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HISTORY OF ITALIAN IMMIGRATION

FRANCESCO FOUND WORK THROUGH A FRIEND AT THE NORTON COMPANY, A FACTORY OWNED BY A SWEDISH FAMILY IN WORCESTER THAT PRODUCED GRINDING WHEELS. LUCIA WAS A HOUSEWIFE BUT LATER DURING WORLD WAR II WORKED AT A PANTS FACTORY WITH HER DAUGHTERS.

WORCESTER WAS AN ETHNICALLY DIVIDED CITY: FIRST THE IRISH SETTLED, THEN THE ITALIANS. THESE NEIGHBORHOODS WERE TOTALLY ISOLATED CENTERS AND SELF-CONTAINED, EACH BUSTLING WITH GROCERY STORES, BAKERIES, BUTCHER SHOPS, ETHNIC CHURCHES, AND EVEN THE MAFIA WHICH HELPED HOLD THE COMMUNITY TOGETHER. FRANCESCO AND LUCIA LEARNED ENGLISH THROUGH THEIR CHILDREN AND BY READING THE NEWSPAPERS; AFTERALL, IT WAS NOT THE NORM TO SOCIALIZE WITH PEOPLE OUTSIDE OF YOUR NEIGHBORHOOD.

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MY FATHER RECALLS HEARING STORIES FROM HIS GRANDPARENTS OF VARIOUS VENDORS SUCH AS THE JEWISH RAG MAN, BEN THE INDIAN MEDICINE MAN, THE ITALIAN FISH GUY, AND AN ARAB PEDDLER WHO SOLD CLOTH IN THE ITALIAN NEIGHBORHOOD. THE FISH GUY CAME AROUND EVERY DAY AND SOLD ALL TYPES OF SEAFOOD INCLUDING SQUID AND EELS WHICH HIS GRANDPARENTS BOUGHT AND COOKED. THEY MAINTAINED ITALIAN COOKING TRADITIONS WHICH EVENTUALLY EVOLVED OVER TIME DUE TO A NEW ECONOM IC MOBILITY. FOR EXAMPLE, IN SOUTHERN ITALY, LEGUMES, BEANS, VEGETABLES, AND FISH WERE STAPLES OF THE DIET. IN AMER ICA, FRANCESCO AND LUCIA ATE MORE MEAT, IN PART DUE TO THE HIGHER PURCHASING POWER, AND COOKED A LOT OF BEANS, SUCH AS LENTILS, SOUPS, PASTA, AND FISH. THEY EXPANDED THEIR MENU TO INCLUDE RICHER FOODS SUCH AS MORE NUTRITIOUS SAUCES AND MEATS. EVERYONE HAD THEIR OWN GAR DEN WHERE THEY GREW GRAPE AND PLUM TREES AND EVEN PRODUCED THEIR OWN WINE.

THE ITALIAN COUPLE LIVED IN A THREE-DECKER HOUSE WHICH WAS AN ACCOMODATION UNIQUE TO WORCESTER. IN 1921, THEIR DAUGHTER, MARY, WAS BORN. SHE AND HER SISTERS ATTENDED PUBLIC SCHOOL IN WORCESTER WHERE THEY OFTEN FACED MILD DISCRIMINATION. I RECALL MY GRANDMOTHER, MARY, ONCE SAYING THAT HER TEACHER, AN AMERICAN-BORN, CALLED HER A “GAS BAG” DUE TO THE AMOUNT OF BEANS AND GARLIC ITALIANS ATE.

FRANCESCO SOMETIMES VISITED HIS SISTER WHO HAD SETTLED IN BROOKLYN, NEW YORK.

FRANCESCO AND LUCIA EVENTUALLY PURCHASED THEIR OWN HOME, YET REMAINED LIVING IN THE ITALIAN NEIGHBORHOOD. THEIR CHILDREN BECAME EDUCATED AND PHYSICALLY MOBILE, WHERE THEY CARRIED OUT THEIR LIVES IN

One morning, a lawyer is found dead atop a parked car below the terrace of his apartment, an alleged suicide. Three months later, Martina -- a nurse who seeks to live closer to work -- rents the now vacant apartment without knowing its dark history.

Accompanied by her loyal dog Scheggia, Martina has a flair for mysteries. Though unaware of the danger that comes with solving them, she and her new friend Antonio, a local music teacher, set out to solve the mystery of the suicide. Follow them both, as they delve deeper and deeper Into the Void.

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FFilippo entrò nella stanza, senza quasi permettere alla madre di accorgersene; stringeva, con le lunghe dita sottili e di un bianco trasparente, il libro di geografia astronomica, come se volesse aggrapparsi a quegli astri lontani, che potevano - e lo sperava fin da piccolo - trasportarlo al di sopra del suo segreto dolore.

Ripassare non gli riusciva più, perché si erano insinuati, tra le orbite astrali, i pensieri ellittici del suo passato, le meteore di ricordi, che bruciavano toccando l’atmosfera della sua coscienza, le comete di sogni d’innocenza, per sempre negata.

L’interrogazione era imminente, certo più imminente della verità, che può aspettare, che esiste solamente nel momento in cui ti affanni a volerla ricostruire, ma, che per lui e, anche, sì così sospettava, per la madre, era invece già costruita e pronta ad inghiottirli, come un buco nero.

Voleva che la madre lo aiutasse a ripassare, che cosa? La scienza degli astri o l’arte del dimenticare, del trovare una spiegazione plausibile per tutto, una giustificazione accorata, nei confronti della propria forza di sopportazione o accorata per la necessità di non accusare nessuno? Era la scienza in cui, in quegli anni, lei si era dimostrata veramente dotta, al contempo adorabile e detestabile, a seconda degli umori infantili e adolescenziali del figlio, che la giudicava. La madre misteriosa, più del padre, che lei stessa copriva di mistero, proprio perché tutto gli giustificava, accontentandolo e, forse, convincendo se stessa, al pensiero di essere stata una buona moglie e madre. Doveva anche essere lui un buon marito e un buon padre: non poteva che essere il risultato di tanto accanimento su se stessa...

Quanti pensieri Filippo e non hai ancora chiesto se ti aiuta a ripassare quelle pagine...

La stanza è immersa nel buio trasversale delle persiane e dei raggi di sole, che entrano come strisce parallele di polvere poco cosmica e tanto domestica, i mobili, restaurati, un tempo, dal nonno, in noce massiccio, spiccano solenni, seri su quel pavimento di graniglia troppo umile per loro, le poltrone comode, ma non preziose, le porte, così tante per una sola stanza troppo piccola per chiamarsi sala, ma arredata come tale...e lei lì a riordinare i pensieri, sempre allo stesso posto, sempre gli stessi pensieri.

Filippo non vorrebbe disturbarla, ma ha bisogno di lei, tanto e la scusa del ripasso gli sembra buona.

Sa che poi la madre avrebbe scompigliato i bei ricci biondo cenere, dopo aver ascoltato la lezione, guardandolo negli occhi grigio azzurro, con un taglio simile agli occhi del cerbiatto, tanto limpidi, impauriti e pure tanto desiderosi di sorridere....

E lei li aveva lasciati sorridere, quasi costretti, inducendolo a non credere ai suoi ricordi di bambino, costringendolo a pensare che fosse tutto un brutto sogno e ora lui veniva a chiederle di pagare il conto, un conto di verità, o meglio di dignità e di giustizia, che lei aveva barattato anche per lui e per il fratello, per altrettanta falsa felicità - creduta dagli altri, che erano sicuri di conoscerli e di saperli sereni, se non felici-.

Nel giardino le api insidiano inutilmente il pungitopo; Natale è lontano e anche i regali di papà, sempre generosi, la mamma li guarda appena, poi, finita la sorpresa, li ha sempre riposti in una stanza disabitata della casa.

La mamma da tempo non accetta più doni da papà, non gliene fa, sta in disparte, eppure è sempre in agguato, quasi incombente, pensa Filippo, che vorrebbe parlare con il padre da solo, della sua ragazza, che lui non capisce, delle donne che, come il padre ripete spesso di non capire, lo fanno soffrire.

Anche la mamma lo fa soffrire, non sa bene come, ma lo guarda con una tristezza infinita e indefinita, non riesce più da tempo ad abbracciarlo, Filippo sente che lei si sforza di non amarlo. Ama di più il figlio minore, lo porta con sé anche nelle gite scolastiche, lo inserisce tra i suoi studenti vocianti, con lui, sì, riesce a ridere, mai con Filippo, mai con il marito, lascia spesso la stanza quando ci sono già loro due, ma è chiaro: vorrebbe che entrambi capissero. Sono loro di troppo nella sua vita, quella che lei ha sopportato per anni, in attesa di un termine, quello che lei sola e, in segreto da tutti, si è posta, pensando a quando si accomiaterà da quella scena e non si volterà più a guardare né Filippo né il padre. E’ quasi sicura di saperlo fare.

Per questa incombente minaccia Filippo la odia e la teme, prova già nostalgia per la sua assenza; sì, lei è stata capace a fargli provare nostalgia presto. C’era, ma era come se lo minacciasse del suo prossimo abbandono e, allo stesso tempo, lo volesse abituare. Eppure era restata con lui, con il marito, perché? Se in quelle stanze ancora si muoveva straniera e padrona, a cosa serviva il suo vigilare?

Doveva ripassare, ma non ne aveva più voglia, pensare alla madre lo stancava e lo scoraggiava. Era una presenza imbarazzante.

Se ne stava acquattata con gli occhi chiusi, dopo essersi molto agitata, come un cane che si riposi dopo aver cercato la direzione del vento, in modo da annusare per tempo minacce e nemici: così lei riposava, sapendo di aver un olfatto poco sviluppato e un’immaginazione, che ormai era stata messa a tacere dai giochi della realtà.

Da questa realtà lei sfuggiva costantemente ogni giorno, non con le fantasie di un’artista, ma con la determinazione, forse, dell’asceta, che proclama, “non è questo il vero mondo, tutto ciò che capita è insignificante, rispetto a ciò che ci attende e la mia mortificazione è solo la risposta di fede a ciò che sarà, non qui, non ora e nemmeno laggiù e un tempo”; un’utopia della fede, ma per lei un’utopia esistenziale. Così poteva credere di essere un a priori rispetto alla sua vita, ai fatti, tanti, troppi, conseguenti, ma per lei disperatamente indipendenti dalla sua volontà, dal suo carattere. Lei non si raccontava favole, cercava solo di riconoscere quale dolore vi fosse nei suoi stessi occhi, nei suoi stessi pensieri.

così voleva che il figlio credesse…. “Non ti ha cambiato ciò che è accaduto, non ti ha toccato, non arriva fino a te se non ciò in cui credi e che vuoi: tu non ci devi credere, perché non puoi credere a ciò chenoncapisci,nonvolevi….Nullaèsuccesso,chetipossacambiare,solounqualcosadiaccidentalee fortuito, l’essenziale, Filippo, sei tu, nulla può raggiungerti; inutile parlarne, perché allora le tue parole daranno consistenza, cercherai motivazioni e attenuanti, ti chiederai il perché e quando inizi a farlo allora i tuoi perché trasformeranno la Cosa, senza senso, in una realtà tua, a cui tu impresterai la tua mente e il tuo cuore, credendo, così, di difenderti e di allontanarla, invece solo allora, diventerà tua, ti attaccherà e ti turberà, non sarai più lo stesso.

Lascia che l’accaduto sia banale, anche se folle, come ciò che accade senza il tuo consenso, senza le tue parole, i tuoi pensieri, come la pioggia che ti bagna, ti infradicia, ti fa scivolare nel fango, ma tu non le impresti le tue domande, non cerchi spiegazioni… asciugherai e la pioggia non avrà altro potere su di te, che per l’essere stata un piccolo fatto insignificante, che non ti ha suscitato domande”.

Filippo non le aveva mai perdonato questi ragionamenti, che andavano, forse, bene per lei, solo per lei, non per lui, che non aveva neppure potuto scegliere tra le colpe del padre e il modo della madre, non già di perdonare, ma di dissanguare la realtà per non sentirla, perdendo lei stessa corpo e consistenza, fino a diventare un’ombra in quella casa, un’ombra sul muro e ti volti e non trovi chi la possa proiettare.

Tanti pensieri e Filippo deve ancora ripassare.... la madre fa un gesto di fastidio, con la mano, come a scacciare un ostacolo alla vista o al pensiero: forse per lei è la stessa cosa pensare immagini, vedere pensieri.... madre stanca di covare, come una chioccia, un unico pensiero, un unico rimorso.

Continuava a pensare a lei come alla “madre” e quasi non ne ricordava il nome, così si era anche dissolta l’identità della nonna paterna, che da anni, da sempre, era stata, forse, solo più la mamma di “A.” Era la capacità di quel tipo di figli, come lui e suo padre, prosciugare le madri del latte della loro vitalità, renderle sterili di altri pensieri, se non materni.

Eppure, per un attimo, ebbe la sensazione, quasi un’intuizione, che la madre esistesse ancora come una donna, che taceva tutto di sé, ma che esisteva imponendo agli altri, quasi solo con l’esempio, la stessa regola, di tacere tutto di sé, anzi di dire tanto, per nascondere tutto.

A Filippo le regole piacevano solo se era lui stesso a decidere: come suo padre era il gioco, la regola, il giocatore nella partita delle loro vite e, a volte, lui e il padre, si intendevano bene proprio per questo. Dovevano, a turno, accettare di essere spettatori di quel modo di vivere, essere allo stesso tempo gioco, giocatore, pedina, di fronte agli occhi dell’altro.

Così Filippo si era accordato con il padre, non con lei, che non sapeva, non voleva giocare, ma che scandiva il tempo, come un lugubre pendolo, un po’ rotto. Eppure sapeva che lei avrebbe ancora voluto abbracciarlo, come da bambino; anche se lo allontanava, la sua mente era piena di lui, di quel figlio nascosto tra le pieghe del riso del padre e della fronte corrucciata di lei, pensierosa, quasi insolente con i suoi pensieri.

Filippo non riusciva a chiederle di ripassare insieme la lezione, non riusciva a pronunciare la parola “insieme” da tanto tempo, perché lei non poteva, non voleva includere il padre di Filippo, il marito, da tempo dimenticato come il latte sul fuoco...e senti che è tardi accorrere, già è traboccato, si è incrostato ai fornelli bruciando acre. Dimenticato, come la bottiglia d’acqua nel congelatore e se vai a prenderla, sai che è scoppiata, ti tagli con i vetri e il tuo sangue congelerà presto sul ghiaccio. Dimenticato come... il gas non chiuso e, se anche non scoppia la cucina, perché certo in realtà lo hai chiuso, rimarrà come fastidioso pensiero a disturbare. Ecco, così aveva dimenticato il marito, come qualcosa, che in realtà ti allarma sempre, per cui devi essere ben vigile, ma che proprio per l’ansia che ti ispira, come le tante incombenze quotidiane, darà vita a una disattenzione incauta e ad un danno...anche se piccolo...inevitabile e irreparabile.

Così si dimenticava del marito, come del latte sul fuoco e il danno era fatto. Il marito, invece, non si dimenticava di lei, perché aveva un’ottima memoria per tutti coloro che badavano a lui, che incombevano sulla sua vita con odiosa attenzione, con rimprovero insistente. Eppure era proprio lui ad averli appesi così, sospesi sulla sua vita come quegli animaletti a carillon sulle culle dei bambini, girano lenti, al suono di una bella musichetta. Non era una musica ad accompagnare il movimento di tante figure su di lui, era un fastidioso rumore, quello dei pensieri triti di rimproveri che tutti, a suo dire, gli gettavano addosso.

Filippo non sente i pensieri del padre e della madre, in fondo è lui il loro pensiero comune, il punto di incrocio di tante tensioni, è lui la corda tesa, su cui entrambi camminano e sotto c’è il vuoto.

Filippo stanco di girare nella stanza in ombra, di perdere tempo a sogguardare la madre, che vacilla sull’immagine del marito e ha un sussulto, uno spavento come al pensiero del latte sul fuoco: si dirige verso la porta, cerca il fratello per ridere un po’ dell’ingenuità, che i tre anni in meno di lui gli lasciano: un piccolo vantaggio di felicità, a sua tutela. Il fratello, compagno di giochi, ora più serio di lui, non ha bisogno di cercare oltre lo spazio del suo sollievo. Il suo mondo è racchiuso e protetto nel cerchio della sua devozione alla madre, del suo divertimento con il padre. Filippo, invece, vive saltando tra i punti sparsi dei suoi ricordi e dei suoi timori, saltella come su scogli affioranti in mare e cadere non è pericoloso, solo fastidioso, perché sei vestito, vestito delle tue certezze, ridicole in acqua.

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