateniese sulla sessualità, ed in particolar modo circa quella dei minori, era nota per le sue norme sulla pederastia. Gli ateniesi, ritenevano che l’amore (psichico e fisico) che poteva legare un adulto ad un giovinetto, fosse una condizione favorevole alla trasmissione del sapere e delle leggi della città. L’omosessualità esercitata nel periodo adolescenziale, aveva in pratica lo scopo, di introdurre per fini prettamente pedagogici, il giovinetto all’eterosessualità dell’età adulta. Infatti venivano tollerati se non proprio incoraggiati dalla società, i rapporti omosessuali tra un adulto e un fanciullo, che erano parte integrante della relazione educativa instauratasi tra i due.

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Non a caso si fa risalire la prima significativa relazione pedofila all’epoca classica, proprio ad Atene e Sparta dove i ragazzi a dodici anni, venivano affidati a degli amanti scelti tra i migliori uomini in età adulta. Nessuno si scandalizzava se un adulto dichiarava che fosse attratto da un fanciullo, specie se di bell’aspetto. Anzi invidia ed ammirazione avrebbe suscitato nei suoi amici, non appena avrebbe confessato loro, di averne posseduto uno. Era veramente difficile, tracciare un netto confine tra erotismo e pornografia, variando continuamente secondo quelle che erano le epoche e gli individui. Platone aveva indicato come presupposto filosofico dell’insegnamento l’eros, che era nello stesso tempo desiderio, piacere e amore. L’eros, avrebbe permesso infatti, di tenere a bada il piacere legato al potere, a tutto vantaggio del piacere legato al dono. Va anche detto, che la legittimazione della pratica della pederastia, era oggetto di opinioni conflittuali. Infatti se da un lato, sembrava fosse valorizzata da grandi Opinion Makers, che ne celebravano l’accettazione culturale e sociale, dall’altra sembravano esserci regioni, come la Jonia, nella quale tale pratica veniva di fatto combattuta aspramente. Tale circostanza emerse nel Simposio di Platone, laddove egli opponendosi con virulenza a tale veto, affermava che dove si fosse decretata la vergogna di concedersi a degli amanti, si sarebbe stabilita la bassezza dei legislatori, l’arroganza dei dominatori e la viltà dei sudditi. Maurice Sartre, in un suo saggio dal titolo “L’omosessualità nell’antica Grecia”, così recitava: “….Il banchetto fa spesso da contesto ai tentativi di seduzione degli amanti – ricordiamo che si mangiava sdraiati – un uomo adulto tenta di accarezzare il suo più giovane compagno di letto …..in mezzo ad atleti nudi e sempre giovani, uomini più adulti , riconoscibili dalla barba , giocano il ruolo di cacciatori. L’amato abbraccia il suo seduttore , prima di dedicarsi con lui ad un rapporto sessuale più spinto. I vasi mostrano generalmente un coito intercrurale di fronte , ma i testi provano che era praticata anche la sodomia … Solone riformatore ateniese dell’inizio del VI secolo a. C. stimava vera ricchezza la possibilità di <<godere , all’occorrenza, delle giovani grazie di un ragazzo…>>” (Sartre, L’omosessualità nell’antica Grecia, in A.A.V.V., pgg. 34,35). Noti e tra i più eclatanti, sono i rapporti Socrate e Alcibiade, Achille e Patroclo (Omero), Eurialo e Niso (Virgilio), Cloridano e Medoro (Ariosto). Praticamente, nell’antica Grecia ogni adulto possedeva in un certo qual

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senso una vita sessuale a due facce, una privata con le donne, ed una pubblica con gli efebi. Ecco così che la pederastia non era soltanto ammessa, ma addirittura considerata un corollario plausibile del rapporto maestro-allievo. Va osservato, come il sostantivo pedofilia non compariva mai negli scritti del tempo, mentre veniva sempre usato il verbo paidofilen e il sostantivo paidofilis da cui ne derivò poi, il termine pederastia. La pederastia, che ebbe la massima diffusione fra il VI e il IV secolo a.C., consisteva quindi in una relazione sessuale tra adulti maschi e adolescenti, spesso all’interno di un’esperienza spirituale e pedagogica, attraverso la quale l’amante adulto trasmetteva le virtù del cittadino. Anche la sodomizzazione, sia perchè si reputava che le virtù virili potessero trasmettersi con lo sperma dell’amante, e sia perché trattavasi comunque di un atto che umiliava o che simboleggiava la sottomissione del giovane al più anziano, era considerata parte del processo di formazione dell’uomo. L’amore provato da un adulto saggio per un giovinetto consentiva di trasmettere in maniera ottimale la saggezza acquisita con l’età. Il sesso però con i fanciulli, ossia con soggetti prepuberi, veniva punito con condanne severissime, fino alla morte anche se, per quanto è dato conoscere, nessuna sanzione penale trovò mai applicazione nonostante i ripetuti abusi su bambini con meno di dodici anni. L’usanza quindi nota come pederastia educativa, (o filosofica) era ben lontana dalla sopraffazione e dalla violenza che oggi associamo al termine pedofilia. Praticata solo all'interno della ristretta cerchia aristocratica, l'usanza della pederastia educativa era giudicata un'eccentricità anche nel mondo greco, dalla maggioranza della popolazione che, dovendo lavorare per vivere, non aveva né il tempo né la possibilità di praticarla. L' erastes, infatti, l'adulto fra i 30 ed i 50 anni che si univa all'adolescente doveva farsi carico della sua educazione (filosofica, politica, militare) divenendone una specie di tutore sociale, oltre che l'amante. Le unioni con bambini al di sotto dell'età della ragione come già detto, (12-13 anni) erano vietate dalla legge e dal costume, e vi era un tacito consenso sul fatto che le pratiche sessuali dovessero cessare nel momento in cui all'eromenos, cominciasse a crescere la barba, anche se un particolare legame amicale avrebbe per sempre legato i due uomini (ad esempio con l'impegno di combattere fianco a fianco e sostenersi in battaglia).

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La circostanza poi che dimostra il fatto che la pederastia fosse ben lontana dalla sopraffazione, dall’abuso e dalla violenza è data anche dal fatto che per rendere in un certo senso “legittimo” e consone ai costumi sociali il rapporto tra i due, era necessario il consenso volontario del giovane, che spesso per farsi desiderare e scegliere, metteva in atto arti di seduzione erotica oggi tipicamente femminili. In uno scatto di gelosia Agatone infatti, il giovane amante di Socrate, si racconta nel Convivio di Platone, come, per conquistare il maestro, non avesse esitato un minuto ad infilarsi nudo nel suo letto, offrendogli, senza successo, il "fiore della sua giovinezza". Il consenso della famiglia del giovane era altrettanto necessario ma facile da ottenere, sia perché l'usanza non era oggetto di alcuna riprovazione sociale, sia perché era l'unico modo con cui genitori non ricchi e non aristocratici potevano offrire ai loro figli un'educazione superiore se non addirittura, introdurli nella elite di potere. Per un giovane, poi, era titolo di prestigio essere scelto, e questa esperienza giovanile, in definitiva, non impediva che da grande si potesse sposare e condurre una vita "normale". Anche nell’antica Roma, pederastia e omosessualità, erano molto diffuse, disinvestite però, di quella tipica giustificazione pedagogica e filosofica che era stata data dai greci. Il ragazzo libero venne sostituito dallo schiavo e dal figlio dello schiavo, e talvolta anche dal nemico sconfitto, andando così a perdere, come ci spiega Focault, l’eredità della grande speculazione greca sull’amore, sostituita dalla tendenza alla brutalità, ed alla sopraffazione. A Roma, sempre in materia di pederastia, famosa fu la Lex Scatinia secondo la quale in caso di rapporto fra adulti e puer o praetaxtati (termine originato da praetexta, la tunica bianca orlata di porpora che portavano i ragazzi ancora non maturi sessualmente), veniva punito solo l’adulto. L’omosessualità e la pedofilia, non erano condannate se praticate con schiavi (essi dovevano compiacere in tutto e per tutto la volontà del padrone), ed era considerato deprecabile se un cittadino libero assumesse un ruolo passivo nei confronti di un suo pari. La successiva legge denominata Lex Iulia de adulteris (18 a.C) puniva lo stupro solo nei confronti degli uomini liberi. Per i servi vi era una sorta di risarcimento in favore del dominus ex “Lege Aquilia”. Nell’epoca augustea, i rapporti pederastici non furono più espressione di sopraffazione sociale e sessuale, ma amori romantici che avevano come oggetto anche ragazzi liberi, secondo il modello greco che aveva influenzato

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la cultura romana. Con l’imperatore Giustiniano invece, ogni manifestazione di omosessualità fu bandita, ritenendola di fatto una forte offesa al Signore. Riordinò conseguentemente il sistema della persecuzione criminale e della pena di morte per “infanda libido”, formulando altresì un giudizio morale. Nel corso del Medioevo sebbene le culture si erano evolute ed i comportamenti umani erano di volta in volta cambiati, vi era sempre una promiscuità tra fanciulli ed adulti, anche per la condivisione degli spazi abitativi e lavorativi. Era infatti diffusa, l’usanza dell’“apprendistato” di un ragazzo a casa di estranei, dove si stabiliva il più delle volte una sorta di promiscuità nella relazione. Tale apprendistato iniziava molto presto, all’età di otto o dieci anni al massimo allorché i bambini lasciavano le proprie abitazioni per prendere in mano le redini del proprio destino. Il periodo di formazione, che poteva avvenire in una bottega d’arte, in un convento o in una caserma etc.., terminava solitamente a dodici o quattordici anni. L’artista in questo contesto assumeva contemporaneamente diversi ruoli: padre putativo, maestro, padrone. L’ambiente promiscuo di convivenza in cui il bambino era quindi considerato un po’ servo e un po’ figlioccio, facilitava la possibilità di contatti sessuali tra adulti e bambini. Nessuno infatti dormiva da solo, i bambini rimanevano a letto con i genitori putativi, o con altri parenti tanto da, non solo assistere alle effusioni sessuali degli adulti, ma anche essere oggetto di attenzioni e molestie. Leguay nel suo libro Un caso di <<violenza>> nel Medioevo: lo stupro di Margot Simmonet, ricorda che “… nel giugno 1466, la pacifica città di Rennes è sconvolta da un terribile scandalo. Un giovane mercante spagnolo, Jehannico Darbieto, da tempo residente in quel luogo, e i suoi amici bretoni, figli di famiglie benestanti, stimate e rispettate, si trovano ad essere accusati di un reato d’offesa delle leggi sul buon costume: lo stupro di una minorenne di circa dodici anni, Margot Simmonet, figlia di un imbianchino…”. (Leguay, Un caso di <<violenza>> nel Medioevo: lo stupro di Margot Simmonet, in Corbin, pg. 3). La bambina venne violentata e deflorata contro il suo volere. Nonostante le molte testimonianze a carico, la faccenda venne messa a tacere e Jehan Simmonet, vendette a buon mercato cuore e reputazione della figlia: “….Lo stupro costò trenta scudi bretoni d’oro …..l’equivalente di tre botti di vino d’Anjou o di un anno di salario d’operaio specializzato…” (ibidem, pg. 20 ). Una differenza sostanziale tra i comportamenti pedofili dell’antichità e quelli dal Medioevo in poi, risiedeva di fatto nella variabile denaro, che bene

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si inseriva via via nel contesto socio-economico di un Occidente sempre più ricco e industrializzato. L’abuso sessuale sul bambino non ebbe quindi a quel tempo, un grande significato di riprovazione sociale, poichè risultava del tutto carente il sentimento dell’infanzia che di contro riassumerà grande significato solo con l’affermazione della famiglia borghese. Un forte disagio sociale, poi con il passare degli anni, cominciò ad avvertirsi verso la metà del Seicento soprattutto in Francia, tanto da indurre le istituzioni monarchiche a guardare con una certa riprovazione tali abitudini facendo sì, che si ponessero le basi per la nascita di una letteratura pedagogica ad uso esclusivo dei genitori, letteratura che aveva proprio lo scopo della salvaguardia dell’innocenza infantile. Si iniziava infatti a temere che determinate attenzioni simulate a “giochi” e “certi tipici linguaggi”, potessero travalicare i confini del gioco vero e proprio e lasciare nella psiche del bambino tracce indelebili. La cultura ormai in continua evoluzione, fece sì che la salvaguardia per i minori si imponesse nella politica sociale del tempo, tanto da portare a nuovissime e sempre più pregnanti attenzioni nei confronti della tutela dell’infanzia e con essa, una diversa immagine più consona ai ritmi della crescita fisica e psicologica. Si stava quindi gradualmente diffondendo un nuovo atteggiamento nei confronti della sessualità dei bambini e degli adolescenti, che piano piano, è giunto ai nostri giorni, alla fattiva tutela dei diritti fondamentali degli stessi, considerandoli in modo sostanziale alla stessa stregua degli adulti, in totale coerenza con lo sviluppo sociale e morale della società moderna e globalizzata.

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1.2 Pedofilia e società

Non di rado, su più di una testata giornalistica abbiamo avuto modo di leggere di infanticidi, di violenze inaudite, di incesti, di abusi familiari e subito dopo di processi da fare, di pene da infliggere e di prognosi mediche per il recupero dell’integrità fisica di chi ha subito l’abuso. “…..Gli abusi provocati al figlio di otto/nove anni dal padre potranno guarire in dieci giorni…” abbiamo trovato scritto molte volte sulla carta stampata. “Ma quanto ci vorrà per quelle profonde ferite provocate all'anima?”, bisognerebbe invece chiederci per prendere ampia coscienza di tanti gravi fenomeni criminali che vedono purtroppo sempre i fanciulli al centro di questo turpe teatrino criminale!. La violenza infatti oltre ad ostacolare ogni processo di maturazione, spezza di continuo quella fiducia di base indispensabile ad ogni giovane vita per costruire quel senso di sé che risulterà in futuro decisivo per la propria sopravvivenza. Il fenomeno del maltrattamento dei minori, come poi vedremo anche in seguito, non è un tratto tipico del nostro tempo ma centinaia e centinaia di culture lo hanno visto fiorire. La differenza sostanziale sta nel fatto che oggi, dopo secoli di relativo silenzio, sta venendo alla luce un panorama della condizione infantile nell’ambito del quale sembra che la nostra civiltà, così progredita sotto molti aspetti, abbia qui segnato il passo. Una società che quando risparmia ai minori malnutrizione, prostituzione, sfruttamento, lavoro nero e abusi di ogni sorta, non risparmia loro però quelle forme di maltrattamento ben più diffuse e non meno devastanti, fondate sul mancato rispetto dell' integrità psicologica del bambino e del suo diritto a crescere in un clima di sicurezza, stabilità e affetto. Perché tutto questo? In un bellissimo articolo apparso sul quotidiano La Repubblica, Galimberti una risposta forte, ce la offre ed è una risposta che ci deve poter far riflettere tutti, perché indistintamente si possa in ogni contesto sociale, fare un piccolo passo indietro e culturizzare prima di tutto la propria anima e solo dopo, ciò che si relaziona con essa. Una risposta nella quale si parla di analfabetismo poetico-sentimentale, sottovalutato e sottomesso a favore di una cultura sociale produttiva, tecnologica e sempre più efficiente. Purtroppo ciò che si afferma è oggettivamente vero.

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In una società dove il pragmatismo e l’iper-evoluzione tecnologica, non lasciano più spazio alle nostre emozioni, il sentimento di amore o di odio verso l’altro, non viene più espresso nella parola, nel linguaggio narrativo ma l’affidiamo immediatamente o al gesto muto e impassibile, od a quello violento ed esasperato tipico delle famiglie più disagiate dove la comunicazione è affidata più alle urla ed al gesto che alla parola. Certamente non vi è grande differenza tra l’uno e l’altro caso, perché quando la parola non è più veicolo di sentimento, sia che il figlio possa crescere in un contesto di rispettabile non-comunicazione, sia che possa vedere la propria crescita spezzata continuamente da urla e gesti al limite dell' umano, entrambi sono considerabili "figli maltrattati" ai quali non è più possibile costruire, per una sorta di afasia sentimentale dei genitori, quel sentimento di sé, quel sentimento cui poter far riferimento in ogni futuro e difficile passaggio della loro vita. Emblematiche sono infatti in questo senso sia le dinamiche violente, che portano a ledere fisicamente e psicologicamente i figli, sia le dinamiche incestuose che sono a loro volta uno pseudo-linguaggio per dire, in assenza di parole, amore e odio non tanto nei confronti dei figli abusati, ma nei confronti del coniuge rifiutato. Molte volte le spiegazioni del maltrattamento dei bambini non sono tutte qui riassumibili, ma la qualità della relazione emotiva dei congiunti e la loro incapacità ad arrivare al linguaggio, fa sì che questo, qualunque sia il suo segno di odio o di amore, privato del veicolo della parola che ancora sembra essere la differenza tra l' uomo e l'animale, si esprima attraverso gesti pre-umani che sono tanto quei silenzi che tagliano l' atmosfera familiare come lamine gelide e affilate, quanto quelle urla e quei gesti che si scaricano sui figli come tempeste, per trasmettere loro solo quel misero e disperante messaggio che è il fallimento della comunicazione. Ed è proprio la mancanza di comunicazione che in un più ampio ambito sociale, porta ad un’esagerata amplificazione di gravi fenomeni criminali come quello della pedofilia, quello dell’abuso sessuale sui minori, perché meno se ne parla e più le fantasie pulsionali possono essere agite. Proprio come una piccola fiamma che se coperta sempre più dall’ombra di un piccolo contenitore finisce col morire piano piano, così anche la nostra considerazione sociale dei diritti e dell’anima del fanciullo potrebbe via via rinchiudersi nella parte più nascosta del nostro inconscio. Il silenzio come tutti sappiamo, è complice del male. Ma quello sulla pedofilia è un silenzio che certamente viene dopo il più grande silenzio

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sulla sessualità in genere che, per quanto esposta su tutti i giornali ed a tutte le ore sugli schermi televisivi, è una sessualità vista, vissuta ma certamente mai discussa. Certo, a questo punto ci si potrebbe domandare: “Se la sessualità è pubblica come fenomeno generale e segreta come gesto individuale, come si potrebbe entrare nella comprensione globale del mondo pedofilo che invece abita in quella zona di confine dove i gesti sono mescolati, intrecciati e confusi con gesti di tenerezza, di cura ed amore per i bambini?” E’ una domanda a cui è veramente difficile trovare risposta certa, ma che ci pone dinanzi ad una forte e profonda riflessione. Noi tutti dobbiamo sempre evitare di rinchiuderci nell’omertà sociale ed individuale, dobbiamo cercare di rompere e di profanare le “mura morali della nostra casa” prima di arrivare a profanare quelle del riserbo del paese e del rione ove abitiamo. Dobbiamo quindi ricercare nella nostra interiorità individuale, la definizione concreta e definitiva di identità personale che di per sé, è già un qualcosa di definito, una sorta di composizione singolare di sistemi frammentari, di paradigmi discontinui, di rituali mai definitivamente liquidati perché il pericolo incombente è infatti che il desiderio sessuale, che già per sua natura non è mai disgiunto dal desiderio aggressivo, si insinui tra le crepe della nostra personalità come desiderio non guardato, non ascoltato, non portato al linguaggio ma come desiderio semplicemente agito senza alcuna mediazione. Il pedofilo è proprio uno di questi, è colui che passa dalla fantasia all’agito senza alcuna mediazione, è colui in cui nella propria anima si è insinuata violenza, aggressività e sessualità senza confini di sorta, è una persona che per una sorta di afasia sentimentale ha mal concettualizzato il significato di amore ed affetto. Il pedofilo è uno che si inserisce con estrema abilità e con grande astuzia nei confini delle anime fanciullesche, sfruttando lo schema elementare con cui i bambini visualizzano e definiscono gli adulti. Essi, allargando il campo dell' accoglienza, passano dal piccolo gesto di tenerezza al gesto trasgressivo verso soggetti che, per la loro età ancora troppo fragile, hanno un enorme bisogno d'amore e non dispongono di conoscenza. Varcata la soglia della trasgressione, dopo una serie graduale di gesti il cui confine di liceità è impercettibile, il pedofilo si identifica con il proprio

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sé infantile, oscuro e notturno che non ha mai comunicato con il sé pubblico e dichiarato. Per questo la pedofilia non ha confini di classe. Proprio come afferma ancora Galimberti in alcuni suoi scritti sul tema pedofilia, la società complessa in cui viviamo, rispetto alle società più elementari, con la sua rigorosa distinzione tra pubblico e privato, obbliga sempre di più la nostra coscienza morale, ad una sorta di sdoppiamento di personalità, uno sdoppiamento che nei manuali di psichiatria troveremmo rubricato come "disturbo della personalità multipla", ma che nelle società complesse rischierebbe di non essere più un caso aberrante, ma una caratteristica di ognuno di noi. Il gioco dell' amore, è sintomo di correttezza qualora avvenga ad armi pari tra gli adulti, ma diviene invece tragedia quando il desiderio subdolo e penetrante dell’adulto incontra il desiderio indifferenziato e puro del bambino. Questo incontro tra il desiderio elementare del bambino e il desiderio attrezzato dell' adulto, diviene il luogo in cui la sessualità non veicola amore, affetto ma sordida e cruda violenza, una violenza che neppure i gesti delicati attutiscono, perché prima dei gesti e prima dei sorrisi e degli ammiccamenti, è già lì nella differenza di potere e di sapere, nell’ambito della quale l' unica sessualità che circola è quella "esercitata" dall'adulto sul bambino. E’ un gioco di violenza sotto la specie dell' amore, sotto le mentite spoglie dell’affetto. E’ un gioco che difetta ab-origine, perchè non si scontrano un adulto ed un bambino, ma un fanciullo e la parte più oscura, infantile e notturna di un adulto, con cui l' adulto stesso non è mai entrato in contatto. Il mondo pedofilo (perché di mondo bisogna parlare) è invece il paese dove egli vive, dove egli si nutre in continuazione e dove non vuole rompere e profanare le mura della propria falsa moralità. E’ di fatto un mondo nel mondo, una società criminale in una società moderna e globalizzata, un po’ come l’odio all’interno dell’amore. Ma cosa c’è di diverso tra ieri ed oggi? Quali colpe può quindi avere la nostra società? Beh la pedofilia è di fatto sempre esistita nel senso che questa macchina infernale che vuole distruggere l’onnipotenza infantile ed esercitare la propria potenza c’è sempre stata. La società moderna ha però due grande caratteristiche in più rispetto alle società passate: la prima è che mentre tempo fa la pedofilia si registrava nel

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chiuso del paese, nel chiuso della famiglia, ora, anche per mezzo delle grandi tecnologie si offre su grandi scenari. Per cui la civiltà moderna diffondendola con i mezzi di comunicazione di fatto amplifica terribilmente il problema. La seconda cosa invece, che è distruttiva è quella del “diniego”, che già Freud aveva in qualche modo indicato nel negare l’esistente e che ora è accentuato dalla nostra società. Si tende cioè alla minimizzazione di ciò che invece appare a volte evidente e grave. La nostra società poi a differenza di quelle dei nostri antenati, ha diviso radicalmente, come già accennato in precedenza, il pubblico dal privato per cui il pubblico va secondo sistemi di buona educazione, buona presentazione, correttezza etc.. e nel privato succede quello che si vuole. Ma questa separazione radicale che non c’era certamente due generazioni fa - a Napoli ad esempio la vita in casa e la vita sulla strada era la stessa cosa perché si affacciavano le porte sulla strada ed era tutta una comunità – tra pubblico e privato, ha aumentato le possibilità di nascondimento dei fenomeni. Mentre una volta il pubblico non era così separato dal privato, (ciò che si faceva in casa lo si sapeva in piazza e così via) ora la società moderna ha radicato questa profonda divisione che di fatto costituisce una spessa cortina aldilà della quale è possibile nascondere importanti fenomenologie criminali quale quella della pedofilia. Quindi per una sorta di colpa per così dire degenerativa, la società di oggi ha lasciato racchiudere il privato nelle mura di casa o nei segreti della piccola comunità, radicalizzando così il grave fenomeno e rendendolo di fatto meno noto ed accessibile.

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1.3 La violenza sui minori - L’abuso sessuale -

La violenza, considerata da un punto di vista psicologico, sociologico e psichiatrico ha generato da sempre una forte spinta disgregativa nei confronti dei singoli individui e nella collettività. In numerosi saggi sia di tipo sociologico che di tipo specificatamente antropologico circa la natura dell’aggressività, si è infatti ricondotta la violenza ad una situazione traumatica infantile che ha condizionato la crescita dell’individuo e che, in particolari circostanze ambientali, ha manifestato anche a lunga distanza, tutto il suo potere distruttivo. Non a caso quindi la violenza sui minori e sull’infanzia in generale ha da sempre rappresentato e rappresenta oggigiorno una gravissima costante della vita sociale non solo nel nostro Paese ma nell’intero panorama mondiale. Basti pensare che storicamente la mitologia greca per descrivere la violenza in quanto tale, l’ha rappresentata come una donna nell’atto di uccidere il figlio: vedasi ad esempio la Medea di Euripide. E’ storia della nostra umanità, purtroppo quella storia che ha ricompreso migliaia di abusi perpetrati nei confronti dei minori le cui esigenze e i cui interessi sono stati da sempre sottovalutati a privilegio di quegli degli adulti. Di certo l’abuso che ha maggiormente interessato e colpito l’opinione pubblica, nonché le istituzioni competenti, è rappresentato dall’abuso sessuale sul minore, condotta questa che da sola è potenzialmente in grado di devastare o di alterare anche in modo irreversibile il naturale sviluppo del bambino, incidendo radicalmente sulle sue capacità di rapportarsi con gli altri e di relazionarsi con l’intera società in cui vive. Il concetto di “abuso” è un concetto del tutto relativo, soggetto all'evoluzione di fattori sociali, culturali e storici. La violenza sui minori in particolare, non è solo un prodotto storico e culturale è purtroppo un problema reale, con “vittime” e “carnefici” i cui confini sono in continua ridefinizione con il modificarsi della sensibilità e della coscienza umana. Da un punto di vista semantico si può far rientrare il termine di “abuso sessuale infantile”, (inserito nella più vasta categoria che in letteratura è definita “ abuso all’infanzia”, dal termine inglese Child Abuse) in quel coinvolgimento in qualsiasi attività sessuale di un minorenne, non maturo, dipendente e

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quindi incapace di un libero e cosciente consenso, o anche il suo coinvolgimento in atti che violano il tabù sociale dell'incesto. Secondo la più completa definizione data invece dal Consiglio d’Europa nel 1978, per abuso sessuale di un minore deve intendersi <<ogni atto o carenza che turbi gravemente i bambini o le bambine, che attenta alla loro integrità corporea, al loro sviluppo psico-fisico, affettivo, intellettivo e morale, le cui manifestazioni sono la trascuratezza e/o le lesioni di ordine fisico e/o sessuale da parte di un familiare o di un terzo ed ogni atto sessuale imposto al bambino non rispettando il suo libero consenso>>. Da tali definizioni si può facilmente dedurre, che l'abuso sessuale non è certamente un'attività che comporti necessariamente l'atto della penetrazione. L'aspetto fondamentale, invece, è quello rappresentato dalla condizione della piccola vittima, impossibilitata ad operare una propria scelta decisionale od a comprendere in modo corretto, tutto quello che gli sta accadendo e/o che gli viene proposto. Francesco Montecchi, neuropsichiatra infantile, propone nel suo volume, “Gli abusi sull’infanzia“, la classificazione forse più completa, in ordine alla violenza in danno dei minori. Egli, pur giudicando artificiosi schemi e classifiche, riconosce di fatto, l’utilità di categorizzare, in modo da poter prevenire, curare e soprattutto rendere più chiare e pubbliche le <<esigenze più profonde dell’anima infantile>>, così da rendere più efficace l’azione dei vari professionisti che si occupano di volta in volta della famiglia e dei bambini. In particolare lo stesso Montecchi, individuando tutte le pratiche sessuali manifeste o mascherate che presuppongono la violenza a cui vengono sottoposti i minori, evidenzia, classificandole, alcune delle forme più ricorrenti di abusi: a) L’abuso sessuale intrafamiliare. E’ una tipologia di abuso che può essere attuato da tutti i membri della famiglia nucleare (genitori compresi quelli adottivi e affidatari, patrigni, conviventi, fratelli) o dai membri della famiglia allargata (nonni, zii, cugini ecc.; amici stretti di famiglia); b) L’abuso extrafamiliare. E’ invece una tipologia che viene attuata di solito da persone conosciute dal minore (conoscenti, vicini di casa ecc..) che si approfittano, in genere, della condizione di trascuratezza sofferta dal bambino da parte della famiglia;

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c) L’abuso istituzionale. Gli autori di ciò, sono di solito individuabili nei maestri, nei bidelli, negli educatori, negli assistenti di comunità, negli allenatori, nei medici, negli infermieri, nei religiosi etc…ovvero in tutti coloro ai quali i minori vengono affidati per ragioni di cura, custodia, educazione, gestione del tempo libero, all’interno delle varie istituzioni ed organizzazioni; d) L’abuso di strada. E’ una tipologia di violenza che viene commessa invece da persone sconosciute ; e) Lo sfruttamento ai fini di lucro. Viene invece perpetrato da parte di singoli o gruppi criminali (quali le organizzazioni per la produzione di materiale pornografico, per lo sfruttamento della prostituzione, o agenzia per il turismo sessuale); f) Le violenze da parte di gruppi organizzati. Come dice la definizione stessa essa rappresenta una violenza posta in essere da organizzazioni settarie, pedofile etc…). Da ultimo l’autore, pone poi in risalto la circostanza secondo cui, non risulta affatto infrequente l’attuazione da parte di più soggetti, di forme plurime di abuso nei confronti dell’infanzia (ad esempio abuso intrafamiliare e contemporaneo sfruttamento sessuale a fine di lucro). Orbene in tale ottica bisogna quindi differenziare, seppur in modo formale trattandosi pur sempre di gravissimi abusi, le violenze “intrafamiliari“, da quelle “extrafamiliari”, dove le prime risultano essere decisamente le più devastanti sotto ogni profilo, sia di carattere sociologico che di tipo psicologico. Nel caso di violenza “intrafamiliare”, infatti, si è in presenza di un abuso sessuale perpetrato da familiari, parenti e/o amici all’interno domestico e nel quale la persona coinvolta nella relazione sessualizzata, non è più in grado di cogliere il più profondo significato di quanto viene effettuato su di lei, e le conseguenze reali e durature a cui può portare. Proprio a causa dell'origine della molestia, la condotta violenta intrafamiliare produce quindi, in linea di massima, effetti psicologici più gravi di quelli prodotti da abusi avvenuti all'esterno del nucleo familiare. La maggior parte di tali abusi sessuali, viene infatti perpetrata, secondo alcune stime, dai padri, in secondo luogo dai conviventi nel nucleo familiare (nonni, zii, patrigni, ecc,) e, in percentuale molto minore, dalle madri.

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Come molte indagini giudiziarie hanno poi evidenziato, nei casi più evidenti e crudeli le persone ed i minori che subiscono un abuso sessuale, (del tipo intra o extrafamiliare) vengono poste nell'impossibilità di agire liberamente, per esempio attraverso minacce o l'impiego della forza fisica, ovvero ancora mediante l’adozione di strategie che di fatto si avvicinano alle ormai dimenticate nel tempo, torture. Il bambino vittima dell’abuso sessuale, non sempre può riconoscersi a colpo d’occhio non presentando da subito fobie o paure evidenti. Spesso infatti il rapporto con l’adulto che pone in essere l’abuso, si risolve in vari atti simili al gioco che la piccola vittima riconosce come abusi solo nella successiva fase adolescenziale. E’ proprio in tale fase che la personalità del minore viene fortemente minata, prendendo egli cognizione di un fatto subìto lontano nel tempo e nello spazio. Rimane allora, nella piccola mente del bambino solo la vergogna di essere stato vittima di un’orrenda violenza, senza poter regredire temporalmente ed opporsi in modo fattivo alla materializzazione di quell’Orco che fino a quel momento aveva creduto esistere solo nelle fiabe. Il bambino finisce così con l’isolarsi dal mondo e dalla realtà quotidiana, perché solo il rivolgersi con sé stesso, non lo esporrebbe a quella vergogna relazionale che tanto lo attanaglia, portandolo però per mano anche ad auto-infliggersi punizioni severissime che nel migliore dei casi, è il mancato avvicinamento dello stesso all’attività sessuale e relazionale ma che, nei casi più gravi può raggiungere anche il suicidio. Quando egli è vittima di maltrattamenti, mostra spesso una sintomatologia composita, aspecifica, che, pur non essendo un segno certo di abuso ai suoi danni, può certamente rappresentare un segnale d'allarme per la famiglia. Gli studiosi del settore forniscono una serie di indicatori caratteristici del bambino vittima di violenza: 

riduzione dell'autostima;

difficoltà ad amare o a dipendere dagli altri;

comportamenti aggressivi o distruttivi;

comportamenti di ritiro e paura di intraprendere nuove relazioni o attività;

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fallimenti scolastici o cadute nel rendimento;

abuso di droga o alcool.

Più in particolare, il bambino sessualmente abusato può mostrare, oltre ai segni sopra elencati altri sintomi quali : 

un interesse inusuale verso questioni sessuali;

disturbi del sonno, incubi, terrore notturno, enuresi (pipì a letto);

ansia, depressione e comportamenti di isolamento;

comportamenti seduttivi nei confronti degli adulti;

sentimenti relativi al proprio corpo vissuto come sporco o danneggiato;

contenuti sessuali o aspetti dell'abuso rappresentati in giochi, disegni o fantasie;

condotte delinquenziali e fughe;

in casi gravi comportamenti suicidari.

Ma chi è il responsabile di ciò ? Chi è l’Orco cattivo che si è materializzato dalle fiabe che accompagnavano quella piccola creatura nei sogni più dolci tutte le notti, chi è che per tutta la vita segnerà la vita di questo bambino? E’ lui il pedofilo, che in una sorta di continua dissimulazione della propria anima, impone sull’inerme creatura la propria condotta violenta e di sopraffazione, cosicché il fanciullo possa essere soggiogato dalla sua volontà deviata e criminale.

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1.3.1 L’incesto: orrore in famiglia

L’incesto, forma crudele di abuso, è il rapporto sessuale tra persone che hanno legami di parentela, la cui origine ed il divieto sono antichissimi, come anche le punizioni che arrivavano sino alla morte dei colpevoli e che hanno caratterizzato tutte le culture mondiali. Già ai tempi degli antichi greci, esistevano norme riguardanti l’incesto. In Grecia infatti dopo un primo periodo di tolleranza, vennero giuridicamente e fortemente represse le unioni incestuose, in particolare il matrimonio fra ascendenti e discendenti, mentre soltanto interdette le unioni coniugali tra fratello e sorella (tollerate invece, solo nel caso in cui costoro non fossero figli della stessa madre). Il concetto di incesto nel campo etnografico ha avuto uno sviluppo pari a quello avuto dal concetto di organizzazione sociale. Con il progredire di quest'ultimo, che induceva trasformazioni dallo stato tribale di clan a quello della famiglia patriarcale, è venuto alla luce anche il concetto di incesto, che prima non si conosceva o che comunque non si applicava allo stesso modo. Anche nelle popolazioni poco evolute esisteva ed esiste ancora attualmente il concetto di incesto, con tipologie pressoché identiche. Non a caso in alcune popolazioni, l'incesto è associato alla stregoneria e viene praticato per usufruire dei poteri istrionici che si pensa di poter ottenere dall'atto. In altre determinate culture, la pratica dell'incesto era invece concessa solo alla famiglia reale, affinché potesse mantenere la purezza del proprio sangue, sebbene alla luce delle moderne teorie scientifiche si possa dire, che in tal modo la costituzione dei discendenti veniva in effetti indebolita (sempre che non fossero addirittura presenti tare ereditarie specifiche, ancor più facilmente trasmissibili per via incestuosa). L’ipotesi delittuosa di incesto, ovvero di abuso “intrafamiliare” già ampiamente trattato in precedenza, è inserita nel nostro codice penale all’art. 564 c.p. Capo II (Dei delitti contro la morale familiare), nel Titolo IX (Dei delitti contro la famiglia). L’ipotesi giuridica non si limita soltanto ad evitare la degenerazione di razza a causa della procreazione fra consanguinei, ma prevedendo anche i rapporti sessuali in linea retta, anche ad avere una più ampia ratio. Il codice penale non offre una definizione univoca del concetto di incesto, ragione per cui vi ruotano attorno non poche incertezze.

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Secondo la giurisprudenza costante e la maggior parte della dottrina, il reato si consuma con il compimento del rapporto sessuale; non manca però chi ritiene sufficiente, il compimento di atti sessuali anche diversi dalla congiunzione fisica, in modo che ne derivi pubblico scandalo. L’incesto di per sé, rappresenta un totale abbandono, un tradimento perché avviene all’interno della famiglia, che dovrebbe sempre donare serenità, nutrire e proteggere i propri bambini. Nella maggior parte dei casi, le vittime di incesto hanno amato e idealizzato il proprio abusatore, che molto spesso è stato l'unico a dar loro attenzione e affetto. I confini però non sono stati rispettati. Hanno dovuto rinunciare a se stesse, ignorando i propri bisogni ed i propri sentimenti (odio, disgusto, avversione) in cambio di amore e accettazione. Per questa ragione, gli è difficile immaginare che l'amore sia possibile per loro senza porsi in un ruolo di vittima. Più tardi rispetteranno questo ruolo. Saranno vittime incapaci di imporsi, di evitare di essere usate ed abusate. Tenderanno al contrario a sentirsi colpevoli e a recriminare contro se stesse per la difficoltà che incontreranno in un rapporto. Saranno incapaci di esprimere rabbia, perchè da bambini avrebbero rischiato di perdere l'amore (o quello almeno che consideravano tale). L’orrore per descrivere questo turpe crimine, è talmente tanto grande che le parole si svuotano della loro essenza, le frasi volano via, l’anima si gela come un iceberg tra le impervie acquee polari. Sembrano mancare i pensieri da poter porre su queste pagine, e ci si sente inorriditi, come se l’anima stessa si auto-annullasse. E’ come se si assistesse ad un omicidio in diretta. Ogni volta che leggiamo notizie di incesti, di abusi familiari, di bambini sodomizzati da padri, nonni o amici di famiglia, ci si sente rapiti da un infernale anelito demonico, ci si sente immedesimati nelle sensazioni e nei sentimenti che provano di volta in volta le piccole vittime, pronte a piangere la loro dolce innocenza. Per questo ho ritenuto di dover esporre solo un breve accenno (senza quindi mai scendere in un’approfondita analisi psicosociologica del fenomeno incestuoso ) di quell’inferno che può scatenarsi in una delle tante famiglie della nostra umanità, dove l’orco non è in televisione, ma è di là che chiama per magari “rimboccarci le coperte”. Per entrare nel vivo di ciò che scrivo e che provo, riporto un intervista rilasciata ad un noto settimanale da Stella (nome di fantasia), che sin da bambina ha purtroppo conosciuto solo dolore ed abusi e che adesso è fortunatamente un’affermata scrittrice:

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Come mai ha deciso di scrivere un libro? «Avevo bisogno di uscire da un incubo. Scrivere serve a liberarsi, come consigliano due famose psicologhe inglesi che si occupano di pedofilia: Carolyn Ainscough e Kay Toon. Quando scrivi, la verità affiora tuo malgrado, come un lapsus. E poi, forse, volevo essere uno stimolo». Uno stimolo per chi? «Per gli ex bambini come me. Perché non abbiano più paura di guardare in faccia la violenza e finalmente se la lascino alle spalle. All’inizio non pensavo a un libro. Avevo messo giù una lunga lettera indirizzata alla mia psicanalista con cui avevo appena concluso sette anni di terapia. Una lettera di protesta». Perché? «In tanto tempo non era riuscita a far emergere la verità dentro di me. È stata lei per prima a sospettare che avessi subito violenza da bambina, ma poi l’ha messo in dubbio. Un tira e molla che ha avuto effetti devastanti». Come mai? «Noi ex bambini abusati non abbiamo certezza di ciò che proviamo e ricordiamo. Siamo i primi a dubitare di noi stessi perché quello che affiora alla mente è troppo spaventoso. Uno psicologo, uno psichiatra dovrebbero aiutarti ad avere fiducia nei tuoi sensi. Invece spesso ti dicono che i tuoi ricordi nascondono una pulsione, un desiderio sessuale inconscio verso un genitore. Scambiano un incesto con il complesso d’Edipo». Lei quando ha cominciato a ricordare? «Quando ho avuto i primi rapporti con mio marito. Al suo posto vedevo sempre un adulto senza volto. Un altro uomo». Ha mai cercato di capire chi fosse?

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«Ho tentato di sdrammatizzare. Mi dicevo che erano tutte fantasie. Sapevo che non era così, lo sapevo ma non potevo ammetterlo. Poi, però, da quell’immagine sfuocata sono emersi i tratti nitidi del viso di mio padre». Cos’ha ricordato? «All’inizio flash, immagini che passavano veloci, come in una lanterna magica. Poi situazioni sempre più precise. Mio padre che abusava di me a 4 anni. Mio padre che mi ha venduto oppure offerto, non so, a un collega di lavoro quando ero alle scuole elementari. Avevo soltanto 11 anni». Un collega? «Sì, un maestro. Anche papà era un maestro. Severo e impeccabile, almeno questa era la parte che recitava. Sono quasi certa di non essere stata l’unica sua vittima». L’ha denunciato? «Ho preferito cancellare. Immagino di essere stata sconvolta e confusa. Un bambino solo, indifeso, non ha strumenti per reagire. Si sente complice di qualcosa di sporco ma anche oggetto di un privilegio mostruoso». Privilegio? «Mio padre, in fondo, mi riservava delle attenzioni speciali, si interessava a me. Infatti dell’altro violentatore, il collega, ho trovato la forza di parlare». A chi? «L’ho detto ai miei genitori. Non sapevo che fosse stato mio padre a offrirmi al carnefice e mia madre non voleva ascoltarmi». Sua madre non ha mai intuito niente?

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«Lei era un’appendice di mio padre. Un’eterna bambina, egocentrica e irresponsabile. Qualche anno prima della sua morte, i miei fratelli mi hanno fatto coraggio e le ho confessato la verità». Con quale risultato? «Non mi ha creduta. Era l’ultima occasione che le offrivo per stabilire un rapporto autentico tra noi, ma lei l’ha calpestata». Come vive un bambino abusato? «È diverso dagli altri e non sa perché. Per sopravvivere spezzetta la sua personalità in ruoli diversi. Nel mio caso c’erano la Linda seduttiva, la Linda giudice, la Linda buona, quella cattiva. Ho tentato più volte il suicidio, senza capire le radici della mia sofferenza». Com’è possibile? «La confusione è un tratto tipico dei bambini abusati. Avevo dentro di me un tumore, un marchio misterioso di diversità, ma non sapevo vederlo. Mi dicevo: ho una casa, una famiglia, da mangiare e da vestire, e allora perché sono così infelice? Poi chiedevo perdono a Dio dei miei gesti assurdi. A 17 anni ho sofferto a lungo di depressione, ho perso molti chili, e i miei, ipocritamente, si sono anche preoccupati». Come ne è uscita? «Scappando. Sono andata a Milano a fare l’Università. Ma non ero uscita dall’incubo, avevo solo messo molti chilometri tra mio padre e me. Infatti, ho sposato quasi subito un uomo che riproponeva il modello familiare in cui ero cresciuta. Un uomo violento, geloso, incapace di vedersi com’era». Un inferno? «Sì. Quando l’ho ammesso ho cominciato a stare già meglio. Poi due bravi psicologi mi hanno aiutato».

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In che modo? «Mi hanno insegnato quanto fosse importante riconoscere i collegamenti tra il presente e il passato. Solo così, piano piano, sono riuscita a ricostruire quello che mi era successo». Quali collegamenti? «Faccio un esempio. Ieri pomeriggio mi sono accorta di tremare al rumore dei passi di uno sconosciuto sul pianerottolo di casa». Può accadere. «Di pomeriggio, a una donna di 40 anni? No, c’era qualcosa che non andava. Un tempo, però, avrei continuato a tremare senza chiedermi perché. Oggi mi fermo a riflettere. E riesco a trovare i collegamenti. I passi dello sconosciuto mi ricordavano i rumori che faceva mio padre quando arrivava a casa, dopo la scuola. Era il ritorno dell’orco. Fino a poco tempo fa, somatizzavo addirittura il terrore che provavo nei suoi confronti». Si spieghi. «Poteva accadermi in qualsiasi momento, senza preavviso. Piombavo in una sorta di stato catatonico, diventavo rigida, non riuscivo a muovermi, neppure per andare in bagno. Potevo restare così addirittura per un giorno intero». Anche in questo c’è un collegamento col passato? «Sì. Il mio psicologo mi ha spiegato che mi immobilizzavo per rendermi invisibile, come fa la preda per sfuggire al cacciatore. Probabilmente usavo lo stesso stratagemma da bambina. Purtroppo non mi ha salvata». Si è mai chiesta cosa spingesse suo padre a comportarsi così? Era malato, era perverso?

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«Ho letto montagne di libri per trovare una risposta. Non ho trovato caratteristiche comuni nei pedofili. Appartengono a qualsiasi ceto sociale, possono essere colti o ignoranti, duri o teneri. Mi sono convinta che sia soprattutto una questione di potere». In che senso? «Ci sono adulti che vogliono possedere per intero, anche fisicamente, un bambino. Sono casi limite, ma la violenza nei confronti dei piccoli è diffusa. Spesso i grandi li sfruttano per i propri scopi, per sentirsi importanti o autogratificarsi. La pedofilia è solo una delle tante forme di abuso». Cosa si può fare per difendere i bambini? «Informare, parlare. La cultura è tutto. Un pedofilo ne ha paura. Se sapesse che i vicini di casa, gli insegnanti, il medico di famiglia sono attenti a quel che accade ai piccoli, pronti a cogliere i loro turbamenti, sarebbe meno audace. Ora c’è molto più rispetto dei bambini in confronto al passato, bisogna continuare su questa strada. A mio padre era concesso frustare i suoi alunni, oggi per lo stesso motivo lo caccerebbero dalla scuola».

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1.4 Il Pedofilo: Orco o Mostro ?

[...] Era nel lito Un picciol monticello, a cui sorgea Di mirti in su la cima e di corgnali Una folta selvetta. In questa entrando, Per di fronte velare i sacri altari, Mentre de' suoi più teneri e più verdi Arbusti or questo, or quel diramo e svelgo Orribile a veder stupendo a dire, M'apparve un mostro, chè divelto il primo Da le prime radici, uscir di sangue Luride gocce, e ne fu il suolo asperso. Ghiado mi strinse il core; orror mi scosse Le membra tutte, e di paura il sangue Mi si rapprese. [...] Eneide, III, 38-51, trad. Annibal Caro

** “Quel pedofilo è un mostro!!”, sentiamo dire spesse volte tra la folla indignata. “Il Papà Orco ha violentato ripetutamente la propria figlioletta di pochi anni….” leggiamo seppur raramente sui giornali. Ma quindi il pedofilo è un Mostro o un Orco? E’ una domanda estremamente interessante perché entrambi sono termini che sembrano eguali ma che presentano delle diversità sostanziali. Sono termini mitologici, fiabeschi che si pregnano di oscuro mistero proprio come l’anima del pedofilo. Ecco perché essi sono a volte dei brutali “Mostri” ed a volte “Orchi” crudeli. Sembrano uscire magicamente dal mondo delle fiabe dove, orchi, streghe e mostri disumani popolano paesaggi dal sapore infernale. La fiaba, va detto, si differenzia dalla letteratura di evasione, ideologica o religiosa proprio perché presenta come esistenti se non inevitabili tutte le emozioni, lecite e proibite, piacevoli e dolorose, senza alcuna censura preventiva e che prospetta, a differenza della letteratura mitologica, anche

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una via d’uscita che non è necessariamente tragica. Questa è la convinzione che avvicina il bambino al mondo fiabesco, al mondo degli orchi! Una convinzione che lo rende cosciente che in ogni momento vi è la concreta possibilità di sfuggire ad atroci ed interminabili destini. Ma a volte questa è una vicinanza pericolosa perché da quel mondo magico si può proiettare, in senso metaforico, un personaggio reale, un orco crudele, che letteralizzando le fantasie del bambino le agisce, creando al di fuori di quelle pagine scritte, scenari turpi e menzogneri ieri da Orco, oggi da Mostro e domani da genitore premuroso. Il termine Orco, anche nella rappresentazione di quello nordicogermanico, deriva dall'Orco della mitologia romana, che pone in esplicita relazione questa figura mostruosa con il mondo degli inferi. Una relazione più debole esiste invece con l'orco delle fiabe, anch'esso mostruoso e malvagio, ma più simile a un uomo e (in genere) non associato all'inferno o ai suoi abitanti. Il termine orc si trova soprattutto in Beowulf, dove la razza dei non-morti di Grendel è descritta come Orc-néas, che sembra significare "cadaveri di Orcus"; il termine Orcus è l'originale latino e può essere interpretato come sinonimo di Plutone o Ade. Gli orchi di Beowulf sono esseri metà uomo e metà mostro, che vanno a caccia di notte, e si riparano in una dimora subacquea. Il termine orc, incidentalmente, indica in lingua inglese anche un certo tipo di mostro marino, citato originariamente da Plinio il Vecchio e in seguito ripreso dai bestiari medievali e dalla letteratura epica e cavalleresca medioevale e rinascimentale, per esempio nell' Orlando Furioso (da questa accezione deriva il nome del cetaceo noto come orca). Nello stesso Orlando Furioso tuttavia appare anche un "orco" terrestre, un gigante cieco con un grande naso e zanne simili a quelle di un cinghiale, che divora carne umana. Anche nella cultura folcloristica e fiabesca la figura dell’Orco ha rappresentato e rappresenta tuttora, un essere antropomorfo e gigantesco, che si ciba crudelmente di carne umana, un mostro la cui finalità esclusiva è però quella di cacciare e divorare in modo barbaro esseri umani. Inutile evidenziare quindi, come gli esseri preferiti da ingurgitare per quelle orribili creature, fossero proprio i bambini, quasi a dover ancora una volta rappresentare l’imposizione della potenza archetipica di un essere sovrumano e divino, nei confronti di un piccolo mortale che, seppur apparentemente semplice ed inerme, può rappresentare la sublimazione

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massima del potere assoluto, un pericoloso potere per una personalità “divina”, un potere che per un Orco diviene minaccia, annullamento. Solo divorandolo potrà resistere intatto nel mondo degli inferi e continuare a cibarsi di altre giovanissime e pure creature. L’Orco come detto è l’abitante degli inferi, il suo mondo è Ade il regno dei Morti, ed in una visione mistico-religioso è la rappresentazione archetipica del Male, il demone. Il fanciullo invece è la luce, la purezza estrema, la trasparente innocenza, è colui che è in grado di travolgere ogni anima umana. Egli è la rappresentazione del Bene, è l’Angelo che non conosce Ade, è colui che si trova a combattere una guerra senza sosta contro l’orrore infernale. Ma è anche colui che purtroppo in un duello “cosmico” soccombe, perché il male è subdolo, non gioca mai ad armi pari, non attende l’evoluzione del potere fanciullesco, non attende che egli possa divenire un potere inestimabile e sostituire il divino, ma lo divora prima affondando crudelmente i suoi denti sulle piccole carni inermi. Questo è in sostanza l’Orco, il Lucifero infernale, la figura fiabesca dove l’essere “Mostro” risulta essere solo una piccola componente. Questo è anche il pedofilo che ci ciba di anima e di carne umana, di quella carne che sa di divino, di quel toto-potere in grado di dare luce a ciò che è buio e rendere mortale anziché immortale il demone “Lucifero”. Egli nella parte più profonda della propria anima, oltre ad essere Orco, è anche un mostro disumano. Il termine latino monstrum indica infatti essenzialmente un segno divino, un prodigio, e deriva dal tema di monere: avvisare, ammonire. Il mostro, nel significato originario, è l'apparire, il manifestarsi, il mostrarsi improvviso di qualcosa di straordinario, di divino, che viola la natura e che è un ammonimento e un avvertimento per l'uomo. Il presagio suscita un senso di meraviglia e di stupore e può essere fasto o nefasto, generando perciò rassicurazione o spavento. Nella tradizione greca la comparsa dei mostri veniva per lo più interpretata come un evento nefasto. Del resto la concezione greca del bello aveva un significato profondo, filosofico, dotato di un senso metafisico superiore. Il kosmos esprimeva l'ordine dell'universo, bello e perfetto nello stesso tempo. Analogamente, l'idea del bello era inscindibilmente connessa con l'idea del buono: kalòs kagazòs (bello e buono) era un tutt'uno. In quest'ottica si spiega meglio la leggendaria consuetudine spartana di gettare

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dalla rupe i neonati imperfetti, consuetudine che si ritrova a dire il vero in molte società primitive, e che viene con diverse forme perpetuata anche in epoca romana, come testimonia - riprendendo Tito Livio - Julius Obsequens, nel Liber prodigiorum (IV secolo d.C.) in cui si racconta come i Romani bruciassero tra le fiamme mostri umani e animali, e annegassero gli individui ermafroditi. L'abitudine di uccidere subito dopo la nascita le creature deformi che non morivano spontaneamente, continuò del resto fino al XVII secolo. E nella visione distorta, di un pedofilo anche il bambino è un mostro, perché esso è un essere diverso, irrompe nell’anima come qualcosa di sovrannaturale, è l’essenza della luce divina. Ed ecco perché il pedofilo è proprio la trasposizione del Romano antico che gettava via o bruciava il bambino imperfetto o deforme. Quegli esserini non eguali avrebbero intaccato l’assolutezza della propria persona, avrebbero ucciso la propria immagine titanica ed iper-potente. Ma allora il pedofilo incarna entrambe le figure? Certamente si, perché egli non può essere mai l’uno o l’altro, egli è sempre l’insieme tra la fiaba e la realtà, egli è mostro che diviene Orco. Egli sa di essere mostruoso, diverso e nefasto tanto da assurgere a Titano, ma della sua mostruosità ne fa un utilizzo distorto, perché si rinchiuderà nell’oscurità di Ade, divenendo così un Orco crudele che divorerà solo fresca e giovane carne umana per poter continuare a vivere ed a non finire mai nell’universo dei mortali.

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2 L’Universo pedofilia in prospettiva

2.1 La pedofilia tra crimine e parafilia

Quante volte scontrandoci con crudeli ed inimmaginabili realtà, fatte di orchi, orchesse e piccoli fanciulli, ci siamo posti la domanda se la pedofilia potesse considerarsi un crimine o una malattia? Proprio come tante altre fenomenologie criminali che interessano in qualche modo la sfera psichica, anche la pedofilia andrebbe affrontata non solo da un punto di vista tipicamente eziologico, ma anche sotto un profilo specificatamente epistemologico, per evitare di cadere nel rischio di trasportare forzatamente, per una sorta di logica deduttiva e stereotipata, quello che oggettivamente possa apparire di puro interesse criminale in una patologia psichiatrica e viceversa. D'altro canto come abbiamo anche visto nei capitoli precedenti, la pedofilia oltre ad essere un orrendo e turpe crimine dove la lucidità d'azione criminale pare essere un'importante costante comportamentale, è anche di per sé una malattia, una cosiddetta parafilia. Per parafilia si intendono tutte quelle manifestazioni della sessualità, che sono state dapprima chiamate perversioni e poi deviazioni sessuali. Con questo nuovo termine, in sostanza, si è voluto indicare che la deviazione (para) dipende unicamente dall'oggetto fonte di attrazione (filia). Esse si presentano associate ad un forte desiderio, all'incapacità di investire in una direzione oggettuale ben definita, ed alla necessità di far fronte a forti sentimenti di vuoto. Tali schemi di eccitazione sono poi considerati devianti perché spesso indispensabili al funzionamento sessuale (cioè, l'erezione o l'orgasmo non si verificano senza uno specifico stimolo), possono coinvolgere partner inadatti (p. es., bambini) e causare una significativa sofferenza o compromissione nell'area di funzionamento sociale, professionale, o in altre aree importanti. Nei soggetti affetti da

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parafilia, la capacità di un'intimità emotiva, sessuale, affettuosa e reciproca con un partner, è generalmente compromessa o inesistente come anche lo sono altri aspetti dell'adattamento personale ed emozionale. Le parafilie, nei loro aspetti più benigni, presentano ancora un certo grado di flessibilità tanto che il soggetto non ne risulta imprigionato senza via d'uscita. L’esatto contrario avviene invece nelle forme parafiliche organizzate, le quali hanno una codificazione diagnostica ben definita. Secondo l'ultima edizione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSMIV) prodotto dall'American Association of Psychiatry, le caratteristiche essenziali di una parafilia sono definiti infatti impulsi sessuali o comportamenti ricorrenti e intensamente eccitanti che riguardano : - oggetti inanimati - la sofferenza o l'umiliazione di se stessi o del partner - bambini o altre persone non consenzienti, comportamenti questi, che devono necessariamente manifestarsi per almeno sei mesi ed in modo continuativo. Il DSM IV in relazione a ciò aggiunge: "Per alcuni soggetti, fantasie o stimoli parafilici sono indispensabili per l'eccitazione sessuale e sono sempre inclusi nell'attività sessuale. In altri casi, le preferenze parafiliche si manifestano solo episodicamente (per esempio, durante periodi di stress), mentre altre volte il soggetto riesce a funzionare sessualmente senza fantasie o stimoli parafilici. Il comportamento, i desideri sessuali, o le fantasie causano disagio clinicamente significativo o compromissione dell'area sociale, lavorativa, o di altre importanti aree di funzionamento. Le fantasie parafiliche possono essere agite con un partner non consenziente, in modo da risultare lesive per il partner stesso. Il soggetto può andare incontro ad arresto e reclusione. I reati sessuali contro i bambini costituiscono una parte significativa di tutti i crimini sessuali riportati e i soggetti con esibizionismo, pedofilia e voyeurismo costituiscono la maggior parte dei criminali sessuali arrestati. ...Le relazioni sociali e sessuali possono essere danneggiate se altri trovano il comportamento sessuale vergognoso o ripugnante o se il partner sessuale del soggetto rifiuta di condividere le preferenze sessuali inusuali. In alcuni casi, il comportamento inusuale (per esempio, atti esibizionistici o la collezione di oggetti feticistici) può

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diventare l'attività sessuale principale nella vita dell'individuo”. Nel capitolo relativo alle parafilie in genere, vengono quindi inclusi l'Esibizionismo (esposizione dei genitali), il Feticismo ( uso di oggetti inanimati ), il Fretteurismo ( toccare o strofinarsi contro una persona non consenziente), la Pedofilia (focalizzazione dell'interesse sessuale su bambini prepuberi), il Masochismo sessuale (ricevere umiliazione o sofferenze), il Sadismo sessuale (infliggere umiliazioni o sofferenze), il Feticismo di travestimento (indossare abbigliamenti del sesso opposto) e il Voyeurismo (osservare attività sessuali). Va detto inoltre che molti soggetti colpiti da questi disturbi non raramente sostengono che il proprio comportamento, non è fonte del loro disagio e che il loro unico problema è invece il malfunzionamento sociale conseguente alla reazione degli altri ed al loro comportamento. Altri invece sono soliti riferire intensi sentimenti di colpa, vergogna e depressione qualora debbano dedicarsi ad una attività sessuale ritenuta socialmente inaccettabile o che essi stessi considerino come immorale. Esiste spesso poi, una decisiva compromissione delle capacità di avere un'attività sessuale reciprocamente affettuosa e nel contempo presentare disfunzioni di tipo sessuali. Anche le anomalie di personalità sono frequenti e possono essere abbastanza gravi da giustificare un vero e proprio Disturbo di Personalità. Non raramente infatti nei soggetti colpiti da parafilia, possono svilupparsi intensi sintomi di depressione che possono essere accompagnati da un aumento della frequenza e dell'intensità del comportamento parafilico. Importante inoltre è anche differenziare una parafilia dall'uso non patologico di fantasie e comportamenti sessuali come stimolo per l'eccitazione sessuale, in soggetti senza parafilie. Invero le fantasie, i comportamenti o gli oggetti divengono parafilici solo quando portano, come già accennato, ad un disagio clinicamente significativo o ad una decisiva menomazione. Non a caso infatti nel ritardo mentale, nella demenza, nella modificazione della personalità (dovute ad una condizione medica generale), nell' intossicazione da sostanza, nell'episodio maniacale, o nella schizofrenia, potrebbe presentarsi una diminuzione del giudizio delle capacità sociali o del controllo degli impulsi, che, in casi rari, potrebbe arrivare a portare ad un comportamento sessuale del tutto inusuale. Questa specifica condizione quindi deve essere ben distinta dalla

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parafilia, per due ordini di motivi: il primo perché il comportamento sessuale inusuale, non riveste certamente la modalità preferita o vincolante del soggetto ed il secondo perchè i sintomi sessuali trovano manifestazione solo durante il decorso dei disturbi mentali. Gli atti sessuali inusuali tendono poi anche ad essere isolati piuttosto che ricorrenti e solitamente presentano l'insorgenza in un'eta più tarda. In una più generica classificazione, devono includersi poi altre parafilie che sono considerate minori e che sono così riassumibili: -

Scatologia telefonica: il fatto di provare eccitazione sessuale (con fantasie) nel danneggiare o umiliare gli altri con telefonate oscene, Necrofilia: il fatto di provare eccitazione sessuale (con fantasie) in attività sessuali con i corpi, Parzialismo: il fatto di provare eccitazione sessuale (con fantasie) per certe parti del corpo, Zoofilia: il fatto di provare eccitazione sessuale (con fantasie) per attività sessuali con animali, Coprofilia: il fatto di provare eccitazione sessuale (con fantasie) per le feci, Clismaphilia: il fatto provare eccitazione sessuale (con fantasie) nell'iniettare/ farsi iniettare liquidi per via anale, Urolagnia : il fatto di provare eccitazione sessuale (con fantasie) per le urine.

Ma le parafilie, ci si potrebbe domandare, colpiscono l’uomo o la donna?. Orbene studi approfonditi in merito hanno accertato che non esiste una differenza sostanziale tra i due, anche se nella maggior parte delle culture, le parafilie risultano molto più comuni nel sesso maschile che in quello femminile. Le cause di ciò, secondo alcuni autori, sarebbero addebitabili principalmente in alcuni motivi biologici dovuti ad una forte diversità di distribuzione, sebbene allo stato attuale tali motivi, non risultano mai stati ben definiti. Dal punto di vista evolutivo, invece le cause secondo altri, andrebbero ricercate nel fatto che gli uomini hanno dovuto trasferire le proprie identificazioni infantili dalle madri ai padri durante il periodo prescolare o edipico, (dai 3 anni circa ai 6) mentre le donne non hanno dovuto trasferire

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la propria identificazione. La necessità di abbandonare tale identificazione in un periodo critico dello sviluppo psico-sessuale avrebbe quindi reso il sesso maschile più vulnerabile, tanto da produrre l'incidenza più elevata delle parafilie in soggetti maschili. Concordemente a tutti gli autori, di tutte le parafilie sopraccennate la pedofilia è però quella che ha suscitato e suscita tuttora i più profondi sentimenti di disgusto e di indignazione avendo come oggetto di soddisfazione sessuale, la violazione della purezza diamantinea di un fanciullo. Nel gratificare i suoi desideri sessuali, il pedofilo infatti danneggia continuamente ed irrimediabilmente l'integrità fisica e psichica di piccoli bambini innocenti, con una condotta morbosa che spesso va poi concludendosi tragicamente, perché il pedofilo oltrechè affetto da disturbo parafilico, si rivela in molti casi anche un terribile ed orrendo criminale. La pedofilia come vedremo anche in seguito nel corso del libro, è un fenomeno parafilico che prevede la presenza di un soggetto di almeno 16 anni e di almeno 5 anni più vecchio della vittima e che pratica attività sessuale con bambini prepuberi. Di solito il pedofilo è rappresentato da soggetti con età più avanzata da quella della tarda adolescenza. L'attrazione verso le femmine, che è la più frequente, coinvolge solitamente bambine tra gli 8 ed i 10 anni, mentre quella per i maschi coinvolge ragazzi un po' più grandi. Il DSM-IV annota inoltre che i soggetti con pedofilia che sfogano i propri impulsi con bambini possono limitarsi a spogliare il bambino e a guardarlo, a mostrarsi, a masturbarsi in sua presenza, a toccarlo con delicatezza e a carezzarlo. Altri, sottopongono il bambino a fellatio o cunnilingus, o penetrano la vagina, la bocca o l'ano del bambino con le dita, con corpi estranei, o con il pene e usano vari gradi di violenza per fare ciò. Queste attività vengono di solito giustificate o razionalizzate sostenendo che esse hanno valore educativo per il bambino, che egli ne ricava piacere sessuale, o che era sessualmente provocante - argomenti comuni anche nella pornografia pedofilica. I soggetti possono limitare queste gravissime attività all'interno del nucleo familiare, ai propri figli, a figliastri, o a parenti, oppure possono scegliere come vittime bambini al di fuori della propria famiglia. Alcuni pedofili minacciano il bambino per evitare che parli. Altri, specie coloro che abusano spesso di bambini, sviluppano complicate tecniche per

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avere accesso a loro, che possono includere: guadagnare la fiducia della madre, sposare una donna con un bambino attraente, scambiarsi i bambini con altri pedofili o, in casi rari, adottare bambini di paesi sottosviluppati o rapire bambini ad estranei. Tranne i casi in cui il disturbo è associato a Sadismo sessuale, il soggetto può essere attento ai bisogni del bambino per ottenere l'affetto, l'interesse e la fedeltà del bambino stesso e per evitare che questi riveli l'attività sessuale. Il disturbo inizia di solito nell'adolescenza, sebbene alcuni pedofili riferiscano di non essere stati eccitati dai bambini fino alla mezza età. La frequenza del comportamento pedofilico varia spesso a seconda dello stress psico-sociale. Il decorso è di solito cronico, specie in coloro che sono attratti dai maschi. Il tasso delle recidive dei soggetti affetti da Pedofilia con preferenze per i bambini maschi, è da numerose statistiche effettuate in merito, all'incirca doppio rispetto a coloro che preferiscono le bambine femmine. Nonostante le molte ed articolate tipologie, il pedofilo presenta disarmonie della personalità che lo portano ad usare il bambino per risolvere i suoi problemi ed allontanare i fantasmi che popolano la propria anima. Sicuramente ogni pedofilo è combattuto tra le proprie resistenze psicologiche, le remore sociali e la forte propensione verso una deviata e patologica sessualità, tanto che possono anche trascorrere lunghi periodi prima che riesca a vincere l'inibizione e tradurre i propri impulsi in concrete azioni. Per i soggetti non affetti di pedofilia, l'eros rappresenta di fatto un'esperienza di pienezza, mentre il modo in cui il pedofilo vive l'amore, è povero, anonimo e privo di ogni sorta di autenticità. In essi manca infatti la capacità di allacciare un legame paritario con l'altro e, non riuscendo a raggiungere le normali fasi indispensabili per arrivare ad uno sviluppo graduale ed armonico della sessualità, rimangono di fatto racchiusi in una condizione di erotismo infantile e di immaturità, appagati da individui in età prepubere, che rappresentano i loro bisogni infantili insoddisfatti. Tale distorsione, molto spesso è determinata dal fatto che il pedofilo a sua volta, risulta aver subìto da piccolo degli abusi, ed il suo deviato comportamento scaturisce dal tentativo di rimuovere un trauma sessuale infantile o la sofferenza da esso derivata (teoria dell'abusatore-abusato).

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2.2 Diritto e Pedofilia – Analisi del diritto sostanziale nazionale in tema di pedo-pornografia

Il nostro paese, solo ultimamente (con l’introduzione della legge contro la pedofilia del 1998) ha iniziato a prendere seria cognizione della inaudita gravità del problema e della decisiva importanza di una sua possibile risoluzione (anche mediante l’istituzione di organismi di tutela e comitati interministeriali). La disciplina giuridica di tutela e promozione dei diritti del minore appare però talvolta contraddittoria e non eccessivamente incisiva, dispersa com’è tra codici e leggi speciali, tra leggi specifiche riguardanti soggetti in età evolutiva e leggi relative ad adulti in cui sono inserite norme riguardanti i minori, difettando cioè di un organico codice dei diritti del minore, che potrebbe di contro ovviare all’oggettivo problema (sia dell’operatore che del giurista), di navigare e districarsi tra le varie norme ed i richiami normativi di leggi diverse. Il diritto sostanziale nazionale cui si fa riferimento, previsto per il contrasto della pedo-pornografia, può essere così sintetizzato :

LEGGE 15 Febbraio 1996 n. 66

Legislazione italiana

Norme sulla violenza sessuale Legislazione italiana

LEGGE 3 Agosto 1998 n. 269 Norme contro lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia, del turismo sessuale in danno di minori, quali nuove forme di riduzione in schiavitù

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Legislazion e italiana

LEGGE 6 Febbraio 2006 nr. 38 Disposizioni in materia di lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pedopornografia anche a mezzo internet

LEGGE 27 Maggio 1991 nr. 176

Legislazion e italiana

Ratifica ed esecuzione della convenzione sui diritti del fanciullo – New York 20.11.1989

Legislazione italiana

LEGGE 11 Marzo 2002 nr. 46 Ratifica ed esecuzione dei protocolli opzionali alla Convenzione dei diritti del fanciullo, concernenti rispettivamente la vendita di bambini, la prostituzione dei bambini, la pornografia rappresentante i bambini ed il coinvolgimento dei bambini - New York 6.09.2000

Le nuove forme che queste leggi hanno preso di fatto in considerazione, sono: la prostituzione minorile; la mondializzazione della pedofilia; le iniziative turistiche volte allo sfruttamento della prostituzione minorile e della pedofilia; la formazione, diffusione e detenzione di materiale pornografico prodotto mediante lo sfruttamento sessuale dei minori; l’ingresso della pedofilia telematica. La prostituzione minorile è stata giustamente riportata dalle ultime leggi (L. 269/98 e 38/2006), all’interno dell’accesa problematica del controllo sull’esercizio corretto della potestà genitoriale, problematica che in precedenza il nostro ordinamento, non aveva preso nella giusta considerazione. In questa prospettiva hanno giustamente rappresentato una novità importante i punti che la legge n. 269/98 ampliata poi dalla successiva legge 38/2006, in adempimento dell’obbligo internazionale

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posto dalla Convenzione sui diritti del fanciullo di New York (20 novembre 1989), contiene: a) l’introduzione dei reati specifici di prostituzione minorile e di tratta di minori per la prostituzione, che stabiliscono, per chi induce, favorisce o sfrutta la prostituzione di un minore, delle pene proporzionalmente più elevate quanto più l’età del minore è bassa; b) la previsione secondo la quale commetterebbe il reato di prostituzione minorile anche il cliente, attraverso il principio innovativo di punire chi compie atti sessuali con persona di età fino ai sedici anni in cambio di denaro o altra utilità; c) l’introduzione di un obbligo di segnalazione dei minori che si prostituiscono alla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minori e di una procedura specifica di protezione quando si ha notizia che un minore si prostituisce. Un aspetto, interessantissimo e che attualizza il grave fenomeno della pedo-pornografia è che il legislatore, ha con la normativa de qua, preso nella giusta considerazione la mondializzazione della pedofilia e dello sfruttamento sessuale dei minori, che sino a oggi sfuggivano in grande parte alla repressione penale del nostro Stato. Era difatti quasi impossibile che la giustizia italiana potesse perseguire i cittadini che andavano all’estero per incontri sessuali pedofili, o di coloro che in Italia organizzavano o propagandavano delle forme di turismo sessuale diretto verso l’estero, sia per problemi procedurali e sia per la difficoltà di ricerca delle prove in Paesi esteri. Le recenti normative hanno quindi cercato di raccogliere tutte queste preoccupazioni prevedendo: l’attribuzione alla presidenza del Consiglio dei Ministri delle funzioni di coordinamento delle attività svolte da tutte le pubbliche amministrazioni relative a prevenzione, assistenza e tutela dei minori dallo sfruttamento e dall’abuso sessuale; l’acquisizione di dati ed informazioni nonchè lo svolgimento di studi a livello nazionale e internazionale; un’attività di collaborazione internazionale anche mediante accordi bilaterali o plurilaterali fra l’Italia e gli altri Stati, con l’individuazione di strumenti e risorse a livello intra o extracomunitario; un’effettiva cooperazione

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amministrativa e di polizia fra gli Stati a tutela dell’infanzia; un regime di più estesa possibilità di poter procedere penalmente, superando i confini nazionali (per fatti commessi da cittadini italiani in tutto o in parte all’estero o per fatti commessi da cittadini esteri, quando la loro condotta abbia come vittime dei minori italiani o come destinatari favoriti nello sfruttamento). Un’importante innovazione, è anche l’aver preso in seria considerazione uno strumento di cui il pedofilo se ne serve ormai sempre più spesso e di cui certamente non riesce più a farne a meno: Internet e la via telematica, colmando così una gravissima lacuna. Non a caso la legislazione esistente infatti, ha anche previsto come reato, la divulgazione e pubblicizzazione della pornografia infantile per via telematica, consentendo anche alle autorità di polizia di utilizzare indicazioni di copertura e di attivare siti nelle reti per scoprire coloro che ne sono colpevoli. E proprio queste nuove norme, hanno consentito numerosi successi investigativi da parte delle forze di polizia impegnate su tale fronte sia a carattere nazionale che internazionale. Nella delicata materia della protezione della sessualità del minore, si è insistito giustamente dopo il 1996, circa l’importanza di una nuova legge che aveva l’obbligo morale e giuridico di perseguire due grandi scopi: il primo, di dare segnali e messaggi culturali alla società italiana; ed il secondo, di porre un argine ad un movimento di pedofilia che pareva non altrimenti arrestabile. Un aspetto fondamentale, della disciplina giuridica è stato sicuramente quello della scelta tra la procedibilità d’ufficio e quella a querela di parte. Il legislatore della riforma ha cercato infatti di trovare una soluzione sostanzialmente compromissoria, anche se spostata più verso la procedibilità d’ufficio, seppur non va omesso che, in sede di lavori preparatori si era anche prospettata una terza via e cioè quella della procedibilità d’ufficio con riserva della parte offesa dal reato, che in ipotesi poteva bloccare eventualmente il procedimento, qualora avvisata tempestivamente e direttamente dall’autorità giudiziaria. Questa tesi non venne poi condivisa e rimase all’interno dei lavori parlamentari di riforma alla normativa. L’attuale situazione prevede che per i delitti di violenza sessuale, (art. 609 bis c.p.), anche se aggravata, (art. 609 ter c.p.), e per il delitto di atti sessuali con minore, (art. 609 quater c.p.), si proceda a querela della persona offesa. Nel caso di minori,

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sarà necessario l’intervento dei genitori così come previsto dall’art. 120 c.p. Da registrarsi inoltre, è l’aumento del termine per proporre querela che dai tre mesi usuali è adesso passato ai sei, anche se ciò non è stato ben visto dalla dottrina che ha rintracciato in tale aumento, un ingiustificato travaglio interiore della vittima. Rimane invece invariato il principio della irrevocabilità della querela. Di contro si procede d’ufficio se la violenza sessuale è esercitata contro un minore di anni quattordici o se il fatto è commesso dal genitore, anche se adottivo, dal tutore, o convivente, o da altra persona cui il minore è affidato. Inoltre si procede d’ufficio, se il fatto è commesso da pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio nell’esercizio delle proprie funzioni o se la violenza è connessa con altro delitto per il quale è prevista la procedibilità d’ufficio. L’art. 10 della legge del 1998 contro la pedofilia ha modificato sostanzialmente l’art. 604 c.p. stabilendo che il cittadino italiano, è punito per i reati sessuali anche quando il fatto sia compiuto all’Estero. Lo stesso è punito anche quando concorre con il cittadino straniero, il quale viene punito solo se è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni e quando vi è stata richiesta del Ministro della Giustizia. Inoltre l’art.13 della legge contro la pedofilia aggiunge la competenza esclusiva del Tribunale in composizione collegiale per tutti i reati dall’art. 600 bis c.p. al 600 sexies c.p. se puniti con la reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni. Occorre aggiungere inoltre che tale riserva, era già prevista per i delitti di cui all’art. 564 c.p., (incesto), 609 bis c.p., (violenza sessuale), 609 quater c.p., (atti sessuali con minore), 609 octies c.p., (violenza sessuale di gruppo). La normativa, come già ricordato, ha novellato anche quella in materia di polizia giudiziaria. In particolare l’art. 14 della stessa legge ha attribuito la facoltà al Ministro degli interni di istituire presso ogni Questura una unità specializzata di polizia giudiziaria per la repressione e la conduzione di indagini sul territorio. Inoltre gli ufficiali di tali strutture appena definite possono, dietro richiesta del Questore o del Dirigente competente e solo dopo autorizzazione della Magistratura, procedere all’acquisto simulato di materiale pornografico o partecipare ad iniziative turistiche a sfondo sessuale, per la propria attività investigativa e repressiva.

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Questa disposizione ricorda molto da vicino quella che autorizza gli stessi all’acquisto di armi, droga, munizioni o esplosivi, ma diversamente da quelle ipotesi, qui è necessaria l’autorizzazione dell’Autorità Giudiziaria. Nel caso di acquisto di materiale pornografico, inoltre, gli ufficiali di polizia giudiziaria debbono immediatamente comunicarlo all’autorità giudiziaria per differirne il sequestro sino alla conclusione delle indagini. Qualora invece, l’attività criminale coinvolga reti informatiche ovvero reti di telecomunicazione, la normativa in esame, autorizza la sezione specifica della polizia giudiziaria ad attivarsi tramite operazioni e partecipazioni simulate. Sarà quindi possibile attivare reti proprie e partecipare a quelle già esistenti. Inoltre è data facoltà all’autorità giudiziaria di ritardare l’emissione di ordini di cattura qualora questo aiuti all’acquisizione di materiale probatorio. Infine è anche possibile che il materiale sequestrato possa essere, dietro autorizzazione dell’autorità giudiziaria, utilizzato per successive attività investigative. In buona sostanza la legge di riforma contro la violenza sessuale, prima, e quella sulla pedofilia dopo, hanno cercato di introdurre strumenti efficaci di tutela e di protezione a favore delle vittime di tali delitti. A tal fine basti ricordare l’art. 609 decies c.p. che obbliga il Procuratore della Repubblica ad informare il Tribunale per i minorenni nel caso in cui siano violati gli artt. 609 bis c.p., 609 ter c.p., 609 quinquies c.p. e 609 octies c.p. Lo stesso art. 609 decies c.p. obbliga l’autorità giudiziaria ad affidare la vittima di detti reati a forme di assistenza psicologica ed affettiva, sia attraverso l’ausilio dei genitori e sia attraverso l’ausilio dei servizi minorili dell’amministrazione della giustizia e dei servizi istituiti presso gli Enti Locali. Un’ultima forma di tutela che la legislazione del 1998 ha fortemente voluto, è stata l’introduzione a favore dei minori (art.13, comma 6, L. 269/98), la possibilità di essere esaminati in udienza dietro la copertura di un vetro a specchio, unitamente ad un impianto citofonico. Tale eventualità si è resa disponibile sia per i delitti di cui agli artt. 600 bis c.p., 600 ter c.p., 600 quater c.p. e 600 quinquies c.p. che per i deliti di cui agli artt. 609 bis c.p., 609 ter c.p., 609 quater c.p. e 609 octies c.p.. Va anche detto che la persona vittima dei reati sessuali, ancorché minore può, in un ambito di una visione generalistica, essere

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salvaguardata ulteriormente con strumenti diversi da quelli fin qui menzionati. Infatti, oltre alla nuova disciplina delle incriminazioni, introdotta con la riforma del 1996, del 1998 e del 2006, ed alla integrazione con norme processual-penalistiche, bisogna anche aggiungere un terzo ordine di misure. È noto infatti, che l’efficacia del diritto penale non è riconducibile esclusivamente all’irrogazione di sanzioni. Esiste tutta una serie di provvedimenti che rendono più efficace ancora il diritto penale, non solo riparando il male subito, ma evitando anche che determinate condotte siano poste agevolmente in essere. In tal senso infatti svolge un’importante funzione l’art. 609 nonies c.p. che aggiunge alcune pene accessorie e specifici effetti penali (Tra le pene accessorie previste è inclusa la perdita della qualità di genitore, quando questa è elemento costitutivo del reato, e l’interdizione perpetua da qualsiasi ufficio di tutela e curatela). Tra gli effetti penali, vengono compresi la perdita del diritto agli alimenti e l’esclusione alla successione della persona offesa. Anche la disciplina contro la pedofilia in particolare è stata arricchita di importanti conseguenze penali che vanno oltre la stessa pena. Infatti l’art. 600 septies c.p. prevede nel caso di condanna la confisca del materiale utilizzato per l’esecuzione del delitto. È inoltre disposta la chiusura degli esercizi la cui attività risulti finalizzata ai delitti previsti nonchè, ove si tratti di emittenti radio-televisive, la revoca della licenza di esercizio o della concessione o dell’autorizzazione. Orbene, proprio l’applicazione di pressanti ed importanti pene accessorie, nonchè l’esatta applicazione delle stesse a seconda dei casi particolari, possono essere di grande contributo alla lotta in tema di pedopornografia, sia in relazione all’attività repressiva e sia in tema di attività di prevenzione, in una morale sociale in continua evoluzione. La nuova e recentissima normativa entrata in vigore il 2 marzo 2006 (L. 38/20006) pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 15.02.2006, ha poi previsto oltre ad un generalizzato inasprimento delle pene, anche un ampliamento della nozione di pedo-pornografia e del suo relativo ambito. Tra le novità principali della legge, c’è infatti l’introduzione della cosiddetta pedo-pornografia virtuale allargando di fatto il concetto di “materiale pornografico”. Proprio con tale disposizione normativa che di fatto ha modificato gli artt. 600 ter e 600 quater, del codice penale, il legislatore ha voluto

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fortemente far rientrare nel concetto di pornografia anche quelle immagini virtuali realizzate mediante immagini di minori degli anni diciotto o parti di esse, intendendo per “immagini virtuali”, tutte quelle immagini realizzate con tecniche di elaborazione grafica non associate in tutto o in parte a situazioni reali la cui qualità di rappresentazione fa apparire come vere situazioni non reali. Tutta una serie di obblighi e responsabilità sono state poi introdotte, oltre che per gli operatori turistici che dalla data in vigore della legge 38/2006, avranno l’obbligo di inserire nei materiali propagandistici, nei programmi, nei documenti di viaggio consegnati agli utenti, nonchè nei cataloghi generali o relativi a singole destinazioni, l’avvertenza che la legge italiana punisce con la reclusione i reati concernenti la prostituzione e la pornografia minorile anche se commessi all’estero, anche per i fornitori di servizi in Rete. Questi in particolare avranno l’obbligo di segnalare all’istituendo “Centro Nazionale per il contrasto alla pedo-pornografia sulla rete Internet” i soggetti e le imprese che distribuiranno o commercializzeranno materiale pedo-pornografico nonchè fornire informazioni sui contratti ed utilizzare obbligatoriamente idonei strumenti di filtraggio. Alla luce delle considerazioni fin qui svolte, può certamente affermarsi che il diritto sostanziale vigente nel nostro Paese in tema di lotta alla pedofilia, può in linea teorica ritenersi valido ed in linea con tutti i segnali lanciati dalle varie convenzioni di New York in tema di diritti del fanciullo sempre più minati da pericoli incombenti.

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2.2.1 Imputabilità giuridica nei reati di pedofilia

La possibilità del soggetto pedofilo che commetta violenza sessuale sui minori, di essere considerato imputabile e quindi punibile dalla legge, dipende solo dalla dimostrazione attraverso un’idonea perizia psichiatrica della presenza della necessaria “capacità di intendere e volere” possedute al momento del fatto. Tali capacità rappresentano infatti i requisiti fondamentali perché un soggetto possa essere considerato responsabile dei suoi atti. La capacità di intendere e di volere richiesta dall’art. 85 c.p., è definita dal legislatore, come l’idoneità del soggetto a conoscere, comprendere e discernere i motivi della propria condotta, valutandone le conseguenze e l’attitudine a determinarsi in modo autonomo, scegliendo quindi la condotta adatta al motivo che appare più ragionevole. Dunque “intendere”, equivale all’idoneità del soggetto a rendersi conto del valore della proprie azioni, nonché a rappresentarsi la realtà in cui si muove, così come essa è, senza distorsioni. “Volere” equivale invece, alla facoltà di volere ciò, che in maniera autonoma, si giudica doversi fare. In assenza di responsabilità, perciò non sarà possibile dichiarare la persona imputabile. Quindi assumerà particolare importanza lo stabilire se al momento in cui è stato commesso il fatto, il soggetto fosse in possesso di una piena o parziale capacità di intendere e di volere, ovverosia di comprendere il significato e le conseguenze dell’azione commessa ivi compresa la facoltà di autocontrollo posta in essere. Quando la capacità di intendere e di volere non sarà ritenuta presente, o sarà decisamente compromessa, allora si potrà parlare di “vizio totale di mente” e di “vizio parziale di mente”. Infatti gli articoli 88 ed 89 del codice penale così testualmente recitano: “Non è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, era per infermità, in tale stato di mente da escludere la capacità di intendere o di volere” (art. 88 c.p.); “ Chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, era per infermità in tale stato di mente da scemare grandemente senza escluderla, la capacità di intendere o di volere, risponde del reato commesso, ma la pena è diminuita” (art. 89 c.p.). Per l’esclusione completa dell’imputabilità dunque, dovrà necessariamente esserci un’ampia e convincente dimostrazione nel

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giudizio dibattimentale, di un’oggettiva condizione d’incapacità sia sotto l’aspetto temporale (momento del fatto) sia sotto quello causale (presenza del nesso eziologico tra patologia ed il reato commesso). Se il soggetto pedofilo, verrà invece ritenuto imputabile, si potrà applicare a suo carico, come già visto nel paragrafo precedente, l’art. 609 bis c.p., che è quello relativo ai reati di violenza sessuale e che sancisce tra l’altro, la punizione con la reclusione da cinque a dieci anni per chi con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringa taluno a compiere o subire atti sessuali, abusando delle condizioni d’inferiorità fisica psichica della persona offesa. L’art. 609 ter, che riguarda invece le circostanze aggravanti, potrà essere applicato in presenza di situazioni in cui la violenza risulti commessa nei confronti di una persona che non abbia compiuto i quattordici anni, ovvero nei confronti di una persona che non abbia compiuto i sedici anni e della quale il colpevole sia l’ascendente, il genitore anche adottivo o il tutore. In tal caso la pena consisterà nella reclusione da sei ai dodici anni. L’aggravamento massimo sarà previsto infine quando la violenza, la minaccia o l’abuso d’autorità siano stati esercitati su minori di dieci anni (comma 4°, art. 609 ter.). Nel caso di soggetto pedofilo, qualora venga stabilita la presenza di una condizione di infermità mentale associata a pericolosità sociale (derivante appunto dalla condizione mentale patologica), il Giudice potrà applicare inoltre, una speciale misura di sicurezza rientrante nelle misure di sicurezza personali detentive, ossia quella del ricovero in Ospedale Psichiatrico Giudiziario.

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2.2.2 Appunti di legislazione comparata

La pedo-pornografia come l’abuso in generale sui minori, è da vari anni una fenomenologia socio-criminologica, posta in primo piano dagli Stati comunitari ed extracomunitari, volta specificatamente alla tutela dei diritti dell’infanzia. Abusi e violenze nei confronti dei bambini quindi, sono stati previsti nelle rispettive norme codicistiche, anche in relazione ai vari riferimenti costituzionali vigenti in ogni singolo Stato. L’Unione Europea si è impegnata fin dal 1996 in iniziative che dessero un’impostazione globale e multidisciplinare al problema della prevenzione e della lotta alla pedofilia, nonché allo sfruttamento sessuale dei minori. Sono stati infatti attivati specifici programmi, quali quelli denominati “STOP” e “DAFNE”, divenuti ormai, punto cardine della politica dell’Unione Europea in tale settore. Il programma Dafne in particolare, ha l’obiettivo di elevare la tutela della salute fisica e mentale per proteggere dalla violenza i bambini, gli adolescenti e le donne (compresa la violenza sotto forma dio sfruttamento sessuale e di abusi sessuali), tramite iniziative di prevenzione o in caso di violenze già verificate, di fornire aiuti alle vittime di tali atti. Il programma STOP invece, affronta direttamente il fenomeno con un’impostazione globale, che tiene conto della necessaria cooperazione nell’ambito applicativo della legge, riconoscendo il ruolo fondamentale delle organizzazioni non governative, coinvolgendole nella lotta contro la tratta, l’abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori. Recenti iniziative, come il “trattato di Amsterdam” ed il “Piano di Azione di Vienna”, hanno evidenziato come il contrasto ai fenomeni di tratta degli esseri umani e di reati di violenza contro i bambini, siano problematiche sempre più emergenti, che l’Unione Europea ha come sue priorità legislative. Il Consiglio dell’Unione Europea il 29 maggio del 2000 ha inoltre adottato una decisione relativa alla lotta contro la pornografia infantile in internet ispirandosi di fatto, sia al Protocollo delle Nazioni Unite circa la tratta degli esseri umani, integrativo della Convenzione sulla criminalità organizzata transnazionale, e sia alla Convenzione del Consiglio d’Europa sulla cyber-criminalità.

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Sul fronte specifico della lotta allo sfruttamento sessuale dei minori, il Consiglio dell’Unione, ha approvato il 27 settembre 2001, una risoluzione sull’apporto della società civile alla ricerca di bambini scomparsi o sessualmente sfruttati. Cercherò pertanto in questo paragrafo di fare un quadro, certamente sintetico, ma generalizzato circa le normative poste in campo per la lotta alla pedo-pornografia dall’Unione Europea e dagli Stati uniti d’America per offrire al lettore una visione d’insieme del fenomeno criminale nella sua globalità e degli strumenti legislativi di contrasto internazionali.

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2.2.2.1 Austria

Riferimenti normativi: articoli 206-209 e 212 c.p. °° L’art. 206 del locale Codice penale, punisce con pena detentiva da uno a dieci anni chi abbia rapporti sessuali con un minore. Se dal fatto ne deriva una lesione personale grave o addirittura la gravidanza del minore, è prevista una pena detentiva da cinque a quindici anni, mentre se ne consegue la morte, la pena è da dieci a vent’anni. Per chi invece compie atti di libidine diversi dalla congiunzione carnale, ovvero chi induce a compiere atti su un terzo, al fine di eccitare sessualmente o soddisfare sé stesso, l’art. 207 prevede una pena detentiva da sei mesi a cinque anni. Nell’ambito di tale fattispecie criminosa, al punto “a”, viene altresì contemplata la punibilità di rappresentazioni filmate di atti sessuali compiuti su un minore o dal minore su se stesso ovvero su terzi o su un animale. L’art. 208 prevede inoltre una pena detentiva sino ad un anno per il compimento in presenza di un minore di sedici anni, di atti osceni idonei a lederne lo sviluppo fisico, psichico o morale. Ovviamente aggravanti della pena sono previste in caso di rapporti di parentela, curatela o affinità tra l’autore del fatto reato ed il fanciullo.

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2.2.2.2 Belgio

Riferimenti normativi: articoli 372-383 bis e 442bis c.p.; articolo 10 ter c.p.p.

Nel Codice penale belga, gli articoli che riguardano i reati contro i minori sono disciplinati nel V, VI e VII capitolo e si rifanno sostanzialmente alle due leggi del 13 aprile 1995 “Sulla repressione della tratta di esseri umani e della pornografia infantile” e “Sugli abusi sessuali nei confronti di minori”. La legge sulla pornografia infantile del 1995 è stata nel 2001 modificata nella parte riguardante l’età del minore, sancendo quindi che il termine minore deve intendersi come una persona che non ha ancora raggiunto l’età di diciotto anni. I reati sessuali previsti dalla normativa vigente quindi possono così estrinsecarsi : a) Oltraggio al pudore contro i minori, che riguarda qualsiasi forma di oltraggio all’intimità, commesso con o senza violenza o minaccia, nei confronti di ragazzi tra i 16 ed i 18 anni nonché nei confronti dei minori degli anni 16; b) Rapporti sessuali con minori la cui fattispecie astratta, prevede qualunque atto di penetrazione sessuale, di qualunque natura e che sia avvenuto attraverso qualsiasi mezzo, compiuto contro minori la cui gravità è determinata a seconda dell’età della persona offesa (Infatti nell’ipotesi di reato nei confronti di un minore che abbia tra i 16 ed i 18 è prevista una pena da dieci a quindici anni , tra i 14 ed i 16 anni nonché minori di anni 14, è invece prevista una pena della reclusione che varia da quindici e venti anni). L’art. 383 bis del codice penale poi, tutela l’immagine e la privacy del minore, prevedendo espressamente pene per chiunque esponga, venda, affitti, distribuisca o consegni emblemi, oggetti, pellicole, fotografie, diapositive o altro raffiguranti posizioni o atti sessuali a carattere pornografico che comprendano o presentino minori di anni diciotto. Analogamente, l’art. 380 ter prevede la reclusione per chiunque attraverso qualsiasi mezzo faccia o faccia fare, pubblichi o diffonda servizi a carattere sessuale ovvero ne faccia pubblicità diretta o indiretta. °°

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2.2.2.3 Francia

Riferimenti normativi: articoli 225-6, 227-22/227-30 c.p.

Nel Codice Penale francese, i reati contro i minori, sono disciplinati nel Libro II, titolo II che raccoglie sostanzialmente tutte le norme a tutela dell’integrità fisica e psichica della persona umana. I rapporti sessuali (atteintes sexuelles ) con minori che avvengono senza violenza, costrizione o minaccia vengono puniti differentemente a seconda dell’età del minore. (limite di riferimento 15 anni). Il reato diviene poi aggravato e la reclusione passa da 5 a 10 anni qualora intervengano alcune circostanze tra le quali: se è commesso da un parente legittimo, naturale o adottivo o dal un’altra persona che possiede l’autorità sulla vittima; se è commesso da una persona che abusa dell’autorità conferitagli dalle funzioni esercitate; se è commesso da più persone; se è commesso mediante remunerazione; o se è commesso allorché il minore risulta essere stato messo in comunicazione attraverso messaggi o rete internet. Anche il prossenetismo (cioè aiutare, assistere o proteggere la prostituzione altrui, trarne profitto, impiegare ed indurre una persona a prostituirsi) commesso nei confronti di un minore è previsto come reato punito con 10 anni di reclusione. Non manca anche qui la tutela del minore in ordine a reati di pornografia che prevede pene (anche qui differenziate sia in ordine al tipo di diffusione e sia in ordine all’età del minore) per chi realizza, registra, trasmette ai fini della diffusione immagini riproducenti minori e che abbiano carattere pornografico. °°

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2.2.2.4 Germania

Riferimenti normativi: Codice penale federale artt. 174,176,176°,176b,182, 184 e 184b; Legge sulla diffusione di scritti o contenuti multimediali dannosi per i minori ( Gesetz uber die Verbreitung jugendgefahrdender Schriften und Medieninhalte ) del 9.06.1953-

Anche in Germania i rapporti sessuali con minori vengono puniti severamente, con differenziazione a seconda dell’età del minore stesso. Infatti i rapporti sessuali con minori di età inferiore a quattordici anni, prevedono una pena detentiva che va da sei mesi a dieci anni, ivi comprendendo, chi induce un minore a compierli o a subirli. Ad eccezione della fattispecie delittuosa che prevede una pena per chi compie atti sessuali dinanzi ad un minore o induce questo a compierne in sua presenza, ovvero utilizza in sua presenza, illustrazioni o rappresentazioni a contenuto pornografico, è altresì prevista la fattispecie del tentativo (Codice Penale Federale – Strafgesetzbuch, Stgb, - art. 176Abuso sessuale di minori – Sexueller Missbrauch von Kindern ). In casi particolarmente gravi ovvero quando l’autore risulta abbia avuto rapporti sessuali completi (Beischlaf vollziehen) con il minore, la pena detentiva prevista è da uno a dieci anni.. L’art. 176b (abuso sessuale nei confronti di minori con conseguenze mortali - Sexueller Missbrauch von Kindern mit Todesfolge) stabilisce inoltre che l’autore di un abuso sessuale che provochi la morte del minore vittima del reato, sia punito con una pena comunque non inferiore ai dieci anni ed estensibile sino all’ergastolo. Tornando al tema di abuso sessuale senza la morte del minore, va rilevato come la pena detentiva, viene ridotta da dieci a 5 anni qualora si tratti di abuso su minore di età inferiore a 16 anni quando l’autore (maggiore di anni 18) approfittando di una situazione di necessità o dietro compenso, compie atti sessuali sul minore o ne fa compiere su se stesso. Per ciò che riguarda la condizione di procedibilità va detto che qualora l’autore del reato sia maggiore degli anni ventuno, è necessaria la querela di parte. Tale necessità però può essere derogato allorché l’autorità competente ritiene che ci sia un particolare interesse pubblico all’azione

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penale. Il Tribunale può anche non ritenere la punibilità del reato quando, in considerazione del comportamento della vittima del reato, l’ingiustizia del fatto appaia lieve (Codice penale federale, art. 182 Abuso sessuale di un adolescente - Sexueller Missbrauch von jugendlichen). Va osservato ancora come l’art. 184 del codice penale federale, così come modificato nel 1993 e nel 1997, preveda espressamente pene per chi offra o metta a disposizione scritti pornografici in luoghi pubblici accessibili, non dimenticando certamente l’utilizzo fraudolento della rete. (art. 184b). La tutela dei minori è stata poi oggetto di una legge speciale riguardante proprio la “ diffusione di scritti o contenuti multimediali dannosi per i minori” (Gesetz uber die Verbreitung jugendgefahrdender) del 1953, successivamente modificata nel 1997, nell’ambito della quale la tutela viene di fatto articolata su tre diversi livelli di intervento: 1)

2) 3)

divieto di offerta di materiali i cui contenuti sono riconducibili alle fattispecie di reato previste dagli artt. 130 ( istigazione all’odio ), 131 ( apologia della violenza, incitamento all’odio razziale) e 184 del codice penale federale; blocco delle offerte pericolose per i minori tramite il controllo preventivo dei materiali e l’indicizzazione dei contenuti; obbligo per le imprese fornitrici di servizi elettronici di informazione e di comunicazione di istituire un organo interno incaricato della tutela dei minori che funzioni come interlocutore degli utenti e come consulente dei fornitori.

Figura importante all’interno di tale disposizione legislativa è quella del Garante per la tutela dei minori (jugendschutzbeautragte) che è di fatto sia l’interlocutore dell’utente e sia, il consulente in materia del fornitore di servizi. Quest’ultimo, deve ottemperare ad alcuni specifici obblighi quali quello ad esempio di informare il Garante circa le offerte e le condizioni generali di fornitura di informazioni e servizi. In alternativa, può servirsi di un’organizzazione di autoregolamentazione che svolga le medesime funzioni del Garante. °°

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2.2.2.5 Gran Bretagna

Riferimenti normativi : Sexual Offences Act 1956 e Sexual Offences Act 1967, così come modificati dal Criminal and Public Orde Act del 1994; Protection of Children Act 1978; Sexual Offences Act (Consipracy and Incitament) Act del 1996; Sex Offenders Act del 1997; Sexual Offences (Amendment) Act del 2000

Prima di passare all’analisi delle fattispecie criminose riguardanti i minori si deve evidenziare, che a partire dall’anno 1993 è stata abolita la presunzione legale di incapacità giuridica di intrattenere rapporti sessuali da parte di ragazzi (di sesso maschile) minori di anni quattordici (Sexual Offences Act del 1993, section 1). Le linee generali della disciplina riguardanti gli abusi sui minori, (violenza, pornografia e sfruttamento prostituzione) possono riassumersi sinteticamente come segue: -

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Rapporti con ragazzi minori di anni tredici: detenzione a vita; il tentativo di commettere tale reato è punito con la pena di sette anni di detenzione ( Sexual Offences Act del 1956, section 5, Schedule 2,Part I nr.2(a) e (b) ); Rapporti con ragazzi minori degli anni sedici: pena non superiore a due anni di detenzione anche per il tentativo. Il procedimento penale tuttavia non può essere avviato oltre il termine di dodici mesi dall’evento delittuoso ( Sexual Offences Act del 1956, section 6, Schedule 2 ,Part II nr.10(a) ) Sodomia nei confronti di ragazzi di età inferiore ad anni sedici: detenzione a vita; il tentativo di commettere il reato è punito con dieci anni di detenzione ( Sexual Offences Act del 1956, section 12, Schedule 2 ,Part I nr.3(a) e (b) ); Prossenetismo riguardante ragazzi di età inferiore ad anni ventuno: pena non superiore a due anni di detenzione sia per il compimento che per il tentativo ( Sexual Offences Act del 1956, section 23, Schedale 2 ,Part II nr.24). La section 23 del Sexual Offences Act del 1956, precisa inoltre che in tale fattispecie criminosa rientra

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anche il procacciamento di ragazze di età inferiore ad anni ventuno per rapporti sessuali con terzi « in qualunque parte del mondo »; Sfruttamento della prostituzione: in genere è punito secondo il rito, applicabile alla gravità del caso con detenzione massima di sette anni.

Con il Sexual Offences Act (Consipracy and Incitement) del 1996, si è voluto invece combattere il fenomeno del c.d. turismo sessuale; Al riguardo infatti è stata prevista la perseguibilità dei reati associativi (Consipracy) e di istigazione (Incitement) finalizzati al compimento di determinati atti sessuali commessi non soltanto all’interno del territorio nazionale ma anche in paesi stranieri (c.d. extraterritorialità). Per ciò che riguarda la pornografia invece, la Protection of Children Act del 1978 così come modificata dal Criminal Justice and Public Order Act del 1994, prevede pene, a seconda della gravità del caso, per chiunque realizzi, consenta di realizzare materiali pornografici relativi ad un minore, distribuisca od esibisca tali materiali; possegga tali materiali allo scopo di distribuirli o mostrarli personalmente o mediante tersi ovvero divulghi o dia luogo a divulgazione di messaggi pubblicitari tali da essere recepiti come finalizzati a distribuire o mostrare tali materiali. Al riguardo la legge precisa che il termine indecent photographs deve essere inteso come riferito a fotografie, filmati, registrazioni, copie di fotografie o filmati e fotografie comprese in un filmato. Tale nozione comunque è stata sottoposta a modifica con il Criminal Justice and Public Order Act del 1994,section 84 che ha previsto come ivi comprese anche le c.d. pseudo-fotografie, ovvero le immagini digitalizzate che comunque siano tali da dare l’impressione che la persona ritratta sia un minore, a prescindere da eventuali caratteristiche fisiche proprie di un adulto. In relazione alla lotta alla pedofilia in internet, l’ordinamento britannico non contempla allo stato, testi legislativi esplicitamente diretti a reprimere la diffusione di pornografia infantile tramite internet e le attività correlate, sebbene non sia del tutto ignorata nel dibattito politico la possibilità di introdurre norme organiche e puntuali. Le attuali fonti regolatrici della materia sono costituire dalle disposizioni legislative sulla tutela dei minori e dai generali divieti penalistici in tema di pornografia, la cui flessibilità ne ha consentito in molti casi, l’applicazione giudiziale a prescindere dallo strumento utilizzato

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per commettere i reati. Il legislatore tuttavia, ha sottoposto a revisione una parte della vigente normativa, apportandovi le modifiche necessarie a preservare la sua efficaciaa fronte dell’evoluzione tecnologica e del diffondersi, con gli Internet related crimes , di nuove fattispecie criminose. Concorrono poi a formare il quadro generale le normative di autoregolamentazione adottate dagli stessi fornitori di servizi. L’ampio tenore letterale della previsione legislativa non ha però impedito, nella concreta applicazione, che taluni atti criminosi perpetrati per mezzo della Rete, sfuggissero alla sua portata al punto da indurre il Crown Prosecution Service (l’organo titolare nel Regno Unito, dell’esercizio dell’azione penale) ad evidenziare nel corso di audizioni parlamentari l’inadeguatezza di tale norma a fronte delle moderne tecniche di digitalizzazione. La risposta del legislatore non è tardata ad arrivare con la modifica della Protection Children Act del 1978, e con l’approvazione del Criminal Justice and Public Order Act del 1994 section 84.4 ). Con l’approvazione poi del Regulatory Investigate Powers Act del 2000, si sono conferiti agli organi di polizia e di intelligence, poteri di controllo sulle comunicazioni in rete e,in particolare, di accesso a quelle protette mediante tecniche crittografiche. °°

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2.2.2.6 Portogallo

Riferimenti normativi: Codice penale, articoli 172-179 “ Reati contro l’autodeterminazione sessuale”, come modificati dalla legge 65/98 del 2 settembre 1998.

Il Portogallo, diciamo che è sostanzialmente allineato a quelle che sono le normative a tutela dei minori poste in campo dagli altri paesi europei, per ciò che riguarda sia l’abuso sessuale che quello della pornografia e prostituzione. Infatti gli abusi sessuali nei confronti di minori degli anni 14 sono puniti con il carcere da uno ad otto anni; in presenza di rapporti sessuali (vaginali, anali od orali), la pena è aumentata sino a dieci. Se l’età del minore è ricompresa nella fascia 14-16 anni, la pena per il maggiorenne che compie l’abuso è di due anni di carcere. Ovviamente esistono delle aggravanti per chi commette il reato abusando della qualità di educatore, genitore, assistente etc.. Pena non troppo elevata (da 6 mesi a 5 anni) è prevista per chi favorisce o facilita l’esercizio della prostituzione minorile. Sale sino ad otto anni se trattasi di “traffico di minori” degli anni 16. °°

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2.2.2.7 Spagna

Riferimenti normativi: codice penale , articoli 178-194 “Reati contro la libertà e l’integrità sessuale”, come modificati dalla legge organica n. 11/1999 del 30 aprile del 1999

Il codice penale spagnolo non contiene una fattispecie a parte per i rapporti sessuali con minori realizzati mediante violenza o intimidazione. E’ tuttavia configurata una circostanza aggravante il fatto che la vittima della violenza sia persona “particolarmente vulnerabile a causa dell’età…..”. Infatti in via generale per una violenza senza penetrazione, che prevede di norma il carcere da 1 a 4 anni, tale sanzione è elevata da 4 a 10 anni, mentre in presenza di penetrazione o introduzione di oggetti, fattispecie normalmente punita con il carcere da 6 a 12 anni, vi è la reclusione da 12 a 15 anni. Insomma pene severissime pur in mancanza di una fattispecie criminosa autonoma. In presenza invece di atti lesivi della libertà o integrità sessuale senza violenza o intimidazione, si configura il reato di “abuso sessuale” che in via generale è punito con il carcere da 1 a 3 anni semprechè la parte offesa non sia minore di anni 13. In tal caso le pene indicate sono elevate sino alla metà. Gli abusi sessuali commessi su minori tra i 13 ed i 16 anni (art. 183) sono invece puniti con una pena detentiva da 1 a 2 anni e se vi è introduzione di oggetti o penetrazione è prevista soltanto una pena che va da 2 a 6 anni. La legislazione spagnola prevede poi nell’ambito dello stesso codice penale, le fattispecie astratte di molestie sessuali, di esibizionismo e provocazione sessuale (c.d atti osceni), la corruzione dei minori, ed il favoreggiamento e/o sfruttamento della prostituzione minorile per le quali le pene variano a seconda della gravità del caso. Anche la Spagna ha inteso rafforzare la lotta contro alcune forme di pedo-pornografia infantile che si stanno diffondendo attraverso la Rete internet, mediante l’aggiunta di alcuni incisi (quale quello ad esempio sul mezzo di diffusione di materiale pornografico) a seguito dell’approvazione della Legge Organica n. 11 del 1999.

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Da ultimo va evidenziato che per poter procedere contro i responsabili di reati a sfondo sessuale, nel caso in cui la vittima sia un minore, è sufficiente la decisione del pubblico ministero, anche in assenza di denuncia di parte (art. 191). La legge organica 11/1999 ha infine disposto, sull’esempio del diritto comparato, il rinvio della decorrenza dei tempi di prescrizione per i reati sessuali commessi nei confronti di minori, al momenti in cui questi ultimi raggiungono la maggiore età. °°

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2.2.2.8 Stati uniti

Riferimenti normativi: Codice della legislazione federale (U.S. Code) Titolo 18, §§2241-2246, §§ 2251-2258, § 2423.

Negli Stati Uniti, per ciò che riguarda in particolare i rapporti sessuali con minori, il Codice della legislazione federale statunitense (U.S. Code) distingue il “rapporto sessuale” (sexual act) dal “contatto sessuale” (sexual contact). L’intrattenimento, o il tentativo di un sexual act con un minore di dodici anni, viene considerato abuso sessuale aggravato ed è punito in modo variabile con pene che va dalla pena pecuniaria, alla reclusione sino all’ergastolo. Anche per ciò che riguarda il sexual contact sono previste pene analoghe. Riguardo ai minori di età compresa tra i dodici ed i sedici anni, la section 2243 del Titolo 18 dello U.S. Code, dispone espressamente che chiunque nell’ambito della giurisdizione territoriale o marittima degli Stati Uniti o in un penitenziario federale consapevolmente trattiene o tenta di intrattenere un “sexual act con un minore di almeno quattro anni più giovane, e di un’età appunto compresa tra i dodici ed i sedici anni, è punito con la pena pecuniaria, la reclusione sino a 15 anni o entrambi. Il sexual contact viene invece punito con pene meno severe: pena pecuniaria o reclusione sino a due anni, o entrambe. Se dall’abuso (o dal tentato abuso) sessuale di un child, ne consegue la morte, il colpevole è punito con la pena capitale o con pene detentive ivi compreso l’ergastolo. Ma cosa si intende per sexual act e sexual contact per il legislatore? Ce lo spiega lo stesso legislatore statunitense, nella section 2246 dell’U.S. code, laddove fornisce una descrizione dettagliata dei termini sopraccitati. Con il primo termine e cioè sexual act si fa riferimento a qualunque tipo di penetrazione sessuale , anche di tipo lieve, nonché alla palpazione intenzionale, non attraverso gli indumenti, dei genitali maschili e femminili di un minore di età inferiore ai sedici anni, con l’intento di abusare, umiliare, aggredire, degradare o soddisfare il desiderio sessuale di qualunque persona; Il secondo termine invece, sexual contact, viene riferito alla palpazione intenzionale diretta o attraverso gli indumenti, dei genitali, dell’ano, dell’inguine, del seno, della coscia interna e dei glutei.

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La section 2251 del titolo 18 dell’U.S. Code prevede pene per chi impegna, persuade, istiga o costringe un minore di diciotto anni ad intrattenere o ad assistere ad un rapporto sessuale di qualsiasi genere, nonché pene per chi crea, stampa o pubblica materiali pornografici relativi a minori. Anche in tema di prevenzione e repressione della pedo-pornografia in internet, hanno avuto i propri sviluppi legislativi. Infatti attualmente il quadro normativo di riferimento sulla materia, è costituito dal Children’s Ondine Privacy Protection Act (COPPA), dal Child Ondine Protection Act (COPA), dal Children’s internet Protection Act (CIPA), e dal Neighborhood Children’s Internet Protection Act (NCIPA) , tutti approvati come riders cioè come provvedimenti legislativi autonomi inseriti in leggi di più ampia portata e di contenuto eterogeneo: nel primi due casi la Public Law 105-277, Omnibus Consolidated and Emergency Supplemental Appropriations Act 1999, del 21 ottobre 1998 (H.R.3428); nel terzo e nel quarto caso, la Public Law 106-554, Consolidated Appropiation Act 2001, del 21 dicembre 2000 ( H.R. 4577). In sostanza la normativa indicata, delinea un quadro generale articolato su dei principi salienti e cioè: a)la tutela della privacy dei minori di età inferiore ai 13 anni che navigano in internet (COPPA)con relativa disciplina sanzionatoria delle relative violazioni in relazione ai minori di età inferiore a 17 anni (COPA); b) l’obbligo di adozione di una politica per la sicurezza di Internet (Internet Safety Policy) per le scuole e le biblioteche che beneficiano di particolari fondi federali nell’ambito di programmi per la informatizzazione dei servizi o la dotazione strumentale (CIPA); c) la definizione dei principali obiettivi di tale politica, di sicurezza e decentramento, delle agenzie locali per l’istruzione, circa la competenza a stabilire quali contenuti o immagini di un sito internet siano da considerarsi non adatti ai minori (NCIPA). La section 1405 del COPA, ha inoltre istituito un’apposita commissione di studio (Commission on Ondine Child Protection) con il compito specifico di studiare i metodi per aiutare a ridurre l’accesso da parte dei minori a materiale nocivo in internet.

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2.3 Attività investigativa e strumenti di contrasto

L’art. 12 della legge contro la pedofilia (L. 269/98), ha inserito, nei procedimenti relativi ai delitti di cui all’art. 600 ter, comma 3, c.p., la possibilità di intercettazioni telefoniche ed ambientali tra quelle già contenute all’interno dell’art. 266 c.p.p., ma la vera innovazione normativa della recente disciplina giuridica, è quella che consente l’intercettazione di flussi di comunicazioni relativi a sistemi informatici o telematici utilizzati per l’attività criminale. E’ proprio l’aspetto delle nuove tecnologie e del cyber–crime pedopornografico quello che è stato maggiormente preso in considerazione dal legislatore anche mediante l’attuazione della Legge 38/2006, ponendo una grandissima attenzione ai flussi di dati telematici per mezzo dei quali, lo si ripete, in modo subdolo e sempre più incessante, si annida la “criminalità pedofila”. Si è previsto infatti, tra le altre norme, l’illecito commercio on-line di immagini raffiguranti bambini virtuali ovvero di corpi che rappresentino o possano rappresentare soggetti efebici o comunque di aspetto adolescenziale o anche persone affette da nanismo, ovvero persone che sembrano essere minori pur essendone ignota l'età effettiva. Già a far data dal Novembre del 2003 è stato introdotto un codice di autoregolamentazione “Internet e Minori” che di seguito riporto integralmente, con il quale si è cercato di dare una risposta positiva alla lacuna sopraccennata, prevedendo tutta una serie di adempimenti per i provider e gli altri gestori della rete. Uno strumento investigativo innovativo, è dato poi anche dall’applicazione dell’art. 14 della legge 269/98 secondo cui, si è attribuita al Ministero degli Interni, la facoltà di istituire un’unità specializzata di polizia giudiziaria per la repressione e la conduzione di indagini a livello nazionale nonché, previa richiesta del Questore o del Dirigente e solo su autorizzazione della Magistratura, la possibilità di procedere da parte della citata unità investigativa, all’acquisto simulato di materiale pedopornografico nonchè a partecipare ad iniziative turistiche a sfondo sessuale. Sono ormai note, per le numerose indagini già portate a compimento, sia la Polizia Postale e delle Comunicazioni da tempo impegnata su tale

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fronte, e sia le varie unità di analisi criminale (vds. ad esempio l’U.A.C.I.Unità Analisi Crimini Informatici ), per la raccolta ed elaborazioni di dati, così contribuendo, sempre in linea con l’evoluzione sociale, all’esaltazione del criminal profiling del soggetto parafiliaco. Il vigilare sull’uso distorto delle tecnologie, è da sempre lo scopo che si prefigge da tempo la Polizia Postale e le altre Forze di Polizia impegnate a contrastare la criminalità sempre più emergente che naviga sul web. Fenomeni come la cyber-pedofilia, gli attacchi a sistemi informatici, truffe commesse con codici clonati e la diffusione di virus informatici nonché l’illecita duplicazione di opere coperte dal diritto d’autore, sono alcuni esempi di attività che vengono tenuti sotto controllo e contrastati dal personale di queste specialità. A fini prettamente preventivi invece oltre alla circostanza che il legislatore ha previsto che i fornitori di connettività alla rete Internet, al fine di impedire l’accesso ai siti segnalati dal “Centro Nazionale per il contrasto alla pedo-pornografia in Internet” di cui poi si farà in particolare cenno, sono obbligati all’utilizzo di strumenti di filtraggio e impiego di soluzioni tecnologiche idonee, è stata intensificata l’attività di monitoraggio della rete riguardo ai fenomeni parafiliaci ed a tutte le attività criminali che fioriscono sulla rete virtuale. Fra i principali ruoli dell’Interpol ad esempio, che è un’Organizzazione Internazionale di Polizia creata nel 1925 e che rappresenta 181 stati membri, c’è quello di rappresentare un punto di riferimento globale per tutti i corpi di Polizia comunitari ed extracomunitari che si occupano delle inchieste sugli abusi ai danni dei bambini o attraverso internet. L’Interpol possiede una banca dati di circa 250.000 immagini raccolte dal 2001. Fino ad oggi, attraverso la collaborazione di tutte le polizie nazionali, è riuscita ad identificare oltre 300 minori vittime di gravi abusi sessuali. Questo straordinario organismo investigativo internazionale, fa uso dei più moderni strumenti informatici per l’analisi dei dati e delle immagini contenuti nel database. L’analisi delle immagini, prende in esame ogni piccolo dettaglio delle foto o del video, soprattutto dei particolari, quali quelli dell’ambiente in cui risulta essere avvenuto l’abuso, dell’arredamento, della lingua utilizzata, della vegetazione o di qualunque altro indizio che possa aiutare ad identificare il luogo con elevata precisione. Vengono anche esaminate numerosissime fotografie che di per sè non hanno carattere di illegalità, ma

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che possono però risultare decisamente utili per la ricerca di relazioni (anche di tipo situazionale) con quelle che ritraggono invece l’abuso. Solo il confronto tra queste tipi di immagini può rivelarsi importantissimo ai fini investigativi. Ultima citazione va espressa anche alle numerose organizzazioni governative e non, che collaborano fattivamente giorno dopo giorno, con le Forze di Polizia, nonché ai vari comitati interministeriali (vds ad esempio il progetto CICLOPE) e parlamentari impegnati sul fronte legislativo, nell’unità di intenti di fermare o quanto meno arginare, questo gravissimo crimine che ormai non sarebbe sbagliato definirsi, “contro l’umanità”. Un ulteriore considerazione va fatta per il progetto Stop-it che è stato avviato nel settembre del 2002. Il progetto in questione è un’iniziativa coordinata da Save The Children Italia che si propone di contrastare e prevenire la diffusione di materiale pedo-pornografico in rete. Fra le diverse attività di questo progetto, c’è la creazione di una Hotline che attraverso un sito internet (www. Stop-it.org) offre al pubblico l’opportunità di segnalare immagini potenzialmente illegali incontrate nella rete. La verifica del contenuto potenzialmente illegale, avviene soltanto dopo l’autorizzazione da parte della Polizia Postale, sulla base di un protocollo operativo. Stop-It è il primo sito che lavora su scala globale in rete con le Hotline di tutto il mondo attraverso l’associazione internazionale INHOPE. Altre numerose associazioni in internet sono presenti con i loro siti, per essere un valido strumento di contrasto al turpe fenomeno criminale. (es. www.ecpat.it; www.genitori.it; www.abusi.it; www.minori.it; www.cyberangels.or; www.chatdanger.com; www.citinv.it; www.azzurro.it; www.telearcobaleno.com; www.mix.it/child_abuse; www.nonvoglioletuecaramelle.it ). Non va poi omessa una importante citazione circa l’istituendo “Centro Nazionale per il contrasto alla pedo-pornografia su internet” previsto dall’art. 19 della L.38/2006, che avrà il preciso e particolare compito di raccogliere tutte le segnalazioni provenienti dagli organi di polizia stranieri, da soggetti pubblici e privati impegnati nella lotta alla pornografia minorile, riguardanti siti che diffondono materiale concernente l’utilizzo sessuale dei minori avvalendosi della rete Internet e di altre reti di comunicazione, nonchè i gestori e gli eventuali beneficiari dei relativi pagamenti, proponendosi così, come uno strumento fondamentale e necessario per

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comprendere, analizzare e conoscere sempre piĂš l’enorme e vasta portata di questa che ormai è definibile come una vera e propria “piaga sociale

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2.4 Internet e minori

La diffusione capillare delle reti, lo sviluppo delle infrastrutture e dei servizi di collegamento a banda larga, pongono sempre nuovi problemi nel rapporto tra l’uomo e i sistemi di telecomunicazione. Il Ministero delle Comunicazioni, assieme alle associazioni degli Internet provider, al Servizio della Polizia Postale e delle Comunicazioni, alle associazioni di volontariato e a tanti esperti, ha voluto sostenere l’introduzione di nuove misure, per tutelare i minori che utilizzano la Rete. Internet è purtroppo uno dei settori più difficili da regolamentare poichè sfugge ai confini nazionali e si trasforma con una tale velocità, che la normativa tradizionale difficilmente riesce a seguirne le evoluzioni. Un codice di autoregolamentazione è invece uno strumento più snello ed efficace, che permette di definire modalità operative e quindi di perseguire comportamenti illeciti, che altrimenti rischierebbero di sfuggire e restare impuniti. I bambini possono essere utenti attivi o passivi delle reti. Possono cercare nuovi contenuti e ottenere benefici dall’utilizzo della rete, così come possono incorrere in contenuti non idonei per la loro età e, a volte, anche essere l’oggetto dello sfruttamento e degli abusi dei più grandi. La presenza poi di materiale pedo-pornografico nella rete Internet, come moltissime indagini hanno già avuto modo di dimostrare, è il testimonial di quei particolari reati che si consumano troppe volte nel mondo reale, a danno dei minori. In questo senso la rete Internet non è che uno strumento di diffusione del materiale che viene utilizzato a fini criminali. Fortunatamente, le tecnologie possono fornire anche strumenti di contrasto al crimine informatico ed il codice di autoregolamentazione, che ne è testimonianza, e che qui propongo in misura integrale, è sicuramente un mezzo che favorirà i rapporti tra gli operatori del settore e le Forze dell’Ordine. Non a caso nella rete, esistono contenuti criminali, come le immagini delle violenze sui minori, che compaiono e spariscono nel giro di tempi molto ristretti. Con questo codice, i provider che forniscono spazi web per la realizzazione dei siti Internet, si impegnano tra l’altro a mantenere le informazioni necessarie ad identificare gli autori dei contenuti, nel rispetto della normativa sulla tutela dei dati personali ed in base alla recente legislazione, sono anche obbligati, fermo restando quanto già previsto da

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altre leggi o regolamenti di settore, a segnalare al Centro Nazionale per il contrasto alla pedo-pornografia in Internet”, qualora ne vengano a cnoscenza, le imprese o i soggetti che a qualunque titolo diffondono, distribuiscono, o fanno commercio anche in via telematica, di materiale pedo-pornografico nonchè a comunicare senza indugio, ogni informazione relativa ai contratti con tale imprese o soggetti.In tal modo si rafforza perciò, un’usanza già comune tra gli operatori del settore, che favorisce la lotta al crimine e mette le Forze dell’Ordine, come ad esempio il Servizio della Polizia Postale e delle Comunicazioni, nelle condizioni di consegnare alla giustizia, i criminali identificati. Insomma questo Codice si propone, tra le tante, due grandi finalità, combattere la pedofilia e contenere la presenza dei contenuti pornografici on-line. Esso vuole essere, a tutti gli effetti, uno strumento per consentire ai minori di utilizzare la rete senza pericoli, vuole guidarli nella navigazione e dare supporto alle famiglie nell’educazione dei più piccoli all’utilizzo di Internet. In questo modo, con la navigazione differenziata, si è cercato di rendere la rete a “dimensione di bambino”, per non escluderli dai benefici che derivano dall’uso di questa tecnologia. Il codice, inoltre, come già accennato, rafforza i rapporti di collaborazione tra gli Internet service provider e le Forze dell’Ordine che determinano una maggiore capacità di intervento, una maggiore rapidità nelle attività di indagine e quindi una maggiore efficacia nel perseguimento dei crimini informatici contro i minori.

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2.4.3 Il codice di autoregolamentazione

Premessa Considerato che: a) la presenza dei contenuti illeciti o nocivi per i minori che accedono alla rete telematica è divenuta sempre più pervasiva; b) il diritto del minore a uno sviluppo equilibrato, è riconosciuto dall’ordinamento giuridico nazionale e internazionale (basta ricordare gli articoli della Costituzione che riguardano, direttamente o indirettamente, l’infanzia e la gioventù e la Convenzione Internazionale sui Diritti del Fanciullo, adottata a New York dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989, e ratificata ai sensi della legge 27 maggio 1991, n. 176, che impone a tutti i soggetti pubblici e privati, così come alle famiglie, di collaborare per predisporre le condizioni perché i minori possano vivere una vita autonoma nella società, nello spirito di pace, dignità, tolleranza, libertà, eguaglianza, solidarietà, e che fa divieto di sottoporlo a interferenze arbitrarie o illegali nella sua privacy e comunque a forme di violenza, abuso mentale, sfruttamento); c) la funzione educativa, che compete innanzitutto alla famiglia, può essere agevolata da un corretto utilizzo delle risorse presenti sulla rete telematica al fine di aiutare i minori a conoscere progressivamente la vita e ad affrontarne i problemi ed i pericoli; d) il minore è un cittadino soggetto di diritti e deve essere protetto da contenuti illeciti o dannosi che possano nuocere alla sua integrità psichica e morale; e) sussiste l’esigenza di bilanciare i diversi diritti fondamentali eventualmente contrapposti: la tutela dei minori, il diritto all’informazione e la libertà di espressione dei minori e di tutti gli altri individui;

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f) appare necessario provvedere alla tutela generalizzata del minore nell’ambito dell’uso sicuro delle tecnologie della società dell’informazione e delle comunicazioni elettroniche. Tutto ciò premesso e considerato, appare opportuno attuare uno scrupoloso rispetto della normativa nazionale ed internazionale vigente a tutela dei minori, ma anche l’adozione di un Codice di autoregolamentazione in materia (nel seguito indicato anche come “Codice”). Finalità Fermo restando il rispetto delle norme vigenti a tutela dei minori, il Codice si pone dunque i seguenti obiettivi e finalità: a) aiutare gli adulti, i minori e le famiglie a un uso corretto e consapevole della rete telematica, tenendo conto delle esigenze del minore; b) predisporre apposite tutele atte a prevenire il pericolo che il minore venga in contatto con contenuti illeciti o dannosi per la sua crescita; c) offrire, nel rispetto della normativa nazionale ed internazionale, un accesso paritario e promuovere un accesso sicuro per il minore alle risorse di rete; d) tutelare il diritto del minore alla riservatezza ed al corretto trattamento dei propri dati personali; e) assicurare, nel rispetto dell’ordinamento vigente, una collaborazione piena alle autorità competenti nella prevenzione, nel contrasto e nella repressione della criminalità informatica ed in particolare nella lotta contro lo sfruttamento della prostituzione, la pornografia ed il turismo sessuale in danno di minori, attuati tramite l’utilizzo della rete telematica; f) agevolare, nel rispetto dell’art. 9 del Decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 70 - Attuazione della direttiva 2000/31/CE relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, in particolare il

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commercio elettronico, nel mercato interno, la tutela del minore nei confronti delle informazioni commerciali non sollecitate o che sfruttino la debolezza del minore, ovvero, secondo quanto previsto all’art. 130 del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, nei confronti delle comunicazioni indesiderate; g) diffondere presso gli operatori e le famiglie il contenuto del Codice di autoregolamentazione.

VISTE E CONSIDERATE ALTRESI’ LE NORME NAZIONALI ED INTERNAZIONALI DI RIFERIMENTO E CIOE’: VISTI gli articoli 2, 3, 21, sesto comma, 31, secondo comma e 32 della Costituzione; CONSIDERATA la Convenzione Internazionale sui Diritti del Fanciullo, adottata a New York dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989 e ratificata ai sensi della legge 27 maggio 1991, n. 176, ed in particolare la lettera e) dell’art. 17 che testualmente prevede che gli Stati «favoriscono l’elaborazione di principi direttivi appropriati destinati a proteggere il fanciullo dalle informazioni e dai materiali che nuocciono al suo benessere in considerazione delle disposizioni degli articoli 13 e 18» e che tale obbligo deve essere realizzato tutelando la libertà di espressione del minore (articolo 13) e l’obbligo degli Stati di garantire ai genitori di poter svolgere congiuntamente il loro diritto/dovere di proteggere e educare i figli (articolo 18); CONSIDERATA la Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei bambini, adottata a Strasburgo il 25 gennaio 1996 e ratificata ai sensi della legge 20 marzo 2003, n. 77; VISTA la Legge 28 agosto 1997, n. 285 “Disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per l’infanzia e l’adolescenza”;

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CONSIDERATA la Direttiva 2002/58/CEE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 12 luglio 2002, relativa al trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle Comunicazioni Elettroniche; VISTO il decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 “Codice in materia di protezione dei dati personali”, in particolare l’art. 50, dal titolo “Notizie o immagini relative ai minori” e l’art. 130, dal titolo “Comunicazioni indesiderate”; VISTO il Decreto legislativo 15 gennaio 1992, n. 50 - Attuazione della direttiva n. 85/577/CEE in materia di contratti negoziati fuori dei locali commerciali; VISTO il Decreto legislativo 22 maggio 1999, n. 185 - Attuazione della direttiva 97/7/CE relativa alla protezione dei consumatori in materia di contratti a distanza; VISTO il Decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 70 - Attuazione della direttiva 2000/31/CE relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno – in particolare gli Articoli: – Art. 9 (Comunicazione commerciale non sollecitata); – Art. 14 (Responsabilità nell’attività di semplice trasporto - Mere conduit); – Art. 15 (Responsabilità nell’attività di memorizzazione temporanea - caching); – Art. 16 (Responsabilità nell’attività di memorizzazione di informazioni - hosting); – Art. 17 (Assenza dell’obbligo generale di sorveglianza); – Art. 18 (Codici di condotta); CONSIDERATO il Libro verde sulla tutela dei minori e della dignità umana nei servizi audiovisivi e di informazione COM (96) 483;

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CONSIDERATA la Comunicazione della Commissione delle Comunità europee del 16 ottobre 1996, relativa alle informazioni di contenuto illegale e nocivo su Internet; VISTA l’adozione da parte della Commissione il 25 gennaio 1999 della decisione n. 276/1999/CE sul piano d’azione comunitario pluriennale per promuovere l’uso sicuro di Internet attraverso la lotta alle informazioni di contenuto illegale e nocivo diffuse attraverso le reti globali, ed in particolare le linee d’azione indicate dalla Commissione: 1. creare un ambiente più sicuro; 2. creare una rete europea di hot-line che consenta ai consumatori di denunciare eventuali sospetti di pornografia infantile; 3. incoraggiare l’autoregolamentazione e i codici di condotta; 4. elaborare sistemi di filtraggio e di codificazione; 5. dimostrare i benefici dei sistemi di filtraggio, quali ad esempio PICS (Platform for Internet Content Selection), e di codificazione su base volontaria, quali ad esempio ICRA (Internet Content Rating Association); 6. facilitare l’intesa a livello internazionale sui sistemi di codificazione; 7. incoraggiare le azioni di sensibilizzazione; 8. preparare il terreno alle azioni di sensibilizzazione; 9. incoraggiare la realizzazione di azioni di sensibilizzazione su vasta scala; 10. realizzare azioni di sostegno; 11. valutarne le implicazioni giuridiche; 12. coordinarne l’attuazione con iniziative internazionali analoghe; 13. valutarne l’impatto con le misure comunitarie;

VISTA altresì la decisione n. 1151/2003/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 giugno 2003, che modifica la decisione precedente n. 276/1999/CE e che in particolare adotta un nuovo Piano pluriennale d’azione comunitario per promuovere l’uso sicuro di Internet estendendone la durata a 6 anni, fino al 31 dicembre 2004;

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CONSIDERATA la Raccomandazione del Consiglio della UE riguardante la protezione dei minori e della dignità umana (2001/C 213/03); VISTO il Parere del Comitato economico e sociale dell’Unione Europea sul “Programma di protezione dei minori su Internet" del 28 novembre 2001; VISTA la Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri Dipartimento per l’Innovazione e le Tecnologie sulla sicurezza nelle P.A. del 16 gennaio 2002 “Sicurezza Informatica e delle Telecomunicazioni nelle Pubbliche Amministrazioni Statali”; VISTO il Decreto Interministeriale 24 luglio 2002 relativo alla istituzione del Comitato tecnico nazionale sulla sicurezza informatica e delle telecomunicazioni nelle pubbliche amministrazioni; VISTA la legge 3 agosto 1998, n. 269 “Norme contro lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia, del turismo sessuale in danno di minori, quali nuove forme di riduzione in schiavitù”; In particolare, il terzo comma dell’art. 600-ter Codice penale; VISTA la Convenzione del Consiglio D’Europa sulla Cybercriminalità, aperta alla sottoscrizione a Budapest il 23 novembre 2001; VISTO il Decreto Legislativo n. 259 del 1 agosto 2003 recante il “Codice delle comunicazioni elettroniche”; Art. 1 Definizioni

1.1 Aderente Il soggetto che svolge attività imprenditoriale su Internet, anche a titolo non direttamente oneroso per Clienti ed Utenti, e che aderisce al Codice direttamente o per il tramite delle Associazioni firmatarie.

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1.2 Cliente Il soggetto giuridico che stipula un contratto con l’Aderente. 1.3 Utente Il soggetto, anche diverso dal Cliente, che utilizza i servizi forniti dall’Aderente. 1.4 Access provider Il soggetto che offre al pubblico e nell’ambito della propria attività imprenditoriale servizi di accesso ad Internet. 1.5 Hosting/housing provider Il soggetto che offre al pubblico spazi raggiungibili dall’esterno (shared/dedicated hosting provider) o la possibilità di collegare computer di proprietà del Cliente alla rete Internet (housing provider). 1.6 Content provider Il soggetto che, direttamente o indirettamente, mette a disposizione del pubblico, con qualsiasi mezzo o protocollo tecnico, dati, informazioni e programmi. 1.7 Gestore dell’Internet Point Il soggetto che mette a disposizione del pubblico locali e strumenti, non ad uso esclusivo, che consentono l’accesso ai servizi della rete Internet. 1.8 Servizi di navigazione differenziata

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Servizi di accesso ad Internet che, sulla base di criteri indicati dall’Aderente ai sensi del successivo punto 3.2, circoscrivono o escludono l’accesso a determinati contenuti. 1.9 Accesso condizionato Modalità di accesso a contenuti, altrimenti non disponibili all’Utente, mediante procedure e/o strumenti di tipo logico o fisico (ad es. codice identificativo di utente, password, smart card, ecc.). 1.10 Marchio “Internet e Minori” Logotipo che testimonia l’adesione al Codice del soggetto che svolge attività imprenditoriale su Internet e ne attesta la conformità dei comportamenti agli impegni assunti. Il marchio verrà prescelto dal Comitato di Garanzia di cui al successivo art. 6. Art. 2 Ambito e modalità di applicazione 2.1 Adesione Il Codice, promosso dalle Associazioni firmatarie, si applica a tutti gli Aderenti che lo sottoscrivono direttamente o attraverso le Associazioni medesime. L’Aderente potrà pubblicare, sui propri servizi e nelle comunicazioni commerciali, la dicitura “Aderente al Codice di autoregolamentazione Internet e Minori” oltre al relativo logo che viene concesso in licenza d’uso gratuito e a tempo indeterminato fino all’eventuale revoca, secondo quanto disposto all’art. 7. 2.2 Obblighi conseguenti all’adesione L’adesione volontaria al presente Codice di autoregolamentazione implica inderogabilmente: – l’accettazione integrale dei contenuti del

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Codice stesso e in particolare l’accettazione delle attività di vigilanza e delle sanzioni ivi previste; – l’adattamento delle condizioni contrattuali di prestazione dei servizi alle disposizioni del presente Codice. 2.3 Recesso L’adesione al Codice ed ai suoi aggiornamenti periodici è a tempo indeterminato. L’eventuale recesso dell’Aderente dovrà essere comunicato secondo le modalità fissate dal Regolamento di Organizzazione di cui al successivo punto 6.2. Art. 3 Strumenti per la tutela del minore

3.1 Informazione alle Famiglie e agli Educatori L’Aderente pubblica nella pagina Internet iniziale (home page) dei propri servizi un riferimento “TUTELA DEI MINORI”, chiaramente visibile, che rimanda ad apposite pagine web con le quali fornire informazioni sulle corrette modalità per un utilizzo sicuro della rete Internet, sull’esistenza degli strumenti più utilizzati per la tutela dei minori e sulle modalità di segnalazione, al Comitato di Garanzia di cui all’art. 6, delle violazioni del Codice. Il contenuto minimo delle pagine web verrà definito dal Comitato di Garanzia. 3.2 Servizi di navigazione differenziata L’Aderente offrirà, secondo le tecnologie disponibili, alle Famiglie, agli Educatori, alle Scuole, alle Biblioteche e alle Aggregazioni giovanili, Servizi di navigazione differenziata che dovranno essere chiaramente identificabili come tali, ovvero indirizzerà il Cliente e gli Utenti verso altri fornitori di Servizi di navigazione differenziata. Nel rispetto del principio di non discriminazione, tali servizi non potranno impedire l’accesso ai contenuti sicuri offerti dai Content provider aderenti.

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3.3 Classificazione dei contenuti Il Content provider aderente potrà applicare i sistemi di classificazione ai contenuti che riterrà opportuno subordinare ad Accesso condizionato. 3.4 Identificatori d’età L’Aderente potrà utilizzare Sistemi di individuazione dell’età dell’Utente, a condizione che, nel rispetto delle norme sul trattamento dei dati personali, ne venga tutelata e garantita la massima riservatezza, sicurezza e dignità. In particolare, tali sistemi non dovranno consentire di risalire all’identità, al domicilio, all’indirizzo di posta elettronica, all’eventuale pseudonimo (“alias” o “nick name”), all’indirizzo Internet (numero IP) del minore e non dovranno comunque permettere a terzi di raggiungerlo direttamente o indirettamente. 3.5 Profilazione e trattamenti occulti Nel rispetto del Codice in materia di protezione dei dati personali (decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196), l’Aderente non esegue alcuna profilazione dell’Utente minore né alcun trattamento dei suoi dati personali senza la previa autorizzazione espressa, a seguito di informativa chiara e trasparente sulla tipologia delle profilazioni che l’Aderente medesimo intende effettuare e sull’uso che di tali informazioni intende fare, da parte di chi esercita la potestà genitoriale. 3.6 Custodia di password L’Aderente custodisce le password di accesso ai servizi assegnate agli Utenti con adeguate misure di sicurezza. L’Aderente si impegna a fornire all’Utente la possibilità di cambiare la password. 3.7 Anonimato protetto L’Aderente potrà consentire agli Utenti di utilizzare i propri servizi in modo da apparire totalmente anonimi. In ogni caso, l’Aderente dovrà

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essere effettivamente informato della reale identità personale del soggetto cui viene concesso di fruire dell’anonimizzazione. All’interno dell’informazione di cui al punto 3.1 l’Aderente dovrà altresì avvertire preventivamente gli Utenti della possibilità che elaborazioni non autorizzate, effettuate abusivamente da terze parti all’insaputa dell’Aderente, possano comunque consentire di risalire alla loro identità. 3.8 Identificazione dell’Utente L’Aderente eroga i propri servizi solo ed esclusivamente a Utenti identificati direttamente o identificabili tramite elementi univoci anche se indiretti. 3.9 Prestazione di servizi fiduciari L’Aderente che offre servizi in via fiduciaria (ad esempio registrazione di un nome a dominio per conto di un Cliente che vuole rimanere ignoto) è obbligato a identificare in modo certo il Cliente che richiede tali servizi, serbando la massima riservatezza. 3.10 Gestione dei dati utili alla tutela dei minori 3.10.1 Individuazione dei dati L’accesso alla rete Internet richiede l’assegnazione permanente o temporanea all’Utente di un indirizzo di rete (indirizzo IP). Nei limiti imposti dalla normativa vigente, l’Aderente conserva, come dati utili: a) i registri di assegnazione degli indirizzi IP; b) il numero IP utilizzato per l’accesso alle eventuali funzioni di pubblicazione dei contenuti. Nel caso di assegnazione temporanea dell’indirizzo IP, il relativo registro

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conterrà: data e ora di inizio e cessazione dell’assegnazione, numero di IP assegnato temporaneamente ed eventuale numero telefonico utilizzato (se disponibile). 3.10.2 Modalità e tempi di conservazione dei dati L’Aderente conserva i dati di cui al punto 3.10.1 con modalità che ne garantiscano una ragionevole attendibilità e non ripudiabilità, comunque nel rispetto delle disposizioni vigenti in materia. I dati medesimi vengono custoditi per sei mesi, salva la scelta individuale di conservarli per periodi maggiori, senza comunque eccedere i limiti temporali indicati dalla normativa vigente. 3.10.3 Modalità di comunicazione dei dati 3.10.3.1 All’Autorità giudiziaria Nel caso di provvedimento dell’Autorità giudiziaria, l’Aderente, eseguirà quanto richiesto documentando per iscritto le operazioni compiute. 3.10.3.2 Al Cliente Secondo quanto previsto dalle norme sul trattamento dei dati personali (D.lgs. 196/2003), l’Aderente fornirà al Cliente solo ed esclusivamente le informazioni che lo riguardano e comunque a fronte di richiesta scritta e identificazione certa del richiedente. 3.11 Contrasto alla pedo-pornografia on-line L’Aderente, nel rispetto delle normative vigenti in materia di trattamento dei dati personali, si impegna a conservare il numero IP utilizzato dall’Utente per l’accesso alle funzioni di pubblicazione dei contenuti, anche se ospitati gratuitamente. L’Aderente pone in essere tutte le iniziative atte a realizzare la collaborazione con le autorità competenti, e in particolare con il Servizio

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della Polizia Postale e delle Comunicazioni, al fine di rendere identificabili gli assegnatari delle risorse di rete utilizzate per la pubblicazione dei contenuti ospitati presso i propri server, così come risultanti dai relativi contratti o documenti equipollenti, entro e non oltre i tre giorni lavorativi successivi al ricevimento del provvedimento dell’Autorità richiedente. Art. 4 Responsabilità

4.1 Access provider L’Aderente che offre servizi di accesso ad Internet dovrà verificare direttamente (p.e. tramite l’avvenuta sottoscrizione di un contratto) o indirettamente (almeno tramite CLI - Calling Line Identifier - o metodi analoghi) l’accesso alla rete. Nei contratti di accesso ad Internet l’Aderente inserisce clausole che responsabilizzano il Cliente anche per l’uso dei servizi concessi a terzi. 4.2 Housing/hosting provider L’Aderente che offre servizi di housing e hosting dedicato dovrà identificare con ragionevole certezza il proprio Cliente che ha il controllo degli apparati oggetto di tali servizi. Nel caso di servizi di hosting condiviso, l’Aderente è tenuto a conservare i dati di cui alla lettera b) del punto 3.10. 4.3 Content Provider L’Aderente che offre direttamente contenuti tramite qualsiasi metodo o protocollo di comunicazione, è tenuto a identificare in modo chiaro, ricorrendo eventualmente alle metodologie indicate al punto 3.3, la natura e i contenuti della comunicazione stessa, adoperandosi per adeguare o rimuovere il contenuto su segnalazione del Comitato di Garanzia, di cui al successivo art. 6, e comunque delle Autorità competenti.

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4.4 Gestore dell’Internet Point L’Aderente che offre servizi di accesso al pubblico come “Internet Point” o simili deve fornire strumenti adeguati per la navigazione dei minori ed identificare, direttamente o indirettamente, l’utilizzatore dei servizi medesimi. Art. 5 Vigilanza La vigilanza sulla corretta applicazione del Codice è affidata al Comitato di Garanzia di cui al successivo art. 6. In un’ottica di armonizzazione e di verifica degli sviluppi tecnologici e normativi il Comitato di Garanzia suggerisce eventuali aggiornamenti e modifiche del presente Codice. Art. 6 Comitato di Garanzia

6.1 Costituzione La corretta, imparziale e trasparente applicazione del Codice è affidata ad un apposito Comitato di Garanzia (in seguito indicato anche come “Comitato”) costituito da undici componenti effettivi, esperti in materia, nominati con Decreto del Ministro delle Comunicazioni, adottato di concerto con il Ministro per l’Innovazione e le Tecnologie ed individuati come segue: – quattro componenti in rappresentanza degli Aderenti designati dalle Associazioni di categoria firmatarie del presente Codice; – due componenti, di cui uno con funzioni di Presidente, in rappresentanza del Ministero delle Comunicazioni e due in rappresentanza della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento dell’Innovazione e delle Tecnologie; – tre componenti designati dalle Associazioni per la tutela dei minori e dal Consiglio Nazionale degli Utenti. In sede di prima nomina tali ultimi componenti saranno scelti tra i partecipanti al Gruppo

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di lavoro Internet@minori, istituito presso il Ministero delle Comunicazioni. Il Ministero delle Comunicazioni assicura la Segreteria per le attività di supporto al Comitato. Con i medesimi criteri e modalità sono nominati anche undici componenti supplenti. I componenti ed il Presidente nominati durano in carica tre anni. 6.2 Funzionamento Le regole di funzionamento del Comitato e della Segreteria sono definite da un apposito Regolamento di Organizzazione adottato di comune accordo dai componenti del Comitato medesimo entro 30 giorni dal suo insediamento. Nel medesimo Regolamento verranno indicate le modalità di realizzazione dell’apposito sito web dedicato al Codice. 6.3 Poteri Il Comitato controlla che l’Aderente possieda tutti i requisiti e abbia assunto tutti i comportamenti previsti dal Codice, segnalando agli interessati eventuali inottemperanze al Codice medesimo. Nel caso di accertate inottemperanze da parte degli Aderenti si applicheranno le sanzioni di cui al successivo art. 7. 6.4 Tempi di attuazione del Codice Il Comitato di Garanzia individuerà i tempi per rendere effettivi gli obblighi di cui al presente Codice, che comunque entreranno in vigore entro e non oltre i sei mesi successivi alla firma dello stesso. 6.5 Decadenza dei componenti Il Comitato di Garanzia definisce nel Regolamento di Organizzazione le ragioni che determinano la decadenza dei componenti del Comitato. 6.6 Rimborsi Le Associazioni firmatarie del presente Codice si impegnano a segnalare, entro i trenta giorni successivi alla sottoscrizione del presente

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Codice, l’Associazione, tra quelle firmatarie, che garantirà il rimborso delle spese sostenute, e documentate, dai rappresentanti delle Associazioni per la tutela dei minori per la loro partecipazione alle sedute del Comitato di Garanzia, secondo le modalità che saranno stabilite dal Regolamento di organizzazione del Comitato medesimo. Tali spese saranno suddivise tra tutte le Associazioni firmatarie. Il limite massimo annuo complessivo di tali spese è fissato in 8.000 Euro. Saranno ricercate altre forme di finanziamento e sostegno anche da parte di Enti istituzionali per l’eventuale svolgimento di attività di studio, promozione, ricerca e comunicazione anche in relazione alla campagna d’informazione che sarà auspicabilmente effettuata sul tema della tutela dei minori in Rete.

Art. 7 Procedure e misure di autodisciplina

7.1 Procedura per l’irrogazione dei provvedimenti disciplinari 7.1.1 Attivazione del procedimento Chiunque ritenga fondatamente che sia intervenuta da parte dell’Aderente una violazione degli obblighi definiti all’art. 3, può segnalare al Comitato di Garanzia tale violazione inviando una comunicazione alla Segreteria del Comitato medesimo secondo le indicazioni del punto 3.1. Per attivare la segnalazione dovrà essere compilato l’apposito modulo guidato, contenuto nelle pagine web informative, di cui al punto 3.1, indicando: – – –

le sue generalità; i suoi recapiti (indirizzo completo e numero di telefono, nonché, eventualmente, numero di fax ed indirizzo e-mail); descrizione dettagliata della violazione della norma del Codice e degli elementi di responsabilità dell’Aderente riscontrati;

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All’invio della segnalazione “telematica” di cui sopra, verrà attribuito un Numero di Protocollo che l’interessato dovrà indicare nella lettera di conferma (contenete gli stessi elementi informativi) da inviare per posta, tramite Raccomandata A.R., alla Segreteria del Comitato. La Segreteria procede ad una classificazione e registrazione delle segnalazioni ricevute ed accompagnate dalla relativa conferma postale. I dati trasmessi verranno trattati secondo le norme sulla tutela dei dati personali. 7.1.2 Comunicazione di apertura del procedimento La Segreteria, esaminate le segnalazioni pervenute, entro una settimana dal ricevimento della lettera raccomandata di conferma, comunica all’Aderente l’apertura del procedimento di autodisciplina nei suoi confronti e le contestazioni oggetto della segnalazione. Vengono considerate inammissibili le segnalazioni prive dei requisiti di cui al punto 7.1.1. 7.1.3 Richiesta di documentazione L’Aderente che riceve una comunicazione di apertura di un procedimento di autodisciplina nei suoi confronti, può trasmettere alla Segreteria, entro quindici giorni dalla comunicazione, la documentazione che ritiene utile per chiarire la sua posizione. 7.1.4 Audizione dell’Aderente L’Aderente al quale sia stata comunicata l’apertura di un procedimento di autodisciplina, può richiedere un’audizione al Comitato negli stessi tempi previsti per l’invio di documentazione L’audizione sarà effettuata in occasione della prima riunione del Comitato, che informerà l’interessato con un preavviso non inferiore a dieci giorni. 7.1.5 Decisione Il Comitato opera, di norma, per via telematica e la Segreteria predispone i verbali delle attività che vengono sottoposti all’approvazione

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dei singoli componenti. Il Comitato completa l’iter procedurale entro sessanta giorni dall’apertura del procedimento di autodisciplina. Le decisioni finali vengono prese a maggioranza dei due terzi (con approssimazione all’unità superiore). Le audizioni si svolgono nell’ambito di riunioni del Comitato valide, ai fini delle decisioni, solo se alla presenza di almeno i due terzi (con approssimazione all’unità superiore) del numero dei componenti. Gli esiti delle procedure di autodisciplina rimangono agli atti del Comitato e vengono conservati a cura della Segreteria che li trasmette alle parti interessate e ne cura la pubblicazione sull’apposito sito web previsto dal Regolamento di Organizzazione. 7.1.6 Esecuzione della decisione L’Aderente dà seguito a quanto deciso dal Comitato tempestivamente e comunque non oltre i quindici giorni successivi alla comunicazione del provvedimento adottato. La mancata esecuzione di quanto previsto nella decisione comporta, a seguito della procedura prevista dall’art. 7, l’applicazione della revoca prolungata di cui al punto 7.2.3.2 seguente. 7.2 Individuazione dei provvedimenti disciplinari 7.2.1 Richiamo Qualora il Comitato di Garanzia accerti, al termine del procedimento di cui al punto 7.1, la violazione di uno o più degli obblighi previsti dall’art. 3, invierà all’Aderente una comunicazione di richiamo, invitandolo ad ottemperare entro 15 giorni agli impegni sottoscritti con l’adesione al Codice. 7.2.2 Censura Nel caso in cui l’Aderente non provveda, nei termini previsti, ad adeguarsi alle indicazioni contenute nella comunicazione di richiamo ovvero nel caso in cui la violazione sia di particolare gravità per quantità o rilevanza degli inadempimenti al Codice, il Comitato invia all’interessato una comunicazione di censura invitandolo ad ottemperare entro 15 giorni a quanto previsto nel provvedimento adottato.

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7.2.3 Revoca dell’autorizzazione all’uso del marchio “Internet e Minori” 7.2.3.1 Revoca temporanea Nel caso in cui l’Aderente non provveda, nei termini previsti, ad adeguarsi alle indicazioni contenute nella comunicazione di censura, il Comitato revocherà l’autorizzazione all’uso del marchio “Internet e Minori”. L’uso del marchio sarà nuovamente autorizzato dal Comitato una volta accertato, su richiesta dell’Aderente, l’adeguamento dei suoi comportamenti agli impegni assunti. 7.2.3.2 Revoca prolungata Nel caso in cui, dopo un primo provvedimento di revoca temporanea, intervengano le condizioni per un secondo provvedimento di revoca, l’Aderente non potrà avanzare richiesta di riammissione all’uso del marchio “Internet e minori” prima di un anno. 7.2.4 Pubblicazione dei provvedimenti di revoca L’Aderente al quale sia stato revocato l’uso del marchio “Internet e Minori” non potrà più utilizzare il marchio medesimo fino a che non sia stato nuovamente autorizzato o riammesso all’uso. Tutti i provvedimenti di revoca saranno raccolti ed oggetto di pubblicazione secondo quanto previsto al punto 7.1.5.

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2.4.1 Cyber-pedofilia

Il crimine va detto, è un comportamento “anti-sociale”, qualcosa che va contro le regole sociali ed i comportamenti “moralmente adeguati”, che ogni società in quanto gruppo di esseri umani, sancisce come tale. Ne consegue che i soggetti primi, cui va diretta sia la forma preventiva che quella repressiva di un fenomeno criminale, siano quindi gli esseri umani. Da loro stessi scaturisce infatti, la necessità di regole o leggi sempre più adeguate al cambiamento dei tempi e delle tecnologie. Conoscere poi la giusta definizione delle cose che circondano l’essere umano, fa si che queste possano essere riconosciute nel loro giusto significato e non come oggetto di timore. E’ questo il caso del Cyber-Crime. Una definizione nuova, nata per associazione ed applicazione alle nuove tecnologie. Per la grande maggioranza dei casi di Cyber-Crime, ci si occupa principalmente di pedofilia ed abuso di minori. Si è trattato quindi di dare una nuova definizione ad un vecchio problema, ad una tipologia di reato già esistente ma che si stava muovendo in ambiti nuovi, tecnologicamente avanzati e quindi di diversa collocazione (internet), che ne ha consentito l’abnorme e preoccupante dilagare. Ed è proprio in una società sempre più globalizzata, dove l’evoluzione tecnologica ha fatto passi da gigante e dove ormai l’hi-tech guida ogni nostro singolo comportamento, che la “devianza” si è ben presto adeguata, passando dalla logica e reale naturalità storica, all’interno di una sorta di cyberspazio virtuale, dove l’universalità è alla portata di tutti e dove pare percepirsi il possesso di una sorta di potere illegale pronto per essere sfruttato in ogni momento con finissima arte dissimulatoria. Non per questo però, il mondo virtuale e quello di internet in particolare, deve essere demonizzato, perché esso è la vera “finestra sul mondo”, dove la comunicazione fra i popoli e la conoscenza del sapere fanno da regnanti. Quel carattere di universalità che caratterizza il web è posto al servizio di tutti offrendo potenzialità che sino ad ora erano inimmaginabili, specie in quei campi come la medicina, dove ogni minuto la vita lotta contro la morte. Proprio con lo sviluppo della rete virtuale, decisamente il più efficace e riservato sistema di comunicazione mai concepito prima, si è dovuto

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purtroppo anche rilevare la presenza di una nuova dimensione della pedofilia che pur se quantitativamente meno significativa rispetto alle forme “classiche” (intrafamiliari ed extrafamiliari), appare decisamente sempre più preoccupante. I principali aspetti della cyber-pedofilia, sono in gran parte conseguenti alla capacità della rete di far circolare in maniera riservata le comunicazioni testuali e le immagini (es. le chat) oltre ad offrire la possibilità di realizzazione di siti web di scambio di informazioni, esperienze e materiale. Tali strumenti infatti, anche se implicano la mediazione di un computer tra i due interlocutori, consentono talvolta rapporti umani (comunicazionali) estremamente intimi, neutralizzando anche alcuni gap di età e culturali che normalmente limitano o selezionano le comunicazioni dirette (faccia a faccia) tra minori e adulti. I rapporti telematici sono inoltre privi di elementi identificativi aggiuntivi (paralinguistici, visivi eccetera) e l’identità dichiarata può essere verosimilmente falsa. Non a caso l’ambito maggiormente significativo di rischi per i minori è rappresentato dalle IRC (Internet Relay Chat) aree o canali che consentono conversazioni on-line in tempo reale tra due o più persone. I pericoli sono in questo caso, proprio tutti legati al mimetismo ed all’arte dissimulatoria dei navigatori telematici. In genere difatti gli interlocutori di questi siti, utilizzano una modalità di identificazione convenzionale (nikname) attraverso sigle o codici inventati, proteggendo in tal modo il proprio anonimato. Anche la diffusa abitudine di scambiarsi fotografie digitalizzate di tipo pedopornografico, nell’ambito della chat rappresenta una perversa costante. La rete telematica, come precedentemente accennato, appare quindi facilitare i pedofili nella fase di contatto iniziale con la possibile vittima consentendo, senza eccessivi rischi di cattura, delle forme di molestia di tipo verbale o addirittura tentativi di un incontro in carne ed ossa con il minore. Ha reso poi possibile lo sviluppo di una nuova dimensione organizzata della pedofilia, collegando pedofili di tutto il mondo e rendendo possibile l’offerta on-line di una serie di servizi illegali, legati allo sfruttamento dei minori, da parte di svariate organizzazioni criminali. L’offerta si è dunque organizzata in siti che vanno dal semplice scambio di informazione di indirizzi di “paradisi del sesso”, allo

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scambio di tecniche per adescare i minori, ed alla possibilità di visionare materiale immesso in rete anche di tipo immediato (webcam) oltrechè la diffusione di idee pseudopolitico e pseudolibertario (ad esempio il Pedophilie Liberation Front). Di inaudito raccapriccio poi è il proliferare sulla rete internet di “snuffmovie”, video dove ragazzine e ragazzini vengono stuprati, torturati ed uccisi. La pedofilia, di fatto è propensione che non necessariamente si concretizza nell’acting, (attività che infatti può incontrare ostacoli nelle difficoltà ad avere occasioni concrete, nei sensi di colpa, nella stigmatizzazione dell’ambiente che associa il pedofilo ad un mostro, nella censura ambientale e personale, nella sublimazione e nell’autodeterminazione verso agiti maggiormente accettabili a livello sociale) ma che può anche limitarsi, al solo “comportamento pedofilo” di tipo passivo, che deve essere però oggettivamente considerato alla stessa stregua. Pertanto la paura giustificata della illimitata potenzialità di Internet, sarebbe in altri termini legata proprio alla capacità di organizzare degli “istinti” isolati, di creare un determinato “sistema”, di rimuovere remore e sensi di colpa attraverso il meccanismo dell’autogiustificazione, il tutto supportato dalla normalizzazione dell’abnorme e quindi dal rendere abituale il ricorso al soddisfacimento pulsionale di tipo pedofilo. Il cyber-pedofilo crea degli scenari, delle situazioni immaginarie in cui la giovane vittima viene invitata a calarsi. Sembra quasi che si ponga come il regista delle fantasie sessuali dei minori, fantasie sessuali che in circostanze normali vengono prodotte e articolate dal soggetto stesso. Quindi quello che il pedofilo fa on-line è in linea con il modo in cui si esprime la sessualità dell'adolescente. E' come se lo stesso, trasformasse un'attività svolta in solitudine in un'attività congiunta, sostituendo un’interazione fantasmatica in una interazione reale. In effetti, tale interazione completamente reale non è, rimanendo pur sempre "virtuale", a metà tra la pura fantasia e la pura realtà. Quest'area a metà tra la fantasia e la realtà secondo Winnicott è la cosiddetta area del gioco. Winnicott definisce il gioco, l'attività preferita dai bambini, come quell'area transizionale in cui le cose non sono completamente vere e non sono completamente finte. Quest'area, in quanto tale, consente ai bambini di sperimentarsi in certe azioni e modi di

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essere e quindi di imparare, consente loro di osare quello che in altre circostanze non oserebbero. L'interazione che il cyberpedofilo crea, grazie al mezzo telematico, sembra collocarsi proprio in quest'area “transizionale”, che però è di tipo nuovo rispetto a quella del gioco tradizionale. La natura cosiddetta "virtuale" dell'interazione, che coinvolge pur sempre due persone reali, potrebbe quindi restringere l'area del "per davvero" e dilatare proporzionalmente quella del "per finta" rendendo ancor più possibile fare cose che altrimenti non si farebbero. L’iniziativa della cyber-pedofilia, può essere anche letta come un mezzo per raggiungere obiettivi più generali di legittimazione. L’utilizzo di canali di diffusione telematica, attraverso la neutralità della nuova tecnologia, ha rappresentato un modo della minoranza pedofila per acquistare progressivamente il diritto a una visibilità che nella nostra epoca le è, fortunatamente, ancora negata. Ma tutto questo può avere effetti esplosivi. Il primo rischio è una caduta di una cultura di protezione dell’infanzia, con l’affermazione progressiva di una cultura che, attraverso un percorso di minimizzazione, potrebbe tollerare ed accettare la pedofilia. C’è forse anche un’ipotetica e lontana possibilità che, sotto questa spinta di “messaggi Internet” o delle pressioni di opinione di “associazioni di pedofili”, la pedo-pornografia possa ridiventare un dato comune delle relazioni sociali, come lo era stato in altri periodi e società? Il rischio anche se minimo forse c’è, e bisogna che tutti, ognuno per la propria parte, tenga in alta considerazione tale fattore. Infatti un pericolo concretamente possibile è che la dilatazione di un’offerta così ampia possa far emergere e potenzi una domanda di pedofilia che prima rimaneva latente o solo potenziale, sia perché mancava l’offerta e sia per la presenza di censure personali o sociali che ora vengono a cadere. Orbene tutte queste considerazioni devono portare tutti noi a valutare il rapporto tra pedofilia ed internet non secondo una prospettiva eziologica di tipo lineare, che legge il fenomeno in modo riduttivo individuando in Internet il punto di inizio della causalità oltre che la sua fine, ma secondo un emergente e concreto rischio di deresponsabilizzazione di chi opera ad un livello di crudele realtà, e cioè di coloro che trafficano nel mercato dei bambini traendone vantaggi e benefici economici.

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Secondo quello che suggerisce la teoria epistemologica della complessità, deve essere pertanto necessario spostare il livello di lettura di tale rapporto, alle condizioni che generano questo incredibile mercato, nonché alla considerazione del vantaggio che può offrire la Rete di conoscere e studiare i comportamenti pedofili in maniera diretta, come non sarebbe possibile in altri modi, considerato che tale patologia difficilmente giunge all’osservazione clinica. Quindi in conclusione è certamente quanto mai inopportuno operare sorti di demonizzazione e criminalizzazione (condotte queste che pur oggi alcune associazioni cercano di portare avanti) della rete, lasciandosi abbandonare a dannosissime crociate contro Internet, ma occorre specificatamente analizzare il fenomeno in modo obiettivo e scientifico così da poter sfruttare al meglio le sue potenzialità positive, senza dover criminalizzare uno dei più versatili strumenti della tecnologia moderna, che contribuisce all’evoluzione culturale di tutti i popoli, dando conseguentemente e contestualmente la possibilità di conoscerne i rischi e ridurli a livelli accettabili adottando le adeguate misure preventive.

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2.4.2 Criminal profiling del cyber-pedofilo

La Psicologia, come scienza, si è occupata intensamente sin dagli inizi del XX secolo di “personalità”, ed ha cercato di definire tale concetto in modo sistematico. La stabilità e la durevole organizzazione, sono di fatto le caratteristiche essenziali del concetto di personalità, tanto che per lungo tempo si è supposto che quella umana, difficilmente potesse mutare col tempo. Qualora la personalità quindi differisca dalla norma socioculturale, producendo sofferenze e menomazioni nell’ambiente circostante, ovvero al soggetto stesso, si potrà allora parlare di “disturbo della personalità”. E’ proprio in tale contesto che il concetto di pedofilia, dal precedente nozionismo di “perversione” è entrato in modo preponderante a far parte di quelle devianze così chiamate “parafilie”, cioè una vera e propria manifestazione psicopatologica, ricomprendendosi l’interesse sessuale nei confronti di persone di minore età , in un’alterazione di tipo prettamente clinico. Non a caso infatti essa è inserita nel DSM IV tra le parafilie, ossia nelle alterazioni della sfera sessuale. Parlando quindi di “profiling”, si deve necessariamente far riferimento al concetto generale di “personalità” intesa come, i tipici modi di comportamento, abitudini, caratteristiche e qualità di una determinata persona. Riportando poi il concetto, a quello più specifico di “criminal profiling”, si deve porre invece l’accento sul tentativo di trarre, in base alla dinamica del reato, al comportamento concernente il reato, alla scelta della vittima e ad altri criteri di carattere specifico e non, conclusioni deduttive circa la personalità del reo, ovvero di aspetti rilevanti di essa. Uno dei paradigmi principali del profiling è l’assunto che la condotta rispecchia la personalità dell’autore ed è quindi da essa che si parte nell’analisi dell’azione criminale. Tuttavia il compito di chi stila un profilo criminale non è solo quello di restringere il numero dei sospetti attraverso tale profilo, ma anche quello di individuare e far applicare tecniche investigative e di interrogatorio, in relazione proprio ai tratti di personalità affiorate nel corso dell’analisi de qua. Un merito importante del criminalprofiling è oltrechè quello di dare una sostanziale direzione alle indagini (giusta o sbagliata), anche quello di stabilire determinate connessioni tra

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eventuali delitti commessi ad esempio in modo seriale o rituale, in precedenza mai messi in comparazione. La scienza del criminal profiling è stata creata e messa a punto verso la fine degli anni 70 dall’Unità di Scienze Comportamentali dell’ FBI. Tale metodo è stato poi esposto nel Crime Classification Manual, di riferimento per moltissimi investigatori criminali, manuale che individua il profiling come un processo che identifica le caratteristiche principali della personalità e del comportamento dell’autore basate sul tipo di crimine che ha commesso. Uno dei maggiori esperti criminali , J.Douglas, ex profiler FBI ha suddiviso il processo di profiling in sette passi che debbono essere presi in debita considerazione per tracciare un profilo che rispecchi il più fedelmente possibile , la fantasia e le sensazioni del criminale.: 1) Valutazione dell’atto criminale (modus operandi) 2) Valutazione dei dettagli della scena criminis 3) Analisi della vittima (scienza della vittimologia) 4) Valutazione dei rapporti di polizia 5) Valutazione del protocollo di autopsia del medico legale (nel caso di decesso per morte violenta) 6) Sviluppo di un profilo che esalti le caratteristiche specifiche dell’autore del reato 7) Suggerimenti investigativi basati sulla costruzione del profilo psicologico . Ovviamente per l’analista di profiling è richiesta una notevole dose di empatia e role-taking. Per empatia si intende quella capacità di immedesimarsi nell’altra persona cioè la capacità di avvertire e percepire emotivamente le sensazioni dell’altro e di calarsi nel suo ruolo. Non deve inoltre essere trascurata una grande esperienza “sul campo” circa le indagini scientifiche ed una importante conoscenza della psicologia in campo criminale. Entrando nello specifico, uno studio della Telematic Journal of Clinical Criminology, operato attraverso l’analisi dei fascicoli di più di mille soggetti denunciati negli ultimi anni dalla Polizia Postale e delle Comunicazioni ha tratto un profilo prevalentemente di tipo psico-sociologico e criminologico del “cyber-pedofilo” che qui riporto e che ho ritenuto di prendere in considerazione essendo ormai la

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cyberpedofilia divenuto un fenomeno sempre più in ascesa in perfetto parallelismo al crescente sviluppo sociale e tecnologico:

Tab 1: Sesso degli indagati :  Maschi 96%  Femmine 4%

Tab. 2: Età degli indagati :  10 - 20 anni 3%  21- 30 anni 44 %  31 – 40 anni 27%  41 – 50 anni 11%  51 – 60 anni 14 %  oltre 60 anni 1%

Tab. 3: Titolo di studio :  licenza elementare 0%  licenza media 7%  licenza liceale 65 %  laurea 5%  dato non rilevabile 23 %

Tab. 4: Stato civile :  celibe 67%  coniugato ( convivente ) 29%  separato/divorziato 1 %  vedovo 1%  convivente non coniugato 1 %  dato non rilevabile 1%

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I dati della tabella 4, mostrano come la prevalenza del campione non convive con un partner stabile. La percentuale dei soggetti conviventi non è però trascurabile e tale fattore suggerisce un certo allarme per quanto concerne la possibilità di abusi intrafamiliari da parte dei soggetti.

Tab. 5: Precedenti penali :  specifici ( sessuali,pedofilia ) 2%  legati all’aggressività ( lesioni, rissa , omicidi ) 1 %  generici ( altro ) 5%  nessun precedente 90 %  dato non rilevabile 2%

Come può evidenziarsi invece dalla tabella 5, la maggior parte dei soggetti analizzati non presenta precedenti penali di rilievo e si colloca quindi in un’area sociale poco soggetta alla stigmatizzazione ( prima della denuncia per pedofilia naturalmente ). Il cyber pedofilo quindi è quindi un elemento ben integrato socialmente e, come sottolineato dalle reazioni emotive di molti soggetti al momento dell’arresto, tendente ad autopercepirsi come non inserito in ambienti criminali.

Tab. 6: Comparazione tra pedofilia classica e pedofilia on-line :  soggetti che hanno solo scambiato fotografie 91 %  soggetti coinvolti anche con minori “ dal vivo “ 9%

La tabella de qua mostra in particolare, una presenza di circa il 9 % di soggetti che hanno evidenziato nel corso delle indagini un coinvolgimento in attività di pedofilia con contatto fisico con i minori. In pratica in circa il 10 % dei casi, la fruizione di pornografia è parallela al compimento di azioni più gravi rispetto al semplice scambio di fotografie (molestie, atti di libidine, tentativi di adescamento, violenze fisiche, stupri).

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La tabella indica comunque dei dati sommari sulla questione. Questi dati si riferiscono infatti solo alle prove certe acquisite dagli investigatori. Non si può pertanto escludere che la percentuale dei pedofili on-line che abusano anche di minori in carne ed ossa possa essere maggiore. Secondo Marco Strano Direttore tecnico psicologo del Centro di Neurologia e psicologia medica della Polizia di Stato, da tempo impegnato sul fronte pedofilia, i nuovi criminali del web sono soggetti tendenzialmente non violenti che, nella solitudine di un computer, commettono azioni delittuose che non riuscirebbero mai a compiere al di fuori del cyberspazio. (Quindi anche donne che non avrebbero il coraggio di prostituirsi per strada; impiegati scontenti che non farebbero mai azioni di sabotaggio tradizionale nella propria azienda; ladri di informazione che non avrebbero il coraggio di introdursi fisicamente in un ufficio per sottrarre informazioni; teppisti che avrebbero paura di tirare sassi ad una vetrina per strada e così via). Lo schermo per questi nuovi criminali, diventa una sorta di protezione che influenza anche alcuni meccanismi del pensiero, quali ad esempio la percezione dell'illegalità del comportamento, la stima dei rischi di essere scoperti, la percezione del danno procurato alla vittima. Da un punto di vista criminologico, dobbiamo da subito individuare un aspetto peculiare della pedofilia, che sostanzialmente ci pone in grado di affrontare in termini di assoluta comprensione il grave e delicato fenomeno de quo. La pedofilia infatti non è solo devianza, disturbo della sfera sessuale, malattia psicopatologica, è contemporaneamente anche un devastante crimine verso un essere umano incapace di difendersi e di evitare che il proprio corpo e la propria mente possa essere assoggettata da una persona che nulla può razionalizzare se non solo la soddisfazione di una sua pulsione sessuale che non riesce o che non vuole reprimere. La lucidità del pedofilo in relazione alla ricerca ed alla molestia della “piccola preda”, pone in evidenza la circostanza di come con il termine “devianza psicopatologica “ non può in termini di assoluta certezza, farsi riferimento ad una minore responsabilità dell’aggressore. Sono infatti ben altre, le malattie psicopatologiche che sono in grado da sole di alterare in modo definitivo e concreto lo stato di percezione e di coscienza di una persona, e che lo rendono agli “occhi” della legge, totalmente o parzialmente incapace di intendere e volere, prerequisito essenziale del concetto di imputabilità penale (es: schizofrenia etc…..).

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Interessantissimo all’uopo, è uno studio sempre riportato dal Dr. Strano, sul Telematic Journal of Clinical Criminlogy, inerente una sorta di “viaggio” dei processi mentali che conducono il pedofilo all’atto vero e proprio: In un primo momento si manifesta la pulsione sessuale, poi l’Io organizza a livello intrapsichico tale pulsione e la orienta in base alle fantasie sessuali. (E’ a questo punto che il soggetto si accorge che le sue attenzioni sono rivolte verso i bambini). Una volta fatta sua la propria consapevolezza sessuale, il soggetto valuta i pro e i contro di un eventuale passaggio all’atto (abuso di un bambino) in carne ed ossa attraverso quello che gli psicologi chiamano “processo di significazione” anticipando mentalmente le conseguenze della propria condotta criminale. Egli contestualmente prende in considerazione fattori rilevanti nel “criminal decision making” tra cui :     

paura di essere scoperto la stima dei rischi di essere o meno posto in stato di arresto la paura della sanzione penale e relazioni sociali la compassione della vittima la paura e i sensi di colpa

e solo dopo aver valutato tali fattori, deciderà se pianificare il passaggio dalla fase immaginaria all’atto vero e proprio, ossia l’abuso di una bambino, ovvero mantenere le proprie fantasie sessuali intrapsichiche. E’ chiaro quindi il concetto di responsabilità del soggetto pedofilo, poiché la lucidità e la strategia che egli pone in essere per divenire “predatore”, è decisamente cristallina potendo in ogni momento, decidere di interrompere la propria condotta criminale senza dare sfogo alle istintive pulsioni sessuali. E’ in questo momento che il pedofilo avendo preso cognizione delle proprie fantasie parafiliache , in una scelta ancora più lucida e razionale, decide a volte, evitando i rischi connessi all’atto abusivo di un fanciullo in carne ed ossa, di entrare nel mondo virtuale dove, approfittando di un canale comunicativo di straordinaria potenza, lascia sfogare le proprie pulsioni sessuali mediante l’utilizzo di chat-rooms, community, in un sempre più prorompente scambio di materiale pedopornografico. E’ quindi il “cyberspazio” dove ormai il soggetto pedofilo ha creduto di aver trovato la sua “isola felice”, il settore di maggiore attenzione che

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deve imporsi nelle nostre coscienze e nelle future ratio legislative, affinchĂŠ si tuteli, chi dello strumento virtuale ne fa invece condizione di crescita sociale, culturale e professionale.

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3 Psicologia, psichiatria e pedofilia

3.1 Approccio psichiatrico e psicanalitico al fenomeno pedofilia In questo capitolo, cercherò di rappresentare senza scendere in troppi particolarismi, una descrizione ragionata dell’approccio clinico, che ha avuto la pedofilia con la scienza psichiatrica, un approccio che come vedremo, non dipana però l’annoso dilemma di come deve essere considerata la pedofilia, se normalità o patologia. Il mal d’amore, da sempre è considerato malattia tipicamente privata, oggetto di interesse per una psichiatria che si qualifica essere tipicamente della persona; la pedofilia invece è un problema pubblico, una questione di interesse sociale ed universale. Nell’Ottocento, con l’esclusione della “Psychopatia Sexualis*” di Krafft Ebing, l’intento di patologicizzare le perversioni sessuali spostandole in parte, dall’area della giustizia a quella della cura, rimase piuttosto timido. La pedofilia rimase con i suoi mille problemi, di interpretazione e classificazione, nel calderone della monomania, in bilico tra malattia e cattiveria, tra responsabilità e irresponsabilità. Di qui la pedofilia non si sposterà in modo significativo (con l’accorpamento ad altre categorie diagnostiche fragili), dalla

*

Opera di Krafft-Ebing che rappresenta lo sforzo pre-psicanalitico nell’affrontare con un quadro complessivo, tutte le forme della sessualità umana che vanno al di là del rapporto eterosessuale a fini procreativi.

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degenerazione introdotta da Morel e Magnan, alla follia morale di Prichard, fino alla perversione. Anche gli sforzi della psichiatria del XIX secolo, circa una piena inclusione del concetto di pedofilia, rimasero del tutto vani, includendola ed escludendola al tempo stesso nell’ambigua categoria delle “perversioni” insieme ad altri comportamenti eternamente in bilico tra malattia e colpa morale. La preoccupazione evidentemente, era quella di non impegnare la psichiatria in un campo nel quale rischiava continuamente di dover sperimentare e mostrare drammaticamente, l’insufficienza dei propri strumenti e che un’eccessiva enfasi su una lettura pienamente patologicizzante della pedofilia potesse tradursi nell’equivoco del pericoloso giustificazionismo. L’evoluzione cui la pedofilia va incontro nella classificazione psichiatrica degli ultimi quarant’anni, passa dal primo DSM, nel quale la pedofilia rientrava nella “sessualità patologica”, al DSM – IV che introduce, accanto ad altre interessanti novità, uno spettro di gravità che va da forme tenui, caratterizzate da spinte pedofile che non arrivano all’atto; altre moderate nelle quali l’atto si presenta come comportamento occasionale, ed altre gravi o recidivanti: un’esigenza di differenziazione all’interno del campo che appare sempre più eterogeneo, via via che la psichiatria ci si avvicina. Il DSM, manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, è un supporto clinico redatto in seno all’APA (American Psychiatric Association), periodicamente revisionato e intenzionalmente adottato come manuale pubblico di riferimento per la definizione di quadri diagnostici. In relazione alla pedofilia si può leggere come la focalizzazione parafiliaca, comporta di fatto l’attività sessuale (ricorrente) con bambini prepuberi (generalmente di 13 anni o più piccoli). Poichè qualsiasi comportamento umano è mosso da motivazioni, istinti, pulsioni e desideri occorre dunque che anche il pedofilo senta tali impulsi verso un bambino prima di agire. La definizione clinica, secondo cui un comportamento diviene patologico, allorchè le fantasie, gli impulsi sessuali o i comportamenti in genere, causino disagio significativo o forte compromissione dell’area sociale e lavorativa del soggetto, porta a comprendere, almeno in senso strettamente clinico, che il “pedofilo” è “psicopatologicamente pedofilo”,

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perché mosso in modo invadente dalle sue fantasie, impulsi e desideri tanto da compromettere una o più aree della sua vita nel normale funzionamento e costringerlo quindi, all’azione di abuso sui bambini. Diversamente non si può parlare certamente di pedofilia psicopatologica, allorché non siano presenti tali condizioni. E’ necessario quindi a questo punto affrontare una considerazione a parte, per tutti gli altri casi in cui varie persone sentono fantasie e desideri simili a quelle dei pedofili, senza però compromissione delle normali attività quotidiane. Ebbene in tale condizione si trovano anche e non solo, persone affette per così dire dal disturbo della “pedo-porno dipendenza” nonché i cosiddetti “fruitori”, non malati di pornografia e non patologicamente interessanti. Ambedue differiscono dal pedofilo vero e proprio in quanto non agiscono mai arrivando all’atto sessuale con il bambino. Tale inciso ci porta a riflettere che esista, una differenza sostanziale tra il pedofilo e il malato di disturbo di dipendenza. Il primo lo si ripete esegue atti violenti sui bambini (agisce), mentre il secondo, mediante strumenti psicologici di controllo dell’acting-out, evita di portare a termine le proprie fantasie. ( vedasi ad esempio i cyber pedo-porno dipendenti). Il “fruitore”, come già accennato in precedenza, non solo non è definibile affetto da “malattia pedofila”, ma non è nemmeno affetto da disturbo di dipendenza, perché a causa dei suoi gusti e fantasie, non compromette le normali attività quotidiane e la normale vita di relazione e sentimentale. L’analisi fin qui effettuata circa l’interessamento psichiatrico alla varie forme di “comportamento pedofilo”, ha portato a distinguere tre diverse figure di gravità “clinica” della pedofilia e della pedo-pornografia in genere, ponendo basi concrete per una piena coscienza psichiatrica del gravoso problema, affinché si possa in tal modo, non solo cercare eventuali nuove vie terapeutiche (farmacologiche e non) per i “malati” di pedofilia, ma assolvere alla risoluzione dell’annoso e difficilissimo dilemma: normalità o patologia?. Il dilemma esiste e purtroppo si ripresenta ogni qual volta si viene a conoscenza di indagini a largo raggio che vedono coinvolte decine di persone, laddove emergono in modo impetuoso, le personalità criminali ed il modus-operandi dei pedofili (e dei loro fiancheggiatori), che con

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straordinaria lucidità, pongono in essere tutta una serie di strategie volte alla ricerca ed alla sottomissione della piccola “preda”. Tali condotte, seppur “deviate” o “malate”, non lasciano (a volte) però trasparire dubbi, circa la presenza, nelle loro menti e nelle loro anime criminali, di quella capacità di intendere e volere, indispensabile ai fini giuridici per l’applicazione di una giusta pena, così come il codice richiede. D’altro canto come può escludersi tale circostanza quando leggiamo o ci troviamo di fronte a pedofili che, con lunghe e delicatissime strategie criminali (non dimentichiamoci che peraltro la prima preoccupazione del pedofilo è quella di rimanere nella sfera dell’anonimato per evitare di essere “annientato” moralmente e socialmente dagli altri componenti della società stessa) creano siti internet con chiavi crittografate, dissimulano alla perfezione la loro identità nelle community di maggior rilievo, creano luoghi idonei ed interagiscono in modo sincrono con altri “cacciatori di bambini” per lo scambio di informazioni e per la soddisfazione di quell’impulso libidico-sessuale che tanto li attanagliano?. Ma allora la piena lucidità criminale con cui agisce il pedofilo è normalità o patologia?. Difficile rispondere in modo oggettivo, come difficoltoso o addirittura impossibile, è stabilire se il fenomeno de quo, sia per così dire “ bianco o nero”, cioè uno o l’altro. Una cosa è certa ed é quella che possa esistere una via interlocutoria, una linea mediana, dove la “devianza” e l’impossibilità di porre coscientemente l’inibizione del proprio Io, su tutte le pulsioni presenti nell’Es freudiano, sia sempre oggetto d’interesse per la psicanalisi non escludendone ovviamente la responsabilità penale. La concezione psicanalitica classica, che peraltro si è già interessata del problema, sostiene che l’atto pedofilo è legato a fissazioni e regressioni verso forme di sessualità infantile. Si sottolinea l’importanza della teoria pulsionale ma anche gli aspetti razionali della genesi del comportamento pedofilo. Il fattore esplicativo ipotizzato consiste ovviamente nell’arresto dello sviluppo psicosessuale dovuto ad un trauma precoce o all’aver vissuto la propria sessualità in ambiente restrittivo. Altra ipotesi ricorrente è che la pedofilia sarebbe il risultato di conflitti sessuali raggiunti senza il contributo della fantasia, probabilmente per un insuccesso o per una formazione distorta della coscienza causata da una

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patologia. L’approccio di Freud, che considera la pedofilia come una perversione, concetto questo ripreso da Kernberg, si fonda invece sull’angoscia di castrazione, che ostacola il perverso nel raggiungimento di una sessualità adulta e lo fa regredire ad una pulsione parziale (anale, orale). La paura di affrontare una donna adulta lo fa ripiegare verso un soggetto meno potente e quindi, meno ansiogeno, con il quale può evitare la penetrazione o se, l’affronta ciò avviene da una posizione di “forza”. Secondo il modello psicanalitico è quindi una persona che non è riuscita a completare il normale processo di sviluppo verso l’adattamento eterosessuale, “fissazione” o “regressione” a forme di sessualità infantile che persistono nella via adulta. In questa ottica ciò che distingue una parafilia dall’altra, è il metodo scelto dalla persona per far fronte all’ansia causata dalla minaccia di castrazione da parte del padre e di separazione dalla madre. Ricercatori psicanalisti più recenti hanno però concluso che la sola teoria pulsionale è insufficiente a spiegare molte delle fantasie e dei comportamenti perversi che vengono visti clinicamente e che ad una lettura comprensiva, gli aspetti relazionali delle perversioni sono cruciali. In sostanza i pedofili hanno bisogno di dominare e controllare le loro vittime, come se supplissero ai loro sentimenti di impotenza durante la crisi edipica. Nella pratica clinica si è visto infatti che molti pedofili soffrono di una patologia narcisistica del carattere, ivi comprese alcune varianti psicopatiche del disturbo narcisistico di personalità; l’attività sessuale con i bambini prepuberi può fissare la fragile stima di sé, del pedofilo. In questi casi l’attività sessuale con i bambini, ha come finalità oltre che il soddisfacimento della pulsione sessuale, anche quello di “puntellare” la fragile stima di se del pedofilo e questo spiega come mai molti di questi individui scelgano professioni che diano maggiori possibilità di contatto. D’altra parte il pedofilo spesso idealizza questi bambini; l’attività sessuale con loro comporta pertanto la fantasia inconscia di fusione con un oggetto ideale o di ristrutturazione di un Se giovane, idealizzato. In questo modo l’ansia riguardo all’invecchiamento ed alla morte, può essere tenuta lontana attraverso l’attività sessuale con i bambini. I pedofili sono poi frequentemente, essi stessi delle vittime di abusi sessuali infantili e la conquista sessuale del bambino è il loro strumento di vendetta.

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In campo cognitivo la pedofilia viene considerata alla stregua di un comportamento additivo, come avviene per l’assunzione di alcool o droga, ed essa perciò non può essere combattuta offrendogli materiale che invece la alimenta. Infatti tra le caratteristiche dello stile cognitivo dei pedofili vi è la minimizzazione dell’abuso (nei loro racconti l’abuso viene definito come qualcosa di consensuale, ed in certo sensi desiderato dal bambino stesso. Anzi a volte accusano proprio il bambino o la bambina di essere la causa). Orbene tutte le considerazioni proposte sottolineano in linea generale, come spesso le teorie si soffermino sui singoli fattori eziologici, senza adottare una visione globale che li possa comprendere tutti. Infatti la maggior parte delle teorie sulla pedofilia tentano di proporsi come teorie dei singoli fattori e risultano molto spesso inadeguate a spiegare la diversità del comportamento pedofilo e la vasta portata di esso. Rimane il fatto che solo un eventuale approccio multifattoriale potrebbe essere in grado di spiegare in modo ampio, la complessità e la diversità del comportamento pedofilo.

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3.2 Criteri diagnostici – Pedofilia “situazionale” e pedofilia “preferenziale”

Come già ampiamente descritto la pedofilia rientra nella più ampia categoria delle parafilie che corrispondono ad un disturbo psicopatologico, anche se va detto vi sono alcuni autori che ritengono che tale definizione è estremamente riduttiva rispetto alla generalità della problematica e soprattutto, rispetto ad una percezione carica di vissuti moralistici riferiti alle parafilie che sino a poco tempo fa, erano soltanto definite “ perversioni sessuali”. Dal punto di vista criteriologico-diagnostico, si ricorda che la pedofilia implica la comparsa, in un periodo di almeno sei mesi, di intensi impulsi sessuali verso i bambini o eccitamento evocato da bambini di 13 anni o meno. La persona affetta da pedofilia o per meglio dire forse da sindrome pedofila, deve avere almeno 16 anni ed essere almeno più vecchio della vittima di 5 anni. Secondo il manuale diagnostico del DSM-IV il disturbo avrebbe inizio solitamente con l’adolescenza anche se a volte è stato dimostrato come alcuni pedofili, abbiano provato eccitamento solo dopo la mezza età. Per quanto sia molto descrittivo e completo, il citato manuale diagnostico offre però una rigidità tale, che va a scontrarsi violentemente con quella che è di fatto la realtà sessuale, molto complessa e fluttuante. Basti pensare che esistono alcuni soggetti con pedofilia che sono attratti esclusivamente da bambini (tipo esclusivo), altri sono attratti anche da adulti (tipo non esclusivo), altri ancora sfogano i propri impulsi con bambini limitandosi a spogliarli, a guardarli, a mostrarsi ed a masturbarsi in loro presenza, altri infine provano eccitamento, quando il bambino svolge un ruolo attivo sottoponendolo a pratiche penetrative. Frequentemente pedofilia e sadismo sono presenti nello stesso individuo tanto che le persone che hanno bisogno di fantasie o azioni spettacolarmente sadiche, per raggiungere una gratificazione sessuale, ricercano in modo incosciente di capovolgere alcuni scenari infantili nell’ambito dei quali sono stati a loro volta vittime di abuso fisico o

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sessuale. Non a caso molti autori concordano su come l’abuso sessuale subito da minori, possa influire su future manifestazioni di aggressione e violenza, in quanto contribuisce ad una maturazione distorta della morale sessuale dell’individuo nel far considerare lecite manifestazioni che magari, poiché provenienti da persone con cui esisteva un legame affettivo, non possono venir (subito) percepite nel loro significato negativo. Il pedofilo, secondo lo psicopatologo forense Matteo Villanova, è da considerarsi certamente un immaturo dal punto di vista affettivo ed un regressivo dal punto di vista sessuale. Tra le diverse distinzioni della pedofilie operate dalla psicosessuologia, una molto importante è quella appunto tra pedofili regrediti (regressed), coloro cioè nei quali l’attrazione verso soggetti pre-puberi è preceduta da forme più mature di attrazione sessuale, e pedofili fissati (fixed) in cui vi è un arresto temporaneo o addirittura permanente dello sviluppo psico-sessuale, mostrando quindi sin dall’adolescenza un atteggiamento pedofilo. Questi ultimi raramente intrattengono infatti relazioni sessuali adulte, sono spesso celibi, e tendono ad essere attratti da vicini di casa o da sconosciuti mentre i regrediti quasi mai sono omosessuali, sono generalmente sposati e tendono a rivolgere le loro attenzioni sessuali verso individui più giovani. Alcuni autori (Burgess A.W., Groth A.N., Holmostrom L.L. etc…), differenziano i Child Molester dai pedofili sulla base di quanto è descritto nel DSM, laddove si fa riferimento a “fantasie” e non a situazioni agite. I Child Molester in particolare, sono soggetti che agiscono sempre assumendo comportamenti sessuali in danno di minori. Rispetto a questa tipologia di comportamento pedofilo, gli stessi autori hanno proposto una differenziazioni in due gruppi, i Child Molester “situazionali” e quelli “preferenziali” a loro volta ripartiti in sottocategorie, metodologia questa molto usata anche attualmente all’interno dell’FBI. All’interno della tipologia situazionale, possiamo trovare quattro sottocategorie : a) Child Molester regressivi: che sono coloro che presentano un bassa autostima ed una scarsa capacità di adattamento sociale. L’azione aggressiva può essere scatenata da eventi stressanti e condotta sino all’interno del proprio nucleo familiare quando non si presentino

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situazione facili all’esterno. Agiscono con modalità coercitive e spesso collezionano materiale pornografico; b) Child Molester moralmente indifferenti: che sono i più numerosi e per i quali l’abuso sessuale verso i minori appartiene ad uno schema generale di comportamento che esercitano quotidianamente. Con modalità deduttive e manipolatorie, cecrano di sfruttare familiari, conoscenti, colleghi etc.., mentendo con facilità qualora ne intravedano un vantaggio. Possono abusare dei figli; c) Child Molester sessualmente indifferenti: Sono soggetti in cui pare che alla base della loro spinta sessuale, vi sia un bisogno patologico di sperimentare il nuovo, che potrebbe identificarsi proprio con il bambino; d) Child Molester inadeguati: In tale categoria si ritrovano situazioni estremamente differenti, dagli psicotici ai giovani incapaci di relazionarsi con i coetanei. Curiosità ed insicurezza sembrano essere la spinta motivazionale che li spinge ad agire. All’interno della tipologia preferenziale invece possiamo trovare le seguenti categorie: a)

Child Molester seduttivi: che sono i così chiamati “Love Bombs” per l’elevata affettuosità ed amorevolezza che presentano all’atto dell’approccio. Essi vengono considerati come fissati allo stato preedipico. Molti di questi Molester sono coinvolti con più minori, in quello che solitamente viene definito un Child Sex Ring; b) Child Molester introversi: Sono persone che come i soggetti della categoria precedente, sono capaci di sedurre e manipolare, ma difettano di quelle abilità sociali che consentirebbero loro di avvicinare e stabilire un contatto. E’ quindi frequente che attuino un sequestro, per soddisfare le loro esigenze. Proprio la loro incapacità relazionale, potrebbe portarli poi a comportamenti esibizionisti dinanzi ad una scuola od a tentare approcci osceni al telefono;

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c) Child Molester sadici: E’ la categoria meno rappresentata. Non solo in questi casi la scelta sessuale si accompagna al piacere di infliggere dolore e sofferenza alla vittima, sia psicologica che fisica, ma spesso la componente sadica rappresenta la spinta motore del comportamento abusante. Altre suddivisioni va detto, sono state operate da altri eminenti autori che non sto qui ad elencare, variando esse a seconda delle numerose scuole di pensiero e di pratica psicoterapica. La sopraccennata però, è quella più usata ed è quella di cui l’FBI, lo si ripete, si serve giornalmente per completare il quadro psicologico del Child Molester e per combattere in modo concreto il fenomeno pedofilia nel suo complesso.

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4 Il “Mundus immaginale” pedofilo – Pedofilia e psicologia dell’anima – La visione retrospettiva

4.1 Cenni introduttivi

In questo capitolo tenterò come accennato nell’introduzione, di mostrare il fenomeno pedofilia in un modo diverso, cioè in modo retrospettivo, con una visione strutturalmente diversa da quella classica o criminologica. Cercherò quindi, dopo aver fatto un breve excursus su come la psicologia, dalla pulsione freudiana arrivi all’archetipo di Jung ed Hillman, e sul significato del concetto di anima, di operare una valutazione “retroobiettiva” della problematica per mezzo della psicologia del profondo, di quella psicologia archetipica dell’anima, fatta di immagini, di figure mitologiche, e di daimones. Insomma quella psicologia diversa, alternativa e certamente attuale, che ci può permettere di comprendere come alcuni comportamenti umani siano suscettibili di diverse ed importanti interpretazioni, che necessariamente possono e debbono far parte del nostro pur sempre valido paradigma indiziario. Da ultimo tenterò una possibile lettura dell’immaginario di un pedofilo violento e pluriomicida prendendo come esempio il caso dell’ormai noto “ Mostro di Foligno”.

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4.2 Dalla pulsione freudiana all’archetipo di Jung ed Hillman § “Quanto più un contenuto della coscienza perde valore tanto più scompare sotto la soglia. Per questo l’inconscio contiene tutti i ricordi perduti e anche tutti quei contenuti che sono ancora troppo deboli per diventare coscienti” (Carl Gustav Jung) .

§

Il dualismo anima razionale ed anima passionale, ha rappresentato da sempre un modello cha ha condizionato tutto il pensiero filosofico e psicologico occidentale. Fu di fatto Cartesio che pose l’accento a questo dualismo in un’assoluta dicotomia di rex extensa e res cogitans, dicotomia che è divenuta col tempo corpo e mente. La psicologia, ha tentato di occuparsi più volte di unire la fisicità corporea con il pensiero, ossia con il luogo deputato ai processi psichici. Anche Platone si interessò della problematica passando per una diversa via, quella secondo la quale l’anima, pur dando vita al corpo, ne rimaneva imprigionata, per cui il suo scopo ultimo, era proprio quello di liberarsi dal corpo stesso. “ ….L’anima è relegata nel corpo a scontarvi una colpa. Nel corpo era sepolta come il cadavere nella fossa ….”(Platone, Cratilo, 400.c). L’anima prigioniera del corpo, era di fatto per Platone, l’unica in grado di darsi il sapere e la conoscenza tramite le leggi universali e quindi la verità. Il corpo che non era sottoposto alla ragione, era soggetto alle furie passionali, alle incertezze, al particolare e non poteva darsi un’ovvia conoscenza. Esso era abbandonato a sé stesso, alla follia più becera, come una foglia in balìa del vento. L’anima invece era razionalmente riconoscibile mediante una profonda opera introspettiva, più si rifletteva e più ci si avvicinava al mondo della provenienza, il cosiddetto ‘mondo delle idee’, l’iperuraneo. Solo la ragione

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poteva fondare la conoscenza elaborando strutture di ordine logico e razionale. Anche Kant, il più grande degli illuministi, sottoponendo a critica la ragione, sviluppò il significato del conoscere. Egli sosteneva infatti che la ragione era un grande strumento che non diceva la verità, ma che enunciava le regole. Essa procedeva per definizioni che delimitavano il significato di una cosa mediante i principi di identità, di non contraddizione e del terzo escluso. “…Essa non si indirizza mai immediatamente all’esperienza o a un oggetto qualsiasi ma all’intelletto, per imprimere alle conoscenze molteplici di esso un’unità a priori per mezzo dei concetti: unità che può dirsi razionale ed è di tutt’altra specie di quella che può essere prodotta dall’intelletto…. Se l’intelletto può essere la facoltà dell’unità mediante le regole, la ragione è la facoltà dell’unità delle regole dell’intelletto mediante i principi….” (Kant, Critica Ragion Pura, intr. 2.a). Fu in seguito la teoria pulsionale di Freud che, considerata come uno dei luoghi eminenti del superamento di questo dualismo, si pose al centro dell’attenzione. La teoria psicanalitica freudiana infatti, ha segnato una rivoluzione concreta nello studio della psicologia individuale. Infatti mentre prima di essa, si credeva che l’uomo normale e sano fosse guidato nelle sue azioni dalla volontà e dalla razionalità, e che proprio un cedimento di queste capacità, potesse essere all’origine delle patologie mentali e dei disturbi del comportamento, con la psicanalisi questa interpretazione dello psichismo, veniva di fatto rovesciata. Sia l’uomo sano che quello malato secondo Freud, erano potenzialmente influenzati e talvolta coattivamente spinti all’azione da forze psichiche del tutto inconsce e tutt’altro che razionali, le cosiddette forze pulsionali o pulsioni istintuali. Il termine pulsione traduce il tedesco ‘Trieb’ che significa spinta, ed indica un impulso ad agire che ci viene dall’organismo e che si manifesta sotto forma di una tensione o di un eccitamento. La funzione del comportamento è quella di ridurre tale tensione producendo un soddisfacimento. “…. Una pulsione si differenzia dunque da uno stimolo per il fatto che trae origine da fonti di stimolazione interna al corpo, agisce come una forza costante e la persona non le si può sottrarre con la fuga come può fare di fronte allo stimolo esterno. Nella pulsione si possono distinguere: fonte,oggetto e meta . La fonte è uno stato

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di eccitamento nel corpo, la meta l’eliminazione di tale eccitamento, lungo il percorso dalla fonte alla meta la pulsione diviene psichicamente attiva. Noi ce la rappresentiamo come un certo ammontare di energia che preme verso una determinata direzione. Da questo premere le deriva il nome di pulsione…” (Freud, Introduzione alla psicanalisi, pg. 498). La pulsione non è fissata in modo rigido, e ciò la differenzia infatti da un istinto, che è invece una risposta predeterminata ad un insieme di stimoli. Essa è anche estremamente plastica; i modi in cui può essere soddisfatta sono variabili e dipendono dallo sviluppo dell’individuo nonchè dalla propria esperienza. Contrassegno fondamentale della pulsione quindi, è proprio la plasticità in quanto richiede risposte complesse e tortuose, può avere varie mete, cambia spesso oggetto ed attraversa infine molteplici vicende. Tale ad esempio è quella sessuale o libido che di fatto per Freud, fu l’iniziale pulsione per eccellenza. “….. In completa analogia con la “fame”, la “libido” sta a designare la forza con la quale si manifesta una certa pulsione: in questo caso la pulsione sessuale, nel caso della fame la pulsione di nutrirsi. Altri concetti quali “eccitamento” e “soddisfacimento” sessuali, non richiedono alcun commento …” (ibidem p.283). Dopo ulteriori studi, proprio lo stesso Freud introdusse anche il concetto di una seconda pulsione quella di morte. Nel saggio del 1920 intitolato “Al di là del principio del piacere”, egli delineò infatti una pulsione distruttiva, anch’essa fondata su un fondamento biologico-innato come quella sessuale, con la quale essa si intersecava, si contrapponeva, si dialettizzava in vario modo. Si trattava infatti di Thanatos, di una pulsione di morte, di una coazione a ripetere per cui ciò che si era fatto organico, tornava inorganico, ciò che era disorganizzato, sarebbe tornato disorganizzato: una sorta di tendenza endoscopica all’entropia, ‘Polvere ero e polvere voglio tornare’. Proprio la spasmodica osservazione di Freud che poneva in ambito professionale, lo portò a considerare che alcuni individui nella loro vita, ripetevano sempre senza correggersi, le medesime reazioni a loro danno tanto da sembrare addirittura perseguitati da un proprio destino inesorabile, notando in particolare che erano proprio gli stessi soggetti a crearselo in modo inconsapevole e per mani proprie. “…..In tal caso attribuiamo alla coazione a ripetere un carattere “demoniaco”.……Ammesso che una volta

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– in termini immemorabili e in un modo che non si può rappresentare – la vita abbia avuto origine da materia inanimata, allora stando al nostro presupposto, deve essere una sorta di pulsione che vuole abolire la vita, ripristinare lo stato inorganico. Se in questa pulsione ravvisiamo l’autodistruttività della nostra ipotesi, dobbiamo concepire questa distruttività come espressione di una pulsione di morte, che non può mancare in alcun processo vitale …..” ( ibidem, pg. 508-509). Bellissimo poi, è il passo freudiano che si riporta testuale e che rende omaggio alla poetica psichica delle pulsioni, tanto per comprendere come queste, fossero di vitale importanza per i suoi studi e le sue teorie scientifiche: ”…. La dottrina delle pulsioni è per così dire la nostra mitologia. Le pulsioni sono entità mitiche grandiose nella loro indeterminatezza. Non possiamo prescinderne, nel nostro lavoro, un solo istante, e nel contempo non siamo mai sicuri di coglierle chiaramente ……”(Ibidem, pg.499). Un ulteriore cardine concettuale di fondamentale importanza, consistette poi nella scoperta di un inconscio, (del quale peraltro la filosofia ne aveva già postulato l’esistenza) e dalla imponente centralità che ad esso venne di fatto attribuito. L’inconscio, questo spettacolare contenitore, ha costituito per Freud una sorta di grande deposito di esperienze, ricordi, pulsioni, tutte di fatto inaccessibili all’esame della coscienza, posto che queste non fossero in contrasto con la razionalità e la morale comune. In tal caso un complesso e stupendo meccanismo intrapsichico che lo stesso Freud denominò rimozione, avrebbe provveduto a riporle nell’Ombra dell’inconscio stesso. “…La rappresentazione più rozza di questi sistemi – e cioè la rappresentazione spaziale – è per noi la più comoda. Paragoniamo quindi il sistema dell’inconscio a una grande anticamera, in cui gli impulsi psichici giostrano come singole unità. Comunica con questa anticamera una seconda stanza più stretta, una specie di salotto, in cui risiede anche la coscienza. Ma sulla soglia tra i due vani svolge le proprie mansioni un guardiano, che esamina, censura i singoli impulsi psichici e non li ammette al salotto se non gli vanno a genio…..Gli impulsi nell’anticamera dell’inconscio sono sottratti allo sguardo della coscienza, che infatti si trova nell’altra stanza: inizialmente essi sono destinati a rimanere inconsci. Se si sono spinti fino alla soglia e sono stati rimandati indietro dal guardiano, ciò significa che sono inammissibili alla coscienza. In tal

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caso li chiamiamo rimossi…..” (Freud, Introduzione alla psicanalisi, pg. 268), ed ancora, “ ….Di questo processo di rimozione dobbiamo ora farci un’idea più precisa. Esso è la condizione preliminare per la formazione del sintomo, ma è anche un qualcosa per cui non abbiamo paragoni. Prendiamo come termine di riferimento un impulso, un processo psichico tendente a convertirsi in azione. Come sappiamo, possiamo respingerlo mediante ciò che chiamiamo riprovazione o condanna: in quel momento gli viene sottratta l’energia della quale dispone, diviene impotente, ma può continuare a sussistere come ricordo; l’interno processo attraverso il quale si prende una decisione nei suoi riguardi si svolge con la consapevolezza dell’Io. Accadrebbe tutt’altro nel caso che lo stesso impulso venisse sottoposto (anziché a condanna) a rimozione: manterrebbe la sua energia e non ne rimarrebbe alcun ricordo; inoltre il processo di rimozione si effettuerebbe all’insaputa dell’Io…”(Ibidem, pg.267). Anche la posizione di Carl Gustav Jung, che riteneva di considerare reciprocamente indipendenti corpo e psiche, venne definita una sorta di ‘dualismo’, pur se di tipo epistemologico. Va osservato però, che la conclusione a cui pervenne Jung, risulta però comprensibile solo in considerazione del fatto che secondo lui, la psicologia si occupava delle immagini della psiche, che erano del tutto autonome dal biologico e che non riguardavano il biologico. L’immagine per Jung nacque infatti come intuizione dell’istinto che aveva su stesso. “ ….Si potrebbe definire appropriatamente l’immagine originaria come intuizione che l’istinto ha di se stesso o come autoraffigurazione dell’istinto ….”(Jung, Istinto e inconscio in Opere, Vol.8, pg. 154 ). Gli istinti, affermava nel 1919 in “Istinto ed inconscio” sono: “.. impulsi ad attività che procedono, senza motivazione conscia da una costrizione interiore, sono forme tipiche dell’agire e dovunque si tratta di forme del reagire che si ripetono uniformemente e regolarmente si tratta d’istinto, che vi si associ o no una motivazione conscia ..”( ibidem, pg.153 ). Operando un veloce parallelismo circa le metodiche cliniche usate da entrambi, non può infatti omettersi di considerare la circostanza che, mentre Freud trattava prevalentemente pazienti nevrotici, Jung trattava quelli prevalentemente psicotici. Orbene la psicosi è una delle forme più

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difficili e più profonde di sofferenza mentale; In tali pazienti infatti, non è presente un Io che possa fornire un esatto esame della realtà. Proprio per questo motivo, Jung arrivò alla conclusione che l’inconscio non era solo il passato rimosso, ma anche una serie di esperienze e patrimoni archetipici dell’intera umanità, poiché i contenuti psichici di questo tipo di pazienti, erano sin troppo lontani dal vissuto personale degli stessi. Studiando poi accuratamente la mitologia, verificò che molti simboli mitologici erano di fatto presenti nelle visioni dei suoi pazienti psichiatrici tanto che cominciò ad interrogarsi su tali apparenti coincidenze, arrivando persino ad ipotizzare che l’inconscio potesse trattenere residui arcaici che si strutturavano in immagini collettive ereditate e collegate a mitologie lontane, dimenticate dalla coscienza, sepolte nell’inconscio. “….Ho scelto come esempio un caso che, anche se già pubblicato ( in Simboli della trasformazione, 1912/1952), uso di nuovo , perché la sua brevità si presta particolarmente a un’illustrazione. Posso inoltre aggiungere delle osservazioni omesse nella pubblicazione precedente. Verso il 1906 mi sono imbattuto in un’illusione delirante molto strana in uno schizofrenico paranoico che era stato internato per molti anni. Il paziente soffriva fin da giovane ed era incurabile. Aveva studiato in una scuola statale ed era stato poi assunto come impiegato in un ufficio. Non aveva alcuna particolare inclinazione e io stesso non sapevo niente di mitologia né di archeologia in quel periodo: la situazione perciò non era in alcun modo sospetta. Un giorno trovai il paziente accanto alla finestra, che dimenava la testa e batteva le palpebre verso il sole. Mi disse di fare la stessa cosa, perché così avrei visto qualcosa di molto interessante. Quando gli chiesi che cosa vedesse, si stupì che io non riuscissi a vedere niente e disse: ”Sicuramente vedi il pene del sole….quando muovo la testa avanti e indietro, anch’esso si muove, ed è di là che proviene il vento”. Naturalmente io non capii affatto questa strana idea, ma ne presi nota. Circa quattro anni più tardi, poi nel corso dei miei studi mitologici, m’imbattei in un libro del defunto Albrecht Dietrich, il noto filologo che fece luce su questa fantasia. Il lavoro pubblicato nel 1910, si occupa di un papiro greco della Biblioteca Nazionale di Parigi. Dietrich riteneva di avere scoperto in una

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parte del testo certi incantesimi nei quali è nominato Mitra. Esso deriva dalla scuola mistica di Alessandria e presenta affinità con alcuni brani del papiro di Leida e del Corpus hermeticum. Nel testo di Dietrich si leggono le seguenti indicazioni : Inspira dai raggi, inspira tre volte quanto puoi e ti sentirai sollevare e camminare verso l’alto, e ti sembrerà di essere nel mezzo della regione aerea….La strada degli dei visibili apparirà attraverso il disco del sole, che è Dio mio padre. Così pure il cosiddetto tubo, l’origine del vento soccorrevole. Perché tu vedrai pendere dal disco del sole qualcosa di simile a un tubo. E ciò verso le regioni dell’occidente, infinito come vento che spira da oriente; se poi ad essere diretto verso le regioni dell’oriente è l’altro vento, vedrai del pari verso le regioni di quello il rovesciamento della visione……”. E’ ovviamente intenzione dell’autore consentire al lettore di esperire la visione che egli ha avuto o nella quale almeno crede. Il lettore deve essere iniziato all’intima esperienza religiosa dell’autore, o - come sembra più verosimile -, di una di quelle comunità mistiche che Filone Giudeo descrive da contemporaneo. Il dio–fuoco o dio-sole invocato, è una figura di cui esistono esempi storici affini come ad esempio la figura del Cristo dell’Apocalisse. E’ perciò una reprèsentacion collective come lo sono le azioni rituale descritte, l’imitazione dei rumori degli animali ecc. La visione è inquadrata in un contesto religioso di natura chiaramente estatica, e descrive un tipo di iniziazione ad un’esperienza mistica della divinità. Il nostro paziente aveva circa dieci anni più di me. Nella sua megalomania egli pensava di essere Dio e Cristo in una sola persona. Il suo atteggiamento verso di me era paternalistico; aveva simpatia per me probabilmente perché ero l’unico a mostrare una certa comprensione per le sue idee astruse. I suoi deliri erano principalmente religiosi; quando m’invitò a guardare fisso il sole come lui e a dimenare la testa, voleva ovviamente che io partecipassi alla sua visione. Rivestiva il ruolo del saggio mistico e io ero il neofita. Sentiva di essere il dio-sole, che crea il vento dimenando la testa avanti e indietro. La trasformazione rituale nella divinità è attestata da Apuleio nei misteri di Iside e inoltre nella forma di un apoteosi di Helios. Il significato del “vento soccorrevole” è probabilmente lo stesso dello neuma fecondo,

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che soffia il dio-sole nell’anima e la feconda. L’associazione del sole e del vento ricorre frequentemente nell’antico simbolismo. Bisogna ora dimostrare che questa non è una coincidenza puramente casuale di due casi isolati. Dobbiamo perciò provare che l’idea del tubo di vento connesso con Dio o col sole esiste indipendentemente da queste due testimonianze e si presenta altre volte ed in altri luoghi. Esistono in effetti dei quadri medievali che raffigurazione la fecondazione di Maria con un tubo o una cannula che viene giù dal trono di Dio e passa nel suo corpo; si vedono anche la colomba o Gesù bambino che scendono in volo: la colomba rappresenta l’agente fecondante, il vento dello Spirito Santo….. Ricordo questo caso non per provare che la visione è un archetipo, ma solo per mostrare il mio metodo nella forma più facile possibile….” (Jung, Gli archetipi e l’inconscio collettivo, pg. 81,82). E’ evidente quindi come Jung, con tale ultima affermazione, abbia per mezzo di quella strategia comunicazionale, ormai conosciuta come “comunicazione indiretta”, voluto convincere tutti i suoi lettori ed allievi, circa l’esistenza nell’ambito del nostro inconscio, di immagini archetipiche capaci di rappresentarsi alla coscienza in qualsivoglia momento. Egli di fatto individuò, quello che da lui in seguito venne denominato Inconscio collettivo. L’inconscio collettivo è una parte della psiche che si può distinguere in negativo dall’inconscio personale, per il fatto che non deve la sua esistenza all’esperienza individuale, ma esclusivamente all’eredità. I suoi contenuti non essendo mai infatti pervenuti alla coscienza, non sono mai stati acquisiti individualmente. Mentre l’inconscio personale poi, consiste in una sorta di tanti complessi, il contenuto di quello collettivo è formato essenzialmente da archetipi, forme determinate che sembrano essere presenti sempre e dovunque. Così come gli istinti determinano le azioni, gli archetipi determinano le nostre percezioni ed entrambi sono collettivi, perché hanno a che fare con contenuti universali, ereditati oltre il mondo personale ed individuale. Il modo in cui noi percepiamo una determinata situazione determina il nostro impulso ad agire e la percezione inconscia attraverso l’archetipo, determina la forma e la direzione dell’istinto. L’archetipo può essere solo dedotto, mentre è l’immagine archetipica, che penetra nella coscienza e diviene la nostra percezione dell’archetipo stesso.

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Ecco dunque che per Jung, le immagini arcaiche, gli archetipi, hanno il loro quadro completo operando come regolatori e stimolatori dell’attività creatrice della fantasia. La psiche e le immagini archetipiche, affermò ancora Jung, tendono nel loro processo, ad un fine ultimo, cioè “ al farsi totale dell’uomo” cioè al Sé ( cfr. Jung, Istinto e Inconscio in Opere, V.8, pg. 240). Questo processo che egli definì processo di individuazione, pose in primo piano la circostanza che l’immagine era determinata aprioristicamente ad un suo specifico fine, proprio come l’istinto. L’individuazione quindi, divenne sostanzialmente il processo verso il Sé, verso la personalità totale dell’individuo. “…. Ognuna di queste immagini vuol dirci qualcosa di caratterologico e peculiare sul proprio conto e sul conto del sognatore, nonché qualcosa della relazione che intercorre fra di essi, e ciò a prescindere dal significato valido per ciascuna di queste particolari immagini, il significato cioè di rappresentare il punto focale, il Sé di ogni individuo nel suo essere oggi, nel suo essere stato e nel suo divenire …”(Garufi, Un esempio di funzione trascendente, in Rivista di Psicologia analitica, 43/91, pgg.56,57). Con tale processo individuativo, Jung riuscì di fatto a superare la contrapposizione freudiana tra pulsione di vita e pulsione di morte, attraverso la tensione a raggiungere l’integrazione delle diverse parti della psiche, attraverso il Sé, in cui il conflitto era il dato strutturale creativo della psiche umana. Il modello junghiano della psiche è infatti costruito sul parallelismo con gli aspetti termodinamici della fisica: la psiche possiede una capacità di autoregolazione per riunire a sé i contrari; per scorrere, l’energia psichica deve avere una dinamica di contrasti come succede per la produzione di corrente elettrica; infatti nella vita psichica dopo un’attività di pensiero positiva, appaiono contenuti affettivi o reazioni negative; questi opposti non sono in realtà negativi, ma rappresentano la possibilità di mantenere in continua tensione il moto e le trasformazioni dell’energia psichica. Come faceva ben rilevare Bianca Garufi, profonda conoscitrice delle opere di Jung, la psiche junghiana non si basa sulla materia (il cervello) o sulla mente (l’intelletto o la metafisica) ma sull’esse in anima, concepito come terza realtà tra mente e materia.

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Nell’attività immaginativa della psiche, idea e cosa, interiore ed esteriore, procedono insieme, e sono mantenuti insieme da un loro equilibrio. La dicotomia dei concetti di “individuale” e “collettivo”, ricompaiono altresì nella conoscenza che Jung fece dell’Ombra. L’Ombra è l’altra parte di noi che sebbene sembri invisibile, fa parte della nostra totalità ed è una figura archetipica che incarna tutte le qualità nascoste e meno accettate della personalità. Quella individuale è strettamente connessa alla nostra storia personale, mentre quella collettiva, contiene invece tutti i tratti oscuri comuni all’intera umanità e che si manifestano, con le loro peculiarità, a seconda dell’epoca in cui si vive. Conoscere l’Ombra significa quindi ritirare le proiezioni, non solo quelle individuali ma anche quelle collettive, cioè non sentirsi più estraniati dalla vita ma essere parte integrante della stessa. “…….L’Ombra custodisce nel suo seno segreti molteplici per lo più legati all’ambiguità generatrice di ricchezza del suo uso linguistico….Innanzitutto l’Ombra è l’immagine oscura proiettata da un corpo opaco che si trovi esposto alla luce…..L’Ombra rimanda alla luce; senza di questa l’Ombra non avrebbe esistenza: luce e ombra costituiscono una coppia di concetti correlati e inscindibili….L’Ombra ha tuttavia un privilegio rispetto al suo fratello polare. Quello di essere una metafora comprensiva gremita di contenuti e di riferimenti. Il valore ‘axìa, tende sempre a configurare come un concetto, anche se nasce sul terreno dell’esperienza immediata, dei sentimenti e delle emozioni. Ma proprio per questa polarità interna a una polarità, l’ombra acquista significato: opponendosi al valore è un’immagine corposa che si oppone a un concetto, è densità immaginale che si oppone a un’astrazione. Rimarrà sempre ciò che può essere configurato solo come un’immagine…”. ( A.A.V.V., Il Male, pgg. 105,108,109). Splendido ed importantissimo ancora, fu l’incontro che fece Jung con l’Anima, o meglio Anima per l’uomo e Animus per la donna che, sul piano biologico rappresentavano i geni opposti alla nostra identità sessuale. Conoscere questo aspetto significava completare ed amplificare la psiche a vantaggio dell’identità totale. “…..L’<<anima>> stabilisce il rapporto con l’inconscio. In un certo senso questo è anche un rapporto con la collettività dei morti, perché l’inconscio corrisponde alla mitica terra dei morti, la terra degli antenati. Se perciò uno ha la visione dell’anima

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che evade, ciò significa che essa si è ritirata nell’inconscio, o nella terra dei morti. Ciò produce una misteriosa animazione, e da forma visibile alle tracce ancestrali, ai contenuti collettivi dell’incoscio; come un medium rende possibile ai morti di manifestarsi…..”(Jung, Ricordi, Sogni, Riflessioni, pg. 235). L’Anima junghiana in generale è l’archetipo del femminile, la componente inconscia della personalità dell’uomo. In essa si esprimono e prendono forma tutte le tendenze psicologiche della femminilità come gli umori, i presentimenti, la ricettività dell’irrazionale, l’amore di sé, il sentimento per la natura e l’atteggiamento nei confronti dell’inconscio. L’Anima è il principio dell’Eros, rappresenta l’amore materno, essa determina l’incontro con la donna ideale che spesso è la proiezione dell’Anima stessa. Quindi quando l'uomo riesce a riconoscere, a prendere coscienza del lato femminile che contiene la sua psiche, (e parimenti la donna fa per il proprio lato maschile), diviene per Jung possibile, gestire meglio le proprie emozioni. L'altro sesso perde dunque il lato misterioso e minaccioso perché si sono di fatto esperiti i tratti caratteriali nelle profondità della propria psiche. Di conseguenza, l'anima non è più una vipera, una tentatrice che conduce l'uomo verso la perdita, bensì la musa luminosa e saggia che lo fa progredire, come l'Animus non è più un demone che vuole avere sempre ragione, ma un essere creatore. Così, Anima e Animus cessano di agire unicamente a partire dal nostro inconscio, e ci permettono di integrare questa parte della nostra psiche nell'inconscio stesso, per sviluppare la nostra personalità. L’archetipo Anima osserva ancora fantasticamente Jung, segue quattro gradi di sviluppo, correlati all’erotismo, che vengono rappresentati da quattro personificazioni femminili: Eva, simbolo del femminile da fecondare e del rapporto istintivo-biologico; Elena, nella quale il femminile diviene individuo e nel cui rapporto, domina il romanticismo, l’estasi e la sessualità; la Vergine Maria nella quale l’Eros si trasforma in devozione spirituale e poi infine Sophia, la quale invece rappresenta l’eterno femminino, che simboleggia la saggezza trascendendo tutte le manifestazioni umane ivi comprese le più pure e sante. Soltanto riconoscendo l’Eros, che l’uomo impara a mettersi in relazione, che riesce a stabilire un rapporto fondato su un giudizio di valore. Esso non può né mettersi al servizio dell’Anima né rinunciare ad essa, ma deve saper

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dare spazio alla sua femminilità, alla sua bellezza, perché solo in tal modo si può congiungere all’anima e quindi all’ Eros che essa simboleggia. Ma dell’Anima, di questa esasperata bellezza psichica, James Hillman è riuscito successivamente a farne un quadro, dipingendola di colori ancestrali, pennellandola e rappresentandola come la maggiore delle opere pittoriche di una galleria d’arte, la sua galleria, fatta di immagini mitopoietiche, di significati retrospettivi, di visioni e concezioni straordinarie, visioni angolari che da sole sarebbero in grado di rappresentare l’essenza di un vero e grande artista. Mentre Jung, nella sua psicologia analitica si è vestito di quella fascinosa misteriosità immagistica, scrutando nascosti ed imperturbabili scenari archetipici, in una continua coniunctio oppositorum, Hillman è riuscito a donare nuova la luce a tutti quei fenomeni intrapsichici, revisionando in modo sconvolgentemente prospettico, tutti i fondamenti basilari su cui si era fondata per anni la psicologia. Ha creato cioè, manipolando e plasmando ogni singolo concetto, colmando ogni piccolissima lacuna, distorcendo e riformulando teorie cosmogoniche ed archetipiche, l’ormai nota psicologia dell’anima, quella scienza che del profondo ne ha coniato l’essenza, quella psicologia per la quale la narrativa mito-poietica della mente, ne risulta essere l’anima. In Hillman si assapora l’arte del trascendente, della filosofia pura, si rimette in discussione ogni singolo dogma o concezione che sino ad oggi si credeva scontato, si scopre come fare anima vuol dire fare immagini, si scopre il vero valore della creazione psichica. “……Lavoriamo sui sogni non per rafforzare l’io, ma per fare realtà psichica, per fare materia di vita attraverso la morte, per fare anima ……..Può essere adesso più chiaro il perché io chiami questo lavoro fare anima, anziché analisi, psicoterapia o processo di individuazione,…. Fare è un termine che riflette ciò che la psiche stessa fa: fa immagini …” (Hillman, Il sogno e il mondo infero, pgg.130-131). La vita come il sogno è un teatro dell’anima, nell’ambito del quale si muovono e si intrecciano personaggi archetipici che creano minuto dopo minuto, giorno dopo giorno, racconti, storie e conflitti che lasciano che la mente narri la sua fantastica poiesis. Per Hillman la poiesis è la via regia per giungere alla via regia, cioè al sogno. Egli infatti afferma: “……..L’addentrarsi nel dramma fu un’altra delle mosse letterarie di Jung; fu un altro passo cruciale, che avvicina la

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psicologia alla poetica. E voglio aggiungere questo pensiero come ipotesi, e in corsivo per sconcertarvi: se il sogno è natura psichica per sé, incondizionata, spontanea, primaria, e se questa natura psichica può mostrare una struttura drammatica, allora la natura della mente è poetica. Per andare alla radice dell’ontologia umana, alla sua verità, alla sua essenza e natura, ci si deve allora muovere nello stile narrativo e si devono usare strumenti poetici. Per capire la struttura del sogno ci volgiamo al dramma; la poiesis è la via regia alla via regia. L’inconscio produce drammi, invenzioni poetiche: è teatro. ( Hillman, Le storie che curano, pg. 47) Non può non citarsi da ultimo, il duro attacco che fa Hillman circa la tendenza a ridurre l’anima alla soggettività personale, additando proprio nel personalismo, uno dei fardelli dominanti dell’epoca moderna. L’anima in sé non è personale, è più che personale. Infatti l’espressione di Jung di psiche oggettiva, sottintende che, quando si esplora l’anima ci si trova di fronte a qualcosa che ha un suo specifico terreno, una sua particolare storia ed una sua finalità. Quindi per lo psicologo archetipico, anche il mondo diviene un paziente bisognoso di cure. Per Hillman quindi, se la nostra fantasia sul mondo lo spoglia di personalità e di anima, allora si tenderà a trattarlo male, ma se il mondo possiede soggettività allora si dovrà entrare in rapporto con esso, ed essere nel mondo con il cuore anzichè con la testa. Solo così si potrà in effetti percepire l’anima mundi per mezzo di un’immaginazione raffinata e vivace. Restituire l’anima al mondo non solo è un curare il mondo, ma è un’occasione in più di intraprendere noi stessi il lavoro dell’anima. “….Quando i miti dicono che gli Dei hanno i capelli azzurri o il corpo azzurro, così è. Gli Dei vivono in un luogo azzurro della metafora e non sono descritti tanto con il linguaggio del naturalismo, quanto con la << distorsione>> della poesia. Il racconto mitico deve necessariamente essere pieno di iperboli; gli Dei infatti abitano le altezze e gli abissi. Per dipingerli correttamente ci serve la tavolozza degli espressionisti, non quella degli impressionisti. Questo slittamento nelle percezioni mitica è precisamente ciò che avviene con la unio mentalis: ora la natura della realtà la immaginiamo e l’azzurro cupo diventa il colore giusto per rendere i capelli di Dioniso, perché è la sfumatura naturale, plausibile per

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la chioma di questo dio in questo inno, una raffigurazione quanto mai realistica…..”( Hillman, Fuochi Blu, pgg. 58-59). Questa è poiesis, questo è Hillman, questo è il poeta dell’anima!.

4.3 Retrospettiva dell’anima § “ L’anima è certamente più complessa e inaccessibile del corpo: rappresenta, per così dire, quella metà del mondo che perviene all’esistenza solo quando ne diveniamo coscienti ” ( Carl Gustav Jung )

§

Nel corso dei secoli, come già visto nel precedente paragrafo, si è sempre parlato di anima, ci si è chiesto della sua esistenza della sua materialità od immaterialità, della sua possibile immortalità, della sua presenza come spirito divino. E’ stata come in una sorta di osmosi psichica, identificata e coniugata con il corpo vivente, ma pur sempre di anima si è parlato; di anima si è intrisa tutta la storia della nostra umanità, racchiudendo in sé tutto il mistero fantastico della nostra capacità immagistica, che ci ha permesso nel corso della nostra evoluzione, di pensarla come un’essenza psichica, di immaginarla come il fondamento della nostra coscienza, di sentirla come la rappresentazione della femminilità, come il cuore dei nostri sentimenti. Si è passati a concettualizzarla da un ambito di un positivismo assoluto e materialistico ad una trascendenza quasi del tutto metafisica e divina. Nell’antica religione orfistica ad esempio, si credeva che l’anima di origine divina, cadesse sulla terra imprigionata nel corpo a causa di una colpa originaria. Il suo fine ultimo era quello di ritornare alla patria celeste, suo luogo originario. Anche i Pitagorici e Platone fecero dell’anima un elemento divino immateriale che si elevava a cogliere l’armonia del mondo, dopo essersi purificata dal corpo. Il corpo è la prigione dell’anima, affermava Pitagora

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nella dottrina della metempsicosi, cioè della trasmigrazione dell’anima dopo la morte in altri corpi, rilevando che l’umanità doveva poter sfuggire alle influenze negative del corpo, per mezzo di riti di purificazione quali ad esempio la filosofia. Ed è sostanzialmente anche quanto hanno affermato prima Aristotele, parlando della capacità catartica dell’arte poetica, e successivamente Hillman, circa l’importanza narrativa della nostra mente. Per quest’ultimo infatti, non può non considerarsi, in modo astratto, la finalità catartica e psicoterapeutica del raccontare storie, indicando ad esempio, le modalità di utilizzo in terapie psicoterapiche (individuali e di gruppo), nell’ambito delle quali cui ognuno racconta la propria storia vissuta. “….La mente è fondata nella sua stessa attività narrativa, nel suo fare fantasia. Questo ‘fare’ è poiesis. Conoscere la profondità della mente significa conoscere le sue immagini, leggere le immagini, ascoltare le storie con una attenzione poetica, che colga in un singolo atti intuitivo le due nature degli eventi psichici, quella terapeutica e quella estetica…”( Hillman, Le storie che curano, p.III ). E’ proprio questa la purificazione dell’anima cui faceva cenno Pitagora, la purificazione catartica e terapeutica della mente, lasciandola immaginare, lasciandola raccontare le storie della nostra vita quotidiana, lasciandola rappresentare, lasciandola insomma fare poiesis, fare immagini, fare anima. Per Platone l’anima è un’idea. L’anima è ciò che “rende vivo” ogni vivente. Ogni vivente è vivo in quanto partecipe all’idea della vita, e l’anima è l’idea delle cose che sono partecipate alla vita. L’anima, abita l’Iperuraneo e in quanto idea, è immortale ed immutabile: non si può parlare di anima morta in quanto rappresenterebbe una contraddizione evidente, sarebbe come a dire bellezza brutta o luce buia. Quindi l’anima vive necessariamente e ciò che vive necessariamente non può morire, quindi è eterna. L’anima, sempre secondo Platone, essendo immortale, preesiste al corpo degli uomini, conosce il mondo eterno delle idee. Vivendo appunto nel mondo delle idee, l’anima conosce la verità, ma quando essa si incarna in un corpo, in un ente terreno, non è più anima assoluta, ma è partecipante all’ente stesso, ovvero è parte di questa.

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Per questo l’anima dell’uomo, giunta nel mondo del sensibile, non è più in grado di ricordare la visione del mondo delle idee perché non è più se stessa interamente. In un bellissimo passo del Fedro, Platone fa suo il concetto di trasmigrazione dell’anima da un corpo all’altro e dell’immortalità della stessa. L’anima afferma, è un’idea eterna che viaggia continuamente e che si reincarna in diversi individui nel corso della sua esistenza. Le anime che durante il periodo passato tra una reincarnazione ed un’altra, hanno potuto più a lungo guardare il mondo delle idee, la pianura verde della verità, saranno nel mondo terreno le anime dei saggi, quelle che invece non hanno potuto “vedere” questo mondo fantastico, saranno diversamente le anime degli individui più gretti. Più l’anima ha contemplato il mondo delle idee e più sarà saggia, meno lo ha contemplato, più sarà gretta. Fantasticamente rappresentativo inoltre, come lo stesso Platone propone nell’ambito della citata opera, il mito della biga alata per spiegarne il viaggio. Esso afferma infatti che l’anima è come un’ auriga (la ragione) che guida una coppia di cavalli, di cui uno è bianco, che rappresenta la tensione verso il bene e la spiritualità, e l’altro nero, che rappresenta la tensione verso il basso, verso gli istinti e le passioni degradanti e materiali. L’auriga, la ragione è naturalmente portata a conoscere il bene e a farsi guidare dal cavallo bianco, ma il cavallo nero continuamente strattona il suo compagno per condurlo dalla parte opposta. Le anime che più si fanno guidare dal cavallo bianco, sono le anime che più si avvicinano alla verità. L’intero processo di reincarnazione comporta poi che l’anima sia continuamente influenzata dall’esperienza terrena precedente: le anime che maggiormente tendono al bene sono quelle che nell’esistenza terrena precedente sono appartenute a uomini eticamente validi. Ogni esperienza precedente trascina nella vita successiva il suo carico di virtù e di difetti. Continuando, Platone pone poi in risalto su come l’anima stessa, possa essere rapportata al giogo corporeo. L’anima infatti, afferma ancora il grande filosofo, puo’ porre termine al ciclo di reincarnazioni quando trova la forza di liberarsi completamente da ogni giogo terreno: Il corpo è per l’anima una gabbia e la sua tendenza naturale, è quella di ascendere verso la spiritualità pura, il fine ultimo di ogni autentico sapiente. Il sapiente infatti, sa che il mondo delle idee è la verità suprema alla quale deve attenersi e che il mondo terreno non racchiude alcuna verità.

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L’anima questo “soffio vitale”, che non perde mai istante per farci assaporare il suo contenuto. Essa ci esalta con il suo profumo, ci tempesta di immagini vivide e fantastiche, ci fa comprendere come tutto ciò che ci circonda accada, ci fa idealizzare e pensare, ci fa innamorare di se stessa. Basta infatti un solo attimo a soffermarci a riflettere sul suo significato e sul possibile contenuto, che siamo da subito coinvolti in una sorta di transfert narcisistico, siamo avviluppati da una pseudo-immagine fantastica di cui non possiamo fare altro che rispecchiarci in modo speculare, idealizzandola. Introiettandoci nell’anima, ripercorriamo i “ricordi del mondo divino”, la visione delle cose belle del “mondo sensibile”, rievochiamo i ricordi e le essenze contemplate nel “mondo intelligibile”, così nutrendo la nostra psiche, di un magico delirio divino, la forma più alta dell’amore. A chi dell’anima ne fa un concetto di vita, un modo di rapportarsi con se stessi ed il mondo esterno, a chi nella coscienza, nella capacità di creare immagini e nell’esistenza di idee poetiche e fantastiche, postula l’essenza della nostra psiche, non può inoltre non considerare i leggendari testi del Libro Tibetano dei Morti nell’ambito dei quali, continuamente ci si sente immersi nell’annoso dilemma: Ma cosa è che rinasce, la coscienza o l'intera anima? Di questo “essere o non essere”, se ne sono interessati, filosofi, antropologi, psicologi, studiosi delle religioni, ma nessuno è potuto arrivare ad una teoricizzazione dell’esistenza e dell’immortalità dell’anima o della coscienza, perché infinità di definizioni si sono integrate e si sono influenzate reciprocamente. La filosofia teoretica e le religioni si sono occupate per millenni di questo dilemma, oggi se ne sta occupando in modo prevalente la psicologia e domani gli studiosi forniranno nuove conoscenze allo scopo di chiarirlo, ma l’anima è pur sempre anima. Essa è una non materia, a cui solo l’immaginazione e la capacità di creare giorno dopo giorno le immagini, ci fa “fare anima”. E’ solo rispecchiandoci in lei in modo speculare, che possiamo confrontarci con tutte le figure archetipiche che la popolano, intessendo risposte adattative al nostro modo di rapportarci con i personaggi reali del nostro mondo. Un’ accurato studio comparato, ci porta poi a comprendere, come il Libro Tibetano, possa essere considerato come una sorta di pregevole opera circa il significato della vita, dove i pensieri che di volta in volta

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vengono inanellati come fossero una collana di preziosissime perle, ci sono molto più vicini di quanto si possa supporre, perché si tratta dell'essere e nel non - essere, di ciò che è realmente transitorio e di ciò che non lo è, proprio come la nostra anima. Certo non si fa riferimento a teorie inconfutabili, a concettualizzazioni oggettive, ma si parla di poesia, la poiesis dell’anima hillmaniana, la bellezza dei suoi viaggi colorati, il dualismo con la coscienza, un parallelismo psichico e poetico come un quadro di Monet; un saggio storico che ha la capacità di aprire le porte della trascendenza e di far comprendere come oltre alla visione prospettica della materia, possa esistere anche una visione retrospettiva e forse anche introspettiva della non-materia. Insomma quasi come vedere il male oltre il male, l’amore oltre l’amore e l’amore oltre il male. Tra i filosofi greci è stato proprio Platone a stabilire paragoni calzanti della struttura dell'anima su un piano psichico oggettivamente corrispondente, con la problematica psicologica del Libro Tibetano dei Morti. Ho precedentemente fatto cenno, come splendidamente Platone nel Fedro paragonava l'anima a una coppia di cavalli che tiravano un carro "…… dei due cavalli diciamo che uno è buono, mentre l’altro no…” (Platone, Fedro, 252.d-253.). Orbene è evidente come Platone segnali con ciò, la duplice struttura della psiche di cui parla anche il Libro Tibetano, quando descrive la natura delle divinità “pacifiche” ed “adirate”. Tale riferimento risulta ancora più chiaro nel successivo passo, laddove lo stesso Platone si chiedeva come non risultasse evidente che nell'anima degli inetti, il giudizio potesse essere in contrasto con la cupidigia, i sentimenti coi desideri, e la ragione con la sconsideratezza. Ed è forse per questo che Ermete Trismegisto affermò che l'anima dell'uomo era demoniaca e divina?. Con la constatazione della polarità, dell'antinomia dell'anima e dell'autoesperienza psichica, di fatto si potrebbe quindi istituire, una fenomenologia comparata dell'anima che integrerebbe validamente la psicologia del Libro Tibetano. Non a caso ancora lo stesso Platone, accenna ai rapporti fra corpo ed anima da un lato, e tra la loro unità ed il mondo dall'altro, osservazioni molto simili alla nozione buddhista della struttura fondamentalmente dolorosa dell'esistenza. "…… Esiste come un sentiero che ci porta nella direzione giusta, ma fino a che avremo un corpo e la

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nostra anima sarà confusa a una simile bruttura, noi non giungeremo mai a possedere ciò che desideriamo, che è, poi, quello che noi chiamiamo verità. E non solo il nostro corpo ci procura infiniti fastidi, per il fatto stesso che, ovviamente, dobbiamo nutrirlo, ma quando si ammala, sorgono sempre nuovi impedimenti che ci distolgono dalla nostra ricerca della verità; e, poi, ancora, amori, desideri, timori, visioni fallaci d'ogni genere, vanità innumerevoli, non fanno che frastornarci (è la parola giusta) così che, fino a quando siamo in sua balia, non possiamo concentrarci su nulla. E così pure le guerre, le discordie, le zuffe, è il corpo che le fa nascere con le sue passioni. La brama di possesso, ecco la causa di tutte le guerre e se noi ci affanniamo a procurarci la ricchezza, è il corpo di cui siamo gli schiavi. Da tutto questo deriva il fatto che noi non troviamo più il tempo per dedicarci alla filosofia. E il peggio è che, se pure, riusciamo, per un momento, a liberarcene e a volgere la nostra mente a qualcosa, subito ne siamo distolti, per la sua importuna intrusione, che ci confonde, ci distrae, ci frastorna, al punto di renderci incapaci, ormai, di distinguere la verità. Dunque, è chiaro che se vogliamo giungere alla pura conoscenza di qualche cosa, dobbiamo staccarci dal corpo e contemplare con la sola anima le cose in sé. Soltanto allora, a quel che sembra, noi avremo ciò che desideriamo e che dichiariamo di amare: la sapienza, ma dopo che saremo morti e non certo da vivi, come tutto questo discorso vuol dimostrare. Se, infatti, non ci è possibile conoscere nulla nella sua purezza, perché siamo legati al corpo, due sono le cose: o in nessun modo ci è dato acquistare il sapere o esso ci sarà concesso solo dopo morti, perché soltanto allora l'anima sarà libera dal corpo e tutta sola con se stessa, prima no. Ma è chiaro che durante la nostra vita, noi saremo tanto più vicini alla conoscenza, nella misura in cui meno avremo a dipendere dal nostro corpo e ad avere con esso rapporti, se non per assoluta necessità, nella misura in cui riusciremo, cioè, ad essere, il meno possibile, contaminati dalla sua natura e quanto più, d'altronde, resteremo puri dal suo contatto, fino al giorno in cui dio non ci avrà del tutto da esso disciolti. Oh, allora, liberi e puri dalla fallacia del corpo, noi saremo uniti, con ogni probabilità, ad esseri simili a noi e potremo noi stessi contemplare tutto ciò che è puro. Questa, forse, è la verità: non è lecito, a chi è impuro, toccare ciò che è puro…." ( Platone, Fedone, p. XI ).

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Come si può notare, nel pensiero platoniano, non si tratta di un rifiuto del mondo per mera negazione ed unilaterale introversione, ma - proprio come sostiene anche la dottrina buddhista - di salvare un punto di vista superiore che in questo mondo della sofferenza non è di fatto reperibile, finchè si è legati ad esso fisicamente e psichicamente. Sciogliere questi legami significherebbe liberarsi da ogni vincolo e solo questa liberazione permetterebbe di conoscere la natura, non solo delle cose reali, ma anche della trascendenza. In fondo, quella che dobbiamo conoscere, quella che abitualmente definiamo una "via in salita", è una via che conduce verso l'interno, verso il profondo; la via che intensificando le facoltà della coscienza porta alla conoscenza dell'Io, alla autoconoscenza e - in una visione religiosa - al divino o all'assoluto. Il Libro Tibetano dei Morti definisce la via dell'ignoranza "il sentimento in discesa" che porta nel baratro dei tormenti infernali, nelle tenebre e alla reincarnazione. Quindi definendo la via della conoscenza, compenetrazione ed unione della coscienza con la meta della liberazione o di uno stato divino, si equipara di fatto, la conoscenza alla luce e l'ignoranza alle tenebre. Si esprimono sostanzialmente con questi vocaboli, i due stati opposti della coscienza. Infatti nella Chandogya – Upanisad, si legge che solo percependo al di là delle tenebre la luce suprema, la nostra luce, possiamo raggiungere la radiosa divina sorgente dell'energia, il sole, la luce assoluta. In base a questo simbolismo antinomico, la via che conduce l'anima o la coscienza verso la luce è definita divina, quella della trasformazione terrena del corpo è definita via della morte e della transitorietà. L'uomo è partecipe sia di una trascendenza, che lo eleva al di sopra di se stesso, sia di una transitoria esistenza terrena, o come dice Platone, che l'anima è uguale al divino e il corpo al mortale. E’ una visione del tutto fantastica, metafisica ed ideologica quella che la filosofia platonica e quella tibetana, propongono dell’anima e della coscienza, dei loro viaggi erranti “in salita” ed “in discesa”, ma pur sempre, una visione complessiva che ci pone dinanzi ad una certezza di tipo assoluto. L’anima per poter esistere per poter scaldare il nostro cuore, deve poter essere alimentata di luce costante, di trasparente intelligenza, di poesia immaginativa e solo così potrà vedere la “divina sorgente di energia”, il sole che illumina la strada della nostra vita, al di là delle tenebre dei nostri complessi.

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D’altra parte si sono innamorati dell’anima, tra gli altri, anche Jung, Galimberti, Hillman, ultimo dei quali ha basato la sua psicologia proprio sull’anima, proponendola su un dolcissimo piatto di base poetica. “…. Psicologia del profondo , il nome del moderno campo di studio che ha per oggetto i livelli inconsci della psiche – cioè i più profondi significati dell’anima. …..I confini dell’anima (psiche), nel tuo andare non potrai scoprirli, neppure se percorrerai tutte le strade: tanto profonda (bathun) è l’espressione (logon) che le appartiene. Dacchè Eraclito riunì in un’unica formulazione anima e profondo, la dimensione dell’anima è la profondità (non l’ampiezza e l’altezza) e la dimensione in cui procede il nostro viaggio d’anima, è verso il basso ……” (Hillman, Fuochi Blu, pg. 42 ). E’ nell’anima, in questo luogo così fantastico, così poetico e pieno di soffusa magia, che vi soggiornano gli archetipi, queste innate immagini primordiali, le quali in una sorta di olimpo divino, e quali creatrici di un universo volto a tenere sotto il dominio del suo cosmo, tutto ciò che facciamo, vediamo e diciamo, governano e dirigono le nostre prospettive. “…Essi sono le immagini assiomatiche a cui ritornano continuamente la vita psichica e le teorie che formuliamo su di essa … assomigliano ad altri principi primi assiomatici, i cosiddetti modelli o paradigmi, che troviamo in altri campi …. “ (Ibidem, pg. 43). Sono poi le immagini archetipiche, queste rappresentazioni così vive e così colorate, che da sole possono essere in grado di frantumare le croste dei loro significati allegorici, liberando nuove e sorprendenti intuizioni; immagini dolci, immagini belle, immagini repulsive, immagini fantastiche e demoniache, immagini ed ancora immagini, questa è la nostra mente, questa è la nostra anima, e se come afferma Jung, che l’immagine è psiche, allora necessariamente dobbiamo pensare le immagini come anime. “ …..C’è dentro ogni immagine ,un invisibile tessuto connettivo che ne costituisce l’anima …” (Ibidem, pg. 46). Nella nostra anima può sussistere l’archetipo di Eros, di Dioniso, di Mercurio, di Edipo, del dio tempestoso Wotan, e di tanti altri miti greci, ed ecco perché è necessario immaginare la nostra psiche nella sua metaforica molteplicità Solo loro sono in grado di offrirci un significato primordiale senza confronti, dei nostri modi di fare, di vedere, di sentire e di relazionarci agli altri.

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La nostra anima, la nostra coscienza è una sorta di “parlamento archetipico”, un po’ come il parlamento degli istinti cui faceva cenno K. Lorenz, dove ogni figura mitologica cerca in ogni modo di relazionarsi con gli altri, di sopraffare il concorrente o di ammaliarlo, di unirsi a lui, di coniugarsi o di reprimerlo, insomma una sorta di società psichica dove in una democrazia archetipica la coscienza, trova il suo risvolto speculare. L’anima mundi, di fatto è la nostra anima, perché la società esterna, il mondo esterno è fatto di tante anime che interagiscono, proprio come gli archetipi dentro la nostra psiche. Il non volgere più ad un “monoteismo” ancorché psichico anche sociale, ormai non più rispondente alle aspettative di tutti, ci dirige direttamente a quella bellissima prospettiva policentrica della mitologia Greca. “……. Oggi la via monocentrica viene seguita ogni volta che cerchiamo di risolvere una crisi nell’anima per mezzo della psicologia dell’Io , ogni qualvolta tentiamo di riformare …..La Grecia fornisce un modello policentrico che è il frutto del politeismo più riccamente elaborato di tutte le culture, e così può contenere il caos delle personalità secondarie e degli impulsi autonomi di una disciplina, di un’epoca, o di un individuo…..” (Hillman, Saggio su Pan, pgg.12,14). Quando si parla di anima quindi non si può più cedere alla tentazione di respirare un solo profumo, di assaporare un solo gusto, di cercare un’unica coscienza, ma dobbiamo sentire e vedere in modo policentrico cosa c’è dietro alle molteplici sfaccettature, perché solo in tal modo potremmo guardare avanti e renderci conto del fatto che dietro un’anima gentile e forse angelica, si può nascondere un daimon brutale e cattivo. Solo così potremmo sentire il soffio del malvagio, comprenderlo e combatterlo ad armi pari e solo così potremmo elevare l’anima a paradigma meta-psichico. Una visione del tutto monoteista e gretta del complesso “anima” l’annullerebbe, l’annienterebbe in un batter d’occhio, la depriverebbe di tutte le sue magnificenze, dei suoi conflitti e delle sue paure per poi renderla, sempre più in balia della più alta autorità demonica, in una sorta di dittatura dell’anima. Forse il ritorno alla mitologia ellenica, (come quella che ci induce di fare Hillman) è proprio la strada giusta per ritrovare la poesia, la democrazia fantastico-immaginale, di questa anima sociale e personale.

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I miti greci d’altro canto ci offrono il modo di capire dove e come volgono gli archetipi che sono in noi, che vivono e che formano la nostra anima, che governano la coscienza e le nostre umane prospettive. ‘Epistrophè’ ad esempio, significa riportare il tema della bellezza ad Afrodite, la quale come dice Plotino in diversi passi, è l’anima stessa: “ ..del mito Afrodite è anima”, “… ogni anima è Afrodite…”, “… l’anima è sempre un Afrodite …” ed ancora “….l’anima dell’universo è bella ovvero Afrodite è bella …”. Ma è proprio Afrodite, che nell’Odissea omerica e nell’Iliade, viene coinvolta in una guerra e che, scandalosamente, per passione o per gioco, per divertimento o per cupidigia, si unisce carnalmente ad Ares, Dio della guerra. Ma come può conciliarsi la bella, l’aurea, la sorridente Afrodite con il dio della guerra?. Quali possono essere le implicazioni dell’unione tra Venere e Marte, cioè tra la visibilità, la delicatezza dell’amore e della bellezza e colui che veniva definito Marte caecus, Marte insanus, cieco e insano, signore della furia guerresca? Difficile rispondere, ma questa rappresentazione può certamente ricondurci alla fondamentale comprensione, di come il mistero della “guerra” (sia di natura psichica che sociale), non sia una specifica ’aberrazione della natura umana, né l’ombra della civiltà e della nostra anima, né ancora un elemento necessario della lotta per l’evoluzione, ma sia un forte rapporto di “amore” e “odio” tra due figure archetipiche, che abitano nella nostra anima, che a volte si innamorano, altre volte si evitano. Marte ama soprattutto i nemici testardi che marciano contro di lui, ed Afrodite ammaliata dalla bellezza di Ares, utilizza diversi stratagemmi per far breccia nel suo cuore. E’ un equilibrio ed un parallelismo fantasticamente narcisistico, dove inevitabilmente, in questa sorta di “identificazione proiettiva” allorchè si colpiscano reciprocamente nella loro grandiosità, può capitare che l’uno debba lasciare la via regia all’altro. Però se è possibile, in questa visione policentrica, penetrare il segreto della “guerra”, comprendendone metaforicamente le strategie ed i meccanismi archetipici adottati da Afrodite e da Ares, sarà facile anche scoprire altri modi di soddisfare le loro richieste, altri modi di “guerreggiare” senza poter andare letteralmente in guerra e senza che la nostra anima si trasformi in un archetipo di violenza, di abusi, di sopraffazioni.

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Marte è sempre presente nella nostra anima pronto ad affilare le sue armi contro nemici che minano la sua grandiosità, ma solo una nuova consapevolezza del suo significato e del suo ruolo nella nostra vita psichica e sociale, può portare l’anima alla guarigione, volgendola dall’infernale ruolo a cui a volte viene rilegata, verso l’amore ed il rispetto per gli altri. “.. .Soltanto il dio che porta la malattia può guarirla. Il simile cura il simile. Come dice l’omerico Inno ad Ares: << ascoltami, protettore dei mortali, dispensatore della balda giovinezza, e riversa dall’alto sulla mia vita la tua mite luce e la tua forza guerriera, così che io possa allontanare da me l’odioso viltà e piegare nella mia mente la passione che inganna l’anima e frenare la forza travolgente dell’ira, che mi spinge a gettarmi nella battaglia agghiacciante; tu invece, o beato, concedimi il coraggio, e di rispettare le norme inviolabili della pace, sfuggendo al tumulto dei nemici, e alla morte inesorabile. >>” (Hillman, Città sport e violenza, pg.27). Jung disse, citando un antico motto latino “invitati o no, gli dèi saranno presenti”, per cui lasciamo che l’Inno omerico risplenda nelle nostre anime e faccia il suo prezioso corso, cosicché si possano ancora una volta far risplendere quelli che grandi poeti e narratori, hanno da sempre chiamato, “lo specchio dell’anima” .

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4.4 Angeli e Daimones – Destini cosmici § "…La mia voglia di vivere è un daimon ardente che talvolta mi rende maledettamente difficile mantenere la coscienza di essere mortale"; (Aniela Jaffé 29 maggio 1953, lettera a Jung )

§§ “....Ci sono piu' cose nella vita di ogni uomo di quante ne ammettano le nostre teorie su di essa. Tutti, presto o tardi, abbiamo avuto la sensazione che qualcosa ci chiamasse a percorrere una certa strada. Alcuni di noi questo 'qualcosa' lo ricordano come un momento preciso dell'infanzia, quando un bisogno pressante e improvviso, una fascinazione, un curioso insieme di circostanze, ci ha colpiti con la forza di un'annunciazione: Ecco quello che devo fare, ecco quello che devo avere. Ecco chi sono...” (James Hillman, Il codice dell'anima)

§

“...No Teagete la vera ragione ti sfugge ed io te la dirò. Infatti è un daimon che, per divina disposizione, mi accompagna fin dalla fanciullezza. E’ una voce che quando sopraggiunge, mi indica sempre di non fare ciò che sto per fare, ma non mi spinge mai a fare nulla. E se un amico mi chiede consiglio e la voce sopraggiunge, si verifica la stessa cosa, cioè distoglie e non permette di agire. E di ciò prenderò voi a testimoni: infatti conoscete Carmide, il figlio di Glaucone, che è diventato molto bello. Costui una volta venne da me a chiedermi consiglio, poiché voleva esercitarsi nello stadio a Nemea e subito, non appena egli cominciò a dire che voleva esercitarsi,

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sopraggiunse la voce e io glielo proibii e dissi: «Mentre stavi parlando mi è sopraggiunta la voce del daimon: "Non ti allenare"». «Forse», disse egli, «ti indica che non vincerò, ma anche se non posso vincere, trarrò giovamento da questo periodo di esercizi» e dopo aver detto questo prese ad allenarsi. Bisognerebbe dunque chiedere a lui cosa gli accadde a causa di quell'allenamento. Se volete, domandate a Clitomaco, fratello di Timarco, cosa gli disse Timarco mentre andava incontro alla morte: potrebbero dirlo appunto Clitomaco ed Evatlo, il corridore, che aveva accolto Timarco in fuga. Lui vi dirà cosa gli disse Timarco……”. Cosi Socrate rispondeva a Teagete in questo bellissimo passo di Platone (Platone, Teagete, 127.e – 129.a). Si parla di daimon, questa voce che come un “soffio di vento” percorre l’anima, la inebria della sua essenza, la riempie del suo spirito, un’anima dentro l’anima, una nebulosa subliminale racchiusa nel nostro inconscio, capace di segnare le nostre strade, di prenderci per mano e farci attraversare fiumi in piena, distese desertiche e valli magiche per poi giungere al suo fine ultimo, la valle del dolore o quella del piacere, quella del bene o del male, dove poter far risplendere la sua luce infernale o la sua dolcezza paradisiaca. Certo in un mondo positivista e pragmatico come il nostro, dove la scienza esatta e la logica razionale, condizionano ogni giorno le nostre capacità di percepire noi stessi ed il mondo esterno, diviene difficile parlare di “daimon”, di “vocazione”, di “fato” o di demoni primordiali, demoni così forti e autoritari capaci di condurci per “quell’insolito destino”, senza che non vi sia possibilità alcuna per la nostra anima di coartarli o indirizzarli verso quella via che le regole della morale sociale impongono. Le parole greche daimon e daimonio esprimono infatti, una potenza infero-ancestrale, una forza determinante non soggetta all’arbitrio dell’individuo che ne è il portatore; sono forze naturali che potremmo definire oggi come impulsi. “ ….. Un’autorità siffatta si può chiamare ‘volontà di Dio’ oltre che azione di forze naturali ….” scriveva Jung (Jung, Aion,in Opere, Vol. 9**, pg. 25), “…….Quando dico che gli impulsi che ritroviamo in noi debbono essere intesi come volontà di Dio intendo mettere in evidenza il fatto che essi devono essere considerati non come desideri e voleri arbitrari, bensì come dati assoluti con i quali bisogna per così dire, imparare a trattare come si conviene.

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La volontà è capace di dominarli solo parzialmente. Forse può reprimerli, ma non alterare la loro natura: ciò che è stato represso ricompare in altro luogo e in forma mutata, ma questa volta aggravato da un sentimento che ci inimica l’impulso naturale, in sé innocuo. Vorrei anche che il concetto di Dio nell’espressione volontà di Dio non sia inteso in senso cristiano, bensì in quello che gli dà Diotima quando dice: “ Eros, caro Socrate, è un demone potente…… “ (Ibidem, pg. 27). Eros infatti è un demone mediatore capace di accompagnare l’anima verso il divino. Solo un lungo processo di individuazione che ogni essere umano deve poter compiere, può far scoprire il senso della vita, il mistero del mondo, l’enigma della propria anima e la labile luce demoniaca che si nasconde nella nostra interiorità. Proprio il demone Eros ad esempio, si pone nel contesto della coscienza greca come un abitante del metaxy, il regno intermedio tra l’umano e il divino. E’ il principio copulativo tra due sfere, notturno e diurno, è la forza che anima, che crea, che dà la vita “ …… è il principio trascendente che innalza la capacità psicologiche dell’individuo connette il personale con qualcosa che è al di là dell’esperienza personale. Conduce l’anima agli Dei …” (Hillman, Il mito dell’analisi, pg. 82). Eros ci insegna ad amare ed odiare. Esso fa da ponte spirituale con il nostro daimon che sin dalla nascita, vuole essere coccolato ed ascoltato, ma mai trattato da bambino: anzi si dimostra insofferente qualora si contamini con un’anima fanciullesca. Mostra smania sulla sua incarcerazione dentro un corpo immaturo, odia la sua identificazione tra la sua visione perfetta e un imperfetto essere umano. Il daimon nella sua grandiosità fa brillare, come una perla nell’acqua cristallina, tutta la sua potenza finalistica, ordinando ed impartendo movimenti e comportamenti razionali od irrazionali, immagistici o reali, gioca con la nostra anima, la concede ai demoni presenti, a tutti i dèi archetipici dell’Olimpo psichico, la riprende e la plasma, la colora della sua ombra e la impernia del suo gelido profumo. Ma se l’anima sceglie il proprio daimon e sceglie la propria vita, quale capacità di decisione ci rimane?, si chiedeva Plotino!. E’ vero, siamo di fatto intrappolati dentro il velo dell’illusione, convinti di essere gli autori della nostra vita, quando invece la vita di ciascuno di noi è in verità predeterminata, destinata, e noi non facciamo altro che realizzare il piano segreto inciso nel cuore. “ ……….Il fatalismo è così l’altra faccia,

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la grande seduzione dell’Io eroico, che in questa civiltà del fai da te, dove l’asso piglia tutto, ha già un peso sulle proprie spalle. Più pesante è il carico, più forte è la tentazione di deporlo o di trasferirlo su un portatore più grosso e più forte, il Fato ad esempio ………” (Hillman, Il codice dell’Anima, pg.242), Fato inteso come una momentanea ‘variabile che si interpone’. C’è proprio un termine in tedesco ‘Augennbliscksgott’, che indica una divinità minore che ci passa accanto rapida come un battito di ciglio, producendo effetti momentanei. Le persone religiose parlerebbero di un angelo che intercede per noi. “……..Ecco quindi più che un compagno costante, che affianca i tuoi passi tenendoti per mano durante tutte le crisi della giornata, il fato interviene nei momenti più inattesi, ti strizza l’occhio o ti dà una bella spinta…..” (Ibidem, pg. 244). Neppure Jung, da quello che si può si leggere nelle ultime pagine della sua autobiografia, poté sfuggire alla tanto violenta quanto inevitabile esperienza del suo daimon: “….Ho penato molto a tener dietro ai miei pensieri. C’era in me un demone, e alla fine la sua presenza si è dimostrata decisiva. Mi dominava [...] Dovevo obbedire a una legge interna che mi si imponeva senza lasciarmi libertà di scelta. [ ...] Un uomo dotato di spirito creativo ha poco potere sulla sua vita. Non è libero. E’ incatenato e spinto dal suo demone. [...] Questa mancanza di libertà è stata per me un gran tormento. [...] E’ una cosa straziante. E sono io l’offerta sacrificale [...] ….“ (Jung, Ricordi, Sogni, Riflessioni, pgg. 416,417,418). Ed è proprio il sacrificio, quello che chiede il daimon, il sacrificio della nostra anima perché è rimessa alla sua valutazione, alle sue direttive. La nostra coscienza nulla può contro la sua potenza divina ma deve poter essere sempre in grado di attivare gli archetipi mediatori, gli altri demoni presenti nella nostra anima, relazionandosi con loro, e lasciandoli rappresentare, affinché possano arginare, le spropositate ventate infernali che lo stesso daimon a volte spettacolarmente propone. Dobbiamo immaginarlo metaforicamente come il letto di un grande fiume nel quale l’acqua sorgente, a volte dirompente, a volte calma, non può che rimanerne imprigionata, e dove nel sacrificio ‘cosciente’ di poter difficilmente rompere gli argini, è costretta a seguire la corrente imposta, sfociando così, lontano o vicino, nel mare aperto o racchiuso in una

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solitaria diga. Gli affluenti sono gli altri abitanti dell’anima, demoni ed angeli che volteggiando magicamente, cercano di conquistarsi, di congiungersi o respingersi l’un l’altro, e che in modo archetipico attiviamo inconsciamente per mediare quella forza dirompente e fatale, in una vana speranza che il nostro ramoscello fatato possa giungere, portato dalla corrente, sulla sponda sperata. Parlo di angeli e demoni perché sono gli unici che possono influenzare la nostra guida del profondo, spiriti guardiani che con il loro potere simbolico riescono sempre a dare un tocco di speciale e mutevole personalità ad ogni nostro comportamento. Il bene o il male, morale od immorale, essi pongono sul daimon origine, una luce calda e brillante o gelida e cupa. Angeli o demoni questi sono i nostri veri guardiani dell’anima! Quante volte Lucifero ci ha toccato inconsciamente con la sua fredda e gelida anima rivelandosi poi per la via regia del sogno. Quante volte un angelo ci ha preso per mano dal mondo degli inferi e ci ha portato nella sfera della salvezza, nel mondo dei vivi. Il nome di Lucifero, equivalente ad ‘Apportatore di Luce’ era dato nell’antichità, al pianeta Venere che appariva in cielo prima dello spuntare del giorno; I demoni come Lucifero ed Eros nell’ambito della coscienza greca erano difatti considerati come forze non soggette all’arbitrio dell’individuo, forze determinanti, che operavano da separatore proprio come Cronos che, separando Cielo e Terra, uniti in un amplesso continuo rese possibile la nascita dei suoi figli. Il principe del Mondo vincola al mondo, apporta la luce, dona la conoscenza della singolarità, dell’essere scissi, separati da tutto il resto : “….. Io formo la luce e creo le tenebre, do il benessere e creo l’avversità; Io, l’Eterno son quegli che ha fatto tutte queste cose …. “ (GuggenbuhlCraig, Libro di Giobbe, pg.97). Lucifero, il primo figlio di Dio, è il diavolo dai capelli d’oro e l’oro, è il simbolo della luce della conoscenza. Si narra infatti che Dio avesse cari soprattutto due angeli Lucifero e Michele, il primo come dice anche il nome era il preferito. Egli era la stessa intelligenza di Dio ed aveva il compito di illuminare ciò che Dio creava e gettando luce sulle creature divine, le traeva dall’oscurità. Egli si inebriò così tanto del suo potere, che giunse ad auto-identificarsi con Dio, peccando così di una indicibile superbia. Intervenne quindi Michele, l’altro

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angelo, il quale attraverso una lotta cosmica, ripropose la conoscenza del limite, rappresentandolo. Lucifero fu così sconfitto, ma essendo un angelo immortale non morì e divenne il simbolo del Male, simbolo dell’inflazione, di una conoscenza arrogante e dannosa. Michele rimase ad essere quindi la rappresentazione del Bene, tanto che attraverso la sua attività limitante si riesce sempre a misurare l’equilibrio cosmico e gli effetti maligni del nostro daimon. Anche gli angeli come i diavoli sono in perenne contatto con la divinità, la rispecchiano costantemente, essi formano una sorta di filtro della luminosità Divina. Nessuno nel pallido mondo della nostra razza potrebbe mai contemplare, seppur filtrata, la potenza del volto di Dio. La sua essenza è talmente impensabile per noi umani che non esistono parametri su cui confrontarla. Solo la nostra coscienza può ospitare una luce così grande, e solo la gerarchia angelica può porre freno all’intemperanza maligna di Lucifero o di Mefistofele, di Abaddon il devastatore infernale dell’Apocalisse o di Belial il malvagio, o ancora del demoniaco e grandioso Satan. Angeli e demoni quindi pronti a renderci “buoni” o “cattivi”, ammaliatori o infime creature, grandi amanti o spettacolari dissimulatori, persone illuminate e degne di santità o criminali violenti e degenerati, papà e mamme amorevoli o pedofili incestuosi ed orrendi killer. E’ la luce od il buio tombale dell’anima che accende le peripezie dei nostri daimones, ed è nel regno della metaxy, ove si svolgono le continue guerre cosmiche angelo-demoniache, dove infine la ‘predisposizione ad agire’, viene segnata. Quante volte abbiamo visto nel comportamento di tante persone, l’illuminazione angelica dell’animo divino, gli occhi di Dio, la potenza archetipica del Bene, l’arcobaleno dei sentimenti di purezza, ed in tanti altri invece la crudele voracità di Satana, l’odore infernale di Mefistofele, l’ombra infima degli inferi. Il pedofilo violento ed omicida è uno di questi, che come un feroce essere malvagio assetato di sangue, si pone ritualmente in cerca della sua piccola preda. Il pensiero lo avvolge, l’immagine del Puer lo attanaglia, Lucifero si impadronisce dei suoi occhi, Satana della sua anima e delle sue immagini. Un potente richiamo dagli inferi gli ricorda il sapore del sangue, l’odore della bestia smembrata, il sacrificio divinatorio del piccolo animale.

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La sua grandiosità si nutre di nuovo spirito, attiva tutte le forze infernali, combatte e distrugge cosmicamente i pochi angeli chiamati a mediare, e lì non può far altro che porre in essere la sua strategia criminale: “evirare”, con una strabiliante lucidità psichica, la sessualità del Puer soggiogato. La recide come fosse un fuscello al vento, se ne impossessa e la assapora con glaciale freddezza, privandone per sempre il piccolo fanciullo e nutrendone la sua anima demoniaca. Ma non basta perché la tempesta per concludersi, deve mostrare tutto il suo impeto e affinché possa risplendere ancora una volta l’arcobaleno nella propria anima turbata, deve soddisfare l’intera furia vorticosa. Il Dio Pan, spinge alla coscienza, il suo archetipo cerca la letteralizzazione, vuole lo stupro, cerca la circonvenzione totale dell’anima e della sottomissione della pura sessualità. Il pedofilo, inizia ad abusare del fanciullo, una volta due volte, tre volte ……anche più!. L’Archetipo di Pan, simbolo mitologico del sesso sfrenato e violento, così appagato, lascia poi che altri demoni portino l’anima pedofila a rappresentare nuovi infernali logos. Ed è a volte la figura del titano Crono e degli altri Titani che non lasciano spazio a nessun altro, impossessandosi in modo vorticoso dell’anima. Con loro nessun Puer potrà mai raggiungere il Senex, perché l’infanticidio è la loro arte e la loro possibilità di rimanere immortali. Solo l’opera sacrificale del fanciullo, porterà agli infernali miti una nuova ventata di purezza, una sorta di fanciullesca spiritualità, e l’immortalità tanto ricercata. Lo stupro come il sacrificio dei bambini è da sempre appartenuto all’esistenza umana e divina da molto prima che la psicologia potesse spiegarlo e concettualizzarlo. “…. vi è la specifica lacuna nei riguardi dello stupro, come se l’astensione della psicologia dall’indagine la tenesse al riparo da un orrore ……Se la masturbazione è sanzionata dalla divinità, sé è inventata da un Dio, allora lo stupro ha un fondamento ancora più saldo della divinità poiché lo stupro di ninfe e mortali - e di un Dio da parte di un altro – è una figura corrente nella mitologia greca. Lo stupro non è specifico di Pan , però è caratteristico di Pan …..” (Hillman, Saggio su Pan, pg. 86) ed ancora, “ ….. Lo stupro rivela la necessità coatta che sta dietro e dentro ogni forma di generazione. Quanto più si è vicini al mondo della natura materiale, tanto più il potere divino si manifesterà in forma sessuale e coatta ……Se non questi

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tentativi esterni, allora il sogno e la fantasia e l’immaginazione delle arti possono trasporci nel mondo mitico dove valgono altre leggi e dove lo stupro è appropriato. Questa soluzione dice che possiamo fare qualsiasi cosa ‘dentro di noi’, ma non metterla in atto là fuori. Il sacro e mitico diventa ora intrapsichico e mentale mentre il secolare diviene comportamento…..Lo stupro situa la pulsione del corpo verso l’anima in una metafora concreta. Spinge l’anima alla concretezza. Mette forzatamente fine alla divisione tra comportamento e fantasia violando la privilegiata distanza dell’anima che vorrebbe vivere la vita attraverso la riflessione e la fantasia……Il linguaggio dello stupro parla in genere di deflorazione, il cui paradigma è Persefone, la quale coglieva fiori quando fu afferrata da Ade ….”(Ibidem, pgg. 89 e 95), dove per deflorazione è da intendersi morte della coscienza fiorita che viene penetrata in modo violento. Il sacrificio di bambini come accennato, ha spesso rappresentato nell’antichità, una metafora simbolica tra il divino e l’umano. Gli Aztechi, ad esempio, erano implacabili assassini di fanciulli prepuberi. Alle calende del primo mese essi uccidevano molti bambini, sacrificandoli in molti posti e sulle cime delle colline, strappando loro il cuore in onore degli dei dell'acqua e così avanti anche per il primo giorno del quarto mese. Tlaloc, il Dio della pioggia era particolarmente insaziabile ed a lui venivano offerti numerosi bambini, per la maggior parte infanti. Mentre venivano trasportati in lettighe aperte, vestiti con gli abiti da festa e circondati dai più freschi germogli primaverili, commuovevano a pietà anche il più duro dei cuori, anche se le loro grida venivano soffocate dai canti sfrenati dei sacerdoti che, nelle loro lacrime leggevano un favorevole auspicio per le loro richieste. Ed è proprio il sacrificio del Puer che il pedofilo pone in atto in modo rituale, e solo mediante la ricerca del mito dimorante nella profondità del suo animo, che ci può insegnare a comprendere il perché di quella condotta così crudele e cruenta che di volta in volta pone in essere. Il mito infatti è il bisogno di spiegare la realtà, di superare e risolvere una delle tante contraddizioni della natura; il mito è la spiegazione di un rito, di un atto formale che corrisponde ad esigenze tribali (ad esempio l’invocazione della pioggia), è la struttura di credenze di gruppo di un etnos (ad esempio la condanna dell’incesto), ma come dice la parola, il mito è soprattutto un

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racconto che può avere anche lati terribili ma dove ci sono dei personaggi in azione ed una trama che si snoda. I Titani sono i miti crudeli del pedofilo violento, le figure archetipiche in cerca di ‘animaletti sacrificali’, le quali, dall’Ombra degli inferi danteschi, si ergono tumultuose per raccontare la loro storia. Si narra che Zeus generò in segreto suo figlio Zagreo in Persefone, prima che essa fosse condotta nell’Oltretomba da suo zio Ade. Egli poi affidò ai Cureti cretesi figli di Rea, o secondo altri ai Coricanti, il compito di custodire la culla di Zagreo nella grotta Idea. Ma i titani, nemici di Zeus, sbiancandosi il volto col gesso per rendersi irriconoscibili, attesero finchè i Cureti furono addormentati e a mezzanotte indussero Zagreo a seguirli, offrendogli dei giocattoli: un cono, un rombo, mele d’oro, uno specchio, un astragalo e un batuffolo di lana. Zagreo diede prova di grande coraggio quando poi i Titani gli balzarono addosso minacciosi, e si sottopose a varie metamorfosi per trarli in inganno: divenne successivamente Zeus avvolto in pelle di capra, Crono che faceva cadere la pioggia, un leone, un cavallo, un serpente cornuto, una tigre ed un toro. A questo punto i Titani lo afferrarono saldamente per le corna, gli affondarono i denti nella carne e lo divorarono vivo con una cattiveria inaudita. Non ci vuole molto a comprendere che è proprio da questo mondo immaginale, che l’archetipo dei Titani a volte si letteralizza nella coscienza del pedofilo, che si manifesta in tutta la sua viltà primordiale, in tutta la sua crudele condotta nei confronti di qualsivoglia essere inerme ed indifeso, di qualsiasi Puer costretto ad assecondare quella potenza titanica vorace ed apocalittica, in una strategica difesa della propria grandiosità patologica. Egli crea l’immagine perversa, premedita la condotta, rappresenta alla coscienza una fantasia immagistica da inferno biblico, rende agli occhi una luminosità fredda, gelida, demoniaca riflettendo in modo vivido, tutta la malvagità che via via si va formando all’interno della sua anima. In questo teatro psichico, gli altri demoni cercano di interagire, di congiungersi al male o di rinchiudere i Titani nell’Ombra, sembra che scompaia come un lampo all’orizzonte la ‘democrazia psichica’, quella democrazia archetipica capace di mediare il bene ed il male dal mondo reale, quell’Olimpo metaforico della nostra anima dove l’Arcangelo Michele combatte in una guerra senza sosta, il demone Lucifero.

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E’ la guerra del bene contro il male che avvolge l’ anima pedofila di quell’oscurità indecifrabile, di quel colore che non ha toni, di quel non– colore. Ma dove il mito del titano Crono e degli altri Titani , ha posto le sue radici e dove si è elevato a regnante dell’universo immagistico, l’Angelo deve arrendersi a quell’onda anomala, a quella forza maligna e demoniaca, a quell’immagine di morte. L’archetipo titanico, esce quindi allo scoperto, la sua grandiosità patologica, gli impone di ricercare nuovi Puer da plasmare da avvolgere con la sua subdola essenza, non può più farlo con esseri a lui simili, perché i suoi sentimenti sono decaduti, messi al bando, cacciati nelle Tenebre. Il Titano, dissimula la propria identità, offre giocattoli, caramelle, doni, cerca il contatto, rasserena il fanciullo dal pericolo della figura dell’Orco fiabesco. Vuole il Puer, vuole l’animaletto da sacrificare, vuole distruggere la sua sessualità pulita, trasparente, la sua angelica purezza. Vuole poterlo violentare nel profondo, nell’anima, vuole berne il suo succo, vuole annientarlo ed ucciderlo perché solo così potrà ottenere l’immortalità del proprio Sé grandioso, l’immortalità fanciullesca che trionfa su tutti e la certezza di poter sopravvivere ancora tra gli archetipi della nostra anima.

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4.4.1. Il caso: Il daimon di una vittima Sabine Dardenne

In comunione con lo spirito generale di questo testo, dove ho tentato con forza di dimostrare l’esigenza di volgere uno sguardo retrospettivo ad un fenomeno prettamente oggettivo, tenterò con questo paragrafo di portare alla luce in modo concreto, un aspetto dell’anima che da sempre ha affascinato i filosofi e gli psicologi del nostro tempo (vedasi ad esempio Platone, Hillman, Kaets etc..): il daimon, già peraltro affrontato in precedenza nei suoi aspetti teorico-generali. Questa volta però cercherò di farlo, non evidenziando quello di un “carnefice”, ovvero di un “seme cattivo”, ma quello di una piccola vittima di un pedofilo sadico, Sabine Dardenne, della cui tragica storia ne ho fatto cenno nel primo capitolo. Sabine già da molto piccola, si mostrava come una bambina decisamente ribelle ed indipendente, tanto da essere accusata di avere “un brutto carattere”. Tale caratteristica però a suo dire gli permetteva, con grande sua soddisfazione, l’indipendenza che tanto cercava. Non era raro infatti che a seguito dei rimproveri sui motivi più vari, si ritirasse spesso a giocare in solitudine o con altre sue amiche, nella sua casetta in fondo al giardino, evitando di fatto, l’imposizione autoritaria (di studiare, di lavare, di riordinare la cameretta etc…) dei suoi genitori. Sabine nel suo racconto relativo agli ottanta giorni di prigionia trascorsi con il “Mostro di Marcinelle”, afferma: “…In fondo il mio brutto carattere era il mio miglior amico e lo è ancora …” (Dardenne, S., Avevo 12 anni, ho preso la mia bici e sono partita per andare a scuola…., pg. 13). Orbene Sabine non lo sapeva, ma il suo daimon, aveva già una sua personalità, le si era mostrato, era divenuto un suo amico, ma Sabine non lo sapeva, non poteva saperlo. Il suo daimon, o come i latini chiamavano genius, era quindi il suo “brutto carattere”, era l’essenza della sua anima, la sua ghianda, quel “qualcosa” che si velava proprio dietro la maschera del suo difficile carattere. Era l’immagine che la definiva e che l’avrebbe definita nel tempo!.

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Hillman a tal proposito scrive “….I bambini costituiscono la miglior dimostrazione pratica di una psicologia della provvidenza. E non mi riferisco tanto a quegli interventi miracolosi, alle storie incredibili di bambini che cadono da cornicioni altissimi senza farsi nemmeno un graffio, che vengono recuperati vivi da sotto le macerie dopo un terremoto. Mi riferisco piuttosto al banalissimo miracolo in cui si rivela il marchio del carattere: tutto a un tratto, come dal nulla il bambino o la bambina mostrano chi sono, la cosa che devono fare…..L’immagine di un intero destino sta tutta stipata in una minuscola ghianda, seme di una quercia enorme su esili spalle. E la sua voce che chiama è forte e insistente e altrettanto imperiosa delle voci repressive dell’ambiente. La vocazione si esprime nei capricci e nelle ostinazioni, nelle timidezze e nelle ritrosie che sembrano volgere il bambino contro il nostro mondo mentre servono a proteggere il mondo che egli porta con sé e dal quale proviene…” (Hillman, Il Codice dell’Anima, pg. 29-30). Sabine aveva già la sua vocazione, il suo fato, la sua piccola ghianda. I suoi capricci, le sue ritrosie nient’altro erano, che l’espressione manifesta del suo daimon, che voleva imporre il suo potere sul mondo autoritario dei genitori, sul mondo esterno. Il fanciullo poi, come anche afferma Galimberti in un’inedita intervista, è un toto-potere, un daimon iper-potente che ponendosi in relazione con il mondo reale, si scontra con gli altri poteri tanto che, quando possa manifestare “grave pericolo” per quello di una personalità distorta, malata, o per di più patologicamente narcisistica, rischia di essere voracemente distrutto. E’ questo infatti il motivo per il quale il daimon del bambino si dissimula nelle citate timidezze, nelle ritrosie e nei capricci più inauditi e futili, non manifestandosi invece apertamente. Esso si deve difendere, deve proteggere il suo mondo, deve poterlo far crescere sino a che sia il momento giusto, affinché la ghianda si liberi dal guscio perché matura. Sabine Dardenne, all’età di 12 anni, in una giornata come tante altre, mentre si recava a scuola in bicicletta, veniva con forza prelevata da un pedofilo sadico Marc Dutroux che provvedeva a segregarla, per oltre ottanta giorni, ed a violentarla ripetutamente “….Credo di averlo “gonfiato” di domande fin dall’inizio, detesto non ottenere risposta. Ancor oggi se non ottengo risposta, mi innervosisco immediatamente e mi incaponisco finchè non la ottengo….Ero già aggressiva con quello strano

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personaggio: aveva l’aria sporca, due occhi da fare paura, capelli grassi e collosi come “intinti nell’olio”, dei baffi ridicoli. …Cercavo di dibattermi, urlavo di paura e di rabbia e questo non gli piaceva… Ne avevo abbastanza …Quando ha insistito per farmi qualcosa che non volevo, mi sono perfino azzardata a insultarlo ad alta voce – cosa che mi placava – “ lei è davvero un coglione, non è mica normale, non voglio!. Lei mi fa cagare!”…” (Dardenne, Avevo 12 anni, ho preso la mia bici e sono partita per andare a scuola…., pg. 37-38). Il daimon di Sabine, non solo non era per nulla investito della tragedia che l’aveva vista come l’attrice principale, ma cercava di manifestarsi proprio come faceva sempre all’interno del suo nucleo familiare, dove invece dell’odio, della violenza e del sadismo regnava invece l’essenza della vita: l’amore. Esso quindi è immune dagli umori, dai sentimenti, dalle emozioni, egli è l’essenza della neutralità, è l’indipendenza spirituale, è la dimostrazione di trascendenza. Non a caso Marc Dutroux, si trovava spesso in difficoltà nell’incontrare una personalità così piccola, ma allo stesso tempo ribelle ed amorevole. Una personalità che quasi risultava segnata come una formula matematica scritta su di una lavagna. Egli cedeva spesso ai “capricci” di Sabine ma non certo per amore come a volte si è tentato di far credere. “ ….Ne avevo abbastanza di essere nuda, non volevo scendere così a mangiare con lui nella stanza al piano di sotto. Mi fa orrore essere nuda. Avevo freddo, non capivo lo scopo di lasciarmi da sola in quello stato, per cui ho reclamato con tono risoluto la mia biancheria e il resto. Mi ha reso la prima, poi i miei jeans, poi il resto non so più in che ordine,né in quale giorno, ma ho dovuto restare per settimane con le stesse mutande e nient’altro....( Ibidem, pg. 26), ed ancora “….Un giorno ho notato che le mie lacrime gli facevano quasi piacere e ho deciso di non piangere più davanti a lui. E alla fine ero io che reclamato la crema dolce, le caramelle o la frutta, se non me le dava. …. Ho chiesto di lavare i miei vestiti. E’ stato allora che ha risposto: “ Va bene, d’accordo, te li lavo io…Avevo conquistato una pena in più. E lui mi ha regalmente concesso, invece delle mie cose, un paio di short ed una camicetta che non mi appartenevano…”Non posso non parlare con nessuno, sono stufa! A casa

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mia ero piena di amiche Ne voglio una”… “E’ arrivata la tua amica…” (ibidem, pg. 52,78,83). Egli cedeva perché il suo daimon già manifesto, già ormai maturo, era curioso di poter vedere quello della piccola Sabine, di svelarlo, di poterlo inglobare come aveva già fatto con tante altre bambine. Ma con Sabine il gioco non è riuscito, il suo piccolo daimon, ancora acerbo, ha vinto la battaglia, non si è manifestato, è rimasto nel suo mondo fatato, permettendo quindi alla quercia di poter vivere su quel terreno impervio e pieno di pericoli, per tanto tempo, per troppo tempo. Sabine veniva liberata dopo ottantadue giorni di prigionia nel corso dei quali subìva angherie e violenze inaudite. Sabine si è salvata, il suo daimon aveva già scritte quelle pagine della sua vita, ancor prima che scegliesse il suo piccolissimo corpicino, ma ella non poteva saperlo. Però il suo daimon non era un seme cattivo e la sua forza ed il suo toto-potere di affermazione, gli hanno permesso di vivere, di non lasciarsi mai andare, di affrontare a viso aperto i continui abusi, di combattere alla pari con un “Mostro” e di lasciar quindi ancora vivere, quella splendida e piccolissima anima che era in lei. Bentornata Sabine !!!!!!!!!

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4.4.2 Satanismo, pedofilia e traffico di organi umani – Un osmosi criminale tra leggenda e realtà

Sabine Dardenne, dell’età di 12 anni, è una delle due sopravvissute a ottanta giorni di prigionia nel covo sotterraneo di uno dei pedofili più violenti e sadici degli ultimi tempi, Marc Dutroux il cosiddetto Mostro di Marcinelle. Otto anni dopo ha testimoniato nel processo e mediante la pubblicazione di un libro riguardante la sua terribile esperienza (e di cui si riporta breve stralcio ) ha deciso di affidare alla carta la sua guerra psicologica contro le torture fisiche e morali che la ha inflitto il “mostro”. “….Avevo dodici anni. Quella bici non l’avevo mai chiesta (…)La usavo per andare a scuola solo da qualche settimana (…)Pedalavo tranquillamente mentre il giorno spuntava appena. Martedì 28 maggio 1996. Non si pensa tutte le mattine, andando a scuola di poter essere rapite al volo da un predatore in agguato all’interno di un camioncino (…) Quel momento preciso e quel punto sono rimasti fissati, insopportabilmente nella mia testa. E’ in quel momento che un mostro mi ha rubato l’infanzia. (…) Mi sono sentita “strappare”dalla bici in un secondo, letteralmente afferrata al volo, una mano in bocca,l’altra sugli occhi. (…) Immediatamente avvolta in una coperta, ho visto una mano che tentava di infilarmi a forza delle pastiglie in bocca (…) Quello che posso descrivere della stanza in cui mi trovavo, l’ho osservato più tardi. Forse il terzo giorno. In un angolo, dei giochi per bambini, una culla (…) Subito mi ha messo una catena al collo e mi ha legata alla scala del letto con un lucchetto (…) Il secondo giorno, la testa appena più lucida, mi ha liberato dal vincolo della catena e mi ha portata in un’altra camera, di fianco la sua credo, con un grande letto. L’ho battezzata più tardi “la camera del calvario”. Vi ho subito le prime violenze (…) Mi viene a prendere per mangiare, mi trascina in camera sua, mi riporta giù in cantina e la cosa ricomincia. Tutti i giorni. Ed è una pena per me subirla (…) ( Dardenne, S., Avevo 12 anni,

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ho preso la mia bici e sono partita per andare a scuola…., Bompiani Overlook, 2004) °° Paul Bonacci, giovane americano recluso in isolamento al centro correzionale di Lincoln, nel corso di una perizia psichiatrica, (perizia che peraltro accertò la sua piena sanità mentale), ha raccontato: “…Ero nelle mani di un gruppo denominato Namba (North American man – Boy Love Association) che mi portava in riunioni a New York o a Boston. All’età di 9 anni, fui portato in un hotel con altri 5 ragazzi e ci hanno costretti ad avere rapporti sessuali mentre ci filmavano. In seguito mi obbligarono ad avere rapporti con bambini. Solo nel 1986 sono riuscito a slegarmi dal gruppo. (…). Nell’estate del 1985, Larry King (leader del progetto repubblicano di aiuti alla comunità di colore americana, ndr) mi portò, insieme ad un altro ragazzo, Nicholas, di Aurora, nel Colorado, in California per girare un film. …c’era un ragazzo in gabbia. (…). Ci fecero spogliare e indossare dei vestiti tipo Tarzan e ci obbligarono ad avere rapporti con il ragazzo nella gabbia. Ci dissero di picchiarlo. (…). Arrivò un uomo e iniziò a sbattere il ragazzo come se fosse una bambola. Prese una pistola, gliela puntò in testa e sparò… (Bonacci poi fa i nomi di alcune delle persone che hanno abusato sessualmente di lui, ndr) Alan Bair, Peter Citron, Larry King, Harry Anderson, il deputato Barney Franks, a Washington. (…). …nel 1984 mi portarono al ranch South Fork, a Dallas, nel Texas, in corso la Convention Repubblicana e Larry King organizzava dei party-pedofili……” (Giovanni Caporaso e M. Cocozza Lubisco, Bambini. Il mercato degli orrori, in “Avvenimenti”, 17 luglio 1991). Paul Bonacci fu testimone di accadimenti ancora più spaventosi e prosegue il suo racconto con rivelazioni scioccanti: “…Sono stato testimone del sacrificio umano di un bambino di pochi mesi. Era la ricorrenza del tempo della nascita di Cristo e, in questo rituale annuale, tutti cantavano per pervertire il sangue di Cristo. Con un pugnale uccisero e fecero a pezzi il bambino; poi riempirono una coppa col suo sangue mescolandola ad urina e ci obbligarono a bere

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dalla coppa mentre loro cantavano: ‘Satana è il Signore…’ ” (DeCamp J., The Franklin Cover-up, AWT, Inc. Lincoln, Nebraska 1992). °° Rhuma aveva 4 anni. Ne avrebbe compiuti 5 in ottobre. Era una bella, vivace bambina, l'unica figlia femmina di Ali Akmad, 40 anni, commesso in una botteguccia di ferramenta al bazar. Martedì 21 agosto 2001, ecco la data che quest'uomo, piccolo, macilento che da allora ha perso il sonno e l'appetito, non dimenticherà mai più. E' la data della scomparsa della sua Rhuma. Poco dopo l'ora di pranzo, Rhuma, dopo aver mangiato un po' di riso, esce in strada Akmad e i suoi vivono nel popoloso quartiere Shasdarak per giocare con gli altri bambini. Lo fa sempre. La madre non si preoccupa più di tanto. Qualche minuto dopo Najib, 18 anni, il fratello più grande, sente una brusca frenata, un pianto disperato e si precipita subito in strada, Rhuma non c'è più e i suoi compagni di gioco muti indicano il gippone che se la sta portando via. Urla a sua volta, Najib: "Papà, l'hanno rapita, rapita". La strada si affolla di gente, di madri preoccupate. Riscatto, vendetta? Due ipotesi che Ali nemmeno prende in considerazione. Non ha soldi, guadagna solo poche decine di dollari al mese, e non ha mai torto un capello a nessuno. E allora perché?, si chiede senza trovare risposta. Anzi una risposta ce l'ha ma non vuole prenderla in considerazione. Vive ore da incubo facendo mille congetture, passando al setaccio tutta la sua povera vita. Ma niente, non sa spiegarsi perché sia toccato proprio a lui. Due giorni dopo, giovedì, ore 23. Il rombo di un'auto in corsa e qualcosa che va a sbattere quasi contro il loro uscio fa sobbalzare Ali e sua moglie che si precipitano fuori. Per terra c'è un sacco di terra grezza. Dentro c'è quel che resta di Rhuma. Gli assassini l'hanno come sventrata, le hanno portato via il cuore, i reni, un occhio e l'altro le penzola fuori dall'orbita. Ali e la sua donna stringono per ore quel corpicino piangendo tutte le lacrime che hanno, mentre una tendina viene subito riaccostata nella bella casa di fronte…….”.L'indomani Ali va dal prefetto Njasir. "Hanno ucciso la mia figlia più piccola strappandole cuore, reni, occhi dice so chi è stato, chiedo, anzi pretendo giustizia". Njasir lo ascolta distrattamente e poi lo licenzia con una minaccia: "Attento, vacci piano con le accuse, capisco il tuo stato d'animo

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ma stai gettando fango addosso a un galantuomo. Tornatene a casa, vedremo". Se ne torna a casa Ali e fa l'unica cosa che può fare: spedire lontano gli altri due figli piccoli. E fa bene perché nel suo stesso quartiere, appena una settimana più tardi, un'altra bambina subisce la stessa terribile sorte di Rhuma. (www. Repubblica.it - 25 novembre 2001) °° Tre storie impressionanti, tre storie di ordinaria follia che a volte si intrecciano e si intersecano in una mostruosità criminale senza fine: Satanismo, Pedofilia e Traffico di organi umani. Il satanismo si nutre di pedofilia, ritualizza e distorce il sacrificio divinatorio, cresce sviluppandosi con il sangue di piccole anime violentemente abusate. Il traffico di organi di piccoli fanciulli, significa invece il potere dopo il crimine, la potenza del dio denaro dopo la voracità titanica. Sono delitti orrendi, che portano odiosi criminali a smembrare, venerare ed a vendere come fosse carne divinatoria, gli organi di numerosi bambini, che del tutto ignari di quell’infausto destino che li attende, spalancando i loro dolci occhi alla presa dei sequestratori, si abbandonano alla ricerca vana, di un angelo che li possa svegliare da quell’incredibile incubo. Il satanismo è un fenomeno in continua espansione, dove religione, ideologie, fantasie e magie, si uniscono in una osmosi dai caratteri deliranti. Satana, in ebraico “l’avversario” numero uno dell’umanità, è il diavolo per eccellenza, colui che metaforicamente viene incarnato dal leader di una delle tante sette. Guggenbuhl-Craig, afferma “….La figura del diavolo è parzialmente il simbolo dell’ombra archetipica, perciò vale la pena di dare un occhiata alle favole o ai miti in cui egli compare assieme a un giovane. Un caso del genere è nella favola dei fratelli Grimm. I tre capelli d’oro del diavolo: l’eroe di questa storia per poter sposare la principessa deve strappare tre capelli d’oro dalla testa del diavolo e portarli al re. Il matrimonio con la principessa simboleggia l’evoluzione del giovane verso l’unificazione, verso una unificazione interiore ed esterna con il femminile. Per poter raggiungere questo stadio, però egli deve venire a contatto profondo con il diavolo dai capelli d’oro e poiché l’oro è il simbolo della luce della coscienza, il diavolo dai capelli d’oro è affine al dio sole o può essere rappresentato anche come Lucifero, il “portatore di luce”, che

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prima della caduta era uno degli angeli più luminosi delle schiere celesti…..In altre parole l’evoluzione di un giovane non può procedere se egli non viene a contatto con l’ombra archetipica…..”(Guggenbuhl-Craig, Al di sopra del malato e della malattia, il potere assoluto del terapeuta, pg. 96-97). Lo scrittore, operando questo strabiliante parallelismo, ci porta a comprendere come sia possibile l’affiliazione di un giovane, in ambito settario. Non c’è dubbio come questi, incamminandosi verso il suo processo di individuazione, nella ricerca di un ideale da sposare, richieda l’incontro ed il contatto con quella che Jung chiama da sempre l’ombra archetipica, cioè con tutto ciò che è mistero, una sorta di evoluzione della propria anima verso l’unificazione al divino, perché solo avvicinandosi incredibilmente a quanto nascosto nell’Ombra, il giovane sarà pronto a sposare la sua fantasia, il proprio ideale. D’altra parte i leader carismatici, gran sacerdoti di queste sette, che da tempo pare abbiano riposto le loro anime azzurrate nell’oscurità infernale dell’Ombra, risultano altrettanto bravi a far sì che la ricerca del giovane si concretizzi. Purtroppo e non poche volte, la magia ed il mistero degli inferi, si velano di rosso, del rosso del sangue umano, di quello di piccoli bambini che vengono di volta in volta sacrificati per onorare la “sposa” che poco Prima avevano ricercato. Tutto ciò viene ritualizzato, ma è una cerimonia che nulla a che vedere, con quella cui faceva cenno Konrad Lorenz nella sua maggiore opera etologica riguardante l’aggressività, laddove ritualizzazione significava pacificazione, inibizione della violenza. Il tutto diviene invece un mercato dei martiri, un mercatino biologico dove sui banchi vengono esposti corpicini da sacrificare, fanciulli da stuprare, anzichè amuleti e candeline magiche. I venditori, sono spesso loro, i pedofili più violenti, quelli sadici, bramosi di soddisfare oltrechè la loro pulsione sessuale, anche il desiderio imperioso di potere, coloro che, magari travisati da buoni idealisti hanno da sempre sostenuto l’amore per i bambini. Essi sono quelli che dell’Eros, mai ne hanno assaporato la vera essenza, avendo invece conosciuto solo il sapore della pulsione freudiana di Thanatos (morte, distruzione).

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Coloro che per primi, sono penetrati violentemente in quelle innocenti purezze fanciullesche, “uccidendo” e rendendo inservibili le loro piccole anime. E’ veramente difficile, per chi non osserva queste fenomenologie con occhi da esperto, comprendere come pedofilia e satanismo possano coesistere, in una sorta di osmosi criminale. Leggenda o realtà molte volte ci siamo chiesti, magari investigando o leggendo qualche articolo sul giornale, circa strani delitti che vedevano coinvolti bambini di varie età e che mostravano indizi satanici. Difficile comprendere, sia dal punto di vista criminologico che da quello prettamente psicologico, le motivazioni pulsionali, archetipiche o di altra natura, che possano spingere un satanista od un pedofilo, ad adottare condotte così orrende, abusando in una sorta di entusiasmo militante, di bambini, ragazzi o adolescenti, per poi brutalmente sacrificarli. Certamente non può essere un ideale comune, la medesima brama di imposizione. Il nodo di intersezione, va credo ricercato nell’anima di entrambe le figure criminali, dove forse, per mezzo della psicologia archetipica, si può arrivare ad usare eufemismi e parallelismi metaforici, che ci inducono a comprendere come tanti comportamenti violenti e turpi, siano per così dire di “origine mitologica”, arcaici e forse quasi filogeneticamente appresi, ma mai però sottoposti a quelle figure inibitorie e mediatiche, cui la nostra coscienza morale in determinate occasioni, dovrebbe rappresentare. “ …. La rete mitologica che avvolge il concreto abuso sessuale sui bambini si compone di una mitologia del fanciullo, molto unilaterale, per l’esattezza quella del bambino vittima dell’abuso, e risulta strettamente legata alla mitologia del sacrificio. Le mitologie cosiddette buone,sane – se mi è consentito l’uso di questi aggettivi banali – contengono i lati più svariati degli archetipi, comprese le loro polarità. Gli archetipi possono in parte venire considerati secondo delle polarità ed essere quindi spesso rappresentati attraverso immagini antitetiche: uomo e donna, puer et senex, genitori e figlio, Dio e Satana, paradiso e inferno, Afrodite ed Ares…..” (Guggenbuhl-Craig, Il bene del male, pg. 74.). E’ nel profondo delle loro anime, che il satanista ed il pedofilo vanno ricercando il Dio o il Satana, l’ Eros o il Thanatos, l’Amore o l’Odio. Ma essi, sono opposti che si congiungono, sono sentimenti che si riflettono, sono ideali che per il principio dell’enantiodromia, conducono in una sola

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ed univoca direzione. Ecco perché il pedofilo partecipa al satanismo ed il satanista diviene pedofilo, perché l’amore per il diavolo, equivale all’odio per i bambini, alla purezza ancestrale di Dio e l’odio per la perfezione e la trasparenza infantile, diviene amore per ciò che invece è oscuro ed infernale. In questo capitolo sino ad ora, ho fatto riferimento più al satanismo ed alla pedofilia piuttosto che al traffico di piccoli organi umani, ma non per una sorta di diversità circa l’importanza fenomenologico-criminale dello stesso, ma solo per dare maggiore comprensione al lettore, di come i primi due orrendi delitti siano molte volte strettamente legati tra di loro, non solo sulla base di una spiegazione prettamente criminologica, come abbiamo visto, ma sulla base di tipo psicologico in perfetta sintonia con quella che era la coniunctio oppositorum del famosissimo psicanalista Carl Gustav Jung. Non per questo ometto però di farne riferimento, perché il “trafficking in human beings, organs and tissues”, è un terribile e turpe crimine, quasi alla pari di quelli contro l’umanità. E’ un fenomeno delittuoso quasi del tutto nuovo, del quale però da sempre, se ne è parlato sotto forma di leggenda metropolitana. Ormai purtroppo, molti casi sono venuti alla luce ed hanno anche visto coinvolti, personaggi del tutto insospettabili. Si è passati così dalla incredibile “ favola”, alla dura realtà. E’ un fenomeno difficile da individuare, da combattere e da estirpare, che a volte si interseca con i delitti legati proprio al satanismo ed alla pedofilia. Numerose indagini sono presenti attualmente a livello nazionale ed internazionale con grande interessamento di tutte le istituzioni governative impegnate su tale fronte. Quante volte abbiamo sentito o letto su cronache nazionali od internazionali, che organi di piccoli bambini (cuore, fegato, reni, occhi etc..), magari precedentemente abusati, sono serviti per riti satanici, o addirittura per farne “intrugli magici” nel corso di riunioni settarie. Il traffico di organi umani in generale, è vero riguarda adulti e bambini, senza distinzione di sorta, ma quello che più colpisce la coscienza collettiva, è che ancora una volta sono i bambini a dover subire maggiori atroci violenze, massacri orridi, per la brama di potere, per la soddisfazione di un nuovo archetipo, quello del capitalismo, del denaro, del consumismo più gretto.

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E’ ormai noto come i fanciulli, con una strategia che si avvicina di molto a quella dissimulatoria usata dai pedofili, vengono “presi” e venduti al maggiore offerente, o addirittura sequestrati e smembrati, maciullati proprio come in un mattatoio. Ma tale fenomeno è purtroppo solo un ramo dell’albero criminale, che vede alle sue radici la violenza sui bambini, un ramo che deve essere necessariamente reciso perché da ogni singola foglia non trasuda trasparente clorofilla, ma solo sangue, sangue umano, sangue di piccole anime.

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4.5 Sessualità, miti e pedofilia

La sessualità secondo Freud, è libido, l’energia che muove tutti gli esseri umani. Tutto ciò che l’umanità sogna, desidera, brama, crea e fa, deve essere inteso come espressione massima della sessualità, diretta o sublimata. Essa pertanto è la radice del comportamento umano. L’Io ed il Super-Io tentano di non essere sopraffatti da questa spinta demoniaca tanto che per sopravvivere in questo mondo, si costruiscono argini nel tentativo di incanalare questa forza impressionante, questa pulsione di Eros, in scopi utili. Appare ovvio quindi che se tutto deriva dalla sessualità, come nella visione freudiana, risulta del tutto inutile integrarla in qualcos’altro, perché questo qualcos’altro è in definitiva, semplicemente un’espressione della sessualità stessa. Jung di fatto contestò questa tesi, sostenendo invece che esisteva una generica energia psichica che poteva riversarsi in canali psichici differenti, tra gli altri nel canale della sessualità. Per Jung infatti, la vita sessuale e la sessualità in genere non poteva essere intesa in modo naturalistico, dove gli sforzi erano volti a ben altro che al semplice vivere e morire, ma doveva rappresentare un simbolo della vita della psiche. Egli era talmente affascinato dal mondo psichico, che focalizzò il suo interesse non soltanto per il modo in cui l’anima umana poteva far fronte alla sopravvivenza ed alla procreazione in virtù della propria esistenza biologica, ma anche per come poteva far fronte alla sfide spirituali e religiose della vita. Fu per questo che egli tentò di afferrare tali temi, mediante polarità per opposti. Per tutta la vita l’uomo deve infatti combattere e lottare per cercare di unire gli opposti di madre e figlio, di animale ed angelo, di impulso e morale, di amore ed odio. Questo lottare per coniunctio oppositorum non ha mai fine e si svolge tra gli altri, anche tramite la sessualità che ha il potere di rimanere nella nostra psiche come parte autonoma e che non si sottopone mai alle leggi di dominio e di sopraffazione da parte del nostro Io. “…. Non è giunto il momento di riconoscere la nostra incapacità a

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dominare la sessualità, e di renderci conto che essa non può essere integrata né compresa completamente? .. Non si potrebbe includere la sessualità in un archetipo? Non potrebbe darsi che la sessualità fosse proprio un archetipo e che come archetipo avesse vita propria? .. L’archetipo della sessualità, si potrebbe sostenere, potrebbe essere compreso entro la struttura di un modello psicopatologico politeistico. E trattando questo archetipo con vero rispetto forse si potrebbe anche fronteggiarlo. E chi sa se offrendo l’opportuno sacrificio, non si potrebbe mitigarlo...”(Guggenbuhl-Craig, La parte nascosta, pg.64). Nel medioevo, simbolo della sessualità era il basilisco, un animale composto di tante bestie differenti, covato da un gallo nel letame, e nato da un uovo senza tuorlo. Ci sono stati molti tentativi di addomesticare e di sopraffare il basilisco come ad esempio sopprimendo del tutto la sessualità, come tentarono di fare i movimenti religiosi ascetici, oppure quello di interpretarla, definendola come un ‘istinto di procreazione’ che aiuta la razza umana ad accrescersi, oppure ancora di plasmarla attraverso la relazione vivendola in modo sano. Eppure egli è rimasto vivo, con tutte le sue diversità e le sue perversioni, la sua essenza non ha mai terminato di essere quella spinta autonoma, quella potenza psichica inimmaginabile e fantasticamente misteriosa e che simbolicamente vive e si rigenera nella prateria della nostra anima: “….la sessualità distrugge le relazioni umane altrettanto spesso di quanto le favorisca ….La sessualità del basilisco è un serbatoio di energia o un materiale attraverso il quale si può esprimere come esperienza fisica ogni figura, ogni modello, ogni archetipo , ogni contenuto dell’anima….” (Ibidem, pg.80). Per mezzo della sessualità tutto può essere espresso, ivi compresa la nostra distruttività. Ed è proprio per questo, che noi conosciamo tante variazioni della sessualità, tante perversioni e quanto più la perversione si avvicina al nucleo archetipico dell’Ombra, tanto più risulta pericolosa per le nostre relazioni. Diviene quindi sempre più di fondamentale importanza considerare la potenza archetipica di Ermes, Signore delle Strade, messaggero degli dèi, colui che li connette all’uomo, colui che nell’anima segna le nostre strade ed i nostri confini, colui che delimita il territorio della nostra psiche indicando là dove inizia lo straniero e là dove l’estraneo. Ermes, considerato altresì come dio fallico fortemente connesso alla sessualità,

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pregna e segna come pietre miliari, le strade che percorrono la nostra vita, le nostre fantasie, le nostre immagini, le immaginazioni sessuali che fanno parte di quel commercio psichico che si svolge sulla linea di confine della nostra anima, e che demarca l’ambito interiore della vita rispetto a quello esteriore. “……C’è un terzo modo che mantiene il desiderio dentro i misteri dell’iniziazione, evocando gli Dei oscuri, in entrambe le loro forme, dell’animale selvaggio e del fanciullino. Una sorta di teatro neobarocco del sublime, di sacro sgomento e di gioco a due; il corpo sessuale e le emozioni dell’amore che si incontrano su quell’orlo rischioso, senza promessa di vittorie eroiche né di unioni totalmente soddisfacenti. Si ha qui una vasta devozione alle potenze animistiche o animalistiche, dalle quali sempre dipende la sessualità e verso le quali essa spinge; non umanesimo secolare ma i misteri …” (Hillman, Fuochi Blu, p.264). Anche per Jung, Ermes rivestì un’ importanza fondamentale per i propri studi. Egli lo aveva trovato attraverso lo studio dello gnosticismo, delle fiabe (Lo spirito di Mercurio), dell’antropologia e dell’alchimia. Ermes insomma divenne quella che potremmo oggi chiamare la matrice della sua psicologia. La sessualità diveniva quindi, non soltanto la causa traumatica della malattia mentale da curare, ma una valida espressione della psiche umana. La sessualità con i suoi traumi, le sue inibizioni, le fantasie e le sue immagini, più che una patologia localizzata che paralizzava o pietrificava la psiche, divenne quindi un elemento di possibile trasformazione dell’anima umana. “……..La sessualità è ora qui ora là, talvolta è debole e talvolta è forte, assume rapidamente una forma poi un’altra…. La sessualità può aggredirci quando meno ce lo aspettiamo, può molestarci e renderci felici. E’ bella e brutta, demoniaca e paradisiaca o persino assente. E’ proprio come il basilisco ….Essa non cerca il confronto, talvolta attacca, altre volte si scansa: evita lo scontro finale e non pensa di domare il suo avversario….Il basilisco non può essere addomesticato ed è un animale pericoloso… Con il basilisco si può giocare tranquillamente , ma facendo molta attenzione. Ci regala le cose più belle e meravigliose, ma anche quelle più pericolose …” (Guggenbuhl-Craig, Il bene nel male, pgg.143, 145). La sessualità è amore e passione ma è anche il suo contrario, odio e perversione.

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Fu Eraclito per primo a parlarci dell’enantiodromia, cioè della legge che regola l’universo mediante l’armonia dei contrari, che eternamente in lotta tra di loro, generano il Logos la remota motivazione razionale del Kosmos: Dio. Con la più volte accennata visione politeistica, non possiamo pertanto non considerare le figure archetipiche del dio Eros e del dio Pan, i due opposti che recitano l’armonia eraclitea della sessualità umana, la passione che spazia tra sensualità e perversione. Eros, “passione sessuale” ma anche “amore dei sensi” quale diretto discendente di Afrondite, venne definito dagli antichi Greci come Ker, ossia ‘il Dispetto alato’, poiché una passione amorosa nella quale il sesso più spinto era reso possibile, poteva decisamente turbare il buon ordine della società. I poeti di epoche più tarde, tuttavia, pur lodando l’essenza sensuale di Eros, commentarono con perverso compiacimento le sue stranezze amorose, mentre al tempo di Prassitele, egli invece divenne un bel giovinetto sentimentale. Pan, invece la sessualità sfrenata, la passione irrazionale ed immateriale di un dio abbandonato alla nascita da sua madre, ninfa dei boschi, e che successivamente fu avvolto in una pelle di lepre da suo padre Ermes, divenne il cosiddetto Dio capro. La lepre, animale particolarmente sacro ad Afrodite e ad Eros, sta ad indicare che Pan è avvolto in queste associazioni ed impregnato delle loro essenze mitologiche. Anche la circostanza del suo primo indumento ha un suo metaforico significato: la sua iniziazione nel loro universo. Il fatto poi che l’indumento stesso, gli venne dato da Ermes, conferisce alle azioni di Pan un aspetto del tutto ermetico. Le sue azioni quindi celano dei messaggi, sono dei modi di comunicare, sono connessioni che cercano sempre di significare qualcosa; Esse sono mosse da una libido sfrenata, da una sessualità inconscia, da un piacere che rende gradevolezza al corpo e non alla mente. Pan è la natura, l’istinto animale, è il dio capro che stupra e che fa della sessualità una scelta di vita ultraterrena “……Se Pan è il Dio della natura ‘dentro di noi’, allora egli è il nostro istinto …..” (Hillman, Saggio su Pan, pg. 61). Lo stupro come l’incesto, è però un orrore perché è una logica trasgressione archetipica. Esso situa la pulsione del corpo verso l’anima in una metafora continua, mette forzatamente fine alla divisione tra comportamento e fantasia, violando così la privilegiata distanza dell’anima

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che vorrebbe vivere la vita attraverso la riflessione e la fantasia. “ ……..L’aggressione è insignificante nella costellazione di Pan. I suoi assalti e i nostri stupri, che li imitano, non sono aggressioni; sono coazioni. Non sono propriamente attacchi per distruggere l’oggetto ma esprimono piuttosto un bisogno convulso di possederlo….”( ibidem, pg. 95). Eros e Pan quindi due modi di esprimere la sessualità, due figure archetipiche emblematiche, che di volta in volta si concretizzano nel comportamento umano, che segnano il loro passo nel criminale violento e nell’anima pedofila. “…..Eros non è propriamente una figura naturale ma piuttosto un daimon che è sovente alato con i genitali poco pronunciati, mentre Pan è spesso un capro col membro eretto. La metafora di Eros è meno concreta, meno fisica; le sue intenzioni ed emozioni sono diverse per qualità e locus fisico. In antitesi con gli inseguimenti di Pan, non vi sono storie di questo tipo (con l’eccezione di quella raccontata da Apuleio) fra i suoi amori. Egli è solitamente l’agens, non l’agonista. Sia in Eros sia in Dioniso, la coscienza psichica sembra essere presente e attiva (menadi, Psiche, Arianna), mentre in Pan l’istinto è sempre in cerca di anima….” ( ibidem, pg.117). Anche Omero, ci da un quadro di come gli dèi pagani si connettono ad un immagine sessuale mostrandoci come esistano molti modi di vedere un’immagine sessuale. Egli ci permette di vedere il polimorfismo nella sessualità, qualcosa che il monoteismo delle nostre vite ha rimosso da sempre.”….. Sembra esserci una confusione fra la sessualità polimorfa e il raggiungimento della cosiddetta sessualità matura. Quest’ultima è vista non tanto in termini di sessualità, quanto di relazione, un concetto che nasce da un atteggiamento monoteistico…” (Lopez-Pedraza, Ermes e i suoi figli, pg.116). La sessualità è qualcosa di più della semplice relazione perché essa è un istinto con alle spalle archetipi e complessi ed è quindi polimorfa, perché in tutti noi ci sono diverse forme di sessualità. Sono proprio queste forme che cercano espressione in tempi differenti durante tutta la nostra vita e che sono da vivere psichicamente, senza che la nostra sessualità sia precostituita ad un solo modello preconcetto. Ad esempio L’immagine che ci da Omero raccontando il rapporto tra Ermes e Poseidone, fornisce due elementi importanti della sessualità: la gelosia che è un’emozione a volte irrazionale dell’anima umana, che varia

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dalla pura distruttività alla possibilità di intuizione psicologica, e la pornografia che è l’espressione massima del polimorfismo senza la quale, nella fantasia o nella realtà, attraverso l’espressione o il rifiuto, la sessualità metaforicamente non può esistere. “…….Una sessualità senza polimorfismo non esiste. Il monoteismo ha bisogno di immagini polimorfe da cui immaginare la propria sessualità e su cui proiettare ciò che essa immagina non essere la sessualità….” (ibidem, pg. 116). Insomma molti miti rispecchiano la sessualità e la storia dei nostri comportamenti, delle nostre relazioni all’interno della società. In questo senso ad esempio il mito di Zeus e Ganimede, molto popolare in Grecia e a Roma, offriva una sorta di giustificazione religiosa e sociale alla pratica dell’amore di un uomo adulto con un giovinetto, rendendola non soltanto lecita come abbiamo già visto nel primo capitolo, ma anche desiderabile. Secondo Graves nell’antica mitologia greca, si riflettono quelle mutazioni sociali, che iniziano con il sacrificio annuale del re giovinetto, e terminano all’epoca dell’Iliade, con il tramonto del matriarcato. “…….I miti rispecchiano e drammatizzano ciò che avveniva nella realtà, per altri autori nei miti vengono rappresentati, sotto innumerevole forme, le trasgressioni degli dei e degli eroi, proibite ai mortali ….” (Schinaia, Pedofilia Pedofilie – La Psicanalisi e il mondo del pedofilo, pg.64). Il sacrificio dell’amante adolescente da parte della ninfa tribale era collegato con la vita annuale della vegetazione. I riti di fertilità comprendenti sacrifici umani erano sparsi in tutto il mondo, ma solo dopo svariato tempo i fanciulli vennero sostituiti con animaletti sacrificali. Il mito in generale può illustrare gli accostamenti tra morte e pedofilia. L’Orco infatti nella mitologia romana, è di fatto la divinità che regna sull’aldilà, identificata con il greco Ade. Orco è il regno della morte, il divoratore per eccellenza, è colui che nelle fiabe che hanno accompagnato la nostra fanciullezza, è alla costante ricerca di bambini di mangiare, straziare e soggiogare. Purtroppo la fanciullezza anche nella mitologia viene deturpata, e continuamente violentata nella propria purezza. Il bambino dei miti è un bambino solo. Lo stesso Zeus viene abbandonato dalla madre alla nascita per salvarlo dal padre che voleva mangiarlo. Dioniso è orfano di madre ancora prima di

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nascere ed il padre Zeus non è presente per difenderlo, quando il piccolo è assalito e dilaniato dai Titani. Significativa è anche la storia di Astianatte, figlio dell’eroe troiano Ettore che Pirro gettò dalle mura di Troia per impedire che la città avesse una nuova generazione di sovrani. Non da ultimo, Edipo che venne abbandonato in fasce sul monte Cicerone. Continuamente nella mitologia, i bambini vengono barbaramente sacrificati come nel caso di Tieste, dove assistiamo ad un macabro banchetto in cui vengono imbandite le carni dei figli di Tieste, che viene invitato a mangiarne; nel caso del piccolo Pelope, ucciso e offerto agli dei da parte di suo padre Tantalo e nel caso del fanciullo Demofonte che Demetra gettò nel fuoco per distruggere le parti mortali e assicurarne così l’immortalità. Come non si può, leggendo i miti ed i topos mitologici, non riconoscere metaforicamente, quella violenza, quella depravazione e quella sorta di indifferenza che pervade taluni comportamenti all’interno della nostra società moderna e globalizzata! Non a caso infatti nella mitologia classica, possiamo trovare alcune storie in cui si narra la pratica della pederastia, come nelle figure di Zeus e Ganimede e di Laio e Crisippo, e altre numerose relazioni che hanno come substrato un amore pedofilo come Albero figlio di Ermes giovane amante di Eracle o come Ampelo concupito da Apollo. Nelle storie della mitologia greca, ricorrono in modo stupefacente due grandi scenari ricorrenti: il dio che rapisce un fanciullo perché se ne invaghisce e ne fa il suo amante e coppiere (Zeus/Ganimede e Poseidone/Pelope) e l’altro è il banchetto sacrificale, in cui il fanciullo è sbranato, smembrato e come in estremo tentativo di negare l’odio, offerto agli dei come atto d’amore o per assicurarsi l’immortalità e la vicinanza divina. L’immagine del banchetto sacrificale, nell’ambito del quale il padre offre come cibo agli dei il proprio bambino, paragonabile alla figura fiabesca del padre Orco, è comune ad altri miti greci quali Licaone, Nittimo, Dioniso e Zagreo. E’ straordinariamente interessante come le storie di Dioniso e Zagreo si intersechino in un unico finale da inferno dantesco, in un finale che rapportato ai giorni nostri ci farebbe accapponare la pelle. Dioniso un bimbo cornuto e anguicrinito, era figlio di Zeus e Semele, la figlia di

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Cadmo di Tebe. Era, moglie di Zeus cercò prima di uccidere Semele incinta, ma Ermete salvò il bambino e lo cucì nella coscia di Zeus, che portò a termine la gravidanza. Era ordinò quindi ai Titani di prendere Dioniso, farlo a pezzi e bollirlo. “…….benchè egli si trasformasse di continuo, lo fecero a brani. Poi ne bollirono i resti in un calderone, mentre un albero di melograno sorgeva dal suolo inzuppato del suo sangue. Ma la nonna Rea accorse in suo aiuto e gli ridonò la vita....” ( Graves, I miti greci, pg. 91). Zagreo, come ho già accennato in altro capitolo, invece era figlio di Zeus e Persefone. Zeus aveva deciso di farne il suo successore nel dominio del mondo e ciò aveva provocato l’ira di sua moglie Era. Era quindi si rivolse ancora una volta ai Titani nemici di Zeus, che dopo essersi imbiancati il volto con il gesso per rendersi irriconoscibili , trasserro in inganno Zagreo, offrendogli dei giocattoli, poi lo assalirono e lo uccisero sbranandolo. Atena raccolse il suo cuoricino e lo rinchiuse in una figura di gesso così regalando a Zagreo l’immortalità. Sono due storie simili ma diverse allo stesso tempo, sono storie che ci fanno comprendere come nell’ipotetico immaginario di un pedofilo violento, possa a seconda della piccola vittima, letteralizzarsi l’archetipo titanico, che oggi divora Dioniso, domani Zagreo, oggi assapora la sessualità del fanciullo che fa ‘bollire’ la sua anima, e domani assapora il sangue e la purezza di Zagreo, senza che esso gli stimoli passioni, ardore, sensualità ed amore in una infernale freddezza glaciale. Secondo Graves, all’epoca in cui si riferivano questi miti, i sacrifici di bambini erano realmente compiuti, in particolare nell’antica Creta: i re sacri, potevano prolungare il loro regno, sacrificando ogni anno un fanciullo come loro sostituto. I filosofi orfici poi, continuarono la tradizione ma sostituirono i fanciulli con i vitelli sacrificali. Un altro riferimento ai complessi rapporti che intercorrevano tra sacrificio umano e pedofilia, lo ritroviamo nella storia dei sacrifici offerti dagli Spartani ad Artemide. In seguito tale pratica fu sostituita dall’offerta del sangue ottenuto mediante la fustigazione di giovani efebi. Sia che nello scenario più primitivo e truce il bambino venga sbranato e divorato, sia che in un quadro apparentemente meno violento, il desiderio dell’adulto si risolva in un semplice rapimento, il destino del fanciullo vittima degli dei è sempre segnato: o morire o diventare immortale e

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quindi in ogni caso smettere di crescere e di vivere Ed è proprio in questo modo infatti, che i fanciulli vittime dei pedofili del nostro tempo, anche quando non subiscono alcuna violenza evidente, presentano un blocco nella loro evoluzione psichica, una chiusura della loro anima alle porte del mondo reale. Esprimono nella loro mente, numinosi immaginari di Ade, figure archetipiche e demoniache nascoste nell’Ombra, spalancano l’anima agli istinti animali, e, una volta introdotti nel mondo degli adulti, non sono in grado di contrastare i brutali Titani che voracemente, si impossessano ogni volta della loro fragile psiche, condizionando così in modo ineluttabile, tutta la loro esistenza e lasciando al daimon maligno, la felicità di essere giunto al suo infausto destino.

“… E tu, amor mio ?(…) disse l’omino volgendosi tutto complimentoso a Pinocchio – che intendi fare? Vieni con noi o rimani ? ….” ( Carlo Collodi)

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4.6 Il caso: Un possibile immaginario di un pedofilo omicida: Luigi Chiatti § “ D’un dodicenne il fiore mi godo; se tredici sono gli anni, più forte il desiderio sento; chi n’ha quattordici spira delizia più forte dell’amore, più che nel terzo lustro va; il sedicesimo è un anno divino: non io lo ricerco l’anno diciassettesimo, ma Zeus. Per chi vagheggi un amasio più vecchio è finito lo scherzo: quello che cerca è

“a lui

corrispondendo”…” ( Stratone)

§

In questo paragrafo, tenterò di illustrare sulla base della psicologia dell’anima, già peraltro trattata ampiamente nel corso del presente capitolo, il possibile immaginario, (il condizionale è d’obbligo) che via via si va “letteralizzando” nella mente di un pedofilo pluriomicida, ovvero l’immaginario che va passando da pura e stretta “fantasia immaginativa” ad agito vero e proprio, un agito crudele ed orrendo. Prenderò quindi in esame il caso di Luigi Chiatti, il cosiddetto mostro di Foligno che nel nostro Paese ha suscitato grandissimo scalpore, e grandissima indignazione per la condotta posta in essere. Il Fatto Il 4 Ottobre 1992, nei pressi di Foligno scompare il piccolo Simone Allegretti. Iniziano le ricerche, affiorano numerose ipotesi. Si pensa ad un allontanamento ma anche ad un rapimento a scopo di estorsione. Due giorni dopo la scomparsa del piccolo Simone, in una cabina telefonica vicino alla Stazione ferroviaria di Foligno, previa indicazione di una telefonata anonima al 113, viene trovato un messaggio scritto. Seguendo le indicazioni contenute nel biglietto viene ritrovato il corpicino di Simone.

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“ AIUTO! AIUTATEMI PER FAVORE. IL 4 OTTOBRE HO COMMESSO UN OMICIDIO, SONO PENTITO ORA, ANCHE SE NON MI FERMERO’ QUI. IL CORPO DI SIMONE SI TROVA VICINO LA STRADA CHE COLLEGA CASALE ( FRAZ. DI FOLIGNO) E SCOPOLI. E’ NUDO E NON HA L’OROLOGIO CON CINTURINO NERO E QUADRANTE BIANCO. P.S. NON CERCATE LE IMPRONTE SUL FOGLIO, NON SONO STUPIDO FINO A QUESTO PUNTO, HO USATO DEI GUANTI. SALUTI AL PROSSIMO OMICIDIO IL MOSTRO “ °° Intorno alle ore 14 e 20 del 7 agosto 1993, Marcella Sebastiani di Casale di Foligno, segnala al 113 che il proprio nipotino di tredici anni, Lorenzo Paolucci, non aveva fatto ritorno presso la propria abitazione. Una pattuglia si reca immediatamente sul posto e insieme al nonno di Lorenzo, Feliciano Sebastiani, effettua le prime ricerche. Poco dopo il cadavere del bambino viene trovato vicino a Casale. Evidenti scie di sangue conducono ad una finestra al piano terra di una casa. Le tracce si infittiscono sul muro immediatamente sotto la finestra, sul suo davanzale e sul prato prospiciente. Chiesto a chi si trovava sul posto, a chi appartenesse l’abitazione, si fa avanti un giovane, Luigi Chiatti, venticinque anni che dichiara di esserne il proprietario. La pattuglia entra in casa e incontra la madre di Luigi, Giacoma Ponti. Il pavimento del salone sembra essere stato appena lavato ma in maniera grossolana. Nella cucina viene trovato un secchio di plastica giallo contenente uno strofinaccio ancora bagnato ed uno spazzolone. Tutto ciò viene sequestrato, unitamente ad un orologio al quarzo, rinvenuto lungo il percorso esterno alla casa, segnato dalle tracce di sangue. Con le dichiarazioni rese da Feliciano Sebastiani, si apprende che Luigi Chiatti, nel mentre era intento alla ricerca del piccolo, aveva con sé due buste di plastica delle quali si era disfatto gettandole in un cassonetto.

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Rinvenute le buste, si notò che contenevano indumenti e la fotografia incorniciata di un bambino, quella di Simone Allegretti, asportata dalla lapide nel cimitero di Maceratola la notte dell’8 aprile del 1993. Luigi Chiatti viene invitato a seguire gli agenti. Nel momento in cui giunge in ufficio, indossa un paio di jeans che presentano macchie ed aloni, probabilmente causati dal sangue. Tutti i suoi indumenti vengono sequestrati. Sulla cute si notano alcuni segni, in particolare sulla schiena, dove sono presenti cinque ferite lineari e parallele. I genitori del piccolo Lorenzo intanto confermano che l’orologio rinvenuto è quello del figlio. Il pubblico ministero lo avvisa formalmente che sta procedendo nei suoi confronti per i reati di omicidio a danno di Lorenzo Paolucci e di Simone Allegretti. L’8 agosto del 1993, il giorno successivo al ritrovamento del corpo del piccolo Lorenzo, Luigi Chiatti confessa al pubblico ministero di essere stato lui ad uccidere i bambini. °° Cosa è che può condurre un giovane di venticinque anni ad immedesimarsi consapevolmente in un “MOSTRO”, abusando sessualmente di due inermi bambini per poi ucciderli crudelmente e sfidare contestualmente le forze dell’ordine impegnate ad individuare il colpevole?. La prima risposta che assurge alla nostra mente ed alle nostre coscienze, è quella generica di ogni qualvolta ci imbattiamo in casi similari, e cioè che quel ragazzo è un “pazzo”, uno “squilibrato”, un violento criminale che della sua devianza sessuale ne ha fatto malattia mentale. A volte però la condotta posta in essere, seppur in linea con una oggettiva patologia mentale descritta in un qualsivoglia manuale diagnostico, non risulta tale da poter giustificare il giustificabile, ovvero non risulta da sola sufficiente da essere inserita nella sfera giustificativa della cosiddetta “incapacità di intendere e di volere”. Ma allora se il comportamento non è così patologico da dover subire le conseguenze giuridiche, morali e sociali che ne possano derivare, è di fatto considerabile normalità? Difficile dirlo perché i concetti di patologia e normalità sono concetti molto ampi che devono poter essere trattati in modo molto approfondito per

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non cadere in fatali errori prospettici. Io tenterò di non teorizzare, dovendo essere questa materia, oggetto di pregnanti studi. Credo però di poter affermare con certezza, che un grande aiuto a comprendere, ce lo possa offrire la psicologia del profondo, quella che dell’anima ne ha segnato l’essenza, quella immaginale e pagana, per poi considerare non troppo estremistica la tesi hillmaniana secondo cui la differenza tra “pazzia” e “sanità” andrebbe ricercata, nella presenza o meno di alcuni dèi, ed in particolare quello di Mercurio, la cosiddetta Anima Mercurialis. Beh non c’è ombra di dubbio che l’Anima Mercurialis sia quel metaforico ponte connettivo tra la nostra anima ed il divino, quel mondo metafisico intermedio, quello che “ …fornisce l’orecchio capace di distogliere la mente dall’udire il vero significato…..” (Hillman, La vana fuga degli dei, pg. 66), quell’aspetto “animico” che in Chiatti ed in altri feroci ma lucidi criminali è risultato mancante, per essere stato, magari brutalmente ucciso. “… Senza Ermes il Messaggero, le allusioni e i gesti divini diventano ingiunzioni letterali e l’istinto religioso diventa malato, paranoide. ( Ibidem, pg. 66). “…Tra il nascosto e la percezione del nascosto sta il terzo elemento, la forza immaginativa dell’anima, la portatrice dei messaggi, l’anima mercurialis. Ermes il ladro, mercurio pieno di stratagemmi, un malizioso monello, è lo psicopompo che conduce al nascosto, salvandoci dal letteralismo e dalla paranoia….” ( ibidem, pg. 67). Ma vediamo il caso in particolare. L’attenzione di Luigi Chiatti verso i bambini, non nasce in quel pomeriggio d’ottobre con Simone, ma con lui, inizia concretamente quella che poi lui stesso chiamerà la “ricerca illegale”. La ricerca legale comprendeva invece, tutte quelle occasioni in cui egli avvicinava i bambini normalmente, in cui giocava con loro, ovvero quando cercava momenti di compagnia e di contatto. La ricerca diveniva “illegale”, quando di contro immaginava di poter avere un bambino tutto per sé, di tenerlo per sempre e di portarlo a casa, insomma un bambino che potesse divenire il suo compagno di vita, che gli potesse tenere compagnia e che lo aiutasse nella sua solitudine. (cfr. Andreoli, Delitti, pg. 166). Inutile porre in risalto come tale pensiero, evidenzi di per sé, già un immaginario fantastico del tutto incoerente con la normale realtà morale, un pensiero immaginale per nulla mediato dal messaggero divino, da Ermes,

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da colui che offre inganno ma che comunica anche pragmatismo ed etica sociale. In Luigi traspare un’immensa solitudine, egli si sente solo, perché proprio la sua anima è sola, incompleta, vuota, svuotata della presenza del divino. “….Una delle mie paure è rimanere solo anche nel futuro…” (ibidem, pg. 169) egli stesso affermerà al perito!!. Proprio ciò lo porterà costantemente alla ricerca di un qualcosa che possa colmare tale lacuna, che possa riuscire a dare peso a quel profondo senso di solitudine, tanto che per lui non vi sarà cosa migliore di “cibarsi” di un altro potere divino, quello del Puer, quello del toto-potere del fanciullo, quello in grado di tramutare il “bianco” laddove è “nero” e di trasformare in amore tutto ciò che invece è odio. In questo immaginario quasi fiabesco e forse infantile, che Freud farebbe certamente risalire allo stato pre-edipico, non manca però la componente affettiva dell’Eros, una delle grandi pulsioni motivazionali. In Chiatti però tale pulsione, non si manifesta da subito in quella libidicosessuale, ma in quella di tipo prettamente affettiva, basata cioè, sulla asserita “identità caratteriale” con i bambini che va ricercando. “(Chiatti) ...Dichiara di aver conosciuto Lorenzo, l’anno precedente, nella sala giochi di Casale. Durante la settimana dell’omicidio lo aveva incontrato più volte nello stesso luogo. << Con lui giocai a biliardino e anche a carte… con Lorenzo il mio rapporto era di amicizia. Lo sentivo più vicino a me rispetto ad altri ragazzi che pure frequentavo. Credo che ciò fosse dovuto a una maggiore affinità di carattere con lui: Lorenzo mi appariva timido. Lui stesso me l’aveva confermato. La sua timidezza però era meno forte della mia e meglio di me riusciva a comunicare con gli altri e di avere amicizie>> ( Ibidem, pg. 164). Va detto inoltre, per completarne il quadro, che egli però si muove sempre su fanciulli del suo stesso sesso, tanto da evidenziare altresì, una certa carica omosessuale che vela i suoi distorti amorevoli propositi. “…..Ad un certo punto mi sono accorto di avere una tendenza verso i ragazzi, con la pubertà ho scoperto di essere attratto più dal sesso maschile ….. Però Luigi dice di considerarsi diverso dagli omosessuali perché non riuscirebbe ad avere rapporti intimi con un coetaneo o con un uomo…” (ibidem, pg. 175). Orbene in questa prima fase dell’approccio e dell’avvicinamento che Chiatti pone in essere con i bambini Simone e Lorenzo, appare di tutta

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evidenza come il suo iniziale immaginario, sia esclusivamente di tipo affettivo, con fantasie seppur infantili, ma basate oggettivamente da una propria distorta logica per così dire “educativa” nell’ambito di un contesto di rapporto, padre/figlio, maestro/studente, educatore/fanciullo. Sembra come, se nel proprio inconscio psichico, rivivesse un’esperienza del rapporto pederasta dell’ Ancient Greece tra erastes ed eromenos, così forte, da portarci quasi a comprendere, (in senso strettamente metaforico) del perché della presenza di quella sua componente omo-erotica, nei rapporti con i bambini e con gli adolescenti. Non a caso Chiatti in uno dei tanti colloqui con il perito nominato dal Tribunale, afferma testualmente “…Ritengo di avere le capacità mentali per compiere tutte le operazioni pratiche necessarie a convivere con i bambini che avrei rapito. Credo, in altri termini, che avrei saputo provvedere alla loro alimentazione e alla loro pulizia e anche alla loro educazione. ( ibidem, pg. 167). Andando oltre, e riportando altre sue dichiarazioni indirette, (riferite al perito Andreoli) si evidenzia come “…Già prima dell’omicidio di Simone aveva maturato l’idea di scappare di casa e di rapire due bambini in tenerissima età, per tenerli con lui per un periodo di almeno sette anni. Fedele a questo proposito, Chiatti da tempo faceva provviste di abiti per bambini da uno a sette anni. Comprava ogni tanto dei capi di vestiario …Non desiderava infatti isolarsi completamente, anzi gli sarebbe piaciuto portare ogni tanto i bambini a fare qualche gita, insegnar loro qualcosa e comunque <<in qualche modo civilizzarli>>…” (Ibidem, pg.166/167). Questo passo oltre a rendere conferma a quanto precedentemente affermato, presuppone un altro argomento oggettivamente interessante, quello che chiamerò iniziazione o “rito iniziatico” che ritengo rappresenterà, nell’immaginario di Chiatti, un momento di decisiva importanza. Il momento iniziatico, va precisato, è un’esperienza del limite di libertà dell’uomo. Biswanger, infatti, nella sua opera “Delirio”, nel corso di un interessantissimo passo, afferma che due sono i principali segreti celati nelle prove iniziatiche, e cioè, sia quello di fare esperienza del dominio del mondo e sia quello di fare l’esperienza che è la libertà a possedere di fatto l’uomo. “….…Le cose va detto, non stanno nel senso che l’uomo possa disporre a piacimento della sua libertà. Piuttosto è la libertà a possedere l’uomo come essere esistente, disgelante. Libertà significa allora, in questo

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contesto, l’esatto contrario di arbitrio. Non è neppure qualcosa di simile a una “libertà della volontà”; è l’oltrepassamento rispetto al mondo, ovvero la trascendenza. “La libertà è il progetto che, gettando oltre l’ente, lascia che il mondo domini….” (Biswanger, Delirio, pg. 9). Il momento iniziatico per Chiatti, è quello di sentirsi il mentore, l’iniziatore di una nuova vita per chi deve entrare nella propria. Non è infatti Luigi Chiatti che “vuole civilizzare” i bambini che andranno a vivere con lui? Non è lo stesso Luigi Chiatti che vorrebbe educarli e “insegnar far loro qualcosa”, introducendoli così in un nuovo mondo e portandoli fuori per mano, dal paese dei balocchi.? Egli sente di dover essere per loro l’adulto, colui che li possa “iniziare” al mondo dei grandi, colui che li possa “epurare” di quell’impalpabile potere divino “…Glielo prendevo in bocca e il tutto aveva il senso di una comunicazione di grande affetto…” ( Andreoli, Delitti, pg. 176). Ma Chiatti in quei momenti, non era delirante, non era inondato da strane visioni, la sua percezione era chiara e limpida, era solo il suo immaginario che era purtroppo distorto, privo dell’immagine mediatrice, svuotato di quell’immaginario etico e razionale. Lui non poteva essere l’adulto che avrebbe alleviato le pene all’iniziando, (è ormai noto infatti che nei riti iniziatici che si svolgevano nel corso dei secoli, la presenza dell’adulto, del mentore, alleviava di molto le grandissime pene ed i numerosi sacrifici a cui il fanciullo o l’adolescente andava incontro) perché nessun iniziando vi era!. Simone, Lorenzo e gli altri, erano solo dei bambini che volevano vivere la loro vita da bambini, non potevano e non dovevano essere iniziati, perché quel passaggio sarebbe costato loro, molto, troppo. Sarebbe costato un salto nel futuro, in un futuro “adulto” pieno di paure, di inganni e di tanti insoliti “mostri”. Ma la falsa rappresentazione immaginale di Chiatti, scopre le sue carte più segrete. La sua voglia iniziatica, svela altri desideri inconsci riposti nella sua Ombra. Egli vuole e deve essere quello che non è mai stato, quello che non è mai riuscito ad essere, per poter placare le sue ansie e per poter soddisfare i suoi desideri inconsci. Chiatti sin da fanciullo aveva sempre mostrato timidezza, era taciturno difficile nella relazioni interpersonali, un ragazzo studioso e dal comportamento corretto, ma sempre solo con la sua anima, con i suoi pensieri fantastici dove a nulla poteva dare soddisfazione, se non alle sue

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pulsioni sessuali, masturbandosi in solitudine nella propria cameretta ed imbrattando di sangue e sperma, una sedia ormai divenuta la sua sola compagna. Solo ciò gli dava il dominio di se stesso e la sensazione di essere in relazione con qualcuno, con il suo corpo, con i propri “fantasmi”. Ed è proprio questo “dominio”, questa proprietà relazionale, che egli continuamente andrà ricercando nel suo inconscio, per poter divenire quello che avrebbe sempre desiderato essere: un adulto capace di porsi in relazione con altri adulti, di essere lui stesso iniziato al mondo dei “grandi”. Tanto sarà forte infatti il suo desiderio di ciò, che lo porterà addirittura ad eiaculare non solo sul corpo inerme di Lorenzo ma anche quando distruggerà voracemente la vita del piccolo Simone, stringendolo per il collo. Ma Chiatti di fatto, soffocando Simone, soffocherà se stesso, stringerà il proprio collo, stringerà la propria anima, la ucciderà, trasformandola secondo quello che era il suo immanente desiderio. Simone, purtroppo non poteva capire e non voleva essere trattato come il cuginetto di Luigi di tre anni, a cui lo stesso aveva preso “in bocca” il suo piccolo pene, Simone si era solo messo a piangere come avrebbe fatto qualsivoglia bambino in un’analoga situazione. Ma ecco che l’inconscio immaginario iniziatico, di educatore e mentore di Chiatti, si va via via letteralizzando, concretizzandosi in un agito esplosivo. Il suo desiderio fantastico di iniziatore della propria fanciullezza, viene proiettato e contestualmente agito nei confronti del piccolo Puer, nei confronti prima di Simone e poi di Lorenzo, ergendosi così tumultuosa, la sua parte animale. Non esiste mediazione, è morta, l’elaborazione immaginale viene bypassata da un agito inaudito. L’anima mercuriale, quell’immaginario etico-morale che doveva comunicare che i fanciulli non potevano essere uccisi, trasformati o iniziati, non esisteva. L’inconscio è divenuto conscio senza vie intermedie, senza percorrere ponti che assicurassero connessione tra l’oscurità dell’Ombra e la purezza del sapere, tra la parte animale e quella morale. Simone e Lorenzo sono stati uccisi da Luigi Chiatti, perché egli stesso si è “ucciso”, ha soppresso inconsciamente la propria fanciullezza, sacrificando di fatto il suo piccolo mondo infantile, quello da cui doveva uscire necessariamente per salvarsi dai suoi orribili fantasmi. ”……..Avevo la gioia dentro e tutto di un tratto sono passato al dolore. Si è messo a piangere ed è come se mi

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avesse smontato; ho sempre avuto un buon rapporto con i bambini e quindi non me lo aspettavo …..Io pensavo di poter risolvere il mio problema il mio desiderio e mi sono ritrovato lì con il suo pianto….”(ibidem, pg. 176). Una conferma importante, ci viene poi da un sogno che ricorre nelle notti di Chiatti e che puntualmente riferisce al perito: “…Il mio sogno più ricorrente è di qualcuno che mi sottomette che mi porta al punto di morte, sono contento che mi ci porti, è tutto puntato su di me e io godo per questo. Mi rincorre, mi prende e dopo mi uccide e io godo in maniera molto forte proprio perché amo la persona che lo fa e allora gli permetto anche di arrivare a…..”(ibidem, p. 179). Orbene questo sogno, proprio per la sua notevole ricorrenza, appare di decisiva importanza quale riscontro concreto, all’analisi psicologicaimmagistica, sin qui effettuata. Nella prima parte del sogno si afferma testualmente “….Il mio sogno più ricorrente è di qualcuno che mi sottomette e che mi porta al punto di morte…”. Questa parte psichica del sognatore, che di fatto è un’immagine, un immaginario all’interno del sognatore stesso, ha un suo proprio desiderio specifico: quello di morte. Ma vediamo chi è, e cosa è Morte “…..Morte è l’unico Dio che non gradisce doni, che non si cura di sacrifici e libagioni, che non possiede altari e riceve inni …” (Eschilo in Hilmman, Il sogno e il mondo infero, pg. 3). Anche la pulsione freudiana di Thanatos, (Morte) è sovente assimilata ad Ade, il Dio senza templi, senza altari, senza volto e carne. Ade è il nulla, l’invisibile, l’innominabile! Similmente nelle arti esoteriche e principalmente in quelle alchemiche, la Morte annuncia poi il divenire, il cambiamento, l’evoluzione, la trasformazione. “ …Il profano deve morire per rinascere alla vita superiore che conferisce iniziazione. Se egli non muore il suo stato di imperfezione gli proibisce ogni progresso iniziatico….” (Wirt, in Chevalier, Gheerbrandt, Dizionario dei simboli, pg. 111). In tali ultime arti, proprio per poter compiere la trasmutazione della materia, occorre difatti il viaggio inziatico che inizia per quella che viene denominata Nigredo. “….. L’alchimia, afferma Rescaldina, non è solo un esercizio operativo sulla materia, ma è riproduzione del miracolo della creazione, che si compie nel momento in cui l’adepto trova armonia con la

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Natura e quindi con Dio; ma per arrivare a ciò bisogna iniziare un nuovo percorso interiore che coincide con la fine del precedente percorso….Nel pieno della vita vi è la morte. Gli antichi filosofi, commenta Jung, chiamavano quest’opera o lavoro, la loro discesa, incenerizzazione, polverizzazione,morte, putrefazione della materia, della pietra, corruzione, caput mortuum. Questa nerezza o color nero voi non dovete disprezzarla, ma sopportarla con pazienza soffrendo in silenzio, fino a quando i suoi quaranta giorni di tentazione siano trascorsi e allora il seme della vita resterà da solo alla vita, risorgerà si sublimerà, o nobiliterà, si trasformerà in bianco, si purificherà e santificherà, si darà il colore rosso, si trasfigurerà cioè fisserà la sua forma……” (Colarossi in Rivista Cielo e Pietra nr. 5/02, Alchimia un sentiero per l’anima, pg.20). Peraltro anche nel campo della psicologia, l’importanza dell’elaborazione del concetto di morte risiede soprattutto nelle sue implicazioni con la più ampia categoria delle trasformazioni psichiche. Proprio a tal proposito Hilman ha affermato infatti che è illusorio sperare che la crescita non sia altro che un processo aggiuntivo che non richiede né sacrificio né morte, in quanto l’anima predilige l’esperienza della morte per introdurre appunto la trasformazione. “……Sono contento che mi ci porti è tutto puntato su di me e io godo per questo ……” continua nel suo racconto, Chiatti. Proprio questa morte, questa esigenza forte di trasformazione, lo fa godere, lo inebria di un piacere immenso, lo riempie di un sentimento di cui non ne ha mai assaporato la vera essenza. Egli gode, proprio allo stesso modo, in cui godrebbe in senso concretistico, cioè come è solitamente abituato a godere nella sua vera e cruda realtà, e cioè mediante la masturbazione, con fantasie eroticosessuali ovvero con qualsivoglia altra fantasia anche di tipo pedofila. “………Mi rincorre, questo qualcuno, mi prende e dopo mi uccide…”. Il qualcuno di cui Chiatti fa ulteriormente riferimento nel sogno, certamente non è un fanciullo, è un adulto, un grande che deve avere questo potere sul bambino che è dentro di lui. E proprio dentro di lui, vi è l’esigenza dominante di una parte adulta, di un mentore, che portandolo al piacere assoluto, lo trasformi attraverso la morte, lo inizi, lo trasmuti attraverso la Nigredo. Quèsto è l’immaginario del sogno di Chiatti, il suo sogno ricorrente, il proprio teatro onirico, dove qualcuno “…Mi rincorre, mi prende e dopo mi

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uccide e io godo in maniera molto forte proprio perché amo la persona che lo fa e allora gli permetto anche di arrivare a…”. A questo adulto immaginario, Chiatti gli permette l’impossibile, persino di arrivare a tutto ciò che è inimmaginabile, gli permettere di arrivare a toccare il soggetto in trasformazione, di iniziarlo, gli permette insomma di essere colui che possa uccidergli quell’anima dentro di sé, che non ha mai desiderato. L’esperienza psicoanalitica d’altro canto, ci ha insegnato molte volte, come la ricerca di un adulto dentro se stessi, ha solitamente rappresentato la ricerca della figura paterna, una figura forte e dominante a cui potersi iniziare e confrontare, una figura a cui forse più volte lo stesso Chiatti si era rivolto per chiedere aiuto, consigli, delucidazioni, una figura “grande” che per lui però, era ormai divenuta totalmente inesistente; “….Mi arrabbiavo perché mancava il dialogo con me, preferiva andare in ambulatorio, andare al cimitero e non stare con me. Non mi arrabbiavo perché andava dalla nonna ma perché non stava con me. Anche quando non lavorava preferiva stare da solo, di sotto. Non interveniva mai, quando facevo qualche cosa di sbagliato mi rimproverava mia madre, lui mi evitava sempre, si allontanava da me. Quando capitavano queste cose sentivo odio verso di lui, ma non ho mai pensato, che so, “crepa”…” (Andreoli , Delitti, pg. 166). Orbene nel caso di Chiatti succede poi quello che Hillman tante volte ci ha ricordato nei suoi testi, ovvero che quando i nostri immaginari diventano concretezza, letteralizzazione e realtà, allora si può e si deve parlare di malattia, intendendo per essa quella prettamente immaginale. Luigi Chiatti, infatti prendendo così com’era il suo mondo immaginario, l’ha trasportato in un impetuoso concretismo, poi realizzatosi nel prendere un bambino, (Simone e Lorenzo) e facendogli tutto ciò che egli pensava dovesse succedere dentro se stesso. Luigi ha concretizzato insomma il suo immaginario psichico in una realtà, in una letteralizzazione. Quel bambino, è lui stesso, sia nel sogno che nella sua psiche, ed il suo immaginario fantastico, non si è mai trasformato, non si è mai mediato con Ermes. Chiatti quando ha ucciso Simone e Lorenzo, ha di fatto ucciso il bambino che era in se stesso, il fanciullo che non riusciva a porsi in relazione con gli adulti con i coetanei, il bambino quindi che voleva essere iniziato al mondo dei grandi ma che purtroppo non vi riusciva.

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Egli ha preso di forza, il suo mondo immaginale e l’ha agito come un animale, l’ha proiettato su una piccola anima pensando di iniziarla, di liberarla del toto-potere divino, ed è successa la catastrofe, è emerso il mostro. Anche con Lorenzo, come con Simone, l’immaginario fantastico di Chiatti non cambia ed è quello già ampiamente descritto, e cioè quello di un iniziale approccio affettuoso basato su una sorta di affinità caratteriale “….Lorenzo era un po’ timido come me ….” ( ibidem p. 190) , di iniziazione al suo “mondo ideale”, “….finalmente anche lui lanciava segnali o almeno io li interpretavo come tali….” ( ibidem p. 188) e di forte solitudine e di invidia allorché sentiva che Lorenzo era in qualche modo “ più fortunato di lui” “…In quel momento mi è scattato come un sentimento di invidia che altre volte avevo provato….”( ibidem, pg. 189). Sarà poi proprio questo dualismo conflittuale dentro di se, tra il proprio Puer ed il proprio Senex, cioè tra l’essere fanciullo e l’essere adulto che lo determinerà a scrivere i biglietti con i quali informerà (con dettagli) dell’uccisione, e sfiderà le forze dell’Ordine dando appuntamento ad un futuro delitto. Chiatti, proprio come un bambino che porta a far vedere alla propria mamma una lucertola catturata dopo tanti vani sforzi, è talmente tanto gonfio di sé di aver realizzato il proprio desiderio immagistico, di essersi trasformato, che nell’epilogo di questa triste vicenda, lancia dei messaggi (i biglietti) nell’ambito dei quali però, traspare in tutta la sua forza quella che era la sua personalità conflittuale, infantile, fanciullesca, da una parte, cioè quella di colui che si “pente” e che collabora al ritrovamento, e quella adulta, che sfida, dall’altra. Il fanciullo chiama aiuto, forse quell’aiuto che andava tanto ricercando, ma poi impetuosa esce l’altra persona che è dentro di sé, l’adulto, il Senex quello tanto desiderato, quello che evidenzia di non ricercare le impronte perché non è stupido, quello che sfida la Polizia al prossimo omicidio, quello che comprende di fatto il vero significato della parola “mostro”. Concludendo, con questo paragrafo, non ho inteso giungere ad una concreta affermazione sentenziale, circa le vere motivazioni psicologiche che avrebbero spinto Luigi Chiatti, ad uccidere crudelmente i piccoli Simone e Lorenzo, ma ho tentato, con il materiale a mia disposizione, la ricostruzione di un suo possibile immaginario psichico, un immaginario che forse, qualora correttamente compreso all’epoca dei fatti, poteva rimanere

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sola e pura fantasia immaginale, senza che questa potesse essere brutalmente agita. Ho ritenuto di insistere sull’argomento, perché nelle scarne fonti a disposizione, esisteva un sogno, un sogno ricorrente, un sogno che riempiva le tristi notti di Chiatti, un sogno che doveva essere studiato, e che analizzato, mi ha portato a comprendere quello che era il suo vero teatro psichico e quello che più in generale poteva risiedere nel suo inconscio, nella sua Ombra archetipica. Quell’immagine onirica lo tormentava, lo assillava, perchè rappresentava la sua morte violenta ed il proprio godimento di essere ucciso. Non poteva essere lasciato lì, doveva essere interpretato, doveva essere capito, analizzato. D’altra parte come Freud ha insegnato, il sogno è la via regia per giungere all’inconscio, per cercare tutto ciò che non è conscio, vedibile. L’atteggiamento giusto per comprenderlo e spiegarlo, ce lo ha indicato poi Hilman: “……L’atteggiamento classico junghiano nei confronti del sogno è descritto molto bene da un espressione che mi piace mutuare dall’analisi esistenziale…L’espressione è: << fare amicizia >> con il sogno, trattarlo da amico. Parteciparvi, entrare nel suo universo di immagini , nel suo umore di fondo, desiderare di conoscerlo meglio, di comprenderlo, di giocarci e conviverci, farsene carico e acquistare dimestichezza con essa: come si farebbe con un amico. Chi vive dentro di me?Quali sono i miei paesaggi interiori ? Che cosa è ricorrente, cioè continua a ritornare per abitare in me? Sono animali e persone, luoghi e temi che richiedono la mia attenzione, la mia amicizia, la mia confidenza …”.( Hillman, Fuochi Blu, pg. 352). Il sogno di Chiatti ci ha portato quindi a comprendere quale fosse uno dei suoi tanti immaginari inconsci, uno dei tanti è vero, ma forse quello determinante, quello che poi si è potenzialmente concretizzato in un crudele agito con l’uccisione di Simone e Lorenzo. Certo se qualcuno avesse potuto interpretare il suo sogno ricorrente, se qualcuno avesse potuto conoscere ciò che risiedeva nella sua Ombra, se qualcuno avesse dato ascolto alla sua solitudine, e se qualcuno infine avesse potuto reinsediare Ermes nella propria anima, forse l’immaginario di Chiatti sarebbe rimasto dentro di sè, racchiuso negli inferi di Ade, così come tanti altri immaginari fantastici, in contrasto con l’etica e la morale sociale.

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Una cosa ci ha insegnato fondamentalmente questo caso. Dobbiamo cercare sempre di porre un orecchio in più a quello che ci dicono le nostre intuizioni, dobbiamo prestare attenzione a quello che i segni ci vogliono indicare. Nulla nasce per caso! Non dobbiamo mai chiuderci nello scetticismo più abietto. Se siamo genitori, dobbiamo cercare di vedere oltre, di captare quello che ci mostra il nostro beneamato piccolino, dobbiamo saper comunicare direttamente con la sua Anima Mercurialis e se questa manca, dobbiamo reinsediarla, perché solo lei ci può connettere al divino, al sapere massimo. Se invece siamo noi stessi, e siamo consapevoli dell’esistenza dentro di noi di sintomi e segni che non collimano con quelle immagini etico-collettive, dobbiamo cercare di chiedere aiuto, un aiuto sempre più forte, e quando non c’è nessuno che possa ascoltarci, bisogna mettere da parte scetticismi e stupide idee pregiudizievoli e correre veloce, da chi invece può possedere la chiave universale per accedere nella nostra anima.

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4.7 L’inferno immaginale di piccole vittime

Ogni volta che ci scontriamo con storie di pedofilia, siamo portati a chiederci cosa abbia potuto spingere un pedofilo ad adottare comportamenti così crudeli e violenti nei confronti di piccoli bambini e quasi mai invece, a pensare quale possa essere l’immaginario di una piccola vittima abusata e quale inferno possa crearsi ed evolversi piano piano nella sua anima. Come vedremo infatti nel corso di questo capitolo, la vittima di un abuso intrafamiliare, sarà una vittima la cui anima risulterà svuotata, una vittima priva della bellezza di Eros, una vittima le cui immagini saranno solo immagini di distruzione, di morte e mai quelle di amore e di affettuosità. In un bellissimo libro di Maria Rita Parsi dal titolo “Le mani sui bambini” si riporta la storia di un piccolo fanciullo di nome Mondrian, abusato alla giovane età di nove anni, una storia che ho voluto qui riportare fedelmente ed in modo quasi integrale proprio per far comprendere e per far riflettere tutti noi di come le immagini, siano la pura essenza della nostra vita e che uccidendole o violentandole, si uccide di fatto la nostra anima. “ Mondrian oggi ha 9 anni e non vuole assolutamente ricordare. Ogni volta che la famiglia di suo padre tenta di contattarlo ha una crisi di nervi. Batte la testa contro il muro, piange, urla, distrugge tutto quello che gli capita a tiro. Nessuno può avvicinarlo fino a quando non gli garantiscono che i nonni non verranno. Quei nonni sono il suo incubo, la casa dei nonni è come l’antro di una strega dal quale è riuscito a trovare scampo, ma rimanendo psichicamente distrutto. I genitori di Mondrian sono docenti universitari, sposi in tarda età i quali, prima della nascita del figlio, costituivano, per loro stessi e per gli altri, una coppia modello. Nessuno alzava mai la voce in casa di Mondrian, la cui colonna sonora era caratterizzata da concerti di musica classica che la madre di Mondrian amava ascoltare già prima che lui nascesse.

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La madre era certa che, nel grembo, Mondrian già imparasse ad apprezzare Bach, Beethoven e soprattutto Mozart………..Mondrian da neonato era già bellissimo e, forse per questo motivo, i nonni non smisero mai di scattargli foto. Il nonno soprattutto ci aveva preso un gusto matto. Di Mondrian bambino esistono ben 1692 foto che lo ritraggono dai suoi primi momenti di vita fino ai 7 anni, cioè fino al giorno in cui Mondrian disse “Basta!”, e distrusse la macchina fotografica strappandola dalle mani del nonno e calpestandola furiosamente. Perché? Nessuno sa dare, ancora oggi, un’esatta spiegazione, ma molte cose da quel giorno cambiarono. Mondrian, infatti iniziò a star male. Gradatamente, giorno dopo giorno, divenne sempre più collerico, ingovernabile, ossessivo. La sua ossessione riguardava il mettere in ordine tutte le foto che gli erano state scattate. Dopodichè non permetteva più a nessuno di toccarle, Mondrian si isolava dal mondo e usava quelle foto come se fossero giocattoli. Prima di ogni gioco, però le selezionava con grande attenzione. Utilizzava solo quelle che gli erano state scattate prima del suo sesto compleanno. Le altre, invece, dai 7 anni in su, le ammonticchiava in un gruppo a parte. Se erano foto di famiglia, le disponeva a sinistra e non prestava loro particolare attenzione. Magari le guardava una volta soltanto poi se ne separava facilmente . Se, invece le foto lo raffiguravano da solo vestito, in casa sua, in casa di altri o ai giardini, passava molto tempo a osservarle, quindi le metteva tutte insieme sulla destra. Infine, al centro Mondrian metteva le tante foto che sin da quando era bambino, lo ritraevano nudo in casa, dopo il bagno sul fasciatolo a pancia in su o sopra il letto a pancia in giù, al mare, sulla riva; o in vacanza, a casa dei nonni nel giardino. Quelle foto erano per lui speciali a tal punto che non teneva conto della barriera dei 6 anni da lui stesso imposta al gioco. Le metteva insieme tutte quante. Le guardava attentamente; le disponeva in perfetto ordine cronologico, da quelle che lo ritraevano neonato in poi. Il rituale ossessivo durava anche delle ore, ma inizialmente nessuno in casa lo considerava tale. La famiglia di Mondrian aveva abituato il bambino a giocare da solo, in silenzio, col sottofondo della musica classica. Pertanto, sin da piccolissimo, da quando a soli 3 anni già iniziava

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a leggere, Mondrian aveva usufruito di un suo spazio di solitario intrattenimento che si protraeva per molte ore, nell’ambito del quale egli utilizzava per giocare, libri illustrati e materiale cartaceo di ogni genere (carte da gioco, mappe, percorsi etc…). Perciò i suoi genitori non si allarmavano certo notando che Mondrian si intratteneva in modo analogo con le “sue” fotografie. In casa di Mondrian, del resto, la fotografia era ben accetta proprio come la musica. I nonni paterni di Mondrian erano appassionati fotografi dilettanti, ma soprattutto amavano mostrare le loro foto e confrontare esperienze con altri appassionati di fotografia. Inoltre il nonno, un aitante signore di 60 anni con un passato da sportivo, e di “tombeur de femmes”, dichiarava sorridendo che poiché non poteva mostrare, per decenza, le foto con autoscatto che lui e la moglie erano soliti farsi durante gli ancora focosissimi amplessi, preferiva esibire le immortalate fattezze di Mondrian. Fotografarlo, fin dai primi giorni di vita, in varie pose, ma soprattutto nudo, sembrava il loro pallino fisso. Una sorta di sistematico, ossessivo safari fotografico a cui sottoponevano, braccandolo, il bambino. Quasi un modo per possedere, giorno dopo giorno il suo corpo in crescita. Ma questa sorta di persecuzione fotografica sarebbe certamente rimasta un’invadente manifestazione di possessivo affetto se Mondrian, a 7 anni, non fosse all’improvviso “esploso”, prima distruggendo la macchina fotografica dei nonni, con un accanimento ed una rabbia mai espresse in precedenza, e se, in seguito, non avesse iniziato a sottrarsi al rapporto con gli altri: anzitutto e drasticamente con i nonni, quindi a poco a poco, anche con i genitori, con gli zii e i cugini, peraltro amatissimi, e con la governante di mezza età che lo aveva visto nascere, per inaugurare una sorta di graduale ritiro dal mondo. Mondrian, insomma sbarra il passo a qualsiasi tentativo di contatto, soprattutto da parte degli adulti, utilizzando proprio quella cortina di foto “ tutte sue”. Questo processo di graduale, autistico rifiuto, iniziato intorno ai 7 anni, tocca il suo apice quando il bambino, che giorno dopo giorno, al ritorno della scuola, prolunga l’ossessivo rituale di ordinare cronologicamente le sue foto, inizia più volte nell’arco di uno stesso pomeriggio a staccare del tutto il contatto con il mondo. Mondrian, infatti, tralascia di allineare le foto e inizia a parlare da solo. Prima con voce bassa e strisciante, poi all’improvviso, a voce alta, acuta, come di chi sta per urlare. Di quel che Mondrian dice, poco si capisce.

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A volte si tratta solo di un indistinto borbottio, a volte invece pronuncia frasi chiarissime e sempre uguali: << Non mi tenere le mani dietro la schiena!>>, <<Lasciami le mani!>>,<< Mi fai mala al sedere!>>, << Non mettermi niente dietro!>>. Le assenza di Mondrian, il suo rifiuto del mondo, il suo parlare convulso con i fantasmi della mente, si fanno , col passare dei giorni, più consistenti. Mondrian se ne va altrove con la testa poiché delirare per lui è una possibilità di sfuggire al dolore, alla paura, alla vergogna, alla violenza di quel che gli è stato fatto e che neppure riesce a dire…….Mondrian cerca di contenere la sua angoscia, ricorrendo all’ossessivo ordine in cui pone le foto; poi cerca di intrattenere i fantasmi delle violenze subite parlando loro, minacciandoli. Ma nessuno riesce a contenere l’angoscia di Mondrian, nessuno riesce a placare l’angoscia di Mondrian, nessuno riesce a placare il suo delirio se non la musica. E’ come se il bambino associasse il conforto della musica alla protezione avuta nel grembo della madre………..Mondrian sta veramente male, qualcosa di grave è accaduto e tutto questo lo ha fatto andare <<fuori di sé>>. A scuola, però, il <<disagio>> di Mondrian non si manifesta subito così apertamente come a casa. La scuola è un contenitore migliore della famiglia per Mondrian che anche li, comunque, è molto cambiato. E’ poco socievole, distratto, apatico e , a tratti, fortemente aggressivo. Mondrian, che è sempre stato gentile con gli altri bambini, ora ha degli scatti improvvisi, degli ingiustificati momenti di odio, durante i quali si scaglia sui compagni, con violenza, in preda all’evidente incontenibile desiderio di far loro del male. In quelle occasioni ripete le frasi che, in casa, proferisce quando parla do solo. Indirizza quelle frasi ai suoi compagni, anche se nessuna azione in esse indicata sta avvenendo in quel momento. Mondrian cerca di picchiarli, di gettarli a terra e costringerli nell’immobilità. Quando riesce ad atterrare un suo coetaneo, lo riempie di botte, usando mani e piedi e di sputi…….. Mondrian vuole farsi male e far male all’altro……per Mondrian questo esercizio è salutare . Vuole <<sentire>> il suo corpo anche attraverso il dolore perché quel dolore è per lui garanzia di esistenza, di radicamento a terra. È stimolo a reagire a un dolore che, altrove e altrimenti, gli è stato inflitto. …..A scuola Mondrian sta meglio perchè può esprimere il suo

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dolore, la sua paura, la sua rabbia, utilizzando il rapporto con gli altri bambini. Gli insegnanti di Mondrian, dopo un po’ segnalano ai genitori l’aggressività notevole che il bambino manifesta in classe. Ne sono stupiti e restano interdetti anche perché, nel contempo e nonostante tutto il rendimento scolastico di Mondrian è sempre alto. Gli insegnanti chiedono ai genitori di Mondrian se sia successo qualcosa al bambino o in famiglia. Quelle rabbie improvvise che si trasformano in provocazioni, in zuffe, per scaricare la tensione, devono pur avere una ragione d’essere. Anche l’apatia di Mondrian, la sua poca concentrazione, quel bisogno che egli ha in classe di distrarsi, di assentarsi, quasi la mente del bambino non reagisse allo sforzo di prestare attenzione, vengono segnalati dagli insegnanti ai genitori………………i genitori di Mondrian, la madrea soprattutto, iniziano ad indagare. Senonchè, convincere Mondrian a fare, anzitutto una visita dal medico di famiglia, risulta un’impresa quasi disperata. Mondrian infatti non vuole spogliarsi e davanti al dottore ha una violentissima crisi di panico. E’ così forte la paura che Mondrian prova di fronte all’insistenza degli adulti nel volerlo far spogliare, che egli inizia a saltare e correre per tutto lo studio. Contro i genitori che cercano di fermarlo, scaglia tutto quello che trova sul suo percorso di fuga: le sedie, il paravento, un panchetto, un cestino dei rifiuti. Mentre fugge, poi Mondrian inizia a gridare le solite frasi : << non mi tenere le mani dietro la schiena!>>, << non mettermi niente dietro!>>, <<non mi fare male al sedere!>>. Il medico di famiglia consiglia l’immediato intervento di un neuropsichiatria infantile. Ma di ritorno a casa, dopo la visita medica, Mondrian inizia a distruggere, nella sua stanza, giocattoli e libri. Questa volta neppure la musica riesce a calmarlo. Se tentano di trattenerlo, urla con tutta la forza che ha e si getta all’indietro con la testa e poi con tutto il corpo. Sembra indemoniato. Il medico di famiglia, richiamato d’urgenza, somministra a Mondrian un sedativo. Il bambino si addormenta per un po’. Di notte però si sveglia, raduna tutte le foto nelle quali è nudo e dà loro fuoco, un fuoco che subito divampa. I genitori accorrono e spengono in tempo il falò. Mondrian saltella eccitatissimo intorno a quel fuoco: ride, urla, piange si rotola a

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terra, tira calci. Si scatena come un primitivo di fronte al fuoco purificatore. Quelle che restano, bruciacchiate o illese, Mondrian le prende a calci e sputi. Le insulta come fossero persone. Dopo la crisi notturna Mondrian viene ricoverato per una settimana……….Mondrian inizia da allora un percorso terapeutico che, ancora oggi non si è conclusoe che, soltanto in parte, ha svelato le sue radici e i drammatici retroscena del suo malessere psicologico. Dai suoi giochi, dai suoi incubi notturni, dai suoi disagi, dai vaghi ricordi che piano piano, affiorano nella sua mente; dalle domande che fa e che sono sempre relative a quelle parti del suo corpo; dall’ostilità invincibile che egli dimostra nei confronti dei nonni e del nonno soprattutto) e dalle violentissime reazioni di panico che lo assalgono quando si accenna alla famiglia del padre o alla possibilità che quei parenti vengano in visita e/o vogliano incontrarlo, si fa strada nei genitori di Mondrian e in chi lo cura, l’ipotesi che il bambino sia stato vittima di un abuso sessuale e che ad abusare di lui, sia stato il nonno con la complicità della nonna e della macchina fotografica. Il padre di Mondrian, durante i colloqui terapeutici che, insieme al lavoro clinico sul bambino. Vengono settimanalmente effettuati, ricorda che suo padre era solito fotografare lui e la sorellina nudi e che << senza complessi>> toccava il corpo dei figli anche nelle parti intime e <<insegnava>> loro come provare piacere da soli o in compagnia dei genitori. Questa disinvoltura sessuale, capace di creare secondo il padre di Mondrian, una <<grande intimità>> tra i membri della famiglia e una <<piacevole complicità tra di loro>>, non si era mai trasformata a suo avviso in un abuso vero e proprio. Tutto era rimasto a livello di un <<gioco senza conseguenze>>……………Le foto di Mondrian sono state ritrovate su internet in un sito per pedofili scambisti. Alcune sono di semplice nudità. Altre, invece lo ritraggono, intontito, forse drogato, mentre <<qualcuno>> (un adulto) abusa di lui. Il cognome del padre di suo padre è tra quelli delle persone che hanno fornito materiale pornografico su bambini a quella <<sporca navigazione>>”. Sin dai primi giorni di vita, lo sfondo immaginale del piccolo Mondrian era, come abbiamo potuto vedere nel corso del toccante racconto, caratterizzato da due immagini forti, quella della musica, certamente

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considerabile come un’immagine dinamica, e quella della fotografia, immagine di per sè decisamente statica, perché auto-raffigurante. L’immagine musicale per Mondrian aveva un preciso ed univoco significato, quello di affetto e di grande amore. Le note che in continuazione venivano da lui dolcemente ascoltate, rappresentavano una sorta di sublimazione amorosa della propria mamma ed il calore della sua anima. Anche l’immagine della raffigurazione su carta, era per lui la rappresentazione di amore e del concetto di famiglia, ma ben presto questa immagine dalla bellezza ancestrale e dal profondo significato simbolico, è divenuta l’immagine da combattere, l’immagine infernale, quella da dover rinchiudere per sempre nella profondità di Ade. Mondrian infatti cercava in continuazione la giusta collocazione delle fotografie, le disponeva e le ridisponeva ancora in modo ossessivo. La catalogava per livello di importanza, di figure e di interesse, le prendeva e le ridisponeva. Mondrian voleva essere certo di dover riporre nell’Ombra della propria anima solo le immagine più forti, quelle che per lui significavano ribrezzo, sporcizia, violenza, e non tutte le immagini che lo raffiguravano. Le altre erano di fatto, per così dire, i suoi archetipi, le sue immagini primordiali, le immagini con le quali aveva iniziato a muovere i primi passi verso l’universo dei grandi e che per nulla al mondo dovevano sparire. Per Mondrian il dilemma diveniva sempre più pressante, assillante. Egli doveva aver il coraggio di uccidere per sempre, relegandole nella più bassa profondità animica, alcune sue immagini, doveva aver il coraggio di uccidere parte della sua anima. Immagini sgradevoli, violente, indicibili, ma pur sempre immagini, e se è vero che l’anima è fatta di immagine allora può certamente comprendersi il grandissimo dilemma a cui Mondrian, un bambino di 9 anni, stava andando incontro. Ma nella sua anima intanto si stava sviluppando una vera e propria guerra cosmogonica tra il bene ed il male, dove la decisione di lasciar intatte o meno le immagini ivi residenti, non era più alla portata della sua volontà. Le figure archetipiche infernali erano di fatto traslate da quelle dell’adulto nella piccola anima di Mondrian. Il Titano che divora e che smembra carne umana era entrato a far parte delle immagini di Mondrian, avvalendosi in modo subdolo della via regia della menzogna.

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L’affetto per i nonni da parte di Mondrian che era immagine di amore, ben presto ha assunto un diverso significato e da rappresentazione di Eros è divenuta immagine di Thanatos producendo un squilibrio nella per così dire, democrazia psichica del piccolo fanciullo. Il Titano che ha distrutto Mondrian, ora si è insediato nella sua anima, e vuole soddisfazione. Mondrian seppur piccolo, sente che nella sua anima è subentrato qualcosa che non gli appartiene, egli ci parla, lo sgrida, gli intima di non fare più determinate cose, gli ordina perentoriamente di non toccarlo mai più in quel modo. Mondrian è sempre più consapevole del fatto che la sua mente è popolata da fantasmi, e solo tentando di uccidersi (in senso metaforico ovvero distruggendo le foto che lo raffiguravano) per mezzo di riti pari a quelli purificatori (per mezzo del fuoco), gli da la certezza dell’esistenza di una possibile via d’uscita; la certezza che uccidendo quelle immagini che hanno fatto evolvere quei fantasmi titanici, possa ristabilire quell’ordine olimpico-divino e ridargli la serenità e l’amore che solo invece l’immagine musicale poteva rappresentare. Ormai quello di Mondrian purtroppo è un immaginario di morte, perché egli vuole uccidere, vuole morte per se stesso per trasformarsi di nuovo, e vuole morte per le sue immagini perché occupino solo la parte più oscura dell’anima. Egli si sente come il piccolo Dioniso-Zagreo e forse anche come il piccolo Tieste, fatto a brani e mangiato. Egli è stato abusato dalla persona che lui riteneva essere l’immagine più bella di Eros, un abuso che ha ucciso in modo crudele le sue piccole e ancora germinali immagini, una violenza che per mezzo della menzogna ha trafitto la sua anima introducendovi, per una sorta di catena osmotica, la patologica rappresentazione dell’archetipo del male e creando per una sorta di identificazione proiettiva quell’archetipo del Male più becero, che invece doveva e deve essere sempre più riposto nella parte più oscura e profonda di Ade. Questo è l’inferno immaginale di una piccola vittima che inerme deve assistere al suo omicidio in diretta, senza che possa in qualche modo agire sulle proprie immagini e su quelle che in ogni momento tentano di entrare a far parte della propria anima.

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4.8 Animae Pedoophylae -  L’importanza di tutela delle nostre immagini

La visione politeista dei conflitti archetipici presenti nelle nostre anime, e di cui ho tentato nei paragrafi precedenti di evidenziarne l’importanza, può darci una dimostrazione certa, di come uno “sguardo” fenomenico diverso, di alcune condotte criminali poste alla nostra osservazione, possa essere di grande e fattivo aiuto, per offrirci una retrospettiva della problematica in esame. Ci consente cioè di comprendere come esistano diverse e varie collocazioni interpretative del comportamento umano e di come queste, possano poco a poco svelare quel mistero che solitamente è racchiuso lì dove anche uno sguardo attento, non potrebbe mai arrivare. La difficoltà da parte della comunità scientifica, nel definire poi all'unanimità la pedofilia, influenza probabilmente anche la determinazione delle cause di tale fenomeno. La pedofilia, come già precedentemente accennato, rientra infatti nella grande classificazione delle parafilie e l'eziologia di queste, rimane in gran parte intrisa di mistero. Di mistero infatti si vela l’anima del pedofilo, di una demoniaca magia “religiosa” si velano i daimones che regnano in lui, che come spiriti guida lo dirigono con mano verso quel “corso deviato della vita”. James Hillman ci ha insegnato in una sorta di visione poetica, che la coscienza si fonda sull’anima; “…..Se il divenire coscienti ha le sue radici nella riflessioni, e se l’istinto riflessivo rimanda all’archetipo dell’Anima, allora la coscienza stessa può essere concepita come fondata sull’Anima…...Ciò che porta alla guarigione è una coscienza archetipica…e questa nozione di coscienza decisamente non poggia sull’Io. …..coscienza si riferisce a un processo cha ha a che vedere più con le immagini che con la volontà, più con la riflessione che con l’attività ordinatrice….Allora anziché considerare anima dal punto di vista dell’Io, potremmo guardare all’Io dalla prospettiva dell’anima dove l’Io diventa uno strumento per affrontare la quotidianità …” (Hillman, Fuochi blu, pg. 55).

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L’anima come impero fluttuante ed universale di sentimenti, emozioni, sensazioni e percezioni, si pone poeticamente al centro della nostra esistenza, l’immagine ci investe, il pandemonio immaginativo fantastico tinge di sostanza archetipica la nostra coscienza, e l’angelo delle immagini ci “veicola” i concetti di moralità. Sono queste le risposte che l’angelo metaforicamente ci fornisce e che devono essere usate da guida per il daimon presente in noi. Un’ immagine dice Hillman ci viene inviata proprio a rappresentare l’intero mondo delle immagini, proprio come nell’iconografia cristiana dove nel cielo pullulante di Angeli, solo Gabriele annunciò alla Vergine il messaggio fatale. Così ciascuna immagine è un angelo in attesa di risposta, e proprio la risposta sotto forma di esempi morali, ci perviene dalle immagini stesse. Sono quindi le stesse essenze della morale e della coscienza, che ci conducono per mano verso l’interazione con noi stessi ed il mondo esterno, essenze “profumate” e “fantastiche” che giorno dopo giorno creano la nostra realtà e ci pongono in relazione con i “personaggi” del teatro quotidiano della nostra psiche. “…..Le nostre immagini sono i nostri custodi, come noi lo siamo di loro, proprio come i daimones sono spiriti guardiani…….. Le immagini sono la fonte vincolante della moralità e della religione, come della coscienziosità dell’arte. E come non siamo noi ad inventarle, così non inventiamo neanche le risposte che diamo loro , ma sono anzi le immagini che ci insegnano queste risposte in forma di esempi morali. E’ quando perdiamo le immagini che diventiamo moralisti come se la morale contenuta nelle immagini diventasse senso di colpa dissociato, fluttuante, una coscienza morale senza volto…” (Ibidem, pg. 90). E’ proprio su tutto ciò, che bisogna riflettere per saper “guardare oltre”, per capire e comprendere a 360 gradi il fenomeno pedofilia, per scrutare l’anima pedophyla, l’archetipo che si nasconde dentro il complesso afflittivo del soggetto. Come nel sogno, la via regia per tradurre in concetti generali l’immaginario che di volta in volta ci compare, è quella utilizzato da Dante ed Ulisse: guardarsi intorno, osservare ogni dettaglio e familiarizzare con gli abitanti del luogo, lasciando che essi stessi, ci conducano verso quei luoghi oscuri ed inaccessibili. Solo in tal modo, in una visione policentrica delle varie forme e degli stili di coscienza che interagiscono nell’immaginario psichico del soggetto

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pedofilo, si potrà avere coscienza piena del fenomeno pedofilia, di come le immagini influiscano sui daimones, su come le stesse confliggano con gli archetipi della moralità e della coscienza, e sui motivi per i quali le afflizioni del soggetto criminale, non portino mai a quel “Dio” attraverso il quale si possa porre, secondo quelle che sono le regole generali della società, in pieno coniuncto con le leggi etico,morali e sociali della vita quotidiana. La nostra immaginazione raffinata e vivace ci permette di percepire l’anima del mondo, con tutte le sue bellezze e le sue patologie. Anche lo stesso mondo infatti ha una propria anima con tutte le sue sfaccettature fantastiche e le sue deviazioni, che giornalmente si pone in relazione con quella che è in noi. E’ la continua interazione tra l’ “anima mundi” ed il fondamento della nostra coscienza, che ci permette di governare la prospettiva di come vediamo noi stessi ed il mondo esterno. Conoscere quindi noi stessi, equivale a conoscere la nostra anima. Gli dèi, le dee ed i daimones della nostra psiche sono stupende potenze archetipiche, forze immaginali capaci di coartare la nostra mente e la nostra coscienza, nei confronti delle quali ci “ammaliamo” sia quando non sappiamo discostarci dalla ottusa visione monoteista del problema, e sia quando non ci lasciamo condurre verso quella più profonda visione mitologico-pluralista. Si afferma spesso che gli occhi sono lo specchio dell’anima, e se ciò è vero, solo guardando profondamente quelli dei pedofili criminali, potremmo allora comprendere il vero significato di dove volge la loro anima ed il perché il loro immaginario, passi a volte dal fantastico all’agito più crudele. L’anima mundi, l’anima sociale sta volgendo, per nostra mano, all’eccessivo iper-moralismo ridondante, riproponendo sempre più il dittatore delle durissime regole morali, al centro della scena della nostra coscienza. E’ con il dettare eccessive regole di estrema iper-moralità che si rischia però di imprigionare la psiche in un continuo paradosso, dal quale difficilmente si riuscirà a trovare l’ “azzurrata” via d’uscita. E’ quando perdiamo le immagini che diventiamo moralisti, afferma Hillman. Il perdere le immagini, la capacità di fantasticare, l’impossibilità di farci ammaliare ed accarezzare da loro, è ciò che porta alla morte dell’anima. L’immagine soddisfa se stessa, soddisfa l’istinto ed uccidere l’immagine

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vuol dire ucciderlo, farlo scomparire, reprimere per sempre l’archetipo della nostra specie. E’ forse quello il motivo per il quale il pedofilo, nell’oscurità immagistica di un’anima ormai svuotata dalla poiesis, passi in continua conflittualità nevrotica, dalla fantasia all’agito?. Jung affermava che l’istinto è la forma tipica dell’agire. Esso si eredita come si ereditano le forme a priori dell’intuizione, gli archetipi, ed è innato come innate sono alcune immagini primordiali. Allora perché ucciderle, perché reprimere gli istinti, perché far morire l’anima e la trascendente peculiarità catartica e narrativa della nostra mente. Diamo spazio e libertà alle immagini, non reprimiamole imperativamente, quasi fossero l’essenza criminale dell’ Es più odioso e sfrenato, ma lasciamo che si coniughino e si rapportino con l’archetipo del nostro Io, e che in una visione di trasporto dantesco, in senso prettamente allucinatorio, possano comparire di fronte alla coscienza di ognuno di noi. Lasciamo quindi che tali raffigurazioni fantastiche, fluiscano e fungano da ab-reazione alla continua richiesta biologica, evitando in tal modo che tali immagini emblematiche, che altro non sono che la metaforica essenza spirituale della potenza e della magia negativa del dio Wotan, possano fuoriuscire in manifestazioni aggressive e violente verso altri; ovvero possano deflettersi ed introiettarsi all’interno della nostra anima reincarnando Thanatos, quella tanto richiamata “pulsione di morte”. Forse il nostro immaginario collettivo fondato su una morale sempre più imperativa, può sentirsi oltraggiato e turbato dal lasciar fantasticare simili devianze o deformazioni. Forse sì ed è per questo che molte domande si avviluppano nella nostra mente: E’ la persona che immagina devianze sessuali e pedofile che è da considerare “malata” o è l’immagine che lo investe che è distorta e malata di per sé? E’ con la perdita dell’immaginazione per il troppo iper-moralismo della società, che si perde la capacità di far ab-reagire il nostro organismo biologico?. E’ l’Io del soggetto che ormai investito da un paradosso sociale in continua evoluzione, che non riesce ad uscire dal “sistema” trovando il modo di mediare le condotte che pervengono alla sua coscienza?. Sono domande a cui dopo un’ampia ed articolata disquisizione sul tema delle animae pedophylae ci si deve porre e ci si deve confrontare. E’ pur vero che in parte sull’origine e sull’esistenza dell’immagine “malata”, si può dare risposta, ma il dubbio circa una sua probabile

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distorsione a priori, incombe come una spada di Damocle, ed una risposta netta e concreta non esiste perché andrebbe ricercata molto in profondità, nella profondità più intensa dell’anima. Illustri psicologi hanno affermato infatti che l’immagine, difficilmente può essere considerata malata, essa diviene “patologica” solo quando venga sottomessa al principio di realtà, letteralizzandosi senza alcuna mediazione. Ma qui non si pone in discussione il passaggio da normalità immaginativa a patologia, ci si pone solo il dubbio circa la purezza e la trasparenza dell’immagine origine, e cioè se questa sia o meno portatrice di quella estrema limpidezza diamantinea. Una risposta però credo si possa dare. “Criminalizziamo” la condotta violenta e deviata del pedofilo, l’archetipo del suo dio Wotan, condanniamo la strategia criminale che pone in essere in una strabiliante sorta di lucidità riflessiva, puniamo chi della violenza ne fa passione di vita, dove l’anima si tinge solo di un’essenza nauseabonda ed incolore, dove nessuna immagine esiste nella coscienza, e nulla di archetipico vi è se non il proprio daimon deviato e criminale. Non criminalizziamo però i sogni, la fantasia, la capacità di immaginare, l’ideazione, perché troppa super- moralità produce troppa violenza e troppa violenza produce misure a sua volta ancora più ristrette ed iper-morali. Quando parlo di immaginazione e di ideazione, mi riferisco ovviamente a modelli di essenza della nostra psiche, della nostra coscienza che ci permettono di percepire, di razionalizzare e di regalare sempre una poesia fantastica alla nostra anima. La poiesis dell’anima non può essere fermata, essa deve scorrere come un fiume nel suo letto, deve portare tutto il suo nutrimento fantastico agli archetipi che la abitano e la compongono. Solo così potrà evitarsi che l’archetipo più forte e violento, possa sopraffare quello dell’Io, che invece di contrapporsi in una sorta di duello psichico, sarà costretto a ritirarsi in modo vile nella profondità dell’anima, lasciando così sfociare, come un’onda anomala, istinti e pulsioni che sotto mentori archetipici, richiederebbero soddisfazione. Regaliamo quindi all’archetipo dell’Io, figura immaginale di un modello “mediatico”, non tanto quell’iper centralità freudiana, ma una posizione di perfetto equilibrio con gli altri modelli – archetipici -, in modo da creare quella giusta tensione “politica”, in quella che possiamo definire, una piena democrazia dell’anima.

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Il pretendere “sempre più” da questa immagine mediatica, con l’imposizione da parte del mondo esterno di iper –regole ed iper-moralità crescenti, rischierebbe di “imbavagliare” la capacità catartica e narrativa della nostra psiche. Si ricondurrebbe insomma, in modo becero, l’Io a quella centralità che mal si coniuga con una visione politeista dell’anima, sottoponendolo poi all’egida influenza del Super–Io (con le sue rigidissime regole morali) ed alimentando così nuove frustrazioni, ulteriori complessi e pericolose nevrosi che spingerebbero voluttuosamente verso l’esterno, verso l’agito. E’ il continuo paradosso sociale (domanda / risposta, iper-regole / ipercondotta) quindi l’arcano dilemma che probabilmente non ci permette mai di uscire dal problema?. Forse si, ma c’è sempre una via d’uscita, come ci insegnano alcuni studiosi di scienze comportamentali. Per uscire da questo sistema così viziato e contorto, c’è bisogno di pensare avanti, di passare ad un meta-sistema intellettivo e sociale, dove in questo caso il fine ultimo, è quello di ricercare e studiare profondamente la sperata via “azzurrata”, quella via dove l’anima pedophyla possa essere eventualmente, solo rappresentata da un’allucinazione fantastica ed immaginaria di una mente deformata.

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Conclusioni

In questo articolato testo ho tentato, come già accennato più volte, di prendere in esame uno dei fenomeni criminali più gravi della nostra società quale quello della pedofilia, osservandolo sia in modo prospettico, che in modo retrospettivo. Questo perché a mio giudizio, solo vedendo diversamente una qualsiasi problematica, volgendo cioè lo sguardo a tutto ciò che non è di fatto immediatamente percettibile, può giungersi alla conoscenza globale della fenomenologia posta al nostro esame. Faccio un esempio esplicativo. Se ci recassimo in una galleria d’arte e ponessimo il nostro sguardo su un quadro ivi esposto, esprimeremmo su di esso un giudizio, basato sulla qualità pittorica, sul contrasto dei colori, sull’uso del pennello, sull’immagine riprodotta e su quello che eventualmente l’immagine stessa, avrebbe voluto rappresentare. Orbene fatto ciò, avremmo certamente espresso un nostro giudizio (positivo o negativo), giudizio che però non potrà certamente essere considerato profondo e globale, mancando di quei concetti di dinamicità che il quadro invece richiederebbe. Tali concetti dinamico-immagistici, cui ho appena fatto cenno, potranno invece essere percettibili, solo se saremo in grado di conoscere l’anima del pittore, le sensazioni, le immagini fantastiche ed i fantasmi che eventualmente popolavano la sua psiche. Solo allora quel quadro potrà assumere un’interpretazione completa, quella dinamicità pittorica richiesta, quell’interpretazione per così dire diversa, pur rimanendo sempre lo stesso quadro. Esso potrà quindi perdere quella staticità oggettiva, pragmatica e razionale di cui alla percezione iniziale. I personaggi presenti potranno prendere vita e le immagini ivi rappresentate potranno assumere ai nostri occhi nuove e diverse interpretazioni.

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Proprio così ho cercato di fare con la pedofilia, prendendo in esame l’anima pedofila e studiandone gli archetipi ivi presenti, i conflitti archetipici, gli angeli e i daimones mediatori, nel tentativo estremo di dare una risposta al perché di quei comportamenti così turpi ed indifferenti all’anima fanciullesca. La metodica usata, è stata quella della poiesis hillmaniana, la psicologia dell’anima che essendo di fortissima attualità ben ha potuto sposarsi con fenomeni criminali del nostro tempo. Il risultato ottenuto come abbiamo potuto vedere, è stato quello del quadro, il fenomeno posto alla mia osservazione, è rimasto sempre quello, un fenomeno grave, difficile, da combattere e certamente da estirpare, ma un fenomeno in cui la mia visione è però risultata profondamente, completa ed ampliata proprio da quella dinamicità cui precedentemente ho fatto cenno. Una visione diversa e retrospettiva che mi ha insegnato a saper volgere lo sguardo a 360 gradi, a mai avere idee pregiudizievoli ed a comprendere come un fenomeno criminale possa allo stesso tempo, essere turpe ed eventuale sintomo di una malattia da poter e dover curare. Forse tutto questo non potrà essere di immediata e pratica applicazione nel campo prettamente investigativo-criminologico, se non per tracciare un quadro più completo di personalità di un pedofilo violento, ma ci può certamente insegnare a saper guardare oltre, perché aldilà di ogni fenomenologia criminale, esistono sempre altri aspetti diversi, nuovi che devono essere studiati, valutati e che possono essere di importanza vitale per il completamento di un nostro paradigma sia che possa essere sociale, legislativo o prettamente investigativo. Un ultima considerazione sento di dover esprimere circa la necessità da parte della nostra società, di tutelare oltrechè tutti i diritti inviolabili, anche le nostre immagini, la nostra fantasia, la nostra anima, perché in essa vivono e si esprimono figure archetipiche che a volte ci parlano e ci lanciano dei messaggi. Il nostro dovere sarà allora di starli a sentire, capirli e di comprenderli cercando di non nasconderci nell’Ombra qualora lascino trasparire possibili patologie, perché solo così potremmo cercare la cura più idonea e veloce ed evitare così, che future proiezioni possano esprimersi in crudeli e malvagi agiti. L’archetipo è la testimonianza che la natura esteriore è la natura profonda interiore di ognuno di noi e che la Luna che solca i cieli, solca anche le nostre notti interiori. Nei boschi possiamo scorgere Pan, ma Pan

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corre anche dentro di noi, ed a volte ci si rivolge contro. Tuttavia la sua azione anche quando è contro di noi, è un messaggio ed una strada verso il riavvicinamento alla sua divina essenza. Quando un Dio ci abbandona invece, allora comincia la morte, quella interiore, ma non morte come paradigma di rinascita, ma la morte come annullamento. Ed è proprio questo annullamento che dovremmo cercare di evitare, perché l’anima va nutrita e non uccisa. Ermes deve aver sempre possibilità di connetterci con la bellezza divina, perché solo così la nostra anima potrà sempre sorridere, conoscere la “verde pianura della verità” ed avere quel “sapere” che ci richiede costantemente la società moderna. Non uccidiamo Ermes, non facciamo esplodere questo ponte metafisico, nutriamo l’anima di poiesis ed aiutiamo i nostri bambini a conoscere quanto è bello avere un papà ed una mamma amorevoli e non magari un orco ed una strega. Ogni foresta che muore è qualcosa che muore anche dentro di noi, ogni fiume lago o mare che muoiono, muoiono dentro di noi. La natura esteriore è anche quella interiore e tutto è interconnesso, mondo reale e mondo immaginale, in un’unità indissolubile. Non uccidiamo la vita, non uccidiamo l’anima !!! “…O caro Pan e voi altre divinità di questo luogo, datemi la bellezza interiore dell’animae, quanto all’esterno, che esso si accordi con ciò che è nel mio interno ….” (Socrate )

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