Presentazione del Comandante la 9A Brigata Aerea Gen. B.A. Luca VALERIANI Pratica di Mare, primavera 2006
Il terzo volume di “Nec In Somno Quies” giunge dopo 11 anni dal precedente, in occasione del 75° anniversario della costituzione del 15° Stormo e testimonia un periodo denso di avvenimenti nella vita e nell’operatività dello Stormo, quasi una metafora dei tumultuosi eventi verificatisi sulla scena politica internazionale e dei cambiamenti epocali che essi hanno portato. Ci eravamo lasciati nel 1995 con un 15° alle prese con l’allora recente evoluzione operativa sintetizzata nel termine Combat SAR, avente come base madre la “culla di Ciampino”, alle dipendenze del “solido” Comando della 2° Regione Aerea, operativamente gestito dal RCC di Martina Franca e….potremmo continuare a lungo a citare un mondo organizzativo ed ordinativo che non esiste più, infatti in solo 11 anni, dobbiamo annoverare: nel 1997, il trasferimento da Ciampino a Pratica di Mare, nello stesso novembre 1997 l’inserimento dello Stormo nella ricostituita 9° Brigata Aerea, nel 1999 la storica ristrutturazione ordinativa dell’Aeronautica Militare con la nascita del Comando Squadra Aerea quale Alto Comando di appartenenza dello Stormo e del Comando Operativo delle Forze Aeree quale gestore delle sue missioni operative e poi, l’undici settembre 2001 con le conseguenze e gli scenari che ha aperto e che ha portato lo Stormo ad acquisire la capacità di S.M.I. (slow movers interception), a operare nell’ambito del 6° R.O.A. a Tallil in Iraq….e non è ancora finita, poiché le necessità di gestire lo “strumento aereo” in modo sempre più rispondente alle sfide dei tempi, già profila un nuovo assetto organizzativo in cui andrà ad inserirsi lo Stormo. Forse nessuno Stormo operativo dell’Aeronautica ha subito in questi anni, così forti, decisivi e rapidi cambiamenti, conservando senza nessuna interruzione, pienamente le sue capacità ed attività operative, aggiungendone anzi di nuove alle precedenti; forse nessuno sarebbe
stato capace di subire tali e tanti cambiamenti senza mutare la propria natura e la propria anima. Il 15° no, ha superato le difficoltà e le crisi, anche quelle di crescita lo sono, con lo stesso spirito volitivo, ma sereno, serio ed al contempo faceto, con orgoglio per le proprie tradizioni e le proprie capacità, ma anche con la curiosità e la modestia di mettersi continuamente in gioco per ricominciare, da una nuova base, da una nuova catena di comando, da nuove capacità operative, da nuovi sistemi d’arma, da nuove realtà geografiche, umane, organizzative in cui operare. Ecco, questo ha dimostrato di saper fare il 15°: cavalcare il cambiamento senza farsene travolgere, rinnovarsi, mantenendosi legato alle proprie radici, alla propria natura, che è quella di una realtà fatta di ufficiali, sottufficiali e civili, in servizio e non, legati da un comune affetto per la propria bandiera e dal piacere e dal desiderio di incontrarsi, stare assieme, raccontarsi, facendo sentire chi è già fuori dallo Stormo, ancora “dentro”, come questo terzo e certamente non ultimo volume di “Nec In Somno Quies” vuole cercare di fare.
Gen.B.A. Luca Valeriani
Prefazione del Comandante il 15° Stormo Col. Pil. Giuseppe DI MAIO Pratica di Mare, Autunno 2005
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anni! Vent’anni sono trascorsi dalla pubblicazione del primo numero di “Nec In Somno Quies”. Eccoci di nuovo qua, Noi “Gente del Quindicesimo” a ricordare, a raccontare le nostre storie di vita quotidiana che hanno caratterizzato il decennio appena trascorso. Come Comandante del “Quindicesimo”, con una punta di malcelato orgoglio, posso affermare che lo Stormo ha ormai raggiunto una piena maturità operativa, ampiamente apprezzata sia all’estero che in Italia. Siamo divenuti un reparto leader nelle operazioni condotte fuori i confini i nazionali. In patria, al nostro tradizionale paniere di missioni abbiamo aggiunto la capacità di Slow Movers Interception (S.M.I) che ci consente di far parte dei dispositivi di difesa aerea d’area costituiti in occasione dei “grandi eventi” nazionali. Lo spettro di tutte le possibili missioni assegnate allo Stormo è aumentato a dismisura. Si pensi che tutto questo sta avvenendo in un contesto generale caratterizzato da fortissime riduzioni e tagli di bilancio: a volte persino la nostra stessa capacità di credere nel futuro è stata messa a dura prova! Ma Noi del Quindicesimo siamo Uomini di coraggio, non ci arrendiamo facilmente! Siamo comunque capaci di trovare tutta la forza e l’energia che ci occorre non solo nel nostro glorioso passato, ma anche nel nostro stimolante presente, perseverando in quello che facciamo con tanta passione, abnegazione e spirito di sacrificio. Affondiamo le nostre radici fra il passato ed il presente per trovare il nutrimento, la motivazione e la forza necessaria per sempre migliorarci guardando con serenità d’animo al nostro futuro.
Ma venendo al nostro terzo volume di “Nec In Somno Quies”, ritengo che, nella sua semplicità, sia uno spaccato autentico di quello che è stata l’esperienza dello Stormo nell’ultimo decennio, o meglio, come gli uomini del Quindicesimo hanno vissuto, percepito la moltitudine di accadimenti di questi ultimi dieci anni. Come il Lettore avrà modo di trovare conferma, la variegatissima attività operativa svolta dimostra inequivocabilmente ancora una volta che tutto il personale dello Stormo continua ad essere animato da una grande tensione morale, dai profondi sentimenti di solidarietà che da sempre accomunano tutti gli uomini del “Soccorso”: i Grandi Uomini del Quindicesimo!
Col. Pil. Giuseppe Di Maio
SOMMARIO Dal 1995 al 2005 In occasione del centenario della nascita del Gen. Cagna …ricordando Q.R.A. Una missione particolare Un posto in paradiso Aiuti umanitari Qualche giorno in più… La carica dei 101 Uomini del 15°… Uomini originali… Notte da streghe L’ago nel pagliaio Una giornata di Novembre Divertissement sulla passione del volo Cooperiamo Noi c’eravamo Tu sii tuttu furtunatu Una vita al SAR Mesopotamia highway patrol Iraq 6 Luglio 2004 (prima parte) Un pensiero per il mio gruppo Arrivai al 15° quasi per caso Qualsiasi condizione Non più Iraq sofferente Salvare assolutamente i ragazzi Ti ricordi quella volta a Kukes Soluzioni Una crociera in prima classe Uno del 15° S.A.R.agozza 2004: l’82° alla Volcanex Palagiano-Palagianello Manifestazioni Da “Il vecchio e il mare” di Hemingway a “Il vecchio e… l’elicottero” degli EMB Un lungo respiro Un giorno indimenticabile Volare Iraq Il coraggio di… avere paura Riflessioni di un “ex” del Quindicesimo La (non) solita routine In ricordo di Francesco “CHICO” Bettini I nuovi compiti Quando si dice la fortuna Un problema… scottante Iraq 6 Luglio 2004… (seconda parte) Gente del 15°
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1995 03 Marzo. Tratte in salvo al largo di Olbia 22 persone da una nave greca in fiamme. 20 Maggio. Sisma. Ricognizione post–sisma nell’area del trapanese per verificare eventuali danni a persone o cose. 24 Giugno. Recuperati 4 naufraghi al largo di Chioggia, per l’affondamento della motonave “Nivea”. Il recupero è stato effettuato in condimeteo avverse, mare forza 5 e mentre imperversava un violento temporale.
1996 21 Febbraio. Intervento al largo di Brindisi in occasione di un incidente avvenuto a bordo della nave “Samantha”.
10 Agosto. Recuperati 3 membri dell’equipaggio di elicottero U.S.A. dell’unità navale U.S.C.G. “Dallas” precipitato in mare a Sud di Capo Passero (SR).
3 Marzo. Ricercato un peschereccio con 9 persone a bordo nell’area compresa tra l’isola di Pantelleria e Capo Bon. Vengono effettuate 2 sortite.
Agosto/Settembre. Effettuata un’intensa attività (130h ca.) volta alla ricerca e al soccorso di marinai ed imbarcazioni.
25-26 Aprile. Ricercati e soccorsi di 19 naufraghi al largo dell’isola di Lampedusa.
17 Settembre. Trasportati organi ed equipe medica per trapianto, da Falconara a Verona Villafranca.
22 Giugno. Ricerca di uno yacth inglese con 20 persone a bordo a oltre 100 NM a Nord di trapani. Recuperato un solo naufrago.
7 Novembre. Recuperati 14 naufraghi dall’imbarcazione “Coraline Hambourg”, nave porta-containers affondata a Nord di Palermo.
Settembre. Alluvioni. Lo Stormo è stato impegnato in varie ricognizioni (15 ore ca.) in occasione delle alluvioni in Romagna e nelle cave di Crotone. 13 Ottobre. Recuperato un marinaio da la nave mercantile “Sac Malaga” a 70 km a Nord delle coste algerine e successivamente trasportato ad Elmas. 12-14 Novembre. Ricerca di un pilota di F104 nelle vicinanze di Trapani, effettuando 10 sortite per un totale di circa 30 ore.
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1997 08 Gennaio. Soccorso una persona in occasione dell’affondamento della nave turca “Onuk”, a 90 NM a Nord di Trapani. 07 Aprile. Recupero di un cardiopatico da un’imbarcazione battente bandiera Maltese al largo di Ravenna. Il recupero con barella verricellabile è stato difficoltoso per le condimeteo avverse: mare forza 5 e vento con raffiche di 60/70 nodi, ma portato a buon fine per l’alta esperienza dell’intero equipaggio. 18 Aprile. Recupero di 5 naufraghi da nave commerciale in navigazione nord di Pantelleria e successivo trasporto a all’aeroporto di Pantelleria. Aprile. Effettuate 9 sortite per la ricerca e il soccorso di due F104 precipitati a 35 NM a sud di Trapani.
1998
08-09 Agosto. Siamo intervenuti nella zona di Ciampino per la ricerca di un S-208 recuperando due feriti.
Febbraio. Il 15° ha collaborato con gli Stati Uniti d’America nella ricerca di due aeromobili in avaria.
6 Ottobre. Trasferimento. Il 15° Stormo si trasferisce dall’aeroporto di Ciampino all’aeroporto di Pratica di Mare andando a ricostituire la 9^ Brigata Aerea insieme al 14° Stormo.
Maggio/Giugno. Sarno. Lo Stormo ha effettuato 38 ore di volo ed ha tratto in salvo 160 persone nella zona colpita dall’alluvione di Sarno. 24 Giugno. Trasporto di un ferito colpito dalla deflagrazione una mina a Tirana. 13 Ottobre. Recupero di 2 piloti della G.di F. a causa di avaria avuta ad un NH-500, al largo della costa di Rimini. In 30’ l’HH-3F era sul luogo e operava per il recupero dei 2 piloti che attendevano incolumi in prossimità del velivolo. I due venivano recuperati e trasportati sulla base di Rimini.
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1999 Aprile/Settembre. “Arcobaleno”. Nel corso dell’operazione “Arcobaleno” in Albania, organizzata a scopo umanitario, il 15° ha partecipato attivamente effettuando 101 soccorsi a persone, per un totale 447 ore di volo in territorio albanese. 21 Agosto. Missione di ricerca e soccorso per un pilota di Tornado eiettatosi. 16 Dicembre. Alluvione. Un HH-3F viene fatto decollare alla volta di Cervinara per effettuare dei recuperi in frazione Castello in favore della popolazione colpita da alluvione. Sono recuperati dai tetti delle case 23 persone, di cui 15 bambini.
2000 Gennaio/Marzo. Presidente della Repubblica. Grande impegno del 15° al servizio del Governo per il trasporto del Presidente della Repubblica, del Capo di Stato Maggiore della Difesa e di Ministri Vari. 20 Gennaio. Ricerca di un SF-260 precipitato. Operazione Arcobaleno. Durante quest’anno sono state effettuate 161 sortite per circa 60 ore di volo in occasione della Missione in Albania trasportando personale e materiale tra l’Italia e Durazzo, Valona e Djakovica. 10 Settembre. Soverato. Abbiamo lavorato a Rossano/Crotone in occasione dell’alluvione di Soverato. 15 Ottobre. Alluvione. Lo stormo è stato impiegato nel recupero di alluvionati nelle zone di Biella-Venaria Reale-Casale Monferrato. Nelle 10.30 ore di volo effettuate nella zona del Ferrarese, sono state recuperate dai tetti 45 persone e un cane.
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2001 20 Febbraio. Trasporto traumatizzato a causa dell’amputazione del braccio. Nonostante la scarsa visibilità a causa della densa foschia, le ore notturne, considerata la gravità dell’ammalato e consapevoli di essere gli unici a poter condurre la missione in tali condimeteo e in così breve tempo, l’equipaggio decolla alla volta di Urbino. Dopo 15’ l’HH-3F atterra nel campo sportivo di Urbino e dopo 40’ atterra al C.T.O. di Firenze. La missione è portata a termine positivamente per la grande esperienza di tutto l’equipaggio.
2002
14 Marzo. Trasporto equipe medica per espianto cuore da Catania - Reggio Calabria.
28 Maggio. Kremlin 2002. In occasione dell’accordo Nato-Russia, svoltosi nella base militare di Pratica di Mare, il 15° Stormo ha effettuato svariate missioni di S.M.I. (intercettazione a bassa velocità) per garantire la sicurezza intorno alla base.
14 Aprile. Recupero pilota AMX. Durante una mix addestrativa su una piattaforma petrolifera nelle acque antistanti Rimini,un HH3F viene allertato e quindi dirottato sul punto in cui un AMX dell’A.M. ha impattato l’acqua. Individuato il pilota, privo di sensi, lo stesso viene immediatamente recuperato a bordo e praticata la respirazione bocca a bocca. Atterrati all’ospedale di Rimini viene purtroppo constatato il decesso del pilota.
1 Novembre. Terremoto. Tre sortite di 5 ore in occasione del Terremoto in Molise. Dicembre. Stromboli. il 15° si è rischierato con un elicottero a Stromboli per far fronte all’emergenza dovuta all’eruzione del vulcano. In tale occasione il 15° Stormo ha permesso l'evacuazione, e successivo ritorno, di gran parte della popolazione colpita dall'eruzione.
13 Giugno. Trasporto di una bambina di 9 anni a causa del rigetto post operazione. Dopo 2 ore dall’allertamento la bambina è ricoverata all’ospedale pediatrico di Padova. 20 Luglio. Durante una mix addestrativi, un HH-3F viene informato dall’RCC che un pescatore è affondato con la sua barca a circa 1 NM dal porto di Civitanova Marche. Dopo aver rifornito in base, l’elicottero dirige verso la zona dell’incidente. Dopo 30 minuti di ricerca, l’equipaggio rinviene il corpo presumibilmente privo di vita. Notifica la zona e il corpo viene recuperato da un motovedetta della Capitaneria di Porto.
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2003 Inizio anno. Stromboli. Continua l’impegno profuso dal 15° Stormo per nel soccorso della popolazione colpita dall'eruzione dello Stromboli. 10 Gennaio. Intervenuti a Nord di Otranto per l’emergenza di alcuni velivoli militari USA. 28 Gennaio. Durante una missione addestrativa un HH-3F viene contattato dalla Sala Operativa di Reparto per il recupero di un cardiopatico dalla moto barca “Gabriella” al largo di Rimini. Effettuato il recupero, il malato viene trasportato all’ospedale di Rimini.
2004 26 Gennaio. Recupero di un pilota A.M. di F16 eiettatosi nell'area delle Isole Egadi.
29 Marzo. Antica Babilonia. Il primo HH3F varca i confini Irakeni dando inizio all’operazione Antica Babilonia, attualmente in corso. Gli HH3F solo nel 2003 hanno effettuato 692 missioni per un totale di 796 ore di volo.
24 Aprile. Dopo la ricerca in mare, al largo di Ravenna, di una barca a vela e cessata l’esigenza, l’HH-3F fa rotta verso Rimini. Al traverso di Cesenatico l’equipaggio viene allertato per una assistenza alla motonave turistica “Isabella”, con a bordo una trentina di turisti tedeschi. La motonave è in difficoltà, per il mare grosso e non riesce a rientrare nel porto di Rimini. L’HH-3F fornisce l’assistenza necessaria fino al rientro della motonave.
12 Giugno. Recupero di un traumatizzato in seguito ad un ictus cerebrale da una imbarcazione al largo di Ravenna e conseguente trasporto all’ospedale della stessa città. 17 Ottobre. Recupero 5 naufraghi da un’imbarcazione nella zona a Nord di Palermo.
30 Maggio. Meeting Rome. In occasione dell’incontro dei ministri della difesa dei paesi aderenti alla Nato, lo stormo ha garantito la difesa dei cieli con una serie di missioni S.M.I.
25 Dicembre. Trasporto di generi alimentari sull’isola di Marittimo, isolata da diverso tempo a causa delle avverse condizioni meteorologiche.
Antica Babilonia. Prosegue l’operazione Antica Babilonia con l’avvicendarsi di vario personale dello Stormo e non. Solo nel 2004 gli HH3F hanno effettuato 1345 sortite per un totale di 1596 ore di volo.
Dicembre. Natale su Roma. Effettuate diverse sortite di S.M.I. durante il periodo natalizio sopra Roma. Nell’occasione sono state effettuate più di 17 missioni per un totale di 39 ore dei volo.
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2005 1 Marzo. Richiesta da parte della prefettura un trasporto urgente di plasma all’ospedale di Pantelleria isolata da diversi giorni per il continuo maltempo.
Persone soccorse dal 1995 al 2005 571
600 500 400
5-11 Aprile. Funerali del Santo Padre. In occasione della morte e dei funerali dell’amato Papa Giovanni Paolo II, il 15° Stormo ha svolto una intensa attività di S.M.I. affinché i pellegrini godessero della massima sicurezza dal cielo. In occasione dell’evento sono state effettuate 22 missioni per un totale di 45 ore di volo.
300 200
258 263 180 117 101
104
100
54 27
28 20
19 95 19 96 19 97 19 98 19 99 20 00 20 01 20 02 20 03 20 04 20 05
0
22 Aprile. Nuntio Vobis. In occasione dell’ascesa al soglio pontificio di Papa Benedetto XVI, ancora una volta i cieli della capitale sono stati difesi dagli HH3F del 15° Stormo.
Ore totali volate dal 1995 al 2005 8400 7200 6000 4800 3600 2400 1200 0
6604 6785
6116
6517
6831
6950 6709
6348 5535
19 95 19 96 19 97 19 98 19 99 20 00 20 01 20 02 20 03 20 04 20 05
Antica Babilonia. Il 15° Stormo conferma l’impegno profuso nel teatro irakeno. Solo nel 2005 sono state effettuate 1091 missioni per un totale di 1367 ore di volo.
7495 7419
I COMANDANTI DEL DECENNIO Col. Pil. TRINCA Gianfranco 19/09/95
Attività operativa dal 1995 al 2005
Col. Pil. SORINO Mario 1920 1680 1440 1200 960 720 480 240 0
25/09/96 Col. Pil. VALERIANI Luca 05/08/98 Col. Pil. DE LUCA Carmine 09/09/99 Col. Pil. LEONARDUZZI Pierluigi 18/01/01
962
888
688 474
556 314
261
282
19 95 19 96 19 97 19 98 19 99 20 00 20 01 20 02 20 03 20 04 20 05
Col. Pil. FORLIANO Leonardo
1790 1626
1454
09/07/02 Col. Pil. MULAS Vittorio 02/10/03 T.Col. Pil. PREO Roberto 26/01/04
Gli eventi riportati in queste pagine sono solo uno stralcio significativo di tutta l’attività svolta in questi anni dal 15° Stormo.
Col. Pil. MULAS Vittorio 22/09/04 Col. Pil. MARIOTTI Stefano 05/10/05 Col. Pil. DI MAIO Giuseppe 10
tortuoso budello che rappresenta il corso principale, siamo squadrati da mille occhi che sporgono dai balconi, dalle botteghe, dai vicoli: occhi impenetrabili, difficile leggere ostilità o benevolenza. Giungiamo sulla piazza del Comune, e lì la prima sorpresa: c’è tutto il paese (età media cinquant’anni), e non assistono, partecipano.Il sindaco parte dicendo le solite giustissime parole consone all’occasione, ma il tono è del nonno che racconta le favole davanti al camino: poi si infervora e chi lo interrompe battendo le mani, chi si commuove ma nascostamente un contadino, che sembra un rovere protesta l’assenza di due fascisti nella lapide dei caduti, una vecchina vicino a me mi racconta di quando Stuvin tornava al paese e si sedeva sul bordo della fontana a raccontare della tenda rossa e di Nobile. Interviene il parroco, almeno 96 anni ma il piglio di un chierichetto e a me sembra di essere sul set di un film neo realista, certo le comparse sembrano vere, le facce cotte dal sole, i cappelli di paglia, le signore colla veste nera e lo scialle. L’impressione è che tutto sia attuale, il ventennio, la guerra, i figli lasciati in Russia o in Africa, la guerra civile, la ricostruzione, tutto è accaduto ieri e sono vividi i sentimenti che si agitano nella folla.
ORMEA, luglio 2002 Si arriva, dall’alto come piace a noi, e il paese raccolto in un fazzoletto di valle ci mostra i suoi tetti, stretti l’uno all’altro come le pecore di un gregge spaventato: rosseggiano i coppi piemontesi, si alternano all’ardesia della Liguria il cui confine è dietro queste montagne di un verde accecante. È Ormea, patria dell’eroico Generale Cagna, Comandante del 15° Stormo durante la guerra. Oggi se ne celebra il centenario della nascita: il Sindaco ci aspetta sul campo sportivo, naturalmente vicino al cimitero; non ho mai evitato, se non per tema delle norme vigenti sull’indisciplina di volo, il sorvolo dei centri abitati, ma passare sui camposanti mi ha sempre dato un sottile disagio... Il Sindaco, il Presidente della Provincia di Cuneo, alcuni assessori, la banda musicale, i paesani più coraggiosi, è un’accoglienza tra il formale e l’entusiastico quella riservata all’equipaggio dell’elicottero: “Così grande che non si riesce a guardarlo tutto di un colpo”. Nel pomeriggio si potrà visitarlo, ora tocca andare in piazza alla cerimonia, si scopriranno due lapidi (par condicio: una commemorativa di Cagna, che fu anche attendente di volo di Italo Balbo, una ai caduti della guerra partigiana). Passeggiando per il
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Anche Matteo, noto cuore di pietra, indulge alla commozione, perché si sente nell’aria che nulla è stato dimenticato. Poi la messa e il pranzo: antipasti che da soli sfamerebbero un manipolo di legionari, primi di una bontà solare, carni morbide e vini di Ormea, gentili e facinorosi ad un tempo, dal corpo ombroso e vellutato. Si ride, è bello: di nuovo il Sindaco ci racconta dei suoi concittadini, c’è un affetto sincero nelle sue parole: “Mi perdonano tutto, ma guai se decidono che approfitto della mia posizione, quando nevica il vialetto della mia casa è l’ultimo ad essere spalato...”. Ma è Italia? O forse è questa l’Italia che nessuno ci racconta? Nel pomeriggio visita all’elicottero: la curiosità vince sulla naturale ritrosia e tutto il
parlare del nostro lavoro o lasciarci trasportare dalla serena ingenuità di questa gente e aspettare che siano loro a dirci... È ora di andare e di nuovo accade una cosa straordinaria e semplicissima: la gente si allontana dal velivolo e va ad assiepare le scarne gradinate del campo sportivo. Saluto e mi avvio alla scaletta: metto il piede sul gradino e parte un applauso che diventa un’ovazione, mi giro e vedo tutto il paese e davvero non mi riesce di pensare ad altro che a parole desuete quali affetto collettivo, orgoglio di essere Italiano, amor di Patria. Detesto i luoghi comuni e sono sicuro che non è che a Ormea il tempo si sia fermato: ha solo percorso un sentiero più gentile. Tomaso Invrea
paese va a sedersi ai comandi e giù una pioggia di domande e di osservazioni e di salaci commenti; non so se ci piace di più 12
E
Raccontiamo queste esperienze perché nonostante davanti la sigla SAR, che qualche visita primaverile scolastica chiamava “soccorso aereo regionale” oggi con l’aggiunta della “C” di COMBAT, si continuano a fare questo tipo di interventi anche se si è chiamati a fare altro tipo di missioni per affermare sempre di più i valori del soccorso. E… come non ricordare, sempre davanti a quella famosa birra, l’estate pionieristica irakena 2003, ad operare con temperature vicino ai 65/70 gradi per l’efficienza dei nostri vecchi Pellicani (soprattutto a Ferragosto), quando il nostro meraviglioso mare italico esprimeva tutto il proprio splendore donando refrigerio a milioni di persone.
ssere del 15°, appartenere al 15° è qualcosa che ti porti dentro e non riesci ad esprimere se non quando sei chiamato ad operare in condizioni anche “PROIBITIVE”. Come non ricordare stando seduti davanti a una birra o ad un caffè, un grigio pomeriggio di novembre al largo di PANTELLERIA con mare forza 8/9 e vento che soffiava intorno ai 45 nodi, il recupero di 5 marinai “marcantoni” (termine usato per definire persone con spalle simili alle ante di un armadio) olandesi su nave battente bandiera honduregna. Un recupero che in condizioni normali lo avresti fatto in 10 primi, quella volta c’è voluta quasi un’ora con l’equipaggio che nonostante il freddo invernale sudava come nella più calda giornata d’agosto. Come non ricordare un’esercitazione CANALE, quando una normale ricerca di routine addestrativa si è trasformata in una reale ricerca notturna su mare con “esito positivo” per soccorrere l’equipaggio di un elicottero precipitato. Come non ricordare una notte di luglio, con 38°C e 80% di umidità, il Capo Equipaggio alla sua prima missione operativa a verricellare con la barella una signora con un’occlusione intestinale su una nave da crociera.
Filippo Lo Cacciato Francesco Lo Giudice
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Una lieve sensazione di calura mi pervade quando mi accomodo a bordo, leggo la temperatura del termometro cabina 58°C, butto un occhio alla T5 dei turbomotori prima della messa in moto 65°C (l’elicottero non aveva ancora volato!), ecco il perché di quelle goccioline di sudore che mi stavano imperlando la fronte. Mettiamo in moto con la rapidità (del vento) che c’è consentita dalla dotazione individuale che indossiamo.
U
na bella giornata di sole, dell’estate del 2004, una spiaggia larga anzi larghissima, così larga che non si poteva distinguere il mare. Noi nelle colonie elioterapiche di UR in Mesopotamia, godevamo della dolcezza del clima. L’attività di volo si susseguiva intensamente senza soluzione di continuità, giorno dopo giorno, notte dopo notte, settimana dopo settimana, mese dopo mese, tra turni di QRA e QRF inframmezzati da missioni operative su “task” del J-3 della Brigata. Poligoni notturni e diurni per permettere agli equipaggi neo-assegnati di acquisire dimestichezza con le procedure in uso nel teatro operativo. È il pomeriggio di un giorno qualsiasi dal Bunker ci comunicano una Medevac il messaggio rimbalza via radio alle varie componenti interessate ed alla catena di comando, gli altoparlanti gracchiano QRA! QRA! QRA!, l’equipaggio in men che non si dica si presenta in linea volo. L’elicottero viene spostato dall’ombroso carapace di metallo e tela plastificata al piazzale inondato dal sole pomeridiano, il personale d’allarme si riunisce attorno al tavolo della linea per il briefing pre-volo. Uno sguardo al co-pilota, simpatico ragazzo siciliano, che snocciola in maniera imperturbabile le informazioni necessarie dalla SOP alla DON alle SPINS, il personale intel ci aggiorna sulle ultime news. Assegno i compiti a bordo e ricordo le ROE. Finiamo di indossare il nostro equipaggiamento, nonostante sia solo pomeriggio, invito il mio equipaggio a portare i propri NVG, e riempiamo le borracce d’acqua fresca e siamo pronti a partire. Dopo qualche minuto arriva l’ambulanza con l’IPV da trasportare. Due medici di Camp MITTICA lo hanno stabilizzato, non sta benissimo è intubato, fratture varie, necessita una serie di radiografie e di un’adeguata assistenza che può essere offerta solo dall’ospedale di **** in Kuwait.
Dopo il decollo vengono attivati i sistemi di protezione attiva e passiva e viro a sinistra verso la TAMPA. Il deserto persiano si stende a perdita d’occhio sotto i nostri piedi, l’attenzione è catalizzata dal mantenimento della quota, relativamente bassa rispetto allo standard in madrepatria, corrispondente ai limiti della DON di teatro, passata la Tampa lasciamo l’aeroporto di **** le cui piste in rovina (tutte e tre bombardate ortogonalmente) scorrono alla nostra sinistra e man mano che ci avviciniamo al confine kuwaitiano, carcasse di carri-armati e postazioni d’artiglieria smantellate con i loro terrapieni difensivi si susseguono ininterrottamente, residui ormai dimenticati, risalenti alla 1a Guerra del Golfo, quella del ‘91. Prossimi al confine ed in contatto con gli enti del controllo inglesi, lasciando il traverso sud 14
eventuali “misunderstanding” dovuti alla lingua. L’equipaggio viene accolto da un Master Sergeant dell’US Navy che come prima cosa ci chiede se abbiamo mangiato e se dobbiamo rifornire. Questi americani in fatto di logistica sono veramente il “numero uno”, il nostro elicottero viene rifornito e post volato con priorità rispetto alle altre missioni degli alleati, gode il suo meritato riposo parcheggiato fianco a fianco con Sea-King’s dell’US Navy, UH-60’s Medevac dell’Army e CH-46’s Black-knight dei Marines. Verso le due del mattino siamo pronti a ripartire il paziente è stato ricoverato presso l’ospedale dove resterà per qualche giorno per ricevere le cure necessarie prima di essere trasportato in Europa. Si torna a casa, grazie ad una legge non scritta del XV (dopo un soccorso) nella tratta di rientro il co-pilota è ai comandi ed allora di conseguenza io mi occupo della navigazione (cartina, GPS, doppler) e delle chiamate radio. Una notte buia, senza luna, 2 millilux (grazie alle stelle) anche se velata dalla foschia a causa dell’inversione termica notturna, voliamo concentrati ma sereni con l’intima soddisfazione di aver fatto il nostro dovere. Arriviamo a Tallil poco prima dell’alba, i sistemi di protezione vengono messi in “sicura”, appena atterrati de-briefing valutazioni a caldo della missione svolta ed eventuali osservazioni, una doccia veloce qualche ora di sonno e poi di nuovo in piedi pronti a riprendere il nostro lavoro in questa estate irachena, nella provincia di Di Khar. Il pensiero va a casa, alla famiglia, alla moglie ed ai figli, avevo promesso loro che avremmo trascorso l’estate insieme, così non è stato, quella precedente ero in Qatar, questa del 2004 sono in Iraq, per la prossima vedremo… però meglio non promettere niente! Marco Francescan
di Bassora, quelli kuwaitiani entrando nel loro spazio aereo e quelli americani per le info di traffico nei pressi delle loro basi, voliamo verso la nostra destinazione. Qua e la nel deserto, a distanze incredibili da qualsiasi strada o villaggio di case di fango e paglia, si notano dei puntini neri, sono le etnie delle tribù nomadi dedite alla pastorizia, sono agglomerati di due o tre tende come isole in balia del vento, lo “SHEMAG”, nel mare desertico. Il carro del sole sta ultimando la sua corsa e l’oscurità ci avvolge nel suo manto una decina di minuti prima dell’atterraggio a destinazione.
Indosso i visori notturni che portavo appoggiati al collo sin dal decollo da Tallil ed atterriamo nel buio più pesto nel mezzo di un fantastico piazzale. La base di **** ha un ospedale perfettamente attrezzato, migliore di quello inglese di Bassora, la base viene considerata R & R per le truppe in servizio in Iraq. I riservisti della Marina americana ci accolgono con cameratismo e professionalità, l’ambulanza è già lì che ci aspetta, il ferito ed i medici vengono fatti salire ed il mio copilota si offre di accompagnarli al fine di evitare 15
House”. Dalla mia postazione, mentre stavamo sorvolando lungo un viale, avvisto un gruppo di persone, sembrano innocue, accompagnano dei bambini, ma all’improvviso dietro questa gente appaiono circa 5 uomini vestiti di nero con il passamontagna indossato armati di lunghi fucili mitragliatori. Immediatamente comunico la minaccia a tutto l’equipaggio: “Uomini armati ad ore sei”, ma non faccio in tempo a finire la frase che venivamo investiti da un forte boato e da una nuvola di colore grigio a circa 70 metri da noi più o meno alla stessa quota. Ci avevano sparato addosso, molto probabilmente con un mortaio, il nostro elicottero sobbalzò, la rampa si socchiuse e noi balzammo all’indietro, molto probabilmente chi ci aveva sparato era posizionato su un balcone lungo il fianco della strada. Il Capo Equipaggio, mantenendo la calma, ci chiese se dietro era tutto ok. Anche noi per fortuna mantenemmo la calma, e tranquillizzammo tutti che era tutto a posto; il Capo Equipaggio avvisava la base che stavamo rientrando in aeroporto comunicando in codice quanto accaduto. Arrivati in aeroporto l’Ufficiale Intelligence ci catturò letteralmente per apprendere e annotare tutte le notizie utili che noi potevamo fornirgli. Alla fine dei vari briefing, quando eravamo liberi da tutti gli impegni, io e il mio compagno, ci siamo guardati e ci si siamo abbracciati a lungo: non avevamo voglia di parlare ma sicuramente né io e né lui scorderemo mai quanto accaduto.
Tallil, 15 maggio 2004, ore 0800 circa, arriva l’ordine di missione decollo immediato sulla città di Nassiriya. Effettuammo il briefing intelligence per gli aggiornamenti sulle minacce di fuoco e le ultime notizie sui ribelli che il 14 maggio avevano conquistato diversi punti nevralgici della città di Nassiriya. Durante la notte c’era stata una operazione aerea americana con il C-130 su punti dove si presumeva ci fossero gli insorti, ci venne ordinato di controllare che il punto strategico denominato “Animal House” fosse ritornato nelle mani della coalizione e che non ci fosse più traccia dei ribelli iracheni. Prima del decollo io e il mio compagno avviammo tutte le procedure con la massima pignoleria. Non ci siamo parlati dopo il briefing, non ne avevamo bisogno, erano due mesi che volavamo insieme con più di 50 ore di volo fatte seduti dietro l’elicottero, precisamente sulla rampa uno affianco all’altro, oramai bastava uno sguardo, un semplice gesto: ci si capiva al volo. Entrambi avevamo capito che quella era una missione importante, diversa da tutte le altre che avevamo svolto, non ci si poteva distrarre per nessun motivo, dovevamo avere la massima concentrazione. Gli ultimi saluti con i colleghi che rimangono a terra effettuando i riti scaramantici prima di ogni missione, così da far smorzare la tensione che quel giorno era tanta. In volo il silenzio è d’obbligo, si parla solo per segnalare eventuali inefficienze alla macchina o per avvistamenti di minacce armate rivolte verso di noi. Incominciamo il sorvolo sulla città di Nassiriya, siamo bassi e veloci, arriviamo sulla zona da ricognire, il Capo Equipaggio ci avvisa dell’ingresso in zona di “Animal
M1 Giovanni Ingrosso 16
nessuno chiede soccorso, comunque, evidenziamo sulla cartina tutti i posti ricogniti, nel caso hanno bisogno sappiamo dove sono… Terminata la ricognizione, riforniamo al campo sportivo di Biella e siamo pronti per un altro volo, questa volta si avvicina la sera e le condimeteo non migliorano, la pioggia sembra la unica nostra compagna e non accenna a diminuire, anzi sembra aumentare, ma
E’ ottobre e l’inverno è alle porte, lo vedo attraverso i telegiornali che vanno in onda in televisione, il maltempo proviene da ovest e sta iniziando a colpire la Valle d’Aosta e il Piemonte, dove di lì a poco avremmo operato dopo essere stati preventivamente allertati. Il maltempo dilaga e la situazione in Piemonte e Valle d’Aosta peggiora: per la pioggia caduta nella notte, vari fiumi, torrenti e canali esondano dai loro argini e causano notevoli disagi alla popolazione e ai primi aiuti giunti in quei luoghi. Riceviamo l’autorizzazione a partire, sicuramente l’elicottero è il mezzo migliore per svolgere queste missioni nelle zone colpite da catastrofi del genere… Con ai comandi Rossini e Vimercati, con l’equipaggio composto da Parrotta, Teta, Siciliano e io, decolliamo da Rimini alla volta di Biella. Il volo è relativamente tranquillo, il maltempo, intanto si è spostato più a sud, sta colpendo anche Lombardia ed Emilia Romagna. Noi ci voliamo praticamente in mezzo e io posso solo immaginare quello che troveremo in zona di operazioni. Nel primo pomeriggio, dopo l’assegnazione della nostra zona di ricognizione, decolliamo. Quello che ho visto dal vivo, devo dire che differisce molto dalle immagini viste in televisione, seduto su una comoda poltrona. Sei lì, a contatto con il dramma e lo vivi in prima persona, te ne accorgi dagli sguardi delle persone che salvi, sguardi sofferenti e impauriti per il futuro che li attende e consapevoli di aver perso tutto quello che si erano costruiti e guadagnato nell’arco di una vita, una vita piena di sacrifici, lavorando duro per poi veder perdere tutto in un attimo! Sorvoliamo le zone del Biellese, le strade non esistono più, distrutte, mangiate dalla furia di quell’acqua nera e limacciosa che scende dalle montagne travolgendo tutto quello che si oppone al proprio cammino, auto, ponti, strutture varie; allagando case e trasportando tutto a valle con forza sovrumana a cui non possiamo opporci. Nella ricognizione vediamo molte persone sui tetti delle case, sui terrazzi dei piani più alti delle loro abitazioni, ma sembrano tranquille e
sicuramente è una mia impressione. Decolliamo e ritorniamo sui punti ricogniti nel volo precedente, questa volta la paura è palpabile, le persone che prima vedevamo tranquille ora sembrano aver paura. Le capisco, di giorno hai, bene o male, la situazione sotto controllo, ma di notte…. tutto è avvolto dal mantello nero del buio e il rombo assordante del fiume di detriti fa venire il panico!! La gente ci fa segnalazioni con tutti i mezzi a loro disposizione, chi agita le braccia, chi grida, chi con lampadine portatili e da quel momento si inizia a “ballare”, “Rock and Roll, 17
senza pensare all’incolumità della tua persona, anzi ti aumenta la generosità nei confronti del prossimo ed hai la consapevolezza che quel poco che fai ti vale, a volte, un posto in paradiso.
ragazzi!!!!” “ Il lavoro vero e proprio, comincia adesso!” Ci avviciniamo in hovering sulla prima casa, caliamo Teta e lo recuperiamo con un superstite, lo caliamo di nuovo e ancora recuperiamo e così via, andiamo casa per casa e ogni volta è uguale, caliamo Teta sul tetto per poi recuperarlo insieme ad una persona e quando non è possibile recuperare le persone direttamente dai tetti, caliamo Teta sui balconi. Il lavoro è molto duro per tutti, i piloti devono tenere bene sul punto l’HH-3F, noi verricellisti dare le indicazioni esatte e gli ostacoli vicini e l’aerosoccorritore essere forte per tenere in sicurezza le persone che recupera sull’elicottero. I recuperi procedono con frenesia, bisogna trarre in salvo più persone possibile, quel fiume di fango e detriti può da un momento all’altro portarsele via o isolarle per molto tempo. Incuranti della stanchezza ma con l’adrenalina alle stelle continuiamo i recuperi, varie volte torniamo a Biella per scaricare i superstiti e rifornire per poi ripartire e di nuovo recuperare persone. A sera tarda, dopo aver tratto in salvo 44 persone, tra cui anziani e bambini e un cane ed effettuato circa una decina di ore di volo, con gli indumenti inzuppati d’acqua, nonostante gli impermeabili che avevamo indosso, dirigiamo la prua verso Torino: lì ci aspetta un letto dove riposare e una doccia calda per rianimarci un po’, ma ahimé proprio la doccia calda ci è negata, in città hanno chiuso l’erogazione dell’acqua e ci laviamo come possiamo con l’acqua delle bottiglie, meglio di niente, comunque possiamo riposarci per qualche ora prima di ritornare sui luoghi del disastro. Il giorno dopo, ritorniamo in quei luoghi e il disastro è ancora più evidente, sorvoliamo le frazioni, i cascinali e fortunatamente non dobbiamo intervenire ulteriormente, quindi rientriamo a Biella dove ci verrà a dare il cambio un altro equipaggio… Questa è stata la mia prima esperienza del genere, un’esperienza sicuramente indimenticabile, specialmente quando si traggono in salvo persone indifese, come anziani e bambini in fasce, ed è proprio in quei momenti che dai il meglio di te stesso
Roberto Carpentieri
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Aiuti Umanitari
Abbiamo sempre avuto un piccolo dono per chiunque…
… un sorriso ed una carezza… 19
…una partita di pallone…
… una visita medica… 20
… un giocattolo…
…un po’ di affetto. 21
posteriore dell’ambulanza vidi sbucare una incubatrice e del personale medico. Non appena completate le operazioni di imbarco comunicai al capo equipaggio che la rampa era chiusa e che fuori eravamo pronti all’ingaggio rotore, pochi secondi e L’INDIA 0980 era in volo con il bimbo a bordo. Da quel momento la vita di quel bimbo anche se indirettamente dipendeva dalle nostre mani e noi, come sempre, avremmo fatto di tutto perché le cose andassero per il verso giusto. Dopo il decollo, avvisato il comandante, mi staccai dalla mia postazione per effettuare dei controlli post-decollo e giunto nella parte posteriore della fusoliera non seppi resistere alla tentazione di guardare in quella incubatrice, vi assicuro per me fu un profondo tonfo al cuore, il corpicino di quel bimbo ansimava con un respiro affannoso e profondo indicando quanto fosse per lui difficile respirare, allo stesso tempo però era un segno forte della sua voglia di vivere. Il medico che era con lui mi spiegò che non aveva un gravissimo problema ma necessitava comunque di un piccolo intervento di microchirurgia, che loro non potevano effettuare, quindi aveva buone possibilità di sopravvivere. Giunti a Bari Palese si svolsero le operazioni inverse rispetto a Casarano, la differenza che però spegnemmo tutto per poter fare rifornimento e questo ci permise anche di concederci un sospiro di sollievo, per la riuscita in tempi brevi del trasporto. Tornati a Brindisi erano ormai le prime luci dell’alba e non rimaneva che tornarsene a casa con alle spalle la gioia che solo chi fa questo mestiere ha assaporato. Io rimasi molto segnato da quell’esperienza, forse perché a casa avevo mio figlio che aveva giusto qualche giorno in più di quel povero bimbo, inoltre mi rendevo conto di quanto per quei genitori poteva essere stato traumatico non godere di quella grande gioia che dà un figlio appena nato.
In un lavoro come quello svolto da noi dove il compito principale in tempo di pace è fare soccorso e ricerca, vi assicuro che il termometro della gratificazione e della gioia segna punte massime quando in queste circostanze riusciamo a donare serenità a chi in una particolare situazione ne ha davvero bisogno. Personalmente ho vissuto con grande enfasi e con particolare coinvolgimento emotivo una operazione di “trasporto ammalato”, forse uno degli interventi più frequenti che siamo chiamati a fare, ma quella volta…… Una tranquillissima serata di primavera inoltrata, dove si aspetta con particolare trepidazione l’ora di fare il volo notturno per godere di un po’ di fresco, ma quasi a fine missione la nostra sala operativa ci comunica che a breve saremmo potuti partire per un trasporto. Il capo equipaggio decide di anticipare, anche se di qualche minuto, il rientro in campo dalla missione, così da permetterci da lì a poco di ripristinare le condizioni dell’elicottero per affrontare la missione richiesta. Saggia decisione, infatti, il pre-allertamento divenne subito missione operativa e noi avevamo appena finito di rifornire di carburante l’elicottero e dopo pochi secondi eravamo pronti a ripartire. Appena dopo il decollo il capo equipaggio ci descrisse nei dettagli cosa saremmo andati a fare, scoprimmo che la persona da trasportare era un neonato, infatti si trattava di un bimbo nato da poche ore con dei problemi respiratori, la nostra missione prevedeva il trasporto dall’ospedale di Casarano all’aeroporto di Bari Palese per poi essere trasportato in ambulanza presso il Policlinico di Bari. Dopo pochi minuti giungemmo all’ospedale della provincia leccese dove un’ambulanza ci attendeva, non appena atterrammo io scesi per consentire a terra il giusto svolgersi delle operazioni, appena si fermò il rotore l’ambulanza si avvicinò all’elicottero con un mio cenno, aperta la rampa posteriore l’aerosoccoritore scese a dare una mano ai sanitari a terra, quindi dal portellone
Carmine 22
prima di vederlo con i propri occhi che mi aspettava una varietà di paesaggi così vasta in un luogo che io immaginavo fatto di sola sabbia? Intanto il tempo passava e con i primi giorni di novembre arrivava anche il primo freddo che
Ero arrivato a Brindisi da due mesi quando il comandante mi annunciò l’intenzione di inserirmi nella programmazione annuale per essere inviato in Iraq come secondo pilota. Ad onor del vero ero stato assegnato all’84° Centro S.A.R. più di un anno prima, cioè nel maggio del 2003, ma i sei mesi trascorsi a Frosinone e i sei necessari a Pratica di Mare per completare la I Fase sull’HH-3F avevano fatto si che a Brindisi io avessi passato solo pochi giorni, la maggior parte dei quali investita ad affrontare pratiche burocratiche e valigie da fare e disfare. Ebbene a luglio arrivò la notizia citata all’inizio della storia. Così iniziai un lungo e travagliato periodo fatto di voli per completare la II Fase: vaccini, visite mediche e viaggi per completare la vestizione. Sopravvissuto ad un ritmo volativo che mai avevo provato, fatto ad esempio di più di 10 voli notturni nella prima quindicina di giorni di settembre, arrivò in men che non si dica il giorno della partenza fissato per il 13 ottobre. Fortunatamente partivo con altri cinque colleghi del mio stesso Centro e questo si sarebbe rivelato poi un fattore molto importante nella lunga esperienza in Iraq.
sicuramente non aiutava il lavoro di OB ed OFS esposti a temperature sempre più rigide a causa del vento relativo percepito nelle postazioni laterali e in rampa. Questo era un problema tra i tanti, non mancando altre piccole e grandi difficoltà che sorgevano o continuavano a persistere a causa dell’ambiente, della particolarità della missione e dello stress cui si è sottoposti per portare a buon esito sempre e comunque i nostri compiti. In particolare per me era la prima missione all’estero e per di più non era una passeggiata. Avevo poca esperienza sulla macchina e praticamente nessuna fatta in contesti diversi da Pratica o Brindisi, tanto che al mio rientro le ore di volo fatte in Iraq avrebbero superato quelle fatte in Italia (sull’HH-3F s’intende…). Ma se a livello professionale sono tornato molto maturato, l’esperienza umana personale è quella che ricordo con maggiore lucidità. In quei 101 giorni ho avuto la possibilità di conoscere molta gente degli altri reparti e con molti di loro ho vissuto momenti di allegria vera che molto mi hanno aiutato a non pensare alla lontananza dalla famiglia e al rischio cui tutti indistintamente eravamo sottoposti. Così ogni volta che penso alla mia camera e a chi la componeva non posso che ritenermi fortunato ad aver avuto come vicini (fin troppo forse…) di letto Gianda ed Eliu, sebbene il primo russava e il secondo si lamentava perché facevo le pulizie proprio mentre lui avrebbe
Arrivati a Tallil, la prima impressione fu di smarrimento e passarono non pochi giorni prima che riuscissi a capire dove ero finito. I primi voli mi servirono per capire l’ambiente da cui sarei stato circondato per oltre tre mesi: dalla meraviglia per aver visto dei dromedari durante il primo volo allo stupore per le zone paludose della provincia di Dhi Qar, per finire con la ricca Kuwait City. Chi l’avrebbe detto 23
voluto farsi una pennichella! Ma il quadro, già variegato, veniva completato dalla massiccia presenza di una quantità industriale di ospiti che si avvicendavano e molte volte ammucchiavano in quei 15 metri quadrati di camera. Così ora rido se penso alle penose partite alla Play Station di Dedde e Spiaggione o all’irriverenza di Swarzy nel volermi sfidare (e un paio di volte addirittura alla sua ingratitudine all’ospitalità per aver vinto!). Continuare ad elencare tutte le scene che non dimenticherò sarebbe lungo e tedioso, ma sono sicuro che chi, come me, le ha vissute dentro di sé, riderà ancora per un bel po’. Così, tralasciando i ricordi spiacevoli che la memoria già tende a cancellare, sono passati i miei lunghi giorni in Iraq: lì ho festeggiato il Natale, l’ultimo dell’anno e l’Epifania. È vero: forse sarebbe stato meglio essere in licenza a casa, ma non posso nascondere di aver trascorso quelle festività con persone senza le quali oggi sarei meno ricco di bellissimi ricordi. Ten Pil. Michele Cargnoni
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cupe e il mare agitato forza 6 ricordano all’equipaggio che la missione non sarà una delle solite. Ma una vita umana è in pericolo e bisogna fare tutto il possibile per salvarla. Un uomo, polacco, su una nave da crociera sperduta in mezzo al mare ha avuto un infarto, la situazione è critica, bisogna far presto. Come sarà la nave? Quanto sarà grande? Quali ostacoli minacceranno il recupero del paziente? Ci sarà un posto per posare l’elicottero ed evitare di mettere in pericolo la vita dell’equipaggio? Le domande ricorrono frequenti nella mente del Pilota. Eccola!!!.. la nave è sul radar…tra un po’ dovrebbe vedersi anche ad occhio nudo… Eccola la nave è in vista, è proprio li, è abbastanza grande!!! Bisogna vedere se è possibile atterrare e dove… Ecco, il posto c’è!!! È abbastanza stretto, ma ce la faremo. In pochi secondi il paziente viene esaminato: è grave!!! Bisogna far presto. Viene sistemato a bordo, e tutto è pronto per il decollo alla volta di Brindisi, dove gli angeli in camice bianco aspettano per dare sollievo ad un bisognoso. Dopo 20 minuti l’elicottero si posa al suolo; l’uomo è salvo. Ancora una volta la missione è stata compiuta con successo. Gli uomini del soccorso c’è l’hanno fatta; sono ancora più stanchi e stremati di prima ma arricchiti da un valore inestimabile: avere salvato una vita umana. Roberto De Micheli
Una notte di inverno,…è mezzanotte, l’equipaggio sta riposando da una stremante giornata di lavoro. Accanto al letto la radio silente ricorda la missione. L’elicottero sul piazzale sembra attendere, impaziente, il momento per dare voce al proprio ruggito... Ed ecco…puntuale. Arriva la chiamata: “CE 1, CE 1 da Onda 4 ….esecutivo”. Ad uno ad uno tutti gli uomini dell’equipaggio vengono allertati.
Qualcuno fuori sta male, ogni momento, ogni secondo perso potrebbe essere quello fatale, non si può perdere tempo… Velocemente il pilota balza giù dal letto e, intontito ancora dal brusco risveglio, cerca il primo calzino, poi il secondo, la tuta da volo, gli scarponi…e scappa velocemente, dopo aver preso tutti i dati, verso l’elicottero ripensando mentalmente a tutte le procedure che bisogna seguire per compiere la missione. Mentre il pilota salta sull’elicottero, lo specialista slega il rotore, il medico e l’infermiere caricano il defibrillatore, l’aerosoccorritore imbarca gli ultimi equipaggiamenti che serviranno per la missione. In pochi minuti l’elicottero è pronto per il decollo. Il vento, la forte turbolenza, le nubi 26
resto dell’equipaggio, Matteo, Francesco, e il “grande Bartolo” che, nonostante l’ora, ha portato la colazione per tutti. Approfitto di averli tutti li vicino per effettuare il briefing sulla missione e nonostante siamo all’interno del gruppo non ci sfugge il rumore dell’elicottero della “concorrenza” che si sta già portando in zona. “Hai capito ’sti’ furboni?” Altro che prime luci, qua è ancora notte fonda. Sarà meglio sbrigarsi. Al velivolo ognuno si predispone secondo la propria mansione, controlli, messa in moto e stiamo già sorvolando la linea di costa in direzione sud-ovest. Siamo ancora ben lontani dall’area di ricerca, ma con il mare non si sa mai e decido quindi di predisporre comunque l’equipaggio nei propri punti di osservazione. Il “secondo” mi fa accostare a destra di qualche grado in modo da puntare uno dei vertici del rettangolo che caratterizza la zona. Metto per pochi secondi gli occhi dentro per controllare prua e strumenti ed eccomi di nuovo a scrutare il mare davanti a me. In quel momento noto qualcosa di insolito che sembra emergere dalla superficie. Cercando qualcosa in mare capita facilmente di farsi suggestionare, ma difficilmente le suggestioni agitano le braccia, “sono qui sotto”, urlo in interfono. Il tempo di informare l’RCC del ritrovamento e la calma a bordo che caratterizza le lunghe ore di ricerca sul mare lascia immediatamente il posto a ordini e movimento frenetico. L’addestramento svolto in tante occasioni permette ad ognuno di noi di agire in modo rapido ma al tempo stesso preciso ed estremamente professionale. “Speed, pompe, porta aperta, interfonico…..vai con la radioguida” e così via.
29 luglio 1998 - Lo squillo del telefonino interruppe improvvisamente il sonno preso poche ore prima. A quell’ora poteva essere solo la sala operativa, che in effetti stava provvedendo ad “allertare” l’equipaggio d’allarme per una missione di ricerca e soccorso naufraghi. Due velisti partiti il pomeriggio precedente non avevano ancora fatto rientro ed i tentativi per rintracciarli avevano dato esito negativo. L’RCC di Poggio Renatico aveva deciso di far intervenire un nostro HH3F con decollo alle “classiche” prime luci. In zona sarebbero intervenute anche unità aeree e marittime rispettivamente di
Carabinieri e Capitaneria di porto. La situazione era chiara, avremmo passato l’intera mattinata a perlustrare una buona fetta di mare compresa tra Lazio e Sardegna, e anche se la vita dei due ragazzi rimaneva l’obiettivo primario della missione, era in ballo anche un po’ di sana competizione interforze. A quel punto sarebbe stato impossibile riprendere sonno. Alcune manciate di minuti e sono già al gruppo, la zona assegnata è abbastanza vasta e i due navigavano a bordo di un piccolo catamarano che con buona probabilità dovrebbe essere semi-sommerso. Sarà un po’ come cercare il famoso ago.... Appena il tempo di “spalmare” la cartina sul tavolo di navigazione che vengo raggiunto dal 27
bordo soccorritore e naufraghi per lasciare poi questi ultimi alle preziose cure dell’assistente sanitario. Riprendiamo la navigazione verso Latina Aeroporto dove, secondo quanto disposto da “SAR Poggio”, verranno rilasciati i due malcapitati per essere poi trasportati al più vicino ospedale, anche se “da dietro” ci tranquillizzano sulle loro condizioni di salute. L’elisbarco richiede alcuni minuti dopodiché non ci resta che rientrare a Pratica di Mare per andare a godersi un po’ di meritato riposo con la soddisfazione di aver fattivamente contribuito per l’ennesima volta alla salvaguardia della vita umana. L’evento ha inoltre avuto una discreta rilevanza mediatica, infatti la testimonianza telefonica del Capo Equipaggio raccolta da un giornalista di Radio Capital è stata trasmessa in più edizioni dei notiziari del giorno.
Dopo pochi secondi siamo già in grado di lanciare l’aerosoccorritore nei pressi di quel che resta del “povero” catamarano. “Pronti al lancio”, “fuori ora”, “è riemerso”. Riprendiamo velocità mantenendo in vista il punto di interesse dove Francesco sta provvedendo a verificare le condizioni dei due naufraghi. Pochi secondi e il segnale convenzionale ci conferma che si può procedere con il recupero. Il mare è abbastanza calmo e grazie alle preziose indicazioni dell’operatore di bordo in pochi minuti completiamo i due “verricelli in doppia braga” che ci consentono di issare a
Uno del 15°
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Era una bella giornata, calda e piacevole come può esserlo una giornata di novembre in Iraq. Ero arrivato da pochi giorni, ed ancora non mi ero abituato del tutto al clima di quella terra così strana ed affascinante; la culla della storia rinchiusa in uno scatolone di sabbia, con un clima secco in cui l’unico richiamo al sudore che perdevi ed evaporava subito era la sete continua che ti prendeva la gola e le labbra. Ero stato mandato in quel paesaggio lunare in quanto assistente sanitario EFV e quella mattina avevo chiesto di poter effettuare il mio primo volo in teatro operativo. Il volo scivolò tranquillo, tra i piloti che eseguivano manovre evasive ed i mitraglieri che si inventavano minacce in arrivo. Io non ero direttamente impegnato, e quindi mi ero
successo. Il medico mi urlava di aiutarlo ad allestire l’elicottero con il materiale sanitario. Io non ci pensai, corsi anche se non molto convinto. Volevo saperne di più ma mi riproposi di chiedere tutto in un secondo tempo; siamo abituati in patria a partire d’allarme e sapere i particolari solo dopo aver
fatto rapire dal paesaggio; tutto sembrava così diverso e nel contempo così familiare. Io amo i deserti e le mie foto nel Sahara ed in Egitto sono lì per testimoniarlo. Non so come e non so perché ma vivevo quei momenti molto serenamente. Tutto cambiò quando il mitragliere di sinistra, mio collega anche di Reparto a Rimini, mi comunicò che dovevamo rientrare prima del tempo: “È successo qualcosa” disse, ma l’abitudine a rientri anticipati per anomalie all’elicottero e spie che si accendono senza motivo non sono una novità per chi vola in un HH-3F. Tanto sapevo che, in un modo o nell’altro, il “padre di famiglia” (così qualcuno chiama il nostro grosso elicottero), ci avrebbe comunque riportato a casa. Come sempre. Quando rientrammo alla base di Tallil, scesi dall’elicottero, tutto quello che io non sapevo ma che tutti già avevano chiaro mi colpì come un pugno: c’era stato un attentato. Oggi. A Nassiriya. Il 12 novembre 2003. Tutti correvano, nessuno aveva un momento per spiegarmi con calma quel che era
staccato le ruote dalla pista. Mi ritrovai in volo senza neanche rendermi conto del tempo che era passato. Tra il rumore del rotore reso appena più dolce dai tappi spinti a fondo nelle orecchie mi arrivavano notizie frammentarie dal medico. Mi urlava di attentato, di morti e feriti, di un grosso botto e di carabinieri; di Nassiriya, e di fare in fretta a preparare delle garze e delle flebo. Non capii tutto subito, ma qualcosa mi fu più chiaro quando vidi le fiamme ed un denso fumo nero salire da una grossa palazzina vicino ad un ponte. In un attimo la mia mente collegò tutto e la realtà mi diede il secondo pugno allo stomaco della giornata. Andrea Cataldo
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così la fiera pessima si stava su l’orlo ch’è di pietra e'l sabbion serra. Nel vano tutta sua coda guizzava, torcendo in su fa venenosa forca ch’a guisa dì scorpion la punta armava. Lo duca disse: "or convien che si torca la nostra via un poco insino a quella bestia malvagia che colà si corca ". … Trova' il duca mio ch 'era salito già su la groppa del fiero animale, e disse a me: "Or sie forte e ardito. Omai si scende per sì fatte scale; monta dinanzi, ch'i' voglio esser mezzo, sì che la coda non possa far male ". … I ' m'assettai su quelle spallacce; sì volli dir, ma la voce non venne com 'io credetti: "Fa che tu m 'abbracce ". Ma esso, eh 'altra volta mi sovvenne ad altro forse, tosto ch'i' montai con le braccia, m 'avvinse e mi sostenne; e disse: "Gerion, moviti ormai: le rote larghe, e lo scender sia poco; pensa la nova soma che tu hai". Come la navicella esce di loco in dietro in dietro, sì quindi si tolse; e poi ch 'al tutto si sentì a gioco, là 'v' era 'l petto la coda rivolse, e quella tesa, come anguilla, mosse, e con le branche l’aere a sé raccolse. Maggior paura non credo che fosse quando Fetonte abbandonò li freni, per che 'l ciel, come pare ancor, si cosse; né quando Icaro misero le reni sentì spennar per la scaldata cera, gridando il padre a lui "Mala via tieni!” che fu la mia, quando vidi ch'i'era ne l’aere d'ogne parte, e vidi spenta ogne veduta fuor che de la fera. Ella sen va nuotando lenta lenta; rota e discende, ma non me n 'accorgo se non che al viso e al di sotto mi venta. Io sentia già da la man destra il gorgo far sotto noi un orribile scroscio, per che con li occhi 'n giù la testa sporgo. … Come 'l falcon... discende lasso... per cento rote... così ne puose al fondo Gerione al piè al piè de la stagliata rocca, e, discarcate le nostre persone, si dileguò come da corda cocca.
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il velivolo...
27 la pianificazione.. 30 l'istruttore briefing al passeggero 81
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SV!!
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la paura...
96 briefing al pilota... 99
la TOLD (Take Off Landing Data) il volo
la paura…
il volo
il paesaggio 120 127 130 131 133 e l’atterraggio 136
(DANTE, LA DIVINA COMMEDIA, INFERNO, Canto XVII, vv.23-136) 31
Mi piace tralasciare tutte le interpretazioni filologiche, allegoriche, psicoanalitiche che appesantiscono le avventure dantesche: preferisco cercare di comunicarvi il mio entusiasmo per l'immagine di questo velivolo (Nel vano tutta sua coda guizzava ...); per il volo planato così mirabilmente dipinto (Ella sen va notando lenta lenta...), per lo spettacolo delle bolgie infernali sottostanti (... il gorgo far sotto noi ...); l'ammirazione per il realismo dei particolari aerodinamici e propriamente di manovra (... e con le branche l'aere a sé raccolse ...), (... si dileguò come da corda cocca). Ma la cosa che più affascina è che è sempre l'uomo, con le sue paure e le tentazioni di spingersi oltre le proprie forze, con l'angoscia e le voluttà dello sconosciuto e dello straordinario, ad essere protagonista del volo. Dante non vuole, non può. È colto da terrore e sgomento e vertigine più di quanto non accada negli incontri con le potenze infernali: eppure è orrendamente affascinato dal volo su Gerione. Non può descrivere quella planata se non con parole di angoscia, perché sente fortissimo il peso del suo essere umano, la gravità, l'insania di contrastare le leggi naturali; ma sulle spalle di Gerione, rassicurato da Virgilio, vive davvero un’esperienza intensamente bella. E vogliamo, un po’ forzatamente, accennare ad alcuni risvolti di interesse per la Sicurezza del Volo? Virgilio è l'istruttore: il suo briefing sulla missione è un capolavoro di puntualità e concisione: si rivolge al pilota per il task (...Gerion, moviti ormai...), i dati di carico, la sicurezza; esorta al coraggio e rincuora il passeggero (... monta dinanzi, ch'i' voglio esser mezzo...). E Gerione, creatura infernale da cui non potremmo attenderci nulla di buono, si sottomette completamente ai voleri di cotanta autorità e si merita un “ben fatto” per non aver indulto alle tentazioni dell'indisciplina di volo. Dante descrive tutta la straordinaria esperienza alternando sensazioni fisiche di un realismo avvincente a sentimenti - impressioni -
immagini mentali che non possono lasciare nell'indifferenza chi ha nel sangue questa passione.
Volò davvero? Se vogliamo escludere tale ipotesi assurda, dobbiamo accettare l'idea che la mente umana possa concepire il volo come condizione familiare: troppo precise le sensazioni del poeta, troppo veri quei versi che descrivono la planata (o un’autorotazione manovrata), troppo realistiche le immagini, le più belle e forti parole mai scritte sul volo. Dante volò col Pensiero, Dante volò. E noi, che davvero voliamo ogniqualvolta ce ne viene data possibilità, facilmente ne misconosciamo il miracolo e ci scordiamo che la Natura ci ha condannati all'Ansia per il Volo, ma si è dimenticata le ali. Tomaso Invrea
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Cooperiamo
Il poster della Brigata Friuli in Iraq
Le condizioni in cui voliamo insieme ‌ 33
…agli amici dell’ Aviazione dell’Esercito. La linea volo di Tallil.
Insieme ai Carabinieri della MSU… 34
…oppure ai Fucilieri dell’aria dell’ AM…
… o agli elicotteristi della Marina Militare. 35
ed invece sono già trascorsi 15 minuti. Atterrato l’MD-80 in cortissimo finale ci allineeremo, abbiamo giusto il tempo di comunicare il piano di volo al controllore e la missione Rescue decolla. La zona da raggiungere non è lontana tra il tarantino e l’entroterra collinare brindisino, pochi minuti e ci siamo, l’equipaggio è composto quasi tutto da Brindisini, la tensione che si respira a bordo è di quelle che si possono fare a fette. Comunichiamo che abbiamo raggiunto la zona di operazioni e lo facciamo senza la conferma di ausili alla navigazione, lo scenario che stiamo sorvolando illuminato da un tramonto irreale non da dubbi. Campagne allagate, vigneti distrutti, strade dissestate: è lo scenario provocato dal nubifragio che, facendo straripare fiumi e torrenti a monte, ha portato fango ed acqua fino a qui. Neanche la costa è stata risparmiata dal violento acquazzone che in poche ore ha trasformato l’arido paesaggio post-estivo in una palude acquitrinosa di distruzione e disperazione. La pioggia è stata così incessante e copiosa che gli argini di più
All’84° Centro quel piovoso 8 settembre era tutto calmo, le attività quotidiane erano terminate e sotto quel cielo cupo di un pomeriggio di fine estate l’equipaggio d’allarme era pronto. Succederà qualcosa… e come al solito, mai in una giornata di sole con visibilità di 100 km, mai in una serena mattinata con una brezza leggera come piace tanto a noi elicotteristi, perché ci “aiuta”, ma come al solito quando il meteo è da far rabbrividire ed il sole sta per tramontare. Il telefono in Sala Operativa dell’84° Centro squilla, l’operatore risponde, poche parole e il suo sguardo diventa serio..... è OPERATIVA.........., non deve neanche preoccuparsi di cercare l’equipaggio, siamo tutti lì; e ci credo con quel tempaccio dove potevamo andare. Come brave formiche operose ognuno in silenzio si attiva: cartine, GPS, moduli, i dati principali, preparare l’elicottero, preparare la muta da sub che servirebbe a tutti anche solo per raggiungere l’elicottero che è li a due passi o meglio vasche. Stiamo rullando al punto attesa, sembra passato un attimo dallo squillo 36
non portate dall’enfasi di soccorrere chi è in difficoltà, non basate sul caso e la fortuna ma da ciò che per lunghi e talvolta piovosi inverni Salentini ci siamo esercitati a fare. L’equipaggio è affiatato: basta un cenno, il casco di uno qualunque che si sofferma di più su un settore e l’elicottero è là sopra, breve consulto e se non c’è nulla si riparte. Manteniamo il contatto con Poggio, comunichiamo le aree più colpite, cerchiamo la dove le acque hanno travolto tutto, dove le auto sembrano barchette e gli uliveti dei laghi. Il Sole è ormai tramontato da circa 30’. Il buio sta per avvolgerci. Nonostante che il verricello abbia fatto il suo lavoro, portando l’ARS in mezzo a quel mare di fango, ed egli abbia nuotato instancabile per raggiungere coloro che più ci sembrava averne bisogno, di recuperare quei contadini non se ne parlava: uomini troppo legati alle loro bestie, ai loro trattori, alla loro vita quotidiana spazzata via. “Non vuole salire!” secca e decisa la frase sentenza dell’ARS ci lasciava attoniti ma, forse da terra la situazione non sembrava così tragica come appariva a noi. Ed ecco il buio e di conseguenza la paura che cresce nelle persone che ormai da interminabili ore sono isolate sui tetti delle proprie abitazioni, allagate sino al secondo piano. Loro però ci hanno visto per forza. Agitano braccia, adesso ci chiamano. Cominciamo a recuperarli, sono tanti, ma
di un corso d’acqua non hanno retto, così che sulla pianura sottostante defluiva una grande quantità di acqua che si aggiungeva a quella meteorica già abbondante proveniente dal cielo e dalle colline circostanti. Da queste ultime scendevano colate di fango e detriti visibili a chilometri di distanza, a causa del loro colore vivo quasi irreale. Sotto di noi numerosissimi allagamenti ad abitazioni, giardini e coltivazioni di tutti i tipi, in alcuni punti si potevano stimare più di 3 metri d’acqua. Le strade trasformate in torrenti d’acqua trasportavano auto, frutta, vegetazione e detriti di ogni genere. Diverse masserie erano state inondate, rimanendo isolate e costringendo gli abitanti a rifugiarsi sui tetti. Fatto sta che, anche se probabilmente non ci ha visto nessuno, noi su quell’inferno di fango ci abbiamo volato. Una brevissima ricerca sviluppata seguendo un espansione quadrata ed ecco la prima persona in difficoltà, poi un’altra ed un’ altra ancora. Ma chi c’è in ala destra? Un altro elicottero forse un AB-212 o un AB-412; è buio non si riesce a capire, cerchiamo di contattarlo per farlo allontanare, ma resta sempre li di fianco. In seguito scopriremo che ci stava seguendo per darci “supporto” nel caso avessimo dovuto recuperare qualcuno. Per fortuna al primo avvicinamento all’hovering su un’abitazione semisommersa si dilegua e ci lascia lavorare. Svolgere le nostre operazioni,
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dopo tutto quel girare abbiamo consumato parecchio ed il peso non ci preoccupa più di tanto. Su un altro tetto, forse richiamati dal frastuono dell’HH-3F appaiono altre ombre, adesso sono troppi decidiamo di portate i primi all’aeroporto di Grottaglie. Dopo una brevissima sosta per rifornire ritorniamo in zona a recuperare gli ultimi e li portiamo anch’essi a Grottaglie e torniamo in silenzio a Brindisi. NOI C’ERAVAMO!
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Tutti insieme siamo intervenuti approfittando dell’assenza momentanea del Capo, promettendoci di risolvere il problema prima del suo ritorno, motivati dal fatto di approfittare dell’occasione che si era presentata, sia per fare bella figura che per controbattere con i fatti, che i problemi si risolvono anche senza il suo intervento. Ma, nonostante la mattinata volgesse al termine, non si riusciva a cavare un ragno dal buco, non si riusciva proprio a trovare nulla, ci eravamo già smontati mezzo cruscotto e io ero incastrato a testa in giù tra cloche e collettivo, quando lui arrivò. Con il suo modo di fare, per non riprenderci sull’eccessivo tempo della ricerca guasti, preferì evidenziare che eravamo ormai in ritardo anche per il pranzo. Salito sull’elicottero per capire le nostre difficoltà, nel reggersi si aggrappo con la mano ad una delle tante matasse di fili che attraversano la carlinga e il caso ha voluto che con le dita si accorgesse che un filo era staccato. Ripristinato il collegamento in 5 minuti l’elicottero fu reso efficiente, ma la cosa più divertente è che ancora oggi, ogni volta che incontriamo un problema ci risponde: “DEVO METTERCI IO LE MANI?” e noi goliardicamente gli rispondiamo : “TU SII TUTTU FURTUNATU!” Questo modo di dire con l’andar del tempo è diventato un intercalare ed abbiamo notato con piacere che anche il nostro stesso Capo lo utilizza ne suoi discorsi, forse per ricordare che nella vita un po’ di fortuna non guasta mai. Gli E.M.B.
Il più “VECCHIO” dell’84° SAR fortunatamente lo abbiamo con noi perchè ci dà il vantaggio di attingere dalla sua esperienza oltre che dalla sua esagerata fortuna, infatti nonostante è risaputo che per formare un buon specialista l’esperienza insegna alle volte il c… (fondo schiena) serve ancor di più. Dimenticavo parlavo degli EMB, che tutte le volte che si verificano delle inefficienze di qualsiasi entità in particolare le più insidiose, nonostante la nostra scrupolosa dedizione ci dobbiamo arrendere al fatto che la risoluzione alla fine passa attraverso il “c...” (metaforicamente) del nostro Capo, il quale non aspetta altro per ricordarcelo, e, se si risolve l’inefficienza, è perché c’e in qualche modo il suo zampino, affermando “e... se non ci fosse il capo!” E noi con allegria rispondiamo: “Tu sii tuttu furtunatu!” con uno spiccato accento barese/brindisino. (sarà l’esperienza?). Premetto per chi non lo sapesse che il nostro lavoro consiste oltre ad effettuare la programmata manutenzione, nel trovare (quando si verificano) le avarie ed eliminarle prima possibile, specialmente quando l’elicottero ha un impiego operativo. Alle volte nonostante la nostra buona volontà, ci si trova di fronte a problemi pratici, dovuti alla difficoltà di ricercarli tra il groviglio di fili che attraversano l’elicottero in lungo e in largo. Ora vi racconto uno dei tanti episodi che chiarisce questa nostra considerazione... Era l’estate di due anni fa, era un giorno molto caldo e come spesso accade siamo stati chiamati per risolvere un inconveniente su un’elicottero in linea.
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trasportarla con il solito traghetto e sottoporla a dialisi. Partimmo sotto un temporale raro dalle nostre parti e l’intero volo fu movimentato da forti raffiche di vento, pioggia e fulmini, ma nulla in confronto al vento di caduta che ci colpì in prossimità della costa di Pantelleria. Atterrati in un’area resa paludosa dalla pioggia che imperversava da vari giorni, senza stoppare il rotore, il pilota mi autorizzò a scendere e far salire a bordo la bambina. Giunto in prossimità del gruppo di persone che ci attendeva a margine dell’area d’atterraggio, mi accorsi che il fagotto tenuto in braccio da una donna era in realtà la sua bambina ormai priva di sensi. Il momento in cui quella madre mi allungò le braccia per consegnarmi la sua creatura, accompagnata dalla frase “salvala”, fu per me un’emozione rara. In un batter d’occhio mi ritrovai a bordo dell’elicottero e dopo aver adagiato la bambina sulla barella la lasciai alle cure dell’Assistente di sanità, ripartiti in direzione di Trapani riaffrontammo lo stesso calvario meteorologico dell’andata, ma con spirito diverso consci dell’importanza della missione. Arrivati in sede dopo quasi due ore di continuo shekeraggio, atterrammo ed effettuammo il trasbordo della bambina che continuò il suo viaggio a bordo dell’ambulanza. In seguito sapemmo che tanto rischio era stato ricompensato dal suo ritorno a casa, dopo le adeguate cure presso il centro di dialisi dell’ospedale di Trapani. Avendo concluso la nostra parte di missione, come si suole dire stanchi ma felici, ricondizionammo l’elicottero e ci predisponemmo per una eventuale nuova richiesta di intervento, pronti a partire in qualsiasi momento del giorno, con qualsiasi condizione meteo, ogni giorno dell’anno, nel rispetto della tradizione del 15° STORMO.
Alle volte nella vita ci si ferma e si guarda al passato, quello che si vede può essere bello o brutto ma è l’impronta che ognuno di noi ha lasciato su questa Terra. Non parlo del semplice appagamento professionale dovuto ad un lavoro che piace fare, ma dal fare del proprio lavoro fonte d’AIUTO per chi ne ha bisogno. Essere l’estrema risorsa di un altro essere umano è sicuramente la molla che spinge noi uomini del SAR ad affrontare le situazioni spesso estreme nelle quali ci troviamo ad operare. Dopo quasi 20 anni d’attività presso l’82° C/SAR di Trapani, potrei raccontare svariati episodi dei quali sono stato partecipe, alle volte raccapriccianti, alle volte commoventi, ma dovendone scegliere uno solo a simbolo di un’intera carriera, non potrei fare a meno di parlarvi di un soccorso avvenuto nel lontano 1999. In quell’occasione le cattive condizioni meteorologiche avevano interrotto i collegamenti con le isole minori già da quasi due settimane quando arrivò l’ordine di missione dal RCC, riguardante il trasporto urgentissimo di una bambina di 6 anni in coma prediabetico, dovuto all’impossibilità di
M1 Gaspare Turimello
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Eccoci di nuovo in volo assieme, io e Mimmo, lui a destra ed io a sinistra, come in tante altre missioni.
Era un caldo mattino di luglio del 2003 a Nassiriya (ma forse “caldo mattino” riferito all’Iraq rende solo se lo si è provato veramente sulla propria pelle), e la missione italiana muoveva i primi passi operativi nel difficile territorio Iracheno. L’attenzione era alta, come anche l’ottimismo di poter “fare bene” in quel contesto, come già comprovato in altri teatri del mondo, non potendo ancora prevedere cosa sarebbe avvenuto da lì a pochi mesi. Il problema più sentito nella zona di competenza neo assegnata sembrava fosse di criminalità comune, impegnata principalmente nel furto di petrolio dalle condutture delle “pipeline” che attraversavano il deserto,
Questa volta qualcosa è diverso: siamo costretti dalla natura della missione a sorvolare i palazzi della periferia della città di Nassiriya, condizione di solito evitata, visto che l’eventuale “cattivo” avrebbe la possibilità di spararci dal basso con il suo AK-47 Kalashnikov, comodamente nascosto in uno dei balconi delle case. Abbiamo due mitragliatrici, una per lato, ma nessuno di noi si augura mai di doverle utilizzare. Quindi gli occhi sono tutti attenti lì fuori. I due elicotteri ruotavano in senso antiorario attorno alla piccola città, “sfasati” di 180°, così da garantire l’immediata presenza sopra ognuno dei check point posti in
nonché all’abbattimento dei piloni dell’alta tensione, per poter così sottrarre grossi cavi di prezioso rame. Il task del giorno era mandare un messaggio a questi furfantelli: se vogliamo, possiamo controllare tutti gli accessi alla città, ed intercettare l’eventuale traffico di materiale illecito. Quindi all’ora X si procedette al dispiegamento simultaneo di posti di blocco nelle principali arterie di accesso alla città, curato dagli uomini dell’Esercito Italiano coadiuvati dai Carabinieri. Mentre due elicotteri, due HH-3F dell’Aeronautica Italiana, avrebbero vegliato dall’alto per tutta la durata dell’operazione, che si sarebbe conclusa nel giro di un’ora.
corrispondenza delle 5 arterie principali di accesso alla città. Dall’alto vegliavamo sui nostri soldati, che con professionalità ma senza arroganza, fermavano le macchine, ne controllavano il contenuto, e con la capacità che solo noi italiani abbiamo, riuscivano salutando a far ripartire il mezzo, dal quale, il più delle volte 41
Euro4, alla vista del check point si dimena così tanto per evitarlo? Giunta all’estremità della stradina, invece di girare a sinistra per ricongiungersi così al Raccordo attorno la città, la macchina sospetta prosegue fuori strada dritta nel deserto, composto non da sabbia ma da polvere compatta, generando così una grossa nuvola dietro di sé. L’intenzione era chiara: ricongiungersi alla Tampa in direzione Sud Est, avendo evitato di fatto il check point italiano. Mentre tutto ciò accade noi riportiamo fedelmente quello che vediamo sulla “frequenza comune” all’altro elicottero ed alla base operativa di White Horse, da dove il
vedevo una mano che usciva dal finestrino a ricambiare il saluto. Dopo circa 20 minuti dall’ora X, si incominciava a formare una ordinata fila per le strette strade che portavano ai posti di controllo.
Una chiamata in interfono e l’attenzione del nostro equipaggio viene focalizzata su un’auto, una Mercedes nera luccicante, lunga, possente, con i vetri oscurati, che nervosamente procedeva da Nord a Sud, smotorando come un neopatentato, che con arroganza effettuava una brusca inversione ad “U”, pochi metri prima del check point italiano in corrispondenza della “Tampa”, una delle strade principali che da Nassiriya diparte in direzione Sud Est. Invertito il senso di marcia girava immediatamente a sinistra su una stradina a senso unico, che dal “raccordo” attorno Nassiriya collegava a mo’ di ferro di cavallo alcune basse abitazioni esterne ad esso, generando il panico tra gli “ordinati” automobilisti che vi transitavano e che, intimoriti dalla stazza della Mercedes, si buttavano letteralmente fuori strada a destra ed a sinistra. Vista dall’alto la scena, nonché coreografica, destava qualche sospetto. Perché quella grossa auto, così inusuale in un luogo dove cavalli ed asini, con i loro carretti, circolano indisturbati tra auto sicuramente non
Comandante della Brigata Garibaldi seguiva in ascolto le fasi della missione. Per un attimo mi viene in mente l’elicottero che in gioventù vedevo passare davanti casa, al seguito del Giro d’Italia; ma oggi la telecronaca la faccio io. Da White Horse arriva l’ordine per lo Ziggurat 01: imbarcare immediatamente la Quick Reaction Force, il gruppo scelto di uomini dell’esercito addestrati ad operare dal nostro Elicottero. Poi l’ordine per noi: mantenere il contatto visivo con l’auto sospetta. E chi la perde di vista! Ormai la Mercedes è sulla Tampa. Sfreccia fuori città, 42
Infatti assieme alla Quick Reaction Force a bordo è salito anche il Comandante di Brigata, che vuole essere lì, con i suoi. Riconosciuta la voce, da sotto la visiera nera del casco da volo accenno un sorriso, in cerca di un sorriso complice di Mimmo, che non tarda infatti ad arrivare. Tocca a noi. Mi protendo leggermente in avanti e poi mi risiedo, tra le blindature arroventate del sedile dell’HH3F, come per dire “ora si fa sul serio”. Scende il carrello e gli speed vanno tutti avanti (che tradotto in italiano significa: “Motori a tutta potenza”). I bordi della Tampa davanti a me sono deserti: né case né pali della luce. Mi riavvicino cautamente all’auto, il mitragliere la tiene sotto tiro. Scendo, scendo ancora. Io e la macchina “voliamo” alla stessa quota. Non metto la freccia, ma comunque cambio corsia e inizio il sorpasso dell’auto. Giunto al traverso Mimmo spalanca il suo finestrino e gesticola. Il vetro elettrico scuro della Mercedes lentamente si abbassa, si intravede il volto dell’autista sorpreso. Mimmo questa volta si riguadagna la mia fiducia nei giochi di società: con la mano a mo’ di paletta intima l’alt mimando all’impietrito autista un “You! Stop the car!”. Per un attimo mi vengono in mente i telefilm americani visti di pomeriggio tornato dal Liceo: ora che ci penso, c’è un qualcosa di Mimmo che ricorda Francis “Ponch” Poncherello dei CHiPs (California Highway Patrol), anche se io in realtà non la so neanche portare la moto… La macchina nera inchioda.
mentre io, che sono ai comandi, mi mantengo leggermente defilato in attesa di nuovi ordini. Veniamo informati via radio della presenza di una pattuglia dei Carabinieri, distante qualche chilometro davanti a noi, impegnata nella creazione di un check point di routine più esterno rispetto alla città. Suggeriamo alla Base di far bloccare l’auto dai Carabinieri, che avrebbero inoltre beneficiato della nostra copertura dall’alto. Ottima idea, ci rispondono, ed io pronto a scrivere, chiedo la frequenza radio della pattuglia…Silenzio. La pattuglia dei Carabinieri, che non “gioca” al nostro “gioco”: non ha la stessa frequenza “comune” dell’operazione, e l’informazione tarda ad arrivare. Supero l’auto sospetta, arrivo per primo sopra il posto di blocco, ci orbito sopra, rallento. Mimmo, attirata l’attenzione dei Militi; mima, gesticola, indicando freneticamente la macchina nera che sopraggiunge dalla corsia opposta, purtroppo, a quella dove i Carabinieri hanno istituito il posto di blocco. Eccola che arriva…è al traverso dei Carabinieri… è passata! Intanto, educatamente, i Carabinieri rispondono a quello che sembra un caloroso saluto da parte di Mimmo. Per un attimo mi vengono in mente le serate passate in gioventù a giocare al Gioco dei Mimi: devo ricordarmi, se dovesse mai ricapitare di giocarci, di non avere né Mimmo né quei Carabinieri in squadra con me… Intanto lo Ziggurat 01 è di nuovo in volo. Un ordine arriva per radio dall’altro elicottero “Ziggurat 02; fermate quella macchina!”, ma la voce non è di nessuno dei membri dell’equipaggio. 43
si occupano della messa in sicurezza della strada, bloccandone il transito. In pochi secondi gli uomini della Quick Reaction Force circondano l’auto. Fortunatamente per tutti dall’auto escono quattro distinti e pacifici uomini con le mani alzate, vestiti in impeccabili tuniche bianche. L’auto viene perquisita, gli stupiti uomini d’affari identificati. Tutto bene per fortuna. I nostri soldati sembrano finalmente rilassati e meno minacciosi: dall’alto vediamo strette di mano tra loro ed i quattro protagonisti involontari di questa avventura. Un soldato mima con le mani (e con molta fantasia) qualcosa, come per spiegare il motivo del nostro interesse verso quella auto, mentre il rumore dei due elicotteri copre le loro parole; anche se fossero tutti italiani difficilmente riuscirebbero a capirsi. Ad un cenno i soldati rientrano nello Ziggurat 01, che riprende il volo, mentre i quattro dalle tuniche bianche svolazzanti, con una mano salutano mentre con l’altra si coprono il viso per la polvere alzata dall’elicottero. I quattro gentlemen, vista la fila d’auto creatasi attorno alla città, ignorandone probabilmente la causa, avevano fatto quello che forse per loro è considerato normale: prendere una strada in senso vietato e proseguire fuori strada nel polveroso deserto. Ziggurat 01 e Ziggurat 02 si ricongiungono, diretti verso la base aerea di Tallil, con tanta professionalità e tanto sangue freddo dimostrati, e con una storia da raccontare a chi avrà avuto la voglia e la pazienza di leggere questo racconto fino alla fine.
Neanche il tempo di sfilarla completamente, ecco che lo Ziggurat 01 è gia pressoché al suolo, muso contro muso con la macchina nera. Sfiliamo l’altro elicottero e ci mettiamo in virata stretta di copertura a destra. Ma Mimmo è preoccupato. Dalla sua parte vede sopraggiungere dalla città una macchina bianca a tutta velocità, nello stesso senso di direzione della macchina nera. Inizia lentamente a cambiare corsia, pronta per il sorpasso, come se l’avere davanti immobili il camion della Nettezza Urbana o un elicottero con il rotore in moto, siano in fondo la stessa cosa….Gli uomini della Quick Reaction Force stanno per sbarcare e quella auto, che anche solo per l’eccessiva velocità, risulta un pericolo imminente per loro. Mimmo mi chiede i comandi, ed io glieli cedo immediatamente. Chiude la virata allineandosi sulla strada, scendendo a quota pedoni, e questa volta siamo noi muso contro muso contro la macchina bianca. Punto i piedi a terra e mi tengo al sedile, come farei sulle Montagne Russe al Luna Park. Ho piena fiducia in Mimmo, ma so che la virata che seguirà sarà stretta. All’ultimo secondo, l’elicottero sale, evitando come previsto la macchina bianca, che è costretta ad inchiodare spaventata. La vettura scorre sotto di noi: continuo a seguirla dall’ampio specchietto retrovisore laterale sinistro del nostro HH-3F: un optional montato “di serie” utilissimo, un po’ inusuale per un elicottero, che fa molto IVECO. L’auto scompostamente si ferma. Come previsto viriamo energicamente verso destra, per mantenere la copertura dei nostri soldati, che ormai sbarcati, si dirigono verso l’auto nera, mentre i nostri aerosoccorritori armati
Andrea Palermo
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Parte prima. Giornata tranquilla, 50 gradi di temperatura e 25 nodi di incessante vento misto a sabbia fine e penetrante, il task arrivò nel tardo pomeriggio ma già dall’ora di pranzo c’era il sentore che qualcosa di particolare sarebbe avvenuto il giorno seguente. Verso le 8 di sera arrivò un Tenente e due Marescialli delle Special Ops dei Carabinieri. La missione prevedeva la scorta di un convoglio, 2 jeep e 3 furgoni. Ogni posto di ogni mezzo sarebbe stato occupato da personale Special Ops armato con tutto il necessario per contrastare ogni possibile imprevisto. Ma di quale imprevisto si parlasse ancora non ci era chiaro. Lo scenario non era nuovo per tipologia ma comunque si respirava un’aria di “particolare attenzione”. Il convoglio si sarebbe dovuto recare a Qal At Sukkar a nord di An Nassiriya, meglio conosciuta come Nassiriya, quasi al confine della zona di controllo Italiana. Il villaggio era luogo di aggregazione di personaggi anticoalizione con i quali l’Italia era già da tempo in trattative al fine di creare accordi di non belligeranza. Ironicamente, proprio a sottolineare accordi non ancora conclusi, un mese e mezzo prima, durante l’ultima visita, il gruppo fu attaccato sui ponti di Nassiriya da un gran numero di giovani ribelli, provenienti da diverse tribù dalle più disparate zone dell’Iraq. La mattina successiva eravamo pronti, in perfetto orario, in linea volo. Tutto l’equipaggiamento era a posto, la concentrazione era massima quando, ci venne comunicato un ritardo di circa un’ora. Passati quei 60 minuti ne dovemmo aspettare altrettanti, caldi, silenziosi e soprattutto deconcentranti! La missione, decollata con oltre due ore di ritardo, prevedeva il ricongiungimento con la
prima sezione della colonna, successivo contatto radio, controllo aereo della strada principale chiamata BISMARK e del villaggio durante le trattative. A parte forse un semi-quasi successo con le trattative, il resto della missione fu un concentrato di imprevisti. Dopo aver decollato dall’aeroporto di Tallil abbiamo subito cercato invano di stabilire un contatto radio con il personale a terra. Imprevisti che capitano. La mossa successiva fu quella di andare ad intercettare visivamente l’allegra brigata lungo il percorso stabilito. La colonna non veniva avvistata nel punto in cui, sarebbe dovuta essere. C’era qualcosa che non stava funzionando. Attendemmo in zona qualche minuto e poi decidemmo comunque di proseguire fino al villaggio dell’incontro, tanto in ogni caso o avremmo raggiunto i mezzi o avremmo controllato la strada prima del loro passaggio, come d’altronde dovevamo fare. Raggiungemmo il villaggio, o quello che credevamo tale! Alcune miglia prima di Qal At Sukkar sulla stessa grande arteria stradale posta in posizione e condizioni geografiche pressoché identiche, con un’altra strada di medie grande proporzioni che proveniva da Ovest e proseguiva verso Nord-Est, vi è Ar Rifài. Il dubbio se quello fosse realmente il nostro villaggio fu tolto dalle parole del Carabiniere seduto al centro tra i due posti piloti, portato in volo proprio perchè aveva già partecipato a vari sopralluoghi e avrebbe potuto fornire un valido aiuto, come fece, ma non in quel momento. 45
Nassiriyah. Del convoglio nessuna traccia!! Impostammo una virata di 180° per tornare verso il punto d’incontro ma nel profondo dell’animo già sapevamo che qualcosa non stava funzionando come avrebbe dovuto. Durante il briefing pre-missione, l’intelligence ci mostrò delle foto di alcuni punti che potevano fungere da riferimento per eventuali contatti radio o recuperi del personale a terra per qualsiasi esigenza od emergenza. Alcuni di questi li individuammo già al primo passaggio ma ce n’era uno che proprio non trovammo; dalla foto risultava una ciminiera ben visibile, alta circa 60 metri! Dove diavolo era quel tubo di cemento distante appena qualche chilometro dal paese incriminato? Il dubbio ormai intaccava la capacità di rimanere calmi e tranquilli. Arrivati sopra Ar Rifài, che avevamo invece acquisito come Qal At Sukkar, cercammo indizi che potessero confermare il corretto sospetto che il paese non fosse quello giusto. La caserma della polizia locale, l’edificio che avremmo dovuto individuare per la protezione aerea, era identico nei due paesi, per forma, colore ma su rive opposte dello stesso fiume che taglia entrambi i villaggi.
Ormai nelle nostre menti avevamo acquisito un dato certo, la meta di arrivo, ora dovevamo trovare il giocatore che portava palla. Ripercorremmo a ritroso il percorso impolverato pieno di macchine e camion, civili intenti a camminare sul ciglio della strada, mezzi in panne lungo il percorso e bambini che correvano a salutare al passaggio dell’elicottero. I pensieri viaggiavano mentre analizzavamo e scrutavamo il terreno ad una quota di meno di 100 piedi alla ricerca di qualsiasi cosa che potesse essere un rischio per il convoglio e, naturalmente, cercando di salvaguardare noi stessi da possibili SMALL ARMS, RPG o, peggio, SAM. Il paesaggio scorre veloce quando sei oltre i 100 nodi di velocità al suolo e a quote inferiori ai 40 metri, così l’acuità visiva, si riduce notevolmente. È logico ed umano che tutto ciò comporti uno stato di attenzione massima per condizioni di volo e lavoro correlato alla sicurezza personale e della coalizione, causando quindi stress fisico e mentale che si traduce in un notevole dispendio energetico. Così tra caldo e continue prove radio arrivammo al confine della periferia Nord di
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accentuate e strette per mantenere in vista la zona contribuirono ad un mal funzionamento dello strumento indicatore. Ormai dovevamo assumere che le indicazioni non fossero più attendibili e non potevamo permetterci di dover atterrare proprio in prossimità della città teatro, a quel tempo, di vari scontri che coinvolsero anche il contingente italiano. Forse il rancore generato poteva essere ancora vivo negli animi di una parte della popolazione. Probabilmente, con la somma del carburante in quel momento segnalato nei due serbatoi principali avremmo percorso le restanti 37 miglia che ci separavano dal campo base, ma c’era qualcosa che non poteva essere trascurato, per arrivare all’atterraggio avremmo dovuto sorvolare la città di Nassiriya. Nuovamente dovevamo decidere velocemente. Controllammo brevemente la cartina, l’unico punto di scampo realmente utilizzabile era la “BLU 40”, un campo di terra battuta da impiegare per eventuali evacuazioni mediche di feriti o altro. Per quella specifica scorta avevamo individuato proprio la BLU 40 come eventuale punto di atterraggio e recupero personale. Ironia della sorte diventammo noi il personale da dover recuperare! Sentiero di discesa impostato … manette tutte avanti … il carrello giù … le pompe elettriche tutte inserite ... rimane da fare l’unica trasmissione possibile: MAYDAY, MAYDAY, MAYDAY.
“EUREKA!”, avrebbe esclamato Archimede, l’Aerosoccorritore Special Ops, sistemato sulla rampa posteriore, aveva avvistato la famosa ciminiera! Senza dire altro la nostra prua era diretta al tubo di cemento in lontananza, nascosto fino a qualche istante prima ai nostri occhi probabilmente a causa del colore simile a quello del terreno e da quell’incessante vento che trasportava sabbia fine e mimetizzante. Avevo l’animo completamente smarrito nei meandri della delusione di un fallimento. Cercai la forza e la lucidità per portare almeno a compimento la seconda parte della missione. Ora eravamo sopra il giusto villaggio. Magicamente si ristabilì il contatto radio ma solo con le VHF, quindi potevamo allontanarci appena 4 chilometri dal VM. Iniziammo i controlli dall’alto, fortunatamente tutto sembrava tranquillo. Procedemmo con i normali controlli interni stabilendo così BINGO e PLAY TIME, rispettivamente il carburante minimo al raggiungimento del quale avremmo dovuto lasciare la zona ed il carburante utilizzabile nella missione. Da lì a poco il nostro bingo arrivò senza poterlo evitare e quindi impostammo la prua per rientrare … ma gli imprevisti non erano ancora finiti: la pattuglia a terra, ci comunicavano sospetti movimenti attorno alla colonna dei mezzi in attesa davanti all’edificio del meeting. La nostra decisione fu tanto difficile quanto necessariamente rapida: pericolo per loro contro possibilità di intaccare seriamente la nostra riserva di carburante … Effettuare un veloce passaggio di controllo. Del tempo prezioso era trascorso, dovevamo assolutamente tornare. La zona appariva movimentata ma nessuna arma in vista: forse era stata attirata l’attenzione dei locali dai continui passaggi del nostro velivolo. Livellammo e dirigemmo verso l’aeroporto controllando a quel punto il rimanente carburante. Uno dei due serbatoi che fino a quel momento aveva segnalato una quantità, ci evidenziava un basso livello piuttosto insolito. Forse le manovre alle massime prestazioni, le virate
… continua. a pag. 94. 47
Pensai ad un elicottero… meraviglioso… a della gente in mare… naufraghi che venivano salvati. La matita continuava a disegnare e a prendere appunti, il tutto molto disordinatamente, mentre inconsciamente ripercorrevo i miei 24 anni di lavoro all’84°. Dedicai al quadro ogni mia attenzione ed ogni mia energia. Per me non era un incarico quello di dipingere, non era “fare il quadro” che mi dava tanta carica, ma mettere sulla tela il risultato del mio lavoro (a volte col sacrificio della famiglia) e di un gruppo di persone meravigliose con cui ho il piacere di stare e condividere tutto. Con questo quadro volevo far capire a chi lo guardava, quanto importante e utile fosse per me il mio lavoro. Terminai il quadro in pochi giorni… questo è il risultato… Spero di non aver stancato nessuno, ma era un “pensiero” che volevo condividere, e far arrivare al “MIO” GRUPPO.
Non sono di penna facile, avrei preferito la parola allo scritto, cercherò comunque di far comprendere il significato di queste poche righe. Quello che sto per raccontare non è una missione all’estero né un volo in particolare, ma un momento di vita quotidiana in cui ho potuto sfogare la mia creatività artistica, seguendo quello che ho più a cuore: il mio lavoro ed i miei colleghi. Dopo un periodo di 5 anni della mia carriera trascorso a Gioia del Colle, sono stato trasferito, dietro mia richiesta, all’84° CENTRO SAR di BRINDISI. Da quel giorno sono passati ben 24 anni, durante i quali ho avuto l’onore e l’orgoglio di far parte di questo meraviglioso GRUPPO. Correva l’anno 2000, quando mi fu chiesto dai colleghi di realizzare un quadro ad olio su tela (dipingo da quando ero ragazzo) per un nostro collega che andava in pensione. Ricordo molto bene l’entusiasmo di quella mattina, presi subito un foglio di carta, una matita ed incominciai a schizzare ed a scrivere tutto quello che mi passava per la testa.
1° M.llo Dario Pinto
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Ci arrampicammo per quasi 2 ore che a me sembrarono 2 giorni, ci accampammo e fui “briefingato” ulteriormente su cosa avrei dovuto fare, specialmente sulla fumata, la posizione in cui avrei dovuto tenerla e che l’avrei dovuta accendere solo su richiesta. A che servirà? mi chiesi, al che l’ARS vedendo l’espressione sulla mia faccia, mi disse che serviva sia ad individuarmi, sia a far vedere al pilota la direzione del vento, in modo di poter decidere la “retta via” per atterrare. Tempo di ingurgitare un panino ed arriva il tanto atteso contatto radio, dichiarai le coordinate e qualcosa che somigliava ad un: “SHOCK THE SMOKE, SHOCK THE SMOKE”, accesi la fumata e sentii il rombo del motore dell’ HH3F che si avvicinava. Quando lo vidi salire dalla vallata, imponente e gagliardo, provai veramente ad immedesimarmi nella parte del “SURVIVOR” e non presi neanche lontanamente coscienza di cosa si può provare realmente quando aspetti qualcuno che ti riporta a casa in una situazione del genere, ma comunque rimasi fortemente impressionato. In pochi secondi atterrarono, calarono la pedana posteriore e sbarcarono 3 ARS armati di fucile mitragliatore, 2 rimasero a guardia dell’elicottero e 1 iniziò a correre verso di me. Mi misi subito nella classica posizione e cioè: di spalle, in ginocchio, testa bassa e mani incrociate dietro la nuca. Quando fui raggiunto e solo dopo aver completato la procedura di riconoscimento, salimmo di corsa e decollammo, il tutto in 3-4 minuti. La suggestione e l’adrenalina mi avvolsero anzi, mi assalirono e mi sentii, a più di 30 anni, felice ed emozionato come un bambino che va al Luna Park per la prima volta. Posso asserire con fermezza che da quel giorno il 15° mi è entrato nel sangue e non andrà via mai più.
Sono qui con la penna in mano che quasi mi vergogno a scrivere la mia esperienza, lungi da essere operativa, come tutte le altre raccontate. Provenivo da un Ente Centrale, da poco assegnato allo Stormo e più precisamente come Capo Segreteria dell’85° Gruppo, mentre una mattina di giugno del 2001 stavo letteralmente “nuotando” nella infausta marea di note caratteristiche arretrate, l’Ufficiale “I” entra nel mio ufficio e mi chiese:” Hai da fare domani?”, gli dissi di dare un’occhiata alla scrivania e poi gli chiesi il perché, mi rispose:” No niente, ci serviva un Survivor…”. Non me lo feci ripetere 2 volte, in men che non si dica ero già a chiedere agli ARS di quello che avrei avuto bisogno: di tutto quello previsto avevo solo la mimetica e gli scarponcini, neanche gli anfibi. Dopo avermi spiegato il tipo di missione, l’entusiasmo era salito ancora di più: nello stesso giorno avrei fatto il battesimo dell’aria su un aeromobile A.M. ed in più sarei stato il protagonista di una missione di recupero in "zona ostile”! L’indomani mattina, dopo il briefing e le SPecial INStructions, decollammo con l’AB212, destinazione i monti della Tolfa. Volo stupendo in una giornata stupenda, tutto il litorale laziale aveva appena iniziato la stagione balneare e vedere dall’alto le spiagge che si popolavano è stata una sensazione di ulteriore piacere, come se potessi condividere con i bagnanti l’esperienza che stavo provando. Con mio enorme stupore non ero per niente preoccupato, forse perché l’ITO era un T.Col. AArns “vecchia guardia”, con quasi 10.000 ore di volo all’attivo. Atterrammo così delicatamente che quasi non me ne resi conto, il “navigato” AB212 sembrava leggero come una libellula. Io e l’ARS designato a farmi da “balia” sbarcammo in un lampo, “sembravate di quelli buoni…” ci dissero più tardi.
Ten. Daniele Trifance 49
Qualsiasi condizione
Lavoriamo in qualsiasi condizione. La sabbia…
…dove nessuno può atterrare… 50
‌dove invece possiamo atterrare ma con particolari ausili‌
‌e con mezzi adeguati ad ogni esigenza. 51
3 o 4 anni, accompagnato dal padre. Sappiamo che il giorno prima è caduto nel fuoco, ha parte delle braccia, del dorso e di una gamba gravemente ustionati, qualche dito lo ha perso carbonizzato; cosa importante: “minimizzare le sollecitazioni”. Purtroppo sappiamo che gli elicotteri vibrano, per fortuna il nostro vibra poco; il target di oggi è volare senza alcuna vibrazione. Dopo il briefing ci si coordina col personale sanitario che lo accompagnerà, riguardo al comportamento e le procedure a bordo dell’HH, e, finalmente, arriva lui. Viene caricato e sistemato a bordo, noi davanti siamo seduti e legati pronti per le procedure di messa in moto. Mi informano che c’è la necessità di sistemare il padre vicino alla barella, se si allontana lui piange. Grazie all’ottima iniziativa dell’equipaggio anche questo problema è risolto, uno sgabellino di fortuna e delle cinghie da verricellista permettono di continuare in sicurezza. Dopo di che viene la mia parte: si decolla! Tutto bene, il distacco dal suolo non si è neppure sentito; il volo è monoprua e senza alcuna virata; i tanto temuti uccelli, causa di tanti impatti, specialmente nelle ore mattutine e serali, sanno che oggi noi dobbiamo volare il più tranquilli possibile, sicuramente “qualcuno” lo ha detto loro; niente problema, oggi sono loro a spostarsi, da domani se ne riparla. Anche le brume del mattino, che ricoprono gli sterminati acquitrini che dobbiamo sorvolare,
Come ogni sera il pensiero và alla famiglia, alla moglie ed ai bambini che non vedo da circa un mese e mezzo. Nei momenti di dubbio e di stanchezza, quando si ripropone la domanda: “Ma cosa lo faccio a fare?”; l’unica risposta sensata è sempre la stessa: “lo faccio per i bambini”. Il deserto stanca la mente più che il fisico, ed avere un “perché lo faccio” equivale ad avere la carta vincente per poter far bene il proprio lavoro. Dopo i saluti a casa e queste piccole riflessioni filosofiche, anche se ormai è tardi, vengo contattato dalla sala operativa. Il giorno dopo sono d’allarme, e questa non è una novità; la novità sta nel fatto che si deve decollare presto: c’è un C-130 inglese a Bassora sul quale dobbiamo caricare un bambino! Cosa vuol dire tutto questo? Ancora poco. È tardi e domani si parte presto, ma ora c’è parecchio da lavorare, che, fa rima, ma ora non vuol dire volare. Messo in allerta l’equipaggio, si dividono i compiti e si parte per la caccia al tesoro, scusate: alle informazioni; si coordinano orari e nel frattempo la notte diventa sempre più fonda. È mattino presto, il sole sorgerà fra breve, siamo in linea volo, l’elicottero è pronto e tutto l’equipaggio, compreso un medico della Croce Rossa Italiana, è qui per il briefing prevolo. Lui arriverà fra breve. Ora le idee sono chiare: dobbiamo caricare e trasportare a Bassora un bambino iracheno di 52
appena perso un braccio e che dovevamo portare in un ospedale. Però… quel bambino l’ho guardato… e com’era? A cosa mi ha fatto pensare? A queste domande non vi risponderò, vi dirò solo quello che ho visto: ho visto gli stessi occhi dei miei bambini.
si aprono dinnanzi a noi con rispetto, sanno che lui deve arrivare! Le nebbie che pochi giorni prima avevano fatto chiudere nelle prime ore del mattino l’aeroporto di Bassora, oggi si sono ritirate. Anch’esse sanno che non si può non aiutare un bambino che finora dalla vita ha avuto poco ed al quale la vita stessa ha già tolto tanto. Finalmente Bassora! Stiamo rullando. Ah! Scusate, dimenticavo, prima siamo atterrati; ma anche quello non si è sentito. Però il rullaggio sì che si fa sentire. I grossi blocchi di cemento che formano le vie di rullaggio fanno sobbalzare l’elicottero, ma ormai ci siamo. Siamo fermi, motori spenti e rampa aperta. Ecco il C-130 inglese che lo porterà a Baghdad, dove verrà seguito da uno staff medico della Croce Rossa Italiana presente in loco con attrezzatura e competenze necessarie a curare un bambino gravemente ustionato. Ma com’è questo bambino? Vi chiederete come sia possibile che non l’abbia ancora visto. Non l’ho visto solo perché non ho avuto il coraggio di guardarlo. La sofferenza fa paura ed a volte spaventa anche; non ho mai più guardato uno dei malati che ho trasportato da quando, giovane secondo pilota, ho visto la faccia di un uomo che aveva
Cap. Luigi Martignoni
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raggiunse 52 kts, e che tra le altre cose raccontava di un soccorso, finito come è finito, dove l’aerosoccorritore in un mare di stato incalcolabile (oltre 10 sicuro!!) aveva il tempo e soprattutto la tranquillità di presentarsi ai suoi “survivors” con la frase: “Buonasera, sono il suo aerosoccorritore paracadutista in servizio per lei stasera…” il tutto tra i marosi ed il vento in una barca a vela in procinto di affondare. Baldo, il nostro aerosoccorritore di servizio, il cavaliere senza cavallo, nonché l’uomo che, nonostante la statura, è specializzato nel salvare le persone a gruppi, ovvero un uomo che ha almeno il 50% di sangue nell’acqua di mare che gli scorre nelle vene, appena quella sera mi incrocia nel corridoio del comando mentre prendevamo i dati, subito mi recita la parte del film, facendomi anche pensare che era venerdì 17. È ilarità generale, ci guardiamo e sogghigniamo: medaglia, medaglia! Guardiamo la nefoanalisi, e stentiamo a credere che sia vero: le coordinate che ci hanno passato sono al centro di un enorme CB che va da Capo Carbonara a Capo San Vito ed esteso quanto tutta la Sicilia. Ci guardiamo in faccia, e nessuno scherza più. Di colpo ci rendiamo conto che la vita di quei cinque ragazzi è seriamente in pericolo e che noi poco potremmo fare per loro: se ci attaccassimo alla “libretta”, non dovremmo neanche decollare. Faccio un briefing veloce e chiedo a tutti se hanno intenzione di provare a raggiungere la barca, nonostante le condizioni, provando però prima un hovering sul mare accanto la costa per vedere se effettivamente il coupler ci avrebbe assistito durante il recupero, o se avrei dovuto procedere in manuale. Inoltre mi sono preoccupato di sapere se Baldo avesse intenzione di calarsi oppure no, facendo leva sulla sincerità, e non sullo spirito di sacrificio: tempo perso! La risposta è secca: “Se Michele vede che affondo mi tira su, altrimenti continuo”. Le operazioni di preparazione si svolgono in rapidissima sequenza, svolte velocemente senza fermarsi a pensare, per la paura di essere
Una settimana terribile, di quelle che il buon Dio ci manda di continuo grazie alla penuria di gente ormai cronica al Quindicesimo. Avevamo in casa la “Squalo 03”, un’esercitazione annuale SAR (Soliti Addestramenti Ripetuti) coordinata e svolta dall’RCC, funestata dal cattivo tempo, reso ancora peggiore dalle forti raffiche di vento, e l’allarme da assicurare. Così passai il mio compleanno, tra il vento ed il tempo che non ne voleva sapere, e mia moglie che, come ogni volta, inghiottiva il solito rospo dell’ennesima ricorrenza trascorsa ognuno per fatti nostri. Tre giorni dopo finalmente ‘sta storia della Squalo finiva e noi, che eravamo solo in quattro piloti, potevamo finalmente tirare un respiro di sollievo (almeno così speravamo!!), per cui la sera del VENERDI 17 ottobre 2003, io, Diego (che è un pilota che stava da noi in
supporto per quella settimana con cui montavo d’allarme) e gli altri ci salutammo speranzosi di poter trascorrere un fine settimana tranquillo e poter finalmente riposare le ossa. Ehehe… e se finiva che ci riposavamo… mica ve la scrivevo la storia!! Alle 23.00 circa ci rivediamo tutti quanti in SOR, attaccati al telefono per avere tutte le notizie che ci servono per andare a recuperare 5 ragazzi a bordo dell’“ASGARD”, una barca a vela lunga 12 metri in balia delle onde in mezzo al Mediterraneo. Il giorno prima in TV avevano trasmesso il film “La tempesta perfetta”, assolutamente in tema per quello che stava accadendo dalle nostre parti, visto che il vento quella sera 54
ed acqua impressionante. Impossibile continuare. Decido di tornare indietro. La promessa di ritornare più tardi, almeno con la luce, ci lascia con l’amaro in bocca, come se non avessimo tenuto fede al nostro proposito. È una delle decisioni più dure che abbia mai dovuto prendere, ma andava presa. Chiedo agli altri in interfono quali fossero le loro impressioni su quello che avevano visto e su quello che si sentivano di poter fare, e mi danno tutti ragione, ma scopro che ognuno di loro ha lo stesso senso di impotenza e
sopraggiunti dalla paura vera, quella di sapere che ci stiamo spingendo un po’ più in là di quanto dovremmo. Adesso, cari amici, non vorrei sembrarvi ridicolo, ma la mattina precedente avevo scelto di fare una SAR mare con Diego, il quale in supporto da noi, proveniente da un altro Gruppo esonerato da qualche mese dall’allarme SAR, non ne faceva da un po’, così da metterci dalla parte del “formaggio” se durante il fine settimana ci avrebbero chiamato a fare qualche intervento di notte sul mare, ed avevamo proprio affrontato il problema del recupero da imbarcazione a vela, col mare grosso… che dite, non è che ce la siamo chiamata??? Così, con il cuore in gola e la concentrazione a mille mettiamo in moto il rotore nella zona più riparata che abbiamo, e velocemente ci portiamo sul mare e proviamo il coupler: tutto bene! L’elicottero controvento in hovering sembra stabilissimo, e questo rinfranca tutti (a dire il vero anche me!). Adesso basta però, è tempo di correre verso quei cinque e la loro barca in mezzo alla tempesta. Lo schermo del radar dice 165 kts di GS ed io tengo i 105 kts indicati: va bene se è per arrivare al più presto, ma se provo ad inclinare l’elicottero sono guai! Sempre sullo stesso schermo da un certo punto in poi comincia a diventare tutto rosso, ed i bagliori fuori ci indicano la zona dei temporali: un fulmine ogni 3 secondi, mediamente. La caratteristica di quei fulmini che mi allarma è che non si vedono distintamente, ma si vede solo la zona nella quale si manifestano, che si accende come un abat-jour, il che significa che la pioggia lì sotto è troppo forte per noi. Arriviamo molto vicini al muro d’acqua e comincia così una ricerca per una possibile zona di penetrazione della buriana, ma non c’è verso: è impenetrabile. Sconsolati, ci rendiamo subito conto che non possiamo recuperarli in quelle condizioni, e se non ci sbrighiamo a tornare a casa, potremmo essere raggiunti dalla violenza di quella tempesta. Non è cosa. Mi porto ancora vicino al muro d’acqua e mi metto parallelo al fronte della pioggia: è fittissima. Ed è tutto così da lì fin sopra la barca: tutti CB compattati che scaricano una quantità di luce
insoddisfazione per aver scelto di tornare indietro e lasciare quei ragazzi là sotto. Però io ho la responsabilità dei miei “ragazzi” (Baldo ringrazia sempre quando gli do del ragazzo!) e non posso permettere di esporli ad un rischio del genere, per cui mi tranquillizzo e mi convinco che è la cosa migliore da fare: tornare indietro e riprovare al mattino in modo da poter affrontare il maltempo almeno con un po’ di luce. Giro la coda del mio pellicano al maltempo e comincio a far rotta per rientrare, ma la prima impressione che ho è quella di essere agganciato a qualcosa. Mi accorgo che sia io che Diego siamo stranamente piegati in avanti come se volessimo assumere una posizione più aerodinamica e quindi andare più veloci. Lì per lì sorrido: noi elicotterari un po’ l’abbiamo per vizio di assumere questa posizione. Non so se avete presente la scena, la posizione classica è la seguente: busto piegato in avanti, collettivo sotto l’ascella sinistra e braccio destro proteso in avanti. A volte compare anche un ghigno compiaciuto al realizzare GS prossime ai 150÷170 kts se siamo fortunati ed il vento ci aiuta. Lo schermo del radar mi riporta alla realtà: 59 kts 55
l’eccitazione. Guardiamo la nefoanalisi e ci accorgiamo che il grosso del maltempo sta passando proprio sopra di noi in quel momento. È quello il momento in cui realizzo che il fastidioso rumore di fondo che sentiamo è la pioggia battente. Poi i tuoni. Sembrano vicini. Aspettiamo la prossima nefoanalisi e vediamo come si muove “Godzilla”. Nel frattempo coordino per il carburante e faccio aprire i portali dell’ Hangar (non sia mai che non si aprano!). Le notizie che porta la nuova nefoanalisi sono buone: la linea di Groppi si sta muovendo in modo tale da lasciarmi una specie di spiraglio dove posso provare a passare. Percorrendo una spezzata c’è la possibilità di uscire dalla zona dei temporali e raggiungere l’imbarcazione. Visto che il fronte viaggia veloce ed è quasi giorno decido di non perdere tempo e, sebbene la base sia rossa, decido di predisporre tutto perché nel giro di mezz’ora, probabilmente, ci sarà la possibilità che la visibilità aumenti almeno per decollare e percorrere questa specie di corridoio. Per il rientro non dovrebbero esserci problemi: il TAF dice che dovrebbe migliorare, almeno per poter riatterrare. Corriamo all’elicottero, facciamo i controlli all’interno dell’hangar, e autorizzo la sostituzione di Michele, che nel frattempo è dovuto correre a casa (i guai non arrivano mai soli), col “Socio” (è Laziale, ma è simpatico!). Ci imbrachiamo, e faccio cenno di spingere l’elicottero fuori: siamo pronti per mettere in moto. Il Socio e Josef sono sul trattorino e ci spingono fuori, sorridenti, ma ad un tratto un bagliore: li vedo diventare seri di colpo, bianchi in viso e... letteralmente tuffarsi fuori dal trattorino!! Chiaramente avevano prima fermato il trattorino. Mi raggiungono sotto il finestrino dell’elicottero e mi spiegano tutto: un fulmine è caduto a 50 metri dall’elicottero sul “morteo”, un orrendo prefabbricato verde pisello in metallo accanto al piazzale. Avevano visto le ragnatele di luce del fulmine correre sul piazzale e avevano creduto che potesse scoppiare tutto. Vai a dargli torto! Decido che è meglio aspettare un attimo prima di andare, anche perché adesso li vedo molto preoccupati, e non voglio essere solo a bordo dell’elicottero, o che pensino che stiamo per fare una pazzia. Sono sicuro che il
di GS alla velocità massima indicata!!! Dunque, vediamo un po’, Quarantotto miglia da percorrere a 59 nodi sono quasi 50 minuti. Abbiamo proprio la sensazione di essere fermi, anzi di essere risucchiati dai CB dietro di noi! “Godzilla” dietro che avanza scaricando acqua e fulmini e le luci della costa sempre ferme lì: le possiamo quasi toccare, ma non ci arriviamo. Quando finalmente arriviamo a Trapani, abbiamo appena il tempo di mettere l’elicottero in hangar che si scatena il finimondo. Corriamo in SOR ed in venti metri pigliamo tanta acqua quanta ne avremmo presa con un tuffo in piscina. Lì parliamo con i ragazzi all’RCC che ascoltano il nostro racconto con molta emozione. Erano al corrente di quello che si stava scatenando per cui avevano quasi timore a “taskarmi” per l’indomani e di provare a decollare alle prime luci, ma quando gli dissi che avremmo aspettato lì quelle quattro ore, sembrarono molto più sollevati, tanto che quasi non credevano che gli era andata così bene e l’orco cattivo non se li era mangiati! Il problema era sostituire Diego che aveva montato d’allarme tutto il giorno con me, ma non ne vuole sapere. Voi avreste voluto essere sostituiti durante la finale di Coppa di Campioni dopo che il peggio era passato e c’era da raccogliere solo la gloria? Evidentemente no! Lo stesso, in quel momento, era per lui, e per me, che avrei dovuto svegliare un altro pilota nel mezzo della notte, spiegargli tutto daccapo. Avevo parlato troppo per quella notte. Mi andava di andare fino in fondo con la stessa squadra che aveva cominciato il lavoro la notte, e che aveva fatto la promessa di ritornare e l’avrebbe mantenuta! E Diego non è il tipo che può subire cedimenti in situazioni come quelle che stavamo affrontando, anche perché di adrenalina ce n’era per tutti. Così mi convinco e ci adagiamo su un divano in sala piloti, giusto per recuperare un minimo. Chiudo gli occhi, li riapro: chi ha spostato le lancette dell’orologio??? Sono davvero già le cinque del mattino? Allungo la mano, e con uno strattone sveglio anche Diego. Non pensiamo neanche ad un caffé tanta è 56
sto bianco e sta pioggia valla a vedere”, mi dico. Ed invece, ad un certo punto, come un fantasma che spunta dall’aldilà, mi vedo sfilare sulla destra una barca bianca apparsa dal nulla. Urliamo di gioia. Viro e mi metto controvento a bassa velocità con la barca davanti al muso per poter valutare lo stato delle cose. Nessuno in vista, sono tutti in cabina. La radio si riceve debole, devono avere le batterie quasi scariche. Diego in perfetto inglese impartisce via radio all’equipaggio dell’Asgard le disposizioni che durante il volo avevamo concordato, che guarda caso, erano proprio quelle di cui parlavamo il pomeriggio del giorno prima, ossia: assicurare con una cima il battello di salvataggio all’imbarcazione e gonfiarlo, imbarcarsi sullo stesso e filare almeno 50
tempo ci darà una lieve tregua, così non insisto ed aspetto fiducioso. Poco a poco l’intensità del diluvio scema fino a trasformarsi in un rovescio non molto intenso. Adesso si vede anche qualcosa. Portiamo di nuovo l’elicottero fuori e mettiamo in moto. In dieci minuti siamo tutti dentro l’elicottero che rulla, parlando con i controllori. Con orgoglio sfiliamo davanti ai colleghi dell’Airone che sentono in frequenza il nostro nominativo: Rescue-IMC! Ci autorizzano al decollo, ed in un minuto siamo già sul mare con il radar acceso che cerchiamo di individuare il nostro corridoio. Eccolo là!! Un moto di orgoglio mi anima, ma torno subito alla realtà delle cose: un CB sopra di noi si fa sentire con il suo “soffio” verticale, e ci costringe a scendere fino a 300 piedi senza che io possa farci nulla. Da lì in poi sembra esserci più luce, segno che le nubi non sono poi tanto “pesanti”. Il vento è sempre molto forte ma adesso, nel giro di 80 miglia, da scirocco (a Trapani) vira a maestrale e noi procediamo per 330°: mai che il vento ti aiuti!! Comunque, riusciamo a contattare un cargo che prestava assistenza alla “nostra” barca a vela (nel senso che si manteneva nelle vicinanze), e ci dice di averla sul radar ad una decina di miglia per una certa radiale. Così anche noi passiamo col radar in modalità di ricerca e tentiamo di individuarla: niente da fare, troppo “clutter” per via del mare grosso. Proviamo a contattare i nostri ragazzi per radio e dopo poco sentiamo un segnale debole. Diego veloce come un gatto, prende subito la radiale con l’Homing, e ci mettiamo a percorrerla sperando di avvistare in lontananza il nostro obiettivo, ma niente da fare. Del resto il colore della barca è BIANCO, vele BIANCHE, cielo BIANCO, mare BIANCO, stato 6/7. “In mezzo a tutto
metri della stessa cima, o tagliarla per portarsi a distanza di sicurezza dalla barca il cui albero, alto almeno 20 metri, con quel mare era un maglio pericolosissimo. Accettano le istruzioni, e con la lentezza tipica di chi ha sofferto per ore il mal di mare, ad uno ad uno si calano sul battello. Appena sono tutti a bordo, quello che sembra essere il capitano si sporge dalla copertura del battello mostrandomi un coltello e lanciandomi un lungo sguardo in cabina, come se volesse farmi notare il fatto che stava per compiere un atto di grande fiducia che non doveva essere tradita. Distogliendo lentamente lo sguardo dalla cabina dell’elicottero rivolse il coltello 57
cercando di riscaldarli: tremavano dal freddo. Pasquale (il nostro assistente di sanità) ed il Socio erano indaffaratissimi nel cercare di non trascurare nessuno di loro, e cercare di rispettare il fatto che ci fosse anche una ragazza tra loro, che comunque, essendo completamente bagnata e infreddolita, doveva svestirsi e coprirsi con qualcosa di asciutto. Rido quando mi raccontano come organizzano una specie di separé per permetterle la dovuta privacy. Il viaggio di rientro è durato troppo poco per smaltire le battute (anche le più idiote) e l’adrenalina accumulata durante tutta la nostra avventura, per cui appena atterriamo a Trapani, siamo ancora iper-euforici. Altro che cedimento per la stanchezza! E sono anche contento di non aver negato a Diego la soddisfazione di aver potuto portare a termine con noi questo recupero. L’82° si ricorderà per sempre di questo coraggioso ed altruista collega con cui ha condiviso il privilegio di salvare qualcuno nei guai. E noi ricorderemo sempre cosa abbiamo ricevuto per aver compiuto quanto avete letto. Il solito “bravi ragazzi”, solo verbale sia chiaro, e magari finiva male per Diego quando chiesi per lui un Elogio: si erano ricordati che esiste una direttiva secondo la quale… ma questa è storia ordinaria! Il soccorso è una disciplina straordinaria, che paga già soltanto con lo sguardo grato e compiaciuto di chi, dopo aver creduto di essere giunto alla fine, per la nostra opera può avere una seconda opportunità. Anche se, il giusto riconoscimento per quanto compiuto, a volte, potrebbe renderci un pelino più orgogliosi e pronti a riprovarci la volta seguente.
verso la cima che vincolava il battello all’imbarcazione tagliandola: adesso erano liberi e lentamente si allontanavano dall’Asgard. In pochi minuti il battello si trovava a distanza di sicurezza dall’albero della barca, per cui comincio a calare Baldo in mare sulla verticale del battello. Il vento è rabbioso, ed il rotore vibra per le forti raffiche. Dallo specchietto retrovisore vedo Baldo risalire con il primo dei “nostri” ragazzi. Baldo è serio sotto i suoi baffoni, ma tranquillo. Mi raccontò dopo che ad ogni ingresso in acqua veniva colpito da scariche elettriche di eccezionale intensità rispetto al normale: l’umidità eccessiva caricava di elettricità statica l’elicottero. Josef è metodico nel suo procedere con il verricello e con la radioguida: è concentratissimo, parla velocemente e riesce a descrivermi ogni singolo evento che accade sotto di noi. Nel frattempo continua a piovere, ma non ci infastidisce più di tanto: siamo concentratissimi. Continuo di tanto in tanto a seguire Baldo con lo specchietto quando arriva sul battello, e un sentimento di ammirazione mi pervade. Tutto l’equipaggio si comporta come una macchina perfetta: niente emozione, nessun errore, solo fermezza e determinazione. Mentre procediamo all’ultimo recupero con il verricello, la radioguida di Josef va aumentando d’intensità, fino al punto che, quando l’ultimo dell’equipaggio dell’Asgard è davanti alla nostra porta di carico, l’equipaggio all’unisono lancia un urlo di gioia in interfono: avevamo mantenuto la nostra promessa, avevamo compiuto qualcosa che ci saremmo ricordati per sempre e che magari avremmo provato piacere nel raccontare agli amici. Da quando abbiamo cominciato le operazioni di recupero a quando abbandoniamo la zona, sono passati appena otto minuti. Se non avessi fatto partire il mio cronometro, non ci avrei mai creduto!! Il Socio, che per permettere la radioguida è stato zitto tutto il tempo, finalmente può darmi una situazione di cosa stanno organizzando in cabina. Di sicuro, non avevano dubbi visto il tanfo che seminavano, i “nostri” ragazzi avevano vomitato l’impossibile, per cui gli stavano dando da bere reintegratori, e soprattutto stavano
Magg. Dario Sinatra
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Quel pomeriggio mi aspettava un tranquillo volo notturno di addestramento e nient’altro ma l’avventura, se così la possiamo chiamare, era in attesa dietro l’angolo. Ma partiamo dall’inizio, mi chiamo Alberto Santoprete e sono un Maresciallo motorista EFV Specialista Polivalente presso l’83° Centro C/SAR. Quel pomeriggio d’aprile del 1999 mi preparavo per un volo d’addestramento notturno, insieme al mio collega e amico Roberto Sbaraglia, senza sapere che, di lì a poco, avremmo ricevuto una richiesta (non strana ma alquanto inaspettata) da parte dell’allora capolinea Zuccalà: “Alberto… Roberto… avete problemi a partire per una missione in Albania nel giro di un’ora? Siete al momento gli unici disponibili per una partenza immediata!” Non avevamo molte informazioni, anzi, queste erano le uniche. Si sa che nel nostro lavoro tutto può capitare ma era proprio questo “non sapere cosa ci aspettasse” che ci fece subito accettare. È l’atteggiamento da guasconi che spesso aiuta gli audaci! Dopo pochi minuti eravamo già in macchina, direzione casa, per preparare un minimo di bagaglio. Non si sapeva quanto tempo saremmo stati fuori ma non importava, sicuramente avremmo fatto il lavoro per cui ci eravamo addestrati! Ritornato in aeroporto dopo meno di un’ora ebbi altre notizie e non furono sinceramente molto confortanti. Al briefing tenuto dall’allora T.Col. Mariz era presente l’equipaggio interessato formato da: Alberto Pelacchi, Michele Vimercati, Roberto. Sbaraglia, Massimiliano D’Alessandro ed io (ometto di proposito i gradi perché da allora essi sono solo amici).
In quei giorni i Serbi stavano effettuando la cosiddetta “pulizia etnica” in Kosovo e tutta la popolazione di origine albanese abitante in quella regione aveva cominciato ad accalcarsi al confine, in previsione dell’apertura della frontiera con l’Albania, passando attraverso il passo che portava a Kukes. Il nostro compito, una volta arrivati in Albania, sarebbe stato dare assistenza e soccorso a quella povera gente scacciata dalla propria terra o quanto meno da dove avevano vissuto per innumerevoli anni! Decollammo il più presto possibile ma una volta staccate le ruote da terra nel buio della notte mi posi una domanda… una domanda che sicuramente molti si pongono in queste situazioni… “Ma dove c…. sto andando?!” Questa domanda sorse non perché avessi cambiato idea e mi fossi pentito della decisione presa ma perché non sapevo davvero quello a cui andavamo incontro! L’ho saputo, diciamo con mio disappunto, il giorno dopo. Dopo essere atterrati e aver dormito a Brindisi, la mattina molto presto eravamo al velivolo: sbrigammo i nostri compiti e decollammo alla volta di Tirana insieme ad un altro HH-3F dell’84° Centro C/SAR di Brindisi. Giunti all’aeroporto di Tirana nessuno sapeva del nostro arrivo, ma trovammo il personale della nostra Protezione 59
e dalla Croce Rossa. Cercammo un posto dove atterrare in sicurezza e appoggiammo le ruote. Un ricordo che sicuramente rimarrà scolpito nella mia mente fu la confusione di quelle persone allo sbaraglio, dei bambini che correvano in tutte le direzioni e del rumore dei bombardamenti che avvenivano oltre il confine albanese (non molto distante dal paese). I nostri compatrioti che erano li, oramai abituati, ci dissero con tranquillità che a quell’ora bombardavano sempre. Il lavoro che portammo a termine fu duro e frenetico: trasportavamo medicinali, cibo e quant’altro potesse essere d’aiuto a quelle persone, ritornavamo a Tirana con feriti e ammalati bisognosi di cure urgenti e tutto questo più volte al giorno ( fino a sette tacche come si dice da noi) per più di una settimana, ma sempre concentrati su quello che stavamo facendo perché eravamo consapevoli di essere un piccolo ingranaggio di una grossa macchina che chiamerei Solidarietà! Un momento molto significativo fu quando dimostrammo il nostro “essere Italiani”. Arrivammo sulla piazzola di Kukes insieme ad un Super Puma francese. L’equipaggio francese coordinato dalla Croce Rossa Internazionale, arrivò lì per prendere una ragazza dializzata in fin di vita. Siccome i nomi slavi spesso sono ambigui ad aspettarli c’era invece un uomo dializzato che non poteva camminare. Beh… da non credere… si rifiutarono di caricarlo perché giudicarono pericoloso contravvenire al protocollo. Il medico Italiano che reggeva il campo, il fantastico Dr. Pezzi, venne da noi e ci chiese di portarlo, noi che avevamo già finito le procedure per il carico di feriti e già ingaggiato. Ci guardammo in faccia e dicemmo “E mo’? Chi facciamo scendere?” Invitammo il Dr Pezzi a salire e fare una scaletta di feriti con le varie priorità dopodiché, fatti scendere 5 feriti, togliemmo i sedili e montammo alla meglio la barella.
Civile, dei Vigili del Fuoco e della Croce Rossa già al lavoro. Ci inserirono subito nella maglia dei soccorsi, non persero tempo! Ci rendemmo conto di quanto eravamo vitali per questa gente quando percorremmo per la prima volta la rotta per Kukes. Le strade per raggiungere questa cittadina erano praticamente inesistenti, da Tirana a Kukes erano tutte montagne alte ed impervie, quindi gli aiuti via terra avrebbero subito ritardi mostruosi. Gli unici che potevano fare qualche cosa in un tempo relativamente breve erano gli elicotteri e noi con loro (ma pensa te! Io proprio io). Il primo trasporto di materiale (viveri e medicinali) verso il campo profughi non fu facile e… in un certo senso, irto di pericoli ed ostacoli come tralicci, teleferiche non segnate sulla cartina in dotazione (la cartina di una nazione dell’Est quindi sconosciuta per lo più) e valli senza sbocco. Vidi pure i cavi d’acciaio che vengono usati dall’industria del legname per lo spostamento degli alberi lavorati… sì… quelli che “ci piacciono tanto a noi degli elicotteri”, ma grazie soprattutto alla bravura di tutto l’equipaggio riuscimmo ad avvistare Kukes e il campo profughi.
Quel panorama non era certo dei più belli, davanti a me si stagliavano verso l’alto due montagne ed in mezzo quello che si può definire un corridoio; da quel pertugio arrivavano i profughi che si riversavano nel campo allestito dalla nostra Protezione Civile
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A Tirana la cosa più bella furono le scuse informali dell’equipaggio francese, che ci ringraziò per aver risolto il problema e averli tolti dall’imbarazzo; ci spiegarono che così erano le loro regole e che non potevano contravvenirle, il ferito ed io invece ringraziammo “noi” per la nostra flessibilità. Fortunatamente ci sono stati momenti in cui una battuta goliardica o un sorriso ti scrollavano di dosso la stanchezza e ti aiutavano a dare il meglio. Poi… tanti aneddoti da raccontare, come quello di una vecchietta ultracentenaria che non aveva mai visto un elicottero ne tanto meno c’era salita sopra. L’abbiamo trasportata a Tirana sdraiata su una barella e una volta scesa abbiamo constatato che ci aveva lasciato un “ricordino”… poverina, sicuramente il mezzo più tecnologico da lei usato fino a quel momento sarà stato il mulo! Un altro aneddoto riguarda la bandiera italiana che è incorniciata nel corridoio dei ricordi al nostro gruppo. Proviene da Kukes e ha una sua storia che vale la pena di essere raccontata… Ogni volta che si arrivava a Kukes il problema più grosso era quello di sapere la direzione del vento per poter atterrare in sicurezza. Più volte avevamo chiesto con cortesia se potevano attaccare in qualche punto anche uno straccio per vedere questa benedetta direzione, ma ogni volta era sempre il solito problema. Al che stufo, tornato a Tirana aeroporto, vado nella tenda della Protezione Civile e chiedo qualcosa per lo scopo. Il personale disponibilissimo si fa in quattro e dopo un po’ mi porta una bandiera italiana! “Perfetto!”, dico, “Due piccioni con una fava… oltre a segnalare la direzione del vento indica la presenza italiana al campo!” La prendo e una volta arrivato a Kukes la lego ad un pennone improvvisato. Dopo circa 4 mesi ritorno in Albania per la missione che ci
vedeva rischierati a Durazzo e ho l’occasione di atterrare di nuovo a Kukes. Con mia grande meraviglia vedo la nostra vecchia bandiera che ancora sventola e dà la direzione, anche se logora. Il pensare di salire e portarla a casa è un tutt’uno… taglio le corde e la tolgo dal pennone, orgoglioso di riportarla in Patria: adesso fa bella mostra di sé a Rimini. Dopo circa 10 giorni ritorniamo a Rimini, stanchi morti ma consapevoli di aver fatto e dato tanto… più di quello che ci aspettavamo. Non voglio dire che mi sentivo un eroe ma quasi! Questo non lo nego e non nego neppure che chi mi ha fatto ritornare alla realtà è stato un semaforo, sì… proprio il primo semaforo sulla statale tornando a casa! Fino a quel momento non ci aveva fermato niente e nessuno, abbiamo lavorato come muli portando e trasportando di tutto, parlato con l’Ingegner Barberi, con l’Onorevole Costa, con medici volontari e tutti mi parlavano e trattavano come un pari e cosa mi ferma in Patria… un poco democratico semaforo rosso che mi intimava di fermarmi?? M.llo Alberto Santoprete
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Soluzioni
Gli ARS nella loro scomoda postazione in rampa…
…scomoda sì, ma generosa di paesaggi mozzafiato. 62
La scritta Italia sugli HH3F destinati all’impiego in Iraq
Una soluzione anche per l’Ordinario Militare in visita in Iraq… 63
Villafranca, maggio 2003 Daniele!!! Mi sento chiamare e mi volto, è Mimmo che si avvicina, immagino per chiedermi qualche cosa, ma la mia supposizione è errata. Ha una notizia da darmi, e vi posso giurare che è l’ultima notizia che voglio sentire!!! “Probabilmente vai in Iraq con la nave!” mi dice. “Coooosa? Con la nave?” Non ho mai sopportato i viaggi con le navi, non ho paura dell’acqua, ma non mi è mai piaciuto stare chiuso in una nave per chissà quanti giorni, e poi… soffro il mal di mare! No!!! Con la nave non voglio partire!
militari formano un lungo serpentone, in attesa di essere imbarcati sulla nave, che ancora non vedo o credo di non vedere. Seguo con lo sguardo la lunga fila e i miei occhi scorgono quello che ritengo l’albero delle antenne, “Almeno sembra grossa” mi dico e questo mi dà sicurezza!! Girando per i moli, trovo gli elicotteri parcheggiati uno dietro l’altro, mi avvicino e saluto i colleghi che mi augurano buon viaggio e mi fanno qualche battuta per tirarmi su di morale. Sanno che passare 15 giorni in mare non è simpatico. Le ore passano, la squadretta sta rimuovendo le pale dagli elicotteri e io decido di avviarmi
Livorno, 12 giugno 2003 È mattina presto, e mentre mi sto dirigendo al porto, dove è attraccata la nave con cui devo partire per l’Iraq, alzo lo sguardo e scorgo i due HH-3F che insieme a me condivideranno questo viaggio. “Una crociera in prima classe”, penso. Li vedo virare con il carrello abbassato e scomparire dietro i palazzi. Intanto, sono entrato nell’area del porto, e chiedendo qua e la, arrivo al molo dove mi aspetta uno spettacolo che non mi sarei aspettato. Un numero imprecisato di mezzi
verso la nave per imbarcare i bagagli e sistemarmi nella cabina che mi hanno assegnato. Dopo varie peripezie, che non vi sto neanche a raccontare perchè noiose ed inutili e grazie ad un caporale dell’Esercito, che sarà poi uno dei miei compagni d’avventura, riesco a portare a bordo i bagagli e a sistemarli in cabina… La cabina, una vera reggia, letto a castello due armadi minuscoli e un bagnetto altrettanto piccolo, ma in fondo molto confortevole. Butto i bagagli nella reggia e il caporale mi fa 64
privilegiata di quello che mi aspetta. Uno spettacolo fantastico! Per la prima volta vedevo un vulcano da relativamente vicino mentre vomitava tranquillo la lava, formando nella discesa dalla bocca un serpente sinuoso e lento, rosso fuoco, che si immergeva in quelle acque nere che noi stavamo solcando. Rimango rapito, senza parole e con lo sguardo fisso, come ipnotizzato da questo serpente e lo seguo fino alla sua completa scomparsa. Mi riprendo da quella vista inaspettata e rientro all’interno della nave, soddisfatto di aver assistito a questo spettacolo che la natura, a volte benigna, ci offre. Ah... dimenticavo! Il vulcano è lo Stromboli, e noi del 15° Stormo lo conosciamo bene! I giorni di navigazione passano alquanto lenti e a volte noiosi; per far passare le giornate cerchiamo di trovarci qualche cosa da fare, ma oltre a scendere nel garage della nave per controllare i mezzi, altro non possiamo fare e così ogni tanto andiamo a far visita al Comandante in plancia comando e a farci spiegare i nostri dubbi sugli aspetti della navigazione. Il Comandante, un uomo di statura media, capelli brizzolati e con uno sguardo furbo da lupo di mare con anni di navigazione alle spalle, è molto disponibile e ci spiega in inglese, lui è polacco come il resto dell’equipaggio, con molta pazienza la rotta che faremo. Kuwait City sembra lontanissima, ma ci assicura che dopo aver attraversato il canale di Suez saremo lì in una settimana. Non vedo l’ora, abbiamo già attraversato lo stretto di Messina e ci stiamo avvicinando all’Egitto, finalmente riesco a vedere il famoso canale di Suez. Ecco, in lontananza, Porto Said. Arriviamo al tramonto e si vedono le luci della città che si avvicinano. Staremo fermi alla fonda per parecchie ore, aspettando il pilota, che ci guiderà attraverso il canale, e le altre navi per formare il convoglio. L’attesa è noiosa ma rimango sveglio fino alla partenza del convoglio che si muove soltanto alle quattro del mattino. A questo punto me ne vado in cabina a dormire, il convoglio ci metterà circa quindici ore per attraversare i 195 km del canale, sicuramente riuscirò ad ammirare l’ultimo tratto fino a Suez. Mi
fare il giro della nave, già ne ha preso il possesso. Le ore passano e tutti i mezzi, compresi gli elicotteri, sono imbarcati; gli altri compagni di viaggio sono a bordo, non si sente più il rombo dei mezzi che urlano salendo la rampa della nave, c’è una calma relativa. L’equipaggio è sempre al lavoro, questa volta per salpare… direzione Kuwait City, la nostra prossima meta!
È già buio quando la grossa nave si stacca dal molo e si muove per uscire dal porto e prendere il largo. Con movimenti lenti sfiliamo davanti alle sagome di altre navi e ci allontaniamo senza rumore! Io e gli altri miei sei compagni di viaggio guardiamo le luci allontanarsi sempre di più, in silenzio. Siamo tristi e sicuramente tutti lasciamo degli affetti in Italia, ma siamo militari e questo fa parte del nostro lavoro. Scatta la lacrimuccia, ma anche quella si asciuga presto e siamo pronti ad affrontare questo viaggio, una nuova esperienza e una nuova avventura per tutti! È sera e siamo ormai in viaggio da circa due giorni, costeggiamo ancora le coste dell’Italia, il mare è calmo per mia fortuna, in lontananza si scorgono le luci della terraferma e la temperatura è ottima per fumarsi una sigaretta fuori, gustandosi la leggera brezza marina che soffia investendomi e rilassandomi. La nave scivola fluida sull’acqua scura, quando nel buio scorgo una sagoma nera dai contorni frastagliati, “un’isola! “ dico tra me e me, ma lo spettacolo a cui avrei assistito da lì a poco non me lo sarei mai aspettato. Man mano che la nave costeggia l’isola, si vedono comparire dei bagliori rossi, provenire dall’altro versante. Incuriosito, salgo più in alto possibile per avere una visione 65
l’orizzonte diventa di un colore giallastro opaco, che si avvicina molto velocemente e ad un tratto ne vieni investito e tutto intorno a te è giallo, come se fosse nebbia. Esperienza strana, ma ci avrei fatto l’abitudine nei giorni a venire! Sono tre giorni che navighiamo nel Mar Rosso, non si vede niente, né una nave né la terra e non riusciamo a comunicare con le nostre famiglie, i telefonini non prendono: siamo in mezzo al mare, troppo lontani dalla terraferma. Sono i giorni più lunghi e noiosi del viaggio, ma presto li avremmo rimpianti... Attraversato lo Stretto di Aden, che collega il Mar Rosso con l’Oceano Indiano, abbiamo una spiacevole sorpresa, io ancora di più. Il mare in burrasca! Vi devo dire che non è piacevole navigare quasi tre giorni con un mare così. Brutto, nero e cattivo, con la nave che dondola a destra e a sinistra e lo stomaco in subbuglio. Guardo gli altri compagni, bianchi come fazzoletti e sofferenti, so che sono come loro, ma tutto questo non mi conforta e mi fa sentire ancora più male! Fortunatamente, alla fine ci abituiamo, non
sveglio il giorno dopo a ora di pranzo, e come volevasi dimostrare stiamo ancora navigando nel canale. Do uno sguardo fuori e vedo solo sabbia, qualche palma, bunker e postazioni di guardia egiziane: non posso dimenticare che negli anni sessanta ci fu una guerra per appropriarsi di questo strategico passaggio. Mangio e salgo di corsa dai miei compagni di viaggio, che già si stanno gustando il panorama e il sole egiziano! Quando li raggiungo mi accorgo che siamo fermi, probabilmente siamo nel Great Bitter Lake, un lago artificiale creato per aspettare i convogli che provengono da sud e darsi il cambio. Due navigli provenienti da direzioni apposte non possono viaggiare nello stesso tratto di canale, ecco il perchè di questo bacino artificiale. Dopo un paio d’ore ripartiamo, manca l’ultimo tratto che percorreremo in poco tempo. Prima di sera raggiungiamo la città di Suez, dove la nave viene rifornita e dove assistiamo alla nostra prima tempesta di sabbia. Da un momento all’altro, il tempo cambia, prima si alza senza preavviso un forte vento caldo, poi
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Esco anche io dal ventre della nave e mi dirigo verso un gruppo di persone che credo di riconoscere, e infatti ne riconosco qualcuno, Enzo, Antonio, Tomaso Invrea, Felicissimo e via via tutti gli altri, Mimmo, Sandro e Roberto, Ferramola e altri che mi salutano e si accalcano intorno a me facendomi domande su domande, come se fossi sopravvissuto ad un naufragio e cerco di rispondere ancora rintronato da quell’accoglienza e incredulo di avere i piedi piantati per terra! Raccolgo i bagagli e li carico su un pulmino americano che ci porterà a Camp Wolf, ma prima di salire, mi volto e guardo per l’ultima volta quella nave, mi ci sono affezionato, grazie a lei ho visto posti nuovi e avuto nuove esperienze… Un bel viaggio e una bella avventura, una vera crociera di prima classe! Salgo sul pulmino e partiamo: “Qui comincia un’altra avventura” mi dico, ma questa è un’altra storia.
prima di aver ricevuto qualche sfottò goliardico da parte dell’equipaggio con cui siamo entrati in buona confidenza. Superata anche questa prova, che ci ha reso un po’ più forti, siamo in corto finale, il Comandante ci comunica che mancano circa due giorni all’arrivo a Kuwait City: tiriamo un sospiro di sollievo e siamo tutti più rilassati ma anche pensierosi, consapevoli che il lavoro tosto comincerà alla fine di questo viaggio… Lo sentiamo anche dall’umidità e dal caldo opprimente che ci avvolge, intorno a noi solo foschia e la visibilità è circa cento, centocinquanta metri; questo ci fa capire che la vita non sarà facile laggiù e incominciamo a chiederci cosa ci aspetta, come sarà la base e se è tutto tranquillo. Le poche informazioni che riceviamo tramite un telefono satellitare non ci tranquillizzano, ma non ci agitiamo più di tanto, il pensiero più forte è voler scendere al più presto a terra, ormai non ce la facciamo più… Il desiderio è esaudito il giorno dopo, incominciamo a vedere piccoli pescherecci man mano che ci avviciniamo alla destinazione finale, siamo euforici, sappiamo che la terra è vicina, ma per colpa della foschia non si vede ancora niente. Passano le ore, all’ora di cena siamo ancora in mare, i bagagli sono pronti e aspettiamo, siamo in attesa di scorgere delle luci all’orizzonte e alla fine le vediamo, bucano la fitta foschia, ci siamo! Siamo arrivati! Man mano che ci avviciniamo alla costa le luci si fanno più forti, fino a farci distinguere le torri, simbolo della città di Kuwait City e più a destra il porto. Siamo tutti eccitati, non vediamo l’ora di mettere i piedi su qualche cosa di più stabile di un ponte di una nave; portiamo i bagagli in coperta, si ride e si scherza, siamo felici. Scorgo, alla mia sinistra la San Giusto, arrivata, scopro più tardi, due giorni prima di noi. Era partita una settimana prima! Le manovre di attracco sono lunghe ma alla fine lo Skodsborg ce la fa! La nave, che per due settimane è stata la nostra casa, accosta e si ferma al molo, nonostante l’enorme mole, molto delicatamente. Ancora un po’ di pazienza e scendiamo in garage, dove i mezzi già in moto escono uno alla volta.
M.llo Daniele Perrone
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simulare un recupero. Alla prima di queste esperienze mi sento un po’ extraterrestre, ma la simpatia di tutti mi dà tranquillità. Passano veloci i miei anni di squadriglia a Perdasdefogu e approdo come per incanto presso la base di Miramare, sede dell’83° C/SAR Rimini. Dopo aver sentito tanto parlare della tradizione e delle attività di questo gruppo e dei suoi molteplici ruoli ricoperti, non vedevo l’ora di entrare in azione. Diversi erano e sono tuttora i compiti che veniamo (uso il plurale, perché siamo famosi) chiamati ad assolvere, missioni che fino ad allora avevo solo sentito per televisione, o da racconti fatti da altri. Parole come Combat SAR, missioni SMI, procedure per il recupero di personale in zona ostile ecc….Era come aver scoperto un altro mondo, con qualche difettuccio, ma che importa, il mio sogno era diventato realtà. Arrivano cosi le prime missioni Albania e Kosovo 1999, ricognizioni, medevac e come dimenticare l’esodo biblico delle persone in fuga attraverso le montagne per arrivare al campo profughi di Pec. Dall’elicottero la visione delle cose è diversa, ottimistica, in qualche modo tutte le persone a terra ci aspettano per avere un aiuto che dia loro una speranza; come cancellare la personale sensazione provata davanti agli sguardi sorridenti dei bambini locali dopo aver donato loro una semplice cioccolata, tutto è impresso nel profondo della mia anima. Si torna a casa e le missioni di soccorso continuano, soprattutto in mare dove noi operiamo sovente: una di queste? Al largo di Rimini, un peschereccio chiede aiuto via radio perché un loro uomo ha perso conoscenza, così mi preparo, controllo il materiale, la radio, le condizioni del mare e quando arriviamo sul punto constatiamo che è impossibile utilizzare il verricello a causa dei troppi cavi presenti a poppa e prua dell’imbarcazione. D’accordo con il capo equipaggio decidiamo che è meglio raggiungere a nuoto la barca, il tempo stringe, l’equipaggio è la mia seconda famiglia e sicuramente non mi lascerà da solo, arrivo a bordo: la persona è a terra e il polso è debole, velocemente organizziamo il recupero con la
“Chi salva una vita, salva l’umanità..” cosi recitava l’attore in un famoso film, guadagnando un posto nel viale dei giusti; sicuramente ci sarà un posto anche per le nostre buone azioni. Eccomi qua in una inusuale veste di narratore a scrivere un articolo, un racconto, per il libro dello Stormo sperando che questo venga pubblicato, tanta è la voglia di raccontare, in modo interessante e senza annoiare, la mia carriera e la vita all’interno di questo fantastico Stormo. Quanti eventi sono accaduti da quando nel lontano 1987 entrai in Aeronautica con la qualifica di Assistente al traffico Aereo presso l’SCC/AM di Padova. Mi bastarono pochi anni nella sala radar (e un fratello pilota) per capire che c’era la possibilità di cambiare aria, in tutti i sensi, dopo aver visto in giro per aeroporti che la musica era diversa. Finalmente dopo tutto l’iter di selezioni e corsi divento anch’io uno degli equipaggi di volo dell’A.M. come aerosoccorritore: tutto è fantastico, diverso e affascinante, sono dall’altra parte, non più con la testa a guardare il cielo durante le manifestazioni, ma faccio parte integrante dell’evento, la gente incuriosita mi ferma, mi chiede come ci si sente a stare per aria e poi giù in mare per 68
barella, intanto i medici sull’elicottero si preparano a ricevere il paziente, vengo recuperato anch’io e via verso l’ospedale di Ravenna dove la persona si salverà.
addestramento ci fu più utile, quando dopo i fatti dell’11 settembre, il nostro Stormo fu rischierato in Iraq nel giugno 2003 dove tuttora stiamo dando prova di tutta la nostra
Molte sono le missioni che sono state portate a termine con successo da questo gruppo, innumerevoli i racconti che si potrebbero fare, per i quali non basterebbe un libro intero, dall’intervento fatto a favore delle popolazioni alluvionate in Piemonte nel 1994 e successivamente nel 2000, Sarno, le Eolie, il Pirellone a Milano… Diciamo che non c’è da annoiarsi nel nostro lavoro! Il tempo vola in tutti i sensi e le giornate passano veloci tra soccorsi, corsi di qualificazione e la preparazione di eventi addestrativi, tutto pur di non farci trovare impreparati davanti a condizioni e situazioni non programmabili. Anche le collaborazioni con equipaggi stranieri, in special modo i ragazzi del gruppo volo di Aviano, gli Americani del 555° Fighter Squadron continuano a proporci delle esercitazioni per essere pronti ad eventuali operazioni in territorio nemico… Mai
professionalità in questo campo. Ora sono a casa, in attesa del prossimo turno nel deserto, in attesa della prossima missione, giro nel traffico caotico della mia città, cercando di spiegare a mia figlia il lavoro di un papà che combatte draghi per salvare le persone in periglio. Lei è convinta che potrebbe aiutarmi, chissà magari a ragione. Anche voi girando per la vostra città, se vedete qualcuno che sorride andando al lavoro, sicuramente è uno di noi… uno del 15°. Mamma aiut! M.llo Fabrizio Verginelli
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Bisognava fare i conti con l’inglese, certo… E poi, poi c’erano i tempi serrati ed il ritmo incessante... C’erano da raccogliere i dati utili alla missione, pianificare la rotta, preparare i briefings, confrontarsi con gli altri equipaggi e poi volare, per una ricognizione, un recupero o una ricerca… Il successo dell’equipaggio spagnolo o francese era il nostro e viceversa… Questo era lo spirito dell’esercitazione, il nostro HH-3F era, seppur diverso per prestazioni e caratteristiche, quanto mai prima, vicinissimo e simile al Super Puma spagnolo ed al Puma francese, tutti con l’unico obiettivo di portare a termine la missione con esito positivo, per poi immediatamente affrontare quella successiva. Era la prima volta che in uno scenario internazionale, per un’esercitazione, si applicava un manuale unico di riferimento per dottrina, messaggistica operativa e procedure comuni da applicare. Bisognava fare tutto ancora con più attenzione del solito… Le missioni erano scandite da tempi ristrettissimi che esaltavano e rinvigorivano l’amalgama e l’affiatamento del nostro gruppo, dove ogni singolo, in ragione del ruolo rivestito e dei compiti assegnati dalla situazione, si sentiva e diventava oggettivamente indispensabile al buon esito della missione… Uno sguardo riconoscente, od un’amichevole pacca sulle spalle di un pilota di F-18 spagnolo diventava motivo di soddisfazione e di stimolo a fare sempre meglio.
Era la mia prima esercitazione Combat S.A.R. in ambiente internazionale… Noi, quelli dell’82° Combat SAR di Trapani, avremmo rappresentato l’intero 15° Stormo, e tutta l’Aeronautica Militare Italiana all’estero… Quell’anno la sede prescelta era in Spagna. Saragozza, la capitale dell’Aragona, storica terra di casate reali ed incrocio di racconti, rituali e tradizioni che da secoli si tramandano, si rinnovano e rivivono tra le stradine del centro storico, ove il tempo è ancora scandito dall’austero suono dei campanili medioevali, fino ad arrivare alle più turistiche piazze cui fanno sfondo moderni edifici, ricercati caffè universitari e centri commerciali affollatissimi. Ero entusiasta… Avrei avuto la possibilità di vivere per 2 settimane immerso in un reale scenario operativo, in un’esercitazione complessa e formativa, sotto l’egida dell’EAG, l’European Air Group. Mi sarei misurato, confrontandomi, con gli amici delle aeronautiche di molte nazioni europee, certamente lontane per tradizioni, storia e metodi, ma ricche proprio di questa diversità, per molti versi costruttiva, che nei giorni dell’esercitazione, però, si sarebbe trasformata in un unico grande sodalizio, un’unica e forte voce, che avrebbe tradotto nei briefings, nella messaggistica, nelle missioni di volo, nelle informazioni operative, ed in ogni altro aspetto, la dottrina ed il principio dell’EAG: un’aeronautica europea in cui ogni nazione è speculare, necessaria e conseguente alle altre. Atterrato in Spagna, tutto l’82° era pronto. Non vedevamo l’ora di entrare in azione… C’era da lavorare e relazionarsi con gli equipaggi spagnoli o francesi, dovevamo mantenere alta la bandiera del nostro Gruppo, e del nostro Stormo.
Devo dire che i giorni sono passati velocemente, e che l’aspetto migliore è stato lavorare gomito a gomito tra di noi, noi 70
diplomatica cefalea, sia stato sorpreso, poi, mentre si aggirava, col favore delle tenebre, ammantato in un pesante cappotto e coperto a metà da un cappello fuori moda, nei paraggi di quel club… Ma come dare retta a questi ragazzacci?? Lui naturalmente ha negato tutto, e poi ogni missione ha le sue leggende. L’esercitazione, comunque si era chiusa alla grande… Fa sempre piacere quando il lavoro, l’applicazione, la dedizione vengono riconosciute.. Ricordo ancora ora quando Dario, con tono soddisfatto invitò a raccoglierci, tutti, nell’aula della pianificazione missioni, quella stessa stanza che, nei giorni precedenti, ci aveva unito e fatto crescere, ci aveva visti impegnati, di corsa, affannando, con difficoltà, ma con volontà e ostinata determinazione nel fare le cose al massimo. Una volta riuniti, allora, Dario disse con compiaciuta e solenne fermezza: “Siamo stati i migliori, ragazzi. Tutti ci hanno fatto i complimenti”. Per tutti noi dell’82° Combat SAR.., quello, è stato un momento di grande gioia e di sincero orgoglio, che ancora oggi ricordiamo con un sorriso velato di nostalgica malinconia per quei giorni irripetibili.
dell’82°… Gente col sorriso sulle labbra, professionale, amica… Una grande squadra, anche fuori dal serioso contesto dell’esercitazione. Saragozza infatti ci ha regalato giornate e notti indimenticabili (quelle poche libere), rese ancor più suggestive dalla naturale ospitalità delle persone, dalla loro inclinazione alla vita ed al divertimento, e da un clima mite che, nonostante fossimo in autunno, regalava al corpo ed alla mente atmosfere e sensazioni piuttosto estive. L’esercitazione procedeva spedita, ogni giorno si cresceva un po’ di più... Eravamo tutti concentrati e determinati per dare il massimo, guardandoci negli occhi con la decisa convinzione nel raccogliere una sfida che poi, ci avrebbe visto nel ruolo dei protagonisti. Anche perché in quella missione c’era gente davvero speciale… Da Claudio, il mito dell’82°, così scrupoloso, impeccabile e metodico sul lavoro, quanto camaleontico, brillante e disinvolto nelle “attività di contatto socio-ricreative” e nelle relazioni esterne, a Dario, guida sicura, occhio attento e costante riferimento durante l’esercitazione, nonché fine conoscitore di cucina e carne spagnola, a Giovanni, duttile, sorridente ed affezionato oltremodo ai ritrovi universitari ed alla “paella de pescado”, per finire ad Alberto e Fabio, in giro per locande rustiche e circoli alla moda, tra cenette, passeggiate e misteriose, lunghe assenze…Per non parlare poi del mito del “Crazy Horse”, locale di controtendenza, solo per solitari facoltosi, ove ammirare bellezze europee in bikini ed intraprendere piacevoli conversazioni, trasportati da una coppa di champagne francese e qualche nota complice di soffuso jazz. Gira la voce che qualcuno, che una sera non si era unito ad una delle nostre uscite, lamentando una
Ten. Luigi Schettini
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Nel nostro lavoro però, come l’esperienza mi ha insegnato, può capitare di tutto, normalmente non vi è alcun preavviso e l’urgenza dell’intervento fa passare in secondo piano tutto il resto. Così nel giro di pochi minuti ci ritrovammo tutti davanti all’elicottero, pronti a decollare verso un’area a Nord-Ovest di Taranto. Un corso d’acqua aveva rotto gli argini ed aveva trascinato a valle una notevole massa di fango e detriti travolgendo tutto ciò che vi era lungo il suo percorso: veicoli leggeri, case, tratti di strade ecc. Inoltre, più a valle, vi era una vasta area i cui abitanti erano rimasti isolati proprio a causa dell’allagamento. L’ordine era di recuperare chiunque si trovasse in stato di necessità e di prestare soccorso ai malcapitati. Dopo circa 30 minuti di volo arrivammo nella
8 settembre 2003 Era un giorno come tanti altri e mi trovavo in Aeroporto insieme agli altri membri dell’equipaggio che, come me, erano in servizio SAR (Search And Rescue-Ricerca e Soccorso) pronti a decollare, in caso di necessità, in 30 minuti. Era una giornata grigia e piovosa ma nonostante tutto nell’apparenza tranquilla. Aveva piovuto tanto e non sembrava volesse smettere ne tanto meno diminuire di intensità. Ciò nonostante nessuno di noi avrebbe mai immaginato ciò che sarebbe accaduto di lì a poco ed in più il pomeriggio volgeva verso la fine: presto avremmo tutti lasciato il posto di lavoro e, terminate le ultime procedure di messa in sicurezza dell’elicottero per la notte, ognuno di noi avrebbe raggiunto la propria famiglia per il meritato riposo.
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alla fine, a manovra ultimata, tirai un sospiro di sollievo e diressi verso il più vicino aeroporto per lasciare il gruppo di persone che avevamo raccolto, fare rifornimento e ritornare in zona per recuperare altre persone. Fu durante questa fase del volo che mi voltai verso la cabina di carico e vidi le facce sconvolte dei passeggeri che avevo a bordo: gli straordinari e distruttivi eventi naturali delle ultime ore, più l’esperienza del recupero con l’elicottero, avevano provato i malcapitati e penso che non vedessero l’ora di mettere i piedi per terra. Nel vero senso della parola! Il bambino invece non mi sembrava particolarmente colpito da questa esperienza; forse non aveva abbastanza esperienze di vita da poter valutare ciò che gli era accaduto, oppure l’abbraccio dei genitori lo aveva già rasserenato. Di sicuro quel giovanissimo malcapitato non avrebbe dimenticato così facilmente quelle esperienze e neanche io. O forse lui si!?
zona del nubifragio e subito notammo che la situazione era critica: automobili isolate ed immerse in un mare color fango, alberi sradicati e trascinati a valle. Interi agrumeti erano stati spazzati via dalla furia dell’acqua e del fango e numerose persone, non potendo uscire dalle proprie abitazioni, si erano rifugiate sui tetti. Il primo intervento fu a favore di un signore dentro la propria automobile, per metà immersa nell’acqua fangosa. In un primo momento sembrava non fosse occupata da nessuno, ma poi notammo una persona sbracciarsi al suo interno e decisi di mandare giù l’aerosoccorritore per verificare le condizioni del “naufrago”. In effetti l’occupante del mezzo era in buone condizioni fisiche, ma spaventato a tal punto da non essere nemmeno in grado di scendere dalla propria auto e raggiungere a piedi una zona sopraelevata non molto distante da lui, dove si erano raccolte altre persone. Una volta accompagnato lo sfortunato automobilista verso un’area sicura, riprendemmo le nostre ricerche. Ma gli interventi più critici e più impegnativi furono tutti a favore della gente isolata e sui tetti dei palazzi, che sembrava quasi sapere che sarebbe arrivato qualcuno dall’alto per recuperarli e riportarli alla normalità. In particolare, ricordo di aver ceduto al mio sottocasco qualche goccia di sudore in più quando si trattò di recuperare, con l’imbracatura e per mezzo del verricello, una giovane coppia con un figlio di un anno. Ciò che mi preoccupava erano le dimensioni del bimbo non proprio conformi alle dimensioni della imbracatura (normalmente studiata per essere indossata da adulti). Inoltre, era pur sempre un bimbo piccolo, del quale non si potevano prevedere le reazioni di fronte ad un evento così particolare come quello di essere tirati a bordo di un elicottero, per mezzo di un cavo di acciaio e sospesi nel vuoto, con tutto ciò che ne segue: rumore intenso, aria turbolenta, paura, ecc... Dopo aver analizzato le varie possibilità a nostra disposizione, visti i mezzi e le condizioni ambientali, decidemmo di usare una braga doppia e di assicurare il bambino ponendolo tra il padre e l’aerosoccorritore ed
Cap. Neville Rossi
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Manifestazioni
Riusciamo ad integrare il nostro lavoro alle manifestazioni. Spieghiamo agli altri cosa facciamo‌
‌lo facciamo anche mentre lavoriamo‌ 74
…e lo facciamo con fierezza…
…e qualche volta svestiamo anche i panni da volo… 75
…ma per poco. Non abbiamo molto tempo per riposarci…
…e via di nuovo.
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non avevano affatto immaginato di fare negli anni precedenti. Oggi posso dire, con il passar del tempo, che tutte le persone che si trovano qui hanno sicuramente saputo e voluto cambiare il modo di lavorare ed integrarsi con tutti noi, con una buona riuscita nell’ambito lavorativo, in tutti i posti sia nella sede locale che in ambito internazionale e nelle situazioni più difficili che ci riguardano. La nostra categoria è composta sia da personale che è all’84° da molti anni, sia da personale proveniente da altre linee volo o da altre realtà come ho precedentemente descritto. Ma questa “varietà” di provenienza se così si può dire, se prima poteva essere vista come un ostacolo invece non ha fatto altro che arricchire le nostre conoscenze, sviluppando un nuovo modo di valutazione delle problematiche anche non collegate direttamente alla macchina. Dopo questa precisazione posso sicuramente capire la frase che mi viene accreditata: “TU SII TUTTU FURTUNATU!” Sarà così, ma è dovuta proprio per avere la ricchezza più importante, vale a dire persone capaci e valide sempre, quello che ogni Capo vorrebbe avere. D’altro canto, io oggi la vedo con la consapevolezza di essere arrivato ad un traguardo, solo per il fatto che tra non molto dovrò lasciare questo Gruppo, perché ormai la mia età me lo permette… ma sono certo che lascerò un ambiente sano e degno del nostro Centro.
Sicuramente dopo tanti anni dedicati a fare questo lavoro, dalla semplice riparazione al vero soccorso, di cose ne succedono e ne ho viste, ma quello che volevo raccontarvi è il periodo di transizione che negli ultimi anni ha visto formare gli specialisti. Come tutti sappiamo qualche anno fa si è verificata una situazione di mancanza di personale specialista, impiegato nelle linee di volo. Per far fronte a questa carenza è stata scelta una soluzione che ha previsto la riqualifica del personale proveniente da altri settori. Situazione molto discussa da molti capi specialisti e anche dal sottoscritto; però ora col passare del tempo posso assicurarvi che ho cambiato parere. La mia perplessità in merito a questa decisione scaturiva dal fatto che ero molto preoccupato di situazioni che potevano crearsi a discapito della sicurezza e della professionalità, impiegando personale che per anni aveva fatto ben altro. Tra l’altro, non mi ero mai trovato in situazioni analoghe, preoccupato anche dal fatto che potesse arrivare personale con più difficoltà ad integrarsi nel nuovo lavoro, a causa del fatto che con un po’ di anni di carriera si è meno flessibili ai cambiamenti. Vi assicuro che ho visto persone sbalordite che arrivate all’84° SAR, solo nel guardare il nostro stemma e vedendo un allegro papero in mezzo al mare con al fianco un canotto pensavano di aver cambiato oltre alla categoria anche Arma. Solo successivamente, col passare del tempo, ed ammirando l’HH-3F, sono riusciti a capire che il personale tutto dell’84°, oltre a saper volare ha un forte connubio con il mare. Ho visto persone che si sono impegnate in tutte le attività del gruppo, anche in quelle che
Gli E.M.B.
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L’hangar è rumoroso, c’è un gran movimento di persone attorno al “19” che, come un grosso calabrone pezzato, affronta sui trespoli la sua “fasata”. Osservo gli specialisti che si muovono manovrando con esperienza e mestiere: chi con cuffie ed apparati avionici, qualcun altro sulla trasmissione o infilato dentro ai carrelli, alcuni sui motori e scorgo persino due gambe che vengono fuori dal vano aperto sotto il nasone dell’elicottero; davvero un gran da fare, intanto lì fuori il “14” fa un gran baccano, pronto a decollare ed io tutto in ghingheri con la mia bella uniforme che mi sento, con una punta d’invidia, come un pesce fuor d’acqua; forza dunque buttiamoci nella mischia! Le classiche presentazioni: io sono tizio, io Caio, da dove vieni, chi te l’ha fatta fare, qua sono tutti pazzi, attento ai gavettoni, nelle cene di gruppo succede di tutto, insomma la prima impressione andò via via concretizzandosi e mi integrai subito. È passato del tempo da allora e gradualmente ciò che mi sembrava complicato è diventato semplice. Osservo ancora molti di noi andare in volo mentre affronto qualche inefficienza o qualche “fasata” e un po’ mi prende la malinconia… al pensiero che quel lavoro probabilmente non potrò mai farlo poiché, una qualche direttiva ha cambiato le cose o, forse, perché sono arrivato nel posto giusto al momento sbagliato. Certo mi sarebbe piaciuto, il cielo ed il mare hanno un colore diverso da lassù e poi non immaginavo che in cuffia si scambiassero tante simpatiche “stronzate”. Comunque, mi consolo pensando che (tenetevi forte) un meccanismo complesso per funzionare ha bisogno anche del più piccolo ingranaggio… ma al di là del profondo pensiero da perfetto frustrato, è bello sentirsi parte di questa cosa ed è bello emozionarsi ancora ascoltando quel rumore inconfondibile che mi sorprende ovunque, riportandomi a quel lungo respiro.
Un lungo respiro, ultima controllatina all’uniforme mi sembra a posto, i capelli sono in ordine e la barba… ma sì, ormai sono qui, il Comandante dell’84° Centro C/SAR come da prassi vuole conoscermi e di certo non intendo dargli una cattiva impressione ma, ci siamo, entro. Era il non troppo lontano 30 Settembre 2002 quando, dopo diverse vicissitudini, riesco a portare i miei 19 anni di esperienza in uniforme all’interno di questo “mitico” gruppo. È strano sono emozionato eppure gli anni ci sono, ho prestato servizio in tanti Enti e quindi dovrei esserci abituato, ma non so darmi una spiegazione. Il Tenente Colonnello Rinaldi è gioviale e mi sento in qualche modo a mio agio, bene, solite formalità, chi sono, da dove vengo e via dicendo. Ma colgo subito un’impressione: questo Gruppo ha un non so che di “diverso”, per carità non voglio essere frainteso volevo dire particolare. Comunque, è andata bene, gli ho persino detto che sono disposto a fare qualunque sacrificio o qualcosa del genere, devo essere proprio impazzito ma, ormai è andata.
M1 Filippo Natoli 78
11 Novembre 2004, un giorno come tanti altri se non fosse stato che dovevamo andare in volo ed eravamo in forza al 6° ROA di Tallil. Ore 06:00 del mattino, avevamo già allestito l’elicottero per il volo in teatro operativo, eravamo in attesa degli ultimi aggiornamenti Intelligence, per poter fare il briefing premissione e, quindi, andare in volo. Quel volo era per una MEDEVAC… beh una MEDEVAC in Iraq non è mai un semplice trasporto medico, infatti, in quella fredda mattina di novembre c’era qualcosa in più. Alle 07.00 in punto l’equipaggio era pronto al decollo in attesa del ferito da trasportare. Ecco arrivare l’ambulanza di “Camp Mittica”, si ferma nei pressi dell’elicottero e un’immagine insolita ci appare dinanzi: all’interno della ambulanza vediamo un uomo irakeno chino sulla barella nella quale giaceva il proprio figlio, un bambino di soli 3 anni, con ustioni su tutto il corpo, il cui pianto ha raggiunto in fretta i nostri cuori. Un bimbo di 3 anni che, attraverso le bende e le garze, ci guardava con gli occhi impauriti e ci comunicava, attraverso il pianto ininterrotto, quel dolore che tanto lo faceva soffrire a causa di quelle bruciature che neanche una mattina fredda come quella riusciva a placare.
La contraddizione era sconcertante un freddo davvero intenso e quel piccolo corpo bruciato coperto solo da bende! Noi tutti, io per primo, abbiamo rivolto il pensiero ai nostri figli e al dolore di quel padre accanto al suo piccolo sofferente. Negli occhi di quella giovane vita oltre al dolore si leggeva la paura legata ad una esperienza così insolita, e noi non potevamo fare altro se non assistere sgomenti a quel dolore e a quel pianto confortati solo dalla consapevolezza che stavamo aiutando quel piccolo a raggiungere il luogo dove le sue sofferenze sarebbero state alleviate. Infatti il task prevedeva il nostro arrivo alle ore 08.00 all’aeroporto di Al Basshra, dove un C-130 avrebbe, poi, proseguito il viaggio portando padre e figlio presso l’ospedale che avrebbe curato adeguatamente le ustioni di quel piccolo ferito. Dopo il decollo, lungo la rotta per Al Basshra, seduti in rampa, il freddo aveva ormai preso il sopravvento anche sul tepore dei nostri indumenti, e nonostante non distogliessimo l’attenzione dai nostri compiti, non potevamo fare a meno di leggere sui volti e negli occhi dei nostri passeggeri la paura e il dolore. Il volo sembrava interminabile… noi tutti desideravamo arrivare prima possibile per poter alleviare le sofferenze del piccolo trasportato, e fargli capire che non doveva avere paura di quel volo, finalmente, in perfetto orario atterrammo ad Al Basshra, dove il C-130 ci aspettava. Questa missione, tutte quelle sensazioni che ho provato e ciò che muto ho letto sul volto e negli occhi del piccolo iracheno, accompagnerà per sempre la mia esperienza di vita, assieme al ricordo di aver contribuito a salvare, quantomeno, una piccola vita, espressione di un popolo che ha sofferto e soffre ancora una esistenza difficile.
Protetto quel corpo minuto con delle coperte, imbarcammo padre e figlio adagiando, con tutta la cura possibile, il bambino sulla barella di bordo pronti a partire.
M1 Leonardo Montagnolo
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shamal che soffia come un phon professionale, scorre sotto il muso dell’elicottero presentandosi in tutta la sua selvaggia bellezza coi villaggi, le fattorie, le dune, i canali: ci riempie gli occhi di una luce prepotente. Eppure anche udito e olfatto danno miriadi di informazioni e sensazioni, per non parlare del tatto, stressato dal calore che emanano i comandi di volo e tutti gli apparati metallici quando la temperatura in cabina supera i 55°C. Nei rari momenti nei quali ci è concesso godere del volo fine a se stesso, senza compiti tattici pressanti o minacce dalle quali sfuggire, ci si abbandona facilmente alla bellezza del paesaggio e a considerazioni semplici: dove siamo finiti? Ma davvero stiamo sorvolando le terre degli Assiri, quelli che furono i giardini di Babilonia, la Mesopotamia studiata sin dalle elementari come un paradiso lontanissimo? Le città di Ninive e Lagash, mitiche nel senso più profondo della parola, teatri di avventure e di leggende di inenarrabile fascino? Guarda l’aeroporto di Tallil, lo Ziggurat di Ur, solitaria vestigia della città di Abramo e non si può non rimanerne attratti, quasi ipnotizzati. La gente. Purtroppo i contatti con la gente irachena sono sporadici, è ancora lontano il tempo della tranquillità e della vicinanza umana. Eppure chi ha avuto la fortuna
Un anno e mezzo è trascorso da quando i nostri elicotteri hanno cominciato a solcare i cieli dell’Iraq, in Asia per la prima volta nella storia: all’inizio prudentemente, si direbbe in silenzio se non si trattasse di macchine rumorosissime, poi via via in modo sempre più spavaldo. Con il crescere della conoscenza del deserto, del caldo, dei limiti fisiologici, della minaccia circostante, è nata in noi una confidenza sana e per certi aspetti affettuosa con il mondo di Nassiriya e l’Iraq tutto. Un anno e mezzo di passione e di convivenza con difficoltà di ogni sorta: i ricordi si accavallano gli uni sugli altri, incessantemente, volti, odori, rumori, sensazioni, scoraggiamenti, dolori e sorrisi tornano a visitare la mente di chi ha vissuto, di chi è stato assorbito, di chi ha costruito con impegno diuturno l’operazione Antica Babilonia. Perché siamo lì? Già, una domanda all’apparenza scontata che prevede una risposta ufficiale (non falsa, ufficiale, desumibile con facilità dai media) e una di cuore. Per chi fa il nostro mestiere i conti con la coscienza sono all’ordine del giorno, al di là di considerazioni politiche, di convinzioni umanitarie, di ragionamenti sugli equilibri planetari e sul ruolo del nostro Paese nel contesto internazionale. Noi siamo in Iraq perché in Iraq c’è bisogno di noi: un “sistema d’arma” (ovvero l’insieme di equipaggio altamente addestrato – aeromobile idoneo al teatro – equipaggiamento specifico) in grado di salvare vite umane, che rappresenta per gli italiani che lavorano sul territorio la sicurezza di interventi efficaci e tempestivi, per gli iracheni uno dei dispositivi più efficaci per il perseguimento degli obiettivi di pace e di stabilizzazione sociale. E allora decade ogni remora ed è palpabile a pelle il sacrificio, il coraggio e l’abnegazione con le quali la gente affronta i 4 mesi di missione. Volare in Iraq. Dei cinque sensi, apparentemente solo la vista è coinvolta quando voliamo: la terra, riarsa dal sole sul deserto, allagata dalle paludi, spazzata dallo
di visitare da vicino la città e, ancora di più, i villaggi in campagna ha potuto toccare con mano una realtà poliedrica, sfaccettata, non 80
riconducibile a schemi stereotipati e qualunquistici: la povertà profonda ma vissuta con grande dignità delle fattorie perse nella savana; la miseria pezzente che questua senza ritegno il tuo orologio e gli occhiali da sole; la vita misteriosa dei nomadi; la violenza strada per strada; la spazzatura e il vunciume delle città; i sorrisi dei ragazzini, così aperti e solari, tutto questo è la gente irachena, come poter generalizzare? Sono andato alla cerimonia di consegna di una scuola elementare regalata dall’Aeronautica Militare, in un miserrimo villaggio a 20 chilometri da Nassiriya: entusiasmo festoso, richieste di ulteriori aiuti, minacce di improbabili vendette contro nemici di varia natura, promesse, inganni da parte delle ditte appaltatrici della struttura, sorrisi e affetto, dubbi sul futuro di quella scuola, del villaggio, di quel tipo di intervento... Tutto e il contrario di tutto. Ho idea che chi è stato giù possa sentirsi cambiato dentro, toccato. Chiacchierando della missione in Iraq, tutti indistintamente coloro che hanno avuto la ventura di
parteciparvi, alla domanda “com’è?” tendono a rispondere “una bella esperienza”, accontentando con semplici parole la curiosità dell’interlocutore. Ma quanta profondità, quanta fatica, quanti timori, quale arricchimento interiore ci siano dietro questa “bella esperienza” rimangono nella mente e nel cuore, come se una cortese forma di pudore impedisse di rivelarne l’essenza più vera. T.Col. Tomaso Invrea
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che sarebbe trascorso prima di arrivare sul punto. L’adrenalina e la voglia di salvare la pelle a questo emerito sconosciuto ha prevalso sul dubbio di agganciare o meno, ma a patto che la ragione avrebbe avuto la parte di protagonista nell’operazione in caso di ulteriore peggioramento. Il rotore ha iniziato a muoversi, il vento non cala di un nodo, la bandiera vicino al comando sembra inamidata, il Secondo Pilota è un ragazzo in supporto, non lo conosco bene, ma è del SAR: ognuno farà la sua parte. In volo ripetiamo il da farsi mentre il radar cerca un buco tra le nuvole dove passare, la torre già ci aveva parlato del temporale sulla zona da raggiungere, andiamo avanti. Avanti… avanti… ma avanti dove? Troppa turbolenza, troppi lampi, nessuno spiraglio, qui ci vuole coraggio, si, quello di ritornare a casa. Il coraggio di avere paura. Essere del SAR significa anche questo, avere il coraggio di rinunciare a denti stretti e ingoiando il boccone amaro. L’unica possibilità di salvare quell’uomo era di tornare indietro e ripartire all’alba, sperando di farcela. Questo è stato fatto: il nostro addestramento prevede anche questo. All’inizio sembra una sconfitta, solo a sangue freddo si apprezza il gesto, è una esperienza, non la migliore ma è giusto condividerla con chi legge, siamo gente normale che fa qualcosa di speciale, come recita un noto spot dell’Aeronautica. Se lo facciamo bene o meno non sta a me dirlo, ma di sicuro si fa di tutto per tornare sempre con la coscienza a posto a casa, chi ti aspetta merita questo ed altro visto il supporto paziente e silenzioso che dà, ma questa è un’altra storia. Per la cronaca: il giorno dopo all’alba il soccorso è stato effettuato con pieno successo.
Cosa ci potrebbe essere di più bello d’inverno di una tranquilla serata a casa, magari mangiando una pizza e i bambini fanno festa, potrebbe esserci anche la possibilità di vedere un film, di quelli che anche se ti distrai non ti perdi niente… e poi fuori il vento è così forte, piove, stare in casa è bellissimo. Detto fatto, dai propositi all’azione, parto e torno con la pizza e a casa è tutto pronto. Le solite discussioni per il pezzo più grande o il più piccolo e sto benedetto telefono che squilla mentre la birretta fa la sua apparizione a tavola. Niente di speciale visto che la piccola dopo aver risposto parla tranquillamente, qualcuno di famiglia penso, poi mi passa il telefono dicendomi: è un tuo amico… “Pronto?” La sala operativa, sono reperibile, il soccorso. Tutto in pochi momenti, mentre iniziano le domande di rito, dove vai, che è successo sono già con la combinazione da volo e saluto lasciandomi alle spalle tutto il programma serale e qualche muso lungo. Nel tragitto fino all’aeroporto solo le folate improvvise e fastidiose mi scuotono dai pensieri, ma dove andiamo con questo tempo? Va beh, non ci pensiamo. Nella sala operativa trovo gli altri dell’equipaggio, ognuno fa il suo, a me e l’amico, collega di turno, tocca tirare fuori l’elicottero. HH-3F dice la sigla, il cosiddetto “padre di famiglia”, il pellicano, il barcone, fino ad ora era stato lì, pacifico, silenzioso... Solo, invece nell’arco di pochissimo si sarebbe trovato per aria a cercare un navigatore solitario straniero a svariate miglia dalla costa siciliana con un albero della sua barca a vela rotto, in balia delle onde, direbbe un navigato romanziere. Ma che ci faceva ’sto tizio con quel tempo in mezzo al mare? Non ce lo siamo chiesto più di tanto: briefing sulle condizioni meteo, pessime, sulle operazioni da fare, sul tempo
M1 Michele Carella
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individualità, porta in sé delle personalità particolari, a cui un po’ tutti si sono rivolti, o si rivolgono, quando ce n’è bisogno, e che sono il collante, la marcia in più per il Reparto. Tralascio i nomi, farei sicuramente ed involontariamente torto a qualcuno, ma sono certo che leggendo queste poche righe ad ognuno di voi comparirà all’improvviso, dal fondo della mente, colui, o coloro, che più di altri ha/hanno inciso la memoria, segno che quella/e persona/e, rispetto a tutti gli altri amici e colleghi, ha/hanno lasciato un ricordo particolare. Personalmente posso dire che, con le molteplici esperienze vissute, sono molti i nomi del 15° che mi sono rimasti impressi, ma quando rivado con la memoria al mio vecchio 84°, mi è sempre parso che tutti i suoi componenti fossero importanti e particolari. Sarà forse un problema legato all’età (!!!). In questi anni, comunque, parlando con gli ex dello Stormo, mi sono reso conto che anche molti altri, come me, sentono ancora molto vivo l’attaccamento al loro vecchio Reparto, anche se in alcune occasioni, ripensandoci, rivengono alla mente situazioni in cui l’appartenenza al 15° è stata fonte di attacchi di bile e di male parole. Fra i vari spicchi dello Stormo, mi sembra giusto ricordare coloro che operano con gli AB-212, persone con cui ho avuto il piacere di lavorare e che sono sempre stati un gruppo molto unito, che ha contribuito non poco alla
Come scorre il tempo! Sono passati quasi 9 anni da quando Mamma Aeronautica decise che era tempo di lasciare il 15° per rendermi utile da qualche altra parte. Ciò nonostante, avverto ancora un legame, un’aggregazione psicologica che mi fa sentire interiormente parte di quello spirito che, per quindici anni della mia vita professionale e familiare, mi ha integrato con tutti i componenti dello Stormo. Questo spirito, che contraddistingue il Reparto, è un risultato il cui merito va agli uomini che, nel tempo, hanno operato per esso e con i quali ho avuto l’opportunità di lavorare, magari con un rapporto a volte un po’ teso (quando il lavoro da fare è complesso e può creare disagi, andare d’accordo non è sempre facile), ma ciò non ha fatto che cementare lo spirito di corpo. Comunque, grazie a ciò ed all’approccio goliardico con cui tutti si sono sempre dati da fare per risolvere le situazioni che, di volta in volta, dovevano essere affrontate, il 15° Stormo è sempre riuscito a portare a termine, con pieno merito, i compiti assegnati. Tanti sarebbero i ricordi legati ad episodi vissuti, direttamente o indirettamente, ma sono certo che altri hanno saputo descrivere, meglio di me, i momenti particolari che li hanno visti coinvolti in missioni delicate e, alle volte, pericolose. Personalmente preferisco il ricordo degli uomini, che sono sempre stati il pilastro dello Stormo. Ancorché proveniente dal Sud (84° Centro), ho avuto comunque modo di conoscere bene anche gli altri spicchi che formano il 15° e posso assicurare che ogni Gruppo/Centro, pur essendo un mondo costellato di proprie 83
desidero riferire un episodio che all’epoca colpì la mia attenzione. Il clima positivo e lo spirito di gruppo si avverte, specialmente da parte delle persone che questa realtà la vivono dall’esterno. Chi si è trovato in Somalia nel 1993, si ricorderà che le sere vi era una grande affluenza di giovani americani presso le nostre tende. Sembrava quasi che venissero ad attingere forza da noi, meravigliandosi dello spirito che dimostravamo nel vivere quella missione. L’episodio a cui accennavo riguarda lo stupore di uno di questi ragazzi il quale, la sera del suo 18° compleanno, si trovò protagonista di una festicciola organizzata per lui dagli occupanti di una nostra tenda, che egli frequentava abitualmente assieme ad alcuni suoi compagni. Ricordo che gli vennero le lacrime agli occhi quando si vide festeggiato da quelle persone estranee, che in quel momento gli erano vicino come se fossero i suoi più cari amici. Sempre in Somalia non posso dimenticare, infine, coloro i quali, sacrificandosi per tutti e lottando contro gli squali tigre (erano delfini), ci assicuravano la sopravvivenza, scodellando quelle sospirate porzioni di pasta alla “quello che c’era”, che attiravano tanti ospiti. Gli interessati sanno a cosa mi riferisco. Che uomini “quelli” del 15°. Se non ci fossero bisognerebbe inventarli! Scrivere non è facile e l’argomento è sicuramente poco interessante, ma se ho preferito queste poche righe al posto del racconto di un episodio in particolare è perché penso che al 15° Stormo di episodi ne succedano anche troppi tutti i giorni. Viceversa sono convinto che, come sempre, siano gli uomini coloro che fanno in modo che gli episodi rimangano fini a se stessi o possano trasformarsi in storie che meritino di essere raccontate.
costruzione di quel famoso “spirito” di cui accennavo. Io sono rientrato in Italia non molto tempo fa, dopo un periodo trascorso in un paese estero presso cui l’Aeronautica svolge compiti di soccorso aereo con gli AB-212 nell’ambito di una missione militare interforze, ed il cui personale proviene sia dalle Squadriglie di Collegamento e Soccorso che dal 15°. Ed è proprio con loro che ho vissuto un episodio che mi auguro non debba capitare a nessuno. Durante la permanenza all’estero, nel giugno del 2001, ebbi modo di trascorrere uno dei momenti più angosciosi della mia vita aeronautica: a causa di un incidente di volo, in cui andò perso un nostro elicottero al largo di Augusta, vi fu un componente dell’equipaggio in pericolo di vita ed inoltre, per molte ore, non avemmo notizie del Capo Equipaggio, ex appartenente allo Stormo. Quella notte il Capo Nucleo AMI, un tempo robusto pilastro dello Stormo, ed il sottoscritto, avemmo modo di toccare con mano la solidarietà di tanti appartenenti o ex del 15° che, a tutti i livelli, avrebbero voluto fare qualche cosa o stare assieme a noi, per aiutarci a trascorrere quelle terribili ore in cui non avemmo notizie sulla sorte dei nostri amici e colleghi. Sicuramente tutta l’Aeronautica era al nostro fianco, ma si sa che anche fra fratelli o amici c’è sempre quello disposto a fare di più per te, e questa fu la sensazione che avemmo con i colleghi del nostro ex Stormo di appartenenza. Fortunatamente tutto finì bene, ed in seguito a ciò avemmo modo di notare come un forte spirito di corpo possa creare rispetto e desiderio di emulazione. Tutti noi, inoltre, avemmo modo di apprezzare la massima disponibilità dimostrata nella circostanza dai colleghi maltesi, ed è sicuramente per questo che, quando ci ritroviamo, ricordiamo con piacere il periodo trascorso a Malta. E non siamo gli unici. Brava gente quelli del 15°. Riescono ad andare d’accordo con tutti. A tale proposito
Roberto Viotto
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L’unica soluzione era virare sopra le case per evitare di subire ancora colpi nemici. Dopo il primo passaggio la folla si era dileguata, e con lei anche chi aveva fatto fuoco su di noi; abbiamo effettuato altri due passaggi sul punto per cercare di individuare gli eventuali aggressori. Verificata la scorrevolezza del passaggio abbiamo scortato la pattuglia dell’esercito fino ad una zona più sicura. Una volta rientrati alla base dopo più di due ore di volo, durante l’ispezione post-volo gli specialisti verificano la presenza di un foro sullo sponson destro e un paio di fori sulle pale. È un giorno che rimane scolpito nella mia mente, forse avevamo salvato la vita a dieci nostri commilitoni. Ca.p Corrado Caucci “Nero”
Una mattina dell’agosto 2004 con quasi 50°C all’ombra, dopo un’abbondante colazione e i briefing meteo del mattino, mi recavo a fare un volo che sulla carta sembrava di semplice routine. Lo scopo della missione era una ricognizione nella zona nord della nostra area di competenza, più precisamente sulla strada che unisce la città di Nassiriya a quella di Baghdad. A poche miglia dalla città di Ar’ I’ Fai, dopo quasi un’ora di volo, siamo stati contattati via radio da una pattuglia di incursori dell’esercito; erano fermi sulla strada poco più a nord del centro abitato, e richiedevano un nostro intervento aereo perché erano stati oggetto di fuoco nemico. Prontamente ci siamo recati sopra la zona indicata dai nostri colleghi, ed al primo passaggio anche noi siamo stati colpiti da una raffica di small arms al momento non ben definita. I colpi provenivano dalla folla, cosi che fosse impossibile per noi rispondere al fuoco.
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Bah! Non mi ricordo quando abbiamo iniziato a volare assieme a bordo del grande acca-acca, ma ho ancora chiaramente presenti alcune delle nostre missioni. Certamente non erano quelle odierne di C/SAR, eravamo ancora al SAR senza “C”, forse al “verricello” in Val Marecchia ma sicuramente quello che facevamo venticinque anni fa non era meno qualificante. Anzi, sono fermamente convinto che sia stata la base essenziale per poter oggi sfoggiare l’altissima professionalità dei nostri equipaggi! Forse cominciammo a fare equipaggio in occasione del terremoto dell’Irpinia nel novembre 1980 a bordo di “Onda 22”, il più nuovo degli HH3F in linea al 15° Stormo, che ci accompagnò fedele e sicuro attraverso mille peripezie non ultima quel “particolare” decollo dal margine del cimitero di Lauro (o forse era Quindici?). Quando decidemmo per un decollo di prestazione -senza piedi- e senza sapere che un microswitch della pedaliera era rimasto inserito portandoci così quasi direttamente a destinazione. E poi, nel giugno successivo, il trasporto multiplo di ustionati barellati (nove se ricordo bene oltre ai 7 membri di equipaggio) dallo stadio di San Benedetto del Tronto a varie località del nord Italia. Eravamo carichi di carburante, perché eravamo in rotta per Trapani, quando ci dirottarono sulla cittadina marchigiana dove, i locali vigili del fuoco si dichiararono incompetenti a scaricare il carburante in eccesso e, se tu non fossi stato così pronto a ritrarre il carrello in decollo, forse lo avremmo lasciato sugli spalti di quello stadio…..e non solo il carrello! I ricordi continuano con la missione ad Alto, paesino delle montagne sopra Albenga, per assicurare assistenza ad alcuni speleologi bloccati in una grotta locale; fu l’occasione per misurarsi in un atterraggio “da naso” accanto al “204” di Linate in una piazzola ridicola per dimensioni, piena di polvere situata ai margini del paese e sul margine del pendio. E poi l’intervento sulla motonave “Sele” in balia del mare a largo di Ortona, quando fummo vicini a tagliare il cavo del verricello perché si era quasi impigliato agli alberi della nave che rollava e beccheggiava sul mare a forza 8….peccato che avevamo l’aerosoccorritore attaccato! Le missioni all’estero, i tanti voli addestrativi, i progetti per il futuro, le cene in hangar con tutto il gruppo - o centro che dir si voglia - il tuo mandato in Libano, il successivo trasferimento a Trapani per comandare l’82°, il ritorno a Rimini per il comando del tuo 83°, la SGA, la decisione di lasciare l’Aeronautica per passare ad altri orizzonti e ad altri impegni. Sei però sempre rimasto un affezionato ed entusiasta del 15° Stormo e dell’Aeronautica Militare Italiana, non hai mai perso occasione per commemorazioni, ritrovi e festeggiamenti, sei sempre stato un sicuro ed affidabile punto di riferimento per chiunque di noi ex passasse per Rimini, anche quando ormai con l’A.M.. non avevi altro a che fare se non annoverare ricordi affettivi. La malattia ti ha portato via vigliaccamente ed improvvisamente, in pochi mesi e senza alcuna possibilità di appello. L’alieno che si era intrufolato nel tuo corpo e che volevi sconfiggere a tutti i costi ha dovuto combattere strenuamente contro di te e contro la tua incrollabile voglia di vivere, ma purtroppo alla fine ha vinto. Bob e Miriam ti sono stati vicini fino all’inverosimile, noi amici lontani da Rimini abbiamo cercato di esserlo fisicamente quando ci e’ stato possibile, ma lo eravamo comunque ogni giorno, con la mente e con il cuore. Poi hai deciso di andare a volare molto più in alto, lontano dai ridicoli vincoli terrestri per dimostrare appieno le tue capacità e la tua grande passione aeronautica, trovando così la scusa per controllarci da una posizione privilegiata per poterci prendere amichevolmente in giro nelle nostre piccolezze, ma soprattutto per consigliarci e guidarci sempre per il nostro bene. Le parole servono a poco, possano queste essere stato uno stimolo per ciascuno che legge a ricordarti come meglio preferisce, soprattutto a ricordare il tuo inimitabile sorriso!
CIAO FRANCESCO!
Maurizio Conti
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Nuovi compiti
Chissà perché ogni tanto facciamo qualcosa di nuovo. Lo Slow Movers Interception…
…ci impegna anche quando è festa per tutti gli altri… 87
‌per la salvaguardia della sicurezza durante i grandi eventi‌
‌anche in condizioni climatiche avverse... 88
‌tutto nel minor tempo possibile‌
‌e senza pensarci troppo. 89
Gruppo e mi comunicò l’intenzione di effettuare la tratta Rimini-Pisa-Rimini. Partimmo, era una bellissima giornata in cui si poteva ammirare il meraviglioso panorama degli Appennini, che attraversammo godendocelo tutto (a pochi, come noi, è riservata questa fortuna). Contattammo i vari enti del traffico aereo e, mentre eravamo in contatto con Pisa avvicinamento, sentimmo in frequenza le comunicazioni di un piccolo velivolo civile che, decollato da Cremona, si dirigeva lungo la costa tirrenica ed avrebbe di lì a poco interessato la zona di traffico di Pisa. L’avvicinamento istruì il velivolo, fornendo informazioni per evitare la zona di traffico del circuito aeroportuale. La situazione meteorologica era ottimale, anche se lungo la costa si sviluppavano dei cumuli che creavano qualche difficoltà. Prossimi ad interessare l’aeroporto di Pisa abbandonammo la frequenza dell’avvicinamento, per passare con la torre di controllo e proseguire il volo, che prevedeva un avvicinamento e successiva riattaccata. Lasciando la zona dell’aeroporto chiudemmo la comunicazione con la torre di controllo, per passare nuovamente con la frequenza di Pisa avvicinamento. In frequenza sentimmo nuovamente le comunicazioni del piccolo velivolo civile che, abbandonata la zona di costa, si era spinto verso l’interno ed aveva qualche difficoltà ad identificare e segnalare la propria posizione. Le comunicazioni fra il velivolo ed il controllore si facevano sempre più
Del mio periodo di servizio al 15° Stormo potrei ricordare tanti fatti e momenti vissuti intensamente. Relativamente all’ultimo decennio per un anno ho avuto l’onore e la fortuna di comandarlo, ma non sono accaduti episodi interessanti al punto tale da essere raccontati; il mio periodo di Comando può essere definito “normale”, senza calamità ne guerre. Per raccontare qualcosa che sia interessante, sotto il profilo narrativo, devo andare indietro nel tempo a quando ero Comandante dell’83° Centro, in quel di Rimini. Il Comandante di Stormo, Col. Cesarino Ferrara, aveva pianificato una delle periodiche riunioni dei Comandanti di Gruppo a Ciampino, per cui avevo pianificato una navigazione Rimini-Ciampino-Rimini. La mattina della riunione giunse, dal Comando di Stormo, la notizia che la riunione era stata annullata. Dopo avrei capito che quello era evidentemente il giorno fortunato di qualcuno che avrebbe tratto vantaggio dall’annullamento della riunione. Ormai il volo era stato programmato per cui decisi di svolgerlo lo stesso e dissi al mio secondo, il Cap. Sandro Testa, di pianificare una nuova navigazione. Sandro scelse una di quelle già pianificate dal
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Dalla voce del pilota si percepiva che aveva tirato un grosso sospiro di sollievo e si sentiva ormai sicuro. Il grosso sospiro di sollievo, comunque, non lo aveva tirato solo lui. Dal calcolo dell’autonomia del velivolo mi resi conto che potevo dirigere direttamente su Rimini, senza dirottare su Fano, per cui decisi di ritornare “a casa”. Non sapevo cosa sarebbe successo al povero pilota, non ero pratico di aeroporti esclusivamente militari avendo svolto tutta la mia attività di volo su un aeroporto civile: Ciampino. Indirizzai il velivolo verso Rimini e lo seguì a qualche minuto di distanza. Giunti su Rimini lui atterrò sulla pista principale ed io scelsi la sussidiaria, dirigendo verso il Gruppo per il parcheggio. Una volta atterrato il velivolo fu bloccato al centro della pista, istruito a spegnere i motori e circondato da militari armati che dovevano procedere al “riconoscimento dell’intruso”. L’avessi saputo l’avrei portato a Fano! Il pilota si era sicuramente più spaventato per aria che per quello che stava accadendo a terra, ma i suoi passeggeri credo fossero più spaventati di cosa stava accadendo a terra. Si! Non l’aveva mai detto in frequenza, ma a bordo aveva i due piccoli figli. Non ho avuto mai l’opportunità di incontrare quel pilota, che restò a Rimini la notte per poi tornare a Cremona, ma qualcuno mi ha raccontato che tempo dopo, quando un HH-3F atterrò a Cremona sentirono la storia di quando “un pilota dell’aeroclub aveva salvato un HH-3F che si era perso”.
intense e si percepiva che per il pilota del velivolo la situazione si stava complicando. Scambiai con SandroTesta qualche commento su che cosa poteva essere successo; evidentemente il pilota non era pratico della zona e le montagne degli Appennini gli sembravano tutte uguali per fare il punto (non e’ poi così difficile); comunque dal tono della voce si percepiva che ormai era nel pallone più totale e non aveva ne’ idea di dove fosse, ne’ di dove stesse andando. L’istinto da “uomini del soccorso” ci spingeva ad intrometterci per rintracciare il velivolo; del resto avevamo gli strumenti per farlo. Ma bisognava superare il timore di peggiorare la situazione. Il pilota non sapeva dove si trovava, ma nemmeno noi lo sapevamo. Dirottare il velivolo senza sapere dove fosse, poteva compromettere la sua autonomia.. Ce l’avremmo fatta a portarlo sano e salvo a terra? Ormai la situazione non era più controllata ne’ dal pilota ne’ dagli enti del traffico non potevo più esimermi dall’intervenire, prima o poi il velivolo avrebbe terminato il carburante e, se non fosse occasionalmente passato su un aeroporto, avrebbe dovuto tentare un atterraggio di fortuna. Tra l’altro non stava sorvolando zone pianeggianti! Decisi quindi di contattare il velivolo. Avvisai l’avvicinamento di Pisa che avrei intercettato il velivolo per condurlo all’atterraggio al più vicino aeroporto, quindi chiamai il velivolo. Ricordo che ormai le risposte del pilota non nascondevano un tremolio della voce, indicante che era nel più totale panico. Grazie all’utilizzo dell’apparato homing potevo sapere in che direzione, rispetto alla mia posizione, si trovava il velivolo. Lo chiamai e gli dissi di assumere una certa prua, che lo avrebbe portato verso di noi. Lui era più a sud di noi e credo che viaggiasse per prua 140°. Decisi per due quote separate di 500 ft ed aspettai con ansia di vederlo. Non ricordo quanti minuti trascorsero, forse una decina. Fu lui a vederci per primo. L’HH-3F non e’ piccolo! Poi quando era colorato bianco e rosso era molto più visibile.
Mario Sorino
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E’ il caso delle radio multibanda SRT651HQ, apparato largamente diffuso in F.A., che, superati gli 85°C va in protezione, impedendo di fatto le comunicazioni. Tale condizione, anche a causa del normale riscaldamento dell’apparato durante il proprio funzionamento, è raggiunta talmente spesso da costringere i piloti a minimizzare le comunicazioni radio, e ad effettuare continui spegnimenti e riaccensioni degli apparati nel tentativo di farli “raffreddare”. Poteva questa situazione perdurare a lungo? Certo che no: ecco l’italico ingegno, personificato nel Maresciallo 2^ Classe Elettronico Impianti di Bordo Antonino Cecala da Trapani – 82° Centro Combat S.A.R.. Egli, quale addetto alla manutenzione della Sezione Efficienza Aeromobili del 6° R.O.A. di Tallil, ideava e realizzava un
Dalla fine del mese di giugno un gruppo di elicotteri HH-3F del 15° Stormo opera in teatro iracheno, nell’area indicata quale “the hottest spot in the world”. In effetti, le capacità di uomini e mezzi ivi rischierati sono messi a dura prova da temperature frequentemente al di sopra dei 50°C all’ombra. Fortunatamente il personale ormai non ci fa più caso, tanto è preso dalle delizie del luogo (sandstorm, topi, scorpioni, pipistrelli, ecc.: il classico villaggio vacanze!). Anche i gloriosi “Pelican” si comportano bene, a loro agio come dieci anni or sono tra le dune somale. Stavolta però, nel vano elettronico degli HH– 3F si superano abitualmente i 70°C, e qualche apparato ha mostrato di non gradire… 92
semplice ma risolutivo provvedimento: a cosa servono sei bocchette di areazione in cabina piloti quando queste non forniscono altro che aria alla temperatura esterna, ovvero intorno ai 50°C? A nulla, ma la stessa aria, convogliata nel vano elettronico, consente alle “black box” di subire una caduta termica anche di 30°C: una vera tramontana! Avuto l’entusiastico consenso dell’Ufficiale Tecnico, ecco il nostro Antonino trasformarsi in trovarobe, a caccia per il conpound di tubazioni idonee per le derivazioni…Presto fatto, trovato un rotolo di corrugato di dimensioni sufficienti, ecco la “posa in opera”: sacrificate le due bocchette vicino le pedaliere (i piloti ringraziano…), con la collaborazione del collega M.llo 2^ cl. El. Avionico Romolo Lamanna, venivano stesi due tubi in fronte e sul retro degli apparati “sofferenti”, opportunamente fissati con delle fascette “ty-rap”. Il momento della verità è al ritorno dal volo dell’elicottero “prototipo”: “Felix, come sono andate le radio?” chiede con ansia l’U.T. al capo equipaggio. “Fossi riuscito ‘na volta a parlare con la SOR!” risponde, ma, prima che l’U.T. facesse in tempo a suicidarsi col milleusi d’ordinanza, continua: ”Flà, nun te preoccupà, c’avevano un problema co’ la stazione di terra. Con la TWR tutto OK, nessuna failure durante il volo!”. E’ vero, fa ancora tanto caldo, ma questo è un bel problema in meno……
Cap. Flavio Russo
-Gli autori della modifica: Cap Russo, M.llo Cecala, M.llo Lamanna. 93
Parte seconda. …continua da pag. 47. Il Capo Equipaggio, intento a creare qualche collegamento con la popolazione locale, iniziò a parlare con un uomo sui 40, che solo in seguito scoprii che ne aveva appena 28. Si era presentato come una sorta di capo quartiere. Il Capo Equipaggio venne verso di me dicendomi che si sarebbe allontanato per andare alla vicina stazione della neo costituita polizia irachena. Chiamò con sé il Carabiniere come scorta e accompagnato da qualche indigeno, scomparve alla vista tra le vie del villaggio. Mi guardai intorno, non avevo avuto modo di riflettere su cosa avrebbe comportato quell’allontanamento. A parte il grosso rischio nel dividerci, acquisivo il comando di un gruppo di 5 uomini. Cosa avrei dovuto fare? Forse semplicemente seguire l’esempio del CE e mentre i due operatori di bordo coprivano ad ore 11 e 2 e i due Operatori Forze Speciali erano intenti a controllare ore 4 e 7, io mi muovevo liberamente intorno all’elicottero. Fui subito colpito da due ragazzi che avevano uno sguardo d’odio misto a sfida nei nostri confronti. Si avvicinarono a pochi metri da me. Mi fissarono intensamente negli occhi. Senza muoversi, senza parlare. Il secondo era mezzo passo dietro a quello che sembrava più agguerrito, più spavaldo, dotato di un fisico robusto e un’espressione cupa, rude, segnata dalla cattiveria. Il secondo quasi ironico mi fece segno di inserire il caricatore, mimando il gesto con le sue mani a forma di pistola, cercai di mostrarmi impassibile per tutto il tempo di quel test, alla richieste non seppi tirarmi indietro, il caricatore che avevo nella mano sinistra era il secondo, alzai la pistola
Il “RICEVUTO” dell’operatore già mi diede quel minimo di tranquillità mentre ci stavamo avvicinando al margine di un villaggio enorme che era abitato da circa 12.000 iracheni, di diverse tribù, diverse fazioni e soprattutto di diverse idee politiche sulla coalizione! Spegnemmo il motore, ci slegammo, mi alzai dal seggiolino … e in quel momento capii … una bomba scoppiò dentro di me … adrenalina pura! Ero in mezzo all’IRAQ. Cosa dovevo fare … sicuramente capire! Rivedo ora come in un film la scena in cui la mia mano afferra la pistola e l’altra và a “scarrellare” per inserire il colpo in canna. Scendendo dalla rampa dovevo capire … la notevole quantità di adrenalina dentro funzionava, focalizzavo informazioni in tempo brevissimo, forse non ho mai conosciuto momento più lucido e reattivo nella mia vita. Mi guardai intorno, sui tetti delle case saltavano immediatamente all’occhio le nere bandiere anti-coalizione, tenute ben aperte dal vento che soffiava incessante, anche se meno intenso del solito. Magra consolazione che, comunque, non ci aiutò nelle 6 ore che passammo sotto il sole cocente. La tensione era chiaramente evidente nei volti di tutti noi, anche se cercavamo di mostrare freddezza e professionalità nei movimenti così da poter guadagnare rispetto da tutte quelle persone che da subito arrivarono ad ammassarsi attorno al velivolo. Dapprima qualche decina, poi un centinaio, fino ad arrivare velocemente a quasi 300 personaggi tra uomini, donne e bambini. Non eravamo in grado di capire se avessero o meno intenzioni ostili. Il cuore dentro di me batteva forte. 94
Ad un tratto pensieri ed azioni furono interrotte dalla voce dell’Aerosoccorritore: “ATTIVAZIONE; ORE SETTE; DUE PERSONE; DUECENTO METRI; ARMATE”. La parola ARMATE ebbe per me l’effetto di una doccia gelata. Andando verso la parte posteriore dell’elicottero si presentò una scena che sicuramente sarebbe rimasta come una foto nella mia mente. I due uomini, ormai a circa 150 metri, erano sbucati da palazzi in fondo alla via che passava accanto alla nostra piazzola d’emergenza ed avevano fucili Kalashnikov lungo il fianco. Li tenevano quasi distrattamente, come fossero oggetti folcloristici dell’immagine che dovevano dare di loro stessi, come ombrello e bombetta per un inglese. Cosa fare?! Se dimostravano tutta quella spavalderia nel giungere in prossimità di un gruppo, anche se esiguo, comunque vistosamente armati, voleva probabilmente dire che avevano la sicurezza, o l’incoscienza, di una nostra sicura non possibile reazione. Interpretai il messaggio, pensando che non accorgendocene avevamo già intorno gente armata pronta a farci la festa. Non saprei dire se ero realmente pronto ad uno scontro a fuoco! Una luce di speranza squarciò quella densa nebbia di dubbi ed angosce. Al braccio dei due era ora possibile notare una fascia nera, simbolo della neo costituita polizia irachena che ancora non disponeva delle adeguate divise. Ci attaccammo a quella flebile speranza che fossero “amici”. Uno dei due OFS disse: “Tenè, li vada a riconoscere”, ossia... toccava a me andare incontro ai due e scoprire se appartenevano ai buoni o ai cattivi. Scortato da uno dei due Aerosoccorritori OFS, che apparivano professionali e tranquilli (tranquillità tra l’altro trasmessa involontariamente anche a me), mi avvicinai agli ospiti. L’altro Aerosoccorritore era posto a protezione, a debita distanza, mentre i due OB facenti funzione di mitraglieri, coprivano la parte anteriore. I nostri sguardi incrociandosi studiavano i movimenti. Le movenze non sembravano
impugnata nella destra mostrando il caricatore inserito. La mia espressione non cambiò, ma dentro l’orgoglio esplose per aver dimostrato a me stesso freddezza a quella richiesta di sfida, eravamo pronti a tutto … o quasi. Dovevamo incutere rispetto proprio per non doverlo guadagnare con uno scontro reale, dove probabilmente avremmo avuto la peggio. Ogni tanto sentivamo furgoni che si avvicinavano a velocità sostenuta “clacsonando” all’impazzata, la gente si scansava velocemente e la paura di un’eventuale raffica da arma da fuoco era forte. Fortunatamente in tutti i casi erano ragazzi che giocavano o che mandati da qualcuno venivano a controllare la situazione. Ormai era passata più di un’ora da quando il CE si era allontanato e ancora non avevamo alcuna notizia. I bambini prendevano coraggio e si avvicinavano sempre più insistentemente, stavamo perdendo il controllo sulla massa di gente che ci
circondava. I contatti radio erano ancora inesistenti e l’unico collegamento con il nostro mondo era il ripetersi del tono del beacon selezionato sulla radio portatile alla quale avevo concesso un minimo di volume sia per verificare il continuo funzionamento, sia perchè in quella situazione non sembrava il solito rumore fastidioso ma un messaggio che chiedeva per noi continuo aiuto. Un C-130 inglese riportò alla torre dell’aeroporto di Tallil ricezione e posizione approssimativa. Non fu corretta, ma almeno scoprimmo che funzionava. 95
Non parlavano inglese. Con qualche gesto improvvisato, grazie alla mimica tipica italiana, riuscimmo a comunicare. In breve intuimmo che erano stati inviati dalla caserma di polizia probabilmente dopo un positivo contatto avvenuto con i due in avanscoperta. Passò altro tempo, forse mezz’ora, il CE con al seguito il Carabiniere ed un piccolo gruppetto di gente, riapparve come un miraggio dalle assolate vie di quel villaggio sede del nostro provvisorio “rischieramento“. Ci riportò brevemente di come era stato accompagnato verso la stazione di polizia, dei rischi corsi e del vano tentativo di comunicare posizione ed esigenze alla base. Mentre le parole fluivano rapide per descrivere i particolari, alcuni bambini ci corsero incontro mimando macchine in arrivo. Non capimmo subito ma ci volevano avvertire della colonna di mezzi che ci stavano cercando. Nell’attesa socializzai con un ragazzo che aveva appena 23 anni ma, come il resto della popolazione, dimostrava almeno 10 anni di più. Conosceva un po’ di inglese e tramite quello riuscì a farmi comprendere molte cose.
ostili ma fidarsi è bene, non fidarsi... in quei casi può salvare la vita! Ormai ci separavano una decina di passi, pistola sempre in mano e scorta al seguito, intimai l’alt con un gesto severo della mano ed espressione dura che accentuava la marzialità dell’atteggiamento, provando a nascondere il battito del mio cuore, sempre più forte come un rullo di tamburi impazziti. Il primo dei due si fermò mostrandomi un tesserino che mi feci consegnare per controllarlo. Ricordai il briefing sui documenti iracheni avuto qualche tempo prima dal nucleo Intelligence: sembrava uno di quelli. Controllai attentamente quel documento, guardai lui e tornai nuovamente sul tesserino, la mia vista era talmente annebbiata dalla tensione e la mia attenzione fissata ai loro movimenti, che non riuscii a confrontare neanche la foto di riconoscimento. Quel documento poteva essere tranquillamente una tessera dell’autobus di qualcun altro e non me ne sarei accorto. Ma come spesso avviene in situazioni critiche è l’istinto ad indicare la giusta via e quei due tutto sembravano tranne che pericolosi. 96
Era un maestro elementare, la sua famiglia, tre sorelle, due fratelli, due madri ed un padre, era stata sterminata da Saddam Hussein circa 6 anni prima, così, unico superstite, era entrato a far parte della famiglia dello zio, anch’egli con qualche moglie e svariati figli. In questo clima di apparente serenità l’improvvisato interprete chiamò due ragazzi che indossavano la kefia, il classico fazzoletto che copre il volto da vento e sabbia, divenuto simbolo di scontri a carattere politicoreligioso. Mentre si avvicinavano, lui mi spiegò con incoscienza che i due avevano partecipato ai conflitti a fuoco sui ponti. Feci finta di non capire ma il mio interlocutore non capì la delicatezza delle informazioni che mi stava fornendo. Enfatizzò con la gestualità per farmi capire e per confermare il racconto, fece prima togliere la kefia ai due e poi sbottonò la camicia nera ad uno che aveva un’espressione sorridente; mi mostrò fiero delle ferite da arma da fuoco, non coperte e mal disinfettate tanto che l’infezione su di esse era chiara. La situazione divenne tesa. Non sapevo cosa fare, ma istintivamente dissi al mio traduttore che uno dei ragazzi accanto al guerrigliero somigliava ad un attore italiano. Avevo notato in precedenza che erano attratti dalle trasmissioni televisive, tanto da conoscere giocatori di calcio delle nostre squadre. L’attenzione si spostò su questo casuale quanto improbabile attore. L’atmosfera si distese e tornammo ad attendere. Due giorni dopo in quello stesso villaggio si ebbero dei sanguinari scontri tra polizia locale e ribelli. Con un brivido lungo la schiena scoprimmo che quel luogo era una polveriera di guerriglieri pronta ad esplodere.
Finalmente arrivò con non poche difficoltà l’autobotte con il carburante, permettendoci di tornare a “casa”. Non posso evitare di ringraziare tutti coloro che in un modo o in un altro si sono prodigati per risolvere una situazione che poteva tramutarsi in una notizia di cronaca nera. Ringrazio chi ha girato per le vie dell’Iraq con un mezzo pieno di combustibile in zone non proprio raccomandabili. Un plauso alla professionalità dimostrata ed al comportamento ammirabile di tutto il personale coinvolto direttamente o indirettamente che ha permesso, dopo oltre 6 ore di tirarci fuori dai problemi. Un grazie al Comandante del 6° ROA che in quell’occasione è stato molto collaborativo per la più rapida ed indolore risoluzione della parte burocratica. Il ricordo dell’evento è ancora oggi vivo dentro e, probabilmente, ha segnato un passaggio importante per il mio carattere ed il mio lato professionale. Conscio e fiero di appartenere al Reparto oggi più impegnato nella vita operativa all’estero ed in patria, ho provato con questo breve-lungo racconto a testimoniare uno dei tanti momenti in cui ci viene richiesto di dimostrare di appartenere al plurimedagliato 15° STORMO. Cap. Marco Mascari
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Continua il suo incessante lavoro l’associazione “Gente del 15°” fondata il 13 Giugno 1995 sull’aeroporto di Ciampino con l’assenso del Ministro della Difesa Domenico Corcione. L’associazione, la cui presidenza è affidata attualmente al Col. Romanini Bruno, continua nel suo intento principale di mantenere salde le gloriose tradizioni del 15° Stormo. Dalla sua fondazione l’associazione ha visto aderire numerosissimi soci appartenenti o appartenuti al nostro reparto oltre ad illustrissimi soci onorari e benemeriti.
STATUTO DELL’ASSOCIAZIONE “GENTE DEL 15°” Art 1. – COSTITUZIONE. E’ costituita l’associazione denominata “GENTE DEL 15°”. Art 2. – SEDE. L’associazione ha sede provvisoria nella località in cui ha sede il 15° Stormo. Art 3. – SCOPI. Gli scopi dell’associazione “GENTE DEL 15°” sono i seguenti: -rinsaldare e mantenere vivi lo spirito e le tradizioni del 15° Stormo; -stabilire e rinsaldare vincoli d’amicizia e di solidarietà tra coloro che sono appartenuti e appartengono al Reparto; -promuovere ed organizzare incontri tra anziani del 15° Stormo in servizio ed in congedo con i giovani che militano nel Reparto. Art 4. – APOLITICITA’. L’Associazione non ha fini politici, né fini di altro tipo oltre quelli definiti all’Art. 3. Art 5. – APPARTENENZA ALL’ASSOCIAZIONE “GENTE DEL 15°”. a. Possono iscriversi all’Associazione tutti coloro che in qualsiasi epoca siano appartenuti al 15° Stormo, alla 15^ Aerobrigata, alla R.M.L. (Ricognizione Marittima Lontana), alle Squadriglie di Soccorso Aereo. Possono essere ammessi all’Associazione quali Soci Ordinari anche coloro che, pur non essendo in FEO, abbiano prestato o prestino servizio presso il 15° Stormo sotto qualsiasi forma, sia che essi appartengano all’Aeronautica Militare sia che ad altre Forze Armate o Corpi Armati dello Stato.
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b. Per l’ammisione all’Associazione, gli aspiranti devono presentare una domanda alla Presidenza, indicando i titoli in base ai quali si richiede l’ammissione. c. L’appartenenza all’Associazione cessa nei seguenti casi: - dimissione volontaria presentata per iscritto alla Presidenza; - mancato versamento della quota sociale annuale; - espulsione, per giusta causa, da parte del Consiglio Direttivo, ratificata dalla maggioranza dei 2/3 Dello stesso Consiglio. Art. 6. – CATEGORIE DEI SOCI. I soci si dividono in quattro categorie: a. SOCI FONDATORI: sono tutti coloro che, avendo maturato alla data del 10 Giugno 1995 i requisiti di cui all’Art. 5, abbiano presentato domanda d’iscrizione entro il 20 Giugno 1995 e vengano ammessi; b. SOCI ORDINARI: sono tutti coloro che maturino il requisito in data successiva la 10 Giugno 1995 e vengano ammessi; c. SOCI BENEMERITI: sono amici e simpatizzanti che abbiano acquisito meriti rilevanti presso il Reparto. Per i Soci Benemeriti l’essere accettati nell’Associazione deve essere considerato un alto onore. La quota da corrispondere per questa categoria di Soci è fissata in una volta e mezza la quota sociale. I Soci Benemeriti non hanno titolo ad assumere cariche sociali e ad esercitare il diritto di voto in assemblea. I Soci Benemeriti diventeranno tali dopo che il Consiglio Direttivo e l’Assemblea con la maggioranza dei 2/3 abbiano ratificato le nomine; d. SOCI ONORARI: sono Personalità di rilevanza nazionale che abbiano acquisito particolari titoli verso il Reparto o verso l’Associazione; essi sono nominati con decisione del Consiglio Direttivo e con ratifica a maggioranza dei 2/3 dell’Assemblea. I Soci Onorari non versano le quote sociali. Art. 7. – ORGANIZZAZIONE DELL’ASSOCIAZIONE. a. ASSEMBLEA GENERALE. L’assemblea Generale è costituita dai Soci Fondatori e dai Soci Ordinari, i Soci Onorari possono prendere parte all’Assemblea. Essa viene convocata dal Consiglio Direttivo almeno una volta all’ anno. Le deleghe di rappresentanza ammesse sono nella misura di 2 per socio. b. PRESIDENTE DELL’ASSEMBLEA E PRESIDENTE ONORARIO. La carica di Presidente dell’Assemblea e quella di Presidente Onorario può essere attribuita dal Consiglio Direttivo a qualsiasi socio. c. PRESIDENZA DELL’ASSOCIAZIONE. L’Associazione è rappresentata legalmente dal Presidente che è coadiuvato da due Vice-Presidenti i quali esercitano tutti i poteri di cui il Presidente li abbia investiti per delega e lo sostituiscono a tutti gli effetti in caso di sua assenza od impedimento. La carica di 1° Vice-Presidente viene assunta per Statuto dal Comandante in carica del 15° Stormo. d. CONSIGLIO DIRETTIVO. L’associazione è retta dal Consiglio Direttivo composto dal Presidente, dai due Vice-Presidenti e da sei Consiglieri di cui uno assolve anche le funzioni di Segretario. Il Consiglio Direttivo rimane in carica tre anni ed i membri possono essere rieletti. La carica di 1° Vice-Presidente passa da un Comandante all’altro sotto la stessa data del cambio di Comando. Il Consiglio Direttivo svolge i seguenti compiti: - elegge il Presidente ed il 2° Vice-Presidente a maggioranza dei 2/3; - cura l’organizzazione e lo sviluppo dell’Associazione; - convoca le Assemblee; - provvede all’esecuzione delle delibere dell’Assemblea; 99
- è responsabile della contabilità; - redige la relazione finanziaria annuale da sottoporre all’Assemblea; - nomina a maggioranza il Segretario scelto tra i Consiglieri. e. GIUNTA ESECUTIVA PERMANENTE. Il Consiglio Direttivo per svolgere i suoi compiti, si avvale di una Giunta esecutiva permanente così composta: 1° Vice-Presidente, Capo Ufficio Comando, Capo Calotta, Sottufficiale più anziano in S.P.. Art. 8. – MODALITA’ PER LE ELEZIONI DEL CONSIGLIO DIRETTIVO. Le elezioni del Consiglio Direttivo avvengono nel corso dell’Assemblea Generale, salvo modalità dettate da situazioni contingenti e comunque approvate dall’Assemblea. Vengono eletti coloro che riportano il maggior numero di voti, ed in caso di parità di voti decide il sorteggio. Per il primo triennio saranno eleggibili solo i Soci Fondatori. Per i due trienni successivi il Consiglio Direttivo dovrà comprendere almeno 4 Soci Fondatori; successivamente questa norma perderà valore. La proclamazione degli eletti è subordinata alla loro accettazione. In caso di mancata accettazione, o forzata rinuncia, vengono eletti nell’ordine coloro i quali avranno riportato più voti. Per questioni organizzative potrà essere utilizzato il metodo del voto per posta con ratifica degli eletti nel corso dell’Assemblea. Art.9. – REVISIONE DEI CONTI DI GESTIONE. L’Assemblea nomina due Revisori scelti tra i Soci. Art.10. – QUOTA SOCIALE E SUA UTILIZZAZIONE. La quota sociale viene fissata di anno in anno dall’Assemblea Generale. I fondi devono essere Utilizzati unicamente per soddisfare gli scopi previsti dall’Art. 3 del presente Statuto. In caso di scioglimento dell’Associazione “GENTE DEL 15°”, sanate tutte le pendenze, eventuali fondi in eccesso verranno devoluti all’ONFA. Art.11 – DOVERI DEGLI ASSOCIATI. I soci hanno l’obbligo morale di partecipare attivamente alla vita dell’Associazione per conseguire gli scopi associativi. Essi si impegnano ad osservare lo Statuto, le norme, le regole e le disposizioni emanate da Consiglio Direttivo. I Soci sono tenuti a partecipare alle Assemblee ed a versare le quote associative entro il 31 Gennaio dell’anno a cui si riferiscono. Art.12. – ACCESSO AGLI AEROPORTI SEDE DEI REPARTI DEL 15° STORMO. I Soci previa autorizzazione del Comando di Stormo o dei Comandi di Gruppo/Centri o se accompagnati da Soci in FEO ai Reparti S.A.R., possono accedere alle aree socio-ricreative dell’ aeroporto, nonché, per i necessari coordinamenti organizzativi, agli uffici non strettamente operativi di detti Reparti, secondo le norme interne in vigore. Art.13. – MODIFICA DELLO STATUTO. Il presente Statuto può essere modificato con voto dell’Assemblea Generale assunto in conformità all’Art. 7 dell’atto costitutivo.
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…hanno collaborato Martignoni Luigi Mascari Marco Modugno Valerio Montagnolo Leonardo Natoli Filippo Palermo Andrea Perrone Daniele Pinto Dario Rossi Neville Russo Flavio Santoprete Alberto Schettini Luigi Silvestri Stefano Sinatra Dario Sorino Mario Trifance Daniele Turimello Gaspare Verginelli Fabrizio Viotto Roberto
Agnoletti Marco Alagna Massimiliano Briganti Carmine Carella Michele Carnioni Michele Carpentieri Roberto Cataldo Andrea Caucci Corrado Conti Maurizio Cotugno Domenico Crescenzi Gianluca De Micheli Roberto Di Maio Giuseppe Fattorini Daniele Francesconi Marco Gentili Maurizio Ingrosso Giovanni Invrea Tomaso Lo Cacciato Filippo Lo Giudice Francesco
si ringrazia inoltre il Centro Informazioni Geotopografiche Aeronautiche
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