LoveAbility
Progettazione/Editing Giuseppe Degara Roberta Tanzi Impaginazione Lorenza Faes Illustrazione di copertina © LisaValder/istockphoto.com Copertina Giordano Pacenza © 2014 Edizioni Centro Studi Erickson S.p.A. Via del Pioppeto 24 38121 TRENTO Tel. 0461 950690 Fax 0461 950698 www.erickson.it info@erickson.it ISBN: 978-88-590-0692-3 Tutti i diritti riservati. Vietata la riproduzione con qualsiasi mezzo effettuata, se non previa autorizzazione dell’Editore.
Maximiliano Ulivieri (a cura di)
LoveAbility L’assistenza sessuale per le persone con disabilità Postfazione di Giorgia Würth
Erickson
Il curatore Maximiliano Ulivieri, project manager nell’ambito del turismo accessibile, blogger, fondatore e presidente dell’Associazione «LoveGiver – Comitato Promotore per l’Assistenza Sessuale».
Gli autori Debora De Angelis, membro dell’Associazione «LoveGiver – Comitato Promotore per l’Assistenza Sessuale» e candidata al corso di formazione in assistenza sessuale. Fabrizio Quattrini, psicologo, psicoterapeuta, sessuologo, Dipartimento di Scienze Cliniche e Sperimentali dell’Università «G. D’Annunzio» di Chieti-Pescara. Presidente dell’Istituto Italiano di Sessuologia Scientifica di Roma e vicepresidente dell’Associazione «LoveGiver – Comitato Promotore per l’Assistenza Sessuale». Sergio Lo Giudice, docente di Filosofia e Storia al liceo «Copernico» di Bologna e membro del Comitato scientifico della Fondazione Gramsci dell’Emilia Romagna. Per diversi anni è stato presidente nazionale di Arcigay, di cui è presidente onorario. Senatore del Partito Democratico, membro della Commissione Giustizia e della Commissione Diritti Umani del Senato. Promotore del disegno di Legge 1442 «Disposizioni in materia di sessualità assistita per persone con disabilità» sull’assistenza sessuale per le persone disabili. Giulia Garofalo Geymonat, ricercatrice in Scienze sociali presso il Dipartimento di Gender Studies dell’Università di Lund in Svezia. Da molti anni si occupa di politiche relative all’industria del sesso nei Paesi europei; è attualmente impegnata in un progetto di ricerca sull’assistenza sessuale per le persone con disabilità. Maurizio Nada, membro del Comitato per la Promozione dell'Assistenza Sessuale, docente nei corsi per educatori e operatori socio-sanitari, Esperto di progettazione sociale e di formazione a distanza, certificatore della formazione professionale Regione Piemonte, giornalista pubblicista, autore di testi e pubblicazioni nell'ambito della disabilità.
Indice
Introduzione (M. Ulivieri) Prima
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parte Sessualità
e disabilità: Le testimonianze dirette
Capitolo primo Intervista a Maximiliano Ulivieri
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Capitolo secondo L’assistenza sessuale dal punto di vista di familiari e disabili (M. Ulivieri)
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Capitolo terzo La mia esperienza di assistente sessuale (D. De Angelis) 37 Seconda
parte Assistenza
sessuale: Il dibattito e le normative
Capitolo quarto Cosa è (e cosa non è) l’assistenza sessuale (F. Quattrini e M. Ulivieri)
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Capitolo quinto Assistenza sessuale: il progetto «LoveGiver» per la formazione degli operatori (F. Quattrini)
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Capitolo sesto Dai diritti alla legge (S. Lo Giudice)
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Capitolo settimo Oltre il dibattito pubblico, ma non oltre la critica: pratiche di assistenza sessuale in Europa (G. Garofalo Geymonat) 99 Capitolo ottavo Non è un paese per diversi: riflessioni su canoni estetici dominanti ed emarginazione relazionale, affettiva e sessuale (M. Nada) 115 Conclusioni (M. Ulivieri)
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Postfazione (G. Würth)
167
Capitolo ottavo
Non è un paese per diversi. Riflessioni su canoni estetici dominanti ed emarginazione relazionale, affettiva e sessuale Maurizio Nada
Si guardi alla sessualità. La si vede ogni momento come la padrona vera ed ereditaria del mondo, per propria pienezza di potenza, sedere sul trono ereditario e dall’alto di là ridere con scherno sulle disposizioni che si sono istituite per frenarla, incarcerarla, almeno limitarla e possibilmente tenerla nascosta, o dominarla in modo che essa appaia soltanto come una faccenda accessoria e subordinata della vita. Arthur Schopenhauer
Premessa Ogni persona, in qualunque momento della sua vita, può trovarsi in una condizione di salute che, in un ambiente negativo, diviene disabilità. La disabilità non è una caratteristica della persona, ma il risultato dell’interazione tra la situazione personale e un contesto sociale sfavorevole che può limitare o restringere le capacità funzionali e di partecipazione sociale. (OMS, 2002)
Così come un bastone tra le ruote di un mezzo ne arresta il movimento, mettere i bastoni tra le ruote, nel linguaggio corrente, assume il significato di impedire a qualcuno di com115
piere una determinata azione, fare ostruzionismo, intralciare o ostacolare un’attività, un progetto o altro creando intoppi e difficoltà. Sia che si tratti di un ostacolo fisico, di una norma astrusa, di un pregiudizio o di uno stereotipo, non sempre viene fatto di proposito o con cattive intenzioni. Spesso si tratta di negligenza, di indolenza, di indifferenza, di scarsa attenzione, di menefreghismo, di incapacità di vedere oltre le proprie esigenze e comodità. Senza rendercene conto, siamo anche noi stessi a mettere i bastoni fra le ruote agli altri: parenti, amici o sconosciuti. Se ci si riferisce alla disabilità, i «bastoni» possono essere rappresentati concretamente da tutte quelle barriere che, quotidianamente, amareggiano e rendono la vita disagevole e un po’ faticosa. Ma mentre le barriere fisiche, costituite da scale, da dislivelli, da luoghi poco accessibili sono tangibili, individuabili e, con un po’ di buona volontà, anche facilmente superabili ed eliminabili, un discorso diverso riguarda i «bastoni», cioè le barriere di tipo culturale che sono di difficile identificazione e non riconducibili a un intervento specifico o a una serie di interventi ma a un sistema, a delle strutture mentali e a dei condizionamenti che richiedono dei processi di cambiamento nel lungo periodo. Una questione come quella relativa alle barriere architettoniche può essere complicata e magari noiosa. Richiede pazienza ma prevede soluzioni anche già definite e potenzialmente alla portata. La questione relativa alle barriere di tipo culturale, invece, è complessa ed è difficile intuirne e definirne tutti i risvolti, tutte le dinamiche e tutte le variabili e prevederne con certezza lo sviluppo. Negli ultimi tempi sono stati fatti molti progressi, sul piano etico, civile e sociale, per abbattere dei pregiudizi e delle barriere che, in anni di oscurantismo, relegavano all’emarginazione e additavano al disprezzo gli orientamenti sessuali «diversi» e il 116
colore della pelle e/o la provenienza da culture e Paesi «altri». Oggi, fortunatamente, ogni manifestazione o dichiarazione irriguardosa con connotazioni omofobe e xenofobe viene prontamente condannata e può essere anche perseguita in base al contesto. Politiche e interventi di discriminazione positiva hanno avuto, negli anni, il pregio di contribuire a dei cambiamenti culturali ma allo stesso tempo lo svantaggio, a volte, di sanare delle discriminazioni creandone altre, facendosi guidare più dall’emotività che dal pragmatismo. Età, genere, classe, razza, orientamento sessuale sono le dimensioni classiche in base alle quali si individuano i gruppi sociali svantaggiati. Con assonanza e analogie, termini come disablism e ageism, ad esempio, indicano ogni forma di pregiudizio, discriminazione e segregazione nei confronti delle persone con disabilità e delle persone anziane. La stigmatizzazione, anche in questo caso, usa dispositivi simili a quelli di altri -ismi e degli stereotipi generalizzanti: quelli che inducono a cogliere non individui e singolarità, ma categorie indistinte, oltre tutto costruite, rappresentate, percepite secondo cliché svalorizzanti e forme di discriminazione tra le più invisibili e tollerate. Il paradosso è che chi coltiva pregiudizi verso le persone con disabilità e i «vecchi» contribuisce a condannare se stesso all’appartenenza futura a una categoria svalorizzata e stigmatizzata proprio perché si basa sulla «rimozione della finitezza» (poiché tutti diventeremo vecchi e tutti possiamo diventare disabili). Nei confronti della disabilità (e dei bisogni che comporta) sono cambiati, in positivo, molti atteggiamenti e si intravedono una maggiore apertura e minore compassionevolezza, nonostante siano ancora in tanti a mettere «i bastoni fra le ruote» ignorando i parcheggi riservati, occupando scivoli e marciapiedi o, a livello amministrativo, ignorando le necessità con tagli indiscriminati o utilizzo improprio di risorse. 117
Ma resiste ancora una discriminazione più nascosta, per certi versi più tollerata (perché si è poco consapevoli delle sofferenze procurate), ed è quella di tipo estetico, nei confronti di chi ha un corpo «diverso» e che si riflette sulla vita relazionale, affettiva e sessuale delle persone e sulla salute psicofisica di chi ne è privato. Mancano la percezione e la consapevolezza di mettere in atto comportamenti discriminatori, poiché c’è difficoltà a considerare la società come soggetto discriminante a partire da modelli di comportamento accettati e dalla mancanza di tutele, in questo ambito, per le fasce di popolazione più vulnerabili sul piano della fisicità. Non solo rispetto a dei comportamenti discriminatori si ha difficoltà a percepirli come tali, ma anche i motivi per cui si discrimina non sono facilmente definibili, così come non c’è consapevolezza del rapporto tra discriminazione e salute, disconoscendo che la prima lede il diritto alla seconda intesa come benessere a tutto tondo. In una cultura ossessionata dalla perfezione fisica, dall’immagine, dai modelli, dal mito della giovinezza, non rientrare nei canoni estetici dominanti a causa dell’aspetto fisico, di un «corpo diverso» dovuto a senescenza, obesità, disabilità, deturpamenti, malformazioni e malattie sfiguranti, significa, spesso, avere molte meno opportunità di relazionarsi, di scegliere se e con chi interagire a un livello più intimo della semplice conoscenza e amicizia. Se sono presenti anche dei gravi problemi funzionali che non consentono una piena padronanza del corpo, il rischio di esclusione è ancora più alto. La visione stereotipata del corpo «diverso» contribuisce a creare l’immagine di un corpo asessuato, oggetto di cure e mai soggetto di desiderio. La «diversità» del corpo e le disabilità sono pervasive al punto da divenire una barriera che offusca e nasconde tutto il resto, tutte le capacità e le qualità della persona. Anche quando il fisico non è devastato da patologie gravemente invalidanti e sfiguranti, possono essere presenti dei «bastoni tra le ruote» costituiti da caratteristiche, minime 118
imperfezioni o manifestazioni conseguenti alla condizione o alle cure che, di fatto, limitano le opportunità di relazione intima e l’appagamento del desiderio. Anche un particolare di per sé trascurabile, come la scialorrea, può essere motivo di discriminazione e di rifiuto. Così si esprime, ad esempio, uno degli intervistati nel docu-film di Adriano Silanus Sesso, amore & disabilità: «Sono spastico e dalla mia bocca esce spesso saliva. Questa cosa respinge e non è molto bella, effettivamente. Quando ero adolescente immaginavo quanto fosse bello baciare. Queste due lingue che si toccano e che si intrecciano. Ecco, per me baciare con la lingua voleva dire essere accettato…». Le discriminazioni relative all’orientamento sessuale, alle problematiche di genere, all’appartenenza a una classe o a un gruppo sociale disagiato, a un’etnia possono avere rappresentato un ostacolo o un rallentamento nell’accesso a dei diritti civili con conseguenze emarginanti, ma non hanno impedito alle persone la possibilità di avere e coltivare relazioni affettive e sessuali soddisfacenti, in quanto questa possibilità non è condizionata dallo status, dal modo di essere e di vivere ma è proporzionalmente legata a quanto più le caratteristiche fisiche corrispondono ai canoni omologati di bellezza fisica e piacevolezza di insieme. Chi viene associato al concetto di «diversità» e «bruttezza» fisica, si ritiene, spesso, che a causa della propria condizione non possa desiderare o aspirare al piacere del contatto fisico e a una vita sessuale e affettiva soddisfacente, così come avviene con persone esteticamente «normodotate». C’è una scala di valori consolidata, anche se non esplicitata, che fissa il valore dell’esistenza delle persone svantaggiate a un livello immensamente distante rispetto a quello delle persone socialmente inserite. C’è chi ha tutte le possibilità e occasioni per vivere pienamente ogni emozione a livello relazionale e affettivo e, a volte, lo dà per scontato e c’è chi invece non ha niente e può solo immaginarlo. 119
Solo una esigua parte di popolazione ha iniziato a porsi delle domande e a interessarsi e preoccuparsi dell’emarginazione affettiva, relazionale, emozionale e sessuale e di tutte le conseguenze sul piano psicofisico di cui sono vittime, incolpevoli, le persone il cui aspetto non rientri o non rientri più tra quelli convenzionalmente accettati. Le persone con disabilità, le persone anziane, le persone obese, le persone affette da menomazioni o patologie deturpanti non sono tutte uguali, non vivono tutte la stessa emarginazione o privazione sensoriale ed emotiva ma la società, in genere, ritiene per la maggior parte di loro difficile, se non impossibile, coltivare relazioni affettive e sessuali soddisfacenti, poiché si dà per scontato che le possibilità e le occasioni di vivere delle piacevoli esperienze fisiche ed emotive siano compromesse dalla loro situazione. Sotto questo punto di vista è illuminante la definizione di «persona fisicamente non facilitata» coniata da Silvia Migliaccio (iosonominoranza.it) poiché, per estensione, può essere riferita sia alle difficoltà di muoversi e di svolgere autonomamente delle attività, sia alle difficoltà che la persona può incontrare nell’approcciarsi e nell’essere accettata a livello di relazioni «fisiche», affettive e sessuali. Il termine stesso può ricomprendere, secondo le accezioni comuni, sia le persone con disabilità fisiche o «diversamente abili» sia le persone con patologie deformanti e sfiguranti e condizioni di salute che creino imbarazzo e fastidio, sia le persone anziane o obese. In una società condizionata pesantemente da dei canoni estetici, un individuo il cui involucro presenti gravi «difetti di confezionamento» è destinato a una privazione non solo in termini affettivo-relazionali e sessuali ma anche di contatti fisici. Il pacchetto rovinato o con una data di scadenza ravvicinata rimane sugli scaffali; la confezione intatta attrae di più, rassicura sulla freschezza e sulla qualità. Anche gli abbracci, le carezze o le piccole manifestazioni fisiche che, di per sé, non 120
sono necessariamente connotati da sessualità, vengono dispensati con difficoltà a chi ha un «corpo diverso» o una disabilità o è afflitto da obesità, anzianità, deturpazioni e malformazioni. Conseguentemente, sperare in un contatto fisico più profondo e più intimo è ancora più illusorio. Quando questo avviene, chi ritiene di appartenere a una categoria esteticamente più fortunata preferisce che non si venga a sapere: «Qualche ragazza che sarebbe venuta a letto con me l’ho pure trovata, ma mi diceva: “Basta che non ci facciamo vedere in giro insieme”», racconta una persona con disabilità nel docu-film di Adriano Silanus. Il giudizio è ancora determinante. In America, come in tutti i Paesi anglosassoni, la maggior parte dei problemi viene affrontata in modo pragmatico. Esistono gruppi di donne over 100 (inteso come peso) che, invece di piangersi addosso per la condizione di emarginazione affettiva e relazionale dovuta all’aspetto poco attraente, si organizzano e, attraverso i social e altre modalità, si ritrovano in determinati alberghi preoccupandosi di farlo sapere a quanti più maschietti possibile mettendosi a «disposizione» come in una sorta di asta, abbinando se stesse al numero di una camera. Molti uomini, sia anch’essi in situazione di emarginazione affettiva sia semplicemente desiderosi di esperienze sex-friendly e senza implicazioni sentimentali, raggiungono questi alberghi, si impossessano di una chiave e si dirigono con la prescelta alla camera. In un’intervista, una di queste ragazze in carne ha confessato che, spesso, molti di loro si vergognano anche solo a prendere l’ascensore o a farsi vedere insieme fuori dalla camera ma che, comunque, lei accettava anche questa umiliazione pur di avere un contatto fisico e illudersi, per qualche minuto, di sentirsi (quasi) desiderata. La «bruttezza» derivante dall’essere racchiusi in un corpo «diverso» e senza il conforto, almeno, di un viso gradevole e solare e di una personalità dirompente, può suscitare simpa121
tia, solidarietà, difficilmente desiderio di contatto fisico e di esplorazione emotiva. A volte può suscitare fastidio, imbarazzo, soprattutto se chi ha un «aspetto sgradevole» si espone o dichiara i propri sentimenti e desideri nei confronti di chi possiede una presenza bella o almeno accettabile. È un tabù rimosso, poco affrontato anche a livello clinico e letterario a eccezione, forse, del romanzo Fosca di Iginio Ugo Tarchetti e di I brutti anatroccoli di Piergiorgio Paterlini. Il libro di Paterlini non è solo una raccolta di storie personali riviste dall’autore ma è, forse, qualcosa che assomiglia di più a una profonda introspezione: attraverso le parole, i ricordi e i sentimenti dei protagonisti esplora l’animo e la condizione umana di chi sperimenta, per tutta la vita (e sicuramente nell’ultima parte della vita) una sorta di invisibilità e la privazione di uno dei bisogni più importanti: quello di sentirsi desiderati e di vivere con intensità delle emozioni. La protagonista di una delle storie del libro di Paterlini dice: «“Ti amo” io l’ho detto troppe volte e ora ho smesso. E non voglio più che mi si dica “ti voglio bene”. Voglio meno parole e più abbracci, anche dai miei amici. I miei amici più cari mi ripetono che mi vogliono bene, ma non mi toccano mai, non mi sfiorano neppure. Se non posso avere l’amore, il contatto fisico lo pretendo. Incredibile quanto sia difficile ottenere solo un piccolo gesto fisico d’affetto». La protagonista è una ragazza oversize, stimata da tutti per le brillanti capacità intellettive e professionali ma senza nessuna chance sul piano affettivo e sessuale e lasciata sempre, come si dice adesso, in friendzone. Una donna molto grassa è un elemento neutro: è intelligente, simpatica, dolce, sensibile, tanto brava ma non è una donna. Il corpo «diverso» suscita affetto, compassione, tenerezza, ma quasi mai passione o desiderio. Il poeta normanno Béroul, nel romanzo in versi del 1190, Tristano e Isotta, narra dei preparativi per la condanna a morte 122
di Isotta per adulterio. Il rogo è pronto e Isotta, bellissima, circondata da persone urlanti, piange la propria triste sorte. «… Ma un uomo malato e deturpato si era colà recato, per assistere all’esecuzione, con cento suoi compari… con le loro stampelle, coi loro bastoni. Mai avrete visto tanta bruttezza, tanta deformità e deturpazione…». Quando, «con voce stridula» l’«intoccabile» urla al re Marco di salvarle la vita e di farle espiare il tradimento consegnandola a lui, Isotta grida: «Signore, pietà! Piuttosto che lasciarmi a quell’uomo orrendo, bruciatemi subito!». Spesso riconoscere di avere un problema significa in parte superarlo, ma nel caso della «bruttezza» e di un corpo «diverso» (derivanti da svariate condizioni), se la persona ne è consapevole sa che la propria «dotazione» non risponde alle aspettative, anche se c’è (e ci deve essere) il desiderio, la speranza che esista un deus ex machina in grado di favorire l’incontro con l’anima gemella o, per lo meno, il riconoscimento, la valorizzazione reciproca, l’opportunità di un’esperienza intima. È faticoso, se non impossibile, essere desiderati o amati quando il corpo, l’aspetto fisico suscitano affetto, compassione e tenerezza e mai sensualità, attrazione e passione. Nel nostro contesto è culturalmente difficile pensare che le persone con un corpo «diverso» possano aspirare all’incontro, alla seduzione, all’innamoramento, al corteggiamento. Anche nei social media questi tentativi sono affrontati e trattati con compassione o sufficienza o con giudizi critici negativi («Ma come si fa a mettersi con uno così… ma che schifo!», citazione da un post di Facebook, riferito a una persona in carne e con malformazioni). La ricerca dell’«anima gemella» si conclude, a volte, con l’incontro con il «corpo gemello». Questo crea delusione perché anche la persona con un corpo «diverso» cerca qualcuno con una «bella presenza» o che non abbia le stesse difficoltà («Preferirei 123
qualcuno che non fosse in carrozzina come me…» dice uno dei protagonisti della serie televisiva The Undateables: L’amore non ha barriere andata in onda su RealTime).1 Il pregiudizio sociale è così radicato che anche delle persone con disabilità evitano di avere relazioni con altre nella stessa condizione oppure rivolgono loro attenzioni solo come opzione di «seconda scelta». Amare ed essere amati come si vorrebbe, non solo come si può Il modello borghese vince anche in amore e nel sesso. Chi sa di possedere un certo capitale estetico, vuole una contropartita adeguata. Piergiorgio Paterlini
I modelli proposti da una società, come l’aspetto fisico, l’efficienza e la piacevolezza d’insieme, possono rappresentare degli elementi determinanti per poter scegliere e vivere una vita relazionale e intima soddisfacente. Le persone con caratteristiche fisiche non adeguate ai canoni estetici omologati e che non possiedono o hanno perso le abilità di «fascinazione» (a causa di menomazioni, obesità, deturpamenti, invecchiamento, ecc.), incontrano difficoltà nell’intraprendere delle relazioni e rischiano l’emarginazione affettiva, nonostante le loro capacità socioemozionali, la voglia di amare e il desiderio siano assolutamente «normali». La vita, di per sé, non è sempre così difficile; sono le relazioni o la mancanza di relazioni che la complicano e la mancanza di autostima e di una conoscenza di sé è uno dei freni per un naturale approccio verso l’altro sesso. Ogni persona, con la propria unicità, aspira ad amare ed essere amata fisicamente, a essere desiderata e vivere e condivide La serie segue le vicende di nove personaggi affetti da diverse forme di disabilità mentre muovono i primi passi nella ricerca dell’amore.
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re delle sensazioni fisiche anche quando problemi di disabilità, a causa della limitata autonomia personale, rendono difficile accedere alle normali situazioni e occasioni di contatto e di conoscenza. Questa situazione può generare disistima, senso di inadeguatezza, ricadute sulla salute e, per timore di essere rifiutati, portare anche a disinvestire nei rapporti sociali, all’isolamento e alla perdita di ogni diritto a sentirsi vivi, accettati e felici al di là della propria condizione. … Sentirmi viva, sentirmi una donna intera e non più a metà, non più disincarnata come fossi incorporea; sentirmi amata e desiderata, attraverso un incontro e una comunione non solo delle anime ma anche dei corpi… Io sono una donna di trentuno anni che non si arrende all’esigenza di essere tale perché formalmente, a livello biologico, ho anch’io una vagina tra le gambe. Voglio sentirmi donna in profondità e essere amata completamente per ciò che sono, vivendo anche i piaceri del sesso…2
Ogni essere umano ha bisogno di sentire di essere importante per qualcun altro o che qualcun altro provi interesse per lei in quanto persona che, per sentirsi tale, ha bisogno di vivere l’emozione dell’incontro, il calore e la sensualità di un contatto fisico, la condivisione di sentimenti e piaceri. Tutto questo aiuta a sentirsi più sicuri e ad avere più fiducia, più autostima e automotivazione alla cura di sé. Significa sviluppare ed espandere le risorse cognitive ed emotive, agevolare l’identificazione, l’iniziativa autonoma e avere benefici effetti sull’organismo. Se sono presenti anche problemi che compromettono il movimento si è maggiormente impossibilitati nell’incontrarsi fisicamente con altri, per la ridotta autonomia nello spostarsi, nel superare delle barriere architettoniche e nello Silvia Migliaccio, Abili d’amare, senza «diversamente», www.iosonominoranza.it.
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svolgimento delle pratiche relative alla cura di sé che consentono di predisporsi nel migliore dei modi. Un corpo non in linea con la bellezza comune, così come è intesa nella nostra società, rende più difficoltose le interazioni fisiche e una non completa padronanza del corpo rende più rare e improbabili le interazioni sessuali. La disabilità è sia una condizione sia un processo che può riguardare tutte le persone e che si sviluppa in modo differenziato secondo i contesti familiari, culturali, sociali nei quali esso avviene. La disabilità, in particolare quella fisica, non rappresenta una categoria a sé stante ma è una condizione in cui ognuno può venire a trovarsi, in modo temporaneo o permanente, per nascita, patologie, traumi, senilità, disfunzioni e che può impedire di scegliere e vivere una vita relazionale e intima soddisfacente. Le stesse difficoltà nell’intraprendere delle relazioni e il rischio di emarginazione affettiva e sessuale sono comuni, in qualche modo, a tutte quelle persone che non possiedono o hanno perso le abilità di «fascinazione» e il cui aspetto sia lontano dai modelli estetici dominanti e dal concetto di bellezza, perfezione ed efficienza fisica che si considerano come uniche condizioni possibili per suscitare interesse, passione, amore, desiderio di contatto, piacevolezza. Nel corso degli ultimi decenni si è assistito a un progressivo aumento delle aspettative di vita anche delle persone con gravi disabilità o patologie ma, oltre ad assicurare una vita migliore dal punto di vista sanitario, è indispensabile creare le condizioni per assicurare anche una buona qualità di vita. La qualità della vita, oltre che dal benessere fisico e da condizioni economiche accettabili, è data dalla possibilità di coltivare interessi e di partecipare alla vita sociale, percependosi come risorsa, sentendosi accettati e utili. Anche chi ha disabilità e gravi patologie, chi ha perso o non ha mai posseduto la capacità di attrarre fisicamente qual126
cuno, ha bisogno, come tutti, di sensualità, di calore corporeo, del contatto fisico-erotico, di massaggi con un certo grado di sensualità o anche solo di abbracci spontanei e carezze non compassionevoli. LoveGiver, il Comitato che è nato per la promozione dell’assistenza sessuale, si prefigge lo scopo di sensibilizzare l’opinione pubblica, raccogliere consenso e adesioni per promuovere anche in Italia, così come avviene in altri Paesi europei, il riconoscimento delle pratiche di assistenza sessuale e della figura dell’assistente sessuale al fine di consentire anche alle persone con disabilità, con ridotta mobilità e motilità e a tutte le persone in situazione di emarginazione affettiva e sessuale, di pervenire a un benessere psicofisico ed emotivo, all’acquisizione di fiducia in se stessi e a vivere un rapporto diverso e positivo con la propria fisicità. L’intervento di assistenza per il benessere psicofisico, emotivo e sessuale non è però limitato al conseguimento del piacere fisico ma è esteso all’acquisizione di competenze sociorelazionali ed emotive per una gestione, il più possibile autonoma, della sessualità e dell’intimità, favorendo una maggiore conoscenza e consapevolezza di sé e una più adeguata capacità di prendersi cura del proprio corpo e della propria persona. Questo significa anche accogliere e non reprimere le diverse istanze del proprio corpo, dei sensi e dell’animo, sperimentare il piacere di comunicazione rispetto alle proprie sensazioni e il piacere di ricevere sensazioni dagli altri con i gesti, con la voce, con lo stare insieme, con il corpo, migliorando, sotto tutti i punti di vista, il rapporto con la propria sfera relazionale/sessuale. La sessualità è vissuta o espressa in fantasie, desideri, comportamenti, pratiche, ruoli e relazioni. Queste diverse dimensioni non sono sempre nel loro insieme vissute o espresse da tutti, in quanto la sessualità è il risultato dell’interazione di più aspetti: biologico, psicologico, emotivo, socioeconomico, 127
culturale, etico e spirituale. La sessualità è parte integrante dello sviluppo psichico e della personalità ed elemento essenziale e costitutivo, e rappresenta una energia e un bisogno insopprimibili, influenzando gli atteggiamenti e i comportamenti di ogni individuo. Attraverso il corpo percepiamo le esperienze ed entriamo in contatto con gli altri. Anche lo sviluppo emotivo e sessuale delle persone con disabilità o gravi patologie è, come per le altre, importante per la crescita personale ed emotiva, la salute, il benessere psicofisico e sociale. Nonostante lo sviluppo di modelli di approccio alla disabilità che prevedono il superamento di logiche e schemi di matrice meramente assistenziali e terapeutici, le questioni relative alla sessualità nelle persone con disabilità e il loro ambiente rappresentano ancora un argomento poco affrontato e non è raro riscontrare che venga loro reso difficile o represso tale diritto, in particolare quando si tratta di disabilità intellettive e psichiche. Nel corso degli anni la mentalità in tema di sessualità è sensibilmente cambiata e ha permesso una migliore comprensione dei bisogni delle persone ma permangono le idee sbagliate, i luoghi comuni, le resistenze e gli atteggiamenti negativi nei confronti della sessualità in condizioni di disabilità, sia per la non conoscenza che per malintesi culturali come, ad esempio, la considerazione del sesso come di un fattore essenzialmente «genitale» e la convinzione che i disabili non abbiano desideri e bisogni sessuali o non siano attraenti per gli altri (in particolare per le persone «normodotate») o, ancora, che comunque un corpo «diverso» non possa generare piacere. Il peso di questi pregiudizi influenza e condiziona ancora la società, le famiglie e gli individui e genera incertezze, paure e resistenze culturali. La conseguenza negativa è che le esigenze delle persone siano spesso negate e rimosse e si eviti ogni situazione e comportamento con connotazioni sessuali, limitando il pieno esercizio dei diritti e creando, artificialmente, 128
differenze tra la sessualità delle persone con e senza disabilità ma pure tra la sessualità di chi, anche a fronte di menomazioni e disfunzionalità, possiede un aspetto gradevole e chi, anche a fronte di autosufficienza e una buona funzionalità, è di aspetto «sgradevole». Se si nega la condizione sessuale, si nega l’identità stessa della persona. Ci sono molti modi, come esseri umani, di vivere la sessualità ma una persona che ha la possibilità di esprimere se stesso sessualmente e attraverso le emozioni e il piacere che ne deriva, può avere, forse, una migliore qualità di vita. Chi è condizionato da disabilità e patologie fortemente invalidanti o da caratteristiche fisiche che non suscitano desiderio e fantasie erotiche, ha una possibilità di scegliere con chi e come esprimere la propria sessualità fortemente limitata ed è impossibilitato ad «amare ed essere amato come vorrebbe». Chi ha un corpo «diverso», un aspetto poco o per nulla attraente e che può suscitare rifiuto, qualunque sia la sua condizione, vive una doppia discriminazione. La prima, di non avere opportunità e occasioni di contatto fisico e di vedere limitata la possibilità di esprimere la propria sessualità; la seconda, di non potersi permettere di esprimerla liberamente e nelle modalità più affini alla propria identità, alle proprie fantasie e ai propri desideri. Qualcuno può pensare che la soluzione ideale possa essere allora il ricorso a una prestazione sessuale a pagamento, sia maschile che femminile. Spesso si tratta però di rapporti senza carezze, senza la dolcezza sperata, che non lasciano soddisfatti e non piacciono a tutti; c’è anche chi non vuole necessariamente ricorrervi e non è detto nemmeno che sia semplice farlo, sia per questioni pratiche, sia per l’eventuale rifiuto opposto da chi dovrebbe fornire la prestazione. La stessa assistenza sessuale, che si svolge con altri obiettivi e con altre modalità, tempistiche e professionalità, prevede dei limiti nell’ambito della prestazione. 129
La possibilità di esprimere la propria sessualità non si esaurisce nelle varianti del rapporto fisico stesso, a livello orale, anale, ecc., ma si manifesta in tutte le varianti e le pratiche, anche «trasgressive», che le persone con disabilità e con un corpo «diverso» possono desiderare di provare e che richiedono, oltre a complicità e reciproca attrazione, capacità di stimolare l’affettività di altre persone e di eccitarle da un punto di vista erotico: lo scambio di coppia, il sesso di gruppo, il bdsm, ecc., così come modalità di essere e di viversi come il poliamorismo e la sociosessualità. Anche questa limitazione riconduce alla questione dell’emarginazione affettiva, relazionale e sessuale che riguarda non solo le persone con disabilità ma anche tutte quelle (obese, anziane, deturpate, ecc.) il cui aspetto fisico non sia in linea con i canoni estetici che la società ha assunto come condizione per poter vivere una piacevole vita sessuale ed emotiva. Poiché, come sostiene R. Laing, «esistono differenze tra persone, non persone differenti», ci sono uomini e donne che hanno una particolare attrazione per le persone con disabilità, un’attrazione sessuale per chi è in carrozzina, per chi ha delle malformazioni o presenta delle amputazioni, per le persone anziane o per persone con determinate caratteristiche fisiche (ad esempio, l’acondroplasia). Questi comportamenti vengono definiti come parafilie e declinati nelle varie accezioni: devotismo, gerontofilia, acrotomofilia, ecc. («… una persona si eccita in tanti modi diversi, c’è chi si eccita vedendo il piede di una persona, chi si eccita vedendo gli organi genitali, e c’è chi si eccita vedendo una ragazza seduta su una carrozzina…» scrive Tania Bocchino nel suo Nuda pelle). Dati certi non ne esistono e, probabilmente, i numeri sono distanti da quell’indice di emersione che consente di classificare una serie di comportamenti come «fenomeno». Anche ammettendo, però, che esistano dei numeri importanti rispetto a queste parafilie, 130
occorre riflettere se sia opportuno medicalizzare ogni tipo di comportamento e non considerarle invece solo come alcune delle tante sfumature dell’erotismo, senza riprovazione morale e stigma ma, al contrario, nel ripensarle come opportunità di essere e sentirsi desiderati per chi questa sensazione non l’ha mai provata o l’ha provata raramente. Esistono dei canoni estetici ai quali siamo abituati e che rispecchiano gli standard comuni (e omologati) di bellezza e che ci «guidano» nel distinguere l’armonia, la grazia e l’eleganza di un corpo, rispetto a un altro che possiamo invece percepire come sgraziato e sgradevole, se non addirittura ripugnante. Questi canoni afferiscono anche ai rapporti, alle relazioni affettive, alle dimensioni ludiche dell’amore e del sesso. Chi vìola i canoni suscita sospetti, apprensioni. Coppie troppo assortite, con alta disparità a livello estetico, in cui esistono notevoli differenze di età, di condizioni fisiche (la persona disabile con la persona «normale», ad esempio), di posizione sociale, ecc., generano imbarazzo e l’idea che si celino compromessi, dipendenze o plagi; in alternativa, si riconduce l’immagine di coppia a qualcosa di più noto e più rassicurante: disabileassistente, anziano-badante, nonno-nipote, ecc. In realtà, ciò che rappresenta per qualcuno quanto di più imperfetto e improbabile, per altri può risultare seducente, attraente e amabile. Il problema è che i condizionamenti culturali sul piano estetico fanno perdere di vista le possibili sfumature intermedie e, in qualche caso, allontanano da qualunque cosa si discosti, anche di poco, dall’essere uguali a noi. C’è sempre un modo diverso di vedere le cose Noi non vediamo le cose come sono. Noi vediamo le cose come siamo. Anaïs Nin 131
«Gli uomini hanno paura di ciò che non capiscono» usava dire il poeta inglese Joseph Merrick, riferendosi alla neurofibromatosi o morbo di von Recklinghausen, l’anomalia genetica che lo ha reso noto in tutto il mondo come «l’Uomo Elefante». Joseph Merrick incontrò nella sua vita un solo amico, il Prof. Frederick Treves che lo salvò dalla strada in cui fu gettato dai suoi stessi familiari, anche se, forse, perché interessato a studiare la sua «straordinaria» deformità. Nonostante fosse un poeta brillante e dotato di un’interiorità rara per il suo tempo, quasi nessuno lo considerò mai un vero essere umano, un proprio pari e, ancora oggi, è ricordato come «l’Uomo Elefante», il fenomeno da baraccone più famoso d’Inghilterra. Basta un aspetto fisico ripugnante per oscurare agli occhi degli altri le capacità interiori, inibire qualsiasi tentativo di socializzazione, offuscare sentimenti di pietas. Una foto apparsa quest’anno su alcuni giornali e ripresa anche dai media stranieri e perfino dalla Cnn, ritrae Papa Francesco che, nel bel mezzo dei suoi consueti bagni di folla, abbraccia e accarezza un uomo che soffre della stessa malattia di Merrick, una patologia la cui incidenza è praticamente irrisoria, pari forse a una trentina di casi in tutto il pianeta. Perché questo gesto è così significativo? Nei casi più gravi la neurofibromatosi è così sfigurante che a volte perfino i medici si tengono a distanza, ma Papa Francesco, con il suo gesto, ha comunicato che non si può negare il diritto a un contatto fisico nemmeno a una persona con un corpo così deturpato e abituato fin dall’adolescenza solo all’emarginazione, se non a esplicite manifestazioni di repulsione. In un’intervista, Vincenzo, così si chiama quell’uomo, dice: «… la cosa che più mi ha colpito è che non sia stato lì a pensarci se abbracciarmi o meno. Io non sono contagioso, ma lui non lo sapeva. Però l’ha fatto e basta: mi ha accarezzato tutto il viso, e mentre lo faceva sentivo solo amore». 132
Al di là di quelli che possono essere i valori cristiani, condivisibili o meno, nell’abbraccio di Papa Francesco appare evidente un altro significato: quello di rifiutare quella parte di mondo che discrimina e rifiuta per l’aspetto fisico, per accogliere, senza barriere, proprio coloro che il mondo discrimina e rifiuta. Una grande statua posta a Trafalgar Square, in piena Londra, celebra la testimonianza eccezionale di Alison Lapper, un’artista nata focomelica per colpa del talidomide,3 abbandonata dalla madre, sopravvissuta in un istituto ma con una grande voglia di vivere, al punto di accettare la scommessa di riuscire a crescere e educare un figlio. La statua, che è alta quasi 5 metri e pesa 17 tonnellate, è stata realizzata dall’artista Marc Quinn, che non è nuovo a studi e campagne con soggetti disabili, al fine di sensibilizzare verso un diverso atteggiamento nei confronti dei disabili e una diversa percezione del «corpo senza arti», ispirandosi ai marmi famosi dell’antica Grecia e di Roma: «Anche la statua della Venere di Milo è senza braccia, eppure è un simbolo della femminilità e della bellezza greca. Alison diventa una bellezza della diversità dell’essere donna, perché la diversità e l’handicap fanno parte della nostra realtà, della nostra vita quotidiana». La statua che simboleggia questo concetto non è stata posta (anche per via delle dimensioni) in una galleria o in un museo alla vista di pochi addetti ai lavori o amanti dell’arte, ma in un luogo pubblico, internazionalmente noto, vista e condivisa da tutti, anche da chi con l’arte ha poco da spartire ma può acquisire, ugualmente, un modo diverso e inclusivo di guardare un corpo «diverso». Farmaco prescritto negli anni Cinquanta e Sessanta come sedativo e antinausea, soprattutto a donne in gravidanza. Ritenuto responsabile di gravi malformazioni neonatali, fu ritirato dal mercato nel 1961.
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Essere persone con disabilità non dovrebbe significare vivere una vita parallela, in una società parallela, fatta di cose su misura, di percorsi diversi, di opportunità ridotte. La società è il luogo dei rapporti che ci consente di diventare quello che siamo, autonomi, sicuri di noi, capaci di scelte, attraverso il cammino dell’identificazione personale e l’espressione di sé. È un percorso di cambiamento. Non è solo questione di barriere, non è solo questione di diritti, così come non è solo questione di sessualità negata a cui rispondere con un servizio (anche se necessario e atteso). Ma di come si pensa, si guarda, si percepisce e ci si guarda e ci si percepisce. Sono lo sguardo e la prospettiva che devono diventare diversi. Non è la disabilità l’ostacolo ma l’incapacità, la scarsa abitudine nel considerare, riconoscere, vedere ciò che c’è e nel considerare la disabilità, le imperfezioni fisiche, i «corpi diversi» come una espressione della varietà umana. In una società in cui il corpo con disabilità è invisibilizzato perché considerato non conforme agli standard estetici e non rispondente a criteri di prestazione e funzionalità dare a questo visibilità diventa un atto politico necessario e rivoluzionario. Paradossalmente, questa società invita le donne e gli uomini a mostrare il corpo, ad essere belli, attraenti e seducenti, mentre alle persone con un corpo «diverso» chiede il contrario, di nascondere il proprio fisico, di non essere «belli». Ciò che non può essere normalizzato è escluso dai presepi della rappresentazione della bellezza. I corpi non conformi al modello — perché grassi, bassi, deformi — hanno meno diritti di cittadinanza. Il potere di persuasione che la pubblicità esercita sulle persone è grande, e lo sanno bene alcune tra le più influenti aziende del mondo che, a volte, utilizzano questo potere per far riflettere e diffondere un messaggio. Alcune delle più recenti campagne pubblicitarie mostrano immagini di coppie formate 134
da persone dello stesso sesso o associano queste coppie al concetto di relazione felice e di famiglia. L’obiettivo della pubblicità, in questo caso, oltre a quello commerciale di vendere il prodotto e raggiungere un target sempre più ampio di consumatori, è anche quello di abituare l’opinione pubblica a considerare normale e comune ciò che normale e comune, per alcuni, ancora non è: considerare la coppia omosessuale come una coppia a tutti gli effetti. Una coppia che non solo è naturale trovare per strada ma che è in grado di essere la base per una vera e propria famiglia. A parte qualche sporadica o provocatoria iniziativa o «pubblicità progresso», manca ancora però nelle pubblicità di prodotti di largo consumo un riferimento alle persone con disabilità, alle persone con aspetto e corpi «diversi» ritratte in scene di normale quotidianità o di relazione, nonostante si tratti, commercialmente, di un target costituito da parecchi milioni di persone. La motivazione, forse, risiede nel fatto che negli spot gay-friendly, anche se gli orientamenti sessuali sono «diversi», i corpi e l’aspetto dei protagonisti rientrano in canoni estetici rap-presentabili, che non ledono l’immagine del prodotto. Occorre promuovere un cambiamento culturale e superare le barriere culturali e fisiche legate all’aspetto che possono ostacolare il diritto e l’aspirazione a una normale vita relazionale, intima, sessuale e sentimentale da parte delle persone con disabilità che, come e più delle altre, «hanno bisogno non solo di assistenza ma anche di amare e di essere amate, di tenerezza, di vicinanza e di intimità» (Papa Giovanni Paolo II). Un cambiamento culturale non è purtroppo un processo naturale, occorre continuamente «pro-muoversi» e superare difficoltà affinché ogni volta cada un altro confine e tutti possano partecipare ed esistere. Un video della compagnia spagnola di teatro e danza «El Tinglao», aperta anche a persone con disabilità, perché queste possano ballare, cantare, recitare, ma soprattutto rendersi visibi135
li, essere viste al di là della dimensione medica, sottolinea come lo sguardo dei «normodotati» che fissano questi corpi «diversi» deve iniziare a concepirli in maniera inclusiva. La protagonista del video è una donna sulla sedia a rotelle ma la cui disabilità non impedisce al suo corpo di amare e di desiderare. Un corpo che esiste e che reclama il diritto di essere rappresentato e raccontato nella sua quotidianità, nella sua «particolarità» e nella sua «normalità». La «normalità» diventa un concetto che siamo così costretti a ripensare in direzione inclusiva. L’unico modo per renderlo inclusivo consiste nell’eliminarlo, perché la definizione di normale esiste solo grazie alle definizioni di imperfetto, deforme, deviato, patologico. Nel momento in cui queste categorie vengono rivendicate chiedendo visibilità, lo stesso concetto di «normale» non ha più ragione di esistere. Non è un Paese per «diversi» I’m single because of my body. Sono sola per colpa del mio corpo. Cit. dal film Margarita, with a straw 4
Si dice che conti di più come si è dentro e non come si è fuori. Si dice che la bellezza sia un concetto relativo. Si dice che la bellezza non sia tutto e non sia così importante. Forse anche perché è difficile ammettere che il fattore estetico possa essere determinante nelle proprie scelte e che condizioni sia nei giudizi che nei comportamenti. Se la bellezza, da sola, non fa la felicità o la fortuna di una persona, figuriamoci la bruttezza. È vero che, per certi versi, conta di più il «dentro» della sola Film di Shonaly Bose (Corea del Sud, 2014). La protagonista è una ragazza in carrozzina affetta da paralisi cerebrale che si avventura in un viaggio alla scoperta di sé e della sessualità.
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«bella presenza», che dovrebbe essere sostenuta da altre qualità: dalla personalità, dalla cultura e dalla capacità di coltivare ed esprimere sentimenti. Il problema è come arrivare al «dentro» se il «fuori» rappresenta una barriera invalicabile. La bruttezza che dipende da un corpo «diverso» e da un aspetto compromesso è uno svantaggio sociale, è qualcosa di inammissibile, con se stessi e nel contesto pubblico, nella penombra della propria interiorità e nella ribalta dei rituali sociali. Nel tempo la mortificazione derivante da un corpo «diverso» è persino peggiorata, anche per l’ansia collettiva di nasconderla. E oggi «importante è esser belli dentro» non lo dice — e non ci crede — più nessuno. Anche se il corpo non è «diverso», come può esserlo in seguito a una condizione o un trauma, la piacevolezza di insieme può essere disturbata dai lineamenti del viso. Una persona con disabilità fisica, ma di aspetto gradevole e carattere aperto, riesce più facilmente a far superare, negli altri, l’idea della carrozzina o dell’andatura vacillante e della precaria autosufficienza. Un viso devastato da sindromi come quelle di Treacher-Collins, di Wiedemann o di Pfeiffer (per non parlare della neurofibromatosi 1 e della Hutchinson-Gildford), anche in presenza di un fisico «normale» e di una completa autosufficienza e autonomia, porta invece al rifiuto da parte degli altri, all’impossibilità di suscitare attrazione e di aspirare a dei contatti fisici, a eccezione di quelli asessuati di tipo clinico o intrafamiliare. In presenza di una disabilità fisica il problema, di fatto, non esisterebbe in quanto si tratterebbe di una libera scelta di un soggetto adulto in grado di intendere e di volere. Il problema potrebbe ridursi a una questione di tipo biomeccanico dovuta a una non piena padronanza dei movimenti o limitazioni, legate ad esempio alla presenza di ausili e presidi protesici per incontinenza neurologica o per enterotomia. Ciò che costituiscono 137
un ostacolo sono il pregiudizio, l’ipocrisia e l’aspetto fisico. È il corpo, esteticamente parlando, la vera barriera insormontabile. Le abilità di fascinazione di una persona nei confronti degli altri possono dipendere da molti fattori: l’abbigliamento, la personalità, la cultura, la posizione sociale, la sensibilità, l’educazione, ecc. ma il ruolo più importante, soprattutto nello stimolare il desiderio, l’attrazione, lo gioca l’aspetto fisico, che può essere messo in crisi da un viso sgraziato o deturpato, da una menomazione, da una deformità, dall’obesità, dalle conseguenze dell’invecchiamento. Forse si può discutere del fatto che esista o meno un condizionamento che determini gusti e scelte in relazione a dei canoni di bellezza e di piacevolezza di una persona. Forse è più difficile negare l’emarginazione che vivono le persone, in fatto di opportunità relazionali e sessuali, quando il proprio aspetto fisico sia lontanissimo dai canoni di bellezza e di piacevolezza d’insieme. Esattamente come per la bellezza, anche la definizione di bruttezza non è univoca. Bello è qualcosa che è capace di appagare l’animo attraverso i sensi, qualcosa che attrae, che colpisce e che spinge a soffermare o girare lo sguardo senza reprimere un senso di meraviglia, un anelito di desiderio o addirittura quasi di estasi, finendo per condizionare il nostro giudizio. La bellezza è comunque qualcosa che va oltre ai soli canoni estetici, è una sensazione che colpisce e non lascia indifferenti, è una esperienza così forte da influenzare le proprie scelte e le proprie aspettative, anche oltre alla semplice fisicità proposta per fini consumistici. È comunque un’impresa individuare un significato preciso e identificare i parametri che la definiscono. Può essere qualcosa che piace, non solo perché ha doti di armonia, proporzioni ed equilibrio tra le parti (un’opera, una persona, un libro, ecc.) ma anche perché possiede qualità morali (una «bella azione», una «bella persona»). Spesso attribuiamo al termine anche qualità e caratteristiche utilitaristiche che 138
non gli sono proprie («buono», «positivo», «valido», ecc). È vero probabilmente che il fascino di una persona può balenare da uno sguardo, dalla personalità o dallo stile e che esistono gradazioni di bello e di piacevolezza di insieme che afferiscono alla maggiore predisposizione di ognuno verso determinate caratteristiche, in base a gusti e vissuti personali e che portano a scegliere o ad essere maggiormente attratti, in quel momento, da una persona piuttosto che da un’altra. Tuttavia, restando quasi sempre all’interno di una categoria circoscritta di individui che rientrano tra i canoni di presentabilità e che, in qualche modo, suscitano attrazione. Questo potrebbe, forse, determinare un dato oggettivo: «brutte» possono essere considerate le persone che, a causa dell’aspetto fisico, sono percepite come «neutre», non suscitano nessun tipo di attrazione fisica. Il poeta e filosofo francese Paul Valéry affermava che «definire il bello è facile: è ciò che fa disperare» ponendo l’accento sulle contraddizioni che sottintende il concetto di bellezza: la fatica per raggiungerla e per conservarla, oppure l’uso indiscriminato per sfruttarla a fini promozionali. A volte è qualcosa di desiderabile, di apprezzato ma non posseduto e che, proprio per questo, è ancora più ricercato, come ad esempio la freschezza propria della gioventù che, generalmente, prevale su tutto il resto, anche quando manchi una vera armonia di lineamenti. Nonostante siano utilizzate e ascoltate quasi quotidianamente, le parole «bello» e «bellezza», «brutto» e «bruttezza» sfuggono a una definizione assoluta e univoca e, paradossalmente, proprio questa indeterminatezza sembra essere il tratto che più le caratterizza. Ogni epoca, ogni civiltà, ogni etnia e ogni luogo hanno avuto e hanno i loro canoni per definire, anche se in modo relativo, il concetto di bellezza, ma sempre come qualcosa che ha il potere di risvegliare nell’uomo piacere, qualità e salute. L’ossessione (che, forse, è più tipica degli ultimi decenni) nei 139
confronti della bellezza, dell’essere giovani e dell’immagine, ha in parte mutilato le nostre capacità sociali di evolvere a stadi superiori di apertura e creatività mentale e ha determinato, in qualche modo, un problema di carattere socioeconomico legato all’aspetto fisico. Dall’aspetto fisico, ancor più che dalla condizione, si determina la vita dell’individuo. È un fattore che può influire, quasi a 360°, sul destino della persona. I parametri utilizzati, come l’ICF e le tabelle di assegnazione dei punteggi tengono conto, in merito a menomazioni, patologie e minorazioni, anche delle ricadute che la persona può avere sul piano lavorativo e della quotidianità, dal punto di vista funzionale e di partecipazione sociale, in relazione alle abilità compromesse o possedute in misura ridotta o parziale. Sul piano del lavoro, dell’istruzione, della vita indipendente e della mobilità sono riconosciuti dei diritti. Sulla base di queste premesse la persona può (dovrebbe) usufruire di meccanismi di tutela, sostegno e compensazione di ordine socioeconomico che favoriscano l’inclusione, l’autonomia e la socialità e il superamento degli impedimenti determinati dall’ambiente negativo e dalla condizione. Molte di queste persone fanno sport, studiano, si laureano, hanno mille interessi e riescono anche ad essere, con qualche accorgimento, indipendenti. Poco o nulla, invece, viene messo in campo, a livello culturale e pratico, per superare gli impedimenti derivanti da un ambiente negativo e dalla condizione individuale a carico della persona sul piano relazionale, affettivo, emotivo in termini, soprattutto, di opportunità e possibilità di soddisfare bisogni di sessualità e identità, intimamente legate da sempre. L’intensità di un’appartenenza sociale, il senso di vitalità, di pienezza, di realizzazione e di felicità che ne derivano sono, in qualche modo, preclusi a chi possiede un corpo «diverso», è affetto da patologie deturpanti o imbarazzanti e, soprattutto, ha un aspetto fisico che non suscita desiderio: tutti fattori che 140
mettono nella condizione di poter solo assistere senza poter partecipare e di sentirsi «sbagliati», fuori posto, abnormi e anormali. L’amore e il desiderio non corrisposti sono certamente una dannazione per tutti. La rosa di fattori che rende più difficile per l’individuo avere delle relazioni affettive e sessuali soddisfacenti è ampia: essere poco «svegli», avere un carattere scorbutico, essere ansiosi, troppo timidi, incerti e goffi, perdersi in un bicchier d’acqua, avere poche capacità espressive e comunicative e molti disturbi psicologici, innamorarsi sempre e solo di chi lo respinge. Non è una questione di classe, né culturale né di specie antropologica. Anche a fronte, però, di comportamenti autodistruttivi e asociali (dipendenze, aggressività, violenze, devianze, ecc.) le relazioni non sono, del tutto, precluse. Il motore è principalmente l’attrazione fisica che non scatta per fattori intellettuali o mediati, ma per ragioni fisiche. In mancanza di attrazione e in presenza della barriera costituita dall’aspetto fisico, forse nessun comportamento, nessuna disposizione d’animo e capacità intellettiva possono compensare e portare a essere attraenti. La «bella presenza» è un requisito a volte «vincolante» per aspirare a un impiego, ma sempre «facilitante» per aspirare a dare inizio a una relazione affettiva/passionale. Le persone, nella maggior parte dei casi, sono lo specchio di come vengono trattate. Forse è più facile per coloro che hanno una «bella presenza» essere sempre cordiali, socievoli e comprensivi perché le persone sono meglio disposte e si comportano in questo stesso modo con loro. Di solito, a chi è esteticamente «normodotato» le qualità morali e intellettive, la simpatia, l’affabilità, ecc. si associano tramite congiunzione positiva (anche, pure, inoltre, perfino…), a chi è esteticamente «diverso» tramite congiunzione avversativa (ma, tuttavia, però, eppure, nonostante…). La sessualità è una energia insopprimibile, legata all’identità e alla crescita interiore 141
e non è facile accettare l’idea di aver vissuto senza essere mai stati oggetto di un desiderio, di una passione fisica a causa del proprio aspetto. Non è facile accettare che da una cosa così incolpevole e irreparabile dipenda quasi ogni possibilità di essere desiderati e amati (anche fisicamente). Dall’indifferenza alla visibilità È più facile rompere un atomo che un pregiudizio. Albert Einstein
«Nessuno è perfetto». È questo lo slogan di una campagna dell’associazione svizzera Pro Infirmis, realizzata attraverso un video che ha per protagonisti delle persone con corpi deformati, menomati o minati da patologie. Un’affermazione che potrebbe apparire banale e retorica, ma che in una società che insegue ideali di perfezione diventa sempre più difficile prendere in considerazione. La campagna con quasi dieci milioni di visualizzazioni sui vari social ha riscosso moltissimi consensi. Mettere in vetrina la diversità, perché diventi la normalità: manichini disabili, tagliati e modellati sulle forme e il corpo di persone con osteogenesi imperfetta, gravi deformazioni e menomazioni fisiche. I manichini «diversamente abili» sono stati utilizzati ed esposti in alcuni negozi di Zurigo per coinvolgere i passanti e suscitare delle reazioni. Questa e altre iniziative che promuovono la visibilità dei corpi «diversi» si fondano su un concetto semplice e innovativo al tempo stesso: è «normale essere diversi», poiché ogni individuo, con le sue caratteristiche psicofisiche e sociali, ha una sua unicità ma «non è normale» quando questa diversità/unicità, se differisce dai parametri omologati di «bella presenza» limiti, condizioni o impedisca ogni opportunità di contatto (fisico/ 142
sociale), ogni legittima aspirazione ad amare, essere amati e vivere e condividere dei sentimenti. Viviamo in una società che dimentica troppo spesso che non siamo tutti uguali e che le disabilità si creano quando si nega la possibilità a qualcuno di essere libero di vivere la vita in piena autonomia e di realizzarsi come individuo. Non sono solo le barriere architettoniche e i mezzi pubblici ad essere inaccessibili ma anche alcuni contesti rappresentativi. Alle persone con disabilità non vengono concesse molte occasioni di rappresentazione nello spazio pubblico. Non compaiono nelle pubblicità ed esistono in tv o nelle fiction, se non in giornate ed eventi particolari o momenti e racconti di vita in cui diventa funzionale toccare determinate tematiche o raccogliere fondi. La stessa campagna della Pro Infirmis, superato l’inevitabile momento di commozione e partecipazione emotiva che il video suscita, potrebbe rivelarsi solo un successo mediatico fine a se stesso e isolato, non sufficiente a scalfire una mentalità e dei criteri estetici influenzati da decenni di condizionamento che porta a discriminare le persone per l’apparenza fisica. Peggio, a non prenderle nemmeno in considerazione, in particolare a livello relazionale e sessuale. L’indifferenza — anche se, forse, inconsapevolmente — è la prima e più subdola forma di cattiveria umana. Uno esiste, ma è come se esistesse un po’ di meno degli altri e se partisse sempre da una posizione di svantaggio («Non essere considerati è una piccola morte», diceva Paterlini nel suo I brutti anatroccoli). Un sistema socioeconomico che generi disuguaglianza, genera diseguali. Percepirsi come diseguali provoca dolore e il dolore lascia delle cicatrici. Viene meno il senso di appartenenza e cresce l’idea di qualcosa di ingiusto. Ogni cittadino si realizza all’interno di un sistema sociale non solo attraverso una rete di relazioni familiari, sociali e 143
professionali ma anche e, soprattutto, di relazioni fisiche e affettive che consentano di soddisfare i bisogni sia primari che di ordine superiore e che contribuiscano al raggiungimento di un benessere psicofisico ed emotivo. La comunità abilitante Permettere di scegliere a chi non ha la possibilità di farlo è anche una questione di civiltà. Hans Jonas
Ogni individuo tende alla soddisfazione dei propri bisogni; di solito gli individui sono in grado di soddisfarli autonomamente, tuttavia in alcuni momenti della propria vita, e in particolari situazioni, questa capacità può venir meno. Parzialmente o totalmente. Quando il bisogno di una persona non riesce ad essere soddisfatto, quando cioè una persona non riesce a organizzare una risposta, si genera un problema, che dovrà essere risolto più o meno rapidamente a seconda delle ripercussioni che determina sulla vita dell’individuo, a livello fisico, psichico e sociale. La possibilità di soddisfare autonomamente un bisogno può essere limitata da varie condizioni di disabilità. Se per dis-abilità si intendono delle abilità non possedute o possedute in misura ridotta o diversa, si può condividere l’accezione che, in particolar modo nei confronti delle attività affettivo-sessuali, siano ancora molti i dis-abili. Non riuscire a svolgere una «attività» genera uno svantaggio sociale che, nel caso delle relazioni affettive e sessuali, può avvenire a livello di partecipazione, di comunicazione e di socializzazione. Ma la letteratura in materia suggerisce che non c’è uno svantaggio se si riesce a svolgere lo stesso l’attività e raggiungere l’obiettivo anche utilizzando modalità diverse da quelle che ha previsto la società. 144
Si è semplicemente, affettivamente e sessualmente parlando, diversamente abili. L’assistenza sessuale potrebbe consentire sia ai disabili fisici, sia a quelli intellettivi e psichici, nonché alle persone in situazione di emarginazione affettiva e sessuale, di superare e attenuare lo svantaggio e l’impossibilità di vivere relazioni fisiche ed esperienze sensoriali, visive ed emotive. Come è stato affermato, argutamente, per certi versi può anche essere vero che l’assistenza sessuale stia alla sessualità e al piacere fisico come un piatto pronto (tipo i «4 salti in padella») sta a una esperienza dei sensi unica che si può provare pranzando da uno chef stellato. È anche vero che, nell’impossibilità di concedersi i piaceri gastronomici offerti, ad esempio, da Bottura,5 per soddisfare un bisogno primario come quello di nutrirsi va bene anche la mensa. E, in certe circostanze, è anche una fortuna il fatto che ci sia. Ciò non toglie che occorrano delle politiche sociali che favoriscano una ridistribuzione delle risorse e una maggiore inclusione al fine di restituire dignità e fiducia in se stessi a quanti vivono, anche solo momentaneamente, una situazione di esclusione a causa di gravi difficoltà economiche conseguenti a espulsione dal mercato del lavoro o fallimenti personali e familiari. Allo stesso modo della mensa, l’assistenza sessuale svolge una funzione pratica ed essenziale per consentire di accedere a ciò che culturalmente e socialmente viene negato. Lo svantaggio, se così di può definire, è dato dal fatto che, se inserita in un contesto di dispositivi e criteri normativi e amministrativi, per richiederla e usufruirne sarà necessario comprovare dei requisiti «negativi» che ne attestino il bisogno e l’impossibilità di pervenire a soluzioni alternative. Una classifica «al contrario» che, se da una parte permette alla persona di fruirne, dall’altra ne aumenta lo stigma. Chef e proprietario della pluristellata Osteria Francescana di Modena.
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Per questo è necessario, al di là dell’assistenza sessuale, proporsi in termini di benessere psicofisico, emotivo e sessuale per chi vive in situazione di emarginazione rispetto a questo tipo di benessere, e forse di diritto, come fanno il Comitato per l’assistenza sessuale e anche altri promotori attraverso idee, movimenti, interventi e media; innescare un cambiamento culturale per una visione diversa, più ampia e meno stereotipata del concetto di bellezza e fisicità, al fine di aumentare le opportunità e le possibilità di relazione affettiva, emotiva e sessuale superando la barriera del corpo «diverso», anche proponendo un canone di bellezza non omologato che renda capaci di riconoscere e apprezzare la bellezza di un corpo diverso e quella della persona che ci abita dentro. L’essenza stessa della solidarietà: permettere a ognuno di esprimersi e di essere quello che è. Se la bellezza, la perfezione ed efficienza fisica sono, quasi sempre, l’unica condizione possibile perché si possano non solo suscitare interesse, passione, amore, desiderio di contatto, piacevolezza, ma anche avere opportunità (o maggiori opportunità) a livello relazionale e sessuale, le persone che non possiedono i requisiti sono private della possibilità di soddisfare desideri e bisogni a livello affettivo, emotivo e sessuale e destinate, di conseguenza, ad affrontare un problema con ricadute sul piano fisico e psichico. Il grado di benessere e di soddisfazione dei bisogni primari, di stima e di realizzazione derivanti dalla sessualità deve essere valutato con criteri diversi da quelli che si considerano come ottimali e desiderabili e rapportato alle effettive condizioni in cui si trova una persona, non solo dal punto di vista dell’aspetto fisico e del grado di attrattività, ma anche da quello dell’efficienza fisica e della performance che, in quel momento, la persona è in grado di produrre. La sessualità non si esprime solo a livello genitale ma anche attraverso segni di affetto e di contatto, le emozioni, il 146
piacere, e sul piano della salute può risolversi anche semplicemente con l’autoerotismo, sempre che la propria condizione non lo impedisca. La sessualità espressa reciprocamente con uno o più partner presuppone che ci siano le condizioni e le premesse che facilitino l’incontro, la conoscenza e l’esplorazione: sguardi, approcci, attrazione reciproca, desiderio, fascino, abbigliamento, predisposizione d’animo, atmosfera, ecc., tutti elementi che si danno per scontati e che, in qualche modo, in misura minore o maggiore, si replicano e si riscontrano nei percorsi di avvicinamento tra due persone evolvendo nel rapporto fisico e, eventualmente, in una relazione affettiva. Se il corpo «diverso» rappresenta una barriera — sia perché non suscita desiderio di incontro e di contatto, sia perché la condizione fisica che lo ha determinato genera una non completa autosufficienza e impedisce di svolgere da soli una serie di azioni — la persona non solo incontra difficoltà a intraprendere il percorso di avvicinamento ma anche ad arrivare al contatto fisico e alla relazione affettiva. L’attrazione fisica non è magari la condizione determinante per un buon rapporto, ma quella iniziale e necessaria. Se sono presenti anche problemi che compromettono il movimento si è poi maggiormente impossibilitati nell’incontrarsi fisicamente con altri. La mancanza di autostima che deriva da questa esclusione è uno dei freni per un naturale approccio verso l’altro sesso. L’assistente sessuale o love-giver può aiutare ad accogliere e non reprimere le diverse istanze del proprio corpo, dei sensi e delle emozioni e a ricostruirsi attorno ai «frammenti» del contatto fisico di se stesso e della sessualità, intesa non solo come piacere genitale ma come modalità pervasiva di esprimere se stessi, come piacere di comunicare e ri-conoscersi. La Legge 68/99, che regolamenta l’inserimento e l’integrazione lavorativa delle persone disabili in base a un principio di pari opportunità, prevede che le persone che si trovino, a 147
causa della propria situazione, in una situazione di «svantaggio» che può derivare, ad esempio, da una disabilità fisica o intellettiva o da un trascorso di detenzione, possano usufruire di condizioni di vantaggio rispetto a chi si trova in una condizione «normale». Un po’ come succede per gli atleti impegnati nelle gare di velocità in cui i blocchi di partenza dei corridori degli anelli più esterni sono posizionati più avanti rispetto a quelli che percorrono gli anelli più interni, in modo che tutti abbiano lo stesso numero di metri; in caso contrario, gli atleti degli anelli più esterni non potrebbero mai competere alla pari. Per consentire alle persone in un situazione di svantaggio di esprimersi, oltre che sul piano lavorativo e didattico, anche sul piano relazionale, affettivo, emotivo e sessuale, occorrerebbe spostare in avanti i blocchi di partenza, superare la mentalità mediterranea, secondo cui è l’individuo che si deve adattare alla società e avvicinarsi di più alla mentalità nordica-anglosassone, secondo cui è invece il contesto che si deve modellare sulle esigenze dell’individuo. Un portale come «LoveAbility», ad esempio, ha il pregio di rappresentare non solo un modo per conoscere altre persone ma anche di consentire di essere apprezzati per quello che si è, al di là dell’aspetto, acquisire fiducia in se stessi e poter vivere un rapporto diverso e positivo con la propria fisicità. La finalità è quella di permettere a ognuno di esprimersi e di essere quello che è, valorizzando le risorse dell’individuo, anche di quello più fragile, per uscire da un’ottica triste e assistenziale (che sembra partecipe ma che in realtà sottolinea ulteriormente la diversità), coinvolgendolo nella definizione, realizzazione e «finanziamento» (inteso come apporto di tempo, energie e iniziative personali) di un cambiamento che va oltre il semplice miglioramento delle condizioni psicofisiche e di vita. Vale la pena, in questo senso, ricordare ancora la serie TV The Undateables: L’amore non ha barriere. Con una iniziativa di questo 148
tipo, il rischio reale poteva essere rappresentato dalla facilità di cadere nella retorica dei buoni sentimenti, nel pietismo a buon mercato nei confronti di persone il cui aspetto fisico e comportamento sono compromessi da patologie o menomazioni. La serie, invece, ha dato modo di scoprire persone che non hanno un desiderio «strano» o una sessualità distorta, ma una qualità e intensità di bisogni in tutto e per tutto normali, sani, convenzionali e che, per motivi culturali, sono escluse dalla fruizione di un diritto, quello, cioè, di aspirare a una vita relazionale e affettiva anche se si trovano dentro a un corpo che ha difficoltà a esprimersi. È una prova tecnica di sensibilizzazione per normalizzare ciò che di fatto è (sarebbe) normale ma che culturalmente diventa anormale perché la società lo considera ripugnante o «fuori classifica», lontano dai codici di presentabilità sociale. Nel nord Europa le barriere culturali, affettive e fisiche sono ridotte al minimo perché c’è da decenni una maggiore consuetudine di contatto, di inclusione radicale nella scuola, nel lavoro, nella vita di quartiere e di comunità. Nel nostro Paese e, in genere, nei Paesi sudeuropei, esiste invece un contesto che favorisce l’esclusione da un diritto fondamentale, che è il diritto alla relazione. Le persone hanno quasi reazioni di rigetto, atteggiamenti paranoidi di chi rivendica il diritto di essere tenuto all’oscuro dell’esistenza di quel che «non funziona» nella nostra società. Si può parlare di resilienza negativa, di resistenza al cambiamento e a qualsiasi tentativo di mettere in discussione dei pregiudizi. Occorrerebbe, fin dalla scuola, facilitare la conoscenza e consapevolezza delle proprie emozioni e di quelle altrui e promuovere una visione più ampia di fisicità e varietà nelle relazioni, per migliorare le possibilità, in termini affettivi, di ogni essere umano. Come afferma lo psicologo Andrea Battantier, «Ognuno di noi è un’opera d’arte. Non sarà mai 149
amata da tutti, ma per chi ne coglierà il senso avrà un valore inestimabile». Non esiste ospedale migliore di un corpo felice Il piacere del corpo è la fonte da cui scaturiscono tutti i nostri buoni sentimenti e pensieri. Se si distrugge il piacere fisico di un individuo, questi diventa una persona frustrata e piena di rabbia e di odio. La sua maniera di pensare si distorce, il suo potenziale creativo va perduto e si sviluppano atteggiamenti autodistruttivi… Alexander Lowen, Il piacere
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS, 2002) ha definito la sessualità come elemento centrale nella vita degli esseri umani. Secondo l’OMS, la sessualità è fonte di piacere, di salute e benessere, di comprensione, riguarda la soddisfazione dei bisogni umani di contatto, intimità, espressione emozionale, tenerezza e amore e genera nelle persone atteggiamenti positivi verso sé e verso gli altri. Il concetto di sessualità include l’identità di genere e i ruoli, l’orientamento sessuale, l’erotismo, il piacere, l’intimità e la riproduzione. Un’attività sessuale regolare incrementa la produzione di sostanze stimolanti la materia grigia, quali l’adrenalina e il cortisolo. Durante l’orgasmo viene rilasciata prolattina, un ormone che aumenta l’ossigenazione delle cellule cerebrali. L’eiaculazione, anche raggiunta mediante masturbazione, ha una funzione importante nel decongestionare la prostata e alcuni studi scientifici dimostrano possa ridurre l’incidenza del tumore prostatico. Inoltre, l’attività sessuale determina un aumento dell’ormone maschile, il testosterone, che a sua volta stimola il desiderio sessuale nell’uomo generando così un cir150
colo virtuoso. Al contrario, un’attività sessuale molto ridotta o assente può essere la concausa, nell’uomo, dello sviluppo di neoplasie prostatiche e, sia nell’uomo che nella donna, può provocare l’otturazione dei vasi sanguigni delle zone genitali a causa di piccoli depositi di tipo aterosclerotico. Sarebbero sufficienti queste poche premesse per sostenere un reale diritto alla sessualità per le persone con disabilità e per tutte quelle persone che, a causa di un corpo «diverso» e della condizione fisica e psichica, non possono aspirare a delle relazioni affettive e sessuali soddisfacenti. Diritto alla sessualità, inteso come diritto alla prevenzione e alla salute, come previsto dalla Costituzione e come affermato nella premessa della Dichiarazione universale dei diritti sessuali del XV Congresso Mondiale di Sessuologia, tenutosi a Hong Kong nel 1999. La sessualità è una parte integrante della personalità di ogni essere umano. Il suo pieno sviluppo dipende dalla soddisfazione dei bisogni umani di base, come il desiderio di contatto, l’intimità, l’espressione emozionale, il piacere, la tenerezza e l’amore. La sessualità si sviluppa attraverso l’interazione tra l’individuo e il sistema sociale. Il pieno sviluppo della sessualità è essenziale a livello individuale, interpersonale e sociale. I diritti sessuali sono diritti umani universali basati sulla libertà intrinseca, la dignità e l’uguaglianza di tutti gli esseri umani. Poiché la salute è un diritto umano fondamentale, la salute sessuale deve ritenersi un diritto umano fondamentale. Per garantire che gli esseri umani sviluppino una sessualità sana, i seguenti diritti sessuali devono essere riconosciuti, promossi, rispettati e difesi da tutte le società in tutti i modi. La salute sessuale è il risultato di un ambiente che riconosce, rispetta ed esercita questi diritti sessuali: – il diritto alla libertà sessuale, che comprende la possibilità per i cittadini di esprimere liberamente il loro potenziale sessuale. Tuttavia, sono escluse tutte le forme di coer151
cizione sessuale, di sfruttamento e di abusi in qualsiasi situazione di tempo e di vita; – il diritto all’autonomia sessuale, all’integrità fisica e alla sicurezza personale nell’attività sessuale: questo diritto comporta la capacità di prendere decisioni autonome sulla propria vita sessuale all’interno di un contesto e secondo la propria etica personale e sociale, incluso il controllo sulle modalità di piacere del corpo, con l’esclusione di torture, mutilazioni e violenze di ogni tipo; – il diritto alla privacy sessuale, come diritto di prendere decisioni e comportamenti individuali circa l’intimità, purché nel rispetto dei diritti sessuali degli altri; – il diritto al piacere sessuale, perché il piacere sessuale, compreso quello derivante da autoerotismo, è una fonte di benessere fisico, psicologico, intellettuale e spirituale; – il diritto di espressione emotiva sessuale, poiché l’espressione sessuale va oltre il piacere erotico o l’atto sessuale. Ogni individuo ha diritto di esprimere la propria sessualità attraverso la comunicazione, il contatto, le espressioni emozionali e l’amore; – il diritto di relazionarsi sessualmente liberamente, come possibilità per ognuno di stabilire ogni tipo di relazione sessuale, formale o informale; – il diritto alla cura della salute sessuale: l’assistenza sanitaria sessuale deve essere sempre disponibile per la prevenzione e il trattamento di tutti i problemi e i disturbi fisici ed emotivi che coinvolgono la sfera sessuale.
Una società realmente inclusiva riconosce l’identità sessuale di ogni persona (con o senza la diversità funzionale o disabilità) nel rispetto della libertà individuale, in quanto accettazione di diverse modalità di libera espressione e supporta, accompagna e facilita gli interessi e i bisogni sessuali e affettivi per superare lo stigma sessuale associato alla condizione di disabilità. Per realizzare un’eguaglianza sostanziale, come afferma la Costituzione, occorre che siano date a tutti le stesse opportunità e siano 152
rimossi fattori di disparità sociale e ostacoli che impediscano il pieno sviluppo della persona umana, che si realizza non solo nell’attività lavorativa o formativa ma anche e, soprattutto, attraverso le esperienze sensoriali, affettive e sessuali che predispongono al raggiungimento di un benessere psicofisico/sociale, di un buon livello di autostima e che contribuiscono anche a prevenire l’insorgenza di problemi di tipo fisico o a ridurne gli effetti invalidanti ed emarginanti. Sempre in merito ai diritti delle persone con disabilità, la Convenzione ONU del 2006 sui diritti delle persone con disabilità sancisce che: a) vanno riconosciuti, tutelati e garantiti la vita umana e il diritto inviolabile all’autodeterminazione della persona; b) il diritto all’autodeterminazione per la salute fisica e psichica deve essere tutelato come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività; c) occorre superare la prospettiva di cura e considerare le persone con disabilità come detentori di diritti, non solo oggetti di trattamento e di protezione sociale. Le richieste e le esigenze devono essere garantite in modo tale che tutti i cittadini possano ottenere le stesse opportunità; d) tutti hanno gli stessi diritti, ma questi diritti sono reali ed efficaci nella misura in cui, nel rispetto delle diversità e delle differenze, sono assicurati nella pratica gli interventi necessari per l’esercizio di tali diritti, nel rispetto della dignità umana, della non discriminazione, della parità tra uomini e donne, della partecipazione e dell’inclusione piena ed effettiva nella società e nel rispetto per la differenza e nell’accettazione delle persone con disabilità come una manifestazione della diversità e della condizione umana; e) gli Stati membri sono tenuti a rispettare i principi della Convenzione e a garantire assistenza per la salute sessuale e riproduttiva delle persone con disabilità. 153
Abbracciare è salutare Una delle migliori sensazioni al mondo è quando abbracci qualcuno e lui ricambia stringendoti più forte. Charles Bukowski
Un abbraccio, senza avere lo stesso livello di intimità di un bacio o di una carezza, è un gesto carico di affetto e di grande intensità. È accogliente e rassicurante. Può essere classificato come un «bene» sia materiale che immateriale che contribuisce a soddisfare alcuni dei bisogni di sicurezza contemplati nella scala di Maslow come, ad esempio, il bisogno di contenimento, il bisogno di protezione emotiva e affettiva, il bisogno di accoglienza ma anche di comprensione e affetto relativamente a bisogni di appartenenza e amore. L’atto di abbracciare riassume parecchi significati: vuol dire avvolgere, accudire, rassicurare, proteggere, trasferire sentimenti, sia di amicizia che di affetto, di unione e passione. Quando si provano dei sentimenti verso qualcuno si vorrebbe restare abbracciati per ore, quando un bambino sta male lo si coccola con un abbraccio, quando una persona cara ha bisogno di conforto la si stringe tra le braccia, quando due innamorati si lasciano per tornare alle proprie vite o al quotidiano, è l’abbraccio a sancire il piccolo «lutto» del distacco. Quando si vuole dire grazie a qualcuno, quando ci si saluta alla partenza o al ritorno, a un funerale o a un matrimonio. L’abbraccio, come rileva Desmond Morris, è un gesto che implica contatto fisico e intimità ed è socialmente consentito tanto in pubblico quanto in privato senza incorrere in alcuna forma di stigmatizzazione o riprovazione sociale, purché non destabilizzi situazioni di «comfort» e rimandi alla sessualità. L’abbraccio, come tutti forse sanno, possiede anche un valore salutistico. Sui social, sui siti «specializzati» come freehugs o 154
abbracciliberi, sono spesso riportati gli studi condotti da ricercatori che dimostrano come un abbraccio contribuisca ad abbassare la pressione sanguigna e anche il livello dello stress (quello negativo) e del colesterolo Ldl. Attraverso l’abbraccio «si sente» la persona. Si comunica. Si percepiscono i sentimenti, le paure e le sofferenze. Quando un abbraccio, sempre secondo questi studi, dura un po’ di più del normale ed è sincero, si produce un effetto terapeutico sul corpo e la mente consentendo il rilascio di ossitocina, un ormone che ha molti benefici sulla salute fisica e mentale e aiuta, tra l’altro, a rilassarsi, a sentirsi al sicuro, protetti e a calmare paure e ansia. Questo «tranquillante» naturale si assume gratuitamente ogni volta che si prende una persona tra le braccia, che si culla un bambino, che si accarezza un cane o un gatto o che si tiene semplicemente un amico per le spalle. Essenzialmente l’abbraccio si offre (o si chiede) come segno di conforto o anche come gesto di saluto, ma in una relazione più intima — d’amore e di affetto — può esprimere molto di più. Un abbraccio, con l’intero corpo che accoglie e riceve l’altro indica, generalmente, che la persona abbracciata è amata, rispettata e considerata positivamente da chi la sta abbracciando. Un abbraccio offerto ma non ricambiato è forse quello meno piacevole per entrambi perché chi lo offre non vede ricambiato il proprio affetto e chi lo riceve può non gradire oppure non sentirsi pronto o non essere abituato a tale gesto. Non è detto però che non ci sia affetto o amore. A volte può essere solo una reazione momentanea dettata da uno stato d’animo passeggero o, in altri casi, una questione di «educazione affettiva o emotiva» con cui si è cresciuti. Chi non abbraccia o preferisce non farlo, probabilmente non ne conosce il potere né il valore e in alcuni casi può anche provare reazioni di fastidio. Questo è abbastanza frequente nelle sindromi dello spettro autistico e nei disturbi psichici; 155
occorre quindi rispettare la volontà della persona e non cercare di «invaderla» con un abbraccio o un contatto fisico. Un abbraccio lungo, sincero e condiviso indica generalmente affetto ed empatia, come nel caso di un abbraccio dei genitori verso i figli e in quello degli innamorati. Può anche essere di spalle, dove l’uno abbraccia l’altro da dietro, inviando un messaggio di protezione, creando un «nido» che infonde sicurezza e fiducia. In questi casi il rilascio di ossitocina è maggiormente stimolato. Grazie all’ossitocina il corpo rafforza da sé le difese del sistema immunitario e conferisce piacere fisico e mentale. L’essere abbracciati è, in genere, indice di fiducia, intimità, rispetto, lealtà, complicità e, ovviamente, desiderio e passione. Significa potersi mettere a nudo senza timore del giudizio dell’altro. Queste sensazioni contribuiscono a creare un forte legame di affetto che si estende a tutti i tipi di rapporto. L’ossitocina viene rilasciata in risposta ai contatti fisici positivi con le altre persone, come anche mediante i massaggi. Le sensazioni piacevoli che ne risultano sono la ricompensa per la relazione e incoraggiano a rivedere quella persona e a ricreare quella situazione. Un abbraccio è un bene speciale e prezioso, e lo è ancora di più quando una persona, per determinate cause, ha un «corpo diverso», dei tratti sgradevoli, un corpo cadente, deforme, imbruttito dall’età e dalle sofferenze, delle patologie imbarazzanti o contagiose, quando si trova, cioè, in una condizione fisica e psichica che non «invita» ad essere abbracciati e abbracciati a lungo e frequentemente. Un abbraccio è un bene speciale e prezioso che l’assistente sessuale o love-giver può donare a chi ha difficoltà a riceverne naturalmente e spontaneamente. Non ha importanza da chi provenga questo gesto né in che modo venga fatto, ma che la sensazione che ne deriva sia di accoglienza e accettazione, anche fisica. 156
Un abbraccio è un bene talmente speciale e prezioso che c’è chi ne ha fatto un business, come Samantha Hess, una ragazza americana che dispensa, a 60 dollari l’ora, abbracci terapeutici. Circa il 90% dei suoi clienti è costituito da uomini di età compresa tra 20 e 75 anni e molti di loro soffrono di gravi patologie traumatiche o disabilità che non consentono di avere frequenti contatti con le persone. Samantha definisce il suo servizio di abbracci come «un massaggio della mente» che ha l’obiettivo di fare in modo di sentirsi meglio, di diventare più aperti e più felici. Tutto si riduce a far sì che le persone si sentano accettate così come sono. L’aspetto più difficile, comune a tutte le professioni di cura e di high touch, come potrebbe essere anche nel caso dell’assistente sessuale, è il rispetto delle regole e dei limiti prestabiliti e la gestione delle attese, fisiche ed emotive, dei «clienti». Il piacere che deriva dal corpo, dalle sue sensazioni (essere toccato, contenuto, spostato, pulito, nutrito, cambiato, ecc.) fa parte di quei piaceri primari che costruiscono, nello sviluppo di ciascuno, l’essenza di sentirsi vivi e del benessere; i primi pilastri del senso della propria identità separata e, al tempo stesso, in comunicazione con il mondo, con l’altro. La ricerca del piacere non si esprime solo a livello sessuale, ma anche attraverso il contatto, le carezze, i massaggi che, con un certo grado di spontaneità e sensualità, contribuiscono a portare l’organismo a un livello di benessere superiore e a prevenire ricadute negative sulla salute sia psichica che fisica. Spesso una persona con disabilità o grave patologia (ma anche un anziano, una persona in forte sovrappeso, con il viso deturpato, ecc.) ha meno occasioni di sperimentare il piacere dato dai contatti fisici, che sono invece quasi sempre circoscritti alle attività di cura e di igiene personale. 157
Il fatto di non generare attrazione, desiderio a causa del proprio aspetto o della propria condizione, non preclude solo la relazione sessuale o amorosa ma è di ostacolo, spesso, anche a gesti affettuosi, benché privi di connotazione erotica, come potrebbero esserlo gli abbracci e le carezze dispensati per tenerezza o amicizia. Non è scontato ricevere carezze, a parte, forse, quelle di un genitore o di un familiare. Le carezze rappresentano una delle più ricercate forme di contatto fisico. «A modo mio, avrei bisogno di carezze anch’io» dice il clochard che dorme sulle panchine in Piazza Grande nella canzone di Lucio Dalla. Gli anziani, invece, in una canzone di Claudio Baglioni sono «… i vecchi senza un corpo, i vecchi senza una carezza…». Perché piacciono le carezze? Le carezze non sono solo gesti d’affetto ma, come gli abbracci e i massaggi, sollecitano dei recettori. Secondo alcuni ricercatori, un gruppo di fibre nervose sensoriali si attiva per trasformare in sensazione positiva il contatto delicato con la pelle. I neuroni di tali fibre inviano degli stimoli alle strutture cerebrali della corteccia coinvolta nella gestione delle emozioni e dell’affettività. Anche agli animali piace essere accarezzati. Accarezzare e toccare permettono di comunicare anche al di là delle parole. L’assistenza sessuale è anche questo. Bibliografia AA.VV. (2011), Benessere sessuale e riproduttivo negli adulti con lesione midollare, Washington, Paralized Veterans of America. AA.VV. (2014), Focus Dossier, numero monografico, ottobre. AA.VV. (2014), Perché ci piacciono le carezze, «Focus», agosto. Abbate C. (2013), Abile ad amare, «Panorama», aprile. Bartolini S. (2010), Manifesto per la felicità, Roma, Donzelli. Bazzani V. (2013), Quattro ruote e tacco 12, Verona, Iperedizioni. Bocchino T. (2012), Nuda pelle, Roma, Albatros. 158
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Postfazione Giorgia Würth
Immagina di avere sete. Molta sete. E di essere seduto davanti a un tavolo su cui è riposto un bicchiere colmo di acqua fresca. Tu però, da solo, non riesci ad afferrarlo. Perché meccanicamente non sei in grado di arrivarci, oppure perché mentalmente non sai come farlo. La sete aumenta, fino a diventare insostenibile. Se non bevi, impazzisci. Se non bevi, muori. Hai bisogno di aiuto. Di qualcuno che prenda quel bicchiere e ti consenta di bere, o di qualcuno che ti spieghi come farlo. Ecco chi è l’assistente sessuale: una persona (uomo o donna) che aiuta a bere chi non è in grado di farlo autonomamente, in quanto impossibilitato da una disabilità fisica o mentale. L’acqua come fonte di vita, l’acqua come bisogno primario. Come il sesso. Cinque anni fa, durante un mio viaggio in Svizzera, lessi un articolo in cui veniva descritta la figura dell’assistente sessuale. Non ne avevo mai sentito parlare prima, e decisi di capirne di più. Iniziò così per me un viaggio lungo, ostico, meraviglioso, che mi ha regalato incontri inaspettati, magnetici, delicati, importanti. Incontri con persone diversamente abili costrette a vivere prigioniere del loro stesso corpo, con uomini e donne per cui aiutare queste persone è diventata una missione di vita, con madri costrette a masturbare i propri figli perché non hanno alternative, con malati che accettano di subire abusi sessuali 167
trovando, nell’abuso stesso, l’unica possibilità di espressione e soddisfacimento del proprio bisogno. Storie incredibili, vere, che oltrepassano la fantasia. Storie di persone che vorrebbero gridare il proprio bisogno di aiuto ma non sanno a chi rivolgersi e, spesso, trovano delle barriere insormontabili davanti a sé. Barriere non solo architettoniche, ma sociali, etiche. Volevo, dovevo dare il mio piccolo contributo per portare alla luce queste storie, per cercare di scoperchiare un mondo sommerso di cui si preferisce (soprattutto a livello sociopolitico) far finta di non sapere. Così, nell’aprile 2014, ho partorito L’accarezzatrice.1 Un romanzo. La storia di un’infermiera che diventa assistente sessuale per persone con disabilità, sfidando i suoi stessi pregiudizi oltre che quelli delle persone che la circondano. E quanti ne esistono di preconcetti associati alla disabilità… ne siamo assediati. Nonostante tutti i progressi compiuti, mi sono resa conto che la nostra società non è ancora davvero pronta a vivere la disabilità, la diversità dell’altro. Perché la verità è che, in fondo in fondo, non siamo pronti a vivere la nostra di diversità, quella che ognuno possiede in quanto individuo. Quella che celiamo per paura che gli altri ci rifiutino se non ci accucciamo buoni buoni sotto l’etichetta di «normalità». E così i disabili diventano coloro ai quali viene impedito di accedere a una piena partecipazione alla vita sociale a causa della loro condizione. È la società, allora, che crea i disabili. Non il loro corpo o la loro mente. Se poi al concetto di disabilità abbiniamo quello di sessualità, apriti cielo! Tabù su tabù (per non parlare poi della sessualità femminile o di quella omosessuale: ulteriori, terrorizzanti tabù). Würth G. (2014), L’accarezzatrice, Milano, Mondadori.
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«Ma sai che non ci avevo mai pensato a questo aspetto, al sesso accostato all’invalidità…?» è il commento che mi sento ripetere regolarmente durante i miei incontri in giro per l’Italia. Certo, perché chi ha una disabilità viene generalmente considerato un angelo asessuato. Ma se appena appena osasse manifestare un desiderio sessuale si trasformerebbe immediatamente in un demone. Angeli o diavoli, quindi, senza vie di mezzo. Il corpo, però, non può essere esclusivamente fonte di sofferenza e disagio. Il corpo deve potersi aprire al benessere, al piacere. Non siamo ipocriti: il sesso non è sempre e solo uno scambio d’amore, ma anche un modo per stare bene (meglio), un modo per conoscersi, per autostimarsi. Infatti, quando tutti ripudiano il tuo corpo in quanto non corrispondente a determinati canoni di «normalità», appunto, tu stesso finisci per schifarlo. E per odiarti. Per tale ragione non è solo importante, ma fondamentale, per persone che ogni giorno vengono svestite, lavate, nutrite, toccate da altre persone ma sempre in modo medico e freddo, avere la possibilità di essere sfiorate, accarezzate, massaggiate, abbracciate con calore umano fine a se stesso. E senza guardare l’orologio. Il valore inestimabile dell’abbraccio: farti sentire che anche tu, indipendentemente da come sei, hai il tuo posto nel mondo e meriti di essere accolto. Difficilmente una prostituta è in grado o ha voglia di trasmettere tutto questo, e, d’altra parte, non può essere certo una madre o un padre a relazionarsi in modo così intimo e sensuale nei confronti del figlio o della figlia. Ecco perché ritengo sia assolutamente necessario regolamentare, anche in Italia, l’assistenza sessuale. Donne e uomini che, dopo un percorso di studi medici e psicologici, si dedicano al benessere psicofisico delle persone affette da disabilità, individuando nel sesso una potenziale fonte di liberazione e di gioia. Lo scopo è quello di far sì che un corpo abituato al 169
dolore e alla privazione possa ritrovare, attraverso l’esperienza sensoriale del piacere, sensibilità, curiosità ed entusiasmo. Del resto, se nessuno si indigna quando qualcuno legge per i ciechi, perché allora sembra così immorale masturbare una persona con disabilità? I francesi chiamano l’orgasmo «la petite mort», la piccola morte. Si muore nel piacere e, poi, si rinasce. Quando si è portatori di voglia di vivere.
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Kate E. Reynolds
Sessualità e autismo Guida per genitori, caregiver e educatori Kate Reynolds, counselor, infermiera specializzata e madre di un ragazzo con autismo, in questo libro offre idee e strategie pratiche per i problemi che vengono affrontati quotidianamente dai genitori e dagli altri caregiver di persone con disturbi dello spettro autistico con difficoltà intellettive e difficoltà di linguaggio. La guida, semplice ed esaustiva, è rivolta a tutti coloro che hanno a che fare con giovani autistici con difficoltà severe e desiderano consigli pratici, semplici e immediati, sul tema della sessualità. Il volume affronta in modo separato pp. 190 i temi legati alla sessualità maschile e ISBN 978-88-590-0717-3 a quella femminile e tratta un ampio ventaglio di argomenti: lo sviluppo e i cambiamenti fisici, i comportamenti appropriati da tenere in pubblico e in privato, l’abuso sessuale, la collaborazione con la scuola, le prospettive per il futuro. I suggerimenti tengono conto delle diverse caratteristiche cognitive e affettive delle persone appartenenti allo spettro, nonché delle necessità comunicative dei soggetti con maggiori difficoltà di linguaggio orale, in comprensione e in espressione. L’edizione italiana è curata da Flavia Caretto.
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Anna Contardi e Monica Berarducci AIPD – Associazione Italiana Persone Down
Amicizia, amore, sesso: parliamone adesso Conoscere se stessi, gli altri, le proprie emozioni Il libro nasce dall’esperienza dei Percorsi di educazione all’autonomia dell’Associazione Italiana Persone Down. Propone un percorso di educazione emotiva, relazionale e sessuale, pensato appositamente per gli adolescenti con disabilità intellettiva, ma utilizzabile anche da tutti i ragazzi che sperimentano sul proprio corpo i pp. 110 a colori + guida (12 pp.) cambiamenti della crescita e vivono le ISBN 978-88-590-0281-9 prime relazioni di amicizia e amore. Il volume di attività è pensato per essere utilizzato direttamente dal ragazzo; ricco di immagini a colori, propone esercizi e giochi che, sfruttando un approccio ludico, consentono di: – imparare a conoscere se stessi – imparare a conoscere gli altri – imparare a conoscere le proprie emozioni – imparare a conoscere il proprio corpo.
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Wendy Lawson
Sesso e sessualità nei disturbi autistici Molto poco è stato scritto sul tema delle relazioni interpersonali e della sessualità delle persone con autismo; inoltre, come sottolinea l’autrice di questo libro, a tale riguardo la letteratura disponibile tende a mettere in evidenza soprattutto i problemi e i lati negativi. L’opera fornisce alle persone con autismo un prezioso sostegno, orientandole nella comprensione del significato dei comportamenti degli altri e verso le modalità di interazione più appropriate in una varietà di situazioni che va dal primo incontro all’amicizia consolidata, ai rapporti sessuali. La sua storia di vita pone l’autrice, che ha pp. 180 disturbi autistici, nella posizione migliore ISBN 978-88-7946-811-4 per scrivere di questi argomenti. È stata sposata per vent’anni, ha avuto quattro figli e oggi è impegnata in una relazione omosessuale con un’amica di lunga data. Parlando di queste esperienze e scelte di vita, Lawson suggerisce utili strategie per muoversi sul difficile terreno della formazione e del mantenimento di relazioni appaganti, utilizzando uno stile chiaro e diretto sempre accompagnato da sensibilità e garbato umorismo.
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Hilary Dixon
L’educazione sessuale dell’handicappato L’educazione alla sessualità dell’adolescente/adulto con disabilità mentale e fisica pone interrogativi pedagogici e problemi pratici di notevole complessità. Cosa può fare il genitore o l’educatore? Quanta e quale educazione diretta — su temi così intimi e personali — può essere opportuna? Con quale approccio è consigliabile accostare l’adolescente, con quali parole e con quali contenuti? Il volume fornisce informazioni e propone suggerimenti operativi per impostare un efficace lavoro individualizzato, graduato secondo le esigenze di maturazione di ciascun pp. 134 ragazzo. Dal punto di vista sessuale, ISBN 978-88-7946-085-9 la persona con disabilità può essere considerata a rischio: a rischio di diventare vittima o aggressore, o di finire comunque sfruttata e ferita nella sua dignità di persona.
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Finito di stampare nel mese di novembre 2014 da Intergrafica Verona srl (VR) per conto delle Edizioni Centro Studi Erickson S.p.A. Trento