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devo prendermela con qualcuno per ottenere risultati».
Mennea deve all’Urss i suoi maggiori successi (se ne parlerà fra poco). La storia sportiva di Mennea si è intrecciata da subito con quella di Valerij Borzov, prototipo del campione fabbricato in laboratorio a Mosca, il quale vinse la medaglia d’oro di 100 e 200 alle Olimpiadi di Monaco nel 1972. In quell’occasione Mennea conquistò la medaglia di bronzo, lanciando una rivalità tutta europea che caratterizzò i primi anni 70. Ma il grande Borzov non scese mai sotto i 20 secondi sui 200 metri e si ritirò “presto”.
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La carriera di qualsiasi velocista che non si chiami Mennea dura mediamente otto anni. «Adesso sono primatista del mondo. Sono un ragazzo del sud che si è allenato tanto. Senza piste e impianti sportivi Mennea è riuscito a fare il record del mondo. Sono riuscito a farlo togliendolo a una persona a cui non volevo toglierlo, cioè a Tommie Smith, il quale ha detto che questo sport è umile e io sono partito con umiltà ed è venuto fuori questo record». Così disse Pietro Paolo Mennea da Barletta, cinque minuti dopo aver corso i 200 metri in 19 secondi e 72 centesimi.
Le Olimpiadi erano il tallone di Achille di un campione così immenso da scusarsi, subito dopo avergli strappato il record del mondo dei 200, con il leggendario Tommie Jet Smith, sì quello del pugno guantato Black Panter ai giochi olimpici di Messico. «Il mio record sui 200 metri non avrebbe potuto batterlo alcuna persona migliore di lui. Era un uomo vero, non era un blu » rispose grato per l’omaggio il campione statunitense, che di Mennea sarà amico per tutta la breve vita.
«Adesso sono primatista del mondo. Sono un ragazzo del sud che si è allenato tanto. Senza piste e impianti sportivi Mennea è riuscito a fare il record del mondo. Sono riuscito a farlo togliendolo a una persona a cui non volevo toglierlo, cioè a Tommie Smith, il quale ha detto che questo sport è umile e io sono partito con umiltà ed è venuto fuori questo record». Così disse Pietro Paolo Mennea da Barletta, cinque minuti dopo aver corso i 200 metri in 19 secondi e 72 centesimi.
Eppure mancava ancora un titolo per rendere immortale la leggenda di Mennea. Ogni volta che arrivava l’anno delle Olimpiadi problemi fisici e “politici” si abbattevano sull’atleta pugliese, odiato dai dirigenti Fidal per la sua schiettezza ma da questi pressato, oltre il sostenibile, per regalare un trofeo all’Italia. Terzo a Monaco, quarto a Montreal, dove non voleva correre perchè fuori forma … ma la Fidal lo costrinse a scendere in pista. Mentre sta per arrivare l’appuntamento con Mosca gli Usa, rompendo la tradizione di De Coubertin, praticano il boicottaggio dei giochi olimpici e così Mennea rischiò di non correrla quella finale.
Alla fine si presentano sui blocchi di partenza in otto. Tutta l’Italia sportiva seguì quella gara con lo stesso trasporto che di solito si dedica al calcio. L’a etto era tanto: a di erenza della Fidal gli sportivi volevano quell’oro proprio per Mennea (non per il medagliere italiano) perchè lo meritava, perchè era il più forte di sempre, perchè avrebbe vinto contro tutto e tutti, contro l’ostilità sciocca dei dirigenti della federazione dell’atletica. A fronteggiare Mennea il fortissimo velocista inglese Alan Wells, che ha appena vinto la medaglia d’oro sui 100 metri piani, gara da cui Mennea era stato eliminato in batteria. Si parte: Wells in corsia 7 e Mennea in corsia 8, la più esterna.
Chi ha vissuto quel momento lo ricorda nei particolari: un pomeriggio d’estate che introduceva con dolcezza la sera, mutando i colori del cielo. D’improvviso nelle case di tutta Italia si fece silenzio.
Lo sparo dello starter rimbombò direttamente nelle strade grazie alle finestre aperte con i televisori accesi. Su qualche balcone, come accade soltanto per la nazionale di calcio, si vedevano bandiere italiane. A di erenza del calcio nella corsa c’è poco da capire: chi sta davanti vince chi sta dietro perde. E Mennea stava dietro. Stava dietro due metri a metà gara, a metà curva. Nemmeno stavolta ce la fa.
Pietro accelera sempre di più e ci alziamo tutti in piedi a casa, sbigottiti nel vedere la frequenza di quella falcata incazzata che grida «e no e no, non stavolta», che si mangia la pista recuperando centimetro dopo centimetro.
Silenzio, rispettoso silenzio. Furono 20 secondi che sembrarono 20 minuti. Il rettilineo. Trenta centimetri, venti, dieci. A tre metri dal traguardo Mennea e Wells sono appaiati.
Accadde allora. A casa mia, come in tante altre, con i vecchi televisori a valvole che stavano per finire per sempre in cantina. In quel momento papà diede un colpo al lato sinistro del televisore, alle spalle di Mennea, come a spingerlo, gridando «Dai Pietro!». E Pietro sentì la spinta. Sentì mio padre, sentì i tifosi che in tutta Italia davano un colpo al televisore per spingerlo, per festeggiare con lui la vittoria di chi “la vita” voleva perdente ma era in grado di ribaltare il pronostico. Io non so se quei colpi al televisore siano completamente estranei ai 2 centesimi di secondo con cui Mennea superò Alan Wells suggellando la medaglia d’oro con l’ormai suo classico dito alzato in cielo in polemica con l’infinito.
Mennea vinse. Vinse perchè aveva deciso di vincere in quanto essere umano che si ribella alle avversità, che si ribella al doping e che si ribella allo sport come business economico.
e nessuno ha mai recuperato 5 decimi negli ultimi cento metri dei 200 piani.
L’anatema delle Olimpiadi si era dunque nuovamente abbattuto sulla Freccia del Sud? Perchè due metri di vantaggio nei 200 metri sono una barriera invalicabile, sono circa 5 decimi di secondo di distacco e nessuno ha mai recuperato 5 decimi negli ultimi cento metri dei 200 piani.
Mio padre fece allora qualcosa che – seppi ma ti porti dentro fin da quando bambino ti
Mio padre fece allora qualcosa che – seppi in seguito – molti altri fecero pari pari. Si alzò e andò verso il televisore dicendo contro ogni logica «ce la fa, ce la fa». Perchè in quel momento Pietro ingranò la marcia dei giusti, quella dove non sono i muscoli a sostenerti ma lo spirito di rabbia e lotta che ti porti dentro fin da quando bambino ti danno del terrone e ti escludono dai giochi.