Patagonio e la Compagnia dei Randagi del Sud

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Bruno Tecci

Patagonio

e la Compagnia dei Randagi del Sud

Introduzione Marco Albino Ferrari

Copertina Andrea Tentori Montalto Il Quaderno Ready Made



Il Quaderno Ready Made


Colophon ISBN 978-88-85534-02-5 Il Quaderno quadrone Il Quaderno cartone Il Quaderno Ready Made Il Grande Vetro Pubblicazioni edite da Rrose SĂŠlavy Via Carlo Santini, 6 62029 Tolentino (Mc) T 0733 971310 www.rroseselavy.org rroseselavyeditore@gmail.com Iscrizione n. 22165 del 23/03/2012 Registro Operatori della Comunicazione Progetto grafico Paolo Rinaldi

Premio Andersen 2014 per il progetto editoriale

Premio Edito-Re 2015

Premio Librinfestival 2017 miglior editore


Bruno Tecci

Patagonio e la Compagnia dei Randagi del Sud Introduzione

Marco Albino Ferrari Illustrazione di copertina

Andrea Tentori Montalto



Il forestiero arrivato ai limiti del mondo El Chaltén, paesino con le vie disposte a scacchiera e con le case dal tetto colorato, prende in prestito l’antico nome indigeno della più alta montagna della zona, oggi chiamata Fitz Roy, come il comandante del brigantino Beagle a bordo del quale il naturalista Charles Darwin navigò intorno al pianeta. El Chaltén è un avamposto sperduto ai confini del mondo, nel grande Sud dell’Argentina. Ed è base di partenza per le Ande, come Courmayeur lo è per il Monte Bianco e Cortina per le Dolomiti. A oriente si spalanca l’immensa Pampa patagonica; a occidente, oltre l’infilata degli aguzzi cerri di granito (tra i quali il mitico Cerro Torre), appare la più vasta distesa di ghiaccio della Terra (se si escludono quelle che avvolgono i due poli): il misterioso Hielo Continental. La storia di queste case sperdute nel nulla è tutta particolare e serba un germe di pura follia. Il paese venne costruito per volontà del governo argentino a metà degli anni Ottanta, quando vigeva la grande allerta tra Argentina e Cile. All’epoca i due Stati 5


vicini litigavano molto stupidamente per definire i reciproci confini sulla Cordigliera Andina, e anche più a sud nel Canale di Beagle; così, per scongiurare eventuali invasioni da parte dei cileni, gli argentini decisero di creare un centro abitato per impossessarsi del territorio e far sventolare orgogliosamente la propria bandiera azzurra e bianca sotto le bellissime montagne andine. «Qui ci siamo noi, non osate mettere piede!» voleva implicitamente dire all’Esercito cileno quel piccolo nucleo di case sorto in poco tempo. La trovata funzionò. E la cinquantina di giovani famiglie con bambini piccoli arrivate nel nulla iniziò a crescere indisturbata. Gli abitanti di El Chaltén abbellirono le loro case con il tetto colorato e iniziarono a dedicarsi all’attività più ovvia che si possa pensare in quella zona: l’accoglienza di escursionisti e alpinisti. Il Cerro Torre, il Fitz Roy, i loro compagni di granito e di ghiaccio meno famosi, le celebri lagunas, i passi che si affacciano sullo Hielo Continental, rappresentano meraviglie che ogni amante delle montagne vorrebbe contemplare almeno una volta nella vita. La presenza del Parque Nacional Los Glaciares servì da ulteriore richiamo. El Chaltén crebbe. Nel 1995 arrivarono anche i fili del telefono. El Chaltén continuò a crescere, anche grazie a nuovi alberghi (alcuni dei quali decisamente lussuosi), e alla posa dell’asfalto sulla strada d’accesso e sulla via principale, che oggi limita un po’ il problema della polvere sollevata dal vento furioso. 6


Però, El Chaltén (che nell’antica lingua dei nativi vuol dire “Montagna fumante” per via delle lunghe nuvole lenticolari disegnate dai venti sui cerri) porta ancora dentro di sé un peccato originale, la “pura follia” di cui ho fatto cenno. Venne progettato da un urbanista di Buenos Aires che pare non avesse visto il luogo dove sarebbe sorta la sua creatura. Il primo reticolo di case venne piazzato in un punto molto particolare, sul quale si scatena la violenza di un vento impietoso. Una tremenda corrente dominante chiamata Viento Patagonico, o Viento Azul. Il Viento Patagonico spira da ovest raccogliendo il gelo dello Hielo Continental e quando impatta sull’aria della Pampa, di parecchi gradi più calda, si schiaccia al suolo dove si incanala nelle strette vallette poste ai piedi dei cerri. In quelle vallette velocizza ulteriormente la sua corsa sotto l’impulso dell’effetto Venturi; perché, si sa, le strozzature accelerano la velocità dei flussi. Così il Viento Patagonico quando si sfoga su El Chaltén fa letteralmente paura. Solleva i tetti delle case, che vengono tenuti a terra da tiranti in acciaio; strappa i cespugli; fa fischiare i fili del telefono sospesi tra un palo e l’altro. E soprattutto elimina ogni forma di odore. Strano posto – verrebbe da pensare – per un gruppo di cani randagi (meglio conosciuti come la “Compagnia dei Randagi del Sud”) che, come ben noto, dell’olfatto fa la propria bussola prediletta. Si sa, l’odore guida i cani, costituisce per loro una vera 7


geografia con mille riferimenti: così avviene normalmente. Non, però, a El Chaltén, dove il vento cancella ogni traccia olfattiva come un colpo di spugna sulla lavagna. Ma c’è anche da dire che per i cani che vivono sotto al Cerro Torre e al Fitz Roy l’assenza di indizi olfattivi non rappresenta solo un fattore negativo, c’è anche il rovescio della medaglia: il maledetto/benedetto vento impedisce anche agli uomini del posto di sentire i loro odori, non sempre piacevoli. In più, i cani del luogo usano votare durante i loro Consigli per dirimere controversie facendo pipì su certi pali, e rilasciando come diretta conseguenza un’esalazione particolare che potrebbe – non si voglia mai – arrivare fino ai delicati nasi dei turisti. Onde evitare noie, meglio che il vento disperda gli acri miasmi delle loro pipì! Si assisterà, in queste pagine, alla solenne votazione del Consiglio della Compagnia dei Randagi del Sud indetta per decidere la sorte di Forestiero, il lupino buono e impavido arrivato chissà come ai limiti del mondo. In quel momento, il nostro eroe risponde al nome di Forestiero, ma come la montagna Fitz Roy, anche lui un tempo si chiamava in modo diverso. Povero Forestiero, ne ha viste di tutti i colori durante la sua esistenza su questa terra. Si potrebbe sostenere che abbia vissuto «un alternarsi di botte e coccole», come in effetti racconta Bruno Tecci. Quando era più giovane, e risiedeva sotto il Monte Bianco, accudito e allenato dal suo vecchio padrone 8


(la guida alpina più famosa di Courmayeur), il suo nome era Dente. Il suo vecchio padrone che amava le montagne lo aveva chiamato così ispirandosi alla magnifica guglia del Dente del Gigante. Erano tempi felici, quelli. Corse sui ghiacciai, grandi gite in alta quota. Una vita spensierata. Poi, la catastrofe: il suo padrone/guida alpina aveva preso il volo per l’Himalaya e, senza di lui, vivere a Courmayeur non valeva più la pena. Così ebbero inizio nuove avventure, belle e brutte. Fin quando il Nostro avrebbe trovato la via di altre montagne, stupefacenti almeno quanto il Monte Bianco: le Ande Patagoniche. Ed è laggiù, al fondo dell’America Latina, accolto dalla Compagnia dei Randagi del Sud, che il suo nome sarebbe cambiato da Dente al meno lusinghiero Forestiero. Ma questo è solo l’inizio dell’avventura che stiamo per leggere. E se i nomi ci dicono chi siamo, mutando nel tempo, come il Cerro Chaltén (la “Montagna che fuma”), poi chiamato Fitz Roy, anche il lupino nato sull’Appennino sarà destinato a un nuovo e bellissimo nome. Forse il più bello che si possa immaginare: Patagonio. Quasi come il viento furioso e salvifico in arrivo dallo Hielo Continental. Marco Albino Ferrari

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Che dei cani parlino tra di loro e manifestino sentimenti verso il mondo non ci sembra strano. Così come non ci stupisce il fatto che possano amare la montagna con lo stesso trasporto di appassionati alpinisti. Ci siamo abituati. E non abbiamo messo in atto un processo di umanizzazione alla Walt Disney. Piuttosto, siamo vittime di un fenomeno contrario. Pensiamoci bene: i nostri compagni domestici sono in grado di influenzare costantemente la nostra maniera di pensare e agire. Oggi la normalità è fatta di animali che – con i loro contenuti social – sono addirittura fenomeni mediatici, e noi giornalmente interagiamo con loro come fossero amici stretti. Instauriamo rapporti talmente forti che alla fine ci ritroviamo a parlare le loro stesse lingue, scimmiottandole, e a interiorizzarne gli stessi movimenti. Ecco allora che questa storia nata di fantasia finisce quasi per diventare reale, di cronaca. Una cronaca incalzante di una manciata di giorni qualsiasi, in un angolo di mondo in cui nascere randagi è una fortuna addirittura più grande di quella di nascere uomini.



A Nat, e alla nostra di Patagonia. B.



Tu domani sarai molto più forte, domani comincerà per te una nuova vita, ma non capirai più molte cose: non li capirai più, quando parlano, gli alberi, né gli uccelli, né i fiumi, né i venti. Dino Buzzati Il segreto del bosco vecchio



UNO Forestiero ne ha combinata un’altra. Come Ne ha combinata un’altra? Cosa ci fa ancora qui? Non gli avevamo fatto capire che doveva andarsene? Eh, lo so. Solo che poi a Luna dispiaceva. Non si era ancora rimesso in forze. E allora gli ha detto che non c’era fretta, che poteva fermarsi con noi finché non avesse ritrovato le energie e, soprattutto, trovato il passaggio giusto. Il villaggio è piccolo, siamo già in troppi, tra poco arriverà l’inverno e trovare cibo non sarà facile come ora, deve andarsene subito! Lo so, lo so. Solo che adesso si è nascosto, ed è meglio così. Forse anche noi non dovremmo farci vedere in giro per un po’. Ma si può sapere cos’è successo? 17


Prima, verso le dieci, all’uscita dal Locro, uno StupidoTurista è inciampato in Luna che sonnecchiava sul marciapiede. S’è spaventato, e come reazione istintiva le ha dato un calcione. Uno di quelli forti, con scarponi da montagna: si dice che le abbia spezzato una costola, poverina. No, povera Luna! E Forestiero era lì anche lui? Eh, sì. È balzato fuori dal muretto lì di fianco, da dietro al quale – quieto – osservava la strada senza essere visto, abbaiando nel suo modo impressionante. BellaTurista, che era insieme a StupidoTurista, s’è messa a strillare e a correre per tutto El Chaltén, mentre StupidoTurista cercava malamente di tenere a bada Forestiero rimediando un paio di morsi – non gravi eh; solo roba intimidatoria – e volando a terra. Brutta storia, non ci voleva! E non è finita qui. StupidoTurista, con la caduta, deve aver leggermente battuto il naso, o il labbro – questo riferiscono quelli di noi che erano nei paraggi e hanno più o meno assistito alla scena. Era davvero ubriaco quel cretino, non si reggeva in piedi, non è tutta colpa di Forestiero. Fatto sta che rialzandosi era una maschera di sangue. E non ti dico la AllarmataGente lì attorno! Anche BravaCameriera del Locro, accorsa subito, non poteva far altro che preoccuparsi e schie18


rarsi dalla parte dei due SpaventatiTuristi: ti immagini? Come poteva difenderci e dire Ma no, figuratevi, sono buoni, li conosco, non fanno mai male a una mosca, quando basta guardarlo da lontano Forestiero, per aver timore. Così fiero, così scuro, con quella voce e quell’accento. La situazione è complicata. Anche questa non ci voleva. Già molti Randagi vorrebbero che Forestiero lasciasse la Compagnia, visto come si sta comportando. Dobbiamo riunire il Consiglio ed essere cauti. Scopri dove si sono rintanati lui e Luna. C’è parecchio vento questa notte, non sarà facile, anche gli odori più forti volano via in un lampo. Semmai parti sottovento dall’ingresso del paese e segui la prima pista che avverti. Conosci entrambi: lui sa di terra, e pure di onde e salsedine. Lei, Luna, è la nostra Luna: sa dei boschi delle nostre parti. Vai, vai, ora vai.

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DUE Forestiero – chiamiamolo così anche noi per il momento – intima subito a Luna di mettersi a correre e di seguirlo. Ci sono PersoneSuperficiali che non hanno assistito alla scena eppure, nella confusione, non hanno avuto dubbi nell’associare tutto il sangue sul viso di StupidoTurista a un attacco brutale da parte di Forestiero. In qualche maniera i due riescono a dileguarsi velocemente anche se per Luna correre è una gran fatica: a ogni respiro più profondo sente delle coltellate nel costato. Forestiero voleva solo spaventare StupidoTurista. E ricordargli che non si può andare in giro a prendere liberamente a calci degli esseri innocui, così, come se nulla fosse. Voleva far giusto la voce grossa e scuoterlo un po’. Non si era reso conto del fatto che il soggetto, oltre che stupido, fosse anche ubriaco e malfermo. L’intuizione di Ispido comunque è giusta. Forestiero e Luna si sono diretti proprio sottovento ri21


spetto al paese: ha fatto bene a suggerire a Polvere di partire da lì con le ricerche. Ma i due già viaggiano spediti oltre l’ingresso del centro abitato, sono ora nei pressi del distributore di benzina: più che una vera e propria stazione di servizio, è un container dall’irrimediabile aspetto provvisorio appoggiato nel mezzo del nulla su quattro putrelle di ferro a mo’ di palafitta. È una struttura che quando è chiusa non offre alcun riparo dal vento, coi suoi lati lisci, senza anfratti, sollevata dal terreno più di mezzo metro; spazio sotto il quale tutte le correnti d’aria della Patagonia paiono incanalarsi e ululare. Luna sta giusto per esclamare Ma dove andiamo? Non c’è più nulla da queste parti! quando Forestiero, pochi metri dinnanzi a lei, vira bruscamente a sinistra verso il Rio de Las Vueltas e sparisce. C’è una buca, comoda e riparata, non visibile dal livello stradale, ma dalla quale si riesce provvidenzialmente a tener d’occhio tutta la zona circostante. E nella buca, un po’ di cibo ben occultato e una cenciosa coperta. È incredibile – si sorprende Luna – come lui che viene da fuori conosca questo posto mentre io, io che ormai da tanto tempo posso considerarmi una di qui, a stento mi sono spinta oltre le strade del villaggio. Un’ennesima fuga per Forestiero. Un ennesimo rifugio nel quale aspettare che si calmino le acque pri22


ma di rimettersi in moto. Cinque anni di vita. Più di tre passati muovendosi da un posto all’altro. Rifiutato e accettato. Sfortunato e fortunato. Calciato e coccolato. Dagli Appennini d’Italia alla Corsica, e poi di nuovo Italia, Genova, il Monte Bianco, e Francia, Verdon, Marsiglia. Prima di imbarcarsi senza saperlo alla volta dell’America Latina. Buenos Aires, Bariloche, El Chaltén. Luna non sa nulla di tutto ciò. Luna sa ciò che vede. Intuisce, questo sì, e di solito non fa domande, ma ora la curiosità è troppa e finirà per farle nel corso della notte. Davanti agli occhi, da un po’ di giorni, ha un lupoide dal folto pelo lucido che, con il portamento altero, la prontezza e la voglia d’azione, cerca di mascherare una stanchezza e una magrezza vecchie di mesi, forse di più. Ha bisogno di nutrirsi, tanto, e di riposarsi. Di oziare al sole di fine estate e di dormire tranquillo nelle notti che precedono la neve. I suoi occhi hanno una disillusione che pare non poter essere guarita. Luna, senza rendersene conto, lo ha amato da subito per quella mescolanza perfetta di istinto di protezione e necessità di accudimento che emana. E subito si è ripromessa di occuparsi di lui. Peccato per questa botta, che ora, nella tranquillità della buca, le provoca un dolore straziante. Prendendole tutto il corpo, fino alle zampe, facendola tremare e guaire.

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TRE Polvere non riesce a scovare i due fuggitivi. Ha seguito il suggerimento di Ispido, arrivando al bancomat e pure oltre, fino al terminal dei bus. Lì ha girato la coda e con davanti tutto il villaggio di El Chaltén – naso al vento – s’è messo a sniffare l’aria cercando una traccia. Ma niente. Non li trova. E forse, in fondo in fondo, ne è contento. Il Consiglio si esprimerebbe subito a favore della cacciata di Forestiero, influenzando i sentimenti di tutta la Compagnia, e a lui dispiacerebbe parecchio. Perché è stato l’unico, la settimana prima, quando si sentiva depresso, a stargli vicino e a ridargli vitalità. Non che ora si considerasse del tutto fuori dalla crisi. Ma la bevuta con Forestiero aveva iniziato a fargli riconsiderare tutta la vicenda. In chiave diversa. Più positiva. Il fatto d’esser stato abbandonato dopo soli due anni semplicemente perché era cresciuto troppo rispetto alle aspettative continuava a bruciargli. Che colpa ne aveva lui? Anzi, a ben vedere, per il padrone possedere un esemplare della sua stazza avrebbe 25


dovuto essere solo motivo d’orgoglio. Invece erano passati a un carlino. Ma può esserci volubilità più grande? Veramente si può passare da un levriero a un carlino? Polvere non se ne capacitava proprio. Le mode sono assurde e arrivano a influenzare la FrivolaGente anche ai confini del mondo. Ma da qualche giorno, grazie a Forestiero, si era sorpreso ogni tanto a pensare anche Chi se ne importa. Peggio per loro. Forestiero era arrivato ostentando indifferenza. Stringeva tra le fauci un cartoccio di latte. Non lo aveva degnato neanche di uno sguardo. Ogni gesto pareva casuale, eppure era perfettamente studiato. Aveva affondato i canini nella confezione forandola in due punti precisi, e aveva poi versato tutto il contenuto in una svasatura naturale del masso sotto il quale Polvere era tristemente accucciato. Mica tutti possono permettersi questo lusso. Aveva esordito dando la sensazione di parlare tra sé e sé. Sono le undici di sera, voglio bermi del latte, posso, basta. Tutto sta nel riuscire a procurarselo. Dopodiché, nessuno ti dice quando e quanto ne puoi bere. Ad esempio a te – rivolgendosi a quel punto direttamente a Polvere – a che ora ti facevano mangiare quando stavi a casa con quelli? Mah, in genere quando rientravano. Nel tardo pomeriggio. Mi riempivano una ciotola di croccantini, 26


che erano il massimo della goduria oltre che il massimo della loro attenzione. Poi si preparavano la cena, magari al barbecue. Ma di cose loro non me ne hanno mai date. E neppure di ossi. Attenzione potrebbe strozzarsi! Attenzione potrebbe fargli male! dicevano tra loro. Non sapevo ti piacessero i croccantini. Mi spiace, non ne ho. Un po’ di latte non ti va? Come no, sì! Cioè, no, i croccantini non mi piacciono. Ma allora mangiavo solo quelli, conoscevo solo quelli, e quindi mi piacevano anche se puzzavano. Invece sì che mi va un po’ di latte, grazie! Ormai di mangiare non ne ho più tanta voglia, ma un po’ d’energia non mi farebbe male. Io invece da quando sono in Patagonia ho sempre appetito. E meno male, perché ho perso parecchi chili nell’ultimo periodo. Se penso che è così facile rimediare un asado da queste parti: ci sono stati momenti nella mia vita passata in cui un pezzo di carne di maiale allo spiedo mi ha fatto piangere dalla felicità. Mangerei asado tutti i giorni. Be’, sì, in effetti. Qui la TipicaGente arrostisce talmente tanta carne che basta avere i contatti giusti e si mangia un gran bene anche noi. 27


E pensa che con questo ben di dio a te davano i croccantini! Be’, sì, in effetti: una volta provato l’asado chi è che tornerebbe indietro? Magari è ancora un po’ presto per dirlo, non sono qui da molto, ma ho girato parecchio e un posto così non l’ho mai trovato. In senso bello o in senso brutto? Sembra che qui tutto funzioni al contrario per noi. In senso bello o in senso brutto? Guardati attorno, Polvere! Ovunque nel mondo i Randagi sono brutti, malnutriti, malati. Abbandonati a se stessi. Con quell’aria bastonata. Mentre chi ha un padrone è bello, sano, pulito, pasciuto; a volte troppo. Solitamente la felicità è negli appartamenti, ai guinzagli nei parchi, coi dog-sitter. Mentre l’infelicità è vagabonda. Qui no. I più brutti e imbruttiti di noi sono quelli che hanno un padrone. Sono cagionevoli, grassi e col pelo opaco. Patiscono il vento e l’umidità. Non possono correre a lungo perché il loro cuore e i loro polmoni non sono in grado di sostenerli. Sono soli, tristi, tristi come lo sono i PoveriCarcerati. Perché dalle sbarre vedono il mondo fuori, sconfinato e invitante. 28


E vedono noi che insieme ce lo godiamo, liberi come l’aria. Belli come il sole. Dici? Io non mi sentivo proprio così quando stavo… Ma guardati adesso: hai deciso di non mangiare eppure scommetto che sei molto più in forma di allora. Hai deciso di passare la maggior parte del tempo rintanato qua sotto, lontano da tutti, eppure non c’è CuriosoTurista o SimpaticoAbitante di El Chaltén o SpensieratoBambino che passando di qui riesca a resistere dal farti una carezza, portarti qualcosa, o farti giocare un po’. Sì, questo è vero… Nella vostra Compagnia siete tutti di una bellezza sfacciata. Una bellezza sana che non ha nulla a che vedere con le razze, col pedigree, o con la pulizia del pelo. Be’, dopo un po’ di generazioni di vita randagia magari si diventa ufficialmente di razza “Randagia”! Ehi! ehi!, senti un po’ qui, era una battuta? Ti è tornato il senso dell’umorismo? Bravo! Comunque ne devi fare di strada prima di avere il pedigree di Randagio. Sei appena uscito di “prigione”! Forestiero e Polvere erano andati avanti a chiac29


chierare fino all’alba, bevendo latte e rimanendo ben riparati dal vento e dalla polvere che – erano d’accordo – poteva anche arruffare i loro mantelli, ma non sarebbe mai riuscita in alcun modo a intaccare la loro bellezza di esseri liberi, forti, felici. A proposito – aveva chiesto Forestiero – perché ti hanno ribattezzato proprio Polvere? Come ti chiamavi prima? È evidente quanta poca fantasia abbiano i miei ExPadroni che ora hanno chiamato un carlino sovrappeso Gordo. Mi avevano battezzato Flaco, perché pensavano fossi un greyhound puro e che sarei venuto fuori magro e slanciato. In realtà mio papà doveva essere un molosso tipo dogo che evidentemente ha influenzato non i miei lineamenti di base, e neppure il mio carattere, ma la mia taglia e la mia prestanza. È stato Ispido a ribattezzarmi Polvere. Mi ha trovato che ormai ero molto vicino alla morte. È quasi inciampato in me. Non mi ha visto, neppure lui che è sempre così all’erta, perché ero un tutt’uno polveroso col terreno del bordo stradale che dalla Ruta 40 porta fin qui. Mi avevano scaraventato lì senza preavviso direttamente dal cassone di un pick-up in corsa. Mi sono fatto un gran male e ho perso i sensi. Non so quanto tempo è passato prima che riacquistassi conoscenza. Ma a quel punto ero talmente debole e indolenzito anche nel cuore che avevo deciso di lasciarmi andare. Quando è 30


arrivato Ispido non mangiavo né bevevo da tre giorni. Sembravo polvere, non solo fuori: lo ero anche dentro. Un rumore oltre lo steccato di fronte aveva bruscamente interrotto i loro discorsi. Willy, un irascibile barboncione domestico ribattezzato Vanesio dai Randagi, che da chissà quanto tempo osservava e origliava, era probabilmente inciampato in un ramo, e cercava di rimediare alla gaffe. Non potete andare a disturbare da un’altra parte? Qui non si riesce a chiudere occhio! La sua voce stizzita tradiva imbarazzo – per essersi fatto beccare lì come uno spione – ma anche invidia; di quella che a un certo punto, per quanto si cerchi costantemente di metterci un coperchio sopra, finisce per bollire di colpo e tracimare. Come poteva Vanesio, quella notte, chiuso lì dentro, dietro a una cancellata di ferro dalla vernice tutta scrostata, non desiderare di essere come loro? O proprio uno di loro? La vita randagia che gli avevano involontariamente sbattuto sul muso era così attraente. Nei giorni successivi Polvere aveva riflettuto parecchio sulle chiacchiere di quella notte con Patagonio. E ancora adesso, a distanza di una settimana, ci sta rimuginando su. Vorrebbe riprendere il discorso con il lupo dell’Appennino, ma per ora decide di non 31


approfondire piÚ di tanto le ricerche e di tornare da Ispido senza notizie di Forestiero e Luna. Quando arriva, pur essendo molto tardi, il Consiglio è quasi completamente riunito: sono tutti sul piede di guerra.

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