IN QUESTO NUMERO
I dati più recenti sull’epidemia di Aids ci dicono che l’Africa Subsahariana rimane la regione del mondo più colpita. Nel 2008 il 67% dei casi di infezione e malattia si registra in Africa Subsahariana, il 72% delle morti si verificano in questa regione. La contabilità di questa malattia in Africa Subsahariana è tanto tragica, quanto poco considerata: 22,4 milioni è il numero dei sieropositivi, 1,9 milioni sono le persone che si sono infettate nel 2008, 1,4 milioni è il numero dei decessi nello stesso anno. 14 milioni sono i bambini rimasti orfani di uno o entrambi i genitori. Questi terribili numeri non parlano di una tragedia (nella tragedia): quella della condizione delle donne e delle ragazze, molto più colpite degli uomini, in un rapporto di 6 a 4. Nelle fasce di età più giovani la condizione di svantaggio di genere è ancora più evidente: le ragazze di età tra 20-24 anni hanno una probabilità 5,5 volte superiore di contrarre l’infezione rispetto ai loro coetanei maschi. Alla base di questa sconvolgente iniquità sta la condizione di svantaggio sociale, legale e economico delle donne africane, che le espone indifese a varie forme di violenza, inclusa quella sessuale. Anche all’interno del matrimonio. In Uganda si stima che il 43% delle nuove infezioni avvenga tra coppie stabili, “a basso rischio”, in cui un partner è positivo e l’altro è negativo. Come prevenire l’infezione dell’altro partner, quello siero-negativo? Il primo editoriale di questo numero mette a confronto questo problema (che riguarda la vita di milioni di esseri umani, in particolare di milioni di donne) con le tradizionali posizioni della Chiesa cattolica contrarie all’uso del preservativo, confermate dalle dichiarazioni di Papa Benedetto XVI nel corso della sua prima visita in Africa. «Conseguentemente continua a trovare applicazione, per i medici e per il personale che opera presso le strutture sanitarie, il divieto di segnalare alle autorità lo straniero irregolarmente presente nel territorio dello Stato che chiede accesso alle prestazioni sanitarie». Quest’affermazione si trova nella circolare 12/09 del 27 novembre 2009 del ministero dell’Interno. Un chiarimento doveroso da parte del governo. Una vittoria della “società civile”, di tutti quei movimenti (“Noi non segnaliamo”) che si sono strenuamente battuti – dopo l’approvazione del pacchetto sicurezza (vedi editoriale “La criminalizzazione dei migranti”) – perché fosse rispettato il dettato costituzionale che garantisce a tutti gli individui (anche agli immigrati irregolari) il diritto alla salute. Promuovere la salute globale, la salute per tutti, è una questione di giustizia sociale. Gran parte di questo numero è dedicata al tema della salute globale, con contributi focalizzati su: l’insegnamento della salute globale in ambito universitario, la formazione continua, la cooperazione sanitaria internazionale e la mobilitazione di risorse umane e finanziarie.
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/ medici con l’africa cuamm
/ index
D/ dialogo
PAG. 6
L’ABC DELLA PREVENZIONE DELL’AIDS
PAG. 9
LA CRIMINALIZZAZIONE DEI MIGRANTI Testo di / Marco Ferrero
Testo di / Gavino Maciocco PAG. 8
G20, G8, G20 ETC... Testo di / Giovanni Putoto
PS/ politica sanitaria
PAG. 14
PAG. 27
SPECIALE EQUAL OPPORTUNITIES FOR HEALTH: ACTION FOR DEVELOPMENT
IL RUOLO DELLA COOPERAZIONE SANITARIA INTERNAZIONALE NELLA PROMOZIONE DELLA SALUTE GLOBALE
Testo di / Elisabetta Bertotti, Serena Foresi PAG. 15
L’INSEGNAMENTO DELLA SALUTE GLOBALE NELLE FACOLTÀ DI MEDICINA E DI SCIENZE UMANE Testo di / Angelo Stefanini, Adriano Cattaneo, Gavino Maciocco, Chiara Bodini, Martino Ardigò PAG. 20
LA FORMAZIONE CONTINUA SUI TEMI DELLA SALUTE GLOBALE Testo di / Maye Omar, Giovanni Putoto
Testo di / Fabio Manenti, Agostino Paganini PAG. 31
STRATEGIE PER MOBILITARE E SOSTENERE RISORSE FINANZIARIE E UMANE PER PROMUOVERE LA SALUTE GLOBALE Testo di / Jean Pierre Unger, Patrick Van Dessel
CS/
cooperazione sanitaria
N/
i numeri della salute
PAG. 42
PAG. 68
TECNOLOGIE APPROPRIATE IN AFRICA
DISEGUAGLIANZE NELLA SALUTE
Testo di / Massimo La Raja, Roberto Musi, Luca Diamanti, Giorgio Pellis
R/ A/
rassegna
afrinews
PAG. 72 PAG. 52
AGENDA / GUINEA BISSAU CONGO GABON MAURITANIA NIGERIA SUDAN
LO ZIMBABWE AI TEMPI DEL COLERA Testo di / Nicolò Giusti PAG. 74
FOCUS / SUDAFRICA
SETTIMANA DEL BREASTFEEDING: L’ALLATTAMENTO ESCLUSIVO AL SENO
Testo di / Maurizio Murru
Testo di / Fabio Manenti
Testo di / Maurizio Murru PAG. 58
O/ osservatorio
PAG. 62
MALATTIA DI CHAGAS (TRIPANOSOMIASI AMERICANA) Testo di / Giovanni Baruffa
X/ D/ nome dialogo rubrica
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/ medici con l’africa cuamm
/ dialogo
L’ABC DELLA PREVENZIONE DELL’AIDS A proposito delle dichiarazioni di Papa Benedetto XVI nel corso della sua prima visita in Africa In Africa molta parte della diffusione dell’Hiv avviene all’interno, e non al di fuori, del matrimonio, da mariti infetti che hanno rapporti non protetti con le loro mogli. Se i preservativi non sono disponibili, queste donne sono costrette a fare la scelta “impossibile” tra rifiutare di avere rapporti sessuali con i propri mariti (rischiando di essere stuprate) e consentire di fare sesso (rischiando di rimanere infettate).
Testo di / Gavino Maciocco / Dipartimento di Sanità Pubblica, Università di Firenze
Nella sua prima visita in Africa Papa Benedetto XVI, il 17 marzo scorso, ha rilasciato un’intervista nel corso della quale, a proposito dell’epidemia di Aids, ha affermato che questa «non si può superare con la distribuzione dei preservativi che, anzi, aumentano i problemi». La frase (successivamente ritoccata nel bollettino ufficiale della Santa Sede: «non si può risolvere il flagello con la distribuzione di profilattici: al contrario, il rischio è di aumentare il problema») ha suscitato immediate critiche da parte di governi (Francia, Germania, Belgio, Spagna) e di vari organi di stampa. Il New York Times gli ha dedicato un editoriale in cui si legge: «Il Papa non merita ascolto quando distorce i risultati della ricerca sul valore dei preservativi nel rallentare la diffusione del virus dell’Aids» 1 . Anche la letteratura scientifica internazionale non ha ignorato le dichiarazioni del Papa. Lancet gli ha dedicato un breve, caustico editoriale 2 (a partire dal titolo: “Redemption for the Pope?”) che si conclude così: «Quando qualunque persona influente, sia essa un leader religioso o politico, fa un’affermazione scientificamente falsa che può avere effetti devastanti sulla salute di milioni di persone, questa dovrebbe ritrattare o correggere la linea. In mancanza di ciò da parte di Papa Benedetto, si tratterebbe di un immenso disservizio nei confronti della popolazione e di coloro che si occupano di salute pubblica, incluse le molte migliaia di cattolici che lavorano senza posa per cercare di prevenire la diffusione dell’Hiv nel mondo». Al di là delle polemiche del momento, la questione merita una riflessione seria e attenta, perché accanto agli aspetti strettamente dottrinari della Chiesa cattolica (che meritano il massimo rispetto), vi sono altri aspetti che attengono al ruolo che la sanità pubblica deve svolgere in difesa della salute della popolazione (che richiedono altrettanto doveroso riconoscimento).
1 / LE REAZIONI ALLE DICHIARAZIONI DI BENEDETTO XVI
Riguardo al tema specifico della lotta contro l’Aids, occorre partire dalla strategia universalmente condivisa, che – approvata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite del 2001, dedicata interamente al tema dell’Aids – si riassume nell’acronimo ABC - A= Abstinence, B= Be faithful, C= Condom. Le modalità per contrastare la diffusione dell’infezione da Hiv sono – secondo le evidenze scientifiche – l’astinenza sessuale, la fedeltà coniugale e l’uso del preservativo. Tale strategia ha confermato nel tempo la sua efficacia e a conferma di ciò stanno i casi di successo nel controllo dell’epidemia che si sono registrati in paesi a medio e basso livello di sviluppo, come la Tailandia e l’Uganda. In Tailandia, dove l’epidemia è diffusa prevalentemente tra i soggetti ad alto rischio (sesso a pagamento), il declino della prevalenza dell’infezione è stato attribuito soprattutto al diffuso utilizzo del preservativo, divenuto obbligatorio nei bordelli. In Uganda, dove l’epidemia è generalizzata e i meccanismi di trasmissione sono molteplici, il successo nel suo controllo è stato attribuito all’applicazione di tutti e 3 gli elementi della strategia ABC: a) il differimento dell’attività sessuale tra i giovani, b) la riduzione dei partner tra coloro che non hanno relazioni monogamiche, c) l’incremento dell’uso del preservativo soprattutto tra i gruppi ad alto rischio e tra i portatori di Hiv. Tra i vari studi che hanno analizzato il fenomeno, alcuni hanno enfatizzato più l’effetto dei fattori A e B 3 , altri l’effetto del fattore C 4 . Un recente articolo basato su un’ampia revisione della letteratura 5 è arrivato alla conclusione che la riduzione del numero dei partner sessuali sarebbe il fattore principale nel controllo della propagazione del virus nella popolazione, ma un maggiore uso del preservativo avrebbe contribuito a ridurre ulteriormente la trasmissione fra chi ha continuato a mantenere relazioni sessuali occasionali con vari partner. Il preservativo avrebbe quindi giocato un ruolo importante laddove i messaggi di astinenza e fedeltà hanno fallito. L’uso del preservativo ha registrato, soprattutto dal 1995, un significativo incremento tra coloro che avevano relazioni sessuali occasionali, mentre viene minimamente praticato nelle relazioni coniugali (solo l’1,9% delle donne sposate dichiara
2 / UGANDA E TAILANDIA. 2 ESEMPI DI SUCCESSO
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/ dialogo
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di usarlo)6 . Così la monogamia diventa una trappola mortale per le donne fedeli, sposate con mariti infedeli infettati da Hiv. Questa questione è trattata in un articolo del Bmj (British Medical Journal) a proposito della posizione papale su preservativi e Hiv 7. «Sarebbe una benedizione se Benedetto XVI smettesse di sostenere politiche che mettono in pericolo la salute delle persone più bisognose del mondo», scrive D. Kamerow, che affronta vari aspetti della questione, tra cui quello della monogamia, indicata dalla Chiesa, insieme all’astinenza, la via maestra per prevenire l’Aids. «Questa posizione, afferma l’autore, ignora la realtà della vita familiare in Africa Subsahariana. Dove molta parte della diffusione dell’Hiv avviene all’interno, e non al di fuori, del matrimonio, da mariti infetti che hanno rapporti non protetti con le loro mogli. Se i preservativi non sono disponibili, queste donne sono costrette a fare la scelta “impossibile” tra rifiutare di avere rapporti sessuali con i propri mariti (rischiando di essere stuprate) e consentire di fare sesso (rischiando di rimanere infettate)». È ben nota la posizione della Chiesa contro il preservativo, afferma Kamerow, ma ci potrebbe essere una soluzione all’apparentemente irrisolvibile conflitto tra uso dei preservativi e prescrizioni religiose. La soluzione potrebbe essere nel separare le finalità preventive delle malattie dagli effetti contraccettivi. C’è un precedente al riguardo: molti medici e ospedali cattolici prescrivono contraccettivi orali non per evitare le gravidanze ma per trattare i disturbi mestruali. Al pari, conclude Kamerow, non sarebbe così traumatico da parte della Chiesa cattolica ammettere tacitamente l’uso del preservativo come parte di un ampio programma di prevenzione, per ridurre la diffusione dell’Hiv, anche se solo all’interno del matrimonio.
1 Editorial, The Pope on condoms and Aids, www.nytimes.com, March, 17, 2009. 2 Editorial, Redemption for the Pope?, Lancet 2009; 373:1054. 3 E.C. Green, D.T. Halperin, V. Nantulya, J.A. Hogle Uganda’s Hiv prevention success: the role of sexual behavior change and the national response, Aids Behav 2006; 10: 347-50. 4 M.J. Wawer, R. Gray, D. Serwadda, et al., Declines in Hiv prevalence in Uganda: not as simple as ABC. 12 th Conference on Retroviruses and Opportunistic Infections; Boston, MA, USA; Feb 22-25, 2005. Paper number 27LB.
5 D. Kirby, Changes in sexual behaviour leading to the decline in the prevalence of Hiv in Uganda: confirmation from multiple sources of evidence, Sex Transm Infect. 2008 Oct; 84 Suppl 2:ii35-41. 6 E.M. Murphy, M.E. Greene, A. Mihailovich, P. Olupot-Olupot, Was the “ABC” Approach Responsible for Uganda’s Decline in Hiv?, Plos Medicine 2006, Vol. 3, Issue 9, e379. 7 D. Kamerow, The papal position on condoms and Hiv, BMJ 2009; 338:745.
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G20, G8, G20, ETC… Per l’aiuto allo sviluppo tante promesse, di concreto niente Che ne è stato degli Obiettivi del Millennio? Che fine hanno fatto gli impegni per l’Africa presi al G8 di Gleneagles? Che futuro avrà il fondo globale per la lotta all’Aids/Tb/Malaria? Ci sarà o no un fondo globale per il rafforzamento dei sistemi sanitari? E la copertura universale promessa ai poveracci del mondo?
Testo di / Giovanni Putoto / Medici con l’Africa Cuamm / Italia
SO WHAT? E ALLORA?
Aprile 2009, G20 di Londra: promessi 1 trilione di dollari ai paesi poveri per fronteggiare la crisi economica. Luglio 2009, G8 dell’Aquila: promessi 20 miliardi di dollari, in particolare all’Africa per evitare che la fame mieta altre vittime. Ottobre 2009, G20 di Pittsburgh: i capi di stato chiedono alla Banca Mondiale di istituire un fondo globale per la gestione dei 20 miliardi impegnati all’Aquila. Si alza una cortina fumogena sempre più fitta attorno ai summit. Nuovi slogan si impongono all’attenzione pubblica: economia verde, etica pubblica, finanza sociale, sussidiarietà fiscale. Cangianti anche le sigle dell’architettura globale: G6, G7, G8, G14, G20, G4, G2 con le quali si cerca di conferire una patina di solennità alla portata – storica, ovviamente – degli eventi. Grandi spazi televisivi e generosi approfondimenti sono dedicati alle affascinanti toilette delle first ladies e alla minuziosa descrizione di favolosi e irraggiungibili menu. Non c’è dubbio: un tocco di mondanità aiuta sempre. So what? E allora? Allora cosa? Insomma: cosa ne è stato degli obiettivi del Millennio? Che fine hanno fatto gli impegni per l’Africa presi al G8 di Gleneagles? Che futuro avrà il fondo globale per la lotta all’Aids/Tb/Malaria? Ci sarà o no un fondo globale per il rafforzamento dei sistemi sanitari? E la copertura universale promessa ai poveracci del mondo? Cosa è stato deciso di tutto questo? Poco, pochissimo, di concreto niente. Derubricata, assente, sconosciuta ai più, la salute globale è travolta dai temi finanziari ed economici. Travolta e annichilita. Con 18 trilioni di dollari versati dai contribuenti pubblici il circuito bancario (occidentale) in un solo anno ha ricevuto più denaro di quanto ne abbiano ottenuto i paesi poveri negli ultimi 49 anni 1 . Bastasse. E tutto il lavoro preparatorio che è stato fatto? I World Health Summit? La dichiarazione di Tokaido? Le analisi econometriche della Task Force on innovative International Financing for Health System? Gli ostinati e pungenti editoriali del Lancet? Il rapporto degli esperti del G8 dell’Aquila sulla promozione della salute globale? Si frughi nelle borse di Eta Beta degli sherpa, qualcosa si troverà. Non cercate nelle agende politiche. Sono vuote. Meno male che c’è l’Italia, però. Spiazzante la sua proposta sulla de tax. Una deduzione fiscale applicata all’iva per scopi di solidarietà. Se applicata, genererebbe, secondo gli esperti, 1 miliardo di dollari all’anno 2 . Una leccornia in tempi di magra. E poi, avanti tutta con il coinvolgimento di privati, imprese, fondazioni e cooperazione decentrata. I messaggi e le parole d’ordine sono chiarissimi e martellanti: “fare sistema”, “efficacia”, “governance”, “lotta agli sprechi e alla corruzione”. L’opinione pubblica va rassicurata. Si fa sul serio. Anche con gli africani. So what? E allora? Che ne è delle promesse del governo di rispettare gli impegni internazionali sul finanziamento dell’aiuto allo sviluppo 3? E la riforma della cooperazione si fa o no? E del 5 x mille da devolvere alle organizzazioni non governative per progetti di cooperazione? E dei tempi di rimborso dei progetti completati ere glaciali addietro? Ancora poco, pochissimo, di concreto niente. L’aiuto pubblico allo sviluppo con solo il 3% delle promesse mantenute. La riforma della cooperazione è una chimera. Il 5 per mille è bloccato al 2006. Scordatevi i rimborsi in tempi brevi dei progetti. Devono sottostare agli scervellati bizantinismi contabili della ragioneria. Non preccupiamoci. Ci rimane la cultura del bel paese. Abbondano i convegni sull’enciclica papale Caritas in Veritate. Studiosi, uomini di governo, teologi e ricercatori affollano i parterre per celebrare le novità e l’evoluzione della dottrina sociale della Chiesa. Economia del dono, sussidiarietà fiscale, imprenditorialità responsabile, aiuto allo sviluppo e crescita economica per tutti sono i temi che più accendono i dibattiti e i confronti… So what? E allora? Allora mi dispiace. Sarà per un’altra volta.
MENO MALE CHE C’È L’ITALIA
1 UN Millennium Campaign press release, 23 June 2009. 2 http://www.internationalhealthpartnership.net/en/taskforce/ background_documents
3 Bob Geldof “Presidente, si ricorda la promessa?” La Stampa, 24 Settembre 2009.
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LA CRIMINALIZZAZIONE DEI MIGRANTI Gli effetti della nuova politica migratoria italiana La nuova politica migratoria non si pone di certo come un elemento di stabilizzazione e di tutela delle persone, ma al contrario ne aumenta le disuguaglianze e la discriminazione in base alla provenienza. E tali disposizioni, con l’esasperazione dell’uso emblematico della sanzione penale, costituiranno di per se stesse un ulteriore fattore criminogeno.
Testo di / Marco Ferrero / Avvocato ASGI, Professore a contratto di Diritto dell’Immigrazione all’Università Ca’ Foscari Venezia
La politica migratoria italiana, nel corso di tutte le precedenti legislature, ha evidenziato consistenti limiti di efficacia e programmazione, se è vero che in poco più di vent’anni dal primo provvedimento legislativo in materia (l. 943/1986), il nostro paese ha conosciuto ben 6 sanatorie, succedutesi con cadenza quasi perfettamente olimpica, di 4 anni in 4 anni, fino ad oggi. La tendenza crescente a privilegiare la prevenzione e la repressione dell’immigrazione irregolare senza puntare prioritariamente ad un ampliamento realistico degli ingressi regolari per lavoro e all’integrazione sociale degli stranieri regolarmente soggiornanti si è dunque rivelata un fallimento. Le nuove norme “sulla sicurezza”, adottate in materia di immigrazione, non fanno che rafforzare e irrigidire solo le misure repressive, riducendo ulteriormente le possibilità di ingresso regolare per motivi di lavoro e le misure di integrazione sociale. Emblematica appare la recente soppressione del Fondo nazionale per l’inclusione sociale degli immigrati. Ovviamente le nuove disposizioni o proposte legislative costituiscono attuazione del programma della coalizione dei partiti politici che ha vinto le elezioni politiche nazionali svoltesi nell’aprile 2008, il cui denominatore comune è stato quello di volere garantire la sicurezza ai cittadini, sul falso presupposto secondo cui essa sarebbe strettamente correlata alla presenza degli immigrati. Ma uscendo dalla ipocrisia del discorso pubblico sull’immigrazione, si deve rilevare come le norme del pacchetto sicurezza siano assolutamente coerenti (ed efficaci prima ancora di entrare in vigore!), con l’obiettivo che con tutta evidenza perseguono, e non da oggi. «L’economia ha bisogno di immigrati e la società li teme»: è uno degli assunti posti alla base delle politiche migratorie italiane a partire dal 1998. La tesi di un’immigrazione portatrice di conflittualità sociale ha imposto scelte ispirate non semplicemente al mero contenimento degli ingressi di nuovi immigrati, bensì anche ad una vessatoria negazione dei diritti per gli immigrati già regolarmente soggiornanti.
1 / IL FALLIMENTO DELLA POLITICA REPRESSIVA
E allora il concetto di “interazione a basso conflitto” andava coerentemente in questa direzione: abbassare il livello dei diritti degli immigrati per favorirne l’accettazione sociale da parte della popolazione autoctona, la quale dovrebbe sentirsi rassicurata dalla subalternità giuridica dei nuovi arrivati. In tal modo la teoria politica italiana (ed europea) è riuscita nel paradosso di far passare la negazione dei diritti come uno strumento d’integrazione. Inoltre, l’acquisto graduale e successivo dei diritti e della loro stabilità non avviene automaticamente con il trascorrere del tempo, ma attraverso il collegamento dei diritti stessi ad autorizzazioni amministrative con caratteristiche differenti in termini di possibilità o meno di svolgere attività lavorativa e soprattutto di possibilità di rinnovo. Il percorso di cittadinanza si concretizza, in definitiva, in una frammentazione e differenziazione gerarchica degli status giuridici della popolazione immigrata. Con la riforma del 2002, il legislatore italiano dell’immigrazione ha radicalizzato l’effetto precarizzante della già rigorosa disciplina dell’ingresso e soggiorno, in particolare attraverso l’istituto del contratto di soggiorno e l’irrigidimento dei presupposti per il rinnovo del permesso di soggiorno, i quali hanno provocato la ricaduta nella clandestinità di migliaia di immigrati che si erano regolarizzati. Ma il punto di svolta decisivo, sia sul piano normativo, sia sul piano della concreta applicazione delle procedure di ingresso e soggiorno, è costituito dalla “copertura politica” fornita ai pubblici poteri dalla lotta al terrorismo internazionale, assurta ad assoluta priorità dopo i fatti dell’11 settembre. Già la legge di conversione del pacchetto antiterrorismo, n. 155/2005, si preoccupa di comprimere alcune libertà fondamentali dello straniero.
2 / ABBASSARE IL LIVELLO DEI DIRITTI DEGLI IMMIGRATI PER FAVORIRNE L’ACCETTAZIONE SOCIALE
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/ medici con l’africa cuamm
/ dialogo
Il recente “pacchetto sicurezza” costituisce un nuovo approccio di esplicita criminalizzazione del migrante in quanto estraneo alla comunità etnicamente omogenea e dunque per definizione deviante (prima ancora che straniero in senso giuridico). Tale approccio era stato subito sperimentato dal governo neo-insediato, con il d.p.c.m. 21 maggio 2008, c.d. “nomadi”, con cui è stato dichiarato addirittura lo stato di emergenza, e dunque attribuiti poteri extra ordinem, in riferimento a situazioni – gli insediamenti abitativi da popolazioni rom e sinti – che non hanno nessuna caratteristica di pericolosità per il territorio inteso come ambiente naturale (come chiede la legge 225/92, istitutiva del Servizio nazionale della protezione civile, all’art. 2). Inaugurata dal Consiglio dei Ministri riunitosi a Napoli il 21.5.2008, la stagione del Pacchetto sicurezza giunge a compimento un anno dopo, con l’approvazione della legge 94/2009. Oltre alla l. 94, si è trattato di un insieme di provvedimenti: a) un decreto legge che introduce un’inedita aggravante “di status” per coloro che commettono un reato trovandosi in Italia in posizione irregolare; b) 2 decreti legislativi correttivi delle norme di attuazione delle direttive comunitarie in materia di asilo e di ricongiungimento familiare; quest’ultimo in particolare riporta l’istituto indietro alla Bossi-Fini, mentre il secondo introduce restrizioni alla libertà di circolazione dei richiedenti asilo. Con la legge n. 94, entrata in vigore l’8 agosto scorso, non si esita ad introdurre disposizioni quasi certamente destinate ad essere emendate dalla Corte Costituzionale, pur di mostrare i denti di una politica sempre più apertamente xenofoba. Che si tratti di leggi bandiera, fatte più per alimentare una spirale sicuritaria e raccoglierne il consenso che non per regolare un fenomeno complesso, è reso evidente dalla constatazione che sono norme efficaci prima ancora di entrare in vigore: nelle prassi applicative non solo degli uffici periferici del ministero dell’Interno, ma pure degli Uffici anagrafe dei Comuni, degli istituti scolastici e delle aziende sanitarie (nonostante sia rimasto in vigore il divieto di segnalazione degli stranieri irregolari che accedono alle cure urgenti ed essenziali). Così, la norma che modifica l’art. 6, comma 2, del testo unico sull’immigrazione, prevedendo l’estensione del vigente obbligo di esibizione di un valido titolo di soggiorno anche per gli atti dello stato civile, ostacola la registrazione della nascita del minore che sia figlio di entrambi i genitori irregolari, che può essere effettuata da terzi (ad es. i sanitari) soltanto per i parti in una struttura sanitaria, ponendosi in contrasto con il dovere per la Repubblica di proteggere la maternità, l’infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo (art. 31, comma 2 Cost.). Con il grave rischio di produrre l’invisibilità anche giuridica dei figli di rom e sinti stranieri senza documenti, norma che appare contraddittoria con la parallela decisione di istituire il registro nazionale dei senza fissa dimora ed in contrasto con il diritto del neonato di essere “registrato immediatamente al momento della sua nascita” (Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia).
3 / IL “PACCHETTO SICUREZZA”
Che la compressione dei diritti di alcuni prima o dopo comporti il sacrificio dei diritti di tutti è reso evidente in particolare da 2 norme: innanzitutto la previsione che obbliga gli stranieri che vogliono celebrare il proprio matrimonio in Italia a esibire il permesso di soggiorno impedisce – si noti, anche al cittadino italiano o comunitario –, l’esercizio del diritto di sposarsi e di fondare una famiglia, diritti garantiti dall’art. 12 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. In secondo luogo, l’introduzione della verifica dell’idoneità igienico-sanitaria dell’immobile ai fini dell’iscrizione anagrafica per tutti, appare di dubbia conformità rispetto alla libertà di circolazione e di soggiorno prevista dall’art. 16 Cost. e alle norme comunitarie sul soggiorno dei cittadini dell’Unione Europea e dei loro familiari. Ma che la posta in gioco sia avere mano libera nel trattamento dello straniero irregolare, lo dimostra l’introduzione del cosiddetto reato di clandestinità. L’obiettivo della norma infatti è consentire all’ordinamento italiano di avvalersi della deroga all’applicabilità della Direttiva 2008/115/CE sui rimpatri. Nonostante il trattamento sanzionatorio mite (è prevista esclusivamente un’ammenda), ciò che appare più grave è l’introiezione dell’idea di delazione che l’introduzione del reato di ingresso e soggiorno illegale provoca nei consociati, rendendo obbligatoria la denuncia da parte di ogni pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio, con esclusione soltanto dei medici per i quali resta in vigore il divieto di segnalazione. I dirigenti scolastici avranno perciò l’obbligo di denunciare il genitore del minore iscritto a scuola, ove ne rilevino la condizione di soggiorno illegale, con grave rischio per il diritto/dovere all’istruzione del minore. Tutto ciò, unitamente a numerose altre previsioni tutte di carattere restrittivo o repressivo, giustifica il timore di una democrazia autoritaria che, in particolare sul terreno delle politiche migratorie, finisca per abdicare ai valori e ai principi dello stato liberale. In conclusione, la normativa qui evidenziata, a fronte di un fenomeno così complesso, variegato e ricco come quello migratorio, non si pone di certo come elemento di stabilizzazione e di tutela delle persone, volto a favorire quella integrazione sul territorio che costituisce effettivo sintomo di sicurezza, ma al contrario, non fa che aumentare ed anzi istituzionalizzare le disuguaglianze e la discriminazione tra le persone in base alla loro provenienza. E tali disposizioni, l’esasperazione dell’uso emblematico della sanzione penale, costituiranno di per se stesse un ulteriore fattore criminogeno.
4 / LA COMPRESSIONE DEI DIRITTI DI ALCUNI PRIMA O POI COMPORTA IL SACRIFICIO DEI DIRITTI DI TUTTI
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salute e sviluppo 58 / ottobre 09 / 11
PS/ politica sanitaria
14 / salute e sviluppo 58 / ottobre 09
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SPECIALE EQUAL OPPORTUNITIES FOR HEALTH: ACTION FOR DEVELOPMENT Il nostro impegno per la salute globale Medici con l’Africa Cuamm capofila di una rete internazionale d’impegno per la promozione della salute globale e contro le disuguaglianze in salute.
Testo di / Elisabetta Bertotti e Serena Foresi / Medici con l’Africa Cuamm / Italia
Promuovere la salute globale, la salute per tutti, è una questione di giustizia sociale. Esistono infatti i presupposti perché ogni individuo possa godere del massimo livello di salute possibile. Non è solo il riconoscimento da parte della legislazione internazionale della salute come diritto umano fondamentale e universale, ma anche il generale consenso in ambito medico-scientifico e, per la prima volta nella storia, l’impegno comune delle nazioni per la lotta alla povertà attraverso il raggiungimento di 8 Obiettivi del Millennio, tra i quali quelli strettamente sanitari riguardanti la malnutrizione, la riduzione della mortalità infantile, il miglioramento della salute materna e il controllo delle epidemie. Ciononostante, e sebbene a livello globale si assista ad un generale miglioramento dello stato di salute, permangono e si accentuano le disuguaglianze in salute, sia tra i paesi del Nord e Sud del mondo, sia all’interno delle stesse nazioni, fenomeno particolarmente evidente nei Paesi in via di sviluppo. Forti indicatori della mancata realizzazione del diritto alla salute, queste disuguaglianze sono determinate socialmente ed economicamente, dunque evitabili e ingiuste, inaccettabili non solo politicamente ma anche sul piano etico e morale. Per far fronte a queste disuguaglianze sono necessarie un’azione collettiva e una forte presa di coscienza, specialmente da parte della comunità sanitaria. In un contesto sempre più complesso e globale, gli operatori sanitari sono chiamati ad abbracciare un approccio globale alla salute e a comprendere i determinanti sociali, culturali ed ambientali che influenzano la salute. Considerato il loro ruolo professionale e sociale, essi possono inoltre agire come moltiplicatori di informazioni e diventare di fatto attivisti per la promozione della salute globale e l’elaborazione di politiche sanitarie più eque. Per stimolare un ruolo più attivo della comunità sanitaria è necessario un cambiamento culturale e degli investimenti in ambito di educazione e formazione.
Con l’obiettivo di creare un movimento per la promozione della salute globale, in collaborazione con una trentina di partners e associati europei rappresentativi della comunità sanitaria, Medici con l’Africa Cuamm ha realizzato il progetto “Equal opportunities for health: action for development”, co-finanziato dalla Commissione Europea. Nell’ambito del progetto, il 3 e 4 aprile scorsi si è tenuta a Padova presso il Dipartimento di Sociologia la Conferenza internazionale “Equal opportunities for health: action for development. A plan of action to teach and advocate global health”, con l’obiettivo di elaborare delle proposte ed azioni per la promozione e l’insegnamento della salute globale. I 150 partecipanti hanno contribuito attivamente alla formulazione di queste proposte partecipando a 4 gruppi di lavoro rispettivamente con focus su l’insegnamento della salute globale in ambito universitario, la formazione continua, la cooperazione sanitaria internazione e la mobilitazione di risorse umane e finanziarie. Punto di partenza della discussione nei diversi gruppi di lavoro sono i background papers pubblicati in questo numero di “Salute e Sviluppo”. Raccolte in un piano d’azione finale sottoscritto dai partecipanti, le proposte sono alla base del nostro impegno futuro per la promozione della salute globale. Innanzitutto in ambito di educazione accademica e formazione continua, per sostenere quel cambiamento culturale necessario per passare dall’attuale paradigma di tipo biomedico ad un nuovo paradigma di tipo “biopsicosociale”, affinché gli operatori sanitari presenti e futuri abbiano piena consapevolezza dei determinanti della salute, adottino un approccio multidisciplinare e multisettoriale e agiscano come promotori del diritto alla salute per tutti. Inoltre, dando vita ad un network dinamico e robusto che veda un’attiva e sistematica interazione tra le organizzazioni di cooperazione internazionale, le organizzazioni di formazione e sanità e la società civile. Infine, continuando il nostro impegno sul campo con interventi di cooperazione sanitaria internazionale.
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salute e sviluppo 58 / ottobre 09 / 15
L’INSEGNAMENTO DELLA SALUTE GLOBALE NELLE FACOLTÀ DI MEDICINA E DI SCIENZE UMANE Documento di riferimento per il Gruppo di lavoro 1 L’impatto e le pressioni della globalizzazione sulla salute sono evidenti. La promozione della salute nell’era della globalizzazione implica necessariamente un nuovo paradigma sanitario e professionisti con conoscenza, competenza e atteggiamento adeguati al nuovo campo denominato “salute globale”. Definire la “salute globale” ha conseguenze significative nei piani di studio formativi delle facoltà di Medicina e di Scienze Umane.
Testo di / Angelo Stefanini / Università di Bologna e Osservatorio Italiano sulla Salute Globale; Adriano Cattaneo / IRCCS Burlo Garofolo Centro per la Salute del Bambino e Osservatorio Italiano sulla Salute Globale; Gavino Maciocco / Università di Firenze e Osservatorio Italiano sulla Salute Globale; Chiara Bodini, Martino Ardigò / Università di Bologna e Osservatorio Italiano sulla Salute Globale
«I determinanti principali della malattia sono fondamentalmente economici e sociali, e perciò i rimedi devono essere economici e sociali. La medicina e la politica non possono e non dovrebbero essere separate». Geoffrey Rose 1 La comunità medica deve rendersi conto che, sotto la crescente pressione dei processi di globalizzazione, il mondo sta cambiando rapidamente. La globalizzazione nella comunicazione, nella finanza, nell’economia, il crescente numero di lavoratori emigranti, una stretta interdipendenza internazionale nella produzione e nell’uso energetico, interessi mondiali sul cibo e la fornitura di acqua potabile, l’allarme inquinamento e riscaldamento globale, mostrano un mondo nel quale gli stati-nazione e i confini nazionali non sono più sufficienti per definire comunità omogenee con caratteristiche singolari. L’impatto prodotto da questa interdipendenza globale sui determinanti della salute e la risposta politica di paesi e attori internazionali, richiedono un approccio nuovo da parte di coloro che si occupano di salute e che possono essere impreparati a una tale sfida. La promozione della salute nell’era della globalizzazione implica necessariamente un nuovo paradigma sanitario e professionisti con conoscenza, competenza e atteggiamento adeguati al nuovo campo denominato “salute globale”. Tuttavia, mentre sono pochi i dubbi sull’urgenza di questa sfida, la portata e le caratteristiche precise con cui si manifesta sono meno chiare. Infatti, entrambi i termini “medicina tropicale” e “salute internazionale” per molti anni sono stati usati all’interno della comunità sanitaria internazionale per riferirsi a temi riguar-
danti i bisogni sanitari delle nazioni in via di sviluppo e al ruolo dell’intera comunità mondiale che li affrontava. Il termine “salute globale” è soltanto la comprensione di come i determinanti della salute, gli attori e il contesto interagiscono a livello globale o, piuttosto, è un approccio totalmente nuovo, in via di sviluppo, per affrontare nuove realtà? E come dovrebbe rispondere la comunità sanitaria a questi nuovi sviluppi teorici e pratici? Questo documento è un tentativo di definire la salute globale e osservare le conseguenze che questa definizione può avere sul piano di studi delle facoltà di Medicina e Scienze della Salute. Una semplice definizione di salute globale potrebbe essere: salute senza confini. Queste 3 parole inglobano tutti i diversi concetti di salute globale.
1 / I CONFINI NAZIONALI NON SONO PIÙ UNA BARRIERA ALLA DIFFUSIONE DELLE MALATTIE In questo senso, la salute globale è sempre esistita, fin da quando i primi esseri umani hanno cominciato ad abitare il pianeta e anche prima se si considerano le malattie animali. I virus e i batteri non sono mai stati interessati ai confini, già prima della comparsa dell’Hiv e della Sars. Né tantomeno i contaminanti, che gli esseri umani iniziarono a liberare nell’aria, nel suolo e nelle acque quando cominciarono a forgiare strumenti di bronzo. E cosa dire della diffusione di obesità, malattie cardiovascolari e cancro che viaggiano insieme con la diffusione di stili di vita e comportamenti? Anche le cause di morte e malattia che classifichiamo come ferite e incidenti attraversano i confini: un contadino a una
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FIGURA 1 / GLOBALIZZAZIONE E DETERMINANTI SOCIALI DELLA SALUTE
CONSEGUENZE DIFFERENZIALI CONTESTO SOCIALE E POLITICO
ESPOSIZIONE DIFFERENZIALE
STRATIFICAZIONE SOCIALE
RISULTATI SANITARI: MALATTIA
VULNERABILITÀ DIFFERENZIALE
CARATTERISTICHE DEL SISTEMA SANITARIO
DISPARITÀ SANITARIE
GLOBALIZZAZIONE
festa di matrimonio in Baghlan può essere ucciso da una bomba fatta in Louisiana, un muratore polacco può rompersi una gamba mentre costruisce una casa a Lisbona, turisti italiani possono essere vittime di un incidente di autobus a Mali. L’Oms (organizzazione mondiale della sanità), e ancor prima l’Ufficio Sanitario della Società delle Nazioni, hanno cercato di definire un set di regole e norme per fermare o limitare la diffusione della malattia. Ma per qualsiasi arbovirus o metallo pesante la cui circolazione è ristretta, ci sono dozzine di microbatteri e diossine che viaggiano facilmente attraverso i continenti. È chiaro che solo politiche globali, sulle quali tutti siano d’accordo e che vengano messe in pratica, possono controllare la malattia globale 2.
2 / I CONFINI NAZIONALI NON SONO PIÙ UNA BARRIERA ALLA DIFFUSIONE DEI DETERMINANTI DELLA SALUTE Le cause prossime di morte e malattia (batteri, sostanze chimiche, ferite e simili) non hanno confine, come spiegato sopra. I determinanti distali della salute sono influenzati dall’esistenza dei confini? Comportamenti legati alla salute si diffondono chiaramente attraverso i confini: fumare, mangiare, muoversi, lavorare, assumere droghe, fare sesso, consumare, guidare, nutrire, allattare, sono tutti comportamenti inconsapevoli dei confini 3. E la commissione dell’Oms per i determinanti sociali della salute afferma che anche i determinanti della salute non hanno confini: reddito, povertà, impiego, politiche sociali, cittadinanza, sesso, stato socioculturale, razzismo, potere, discriminazione, agricoltura, urbanizzazione, sviluppo del bambino, industria alimentare, cambiamenti ambientali, servizi finanziari, istruzione, condizioni di vita quotidiane 4.
Come illustrato nella figura 1, estratto dai background papers della commissione dell’Oms 5, la globalizzazione opera contemporaneamente su gruppi diversi di determinanti della salute per influenzare la malattia, i risultati sanitari e le disparità sanitarie.
3 / I CONFINI NAZIONALI NON SONO PIÙ UNA BARRIERA ALLA DIFFUSIONE DELL’ASSISTENZA SANITARIA E DI POLITICHE SANITARIE Nella figura 1, la casella più a destra mostra che la globalizzazione ha un peso anche sulle caratteristiche dei sistemi sanitari. Non c’è da sorprendersi: fin da quando l’Imf (Fondo Monetario Internazionale) ha iniziato a imporre le proprie politiche di aggiustamento strutturale e la Banca Mondiale ha pubblicato il report “Investire nella salute” 6, i sistemi sanitari e i servizi mondiali sono stati plasmati sui modelli globali, specialmente nei paesi gravati da debiti esterni 7. Le user fees sono ora universalmente applicate. I servizi sanitari governativi vengono privatizzati in molti paesi e servizi sanitari privati sorgono in ogni luogo. Pacchetti standard di assistenza sanitaria essenziale sono pianificati da iniziative di assistenza sanitaria globali e distribuiti, in modo standard, dall’Angola al Tajikstan. A livello mondiale, gli operatori sanitari vengono formati, soprattutto per quel che riguarda la formazione in-service per l’implementazione di iniziative di salute globale, dagli stessi formatori, che adottano gli stessi strumenti didattici. Gruppi di consulenti globali viaggiano in tutto il mondo, da una parte all’altra, per analizzare le situazioni e pianificarle, spesso copiandosi. Infine, un monopolio ben protetto nella ricerca permette ad alcune aziende transnazionali di controllare il mercato globale di farmaci, vaccini e altri mezzi diagnostici e terapeutici.
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La globalizzazione, comunque, può anche favorire il diffondersi di buone politiche. Per esempio, la Baby Friendly Hospital Initiative è stata implementata in centinaia di paesi e ha contribuito ad aumentare i tassi di allattamento, o almeno a fermare la diminuzione e invertirla 8. Il Lancet ha promosso molte iniziative per migliorare la fornitura di interventi reali per la salute materna, neonatale e infantile 9. Ci sono politiche per la protezione ambientale che si stanno diffondendo, anche se più lentamente di quanto dovrebbero, in molte regioni del mondo 10. Ma in qualche modo, la condivisione di buone politiche è ostacolata dalla frammentazione. Decine di così dette iniziative sulla salute globale hanno sviluppato, e ancora stanno sviluppando, politiche positive o migliorative per la prevenzione e il controllo di malattie e condizioni specifiche, o per la promozione della salute, ma tendono a concentrarsi sul proprio campo 11. Non ci si rende conto che solo attraverso sistemi sociali e sanitari forti e sostenibili, per non parlare della partecipazione e della responsabilizzazione di comunità target, le buone politiche avranno la possibilità di essere applicate e avere successo. È necessario un movimento globale per propugnare politiche sanitarie globali che, rivitalizzando i principi della Dichiarazione di Alma Ata, focalizzi sull’assistenza sanitaria globale iniziative intersettoriali, tecnologie appropriate, autosufficienza e autodeterminazione 12.
4 / I CONFINI NAZIONALI NON SONO PIÙ UNA BARRIERA ALLA DIFFUSIONE DEGLI OPERATORI SANITARI Migliaia di professionisti sanitari da paesi ad alto reddito, spesso, ma non sempre, mossi da ideali umanitari, migrano verso paesi a basso reddito per aiutare nella gestione di sistemi sanitari e servizi per i quali c’è poco staff. Allo stesso tempo, centinaia di migliaia di professionisti sanitari muovono in direzione opposta, cercando condizioni di vita e di lavoro migliori per sé e la propria famiglia. I paesi a basso reddito investono proporzioni importanti dei loro scarsi budget nella formazione di risorse umane per la sanità, solo per vedere parte di questo investimento svanire e contribuire al welfare e al prodotto lordo domestico dei paesi ad alto reddito. Tutti sono preoccupati di questa fuga di cervelli, l’Oms ha dedicato il World Health Report del 2006 a questo problema 13, ed è stata istituita una nuova Global Health Workforce Alliance 14. Ma nessuno, fino ad ora, è stato in grado di consigliare e implementare una politica capace almeno di compensare i paesi a basso reddito per le loro perdite e, si spera, iniziare a riequilibrare la forza lavoro sanitaria.
5 / I CONFINI NAZIONALI NON SONO PIÙ UNA BARRIERA ALLE VIOLAZIONI DEI DIRITTI UMANI La guerra al terrorismo, il riemergere della tortura come mezzo per assicurare la sicurezza, la creazione di centri di detenzione in posti dove i diritti sono meno esigibili (Guantanamo, prigioni segrete nei paesi del terzo mondo, prigioni extraterritoriali per immigrati ecc.) sono questioni di forte e crescente impatto sulle professioni sanitarie, un impatto che non può essere gestito tra i confini nazionali. L’argomento onnipresente della “sicurezza”, insieme con la maggiore mobilità della forza lavoro sanitaria, espo-
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ne i professionisti a un nuovo contesto che richiede sia un’analisi attenta e approfondita, sia la definizione di nuove strategie operative comuni. La devozione dei professionisti sanitari verso i pazienti è seriamente minacciata dalla creazione di setting e sistemi che restringono o negano i diritti umani, rendendo difficile individuare i responsabili della protezione dei diritti e delle richieste. Servono perciò nuovi strumenti, da una parte atti a coinvolgere direttamente i professionisti sanitari ad accettare le proprie responsabilità, elaborando e fornendo conoscenze specifiche di etica medica e difesa dei diritti umani e fornendo loro i mezzi per scovare, e adeguatamente affrontare, casi di discriminazione, violazione dei diritti e tortura; e dall’altra parte, a promuovere una trasformazione globale delle istituzioni preposte a far osservare il codice deontologico e le sue violazioni, per garantire ai professionisti sanitari supporto e assistenza (oppure, dall’altra parte, sanzioni) dovunque siano chiamati a lavorare.
6 / I CONFINI NAZIONALI NON DOVREBBERO PIÙ ESSERE UNA BARRIERA ALLA DIFFUSIONE DELLA SALUTE La salute è lontana dall’essere globale. Le ineguaglianze sono ampie e sempre più diffuse 15. E sono crudeli. Siamo tutti sulla stessa barca (il Titanic?) ma il gap tra i pochi della prima classe e i molti della terza è così grande che pochi della terza sfuggiranno a una vita fatta di miseria, fame e malattia. La salute non migliorerà globalmente a meno che non venga applicato un nuovo paradigma per lo sviluppo: i sistemi bancari e finanziari devono essere regolati, il clima e l’ambiente protetti, l’energia prodotta e usata saggiamente, ci si deve accordare su regole diverse per il commercio internazionale e la proprietà intellettuale, e anche su politiche agricole e industriali diverse, e così via, affrontando tutti i determinanti sociali della salute. Allo stesso tempo, i sistemi sociali e sanitari devono essere rinforzati, partendo dal principio che l’assistenza sanitaria è un diritto, non una commodity 16. Abbiamo bisogno di un paradigma completamente nuovo per abbattere le attuali barriere a favore della salute globale. Se tutto ciò è vero, come applicarlo nell’insegnamento della salute globale nelle scuole di medicina e scienza della salute? Agli studenti del campo sanitario (medici, infermieri, ostetriche ecc.) dovrebbe essere sottoposto solo un modulo sulla salute globale, oppure dovrebbero ricevere formazione sulle altre discipline in una prospettiva di salute globale? Per molto tempo, gli accademici hanno propugnato un nuovo modello medico, e perciò un nuovo modo di insegnare medicina. L’attuale modello è incentrato sui determinanti di malattia biologici, all’interno di una struttura riduzionista e con un forte dominio del dualismo corpo-mente 17. Un approccio sociale e ambientale alla medicina, come quelli proposti da Virchow 18, Rose 1, Marmot 19 e Friel 20, che sarebbe, per definizione, globale non trova facilmente la propria strada in un mondo accademico e di ricerca dominato da esponenti dell’approccio biomedico. Tuttavia le cose stanno cambiando, anche se lentamente. Molti autori, inclusi gli studenti di medicina, hanno iniziato a chiedere di portare i temi della salute globale nella formazione medica 21-23. Centri di ricerca e formazione sulla salute globale hanno cominciato a sorgere negli Usa, in Canada 24-31 e in Europa. In Canada,
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FIGURA 2 / I DETERMINANTI INDIVIDUALI E SOCIALI DELLA SALUTE E DELLE DISEGUAGLIANZE IN SALUTE
CONTESTO SOCIOECONOMICO E POLITICO
POSIZIONE SOCIALE
DISTRIBUZIONE DI SALUTE E BENESSERE
Coesione sociale Fattori psicosociali
Governance ISTRUZIONE Politica (macroeconomica, sociale, sanitaria)
Circostanze materiali
OCCUPAZIONE
Comportamenti Fattori biologici
REDDITO Norme e valori culturali e sociali
SESSO ETNIA/RAZZA
Sistema di Assistenza Sanitaria
DETERMINANTI SOCIALI DELLA SALUTE E DISEGUAGLIANZE IN SALUTE Fonte: Amended from Solar & Irwin, 2007
un sondaggio in 17 facoltà di medicina mostrò che nonostante la forte e crescente richiesta da parte degli studenti di medicina e le forze sociali in mutazione che sollecitano migliore formazione sulla salute globale, l’approccio alla formazione in salute globale ancora varia da “zero” a corsi di 2 anni, facoltativi e ben sviluppati, che includono didattica e formazione all’estero32. In Inghilterra, la formazione in salute globale è principalmente proposta agli studenti di medicina attraverso un Bachelor of Science in Salute Internazionale, anche se è disponibile solo in alcune università33. In Italia, una recente mappatura di 40 facoltà di medicina ha rivelato la presenza di corsi in salute globale e uguaglianza sanitaria, quasi tutti opzionali (da 6 a 20 ore di insegnamento) in sole 11 università34. La maggior parte di questi corsi sono stati istituiti e continuano grazie alla buona volontà di pochi insegnanti. Nessuna materia riguardante la salute globale è inclusa nel piano di studi standard dello studente. Ci sono probabilmente molti altri esempi in diverse parti del mondo, inclusi altri paesi Ue, che non sono riportati nelle riviste mediche ma che hanno un importante peso sul cambiamento dell’insegnamento sanitario per aiutare la salute globale. È improbabile, comunque, che questi sforzi rappresentino un movimento maggioritario; il miglioramento della formazione in salute globale, nei piani di studio delle facoltà di medicina e scienza della salute, richiede la leadership nazionale da parte di enti accademici dirigenziali, il che attualmente è lontano dall’essere attuato. Il consenso internazionale potrebbe certamente aiutare in questo processo. Offrire formazione facoltativa in salute globale deve perciò essere visto come un passo iniziale verso il raggiungimento di qualcosa di più: un cambio di paradigma. L’obiettivo finale degli
sforzi attuali non è creare una sorta di ambiente protetto nel quale insegnanti e studenti motivati discutono di povertà, diseguaglianza, immigrazione e aiuti. Lo scopo finale è promuovere un cambiamento da un modello biomedico (focalizzato su individui, malattia, cura, medicina specialistica e cause prossime di malattia e salute) a uno nuovo che, promuovendo la collaborazione intersettoriale e la partecipazione comunitaria, dia priorità a popolazioni, prevenzione e promozione sanitaria, assistenza sanitaria primaria e determinanti sociali della salute, le cause prime di malattia (come mostrato nella figura 2) 4. Un piano di azione al raggiungimento di questo obiettivo potrebbe svilupparsi attraverso queste mosse: 1 / Creazione di un network di stakeholder motivati e impegnati nella formazione in salute globale (tra cui centri di ricerca, università, studenti e associazioni residenti, e Ong), a livello europeo, per scambiare esperienze, confrontare testimonianze, sviluppare le migliori pratiche e promuovere strategie presso istituzioni di rilievo (ad es. enti normativi nazionali e internazionali, associazioni professionali, istituzioni politiche). 2 / Elaborazione di documenti, programmi, e piani di studio a livello universitario e post-laurea, per diffondere l’informazione e creare consenso all’incorporamento di temi di salute globale nelle scuole di medicina e scienza della salute. 3 / Creazione di opportunità di salute globale nei piani di studio, esplorando il potenziale di 3 componenti chiave quali: piani di studio principali, programmi facoltativi e opportunità di studio approfondito, fornendo moduli facoltativi e attraendo così gli interessi di studenti e facoltà. 4 / Ricercare modalità e strategie per meglio fornire questa formazione a studenti universitari e laureati (tra cui metodologie formative, ad es. Pbl, istruzione online, ecc.).
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BIBLIOGRAFIA 1 G. Rose, The strategy of preventive medicine. Oxford Medical Publications, Oxford, 1992. 2 World Health Organization. The world health report 2007. A safer future: global public health security in the 21 st century. WHO, Geneva, 2007. 3 World Health Organization. The World Health Report 2002: reducing risks, promoting healthy life. WHO, Geneva, 2002. 4 WHO Commission on Social Determinants of Health. Closing the gap in a generation. Health equity through action on the social determinants of health. WHO, Geneva, 2008. 5 Globalization and health knowledge network. Towards healthequitable globalisation: rights, regulation and redistribution. Final report to the Commission on Social Determinants of Health. Institute of Population Health, University of Ottawa, 2008. 6 World Bank. World Development Report 1993: investing in health. Oxford University Press, Oxford, 1993. 7 People’s Health Movement, Global Equity Gauge Alliance, Medact. Global health watch 2: an alternative World Health Report. Zed Books, London, 2008. 8 UNICEF/WHO. Innocenti Declaration on Infant and Young Child Feeding. UNICEF, Florence, 2005. 9 R. Horton, Countdown to 2015: a report card on maternal, newborn, and child survival. Lancet 2008. 10 World Health Organization. Protecting health from climate change. World Health Day 2008. WHO, Geneva, 2008. 11 Italian Global Health Watch. From Alma Ata to the Global Fund: the history of international health policy. Social Medicine 2008. 12 World Health Organization. The World Health Report 2008: primary health care now more than ever. WHO, Geneva, 2008. 13 World Health Organization. The World Health Report 2006: working together for health. WHO, Geneva, 2006. 14 Global Health Workforce Alliance. Scaling up, saving lives. WHO, Geneva, 2008. 15 Osservatorio Italiano sulla Salute Globale. A caro prezzo: le diseguaglianze nella salute. Edizioni ETS, Pisa, 2006. 16 Osservatorio Italiano sulla Salute Globale. Salute globale e aiuti allo sviluppo: diritti, ideologie, inganni. Edizioni ETS, Pisa, 2008. 17 Engel GL. The need for a new medical model: a challenge for biomedicine. Science 1977;196:129-36. 18 J.P. Mackenbach, Politics is nothing but medicine at a larger scale: reflections on public health’s biggest idea. Journal of Epidemiology and Community Health 2009;63:181-4.
19 M. Marmot, Achieving health equity: from root causes to fair outcomes. Lancet 2007;370:1153-63. 20 S. Friel, M. Marmot, A.J. McMichael, T. Kjellstrom, D. Vagero, Global health equity and climate stabilisation: a common agenda. Lancet 2008;372:1677-83. 21 C. Bateman, T. Baker, E. Hoornenborg, U. Ericsson, Bringing global issues to medical teaching. Lancet 2001;358:1539-42. 22 P.K. Drain, A. Primack, D.D. Hunt, W.W. Fawzi, K.K. Holmes, P. Gardner, Global health in medical education: a call for more training and opportunities. Acad Med 2007;82:226-30. 23 C.C. McAlister, K. Orr, A student’s plea for global health studies in the medical school curriculum. Clin Invest Med 2006;29:185-6. 24 N. Anandaraja, S. Hahn, N. Hennig, R. Murphy, J. Ripp, The design and implementation of a multidisciplinary global health residency track at the Mount Sinai School of Medicine. Acad Med 2008;83:924-8. 25 J.P. Koplan, R.L. Baggett, The Emory Global Health Institute: developing partnerships to improve health through research, training, and service. Acad Med 2008;83:128-33. 26 T.C. Quinn, The Johns Hopkins Center for Global Health: transcending borders for world health. Acad Med 2008;83:134-42. 27 C. Haq, L. Baumann, C.W. Olsen, L.D. Brown, C. Kraus, G. Bousquet et al., Creating a center for global health at the University of WisconsinMadison. Acad Med 2008;83:148-53. 28 S.H. Vermund, V.V. Sahasrabuddhe, S. Khedkar, Y. Jia, C. Etherington, A. Vergara, Building global health through a center-without-walls: the Vanderbilt Institute for Global Health. Acad Med 2008;83:154-64. 29 S.B. Macfarlane, N. Agabian, T.E. Novotny, G.W. Rutherford, C.C. Stewart, H.T. Debas, Think globally, act locally, and collaborate internationally: global health sciences at the University of California, San Francisco. Acad Med 2008;83:173-9. 30 B. Lorntz, J.R. Boissevain, R. Dillingham, J. Kelly, A. Ballard, W.M. Scheld et al., A trans-university center for global health. Acad Med 2008;83:165-72. 31 N. Saba, T.F. Brewer Beyond borders: building global health programs at McGill University Faculty of Medicine. Acad Med 2008;83:185-91. 32 R. Izadnegahdar, S. Correia, B. Ohata, A. Kittler, S. Kuile, S. Vaillancourt et al. Global health in Canadian medical education: current practices and opportunities. Acad Med 2008;83:192-8. 33 J.S. Yudkin, O. Bayley, S. Elnour, C. Willott, J.J. Miranda Introducing medical students to global health issues: a Bachelor of Science degree in international health. Lancet 2003;362:822-4. 34 Equal opportunities for health: action for development. Medici con l’Africa Cuamm, ottobre 2007, www.mediciconlafrica.org/globalhealth.
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LA FORMAZIONE CONTINUA SUI TEMI DELLA SALUTE GLOBALE Documento di riferimento per il Gruppo di lavoro 2 La crescente consapevolezza che la salute è un bene pubblico e che sia necessaria una nuova cooperazione a livello mondiale, un approccio alla salute in quanto diritto e la responsabilità sociale che gli operatori del settore sanitario hanno nel promuovere la salute globale, sono alcune tra le ragioni per cui i temi della salute globale dovrebbero essere inclusi nei programmi di formazione continua. Infatti, la formazione del personale sanitario richiede delle conoscenze nuove e delle competenze che vanno oltre l’approccio tradizionale alle malattie e ai loro aspetti biologici. Testo di / Maye Omar / Centro di salute internazionale e sviluppo di Nuffield / Università di Leeds / Regno Unito; Giovanni Putoto / Medici con l’Africa Cuamm / Italia
«Le distinzioni tra problemi di salute a livello nazionale e internazionale stanno perdendo la loro utilità e sono spesso fuorvianti». Institute of Medicine, 1997
natori comuni, ad esempio l’utilizzo dei crediti per avvalorare le qualifiche e/o specializzazioni o per soddisfare i requisiti legislativi.
«La suddivisione tra problemi di salute a livello nazionale e internazionale non è più utile». Brundtland GH., WHO, 2001
IL SIGNIFICATO DI APPRENDIMENTO PERMANENTE (AP) DI SVILUPPO PROFESSIONALE CONTINUO (SPC)
Un nuovo paradigma, conosciuto come formazione continua, si è diffuso nell’ambito degli studi post-universitari degli operatori del settore sanitario. Il concetto può essere definito come un processo che permette agli operatori del settore sanitario di acquisire, mantenere e migliorare le proprie conoscenze, competenze e attitudini al fine di ottimizzare le prestazioni individuali e organizzative nel corso della loro vita lavorativa. Questo paradigma ha determinato un cambiamento nel modello di formazione post-universitaria tradizionale, che si focalizzava sulla disciplina medica e sui bisogni professionali individuali, al modello di Sviluppo Professionale Continuo (Cpd), in cui l’attenzione si sposta sulla qualità oggettiva del servizio e sulla valorizzazione del gruppo di lavoro. C’è una forte unanimità riguardo alle competenze di base che ogni operatore del settore qualificato possa o debba utilizzare: per esempio fornire delle cure “patient-centred” (basate sulla persona), migliorare il livello della qualità, utilizzare gli strumenti di informatica sanitaria, servirsi della medicina “evidence-based” (basata sulle evidenze) e lavorare in un team medico multidisciplinare.
Apprendimento permanente (Ap) è un termine largamente utilizzato in svariati contesti; ciononostante il suo significato è spesso poco chiaro (Aspin, 2007). L’espressione afferma che l’apprendimento non è relegato all’infanzia o un’aula di studio, ma che avviene durante tutto il corso della vita in diverse situazioni. Negli ultimi cinquant’anni, la costante innovazione tecnologica e scientifica ha avuto un grosso effetto sugli stili e i bisogni formativi. L’apprendimento non può più essere suddiviso in una fase spazio-temporale in cui acquisire nozioni (la scuola) e un’altra in cui mettere in pratica le conoscenze acquisite (il posto di lavoro) (Fischer, 2000). Lo sviluppo professionale continuo (Spc), d’altro canto, si definisce come sistematico, in evoluzione e autonomo; è un approccio o un metodo di pianificare e gestire l’intera vita lavorativa (Gmc, 2008). L’Educazione Continua in Medicina (Ecm), che consiste in attività formative organizzate, è considerata parte del Spc (Allison, 2006). In questa relazione, comunque, i 2 termini Ap e Spc saranno intercambiabili.
IL CICLO DEL CPD Un altro fattore importante della formazione continua è il sistema di accreditamento. È cosa nota che, a livello internazionale, esistono molteplici sistemi di accreditamento (Peck et al. 2000), diversi tra di loro in termini di criteri utilizzati. Ad esempio, i sistemi di accreditamento possono essere obbligatori o volontari, anche se comunque hanno tutti dei denomi-
Come si vede nella figura 1, il ciclo consiste di 4 fasi, incentrate sullo sviluppo della documentazione e del portfolio. Il portfolio risulta fondamentale nel ciclo del Spc poiché rappresenta una registrazione onnicomprensiva dell’intero processo di apprendimento e di crescita individuale.
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FIGURA 1 / LE FASI DEL CICLO DELLO SVILUPPO PROFESSIONALE CONTINUO (SPC) Fonte: Peck et al. 2000
VALUTAZIONE
AZIONE
RIFLESSIONE
PIANIFICAZIONE
Fase 1: Riflettere, nel senso di identificare i bisogni formativi personali tramite l’autovalutazione
Fase 3: Agire, attuando il programma per soddisfare i bisogni individuati e perseguire gli obiettivi
Fase 2: Pianificare, delineando un programma di sviluppo individuale che includa attività di apprendimento classiche e non
Fase 4: Valutare, considerando la realizzazione del programma e i traguardi raggiunti
L’APPRENDIMENTO RIFLESSIVO COME APPROCCIO ALLO SVILUPPO PROFESSIONALE CONTINUO
La “reflection-on-action” è un’analisi dell’agire professionale che permette ai professionisti e ai manager di fare tesoro delle riflessioni sulle precedenti esperienze quando si trovano ad affrontarne di nuove. Le conoscenze e le competenze acquisite precedentemente permetteranno loro la “reflectionin-action”, riflettere sull’azione e agire contemporaneamente, ovvero “prendere una decisione su 2 piedi”. Questo implica che i professionisti possano raggiungere uno stadio in cui sono abbastanza competenti da essere in grado di pensare o riflettere sul proprio agire professionale e modificare le proprie azioni pressoché immediatamente. John Cowan (1999), basandosi sulle teorie di Kolb e Schön dell’apprendimento esperienziale e riflessivo, rappresenta la metodologia riflessiva nella forma di una serie di loop, di anse (figura 3). I loop rappresentano 3 tipi di riflessione basati su 3 tipi di attività. Egli propone una fase antecedente, la “reflection-for-action” che avviene all’inizio ed è una maniera in cui professionisti e manager elaborano quali conoscenze utilizzare in una certa situazione prima di agire (Loop A).
Una metodologia della formazione continua è l’approccio riflessivo, che permette agli individui di imparare dalle proprie esperienze. Le persone di solito riflettono sulle proprie esperienze, in particolare quando sono neofiti della professione. È necessario comunque articolare le proprie riflessioni in maniera sistematica allo scopo di ricordare ciò che si è pensato e imparare da quell’esperienza per volte future. I modi possibili per farlo sono tenere un diario o un learning journal (giornale di apprendimento riflessivo) o l’analisi di incidenti critici (Plummer, 2001). In ogni caso, la riflessione non basta da sola a favorire l’apprendimento permanente e la formazione continua. Finché non si lavora sulle proprie riflessioni e sulle opinioni degli altri nessun tipo di progresso è possibile. Il Ciclo teorizzato da Kolb (1984), fornisce un modello utile per approfondire il nostro caso. Il Ciclo dell’Apprendimento Esperienziale consta di 4 fasi diverse di apprendimento dall’esperienza da seguirsi in successione (figura 2). È importante riflettere sull’esperienza per estrapolare delle generalizzazioni e formulare dei concetti. L’apprendimento va sperimentato in nuove situazioni. Colui che apprende deve associare teoria e pratica pianificando, agendo, riflettendo e riportando il tutto alla teoria. Al contrario Donald Schön (1991) elaborò una teoria sulla metodologia riflessiva a partire dall’esperienza professionale che comprende 2 diversi tipi di riflessione: “reflection-on-action” (la capacità di riflettere durante l’azione) e “reflection-in-action” (la capacità di riflettere sull’azione).
L’attività di analisi iniziale mette insieme il “bagaglio cognitivo” esistente e le informazioni preliminari che possono dimostrarsi utili. La fase di “reflection-in-action” (Loop C) intermedia serve per valutare i progressi fatti e identificare poi le falle che possono impedire la messa in atto. Segue poi un’attività definita che amplifica l’analisi riflessiva e consolida l’apprendimento. La fase di “reflection-on-action” finale è la fase di revisione che definisce le conoscenze e le procedure utili che si sono apprese, seguita poi da un’ulteriore attività che farà ricominciare il ciclo divenendo a sua volta riflessione per la prossima azione.
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FIGURA 2 / IL CICLO DELL’APPRENDIMENTO ESPERIENZIALE DI KOLB
Esperienza concreta Sperimentare
Sperimentazione attiva Fare
Divergente Sentire e osservare Dimensione percettiva Come pensiamo
Accomodatore Sentire e agire
Dimensione Come
Osservazione riflessiva Osservare
Processuale agiamo
Convergente Pensare e fare
Assimilatore Pensare e osservare Concettualizzazione astratta Pensare
Fonte: Atherton JS, 2005
FIGURA 3 / I “REFLECTIVE LOOPS” DI COWAN
A
C
E
Riflessione For In On
fase precedente
B
D
esplorazione
consolidamento
fase successiva
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Ma è ancora adatto questo modello per rapportarsi ai temi della salute mondiale?
LA GLOBALIZZAZIONE E I SUOI EFFETTI SULLA SALUTE Potenti forze stanno plasmando il mondo. Imponenti spostamenti di beni e persone, nuove e vecchie malattie come la pandemia dell’Aids, l’influenza aviaria, la febbre emorragica, la tubercolosi e altre patologie infettive si stanno diffondendo in tutto il mondo, generando serie minacce alla salute e causando perdite economiche (Morens, 2004). A complicare la questione, non è solo il cosiddetto “microbial traffic” che viaggia da un paese all’altro, bensì anche i modi di pensare e di vivere. Il fumo è un esempio su tutti. Muoiono già circa 4 milioni di persone all’anno a causa delle malattie causate dal fumo. Entro il 2020 il numero salirà a 10 milioni, e il tabacco sarà la principale causa di morte nel mondo (Who, 2000). In generale, le malattie croniche stanno avendo sempre maggiore importanza. 4 morti da malattie croniche su 5 provengono da paesi a redditi medio-bassi. La loro prevenzione e il loro trattamento richiede un primario approccio sanitario globale (Beaglehole, 2008). La globalizzazione della salute va al di là delle malattie e dei fattori di rischio e comprende il sistema sanitario e i suoi input. Per esempio, l’Africa sta passando una fase in cui mancano 800.000 tra dottori e infermieri e sta formando solo tra il 10 e il 30% degli operatori sanitari necessari per le esigenze future. Ogni anno il continente, che già deve affrontare il 25% del fardello di malattie nel mondo con solo il 3% degli operatori sanitari, perde, a causa dell’emigrazione, 20.000 addetti specializzati del personale sanitario. Questo è causato in parte dalle modeste condizioni lavorative e, in alcune casi, dalla situazione politica instabile, dai conflitti e dalle guerre civili (Who, 2006). La situazione del settore della ricerca è un altro esempio. L’enorme divario riguardo ai fondi per la ricerca scientifica è ben colto dall’espressione “gap 10/90” e pone l’attenzione sul fatto che dei 73 miliardi di dollari investiti annualmente nel settore della ricerca sanitaria pubblica e privata, meno del 10% viene speso per la ricerca sulle malattie che rappresentano il 90% dei problemi sanitari a livello mondiale (secondo l’indice DALY-in DisabilityAdjusted Life Years or DALYs) (Global Forum for Health Research, 2004). La globalizzazione ha aiutato i paesi e le persone a superare problemi di vecchia data, ma non senza perdenti e senza squilibri. Nuove forme di esclusione sociale sono alimentate da antiche piaghe di povertà e di ingiustizia sociale. Le disuguaglianze in salute esistono tra paesi e all’interno degli stessi (Who, 2008). Il divario dei dati sull’aspettativa di vita è sconcertante: 32,5 anni (per uomini e donne) in Swaziland contro gli 82 del Giappone. Gli studi dimostrano che in tutti i paesi maggiore è il livello socioeconomico delle famiglie, minore è il tasso di mortalità infantile e materna. Nel Sudafrica, le ricerche hanno dimostrato che tra le persone con la pressione alta, il 30% più benestante della popolazione aveva il doppio di possibilità di aver ricevuto cure mediche rispetto al 40% più povero. La maggior parte di queste disuguaglianze si possono evitare se la crescita economica si collega all’aumento del potere sociale e all’autonomia (Marmot, 2006). Infine, gli effetti del cambiamento climatico, l’inquinamento atmosferico, il deterioramento delle risorse naturali su scala mon-
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diale potranno rappresentare alcuni dei maggiori rischi alla salute nel prossimo futuro (McMichael, 2006). Disastri naturali e scarsezza di risorse possono causare flussi migratori e conflitti, collegati a loro volta con l’aumento della mortalità e con il peggioramento della salute fisica e mentale (Coupland, 2007). Da questo punto di vista, i paesi deboli e più poveri sono più a rischio di altri (Rosser, 2006). Nel complesso si può affermare che, mentre alcuni di questi temi sono considerati importanti a livello internazionale, sembrano essere ignorati a livello nazionale e regionale. La conseguenza è che molti professionisti del campo sanitario non vengono formati su questi aspetti importanti del loro lavoro. Esiste un grosso divario tra lo sviluppo professionale continuo e i temi della salute globale. Questo divario deve essere colmato.
PERCHÉ È COSÌ IMPORTANTE INCLUDERE LA SALUTE GLOBALE NEI PROGRAMMI DI SPC? Sono diverse le ragioni per cui includere i temi di salute globale nell’ambito dello sviluppo professionale continuo. Una delle principali è la crescente consapevolezza che la salute è un bene pubblico e che alcuni rischi sanitari riguardano tutti i paesi e sono contrastabili solo da una nuova forma di cooperazione globale (Chen, 1999). Nessuno può aspettarsi di affrontare e risolvere queste problematiche da solo. Inoltre, l’approccio basato sui diritti umani e, più in generale, l’espressione di una prospettiva etica globale coerente che riconosca l’importanza di ogni individuo, ovunque esso viva, può fornire una base normativa per prendere in considerazione la salute globale in modo serio in quanto questione morale (Alkire, 2004). I professionisti della salute hanno quindi una specifica responsabilità sociale quando si occupano di questioni inerenti alla salute globale. Esiste un’antica convenzione tra la società e il personale sanitario per cui i malati vengono curati all’interno di uno specifico sistema sanitario locale. Il fallimento di questi sistemi sanitari, in diversi contesti, per fare gli interessi dei poveri, deve diventare un argomento di interesse, analisi e azione per il personale sanitario (Who, 2008). Perché questo accada, la cooperazione internazionale per il diritto alla salute deve basarsi sullo scambio di esperienze relative a problematiche comuni, proposte di alternative fattibili e sull’empatia. (Frenk and Gomez, 2002). La formazione dei professionisti della salute nel ventunesimo secolo dunque richiede delle nuove conoscenze e delle capacità che superano l’approccio tradizionale alla malattia e alle sue cause biologiche. Deve anche andare oltre i dibattiti tradizionali sulla qualità e la sostenibilità del sistema sanitario occidentale. La salute a livello internazionale, l’analisi dei piani d’azione, l’investigazione dei determinanti sociali e del consolidamento del sistema sanitario sono alcune delle competenze di base del personale sanitario del 21° secolo. Queste, insieme ad altre abilità, sono le fondamenta dell’agire dei professionisti della sanità al fine di migliorare la salute dei poveri nel mondo (Bma, 2007). Quando gli operatori sanitari si trovano ad affrontare questi argomenti e queste discussioni, sviluppano la capacità di apprezzare le diversità, superare i pregiudizi e analizzare gli elementi che realmente influiscono nella società (Neufeld, 2001).
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Inoltre, investire negli studi, la ricerca e la formazione in questi campi serve a proteggere le popolazioni da rischi internazionali e promuovere interessi nazionali nel mondo (Shaywitz, 2002). Aiutare i paesi con risorse limitate a potenziare il funzionamento dei loro sistemi sanitari può contribuire ad aumentarne la sicurezza nazionale, limitare i conflitti interni e ridurre l’emigrazione (Horton, 2001). Come è stato osservato, è indispensabile tener conto nella formazione dei professionisti della sanità dell’attuale fallimento nel perseguire il bene pubblico e la mancanza di una prospettiva globale (Bmj, 2004). L’agenda della salute globale non può essere a singoli individui, per quanto ben intenzionati, né ad organizzazioni non governative, per quanto rispettabili, se i risultati non devono essere vincolati ad azioni umanitarie ad hoc di stampo emotivo. Smith and Richards (2001) hanno osservato che, in quanto formatori, dovremmo convincerci che «la scienza medica conosce il contrasto tra l’avere impegni domestici e averne al di fuori. È simile alla tensione derivante dal cercare di fare del tuo meglio per il paziente che hai di fronte riconoscendo al tempo stesso gli impegni verso gli altri pazienti e il mondo intero. Il gruppo che ha sviluppato i principi di Tavistock per tutti coloro che hanno a che fare con la sanità, riconoscono questa tensione nel secondo principio: la cura del singolo paziente è centrale, ma anche la salute della collettività va tutelata».
GLI OSTACOLI MAGGIORI DA CONSIDERARE QUANDO SI PREPARA UN CORSO DI SVILUPPO PROFESSIONALE CONTINUO SULLA SALUTE GLOBALE Sono diversi gli impedimenti che i coordinatori di corsi di formazione continua in medicina devono prendere in considerazione nell’ideare e progettare dei corsi sul tema della salute globale. Questi ostacoli, che possono essere di tipo istituzionale, culturale, organizzativo o finanziario, sono evidenziati qui di seguito. OSTACOLI ISTITUZIONALI Le autorità sanitarie locali e i dirigenti delle organizzazioni e istituzioni sanitarie possono non considerare la salute globale una priorità o un’opportunità di cambiamento delle strutture. Sotto questo aspetto, la formazione sul tema della salute globale può dover competere con altre priorità più pressanti quali le scelte dirigenziali, l’analisi dei rischi clinici, la ricerca di aumentare il livello di qualità, l’accreditamento istituzionale, la prevenzione e la sicurezza, le liste d’attesa, le emergenze ecc… OSTACOLI CULTURALI Le barriere culturali sono associate solitamente al cosiddetto “modello biomedico”. Secondo tale modello, la salute è l’assenza di malattia, dolore, difetto, cioè la normale condizione umana di salute. Il modello si focalizza sui processi fisici tra cui la patologia, la biochimica, la fisiologia patologica, ma non considera il ruolo dei fattori sociali o individuali. I professionisti della sanità, in particolare i medici, potrebbero non essere interessati a seguire dei corsi sulla salute globale che non abbiano una rilevanza scientifica o discutere di questioni le cui soluzioni si trovino al di fuori dell’ambito medico.
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OSTACOLI METODOLOGICI E ORGANIZZATIVI Lo sviluppo professionale continuo (Cpd) deve misurarsi con diverse questioni di metodologia e di organizzazione che possono influenzare negativamente la formazione dei professionisti. Una problematica è la divisione tra teoria e pratica. Il rischio si accentua se la formazione si basa puramente su un approccio nozionistico (tramite riviste specialistiche, analisi, modelli concettuali, statistiche complicate ecc.), senza nessuna connessione o legame con la vita reale e le esperienze del personale sanitario inteso come professionisti e membri della società. Un altro ostacolo nasce dalla mancanza di interazione tra docenti e allievi. Un adulto non può e non deve essere considerato un apprendista passivo senza esperienza e capacità di pensiero. Gli insegnanti, poi, potrebbero non essere all’altezza, soprattutto dal momento che la salute globale è una materia relativamente nuova, con pochi esperti del settore. Bisogna fare uno sforzo e prestare particolare attenzione per essere sicuri di trovare docenti che abbiano le conoscenze e le competenze per formare dei professionisti sanitari in salute globale. Infine, come altre attività di sviluppo professionale già standardizzate, anche la formazione in salute globale potrebbe trasformarsi in una pratica noiosa. In questo caso, i frequentanti potrebbero essere interessati alla formazione solo per motivi opportunistici (e quindi prendere i crediti e dimenticare i concetti). Contenuti attuali, concreti e interessanti dovrebbero sempre essere previsti e rientrare nella formazione. OSTACOLI FINANZIARI La formazione costa, i fondi pubblici sono scarsi e, nella situazione attuale, i finanziamenti privati rappresentano più spesso un rischio che un vantaggio. È importante individuare dei responsabili affidabili tra i potenziali donatori e nelle università, pianificando in modo strategico e argomentando le richieste, ad esempio suscitando l’interesse di studenti che richiederanno un nuovo corso e dimostrando l’efficacia di approfondire i determinanti della salute per migliorare lo stato di salute. Convincere le autorità sanitarie regionali che insegnare i temi della salute globale contribuirà a fare dei progressi in campo sanitario importando modelli e modalità organizzative di altri paesi, il che sarà utile e strategico nel momento in cui si devono fare pressioni per ottenere fondi maggiori e per superare gli ostacoli finanziari.
COME PROGREDIRE? I 10 PUNTI DELL’AGENDA 1 / Comincia a diffondere l’idea e cercare il supporto del Direttore Generale e del Responsabile per la formazione affinché includano un corso sul tema della salute globale all’interno di un programma di formazione pluriennale della tua struttura (distretto sanitario, ospedale ecc.). 2 / Costituisci un piccolo gruppo coeso di persone sulla stessa lunghezza d’onda, anche con formazione professionale diversa, interessate alla salute globale (medici strutturati e clinici, ostetriche, infermiere, paramedici e altri). Assicurati che siano coinvolti dei professionisti con esperienze in ambiti internazionali quali l’emigrazione e lo sviluppo e che possibilmente entrino a far parte del gruppo.
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3 / Raccogli e leggi gli studi più interessanti presenti in letteratura sul tema della salute globale, molti dei quali sono pubblicati relativamente al progetto “Equal Opportunities for Health Action for Development”. 4 / Identifica e analizza le linee guida, i programmi e i documenti del tuo paese in cui la cooperazione sanitaria internazionale faccia parte integrante delle direttive e delle politiche regionali e nazionali. 5 / Raccogli esperienze sul campo nell’ambito della salute internazionale fatte da colleghi della tua regione in Paesi in via di sviluppo. Analizzale in modo critico e usale come case-studies per confrontare e comparare la stato di salute e il sistema sanitario del tuo paese con l’estero (analizza quindi le strategie utilizzate dai diversi paesi per sollecitare un miglioramento organizzativo e gestionale, lavorare con diversi attori, trovare finanziamenti e risorse per la sanità e analizzare le disuguaglianze in salute). 6 / Prepara un piano di formazione sulla salute globale con un buon equilibrio tra parte teorica e parte pratica. Lascia spazio a sufficienza per le domande, le discussioni e l’interazione tra allievi e docenti. Poni attenzione ai collegamenti e alle implicazioni tra nazionale e internazionale, temi locali ed esteri (ad esempio, la salute in relazione alla povertà, le migrazioni, la sicurezza, la politica estera, la crisi economica ecc.). Valuta il corso continuamente, continuando ad aggiornarlo e a innovarlo.
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7 / Assicurati che i docenti siano persone con una adeguata conoscenza dei vari argomenti. Se necessario, pensa all’opportunità di organizzare una “formazione dei formatori” in salute globale, collegandola ad altre istituzioni locali, regionali e nazionali che condividano lo stesso interesse. 8 / Non dimenticare l’importanza del networking. Dove opportuno coinvolgi Ong, associazioni di professionisti del campo sanitario (associazioni di medici, infermieri, osteriche, ecc.), autorità locali e regionali, università, aziende “corporate responsible”, associazioni, ecc., allo scopo di allargare il gruppo dei partecipanti e rafforzare il messaggio. 9 / Promuovi dei cambiamenti per migliorare la situazione sanitaria e le condizioni di vita delle persone povere nel tuo paese e nei Paesi in via di sviluppo sostenendo i progetti di cooperazione sanitaria internazionale all’estero. 10 / Promuovi i contatti con le università e le associazioni di professionisti del campo sanitario per coinvolgerli in attività pratiche come, ad esempio, raccogliere fondi per i progetti auto-tassandosi o tramite altre attività, offrire ai laureati l’opportunità di partecipare a progetti in Paesi in via di sviluppo, ecc. Prendi in considerazione di sfruttare altre fonti per raccogliere fondi, ad esempio le fondazioni, lotterie e programmi di finanziamento dell’Unione Europea (di aiuto e di sviluppo regionale).
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IL RUOLO DELLA COOPERAZIONE SANITARIA INTERNAZIONALE NELLA PROMOZIONE DELLA SALUTE GLOBALE Documento di riferimento per il Gruppo di lavoro 3 I professionisti sanitari dovrebbero giocare un ruolo primario nella creazione e nella diffusione della consapevolezza che la salute è un diritto umano universale per cui l’allocazione delle risorse dovrebbe essere prioritaria, anche in tempo di crisi economica. I concetti, i valori e le buone pratiche che sono coerenti con il diritto alla salute dovrebbero essere insegnati in modo più adeguato agli studenti e ai professionisti del campo sanitario, e si dovrebbe incoraggiare la collaborazione tra le persone impegnate nel campo della cooperazione internazionale e le facoltà di medicina, gli studenti, le organizzazioni sanitarie e i medici allo scopo di sostenere la causa della salute globale.
Testo di / Fabio Manenti e Agostino Paganini / Medici con l’Africa Cuamm / Italia
La Costituzione italiana 1, in perfetta armonia con le Dichiarazioni internazionali e le Convenzioni 2, definisce la salute e l’accesso ai servizi sanitari come fondamentale diritto dell’individuo. Per definizione, un diritto può esistere se i soggetti che lo possono garantire sono ben identificabili, pienamente coscienti, informati, responsabili e hanno il potere di soddisfarlo. La famiglie, le comunità, le autorità locali e nazionali dei paesi occidentali hanno generalmente le competenze e le risorse per l’assistenza sanitaria e, anche se esistono ancora dei casi di iniquità in Europa occidentale, nel complesso i governi allocano le risorse finanziarie, organizzative e umane che sono necessarie, come dimostra il netto miglioramento della qualità e della durata della vita 3. Con l’aumento annuale dei costi della spesa sanitaria del 2% sul tasso di crescita del Pil, il problema dell’assistenza diventerà presto di primaria importanza. In Italia, il recente dibattito sull’esclusione di alcune persone all’accesso alle cure sulla base della regolarità del loro stato di immigrati non è solo avventato da un punto di vista epidemiologico ma, cosa più importante, trasgredisce al dovere di contribuire a garantire il diritto universale alla salute e, quindi, ai servizi 4. Per la stessa ragione, i paesi con un Pil troppo basso per fornire alla popolazione i servizi sanitari necessari non possono essere abbandonati a sé stessi nell’affrontare il compito di assicurare un’adeguata ed equa accessibilità alle cure, all’alimentazione, a un ambiente sano, all’istruzione di base e alle opportunità economiche; la responsabilità non segue i confini geografici. La cooperazione internazionale in campo sanitario è un dovere della comunità globale. È l’unica via per eliminare le disuguaglianze in salute che segnano l’umanità. La fornitura di farmaci antiretrovirali relativamente costosi per tutti i pazienti Hiv positivi nei paesi meno sviluppati non è corretta solo da un punto di vista epidemiologico (una bassa carica
virale ottenuta con la terapia farmacologica, in combinazione con uno screening di massa giocheranno un ruolo decisivo nel fermare l’epidemia), ma dimostra anche in modo chiaro che la sostenibilità e l’impegno per effettuare interventi in campo sanitario essenziali ed efficaci è un dovere comune e non esclusivo di una singola nazione. Anche se questi principi sono generalmente condivisi in questo tipo di interventi, altri progetti come quello per la maternità sicura e la cura del neonato (il tasso di mortalità materna e neonatale è maggiore di quello dell’Aids, la tubercolosi e la malaria messi insieme), che dovrebbero trarre vantaggio da questo “impegno comune”, non usufruiscono degli stessi finanziamenti, il che pone l’interrogativo su cosa si intenda veramente a livello internazionale per “responsabilità condivisa” nell’eliminare le disparità in salute.
SOSTENERE LA SALUTE GLOBALE Il concetto di responsabilità globale sopra brevemente descritto, non ha ancora il sostegno di un movimento sociale e civile forte, in particolare in Italia, dove i fondi per la cooperazione allo sviluppo, compresi quelli a sostegno della salute globale, sono i primi ad essere tagliati dalle finanziarie ogni volta che l’economia rallenta o sopraggiungono altre priorità 5. Con l’attuale crisi economica e finanziaria senza precedenti che minaccia i mercati mondiali, ci sono forti sentori che indicano che le risorse allocate per la cooperazione internazionale, comprese quelle per la salute, saranno ridotte notevolmente, a meno che i politici non ricevano dei chiari segnali dalla società civile sul fatto che saranno penalizzati da questo atteggiamento e che saranno ritenuti responsabili delle promesse non mantenute 6.
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Sfortunatamente, è estremamente improbabile una reazione civile di questo tipo, dal momento che vi è una scarsa sensibilizzazione e conoscenza del diritto alla salute, delle disuguaglianze in salute e delle loro conseguenze, non solo tra la gente comune, ma anche tra la classe dirigente medica, che dovrebbe per prima influenzare l’opinione pubblica. Sono molti i fattori che hanno causato questa situazione, uno per tutti il continuare a pensare che i poveri debbano essere aiutati solo quando tutto va bene e che non abbiano diritto ad accedere equamente alle risorse disponibili in tempo di crisi. E noi, le organizzazioni impegnate nella cooperazione sanitaria internazionale, non abbiamo investito abbastanza cura, tempo e risorse nel diffondere la consapevolezza all’interno della nostra società culturale, che il non aver onorato l’impegno di devolvere lo 0,7% del Pil nazionale agli aiuti allo sviluppo è un’inadempienza del dovere nazionale che comporta dei risvolti negativi, spesso drammatici, per milioni di persone povere. Le Università, e in particolare le facoltà di medicina, così come gli istituti di formazione, considerano ancora l’insegnamento e lo studio dei temi della salute globale una soluzione facile, una materia secondaria, e non sembrano consapevoli delle conseguenze morali, culturali e scientifiche di questo atteggiamento. I professionisti sanitari non si sono ancora resi conto del legame tra la loro professione e ruolo sociale con il dovere morale di informare e mobilitare l’opinione pubblica sui temi della salute globale. Sono necessarie un’interazione e una comunicazione attiva e sistematica tra le persone impegnate nell’ambito della cooperazione internazionale e le facoltà di Medicina, gli studenti, le organizzazioni sanitarie e i medici allo scopo di sostenere la salute globale 7. Le Agenzie per la cooperazione sanitaria internazionale dovrebbero creare dei network con le Università, le facoltà di Medicina, gli Ordini dei Medici, ecc. e farli partecipare ai programmi di cooperazione e ai progetti con un impegno diretto e concreto, ad esempio tramite raccolte di fondi e il coinvolgimento in prima persona di professionisti degli ordini e delle associazioni di medici, oppure tramite l’offerta agli studenti di medicina di opportunità formative e di tirocini nei paesi sviluppati. I professionisti sanitari dovrebbero avere un ruolo determinante nel creare e diffondere la consapevolezza che la salute è un diritto umano universale per cui l’allocazione delle risorse è una priorità anche in periodi di recessione economica. Dovrebbero dimostrare il loro impegno a sostegno della salute globale nell’esercizio quotidiano della professione, a cominciare da un utilizzo diverso delle risorse. L’allocazione delle risorse dovrebbe fondarsi sui principi della medicina basata sulle evidenze, cui ogni professionista sanitario è giusto contribuisca, scegliendo di prassi test diagnostici, cure e farmaci basandosi sui benefici reali e sul contributo allo stato di salute della popolazione e non su interessi privati e commerciali. I professionisti sanitari possono e dovrebbero contribuire a raccogliere dati sull’allocazione delle risorse nel loro distretto, così da individuare quali sono i benefici per la popolazione e quali i bisogni non ancora soddisfatti, mettendo in risalto le disuguaglianze a livello locale. Bisognerebbe utilizzare poi questi dati per fare pressione sulla classe politica, che ha bisogno del consenso dei propri elettori, e per sensibilizzare le comunità sul tema della salute globale e sulla necessità di una responsabilità condivisa per eliminare le disuguaglianze in salute.
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Le agenzie per la cooperazione sanitaria internazionale dovrebbero fornire dati riguardanti il modo in cui le risorse degli aiuti internazionali vengono distribuite e il loro impatto a livello locale, individuando i bisogni non soddisfatti ed evidenziando, in particolare, le disuguaglianze in salute e quali possano essere gli aiuti veramente necessari. Questi dati dovrebbero essere usati per fare pressione sui politici e sugli stakeholders, cui richiedere finanziamenti migliori e maggiori per il settore sanitario. Gli accademici dovrebbero produrre dei dati, a riprova di ciò che funziona o meno quando si cerca di migliorare la salute delle popolazioni in paesi con poche risorse. Le facoltà di Medicina dovrebbero creare contatti con altre facoltà (antropologia, scienze socio-economiche, agraria, scienze della terra ecc.) per individuare altri determinanti e fattori influenzanti la salute e lo sviluppo. Anche questi dati possono servire per sollecitare un’assegnazione diversa degli investimenti. Pertanto le Agenzie per la cooperazione sanitaria internazionale, il personale accademico, i professionisti sanitari e la comunità medica tutta, dovrebbero lavorare insieme per sostenere la salute globale e cercare di influenzare la classe politica e le istituzioni affinché attuino politiche e strategie a vantaggio della collettività e dei suoi interessi e diano seguito ai loro impegni etici e morali.
INSEGNARE LA SALUTE GLOBALE Il ruolo delle Agenzie per la cooperazione sanitaria internazionale nell’ambito dell’insegnamento della salute globale dovrebbe affermarsi inizialmente riconoscendo come i concetti, i valori e le azioni che sono coerenti con il diritto alla salute siano spesso insegnati, adeguatamente o no, a studenti e professionisti della sanità del Nord del mondo. Questo significa che i programmi e le metodologie di studio utilizzati nei paesi industrializzati se trasferiti tali e quali negli istituti di formazione del Sud, senza nessun adattamento, possono influenzare in modo deleterio i valori, le scelte professionali e l’etica del lavoro dei professionisti sanitari dei paesi poveri. Se questo gap non ha un impatto così forte sull’accesso ai servizi sanitari nel Nord, grazie al grosso investimento di risorse umane e finanziarie fatto in ambito sanitario, diventa invece cruciale laddove le risorse finanziarie e, soprattutto, umane sono limitate. Se quest’ultime, poi, mancano di motivazione, consapevolezza e sincero interessamento alla salute delle persone e in particolare delle più svantaggiate, le conseguenze sono ancora più serie. Per questo motivo, i temi della salute globale, e in particolare le responsabilità morali dei professionisti sanitari, dovrebbero essere materia di insegnamento anche negli Istituti di formazione dei Sud. Condividere i percorsi di studio con gli studenti e i medici del Nord, offrirebbe loro la possibilità di toccare con mano le situazioni reali nel contesto della salute globale e di coinvolgere la comunità medica nelle tematiche che la riguardano, e la necessità di diffonderne l’insegnamento. Il recente accordo siglato tra l’Università di Padova e il Medici con l’Africa Cuamm, ad esempio, ha posto le basi per una serie di rapporti di collaborazione tra l’Ateneo patavino e le autorità sanitarie e accademiche africane atte a formare futuri professionisti sanitari nell’ambito della salute globale, della ricerca e della didattica, e per promuovere lo scambio di informazioni e di
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esperienze anche tra l’Università di Padova e il Medici con l’Africa Cuamm, prevedendo brevi missioni in Africa da parte dei docenti dell’Università. Inoltre, gli studenti neolaureati avranno l’opportunità di completare una parte della specializzazione in Africa, per periodi non superiori a un anno, e il Medici con l’Africa Cuamm fornirà l’assistenza necessaria e svolgerà il ruolo di coordinatore. Un altro esempio efficace del ruolo della cooperazione sanitaria internazionale nella divulgazione dei temi inerenti alla salute globale è contenuto nell’accordo tra il Segretariato Italiano Studenti in Medicina (Sism) e il Medici con l’Africa Cuamm, che prevede l’opportunità per gli studenti di Medicina di partecipare a progetti di cooperazione sanitaria del Cuamm in Africa.
REALIZZARE LA SALUTE GLOBALE La questione più importante, alla fine, è sostenere quanti hanno un dovere verso coloro che hanno un diritto in maniera tale che le disuguaglianze nella salute vengano eliminate e aumenti il potere delle famiglie, delle comunità e delle istituzioni dei paesi poveri. La sfida per gli organismi di cooperazione in campo sanitario è spostarsi da una concezione interventistica a una visione costruttiva e di rafforzamento dei fattori interni del cambiamento. Oggi, a parte qualche rara eccezione di paesi molto instabili o addirittura in bancarotta, la maggioranza dei paesi poveri possiedono sistemi e politiche sanitarie. Le risorse nazionali spesso non sono sufficienti, capacità e competenze sono scarse e le strutture organizzative ancora deboli. Il nostro ruolo dovrebbe essere quello di aumentare la capacità di fornire servizi basati sui bisogni effettivi allo scopo di raggiungere gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio e gettare solide basi per ottenere equità e salute per tutti. Uno dei maggiori ostacoli alle iniziative di cooperazione internazionale è la frammentazione delle proposte: il moltiplicarsi di progetti, l’assenza di un coordinamento forte a livello mondiale e l’incapacità delle autorità locali dei paesi poveri di beneficiare pienamente degli aiuti esterni e di concentrarli nell’ambito sanitario. Un sistema sanitario funzionante è in grado di perseguire degli obiettivi intermedi quali l’accessibilità, la qualità, l’equità, l’efficienza e la sostenibilità dei servizi. Il risultato finale è il miglioramento dello stato di salute (riduzione della mortalità e della morbilità). Il fatto che questi obiettivi vengano raggiunti o meno dipende molto dalle capacità gestionali del personale sanitario e dall’abilità di destinare con successo ai problemi prioritari le poche risorse disponibili. Questo richiede delle conoscenze politiche e tecniche, competenze e azioni efficaci. Un aspetto positivo è che sta prendendo piede la convinzione che i sistemi sanitari debbano essere potenziati se si vuole migliorare il livello dello stato di salute; questo almeno in teoria, an-
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che se non ancora nella pratica, come dimostra chiaramente il tasso di mortalità materna, tuttora incredibilmente alto, uno degli indicatori più attendibili sulla qualità dell’assistenza sanitaria nei paesi con risorse limitate 8. Mentre è calata la mortalità infantile, in parte grazie a programmi “verticali” come le vaccinazioni, la distribuzione di vitamina A e di soluzioni reidratanti orali (Ors), altre diseguaglianze in salute richiedono un’azione immediata, rapida e mirata per aumentare i finanziamenti, la qualità e l’accesso ai servizi sanitari se si vogliono diffondere altre misure salvavita e tecniche mediche in modo equo e per tutti. Oltre ad un aumento delle risorse internazionali, di cui c’è urgente bisogno, ma sarà difficile che avvenga nei prossimi 2 anni, devono avvenire dei cambiamenti sostanziali nell’allocazione delle risorse disponibili, sia pubbliche che private. Questo processo non deve subire ulteriori ritardi se si vuole garantire l’assistenza sanitaria alle famiglie più povere. Perché questo avvenga, la cooperazione sanitaria internazionale deve cominciare a sviluppare un piano strategico per rafforzare i sistemi sanitari in specifiche aree di intervento e per raccogliere dati allo scopo di capire se, con una corretta valutazione delle lacune esistenti e con l’allocazione delle risorse ponderata sulla priorità dei bisogni, si potranno raggiungere gli altri Mdg (Millennium Development Goals) come è stato possibile relativamente alla salute materna e infantile, per controllare le 3 pandemie dei nostri tempi: Hiv/Aids, Tbc e Malaria. Un esempio: in Etiopia, nella zona del South West Shoa, un’area con più di un milione di abitanti, il Medici con l’Africa Cuamm ha collaborato nella realizzazione del St. Luke Hospital e della Scuola per Infermieri di Wolisso, e continua il suo intervento anche a livello di distretto per aumentare i servizi curativi e preventivi, operando in linea con le politiche del Servizio Sanitario Nazionale che prevedono la formazione e la diffusione di Health Extension workers, operatori che vanno direttamente nei villaggi per fornire servizi sanitari. Un altro esempio è in Tanzania, nel Distretto di Iringa Rural, un’area con più di 250.000 abitanti, dove il Medici con l’Africa Cuamm sta supportando l’ospedale di Tosamaganga District Designated Hospital (ospedale di riferimento per il distretto) attraverso la fornitura di servizi curativi, in particolare per le madri e i bambini, e sta portando avanti interventi di salute pubblica, in collaborazione con le autorità regionali, per promuovere servizi sanitari essenziali di prevenzione compresi nel “National framework of intervention”. Si vuole rafforzare il ruolo della comunità e degli operatori sanitari locali, allo scopo di costruire un sistema informativo sanitario funzionale e di migliorare la valutazione dei bisogni e delle priorità per una programmazione migliore e per l’allocazione delle risorse. La possibilità di avere dei dati attendibili per valutare il funzionamento della cooperazione sanitaria internazionale e il livello di crescita dei sistemi sanitari locali si rivela cruciale se vogliamo affermare che il sostegno internazionale è efficiente ed efficace.
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BIBLIOGRAFIA CONSIGLIATA World Health Organization. Everybody’s business, strengthening health systems to improve health outcomes a framework for action, Who, Geneva, 2007. R. Dodd, Aid effectiveness and health, Who, 2007. K.J. Kerber, J.F. de Graft-Johnson, Z.A. Bhutta, P. Okong, A. Stars, J.E. Lawn, Continuum of care for maternal, newborn, and child health: from slogan to service delivery, Lancet 2007; 370: 1358-69. Z.A. Bhutta, S. Ali, S. Cousens, T.M. Ali, B.A. Haider, A. Rizvi, P. Okong, S.Z. Bhutta, R.E. Black, Interventions to address maternal, newborn, and child survival: what difference can integrated primary health care strategies make? Lancet, 2008; 372; 972-89. Lancet series on Maternal, Newborn and Child Survival; Nutrition; Sex and Reproductive Health; Who counts?; Human resources; Health Research; Public Health System and others.
G.L. Darmstadt, Z.A. Bhutta, S. Cousens, T. Adam, N. Walker, L. de Bernis, Lancet Neonatal Survival Steering Team. Evidence-based, cost-effective interventions: how many newborn babies can we save?, Lancet 2005; 365: 977-888. Countdown to 2015 for Mnch, Tracking coverage of interventions, Lancet, 2008; 371: 1247-58. Unicef, Countdown to 2015: tracking progress in maternal, newborn and child survival, 2008 Report, Unicef. D. De Savigny, H. Kasale, C. Mbuya, G. Reid, Fixing health systems, IDRC, Ottawa, 2004. Tropical medicine and international health, Vol. 12 N. 5, pp. 578-583, May 2007. Save the Children, State of the world’s mothers 2008, Closing the survival gap for children under 5, Save the Children, May 2008.
1 Art. 32 della Costituzione Italiana. 2 Dichiarazione Universale dei diritti umani (Artt. 3 e 25), Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali (Artt. 11 e 12), Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne, Convenzione sui diritti dell’Infanzia, Convenzione del Consiglio d’Europa sui Diritti Umani e la Biomedicina, Convenzione americana sui diritti umani, Carta africana dei diritti dell’uomo e dei popoli, Carta araba dei diritti dell’uomo, Dichiarazione di Alma Ata sull’assistenza sanitaria primaria, Dichiarazione Universale sulla Bioetica e i Diritti Umani dell’Unesco, Carta di Ottawa per la promozione della salute, Dichiarazione del Millennio delle Nazioni Unite.
3 http://stats.oecd.org/WBOS/index.aspx; http://stats.oecd.org/WBOS/index.aspx 4 http://portale.fnomceo.it/Jcmsfnomceo/Jarticolo.jsp?lingua=It&idsezi one=99&idarticolo=54137 5 http://www.oecd.org/dataoecd/47/25/41724314.pdf 6 http://www.actionforglobalhealth.eu/publications/healthyaid/ healthy_aid_english_version; http://www.actionforglobalhealth.eu/ publications/afgh_policy_reports_health_warning/italian_report_ allarme_salute__1 7 http://portale.fnomceo.it/Jcmsfnomceo/Jarticolo.jsp?lingua= It&idsezione=27&idarticolo=48786 8 http://stats.oecd.org/WBOS/index.aspx
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STRATEGIE PER MOBILITARE E SOSTENERE RISORSE FINANZIARIE E UMANE PER PROMUOVERE LA SALUTE GLOBALE Documento di riferimento per il Gruppo di lavoro 4 La promozione di pari opportunità per la salute sottintende la garanzia dell’accesso a servizi di assistenza sanitaria qualitativi, un determinante fondamentale della salute. Per assicurare la copertura sanitaria universale, non sono necessarie solo risorse finanziarie, ma anche risorse umane adeguatamente preparate e capaci di far funzionare il sistema in modo appropriato ed efficiente, promuovendo perciò il cambiamento e catalizzandolo per una maggiore equità in salute.
Testo di / Jean Pierre Unger e Patrick Van Dessel / Prince Leopold Institute of Tropical Medicine of Antwerp / Belgio
1 / SITUAZIONE FINANZIARIA E AMBIENTALE ATTUALI Per promuovere pari opportunità in salute, si deve mitigare l’impatto di fattori di rischio, associati ad ampi determinanti della salute, che conducono a morte prematura e malattia e, in sostanza, migliorare la qualità della vita degli individui e delle comunità. L’accesso all’assistenza sanitaria di qualità è di per sé un determinante vitale della salute, e per questo i servizi devono essere progettati e finanziati in maniera tale che la copertura sanitaria universale aumenti equamente in tutto il mondo. Tuttavia, senza un gruppo di risorse umane adeguatamente preparate, i sistemi di assistenza sanitaria non possono funzionare in modo consono o efficiente. Ma quanto sono preparati i laureati in medicina a capire, promuovere e catalizzare il cambiamento verso una maggiore equità nella salute nel mondo? Sono in grado di progettare sistemi sanitari migliori e più equi? Le scuole di salute pubblica devono rispondere ai bisogni degli studenti del ventunesimo secolo e pensare ambiziosamente all’accesso verticale verso istruzione e formazione adeguate. Organizzare la formazione sanitaria pubblica e globale in tutto il mondo allo scopo di promuovere efficacemente pari opportunità per la salute, appare perciò un buon investimento pubblico e certamente sarà una delle principali sfide della comunità internazionale nei decenni a venire. In Europa, un numero crescente di organizzazioni sta riconoscendo l’importanza della salute in un mondo sempre più interdipendente. Vengono intraprese iniziative per dar vita a cooperazioni e networking, ad es. tra cooperazioni internazionali per lo sviluppo, politici e la comunità accademica. L’attuale progetto
e il network fondato con “Equal opportunities for health: action for development” 1 sta mettendo in pratica una strategia basata sulla formazione e la promozione della salute globale. L’iniziativa “Europe in the World” dello European Foundation Centre 2, per esempio, ha come scopo la spesa del 5% delle risorse in iniziative globali e di sviluppo al di fuori dell’Europa. Academia ha iniziato ad elaborare programmi di formazione in salute globale per informare i professionisti sanitari attraverso una didattica interdisciplinare e l’apprendimento esperienziale. I programmi di salute globale hanno proliferato dal Nord al Sud del mondo, con piani di studio che includono competenze in ricerca, studi culturali, scienze sociali e scienze di base. A tal fine, molte facoltà di Medicina pubbliche nei paesi sviluppati stanno collaborando con altri soggetti presenti in nazioni in via di sviluppo, offrendo programmi di scambio e l’opportunità di attuare progetti congiunti nella scuola affiliata. Ma c’è ancora molto lavoro da fare. 1.1 / PRINCIPALI ATTORI E STAKEHOLDERS Inserire il “globale” nella salute pubblica si è manifestato, storicamente, in un forte aumento dell’importanza di attori al di fuori delle Organizzazioni e delle Agenzie governative o intergovernative. Oggi il panorama della cooperazione internazionale e sanitaria è in continuo cambiamento e coinvolge così tanti nuovi attori, strategie e opportunità di finanziamenti che c’è un inevitabile senso di caos accompagnato, tuttavia, dall’eccitazione per le opportunità in vista. I centri di formazione, sia quelli ad hoc (ad es. scuole di medicina tropicale e internazionale) sia quelli più tradizionali (ad es. centri
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di formazione ospedaliera che iniziano a formare sulle tematiche della salute globale) devono trovare sempre di più la propria strada in mezzo a questa confusione per essere ascoltati e far finanziare le proprie attività. Ciò che segue è solo una lista non esauriente di esempi su come le infrastrutture esistenti per la formazione stanno fronteggiando i temi inerenti alla salute globale nella loro veste accademica, o sono alla ricerca di network. MULTILATERALE Gro Harlem Bruntland, ex-direttore generale all’Oms, alcuni anni fa, durante un meeting con la comunità economica internazionale 3 a Washington, rifletteva sul fatto che «…la separazione tra problemi di salute a livello nazionale e internazionale non è più utile…». Una dichiarazione non benvenuta dato che l’intero processo per globalizzare la salute era stato dominato, fin da poco dopo la creazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, da Washington stessa e dai suoi alleati, e strettamente vincolata all’avanzamento dei loro interessi. A / EUROPA Svizzera Il governo svizzero e 7 importanti università 4 raggiunsero un accordo nel luglio 2005 per creare la fondazione Swiss School of Public Health Plus (Ssph+). La Ssph+ è un organo nazionale di coordinamento, il cui scopo è migliorare i programmi di formazione postlaurea esistenti in salute pubblica ed economia sanitaria. Fin dall’inizio del 2008, la Ssph+ è stata gestita come una fondazione. Ogni università fondatrice ha versato un capitale iniziale di 60.000 franchi svizzeri e i nuovi membri sono tenuti a contribuire con parte uguale. Queste risorse di finanziamento sono incrementate dallo Stato, da sovvenzioni federali regionali e/o locali, da donazioni e utili sul capitale. Inghilterra e Scozia Medact – un’organizzazione di professionisti sanitari che ricerca e influenza i temi della salute globale – ha prodotto a tal fine un pacchetto di piano di studi, utilizzato in diverse facoltà di medicina, per incorporare i moduli sul tema della salute globale nel curriculum medico dello studente. Alla University College London, l’International Health and Medical Education Centre ha iniziato a proporre agli studenti lo studio della salute globale. Dal 2001, è attivo un Bsc intercalato in Salute Internazionale. Un programma facoltativo è inoltre in via di definizione per gli studenti in Tanzania. Il Ciphp, Centre for International Public Health Policy, è stato creato alla School of Health in Social Sciences all’Università di Edimburgo e offre programmi ai livelli PhD e Master 5, con particolare focus sulla politica della salute pubblica nel contesto delle diseguaglianze in espansione nella salute globale e nazionale. Il Ciphp offre anche un anno in Politica Sanitaria Internazionale e conseguente laurea in Scienze Mediche con specializzazione in Politica Sanitaria Internazionale. Il 4° anno è aperto a studenti di medicina provenienti sia dall’Università di Edimburgo sia da altre scuole di medicina. Svezia Alcune facoltà di medicina hanno già introdotto il tema della salute globale nel loro insegnamento. Al Karolinska Institute di Stoccolma è parte del curriculum medico dal 1996. 2 volte all’anno, è disponibile per gli studenti un corso facoltativo di
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5 settimane a tempo pieno, il corso facoltativo più popolare nel piano di studi, seguito da più della metà degli studenti. La finalità è insegnare in che modo i fattori socioeconomici, culturali e ambientali determinano la salute delle nazioni e come il peso mondiale di malattie e di pattern demografici varia tra e all’interno delle nazioni. Paesi Bassi L’insegnamento della salute globale non è standard nel piano di studi base. Le facoltà di medicina delle 2 università di Amsterdam (la Vrije Universiteit e l’Università di Amsterdam) gestiscono il corso facoltativo “Salute e questioni di guerra e pace”. Un gruppo di lavoro è stato formato da 4 associazioni olandesi (Wemos; la Federazione Internazionale delle Associazioni di Studenti di Medicina in Olanda; la Fondazione Johannes Wier sulla Salute e i Diritti Umani; e la Nvmp, affiliata olandese di Ippnw - Associazione Internazionale dei Medici per la Prevenzione della Guerra Nucleare) per sviluppare un piano di studi di base sui temi della salute globale, includendo materiale di sostegno, come case studies, cd-rom e video. Il Ghep, Global health Education Project 6, sta attualmente persuadendo 8 università olandesi a implementare e integrare questo piano di studio, come modulo facoltativo o come indirizzo principale. Belgio La “Piattaforma d’azione salute-solidarietà” è un network con sede a Bruxelles tra organizzazioni sindacali, enti previdenziali per la salute pubblica, fondazioni, Ong e università per il coordinamento di strategie che migliorino le politiche sanitarie crescenti e universali in Belgio, Europa e nel mondo. Interdis 7 è una partnership all’interno della University of Ghent Association per connettere l’expertise tra discipline e tra istruzione e pratica per una gestione valida del sistema sanitario. Be-cause health 8 è una piattaforma informale e pluralistica aperta a istituzioni accademiche belghe e scuole per la salute pubblica, Ong belghe per lo sviluppo sanitario, servizi governativi coinvolti nella cooperazione allo sviluppo sanitario e attori del sistema sanitario internazionale in generale. B / LE AMERICHE Stati Uniti e Canada Le scuole negli Usa, tra gli altri temi di studio, offrono corsi in salute internazionale. La Johns Hopkins School of Public Health ha definito il modello adottato in altre scuole pubbliche negli Usa, anche se ci sono alcune differenze organizzative nei programmi. La Johns Hopkins è comunque principalmente orientata alla ricerca. Secondo l’organizzazione ombrello Asph 9, Association of Schools for Public Health, le scuole di salute pubblica accreditate negli Usa offrono generalmente 5 discipline principali: biostatica, epidemiologia, amministrazione dei servizi sanitari, educazione alla salute/scienza comportamentale e salute ambientale. Per conto delle scuole di salute pubblica, l’Asph riceve sussidi e lavora con agenzie private e federali su progetti che hanno lo scopo di rafforzare l’educazione alla salute pubblica e la professione sanitaria pubblica. Il programma Asph/Cdc Allan Rosenfield di borse di ricerca sulla salute globale offre opportunità di formazione ai neolaureati di scuole accreditate di salute pubblica e associate ad Asph (Mph e dottorati). Fondato nel 1991, l’Ihmec, International Health and Medical Education Consortium, ha cambiato il proprio nome nel 2005 in
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Ghec 10, Global Health Education Consortium. Il Ghec mette in comunicazione più di 1.000 dottori, facoltà e operatori del sistema sanitario, rappresentando 65 scuole mediche negli USA e in Canada, che si dedicano alla formazione sanitaria globale nelle scuole professionali sanitarie e a programmi di internato. Il Ghec agevola il curriculum e lo sviluppo di materiali per la formazione, anche clinica, lo svolgimento della professione e la politica educativa. I membri di Ghec sono attivi in più di 70 scuole professionali sanitarie e programmi di formazione negli Usa, Canada, America centrale e nei Caraibi. In Canada, il Cih, Centre for International Health 11 presso la Dalla Lana School of Public Health all’Università di Toronto, sta compiendo costanti sforzi per sviluppare un piano di studi sul tema della salute globale e programmi di insegnamento a livello universitario e post-laurea, ad es.: inserire la salute globale nel curriculum medico universitario; nuovi programmi Master e PhD in salute pubblica al Dipartimento di Public Health Sciences (Phs); un nuovo corso universitario nel programma di Studi Sanitari; l’insegnamento di politica globale sui farmaci alla facoltà di Farmacia, ecc. Corsi facoltativi all’estero per studenti non solo di medicina e residenti sono facilitati per lo più dall’Università di Toronto, ma anche da altre università americane e canadesi.
in paesi come Benin, Repubblica Democratica del Congo, Ghana e Uganda per citarne alcuni.
C / ASIA Nel 2005, un riesame dell’educazione sanitaria pubblica nella regione del Sud-est asiatico dell’Oms mostrò l’esistenza di svariati corsi postlaurea in India, Indonesia e Tailandia, e corsi universitari in altre nazioni. Tuttavia, c’è una grande differenza in istituti e corsi offerti nella regione per quel che riguarda l’assicurazione della qualità, lo standard di insegnamento e la competenza dei membri della facoltà nell’esperienza sul campo. Non sappiamo se ci sia formazione in salute globale in questi corsi. In Australia, le competenze sulla salute pubblica sono favorite da formazione on-the-job e in-service, programmi di formazione continua specifici al contesto e corsi brevi, pacchetti didattici self-directed e a distanza e corsi post-laurea. Bangladesh La scuola James P. Grant è una dei nuovi nati tra gli enti di salute pubblica, con sede in un Paese in via di sviluppo. Offre corsi importanti per il Bangladesh, dove nell’ultimo decennio si è verificato un movimento in direzione di temi di salute pubblica internazionale e interessi locali. La scuola attrae studenti sia di nazioni sviluppate sia in via di sviluppo. I corsi sono tenuti in partnership con scuole internazionali, incluse la Johns Hopkins, Harvard ecc.
Organizzazioni governative e non governative stanno attualmente gestendo importanti restrizioni di volume delle risorse, che impediscono di portare a termine i servizi in modo sostenibile. Le sfide includono restrizioni chiaramente visibili di numero, distribuzione e formazione di staff per la fornitura del servizio, specialmente in paesi fortemente colpiti da crisi economiche, conseguenze a lungo termine di politiche di aggiustamento strutturale e impatto di epidemie di malattie infettive. C’è un nuovo senso di urgenza nello sviluppo della formazione in verticale in salute globale. Sempre di più, governi, ricercatori e professionisti internazionali del settore sanitario sono coinvolti per contenere le emergenze sanitarie; gestire lo spostamento di rischi sanitari dovuti alla globalizzazione; rispondere all’insicurezza alimentare; dare risposte ai continui disastri umani e naturali dovuti a cambiamenti climatici, atrocità politiche ignorate e costituzioni di nazioni fallite. Al tempo stesso, cambiare gli stessi processi globali crea nuove profonde sfide per il settore sanitario: dalla pandemia Hiv/Aids, al tasso crescente di rifugiati ed emigranti; dalla controversia sui brevetti farmaceutici mondiali alle implicazioni sanitarie di accordi commerciali mondiali. Si sostiene che più liberalizzazione economica globale e un impegno politico nell’introdurre i mercati in tutte le sfere della vita pubblica, servizi sanitari inclusi, sarebbe di beneficio a tutti, ma è sempre più evidente che sta accadendo il contrario. L’industria sanitaria globale è diventata sempre più un mix di responsabilità incerte e di opportunità interessanti. L’arrivo di nuovi e consistenti aiuti umanitari e l’attenzione senza precedenti fornita da personaggi famosi, ex presidenti, economisti dello sviluppo, banche multinazionali, ha favorito il campo della salute globale, che ha bisogno di studio attento, considerazione di nuove forme di governance e migliore conoscenza della salute in un mondo globalizzato.
D / AFRICA La School of Health Systems and Public Health dell’Università di Pretoria offre un programma di apprendimento self-directed, tra cui epidemiologia, politica della salute e gestione, salute occupazionale e ambientale, controllo delle malattie, etica della ricerca sanitaria e promozione della salute. L’Africa ha urgentemente bisogno di un piano per sviluppare le proprie competenze formative in salute pubblica. La mancanza di massa critica sembra un gap chiave sul quale focalizzarsi, rafforzando i centri sub-regionali, che dovrebbero fornire programmi di formazione ai paesi circostanti. Qui è necessaria più ricerca, collegata alla formazione in salute pubblica e agli istituti di istruzione. Cambiamenti nel decennio passato hanno portato oggi nelle scuole temi di salute pubblica internazionale e locale,
E / IL RESTO DEL MONDO Gli ultimi decenni hanno testimoniato la nascita di nuove scuole in Paesi in via di sviluppo come la Cina, il Brasile, l’India, il Kazakhstan e la Tailandia, rivelando un interesse crescente per i temi internazionali di salute pubblica e interessi locali. I corsi variano da uno a 7 anni, richiedono quantità variabili di ricerca sul campo e soddisfano sia i professionisti, che già lavorano nella salute pubblica, sia i neolaureati. A seconda della scuola, uno studente può optare per lo studio a tempo pieno, part-time o per corrispondenza, online; scegliere da un Master in Salute Pubblica (Mph) fino a un dottorato o fare un corso breve e ricevere una qualifica in un particolare ambito. C’è molto di più in fermento sul tema della formazione in salute globale nel mondo. Non rientra nell’attuale documento di studio essere esaustivi. Una lista di utili link internet a istituzioni internazionali è fornita in allegato a questo documento. 1.2 / RESTRIZIONI ATTUALI
Nonostante alcuni benefici, la proliferazione di Ghp (Global Health Partnerships) ha sollevato parecchi problemi a livello sta-
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tale, risultando in troppi casi di processi paralleli e risorse sprecate 12. Per esempio, in molti Ghp, dominano specifiche priorità sulla malattia che focalizzano su obiettivi circoscritti di questioni limitate. Questi obiettivi non sono sempre allineati con le priorità e i programmi esistenti dei paesi, deviando altrove fondi e risorse. Infine, i costi di transazione, estremamente elevati, per i governi e i donatori sono in parte il risultato della gestione di iniziative multiple. Alla “Call to Action on Research for Health” 13 di Bamako, nel 2008, è stata affrontata la questione dei finanziamenti iniqui per la ricerca sulla salute e lo sviluppo, in particolare nei Paesi in via di sviluppo. Ai governi dei 56 paesi partecipanti è stato ricordato che, fino ad ora, troppa poca ricerca sanitaria è stata focalizzata sulla salute dei poveri in paesi con reddito medio-basso. Sono stati invitati a stanziare alla ricerca almeno il 2% dei loro budget sanitari del Ministero. Altri autori hanno confermato la bassa priorità data dai donatori ai finanziamenti per la ricerca e la formazione 14. Inoltre, un discussion paper del 2007 del Regional Network for Equity in Health (Equinet) nell’Africa del Sud 15 attribuisce l’insufficienza del sistema sanitario alla fuga degli operatori sanitari che inseguono un alto livello di “benessere”. L’esodo di personale che migra da aree rurali ad aree urbane, da settori pubblici a privati, da paesi con reddito basso a quelli con reddito più alto all’interno della regione, e da questa a paesi industrializzati, aumenta ulteriormente e peggiora le disuguaglianze in salute già esistenti. 1.3 / SFIDE E NECESSITÀ Per convincere i potenziali donatori a investire nella formazione in salute globale, l’argomentazione più forte dovrebbe essere che, su scala globale, l’agire sui determinanti sociali, non monetari, della salute come mezzo per sostenere l’equità in salute, è formalmente riconosciuto come una funzione principale dello sviluppo 16, sebbene questa affermazione sia ancora ricusata dalle solite parti 17. I programmi di studio di medicina nelle nostre università non possono più fare affidamento semplicemente sull’insegnamento della medicina nazionale; ai nostri nuovi dottori serve di più e loro stessi vogliono di più. Hanno bisogno di sapere di più sul mondo in generale (e non solo sui pattern di malattia altrove) per capire le condizioni fisiche e mentali che si trovano ad affrontare. Non è sufficiente conoscere i propri settori tecnici in contesti sanitari internazionali; è una buona ragione clinica per cui le questioni di salute globale dovrebbero essere sul curriculum medico, ma ce ne sono anche altre. I medici devono familiarizzare con importanti competenze che qualsiasi professionista dovrebbe imparare: apprezzare la diversità, sfidare il pregiudizio, analizzare il cambiamento e le forze che plasmano la società, ed essere in grado di reagire in una gamma di circostanze. Da qui la necessità di una formazione interdisciplinare essenziale di professionisti della salute di prossima generazione e una conduzione di ricerche sulla formazione in salute globale come strumento efficace. Inoltre è necessario formare una base conoscitiva approfondita relativamente alla struttura dell’aiuto allo sviluppo sanitario, attraverso il supporto attivo di donatori bilaterali, multilaterali o aziendali in tutto il mondo e in/con l’Europa. Tale conoscenza deve essere divulgata attraverso una serie di canali, incluso in-
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ternet, pubblicazioni e comunicati informativi. Questa base conoscitiva può essere utilizzata per fornire risposte su misura a richieste informative e di ricerca da parte di membri e partner nella comunità accademica. La formazione in salute globale che non sia rilevante per le priorità sanitarie nazionali e sia separata dalla pratica sanitaria pubblica, non ha utilità e costituisce un’opportunità persa. Più risorse devono essere mobilizzate a livello internazionale per questo fine e la modalità dei bisogni formativi deve essere rivalutata, deve cioè rispecchiare i criteri di qualità e le metodologie dei paesi industrializzati ma anche soddisfare i bisogni locali in un contesto globale. Oltre al bisogno di formare un gran numero di nuovi professionisti della salute pubblica nel Sud, un’ulteriore sfida per la comunità accademica è la necessità di migliorare la preservazione e la performance degli operatori sanitari attuali. Come suggerito da un altro Gruppo di Lavoro 18, coloro che propugnano e promuovono la formazione in salute globale nel Nord non dovrebbero trascurare questo fallimento sistematico nel Sud, che è una conseguenza di una serie di fattori di instabilità. Come punto di partenza per stabilire dei criteri per le attività di formazione e finanziamento sostenibili nel campo della salute globale, dovremmo promuovere le raccomandazioni della Task Force dell’Oms chiamata Task Force on Scaling Up Research and Learning on Health Systems 19: 1 / Mobilitarsi intorno a un’agenda ad alto profilo di ricerca e apprendimento per migliorare la performance dei sistemi sanitari. 2 / Impegnare istituzioni e professionisti nella formazione dell’agenda sulla ricerca, producendo dei dati per comunicare i processi decisionali. 3 / Rafforzare la competenza del paese nella ricerca sui sistemi sanitari sostenuta da supporto efficace regionale e globale. 4 / Aumentare il finanziamento per l’apprendimento e la ricerca sui sistemi sanitari. Secondo questi criteri e le sfide specifiche nella salute globale, saranno necessari approcci innovativi per mobilitare fonti alternative di finanziamento e promuovere pari opportunità tra cui: a / Coinvolgere risorse da parte di tutto il governo (non solo il ministero della Salute) per misurarsi con i determinanti sociali della salute. b / Coinvolgere attivamente la società civile e le organizzazioni non governative nella promozione della salute globale e nelle attività di insegnamento. c / Rafforzare le competenze di insegnamento della salute globale nei settori e a livelli multipli. d / Raccogliere prove sull’efficacia di promuovere pari opportunità nella salute e l’utilizzazione di tale evidenza nelle decisioni politiche e nella programmazione. Il possibile finanziamento per l’insegnamento della salute globale all’interno di flussi di risorse per la salute globale dovrebbe essere valutato in modo critico e potrebbe essere cercato attraverso una serie di nuovi meccanismi: Le cosiddette Tobin tax o tasse di transazione monetaria: una tassa annua universale dello 0,1% potrebbe raccogliere 132 miliardi di dollari, una tassa europea potrebbe portare 16 miliardi di dollari.
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Tasse innovative sui biglietti aerei che potrebbero fruttare tra 568 e 2.763 milioni di euro annui. Schemi Iff, come quello recentemente introdotto a supporto di Gavi, che dovrebbero essere in grado di raccogliere fino a 50 miliardi di dollari l’anno. Partnership pubblico-privato, che già contribuiscono quasi al 2,2% dell’aiuto allo sviluppo ufficiale globale. 1.4 / BUONE PRATICHE Quando e dove gli sforzi di sviluppo per la salute hanno successo, tale successo dipende dalle relazioni efficaci tra gli attori, donatori o nazioni destinatarie, sistemi sanitari, villaggi o Ong. Ciononostante, poca attenzione è stata data al tipo di formazione che potrebbe essere richiesta per assicurare risultati soddisfacenti nello sviluppo della salute. La strategia attuata e il network nato con il progetto “Equal opportunities for health: action for development” sull’insegnamento e la promozione della salute globale hanno incluso le seguenti attività di insegnamento: Programmi open university per studenti e professionisti sanitari, con l’opportunità di testare personalmente le realtà sanitarie globali. Un accordo tra l’Università di Padova e il Medici con l’Africa Cuamm per fornire una struttura allargata di cooperazione per la formazione in salute globale. Offrire agli studenti laureati l’opportunità di trascorrere fino ad un anno della loro formazione specialistica in Africa. Offrire agli studenti universitari di medicina l’opportunità di trascorrere fino ad un mese nei programmi sanitari di Medici con l’Africa Cuamm. Formare professionisti sanitari locali qualificati (dottori, infermiere, ostetriche, tecnici e medici) sui temi della salute globale. A livello di governo nazionale si è osservato che, con un po’ di volontà politica, questo campo sanitario in movimento può essere visto in un contesto globale e come sfondo a una risposta accademica costante, ad es.: L’Inghilterra sta cercando di stabilire una coerenza politica con lo sviluppo di una strategia sulla salute globale governativa centrale fondata sulla salute come diritto umano e bene pubblico. Radicato nel riconoscimento della globalizzazione e dei suoi effetti sulla salute, questo nuovo sforzo unirà le relazioni estere dell’Inghilterra, lo sviluppo internazionale, le politiche di commercio e investimento che possono avere un effetto sulla salute globale. La Svizzera ha dato priorità alla salute nella sua politica estera sottolineando coerenza politica attraverso una mappatura della salute globale in tutti i settori governativi. Attraverso il Dipartimento degli Interni (Salute Pubblica) e degli Affari Esteri, è stato sottoposto al Consiglio Federale Svizzero un accordo sugli obiettivi politici inerenti alla salute internazionale, per garantire assistenza coordinata allo sviluppo, politiche commerciali e politiche nazionali sanitarie che affrontano il tema della salute globale. Il Brasile ha dimostrato coerenza politica attraverso l’affermazione della salute come chiave del proprio sviluppo e come base per la cooperazione tra paesi del Sud. In particolare, il ruolo del Brasile nell’asserzione della flessibilità negli accordi Trips,
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Trade-Related Aspects of Intellectual Property, a supporto degli interessi sanitari di nazioni sovrane, ha preparato la strada per un approccio alla politica commerciale integrato e basato sui diritti. La Ghsi, Global Health Security Initiative, è una partnership internazionale per rafforzare la preparazione sanitaria e rispondere globalmente alle minacce biologiche, chimiche, radionucleari e all’influenza pandemica. È stata lanciata nel novembre 2001 da Canada, Commissione Europea, Francia, Germania, Italia, Giappone, Messico, Inghilterra e gli Usa, e l’Oms fornisce supporto tecnico per l’iniziativa 20. I ministri degli Affari Esteri di Brasile, Francia, Indonesia, Norvegia, Senegal, Sudafrica e Tailandia stabilirono un’iniziativa sulla Salute Globale e la Politica Estera nel 2006 e con una dichiarazione ministeriale di Oslo nel 2007, che riconosceva il bisogno di nuove forme di governance a supporto di sviluppo, equità, pace e sicurezza. 1.5 / APERTURE ALLA COOPERAZIONE E AZIONE I laureati in medicina e i professori autorevoli dovrebbero guidare la trasformazione verso la ricerca nei processi globali attuali, il loro impatto sulla salute e quella che dovrebbe essere la risposta dalla professione medica. L’Ifmsa 21, International Federation of Medical Students Associations, ha un’esperienza di vecchia data nella partecipazione al dibattito internazionale sulla riforma della salute globale, si prende cura della propria raccolta fondi ed è guidata solo da studenti. Il Cgch 22, Centre on Global Change and Health, creato all’inizio del secolo alla London School for Tropical Medicine and Hygiene, è un esempio di iniziativa interdipartimentale che ha messo insieme staff e studenti provenienti da un’ampia gamma di discipline per contribuire alla ricerca sulla globalizzazione e il cambiamento ambientale. Il Cgch collabora con l’Oms dal 2006. Molti ricercatori scientifici e imprenditori, all’inizio provenienti dai Paesi in via di sviluppo, sono attualmente al lavoro nei paesi ad alto reddito. Sebbene molti di questi ricercatori esprimano il desiderio di restituire le competenze ai loro paesi di origine, c’è poca testimonianza di una qualsiasi interazione scientifica e tecnologica sistematica con i loro paesi di origine 23. Ciò può essere determinato dal fatto che pochi di loro sono consapevoli dei meccanismi che potrebbero facilitare l’interazione. Alcuni sforzi iniziali sono in atto per fare appello ai paesi del G8 affinché creino iniziative per aiutare gli scienziati in fuga a contribuire allo sviluppo scientifico e tecnologico dei loro paesi di origine. La pubblicazione delle directory mondiali di istituti di formazione o la creazione di network internazionali in tutte le discipline del sistema sanitario hanno avuto un’influenza positiva: Nel 2008 l’Oms, in collaborazione con la Denmark’s University di Copenhagen, ha pubblicato le directory mondiali di istituti di formazione in tutte le discipline del sistema sanitario, tra cui medicina, farmacia, odontoiatria e salute pubblica. Medicus Mundi Switzerland ha un inventario internet di opportunità di formazione per laureati nel sito “healthtraining.org”. Questo sito web fornisce informazioni esaustive su formazione postlaurea e ulteriore formazione nel campo della Salute Internazionale. Il Blfh, Building Leadership for Health, è un set di risorse didattiche gratuite progettate a supporto dello sviluppo del sistema sanitario sia nei paesi poveri di risorse che in quelli ricchi di
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risorse. Attualmente il Blfh ha più di 70 corsi e tiene centinaia di conferenze su leadership sanitaria, leadership comunitaria, partecipazione pubblica, economia sanitaria, pianificazione di futuri sanitari e knowledge management per la salute. Più di 1000 copie di materiale del Blfh sono state distribuite su cd-rom. È inoltre disponibile una versione online in Global health Campus. La Iahp, International Association of Health Policy, fondata nel 1977 come organizzazione scientifica, politica e culturale, agisce come network internazionale e interdisciplinare di studiosi, operatori della sanità pubblica e attivisti, per promuovere l’analisi scientifica di temi sulla salute pubblica e fornendo un forum di confronto internazionale e dibattito su questioni di politica sanitaria. Molta attenzione viene anche data al dialogo tra Nord e Sud e Est e Ovest. I membri della Iahp sono attivi con Alames in Sudamerica e in Europa con Europe Association, entrambi con i propri organi e attività. La Gha, Global Health Action 24, è un’organizzazione internazionale no profit per la salute e lo sviluppo, con sede principale a Metro, Atlanta (Usa). La sua missione è migliorare la salute delle persone e delle comunità nel mondo tramite l’istruzione e la formazione in leadership, management e promozione sanitaria. Dal 1972, la Gha ha formato migliaia di professionisti sanitari e leader di comunità provenienti da 94 paesi con training pianificati, supporto tecnico continuo e corsi su misura. Non va confusa con Global Health Action, la rivista internazionale peer reviewed e open access affiliata al Cgh: Centre for Global health Research dell’Università di Umeå in Svezia. I progressi tecnologici stanno producendo molti nuovi attori nel campo della salute globale. Le tecnologie di informazione e comunicazione permettono collegamenti video in tempo reale tra esperti, e accesso istantaneo alle ultime informazioni disponibili su database online. Nel clima della globalizzazione, tra i dibattiti riguardanti le tecnologie che dovremmo permettere e quelle che dovremmo controllare, abbiamo difficoltà a stare al passo con la diffusione dell’informazione. La “call for action” del 2008 al meeting di Bamako 25 ha chiesto assistenza per i paesi a basso reddito attraverso la collaborazione internazionale e le alleanze regionali e offre un punto di riferimento reale per la discussione sulla costruzione e il rafforzamento della ricerca per lo sviluppo delle competenze sanitarie, la formazione di network di ricercatori e centri regionali di eccellenza, l’assicurazione di finanziamento adeguato e sostenibile, il miglioramento dell’istruzione e delle opportunità di carriera nella ricerca e nella gestione della ricerca, il rafforzamento dell’armonizzazione dei regolamenti e del codice etico. Tra gli attori chiave all’interno dello spettro della salute globale ci sono naturalmente gli stati-nazione stessi; organizzazioni per la cooperazione tra paesi industrializzati (ad es. Ocse); organizzazioni recenti di paesi con reddito medio (come il gruppo dei 20); altre organizzazioni regionali (Ue, Asean, Osa, ecc.); le Nazioni Unite (Undp, Oms, Unicef, Unaids, ecc.) e un numero crescente di nuove alleanze e network molto diversi e attori non statali (Msf, Bmgf, ecc.).
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re la cooperazione, promuovendo il coordinamento di politiche e programmi e fornendo supporto e valore aggiunto, ad esempio attraverso il networking e la condivisione di prassi corrette 26. Un messaggio chiave per l’Unione Europea è quello di avere un ruolo più attivo nell’insegnamento della salute globale collaborando con il settore privato, per esempio fondazioni, corporazioni, gruppi professionali sanitari. Il meccanismo per questa collaborazione dovrebbe essere una strategia europea per proteggere, promuovere e migliorare la salute globale, e dovrebbe offrire opportunità per scambiare idee, imparare l’uno dall’altro e sviluppare un’azione congiunta. Per realizzare questo nuovo ruolo, l’Ue ha bisogno di estendere le proprie politiche sociali ed economiche e abbracciare la salute globale tra i suoi valori e impegni, come chiave di volta per la prosperità, la sicurezza e la solidarietà. La creazione nel 2004 della European Partnership on Global health 27 è stato un buon passo in questa direzione. Le seguenti questioni politiche 28 sembrano imperative per l’Ue se si deve formulare una strategia europea sulla salute globale: 1 / L’Europa deve fare della salute globale una priorità. 2 / L’Europa deve includere la salute globale in tutte le politiche. 3 / L’Europa deve far valere la propria strategia di governance della salute globale. 4 / L’Europa deve istituire un dialogo sociale e una partnership per la salute globale. 5 / L’Europa deve agire ora per la salute globale. Modelli multinazionali alternativi, incluse partnership privatopubblico, si sono sviluppati come risultato degli sforzi da parte di vari gruppi per aumentare o in alcuni casi bypassare l’autorità di organizzazioni multinazionali. Programmi focalizzati hanno raramente fornito uno sguardo più ampio su come questi programmi si integrano attraverso donatori e all’interno di agenzie sanitarie riceventi. Gruppi economici con interessi personali (Federazione Internazionale delle Associazioni di Produttori Farmaceutici, la Camera di Commercio Internazionale ecc.) e organizzazioni filantropiche, come la fondazione Rockefeller, il Rotary Club, la fondazione Bill and Melinda Gates e altri, si sono aggiunti a un crescente gruppo di attori internazionali con agende diverse. Molti Ghp sono costituiti da organizzazioni del settore pubblico e privato che collaborano nei processi decisionali e nell’implementazione dei progetti. Sempre di più, le risorse incanalate verso la cura di malattie specifiche sono state mobilizzate attraverso queste iniziative, piuttosto che andare direttamente ai paesi.
DOMANDE E RISULTATI PREVISTI PER IL GRUPPO DI LAVORO
1.5 / POSSIBILI PARTNER PER JOINT VENTURES
Può il gruppo di lavoro proporre un modello di un piano di azione per creare strategie e attività principali e raggiungere l’obiettivo di mobilizzare e sostenere risorse finanziarie e umane allo scopo di promuovere e insegnare la salute globale, includendo passi concreti e possibili partner?
A livello europeo, secondo il trattato CE, la responsabilità principale per l’organizzazione di servizi sanitari è degli Stati membri. Ma l’Ue ha un importante ruolo complementare nell’incoraggia-
Lo scopo che dovrebbe essere perseguito da un tale piano di azione dovrebbe includere alcune priorità chiave per la trasformazione e la verticalizzazione nel campo del processo educativo
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per la stessa formazione in salute globale, considerando i seguenti principi: Il bisogno di sviluppare e sostenere corsi accademici multidisciplinari innovativi, ricerca e programmi che rappresentano e promuovono la salute globale. L’appello all’aumento delle opportunità formative di lavoro/ studio nelle università al Nord e nei Paesi in via di sviluppo. La volontà di rendere possibile l’eccellenza nella formazione in salute globale e di facilitare le opportunità per trattenere gli studenti capaci e motivati. Identificare e attrarre accademici e studenti internazionali verso la comunità accademica. Alcuni dei seguenti punti di riferimento, obiettivi e priorità suggeriti su come implementare trasformazioni e verticalizzazione, potrebbero essere discussi, completati o sostenuti da un piano di azione simile: 1 / Una richiesta coerente e crescente di centri di addestramento per permettere e facilitare la formazione in salute pubblica e la collaborazione con università internazionali strategiche e organizzazioni.
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2 / L’interesse nell’apprendimento delle questioni sulla salute globale e nel contributo alle stesse come evidenziato dal numero sempre crescente di studenti che hanno scelto i corsi sulla salute globale. 3 / Gli studenti devono essere motivati a organizzare convegni, meeting, conferenze ed eventi sui temi della salute globale. 4 / Programmi di studio che diano agli studenti opportunità di ricerca e formazione in salute globale all’estero, incluso l’avvio di una continuità di collaborazione multidisciplinare. 5 / Creazione di più programmi Master e PhD in salute internazionale/globale e più corsi a livello universitario e post-laurea; 6 / Più corsi universitari in salute internazionale che attraggano un numero maggiore di studenti internazionali. 7 / Ulteriore sviluppo di programmi di corsi brevi che possono essere offerti come parte di un’istruzione continuativa e per studenti avanzati. 8 / Monitoraggio e confronto dei risultati dei programmi internazionali di volontariato, e identificazione di appropriate strategie per l’espansione.
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BORSE DI RICERCA PER LA FORMAZIONE NEL SETTORE DELLA SALUTE GLOBALE Office of Career Services: consulenze, workshop e risorse per internship internazionali ed esperienze lavorative. Contattare la segreteria di Ocs (617495-2595) per fissare un appuntamento per discutere internship, carriera o interessi di sviluppo professionali. Funding Sources for International Experience: database di tutte le fonti di finanziamento di Harvard a supporto di studenti universitari che seguono attività all’estero tra cui studio, lavoro, ricerca, internship e servizio pubblico. Certificate in Health Policy: programma della Fas, insieme alle Scuole di Business, Legge e Sanità pubblica di Harvard, e la Kennedy School. Office of International Programs: link alle scelte approvate da Harvard di studio all’estero nel menu “Programmi di studio all’estero”. Fellowships Office, Office of Career Services (3° piano) Offre assistenza su una varietà di borse di studio all’estero, internship, o impiego. Il sito web include informazioni su borse di ricerca, opportunità specifiche, risorse, meeting informativi e workshop. Office of Career Services Library (informazioni disponibili); molte risorse bibliotecarie tra cui: la directory dell’International Research Centre e altri libri di riferimento internazionali (L1-L4), informazioni su Borse di Studio e di Ricerca (B), Directory di Internship (Reception 1-3). Crimson Compass: database online degli ex allievi di Harvard nel mondo, che hanno deciso di parlare con gli studenti delle loro rispettive carriere. Going Global: database per gli studenti di Harvard di accesso a informazioni su internship e impiego nel mondo, guide delle nazioni
(include linee guida per i curriculum, interviste e consigli sulle culture, e altre risorse). Harvard Initiative for Global health Initiative (High): iniziativa interdisciplinare incentrata sui temi della salute globale. Include informazioni sui corsi di Harvard che trattano la salute mondiale e fornisce dettagli sulle diverse modalità con cui l’università ricerca e supporta i programmi di salute globale. Centre for International Development: centro principale di Harvard per la ricerca sullo sviluppo sostenibile internazionale, offre World Teach (finanziato dal CID), Internship Estivi, Programmi per Universitari Associati, e Borse di Ricerca Estive Cid. Lista di organizzazioni esterne che sponsorizzano opportunità di internship/volontariato. Harvard School of Public Health: informazioni sui centri ed istituti di ricerca della Hsph, facoltà e programmi incentrati sulla sanità pubblica mondiale. Francois-Xavier Bagnoud Centre for Health and Human Rights. Harvard Kennedy School: informazioni sui loro centri ed istituti di ricerca, facoltà e programmi incentrati sull’impiego a livello internazionale. Weatherhead Centre for International Affairs: il più grande centro di ricerca presso la Fas, Faculty of Arts and Sciences dell’Università di Harvard, offre programmi e finanziamenti per studenti universitari. http://www.feinberg.northwestern.edu/education/global-health/ funding/index.html http://www.fic.nih.gov/funding/prodir06.htm http://globalhealth.duke.edu/
PUBBLICAZIONI http://www.dfidhealthrc.org/ Dfid Health Resource Centre. http://listserv.paho.org/Archives/equidad.html Equity, Health & Human Development List Serve. http://www.gega.org.za/download/ ResearchtoAction04.pdf Global Equity Gage - Course Reader. http://www.globalhealthreporting.org/ Global health Reporting Organisation.
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1 http://www.mediciconlafrica.org/globalhealth/home.asp 2 Efc è un’associazione indipendente, internazionale, no profit sotto la legge belga, che si dedica alla creazione di un ambiente legale e fiscale per le fondazioni, documentandone il panorama fondativo, rafforzandone l’infrastruttura del settore e promuovendo la collaborazione tra le fondazioni e tra le fondazioni e gli attori. (http://www.efc.be/) 3 Gro Harlem Brundtland parlò ad una colazione con il Washington International Business Council and Executive Council on Diplomacy il 17 aprile 2001. http://www.who.int/director-general/speeches/2001/english/20010417_ IBCluncheonwashington.en.html 4 Sono le università di Basilea, Berna, Ginevra, Losanna, Lugano e Zurigo. Nel 2008 si è unita l’Università di Neuchâtel. L’attuale Presidente della Fondazione è il Prof. Felix Gutzwiller, il Direttore di SSPH+ è il Prof. Dr. Fred Paccaud. http://www.ssphplus.ch/ 5 Quali: salute globale e politica pubblica, ineguaglianze sanitarie e politica pubblica, sistemi sanitari e politica pubblica, salute globale e antropologia e per ricerca, politica della salute pubblica. Il direttore del Ciphp è il Prof. Allyson Pollock. http://www.health.ed.ac.uk/CIPHP/ postgraduate/ 6 http://www.antenna.nl/nvmp/GHE.htm 7 http://www.interdis.be/ 8 http://www.be-causehealth.be/because health/Site/Default.asp?WPID=105&MIID=100&L=E 9 Asph rappresenta 40 scuole accreditate di salute pubblica negli Usa, Porto Rico e Messico. Le scuole hanno 9.600 facoltà unite, 22.000 studenti e 7.300 laureati l’anno. Harrison C. Spencer è l’attuale CEO e Linda Rosenstock è il Presidente del Consiglio di Amministrazione. http://www. asph.org/ 10 http://globalhealthedu.org/Pages/ default.aspx 11 http://intlhealth.med.utoronto.ca/ 12 Forum di alto livello su MDGs (Obiettivi di Sviluppo Sanitario del
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Millennio). Principi di migliore pratica per attività di partnership sulla salute globale a livello statale. Parigi, 14-15 novembre 2005. 13 Pubblicato dal 3° Forum Ministeriale Globale sulla Ricerca per la Salute che ha avuto luogo a Bamako, Mali (novembre 16-20). Maggiori informazioni su http://www.bamako2008.org/index.php?lang=en 14 Mackellar (2008) e Greco et alt. (2008) documenti nel Lancet. 15 Equinet 2008. Personale sanitario nell’Africa del Sud: affrontare la cattiva distribuzione e la fuga dei cervelli. Equinet, doc. di consultazione N° 3. 16 Commissione sui Determinanti Sociali della Salute (2008). Chiudere il gap in una generazione: l’equità sanitaria attraverso l’azione sui determinanti sociali della salute. Report finale. Ginevra, Oms. 17 Vedere “The price of being well” (Il prezzo per stare bene), The Economist Word International, 28 agosto 2008. 18 Documento di studio per WG 3: Il ruolo della cooperazione sanitaria internazionale nel promuovere, insegnare e implementare la salute globale. 19 E. Timothy et al. 2008. Task Force on Scaling Up Research and Learning on Health Systems. Lancet vol. 372, pp. 1529-31. 20 Informazioni su GHSI disponibili su: http://www.ghsi.ca/english/index. asp 21 http://www.ifmsa.org/ 22 http://www.lshtm.ac.uk/cgch/ 23 B. Seguin, P.A. Singer, A. Daar, S 2006. Diaspore Scientifiche: risorse inutilizzate. Science. Vol 312, pp. 1602-03. 24 http://www.globalhealthaction.org/ 25 Disponibile su: http://www.bamako 2008.org/index.php?option=com_content&task=view&id=93&Itemid=52 26 Commissione delle Comunità Europee 2008. Libro verde sugli operatori sanitari europei. COM(2008) 725 final. Bruxelles, CEC. 27 http://www.efc.be/projects/health/default.htm 28 Fonte: European Foundation Centre, 2006. Prospettive Europee sulla salute globale. Un glossario politico. Ed. Ilona Kickbusch e Graham Lister. Efc, Bruxelles, 2006.
CS/
cooperazione sanitaria
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TECNOLOGIE APPROPRIATE IN AFRICA Indagine sulla disponibilità ed appropriatezza percepita delle tecnologie presenti negli ospedali rurali africani Lo scopo dell’indagine è quello di fornire una base conoscitiva sufficientemente ampia ed accurata per identificare e definire successi e lacune nello scenario osservato, per definire standard tecnologici di qualità e per pianificare strategie percorribili di sviluppo e diffusione a medio termine di tecnologie che siano efficaci, sostenibili ed accettabili in strutture sanitarie di secondo livello quali sono gli ospedali rurali africani.
Testo di / Massimo La Raja, Roberto Musi, Luca Diamanti, Giorgio Pellis
PREMESSE ED OBIETTIVI Negli ultimi 4 decenni la distanza tra le tecnologie disponibili nelle strutture ospedaliere dei paesi ricchi e quelle dei paesi poveri è andata crescendo in maniera esponenziale, seguendo la diversa parabola di sviluppo sia socio-economico che dei rispettivi sistemi sanitari. Il termine “tecnologie appropriate” riferito ai servizi sanitari è stato autorevolmente definito nel testo della Dichiarazione della conferenza dell’Oms ad Alma Ata 1 come «tecnologie pratiche, scientificamente valide e socialmente accettabili rese disponibili universalmente agli individui ed alle famiglie nella comunità attraverso la loro piena partecipazione ed a un costo che la comunità ed i paesi possono sostenere in ogni fase del proprio sviluppo in spirito di auto-determinazione». In questo senso le tecnologie appropriate erano considerate strumenti coerenti per la realizzazione della primary health care strategia che, negli auspici dei suoi promotori, avrebbe dovuto permettere di raggiungere entro l’anno 2000 un accettabile stato di “salute per tutti”. Più di recente nel documento che definisce gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio nell’ambito dell’ottavo goal, cioè lo sviluppo di una partnership globale per lo sviluppo, viene sottolineata l’importanza, in collaborazione con il settore privato, del rendere disponibili i benefici delle nuove tecnologie, e specialmente di quelle legate all’informatica e alla comunicazione 2. A trent’anni dalla Dichiarazione di Alma Ata è sembrato importante per Medici con l’Africa Cuamm verificare la situazione delle tecnologie presenti in 11 ospedali rurali in 6 paesi dell’Africa Subsahariana dove Medici con l’Africa Cuamm opera, e rilevarne la qualità e l’appropriatezza percepita dagli operatori sul campo. Lo scopo ultimo dell’indagine sulle tecnologie degli ospedali è quello di fornire una base conoscitiva sufficientemente ampia ed accurata per identificare e definire successi e lacune nello scenario osservato, per definire standard tecnologici di qualità e per pianificare strategie percorribili di sviluppo e diffusione a medio
termine di tecnologie che siano efficaci, sostenibili ed accettabili in strutture sanitarie di secondo livello quali sono gli ospedali rurali africani.
METODO DI INDAGINE Le informazioni sono state raccolte utilizzando un questionario standardizzato distribuito agli operatori presenti negli ospedali rurali dell’Africa Subsahariana dove Medici con l’Africa Cuamm opera. Il questionario richiedeva, oltre alla presenza fisica, un giudizio sulle condizioni di utilizzo della tecnologia o servizio indagato (buone, accettabili, scadenti), sulla qualità percepita e sulla appropriatezza. Come già descritto altrove 3-4 appropriata nel contesto degli ospedali rurali è stata definita una tecnologia che risponde ai seguenti requisiti: affronta problemi sanitari risolvibili a questo livello del sistema sanitario; è gestibile dal personale tecnico presente in loco; dà un prodotto accettabile in termini di accuratezza ed affidabilità; è una tecnologia solida e duratura anche nelle condizioni climatiche ed ambientali dove viene utilizzata; gli impianti esistenti (acqua, elettricità) sono adeguati e conformi al suo utilizzo; è utilizzata in sicurezza nel contesto previsto (personale, misure di protezione); è, se richiesto, soggetta a procedure regolari di controllo di qualità; può essere facilmente smontata e rimontata per manovre di pulizia o manutenzione; i costi di acquisto, gestione, manutenzione e riparazione sono sostenibili a fronte delle prevedibili risorse disponibili. La compilazione e la restituzione dei questionari sono avvenute durante l’ultimo trimestre del 2008.
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RISULTATI PROFILO DEGLI OSPEDALI PARTECIPANTI
LIVELLO OSPEDALE
PAESE
GESTIONE
N. LETTI
BACINO D’UTENZA
CONTESTO
DISTRETTUALE
SUD-SUDAN
GOVERNATIVO
40
2-300.000
SEMI-RURALE
DISTRETTUALE
ANGOLA
GOVERNATIVO
66
250.000
SEMI-RURALE
RURALE
ANGOLA
PRIVATO NON FOR PROFIT
200
2-300.000
RURALE
DISTRETTUALE
TANZANIA
PRIVATO NON FOR PROFIT
150
262.000
RURALE
RURALE
TANZANIA
PRIVATO NON FOR PROFIT
162
100.000
RURALE
DISTRETTUALE
TANZANIA
PRIVATO NON FOR PROFIT
36
105.000
SEMI-RURALE
DISTRETTUALE
UGANDA
PRIVATO NON FOR PROFIT
200
200.000
RURALE
RURALE
UGANDA
PRIVATO NON FOR PROFIT
260
200.000
RURALE
DISTRETTUALE
UGANDA
PRIVATO NON FOR PROFIT
150
150.000
RURALE
REGIONALE
ETIOPIA
PRIVATO NON FOR PROFIT
164
1.000.000
SEMI-RURALE
DISTRETTUALE
MOZAMBICO
GOVERNATIVO
150
300.000
RURALE
TECNOLOGIE ESSENZIALI
A questa prima componente del questionario hanno risposto tutti gli 11 ospedali invitati. Unità per l’anestesia generale In 9 degli 11 ospedali indagati era presente un apparecchio per l’anestesia generale inalatoria. In tutti i casi si trattava di apparecchi equipaggiati con vaporizzatori di tipo draw over che utilizzano etere od alotano assemblati su ventilatori automatici (in 6 casi) o manuali (3 casi) che non necessitano di una fonte di gas compressi. Solo in 5 ospedali gli apparecchi venivano tuttavia effettivamente utilizzati. La mancata utilizzazione nei 4 ospedali
rimanenti era attribuita alla mancanza di personale adeguatamente formato, alla mancata disponibilità di parti di ricambio e/o alla mancata fornitura di anestetici volatili. (figura 1 e figura 2). Concentratori di ossigeno In 10 degli 11 ospedali indagati era presente almeno un concentratore di ossigeno, ed in alcuni casi ve ne era più di uno. Gli apparecchi disponibili erano in uso e la loro qualità ed appropriatezza considerate accettabili o buone. Sterilizzatori Almeno uno sterilizzatore a vapore ad alta pressione di tipo manuale alimentato a energia elettrica era presente in ciascuno degli 11 ospedali. In 2 casi inoltre erano presenti come back-up degli sterilizzatori modello “pentola a pressione” ed in altri 2 infine ve-
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FIGURA 1 / TIPOLOGIA DI APPARECCHIATURE ANESTESIOLOGICHE DISPONIBILI
18% no inhalation anaesthesia
55% draw over mechanical ventilation
27% draw over manual ventilation
FIGURA 2 / UTILIZZAZIONE DELLE APPARECCHIATURE DI ANESTESIA GENERALE
18% not available 36% not in use, in poor conditions
46% in use
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FIGURA 3 / TIPOLOGIA DI STRUMENTI PER LA DETERMINAZIONE DELLA EMOGLOBINA
15% visual method (sahli / lovibond)
31% automated hematology analyser
nivano utilizzati anche degli sterilizzatori a secco. Gli apparecchi presenti negli ospedali erano considerati “appropriati” dagli operatori che hanno risposto al questionario, tuttavia in 5 ospedali non erano disponibili parti di ricambio né un adeguato servizio di manutenzione ed in 2 casi non era disponibile il manuale d’istruzioni per l’uso e per la manutenzione. Emoglobinometri Per la misurazione del livello di emoglobina nel sangue al momento della survey venivano utilizzati nei vari ospedali una grande varietà di metodi e strumenti, ed in alcuni casi più di uno. I più rappresentati erano i colorimetri tradizionali, che utilizzano il metodo della cianoemoglobina (5 casi), seguiti dagli analizzatori ematologici automatizzati (4 casi). In un laboratorio veniva utilizzato l’Hemocue, un emoglobinometro che utilizza cuvettine monouso dedicate, mentre in altri 2 casi si continuava ad utilizzare uno dei vecchi metodi di stima della emoglobina a comparazione visiva (Lovibond e Sahli rispettivamente). Per quanto riguarda i più moderni e relativamente sofisticati analizzatori ematologici automatici sono stati segnalati, a vario grado, carenze nel servizio di manutenzione e nella fornitura regolare dei kit di reagenti in tutto gli ospedali dove erano disponibili (figura 3). Test sierologici pretrasfusionali per l’Hiv, l’epatite B e l’epatite C In 5 ospedali le unità di sangue per le trasfusioni venivano di norma fornite già “testate” per i 3 markers principali (Hiv Ab, HCV Ab, HBV Ag) dalle rispettive banche del sangue regionali. In tutti i rimanenti 6 ospedali il sangue, in caso di necessità, veniva raccolto e validato in loco utilizzando i cosiddetti test rapidi. In caso tuttavia di necessità urgente e di carenza di unità già testate anche nei 5 ospedali riforniti di norma dalle banche centrali il sangue veniva raccolto e “screenato” in loco utilizzando anche in questo caso test rapidi. Il
8% hemo cue 8% microhematocrit
38% traditional colorimeter
test rapido Hiv era infatti disponibile in tutti e 11 gli ospedali, il test Hcv Ab in 8 ed il test Hbv Ag solo in 2. In 2 casi infine era disponibile presso un centro di riferimento un servizio di controllo di qualità esterno per la sierologia dell’Hiv. Smaltimento dei rifiuti ospedalieri In tutti gli stabilimenti ospedalieri era presente almeno un inceneritore costruito in loco. In un caso tuttavia l’inceneritore non veniva utilizzato. Allo stesso modo erano disponibili in tutte le strutture delle fosse settiche protette per lo smaltimento delle placente e di altri rifiuti ospedalieri non idonei all’incenerimento. In 3 ospedali tuttavia queste fosse non erano considerate di qualità accettabile e/o non appropriate. Ventosa ostetrica La ventosa ostetrica era presente nelle maternità di tutti e 11 gli ospedali indagati. Di queste quasi tutte (10 casi) erano equipaggiate con pompa per il vuoto “manuale” e solo una con una pompa elettrica. Il livello del loro utilizzo non era però uniforme: in 2 casi le ventose, pur funzionanti, non venivano utilizzate, ed in un altro caso la ventosa era giudicata in cattive condizioni e perciò non utilizzabile. In 4 stabilimenti venivano segnalate difficoltà nell’approvvigionamento di parti di ricambio e nella manutenzione. Pulsossimetri digitali I pulsossimetri digitali erano in uso in 7 degli 11 ospedali, in 3 casi venivano utilizzati solo in sala operatoria. Nella maggioranza dei casi erano considerate di qualità buona o accettabile, in 2 casi la qualità era giudicata scadente. Apparecchi radiologici In 9 degli 11 ospedali partecipanti era presente un apparecchio radiologico. Si tratta in quasi tutti i casi di apparecchiature non recenti che utilizzano pellicole a sviluppo tradizionale. Ciò nono-
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FIGURA 4 / QUALITÀ PERCEPITA DEGLI APPARECCHI ECOGRAFICI
40% poor
20% good
40% acceptable
stante, e con una sola eccezione, gli apparecchi venivano giudicati in buono stato ed appropriati per il contesto. In un caso infine era presente un apparecchio nuovo ma non utilizzato per mancanza di materiali di consumo e di personale abilitato al suo utilizzo. Tra gli apparecchi in uso in 2 casi veniva segnalata la mancanza completa di un servizio di manutenzione, in altri 3 casi questo era disponibile solo occasionalmente. L’approvvigionamento delle pellicole e gli altri materiali di consumo quali i liquidi per lo sviluppo era in tutti i casi possibile presso distributori locali, in genere ubicati nella capitale o nella principale città di riferimento. Ecografi Al momento della survey almeno un apparecchio ecografico era presente in 10 degli 11 ospedali indagati. In 3 casi lo strumento era giudicato in cattive condizioni ed in 4 casi la qualità del servizio veniva considerata scadente. Tra i problemi riferiti vi era la carenza di personale adeguatamente formato al loro utilizzo e la carenza di parti di ricambio e di manutenzione in generale (figura 4). ALTRE TECNOLOGIE DISPONIBILI 10 ospedali hanno risposto a questa parte del questionario. Laboratorio e banca del sangue Tutti e 10 i laboratori ospedalieri erano dotati di almeno un microscopio e di una centrifuga elettrica. Il servizio di microscopia diagnostica veniva considerato da tutti coloro che hanno risposto appropriato e di qualità accettabile, al contrario in almeno 3 casi le centrifughe erano giudicate in cattive condizioni. In 7 ospedali era presente della strumentazione per l’esecuzione di indagini basiche di biochimica clinica: in 3 casi si trattava di moderni analizzatori biochimici automatizzati, nei restanti 4 di
colorimetri tradizionali. In 3 laboratori venivano segnalate carenze nella manutenzione e nella fornitura di kit di reattivi, situazioni che, almeno in un caso, causavano il mancato utilizzo dello strumento. In 7 laboratori era possibile eseguire un emocromo completo (emoglobina e conta di rossi, bianchi e piastrine), di questi 5 utilizzavano degli analizzatori ematologici automatizzati mentre nei 2 rimanenti venivano ancora utilizzate le camere di contaglobuli manuali “tradizionali” (tipo camera di Burker). In 2 dei 5 laboratori equipaggiati con apparecchi automatici venivano segnalate grosse difficoltà nella manutenzione e nell’approvvigionamento dei kit di reattivi. In 4 stabilimenti erano presenti vere e proprie “emoteche” dotate dei necessari accessori (registrazione di temperatura ed allarmi), tuttavia in 2 casi i sistemi di registrazione ed allarme erano fuori uso. In altri 5 ospedali venivano utilizzati per la conservazione del sangue normali frigoriferi domestici, rispettivamente a gas (1 caso), ad energia fotovoltaica (1 caso) ed elettrici (3 casi). 2 laboratori erano dotati di vaschette termostatate per l’esecuzione di prove di compatibilità complete (test di Coombs indiretto). Infine in 2 ospedali, entrambi dello stesso paese, era disponibile un analizzatore per la conta del linfociti Cd4+. Sala operatoria, odontoiatria ed endoscopia In tutti e 11 gli ospedali la sala operatoria era dotata di lettino operatorio, di lampade scialitiche e di aspiratore chirurgico elettrico, mentre l’elettrobisturi era disponibile in 8 casi. La qualità e lo stato delle attrezzature disponibili venivano giudicati in genere buoni o accettabili, con l’eccezione degli elettrobisturi che in 3 casi erano considerati di qualità scadente. In 5 strutture erano presenti strumenti e materiali per eseguire
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interventi di osteosintesi, ma solo in 2 casi erano disponibili ed utilizzati i fissatori esterni per il trattamento di fratture complicate. Solo in uno stabilimento era presente un endoscopio flessibile a fibre ottiche per l’esecuzione di esofago-gastroscopie, tuttavia anche questo unico strumento era utilizzato in maniera occasionale a causa della mancanza di operatori con competenze adeguate. Per quanto riguarda infine le apparecchiature per l’esecuzione di interventi odontoiatrici in 6 ospedali era presente una poltrona attrezzata definita come unità odontoiatrica (dental unit), in 2 casi tuttavia la apparecchiatura presente era inutilizzabile per mancanza di componenti essenziali. SERVIZI GENERALI, IMPIANTI Anche in questo caso 10 ospedali hanno risposto a questa parte del questionario. Impianto elettrico Tutti e 10 gli stabilimenti erano dotati di un impianto elettrico, anche se nella maggioranza dei casi la fornitura era limitata ad alcune ore al giorno. 7 ospedali erano equipaggiati con generatore a gasolio che in 5 casi rappresentava anche l’unica fonte di energia. 4 ospedali erano dotati di un impianto fotovoltaico addizionale, la cui utilità, nella maggioranza dei casi, era limitata a fornire energia per l’illuminazione notturna. In quattro casi l’ospedale era collegato alla rete elettrica pubblica ed in un caso ad un impianto idroelettrico locale: solo in questi ultimi casi l’energia era disponibile continuativamente 24 ore al giorno. Fornitura idrica Nella maggioranza dei casi (7 ospedali) l’approvvigionamento idrico era garantito da un pozzo dedicato dotato di pompa elettrica e di serbatoi sopraelevati per il rifornimento a caduta della rete di distribuzione ospedaliera. Nei restanti casi il rifornimento idrico era garantito dalla presenza di un acquedotto cittadino (2 casi) o da una sorgente locale (1 caso) che riforniva il serbatoio dell’ospedale. In 4 casi sui 10 descritti la fornitura idrica era considerata insufficiente o non adeguata ai bisogni. Servizi di lavanderia In 7 degli stabilimenti era disponibile un servizio di lavanderia per la biancheria ospedaliera (lenzuola, telini, divise ecc.), ma solo in 4 casi questi erano dotati di lavatrici elettriche. Quest’ultime peraltro venivano giudicate insufficienti a smaltire il carico di lavoro atteso. In tutti i restanti ospedali la biancheria, incluso il materiale di sala operatoria, venivano lavati a mano. Servizi igienici All’interno del recinto ospedaliero in 5 stabilimenti erano a disposizione ad uso dei pazienti delle latrine (improved pit latrines), in altri 2 erano disponibili dei gabinetti dotati di sciacquone – flush toilets – e nei rimanenti 3 erano presenti entrambi. In 5 casi le condizioni dei servizi igienici erano giudicate inadeguate o scadenti. In particolare venivano segnalate carenze nella manutenzione delle flush toilets. In tutti e 10 gli stabilimenti erano disponibili degli ambienti dedicati per l’igiene personale dei pazienti, solo in metà dei casi tuttavia questi erano dotati di acqua corrente. Rete fognaria Tutti gli stabilimenti erano dotati di un sistema fognario per la raccolta e lo scarico dei liquidi in fosse settiche ospedaliere. Anche qui in metà dei casi venivano segnalati problemi nella ma-
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nutenzione ed in particolare nello svuotamento di fosse settiche sature. Cucine per i pazienti A questo proposito è stata indagata la presenza di aree dedicate dove i familiari possano preparare il cibo per i propri parenti ricoverati. Nella maggioranza degli ospedali rurali infatti i pasti non sono forniti dall’ospedale, fatto salvo per i malnutriti e per altri gruppi particolarmente vulnerabili. Date queste premesse in 7 stabilimenti erano presenti degli spazi attrezzati per cucinare cibo per i pazienti ad uso degli accompagnatori. Telecomunicazioni Tutti e 10 gli ospedali che hanno risposto a questa parte del questionario erano situati in aree coperte dalla rete telefonica mobile. In un caso la copertura era stata appena garantita solo nelle settimane che avevano preceduto la raccolta dati. Tutti gli operatori dei vari stabilimenti che hanno risposto avevano la possibilità di accendere ad una connessione ad internet. Nella maggioranza dei casi tuttavia ciò avveniva solo tramite costose connessioni satellitari. In 2 casi l’accesso era garantito da rete telefonica fissa ed era giudicato di qualità scadente, nell’ultimo caso il collegamento avveniva mediante rete telefonica mobile, la qualità di quest’ultima modalità di connessione era considerata buona.
ANALISI DELLO SCENARIO: DAL BENCHMARKING ALLA DEFINIZIONE DEGLI STANDARD DI QUALITÀ La varietà dei paesi e dei contesti dove gli ospedali partecipanti sono ubicati fa sì che vi sia una grande disomogeneità nello scenario osservato e ciò rende difficile trarre delle conclusioni che siano immediatamente generalizzabili. Il quadro rilevato nella nostra indagine è peraltro coerente con quello osservato in altri, in verità pochi e spesso settoriali, studi pubblicati 7-8-9-10. Date queste premesse, è possibile focalizzare su alcuni aspetti di carattere generale: In tutti gli ospedali che hanno partecipato all’indagine le sale operatorie sono dotate di equipaggiamento e servizi essenziali che permettono l’esecuzione in condizioni di sicurezza (sterilità, equipaggiamento di base) dei principali interventi di chirurgia generale e d’urgenza. Le metodiche di anestesia generale sono diverse a seconda del contesto e dalle tradizioni mediche prevalenti: in ambito anglofono prevale l’anestesia generale per via inalatoria utilizzando miscele volatili mentre nei paesi lusofoni è più diffuso l’utilizzo della Ketamina endovenosa. Gli apparecchi dotati di vaporizzatori di tipo draw over appaiono una tecnologia appropriata laddove è stata possibile una formazione adeguata e dove possono essere garantiti il rifornimento dei materiali di consumo e una manutenzione di base. I concentratori di ossigeno sono ormai un ausilio consolidato in Africa rurale per diffusione ed appropriatezza. Al contrario i pulsossimetri digitali non sono ancora universalmente utilizzati, specialmente al di fuori della sala operatoria. Il laboratorio biomedico è il servizio ospedaliero dove si osservano le maggiori differenze in termini di tecnologie utilizzate, nel grado di innovazione e nella qualità percepita. In particolare è stato rilevato come anche laddove vengano utilizzati i più moderni analizzatori vi siano delle significative difficoltà di funziona-
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mento a causa delle difficoltà nel rifornimento di reattivi e della carenza di servizi di manutenzione qualificata. In tutti gli ospedali sono disponibili ed utilizzati i test rapidi per lo screening dell’Hiv nei donatori di sangue. Al contrario i test rapidi sierologici per l’Epatite B e C non sono ancora universalmente disponibili. Gli apparecchi radiologici presenti sono di tipo tradizionale ma in genere in accettabili condizioni di utilizzo. Una minoranza degli ospedali tuttavia non dispone ancora di un servizio di radiologia. Nonostante la diffusione degli ecografi la diagnostica ad ultrasuoni è stata in una parte significativa di casi giudicata scadente dagli operatori presenti. L’endoscopia non è ancora un servizio proponibile negli ospedali rurali africani senza un programma specifico ed un significativo investimento in termini di formazione, personale e manutenzione. Nel campo dei servizi generali e degli impianti la fornitura idrica, i servizi igienici e fognari e quelli per lo smaltimento dei rifiuti ospedalieri sono in alcuni casi inadeguati a soddisfare i bisogni dell’ospedale. La diffusione di impianti che si avvalgono di energie rinnovabili, ed in particolare dei sistemi fotovoltaici, è ancora limitata. La rapida crescita e diffusione delle reti telefoniche mobili negli ultimi anni ha permesso un significativo miglioramento nell’ambito delle telecomunicazioni e rappresenta una opportunità per una ulteriore espansione nel campo della tecnologia della informazione e comunicazione (Iet). Le connessioni al web tuttavia sono di qualità spesso insufficiente e dipendono ancora nella maggioranza dei casi da costosi e non sempre adeguati collegamenti satellitari. Lo scenario presentato offre un’immagine sufficientemente chiara e dettagliata sulla disponibilità, qualità ed impatto delle tecnologie sanitarie e non sulle prestazioni erogate negli ospedali rurali Africani. Questa rappresenta una base obiettiva di riflessione per la definizione di standard tecnologici e per indirizzare la programmazione non solo degli approvvigionamenti e dell’equipaggiamento ospedaliero ma anche delle attività di formazione e addestramento del personale sanitario e tecnico.
RIFLESSIONI CONCLUSIVE Come auspicato nei Millennium Development Goals 2 i benefici delle nuove tecnologie non devono essere negati a chi ne ha più bisogno. È tuttavia altrettanto evidente che la loro introduzione e diffusione devono essere adeguatamente sostenute e non possono essere lasciate alla cieca mano del mercato che tende a penalizzare i più bisognosi. Come noto l’approccio alle tecnologie appropriate per i paesi del Sud del mondo si distingue da quello alle tecnologie destinate ai servizi sanitari occidentali: le condizioni di impiego sono infatti più severe, gli operatori sono
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meno qualificati, le risorse economiche offrono meno spazio per assistenza e rifornimenti. Ciononostante i dati emersi dimostrano che, nonostante limiti e difficoltà, anche in ambienti con risorse assolutamente limitate è possibile in molti casi offrire servizi sanitari ospedalieri di qualità appropriata al contesto 5-6 garantendo i principi di accessibilità e non discriminazione. Rileviamo che è necessario mantenere e, per quanto possibile, accrescere l’impegno di risorse nei confronti delle popolazioni più disagiate mantenendo un’attenzione critica alle tecnologie in uso o che si intendono acquistare. Esistono infatti una serie di problemi sempre aperti che vale la pena di sottolineare: Il fattore umano: le tecnologie che rispondono ai bisogni dei paesi poveri dipendono da operatori formati al loro utilizzo appropriato. Gli operatori dei servizi rurali di fronte a fratture dovrebbero, per fare un esempio, aver confidenza soprattutto con l’applicazione corretta dei gessi, riservando l’approccio chirurgico di osteosintesi ai casi senza reali alternative. Questo dell’appropriatezza clinica è un aspetto formativo e culturale tuttora carente. Il fattore economico e manageriale nelle politiche di cooperazione sanitaria: le attività di manutenzione di equipaggiamento ed impianti richiedono investimenti, soprattutto nel capitale umano, a lungo termine 7. Le difficoltà emerse in questo settore cruciale 7-10 sono conseguenza anche delle incertezze e della discontinuità del finanziamento dei servizi sanitari negli ultimi decenni e della “frammentazione” della progettualità e degli attori. Per contrastare tutto ciò l’impegno di un singolo ospedale od organizzazione è insufficiente: è necessario unire gli sforzi favorendo la creazione di reti ed alleanze nazionali ed internazionali anche tra soggetti con competenze e mission differenti: servizi pubblici, Ong, università, privati. Il fattore tecnologico: molte tecnologie sanitarie occidentali sono fragili nella componentistica e spesso dipendenti da servizi di assistenza e rifornimenti dedicati 7. Ciò non è tanto legato alla carenza di materiali innovativi e resistenti ma anche e sopratutto al prevalere di interessi economici e di marketing sui materiali di consumo che ostacolano l’applicazione di soluzioni durevoli e non necessariamente più costose. Il rapido turnover delle tecnologie obbliga infine ad una grande cautela quando si abbia in progetto l’introduzione di nuove risorse. È questo anche il caso delle telecomunicazioni e dell’informatica che non sembrano ancora offrire risposte sufficientemente orientate ai problemi dei paesi poveri ma sono ancora interpretate in maniera troppo occidentale. Pochi ambienti come questi risentono del retroterra culturale in cui sono applicati già nei parametri fondamentali: il tempo, le modalità di trasmissione, i valori che sono rispecchiati in concezioni della vita differenti dal nostro. Su questo fronte si aprono spazi inattesi di rilievo culturale e politico.
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LINK UTILI Un’estesa ed aggiornata lista di link ad istituzioni, organizzazioni e ditte che operano nel campo dello sviluppo, produzione, distribuzione e formazione
delle tecnologie appropriate nei servizi sanitari dei Pvs è disponibile presso: http://www.idealers.it/link.php
RINGRAZIAMENTI La survey è stata possibile grazie alla disponibilità degli operatori sul campo che hanno non solo compilato i questionari ma anche arricchito la raccolta dati di informazioni qualitative supplementari. Siamo grati poi a tutti coloro che a vario titolo hanno dato il loro contributo di idee ed esperienza nel gruppo di lavoro sulle tecnologie appropriate: Angela
Tonello, Renzo Cristofoli, Valerio Mecenero, Piero Berra. Un ringraziamento particolare ad Ingrid Pellis per il lavoro di coordinamento e segreteria. Un grazie speciale va infine a Giannino Busatto, la cui esperienza e le cui lezioni magistrali sull’evoluzione delle tecnologie sanitarie negli ultimi 50 anni hanno ispirato molte delle riflessioni esposte.
1 World Health Organization. Primary Health Care. Report of the International Conference on primary Health Care, Alma-Ata, USSR, 6-12 September 1978. Geneva: WHO; 1978. disponibile a: http://www.who.int/hpr/NPH/docs/declaration_almaata.pdf 2 United Nations Millennium Development Goals. Disponibile presso: http://www.un-documents.net/mdg.htm 3 Modern technology in peripheral health care in developing countries. Carter JY. East Afr Med J. 2004 Jun;81(6):277-8. 4 Selection of basic laboratory equipment for laboratories with limited resources W. L. Johns & M. M. El-Nageh. Alexandria: World Health Organization, Regional Office for the Eastern Mediterranean, 2000. 5 “The Hospital in Rural and Urban Districts.” Report of a WHO Study Group on the Functions of Hospitals at the First Referral Level, WHO, Geneva.
6 The District Health System, Experiences and Prospects in Africa. 2004 UniversumVerlag av. at: http://www.afronets.org/files/district-health-en.pdf 7 Design of health care technologies for the developing world. Malkin RA. Annu Rev Biomed Eng. 2007;9:567-87. Review. 8 The state of emergency obstetric care services in Nairobi informal settlements and environs: results from a maternity health facility survey. Ziraba AK, Mills S, Madise N, Saliku T, Fotso JC. BMC Health Serv Res. 2009 Mar 12;9:46.1992. 9 Quality of paediatric blood transfusions in two district hospitals in Tanzania: a cross-sectional hospital based study. Mosha D. et al. BMC Pediatrics 2009, 9:51 doi:10.1186/1471-2431-9-51. 10 Clinical Engineering Effectiveness in Developing World Hospitals. Shauna Mullally. Thesis submitted to the Ottawa-Carleton Institute for Electrical and Computer Engineering. Carleton University, 2008.
A/ afrinews
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Fonti utilizzate per questo numero (oltre a quelle citate nel testo): All Africa.com / British Broadcasting Corporation / The Economist / Integrated Regional Information Network (IRIN) / International Herald Tribune / Le Monde / Mail & Guardian (Sudafrica) / Reuters AlertNet. Chiuso il 25 agosto 2009.
A cura di Maurizio Murru
AGENDA / GUINEA BISSAU Un ascesso di violenza, commercio di droga ed impunità
Il 2 marzo scorso un gruppo di militari ha ucciso il presidente Joao Bernardo Vieira. Poche ore prima era stato ucciso il capo di stato maggiore dell’esercito, Tagme Na Waie. Un portavoce dell’esercito ha annunciato la morte del presidente accusandolo di avere ordinato l’uccisione di Tagme Na Waie. Ha aggiunto che nessun colpo di stato militare era in corso e che, «nel rispetto della Costituzione», il presidente del senato, Raimundo Pereira, avrebbe preso le redini del paese e, sempre «nel rispetto della Costituzione», elezioni presidenziali sarebbero state organizzate entro 60 giorni. Joao Bernardo Vieira, meglio conosciuto col soprannome di “Nino”, aveva 70 anni. Elettricista di professione, entrò molto giovane nelle file del Paigc (Partido Africano para a Independencia da Guinea Bissau e Cabo Verde), fondato da Amilcar Cabral, svolgendo un ruolo di primo piano nella lotta per l’indipendenza dal Portogallo. L’indipendenza fu dichiarata nel 1974. Luis Cabral, fratello di Amilcar, divenne presidente e Vieira divenne capo dell’esercito. 6 anni dopo, nel 1980, Vieira prese il potere con un colpo di stato. I piani per l’unificazione con Capo Verde (altra colonia portoghese della regione) vennero abbandonati. Nel 1990 fu introdotto il multipartitismo e nel 1994 vennero organizzate le prime elezioni pluraliste nella storia del paese. Non sorprendentemente, Vieira le vinse. Nel 1998 vennero alla luce aspri disaccordi fra Vieira e il capo di stato maggiore dell’esercito, generale Ansumane Mane. Nel 1999 Ansumane Mane depose Vieira e, allora come oggi, «nel rispetto della Costituzione», il pre-
sidente del senato, Malam Bacai Sanha, assunse la presidenza ad interim. Nel gennaio del 2000 venne eletto presidente Kumba Yala, personaggio di scarso spessore il cui comportamento spesso rasentava la paranoia. Nel novembre dello stesso anno venne ucciso il Generale Ansumane Mane, nel corso di un tentato golpe. Kumba Yala, dal comportamente sempre più imprevedibile ed erratico, fu estromesso dall’esercito, in un ennesimo colpo di stato, nel 2003. Venne insediato un altro governo di transizione guidato da Henrique Pereira Rosa. Ovviamente, «nel rispetto della Costituzione». I 2 anni seguenti videro una elezione vinta dal Paigc, l’uccisione di un altro capo di stato maggiore dell’esercito da parte di militari non pagati da mesi, una brevissima occupazione della residenza presidenziale da parte di Kumba Yala che si definiva ancora «legittimo capo di stato». Nel luglio del 2005 si sono tenute nuove elezioni presidenziali. Tornato dall’esilio in Portogallo, Nino Vieira si è candidato ed è stato eletto. Nei 4 anni seguenti, il paese ha continuato ad avvitarsi in una spirale di povertà, corruzione, violenza e instabilità politica (tre i primi ministri succedutisi fra il 2005 e il 2009). Confusione e fragilità hanno permesso ai trafficanti di droga sudamericani di fare della Guinea Bissau uno dei principali centri di smistamento di cocaina al mondo. Nel luglio 2008 il ministro della giustizia ed il procuratore generale ricevettero minacce di morte dopo l’arresto di 3 sospetti trafficanti venezuelani. Nel novembre 2008 la residenza di Vieira fu attaccata da un gruppo di militari. Questo fallito golpe portò alla costituzione di una guardia presidenziale di circa 400 uomini, smantellata in seguito per abusi ed inefficienza. E così, di golpe in golpe, di assassinio in assassinio, si è giunti all’uccisione di Nino Vieira, nata da disaccordi coi vertici militari nei quali il traffico di droga potrebbe avere giocato un ruolo. Il 28 giugno, con un lieve ritardo sui 60 giorni previsti dalla Costituzione, si sono tenute elezioni presidenziali. La campagna elettorale non è stata tranquilla: elementi dell’esercito hanno ucciso un candidato presidenziale e un ex ministro della difesa. Avrebbero resistito all’arresto, ordinato perché avrebbero pianificato un colpo di stato. Nessuno crede a questa versione, ma, in linea con l’ormai tradizionale impunità che regna sovrana, nessuno è stato messo sotto accusa. I candidati alla presidenza erano 11, ma solo 3, tutte vecchie conoscenze, avevano speranze di vittoria. Si trattava di Malam Bacai Sanha, presidente ad interim nel 1999 e Henrique Pereira Rosa, anche lui presidente ad interim dal 2003 al 2005. Il terzo era Kumba Yala, che, adesso, ha cambiato nome e si fa chiamare Mohamed Yala Embalo. Malam Bacai Sanah ha vinto col 63% dei voti espressi nel secondo turno, tenutosi ili 26 luglio. Lo stato che si accinge a guidare è alla bancarotta economica, politica e sociale. Il procuratore generale, Luis Manuel Cabral, che sta indagando sull’assassinio di Nino Vieira, ha ricevuto una serie di minacce di morte, le ultime delle quali a fine agosto, ad appena un mese dalle elezioni presidenziali. L’esercito, frammentato e indisciplinato, rimane il depositario del vero potere. La sua riforma
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è essenziale per far uscire il paese dal gorgo di violenza nel quale è stato risucchiato dall’indipendenza in poi. Ma sarà impossibile ridimensionare il ruolo dell’esercito senza l’accordo dell’esercito stesso. Un tragico “comma 22” che pesa sulle reali possibilità di azione del nuovo presidente.
REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO Giocando da solo, e con carte truccate, Sassou-Nguesso vince le elezioni
La Repubblica del Congo è molto più estesa dell’Italia (2.342.000 km2) ed ha circa 3.800.000 abitanti. Come tanti altri in Africa, è un paese ricco abitato da una popolazione povera e governato da una élite corrotta, spesso criminale, che considera sua proprietà privata la cosiddetta “cosa pubblica”. Esporta legname, cacao, zucchero, caffè, diamanti e, soprattutto, petrolio. Nel 2004, in base al cosiddetto “Accordo di Kimberley”, la Repubblica del Congo fu esclusa dal commercio (ufficiale) internazionale dei diamanti perché non in grado di dimostrare la provenienza della maggior parte di quelli che esportava. Tale esclusione è tuttora in vigore. Il prodotto interno lordo (Pil) pro capite è di circa 1.540 dollari all’anno. Una media bugiarda come tante altre, visto che circa il 70% della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà. Lo sfruttamento coloniale francese, qui particolarmente feroce, portò a tassi elevatissimi di mortalità e fu punteggiato da rivolte regolarmente represse nel sangue. L’indipendenza è arrivata nel 1960. Il primo Presidente, Fulbert Youlou, fu costretto a dimettersi
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nel 1963 e fu sostituito da Alphonse Massamba-Débat, a sua volta rimpiazzato da Marien Ngouabi nel 1968, dopo un colpo di stato. Ngouabi restò al potere nove anni, confermò la politica “socialista” introdotta dal suo predecessore e fondò il Pct (Parti Congolais des Travailleurs), che restò l’unico partito legale fino al 1992. Nel 1977 Ngouabi fu assassinato nel corso di un altro golpe che costò la vita anche a Massamba-Débat. La giunta golpista mise al potere Joachim Yombi-Opango che, nel 1979, fu costretto a dimettersi a favore di Denis Sassou-Nguesso, un colonnello dei paracadutisti addestrato in Francia. Questi, tuttora al potere, si è rivelato molto più resistente dei suoi predecessori al “logorio del potere” e alle fucilate degli oppositori. Nel 1990, seguendo il vento dell’epoca, ha rinnegato il “socialismo” (o, meglio, l’etichetta di “socialista” della quale il governo si era dotato) e nel 1992 ha introdotto il multipartitismo, contemplato dalla nuova Costituzione approvata con referendum popolare. Nello stesso anno, nelle prime elezioni pluraliste nella storia del paese, Sassou-Nguesso fu sconfitto da Pascal Lissouba, già primo ministro ai tempi di Massamba-Débat. Alcuni commentatori lodarono la “lealtà democratica” di SassouNguesso che, sconfitto già al primo turno, lasciò il potere senza causare problemi. Le lodi si rivelarono troppo frettolose. La “democrazia congolese”, caratterizzata da litigiosità ed instabilità, si rivelò gravemente malata fin dalla nascita. Elezioni parlamentari anticipate, organizzate già nel 1993, furono caratterizzate da sanguinosi scontri fra fazioni rivali. Nel 1994 fu insediato un governo di unità nazionale che non risolse i problemi. Le varie fazioni continuarono ad armarsi e, nel 1997, si giunse ad una vera e propria guerra civile. Sassou-Nguesso, appoggiato da militari angolani, ebbe la meglio, riprendendo il potere ed il titolo di presidente. Nel 2002 fu approvata una nuova Costituzione che ampliava i già ampi poteri presidenziali. Nguesso vinse le elezioni organizzate lo stesso anno, non prima di avere escluso dalla competizione i suoi maggiori rivali (fra i quali Lissouba) grazie a leggi confezionate a suo uso e consumo. Questo mandato presidenziale (di 7 anni) è giunto a termine nel giugno di quest’anno. Il 12 luglio si sono svolte elezioni presidenziali e parlamentari. I candidati dell’opposizione hanno boicottato il voto lamentando numerose irregolarità: un “mostruoso” registro elettorale comprendente più di 2 milioni di elettori (che, francamente, paiono un po’ troppi); numerosi certificati elettorali smarriti, mai consegnati, stampati con nomi sbagliati; elettori apertamente “comprati”, ecc. Secondo gli osservatori, la partecipazione al voto è stata “molto bassa”; secondo la commissione elettorale (nominata dal governo) è stata del 66,4%. Giocando da solo e con carte truccate, Sassou-Nguesso ha tranquillamente archiviato la formalità elettorale (78,6% dei voti per lui e 7,5% per il “secondo classificato”, secondo la commissione elettorale) ed ha iniziato un nuovo mandato di 7 anni. Il capo degli osservatori inviati dall’Unione Africana ha affermato di «non avere notato irregolarità». Non sorprende. Nel 2006 Sas-
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sou-Nguesso fu nominato presidente di questa organizzazione, dopo che molti dei suoi 53 membri si erano dichiarati contrari alla candidatura del presidente sudanese Omar el Beshir. Che il presidente sudanese non fosse la migliore delle scelte possibili è condivisibile. Che Sassou-Nguesso fosse una scelta migliore (o significativamente diversa) è discutibile. Anche le organizzazioni, come i popoli, si ritrovano le guide che meritano.
GABON Omar Bongo è morto dopo 42 anni al potere. Lunga vita a Bongo (figlio)
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presidenziali dovrebbero tenersi entro 45 giorni dalla morte del presidente. Sono state fissate, con un leggero ritardo, per il 30 agosto. I candidati sono 11 ma uno solo è quello che conta: AliBen Bongo, il figlio di Omar Bongo, designato come candidato dal Parti Démocratique Gabonais (Pdg) già partito unico e tuttora partito maggioritario. Vari candidati hanno lamentato lo scarso tempo a disposizione per organizzare e condurre un’adeguata campagna elettorale. Uno di essi ha anche condotto uno sciopero della fame. La cosa, ovviamente, non è servita. Le elezioni si terranno il 30 agosto come previsto. E come previsto, Ali-Ben Bongo sarà eletto presidente. Come nella migliore tradizione di tante repubbliche monarchiche, in Africa e non solo.
MAURITANIA Mohamed Ould Abdelaziz da generale golpista a presidente eletto in meno di un anno. Da manuale
L’ 8 giugno scorso, dopo un confuso e ridicolo susseguirsi di voci, annunci e smentite, un comunicato governativo ha confermato la morte del Presidente Omar Bongo. Bongo aveva 73 anni ed era al potere da 42 anni. Un esemplare paradigmatico dei “dinosauri africani”, quei capi di stato che, giunti al potere, spesso in modo non del tutto trasparente, ci restano per decenni, saccheggiando le casse dello stato, impersonando, letteralmente, lo stato stesso. Da Mobutu ad Arap Moi, da Eyadema a Obiang Nguema, la lista è lunga, si perde nei meandri della storia dell’Africa indipendente. E si rinnova continuamente, includendo politici che, al loro arrivo al potere, avevano suscitato speranze e, soprattutto, illusioni, come Museveni, Afewerki, Mugabe ed altri ancora. Quando, nel 2005, morì il presidente togolese Gnassingbe Eyadema, i militari si affrettarono a sostituirlo col figlio, Faure Gnassingbe. Di fronte alle proteste esterne e interne, fecero un passo indietro, organizzarono elezioni, le “manovrarono” ... e Faure Eyadema è, adesso, il “legittimo” presidente del Togo. Alla conferma della morte di Bongo, si è subito parlato di una successione manovrata che avrebbe portato al potere suo figlio, il ministro della difesa, Ali-Ben Bongo. Per evitare i maldestri errori commessi in Togo, in Gabon è stata rispettata la Costituzione. Dopo la morte del presidente, il paese è stato guidato dal presidente del senato, Rose Francine Rogombe. Secondo la Costituzione, le elezioni
Nel marzo del 2007, per la prima volta nella storia del paese, indipendente dal 1960, un presidente venne eletto in modo democratico, regolare e trasparente. Si trattava di Sidi Ould Cheikh Abdallahi che, al secondo turno, ottenne il 53% dei voti espressi contro il 47% del suo rivale, Ahmed Ould Daddah, figura “storica” della politica mauritana e fratello del primo presidente, Mokhtar Ould Daddah, spodestato in un colpo di stato e considerato il “Padre della patria”. La Mauritania è un paese attraversato da numerose divisioni etniche e sociali: arabi, berberi, “africani”, ex schiavi ed ex schiavisti. La schiavitù, abolita nel 1981, è ancora largamente praticata. Il 52% dei circa 3 milioni di abitanti è analfabeta, il 40% vive con meno di un dollaro al giorno e il 63% vive con meno di 2 dollari al giorno. Nel febbraio del 2006 la Mauritania si è aggiunta all’elenco dei paesi africani produttori di petrolio. Secondo un rapporto pubblicato nel 2007 dalla Economic Commission for Africa delle Nazioni Unite, l’economia mauritana, nel 2006, è cresciuta del
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19,8% (contro una media del 5,7%). Era “cresciuta” dello 0,5% all’anno fra il 1990 e il 2006. Come in molti paesi africani, la crescita economica, intimamente legata al petrolio, non ha rafforzato le cronicamente fragili strutture governative. La “giovane democrazia” nata nel marzo 2007, sulle ceneri di un golpe militare perpetrato nel 2005, è stata soffocata nella culla da un altro golpe militare perpetrato nell’agosto del 2008. Il generale che ha guidato l’ultimo golpe, Mohamed Ould Abdelaziz, si è affrettato a formare un governo di civili e a pianificare nuove elezioni. Nel febbraio di quest’anno, quando hanno cominciato a circolare voci secondo le quali il generale si sarebbe candidato alla presidenza, l’Unione Africana (che aveva sospeso la Mauritania in agosto) ha varato una serie di sanzioni contro i componenti della giunta militare. Francia e Stati Uniti avevano già sospeso i loro aiuti. La giunta ha perseguito il suo programma e fissato elezioni per il 6 giugno. I partiti di opposizione hanno minacciato di boicottarle e il presidente senegalese, Abdoulaye Wade, si è offerto di mediare fra le parti. Il 6 giugno si è giunti ad un accordo: è stato formato un governo di transizione comprendente membri dell’opposizione, è stata creata una commissione elettorale e le elezioni sono state rimandate al 18 luglio. Sono anche state concordate le “dimissioni” del presidente Abdullahi, rovesciato dal golpe dell’agosto 2008 e liberato dagli arresti domiciliari solo 4 mesi dopo. Una sorta di regolarizzazione a posteriori di uno status quo sicuramente “carente” dal punto di vista legale. Una ipocrita e inutile ciliegina sulla torta del golpe. Ad ogni modo, il 18 luglio, si sono svolte le elezioni. La campagna elettorale è stata sorprendentmente libera ma gli incidenti, anche violenti, sono stati frequenti. Secondo la commissione elettorale, la partecipazione al voto è stata del 61%. I risultati sono arrivati dopo circa una settimana. Senza sorprese, come lui stesso aveva previsto, il generale Abdelaziz ha ottenuto la maggioranza assoluta dei voti (52%) già al primo turno. Senza sorprese, l’opposizione ha gridato allo scandalo, denunciato una truffa elettorale e chiesto una inchiesta internazionale. Lo stesso capo della commissione elettorale si è dimesso avanzando dubbi sulla regolarità dello scrutinio e sulla veridicità dei risultati ufficiali. Un portavoce degli osservatori dell’Unione Africana ha dichiarato che le elezioni si sono svolte in modo regolare e trasparente. Tutto come da copione. In 49 anni di indipendenza, la Mauritania è stata guidata da un governo democraticamente eletto per poco più di un anno. Si trattava di un governo diviso, incompetente e, stando a numerose accuse, corrotto. Il nuovo governo sarà guidato da un generale che ha organizzato 2 colpi di stato (era il numero 2 nel golpe del 2005) e che si è fatto “democraticamente” eleggere. Il generale (ora presidente) Abdelaziz possiede una buona dose di cinismo e di abilità politica. Resta da vedere se vorrà e riuscirà a migliorare le condizioni di vita di una popolazione divisa e povera. Nel suo discorso inau-
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gurale, il 20 luglio, ha dichiarato di voler «… combattere il terrorismo e le cause che ne stanno alla base: povertà e ignoranza». Avrà molto da fare.
NIGERIA Pugno di ferro del governo contro estremisti islamici
La Nigeria ha circa 150 milioni di abitanti, circa 250 gruppi etnici, numerose lingue e dialetti, una storia travagliata, un presente difficile ed un futuro incerto. Indipendente dal 1960, ha conosciuto il suo primo colpo di stato militare nel 1966. Il primo di una lunga serie. Fra il 1967 e il 1970 ha combattuto una sanguinosa guerra per stroncare le ambizioni secessioniste del Biafra. Nel 1998 sono morti, ad un mese di distanza l’uno dall’altro, il generale Sani Abacha, a capo di un regime militare ferocemente repressivo e disgustosamente corrotto, e il suo maggior avversario, Chief Moshood Abiola. Il successore di Abacha, generale Abdulsalam Abubakar, ha guidato il passaggio da un regime militare ad uno civile. Le elezioni del 1999 sono state vinte da Olushegun Obasanjo, un ex generale, ex capo di stato, passato alla storia per essere stato il primo militare africano ad avere mantenuto la promessa di passare il potere ai civili. Lasciato l’esercito, fu incarcerato durante la dittatura di Abacha. Dopo 2 mandati presidenziali ha passato il potere all’attuale presidente, Umaru Yar’Adua, ex governatore dello stato settentrionale di Katsina. Per quanto eletto, nel 2007, nelle peggio organizzate e più irregolari di tutte le elezioni nigeriane, Yar’Adua è il primo presidente civile a succedere ad un civile in Nigeria. In più di 2 anni di presidenza, Yar’Adua si è mostrato tentennante e scarsamente dotato della energia e del coraggio necessari per tentare di affrontare i problemi del paese. L’ultimo in ordine di tempo è stato posto dai violenti scontri fra le forze dell’ordine e il movimento islamico estremista Boko Haram, guidato da Mohamed Yusuf, un trentanovenne con 4 mogli e 12 figli, accesamente ostile a tutto quanto richiami l’occidente
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e la sua “nefasta influenza”, specialmente l’educazione. In una intervista rilasciata alla Bbc in maggio, Yusuf ha deprecato l’insegnamento “occidentale” perché minerebbe alla base i valori e le credenze islamiche. Ha dichiarato di essere contrario alla teoria evoluzionista di Darwin e di ritenere ortodosso pensare che la pioggia sia dovuta ad un atto divino, piuttosto che ad un susseguirsi di evaporazione e condensazione. Gli scontri fra polizia e militanti del Boko Haram sono iniziati nello Stato di Bauchi il 26 luglio e si sono presto estesi a varie città in diversi stati settentrionali. Dopo le elezioni del 1999 quasi tutti gli stati settentrionali, abitati in grande maggioranza da musulmani, hanno introdotto la Sharia, o legge islamica. La sua applicazione è giudicata troppo blanda dagli appartenenti al Boko Haram che intende instaurare in Nigeria un Califfato di più stretta osservanza islamica. Il movimento è circondato da quello che alcuni definiscono un “alone di mistero”. Pare più probabile che si tratti, invece, di una cortina di ignoranza dovuta, sia alla inettitudine dei servizi di informazione governativi che al fatto che molti appartenenti al movimento vengono da famiglie ricche e, di conseguenza, potenti. Lo stesso nome Boko Haram non è quello ufficiale del movimento ma quello usato per definirlo. Più che il movimento, tale nome definisce una delle sue posizioni più note: Boko Haram significa “l’educazione occidentale è peccaminosa”. Altri, con scarsa fantasia, definiscono gli appartenenti al Boko Haram “Talebani neri”, anche se non pare ci siano legami con i Talebani dell’Afghanistan. L’ultima ondata di scontri è stata particolarmente violenta. Gruppi di militanti islamici hanno attaccato sedi governative e stazioni di polizia tentando di prenderne il controllo. I combattimenti sono stati aspri. Le stime delle vittime variano ma si tratta di varie centinaia (600 secondo alcuni quotidiani locali). La città più colpita è stata Maiduguri, dove il Boko Haram ha la sua sede principale. La polizia ha assediato questa sede per molte ore usando lacrimogeni e artiglieria pesante. Il 30 luglio ha annunciato di avere catturato Yusuf e ha mostrato a vari giornalisti un filmato nel quale questi confessava di avere organizzato le violenze degli ultimi giorni. Poche ore dopo, un altro filmato mostrava il corpo di Yusuf crivellato di colpi. Secondo la versione ufficiale, sarebbe stato ucciso mentre tentava di fuggire. Una versione sbrigativa e poco probabile. La polizia nigeriana è nota per i suoi abusi. È molto probabile che si sia trattato di una esecuzione extragiudiziaria. Ed è altrettanto probabile che questo esaspererà le tensioni invece di placarle.
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SUDAN La Corte Arbitrale Permanente dell’Aja ridisegna i confini di Abyey con un compromesso che potrebbe funzionare
La città di Abyey, col territorio che la circonda, è una delle 3 aree la cui appartenenza geografica (al Nord o al Sud Sudan) è stata lasciata in sospeso dall’accordo di pace che, nel 2005, ha messo fine alla guerra fra Nord e Sud, iniziata 22 anni prima. Le altre 2 aree sono le Nuba Mountains e il Blue Nile. La popolazione di queste 3 aree dovrà decidere in un referendum se far parte del Nord o del Sud Sudan. Dopo di che, nel 2011, la popolazione del Sud Sudan dovrà decidere, in un altro referendum, se il Sud Sudan resterà parte del Sudan, in una sorta di federazione, o se diventerà uno stato a sé, completamente indipendente. La situazione di Abyey è particolarmente delicata perché, al momento di firmare l’accordo di pace, le parti divergevano sulla definizione dei suoi stessi confini. Una apposita commissione, composta da esperti internazionali e rappresentanti locali, ha emesso il proprio verdetto nel luglio del 2005. Tale verdetto includeva nel territorio di Abyey la maggior parte dei pozzi di petrolio che si trovano nell’area e venne immediatamente respinto dal governo di Khartoum. Il petrolio porta denaro e discordie. Nel maggio e nel dicembre dello scorso anno, le discordie hanno portato a violenti combattimenti fra truppe del Nord e del Sud. I morti sono stati almeno un centinaio, almeno 50.000 gli sfollati e Abyey è stata rasa al suolo. In seguito, il governo di Khartoum e quello di Juba hanno affidato la questione alla Corte Arbitrale Permanente dell’Aja. Questa, con inconsueta rapidità, ha emesso il suo verdetto il 22 luglio scorso. L’area di Abyey è stata notevolmente ridimensionata perdendo circa il 25% del territorio assegnatole nel 2005 e, con esso, la maggior parte dei pozzi di petrolio a est e a nord e un’ampia area di pascolo a ovest. Per ora, entrambe le parti hanno dichiarato di accettare la decisione della Corte. Anche se la popolazione di Abyey optasse per “appartenere” al
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Sud, e anche se la popolazione del Sud, nel 2011, optasse per l’indipendenza, Khartoum manterrebbe il controllo della maggior parte dei pozzi petroliferi dell’area, soprattutto quelli di Heglig e Bamboo. Comprensibile, quindi, la soddisfazione del Nord. Juba, comprensibilmente non contenta del verdetto, potrebbe accettarlo, sia pure a malincuore, per non alienarsi le simpatie internazionali. Il prezzo da pagare è minore di quanto non possa sembrare, dal momento che le riserve petrolifere di Abyey si stanno esaurendo. L’area di Abyey è abitata da varie etnie, ma quelle predominanti sono 2: i Dinka Ngok (appartenenti all’ampia famiglia dei Dinka, che hanno costituito l’ossatura dell’ala militare del maggior gruppo ribelle del Sud, l’Spla – Sudan People’s Liberation Army –) e i Misseriya, di cultura prevalentemente araba e di religione musulmana. I nuovi confini escludono da Abyey la cittadina di Meiriem, prevalentemente abitata dai Misseryia, e i pascoli circostanti. Questo significa che, ora, la proporzione di Dinka Ngok in Abyey è molto superiore a quella che era prima del verdetto della Corte. I Misseriya che abitano Meiriem e dintorni possono tirare un sospiro di sollievo: se la popolazione di Abyey deciderà di far parte del Sud (cosa ancor più probabile oggi) la cosa non li riguarderà.
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Riguarderà, invece, i Misseriya che ancora abitano all’interno dei nuovi confini dell’area di Abyey. I loro diritti di accesso ai pascoli e all’acqua potrebbero essere conculcati e questo porterebbe a nuove, pericolose, tensioni. Il verdetto della Corte pare una soluzione machiavellica che tenta di soddisfare entrambe le parti. Il nord pare uscire avvantaggiato dalla contesa, con più pozzi di petrolio, pascoli e territorio di quanto, probabilmente, non si aspettasse. Il Sud vede aumentare notevolmente la probabilità di un voto a suo favore nel referendum sull’appartenenza geografica dell’area e, per questo, paga un prezzo, probabilmente, poco più che simbolico (viste le previsioni del prossimo esaurimento dei pozzi petroliferi dell’area). Un compromesso che potrebbe anche funzionare. Il 19 agosto scorso rappresentanti dei governi di Khartoum e Juba hanno firmato un accordo che, nelle parole di Scott Gration, rappresentante in Sudan degli USA, dovrebbe assicurare un pacifico cammino verso le consultazioni previste per il 2010 e 2011 e aprire le porte di un “futuro luminoso”. In realtà, l’accordo contiene alcune dichiarazioni di buona volontà e nulla più. Per sapere quanto il futuro del Sudan sarà “luminoso” occorrerà aspettare.
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FOCUS / SUDAFRICA Il nuovo presidente, Jacob Zuma, messo subito alla prova. Ed è una prova difficile
Stando ai dati pubblicati dal Centre for Developing Studies dell’Università del Kwa-Zulu Natal, in Sudafrica, dalla fine dell’apartheid, hanno luogo, ogni anno, circa 8.000 manifestazioni di protesta. Sono tutte incentrate sulla mancanza lavoro e di servizi adeguati: dalla sanità all’educazione, dall’approvvigionamento idrico a quello di energia elettrica, dalla disponibilità di case popolari alla carenza di posti di lavoro. L’attuale presidente, Jacob Zuma, è stato eletto nell’aprile scorso dopo una campagna nella quale ha promesso di risolvere i problemi sopra elencati. Ha promesso un’assicurazione sanitaria nazionale che garantisca una “copertura universale”, cibo per tutti, più case, accesso universale ad acqua ed elettricità, una riforma agraria che garantisca una più equa distribuzione della terra e una diminuzione dei livelli “inaccettabilmente alti” di disoccupazione. Nel suo primo discorso alla nazione, agli inizi di giugno, il neoeletto presidente ha reiterato le sue promesse, parlando di 400.000 nuovi posti di lavoro nel 2009 e 4 milioni nei prossimi 5 anni; ha anche promesso una diminuzione della criminalità del 10% all’anno (in un paese in cui vengono uccise, in media, 50 persone al giorno); e ha promesso farmaci antiretrovirali ad almeno l’80% di coloro che ne hanno bisogno entro il 2011. Tutte promesse più facili da fare che da mantenere, specialmente nei 5 anni del suo mandato, specialmente dal momento che il paese è entrato nella sua prima recessione economica da 17 anni a questa parte. Nel primo trimestre di quest’anno, l’economia sudafricana si è contratta del 6,4% rispetto allo stesso periodo del 2008; nel secondo trimestre si è contratta del 3%. Nell’ultimo trimestre del 2008 la contrazione era stata dell’1,8% al mese. Il settore minerario e
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quello manifatturiero sono quelli maggiormente colpiti, a causa della diminuita domanda internazionale dovuta alla crisi globale. Circa 750.000 posti di lavoro sono stati perduti negli ultimi 18 mesi. Il settore delle costruzioni regge ragionevolmente bene grazie, anche, all’espansione di stadi, alberghi, strade, legata ai campionati mondiali di calcio che il Sudafrica dovrebbe ospitare l’anno prossimo.
MALCONTENTO, DISORDINI, VIOLENZA, XENOFOBIA Nel maggio 2008 la xenofobia diffusa, aggravata dalla crisi economica, è esplosa in una serie di crimini violenti che hanno prodotto migliaia di sfollati, almeno 60 morti e innumerevoli stupri. «Sapete come sono … sono diversi. E ci rubano il lavoro». Questo ritornello della xenofobia e del razzismo, stucchevolmente uguale a tutte le latitudini e a tutte le longitudini, ha punteggiato le interviste rilasciate da sudafricani in varie townships un anno fa e pubblicate da vari giornali, dalla Bbc, dalla Reuters. A più di un anno di distanza, nessuno è stato portato in tribunale con l’accusa di violenze, omicidio o stupro. I problemi, lasciati a se stessi, solitamente, si aggravano. A metà luglio, quest’anno, varie parti del paese sono state scosse da manifestazioni di protesta contro la mancanza di servizi. Si sono verificati numerosi scontri violenti fra manifestanti e polizia. Più di 200 persone sono state arrestate. E si sono ripetute scene di violenta xenofobia. Case e piccole attività commerciali appartenenti a stranieri (soprattutto mozambicani e zimbabweani) sono state bruciate e rase al suolo e numerosi stranieri (o presunti tali) sono stati oggetto di intimidazioni e percosse. Un portavoce dell’Anc (African National Congress), il partito al governo, ha dichiarato che «… l’Anc capisce il malcontento di chi non ha casa né lavoro, ma nessun atto violento e nessuna intimidazione nei confronti di stranieri possono essere giustificati con la mancanza di servizi». Nozipho Mteshane, la donna che guida il Saupm (South Africa Unemployed Peopele’s Movement – un gruppo organizzato a favore dei disoccupati che sta facendo molti proseliti) ha dichiarato di non essere in grado di fermare la violenza ed ha aggiunto che «… questa è solamente la punta dell’iceberg». Un’affermazione molto plausibile che deve avere turbato non poco il recentemente eletto presidente. Il Saupm chiede, fra l’altro, un sussidio di disoccupazione mensile pari a 1.500 rand (circa 195 dollari americani). In un discorso pronunciato il 24 luglio, Zuma ha affermato, fra l’altro: «La nostra Costituzione garantisce la libertà di riunione, di espressione e di protesta […] ma questo deve essere fatto nel rispetto della legge. Non ci possono essere giustificazioni per la violenza, per il saccheggio, la distruzione di proprietà o gli attacchi a stranieri residenti nel nostro paese». Nello stesso discorso ha reiterato la promessa di migliorare le condizioni di vita nelle townships e di creare nuovi posti di lavoro.
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UNA CATENA DI SCIOPERI E PROTESTE Zuma ha chiesto comprensione e tempo. Né comprensione né tempo gli sono stati concessi da più di 150.000 impiegati municipali (trasporti, sanità, sicurezza, nettezza urbana) che sono scesi in sciopero il 27 luglio, bloccando, per vari giorni, le strade di Johannesburg e di altre importanti città. Avevano chiesto un aumento di stipendio pari al 15% ed hanno rifiutato l’offerta governativa di un aumento dell’11,5%. Alcune settimane prima, un aumento del 12% aveva posto fine allo sciopero dei lavoratori edili che minacciava di ritardare i lavori di preparazione per i campionati mondiali di calcio dell’anno prossimo. Questi scioperi hanno un significato particolare per il presidente Zuma che è stato eletto, anche, grazie al supporto del Partito Comunista Sudafricano e della Cosatu (Confederation of South African Trade
/ afrinews
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Unions), la più importante e potente confederazione sindacale del paese. Contemporaneamente agli scioperi si sono svolte numerose manifestazioni, in varie townships, per protestare contro la mancanza di servizi. In varie occasioni le forze dell’ordine hanno usato idranti e lacrimogeni per disperdere i dimostranti. Uno stridente contrasto con le scene di giubilo che hanno salutato l’elezione di Zuma solo pochi mesi fa. Il 31 luglio sindacati e governo si sono accordati sulla base di un aumento di stipendio del 13%. Meno di quanto richiesto ma superiore al tasso di inflazione annuale, stimato attorno al 7%. Ovviamente, Zuma non è responsabile della crisi economica mondiale e dei suoi inevitabili effetti sull’economia sudafricana. È responsabile, però, delle sue insensate promesse elettorali e delle enormi, irragionevoli aspettative da esse suscitate. La “luna di miele” di Zuma col suo elettorato è stata brevissima.
O/ osservatorio
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MALATTIA DI CHAGAS (TRIPANOSOMIASI AMERICANA) La Malattia di Chagas è una malattia molto diffusa in tutta l’America Latina (si stima che i malati siano tra i 10 e i 15 milioni) dove rappresenta la principale causa di cardiopatia tra gli adulti giovani, con un enorme costo medico-sociale. In Brasile, ad esempio, la spesa sanitaria per l’impianto di pace-maker e per gli interventi chirurgici correttivi del megaesofago avanzato arriva a circa 250 milioni di dollari/anno ed il costo minimo annuo di antiaritmici si aggira sui 47 milioni di dollari.
Testo di / Giovanni Baruffa / Professore emerito di Medicina Tropicale e Semeiotica Medica presso le Università Cattolica di Pelotas e Federale di Rio Grande do Sul, Brasile.
EPIDEMIOLOGIA La malattia, originariamente una zoonosi silvestre di marsupiali americani, si è trasformata in antropozoonosi con l’avvento della colonizzazione, per l’inserimento del lavoratore rurale, che vive spesso in capanne di fango, nel ciclo epidemiologico. La malattia è diffusa dal Messico alla Patagonia, coincidendo con l’area di distribuzione delle principali specie di triatomi domestici, che trovano nelle povere capanne di fango e paglia dei contadini le condizioni ideali per la loro domiciliazione. L’urbanizzazione sta trasformando la Malattia di Chagas da endemia rurale a endemia urbana, per la migrazione dei portatori, che si concentrano in genere nelle misere favelas delle enormi periferie delle megalopoli sudamericane. Si calcola che oltre 300.000 portatori della malattia vivano nella periferia di S. Paolo e oltre 200.000 in quella di Rio de Janeiro. Ciò comporta il rischio di altre forme di trasmissione, in particolare la trasfusione di sangue e il trapianto di organi. La prevalenza tra i donatori di sangue, che nelle grandi e medie città è 0,5-2%, supera il 10% nelle piccole città delle regioni endemiche. Ad esempio, nella città di Pelotas di 350.000 abitanti, nello stato del Rio Grande do Sul, la prevalenza di donatori sieropositivi è circa del 4%; nella vicina città di Canguçú di 8.000 abitanti, sale al 20%. Il commercio clandestino del sangue facilita la trasmissione trasfusionale. Vanno considerate inoltre: la trasmissione congenita, verticale, che può interessare dall’1 al 2% delle gravidanze, in genere avviene dopo il 5° mese e comporta spesso prematurità o natimortalità; la trasmissione attraverso l’allattamento, possibile, ma eccezionale; la trasmissione per via digestiva attraverso alimenti e utensili di cucina contaminati con feci di triatomi e infine i rari casi di trasmissione accidentale in laboratorio. Escludendo tali forme di trasmissione, l’assoluta maggioranza dei casi di infezione tripanosomica avviene attraverso il vettore triatomico: emitteri ematofagi della sub-familia Triatominae, di cui oltre un centinaio di specie suscettibili di infezione con Trypanosoma cruzi. Fondamentale per il ciclo domestico dei triatomi è loro capacità di colonizzare le abitazioni umane. I triatomi si infettano succhiando
il sangue di portatori del T. cruzi: animali selvatici, domestici (cani, gatti), commensali (topi) e le stesse persone infettate precedentemente. Il T. cruzi si moltiplica nell’intestino dell’insetto dando origine alle forme infettanti “tripanosomi metaciclici”, eliminati con le feci. La Malattia di Chagas configura pertanto una parassitosi di trasmissione “posteriore” o “per contaminazione” (al contrario delle tripanosomiasi africane che sono “anteriori” o “per inoculazione” da parte delle Glossine). I tripanosomi metaciclici entrano nell’organismo dell’ospite vertebrato attraverso soluzioni di continuità della pelle (es. la stessa puntura dell’insetto, che usa defecare subito dopo il pasto) o attraverso le mucose, specialmente la congiuntiva, dove le feci possono essere portate dallo sfregare gli occhi nel sonno. Alcune caratteristiche biologiche dei triatomi rendono più facile il loro ruolo di vettori della Malattia di Chagas: durata di vita abbastanza lunga: 1-2 anni; ovodeposizione fino a 200 uova/anno per femmina adulta; resistenza al digiuno: 2-6 mesi; ematofagismo stretto, ma grande variabilità di fonti di sangue (mammiferi, marsupiali, ma anche uccelli e rettili che non sono suscettibili al parassitismo da parte del T. cruzi); fotofobia e abitudini strettamente notturne, termotropismo positivo e mimetismo, presenza di sostanze anestetiche e anticoagulanti nella saliva; evacuazione di sangue subito dopo il pasto.
SERBATOI NATURALI Animali che in genere non sviluppano la malattia o sviluppano solo forme benigne: marsupiali, sdentati (armadillo), chirotteri, carnivori selvatici e domestici (cani, gatti, ecc…), lagomorfi, primati.
PREVALENZA In Brasile sono circa 5 milioni i portatori dell’infezione da T. cruzi. L’indagine sierologica nazionale, realizzata tra il 1978 e il 1980, ha documentato nelle aree rurali una prevalenza media del 4,4%, con valori minimi nello Stato di Santa Catarina (0,5%) e massimi
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in quello di Manias Gerais e nel Rio Grande do Sul (8,8%). Circa l’incidenza non esistono cifre attendibili, non essendo la malattia soggetta a notificazione obbligatoria. I quadri acuti, inoltre, rappresentano una minoranza rispetto al totale degli individui portatori dell’infezione da T. cruzi. Negli anni ’70 l’incidenza era stimata intorno ai 100 mila casi/anno.
EZIOLOGIA Il Trypanosoma cruzi è un protozoo della classe Mastigophora. Si presenta con 2 forme: flagellata (epimastigota e tripomastigota) e aflagellata (amastigota). Nei vertebrati, e quindi nell’uomo, la forma tripomastigota si trova nel sangue circolante e la amastigota nei tessuti. Nell’ospite invertebrato (triatomi) si incontrano la forma amastigota, i tripomasigoti (infettanti) e una forma epimastigota di transizione. I tripomastigoti hanno una lunghezza di 20 micron e larghezza di 1-2 micron, col nucleo prossimo all’estremità anteriore e il cinetoplasto dietro al nucleo. Le forme amastigote sono ovali o rotonde (forme in leishmania), con 1,5-4 micron di diametro, raggruppati in nidi parassitari (‘ninhos del leishmanias’). Gli epimastigoti hanno il cinetoplasto davanti al nucleo.
PATOGENESI Entrati nell’organismo dell’ospite vertebrato, i tripanosomi metaciclici sono fagocitati dai macrofagi e dalle cellule reticolo-endoteliali. Nell’interno di questi assumono la forma amastigota, si moltiplicano per divisione binaria e formano ammassi ‘pseudocisti’ e nidi di amastigoti. La cellula parassitata finisce per rompersi, liberando tripomastigoti che circolano nel sangue invadendo nuovi macrofagi e nuove cellule reticolo-endoteliali, ripetendo il ciclo. Non sono ancora ben chiari i meccanismi patogenetici delle lesioni tessutali prodotte dal T. cruzi . Esistono in proposito varie teorie: 1 / Teoria focale: la rottura della cellula parassitata condizionerebbe una reazione di infiammazione locale. La teoria non spiega le lesioni della fase cronica, caratterizzata da scarso parassitismo. 2 / Teoria tossica: sostenuta soprattutto dal prof. Köberle: la denervazione cardiaca e del tubo digestivo è attribuita ad una neurotossina, liberata dagli amastigoti distrutti dai macrofagi durante la fase acuta. Non è stato possibile finora dimostrare l’esistenza della neurotossina. La teoria inoltre non spiega la gravità e intensità delle lesioni, specialmente miocardiche, nella fase cronica e la scarsità di nidi di amastigoti nel muscolo cardiaco. 3 / Teoria allergica e da ipersensibilità: gli antigeni tripanosomici attiverebbero meccanismi cellulari (linfociti T) e umorali (linfociti B) di autoaggressione, responsabili delle lesioni della forma cronica cardiaca e della denervazione del tubo digestivo con formazione dei megavisceri.
QUADRO CLINICO Nell’evoluzione naturale della Malattia di Chagas distinguiamo 2 fasi: 1 / Fase acuta: il più delle volte è inapparente. In zona endemica la proporzione è di un caso acuto diagnosticato ogni 100 casi cronici.
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Nella fase acuta sintomatica la porta d’entrata del T. cruzi è la congiuntiva palpebrale nel 50% dei casi (segno di Romaña); la pelle nel 25% (chagoma di inoculazione); ignota nel rimanente 25%. Le manifestazioni cliniche iniziano 8-10 giorni dopo la penetrazione del T. cruzi. Il segno di Romaña è costituito da edema elastico, indolore, bi-palpebrale, unilaterale, di colore rosa violaceo, con discreta congestione congiuntivale, discreto aumento della lacrimazione, adenopatia satellite particolarmente al linfonodo preauricolare e frequentemente dacrioadenite. L’edema si propaga alla guancia omolaterale e l’adenopatia può interessate anche i linfonodi cervicali dello stesso lato. Il Chagoma di inoculazione è una formazione macronodulare, eritematosa, alquanto dura, poco o nulla dolorosa, con alone eritematoso e adenopatia satellite; è presente in genere nelle parti scoperte. Il quadro clinico comprende inoltre febbre continua o continuoremittente, astenia, inappetenza, cefalea. Può esservi ancora poliadenopatia, epatomegalia, splenomegalia, edema generalizzato, tachicardia sproporzionata rispetto alla temperatura (rara in Brasile, più frequente in Bolivia), meningoencefalite. La radiografia toracica e l’elettrocardiogramma possono mettere in evidenza l’interessamento cardiaco rappresentato da un aumento globale del cuore e da alterazioni elettrocardiografiche che suggeriscono una miocardite acuta (tachicardia sinusale, alterazioni della ripolarizzazione ventricolare, aumento della sistole elettrica, blocco atrio-ventricolare di 1° grado ecc…). Le manifestazioni cliniche della fase acuta spariscono spontaneamente nel giro di settimane o mesi. L’emocromo mostra leucocitosi discreta con linfomonocitosi. Vi è aumento della Ves e della proteina C reattiva, ipoproteinemia con ipoalbuminemia. A partire dalla terza settimana sono positive le prove sierologiche specifiche della infezione da T. cruzi. 2 / Fase cronica: ha il suo inizio con la scomparsa delle manifestazioni della fase acuta e comprende 3 forme: a / Forma indeterminata: conosciuta anche come forma latente, è caratterizzata dalla assenza di manifestazioni cliniche di interessamento viscerale. Può durare tutta la vita o terminare, prima o poi, con i quadri cardiaci o digestivi. In questa fase sono positivi gli esami sierologici che denunciano la pregressa infezione da T. cruzi. Per questo è chiamata anche “forma laboratoriale”. Non di rado però l’impiego di tecniche sofisticate (ecografia, ergometria, elettromanometria, ecc…) può mettere in evidenza segni di interessamento viscerale in persone totalmente asintomatiche. b / Forma cardiaca: la Malattia di Chagas è la causa principale di cardiopatia nelle zone endemiche. Predomina nel sesso maschile e incide soprattutto nella terza e quarta decade di vita. Si manifesta con disturbi del ritmo, insufficienza cardiaca globale, tromboembolismo. Le aritmie più importanti sono forme ipercinetiche e i disturbi di conduzione. L’insufficienza cardiaca è sempre di tipo globale, predominando le manifestazioni cliniche della insufficienza destra. Possono udirsi a volte un soffio mitralico o tricuspidale da insufficienza funzionale delle rispettive valvole. I tromboembolismi interessano polmoni, cervello, reni, etc. L’esame radiologico può mostrare ombra cardiaca normale o aumentata (cor bovis), senza stasi polmonare, anche nei casi con insufficienza cardiaca. Le aritmie possono essere presenti e gravi anche nei cuori radiologicamente normali e sono la principale cau-
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sa di morti improvvise di pazienti con la Malattia di Chagas. La fibrillazione atriale compare specialmente nei casi avanzati di cardiomegalia con insufficienza cardiaca. Tipica della miocardiopatia chagasica cronica è la facilità con la quale le alterazioni elettrocardiografiche insorgono, spariscono, cambiano, si accentuano da un giorno all’altro (mutabilità elettrocardiografica). Il tromboembolismo è la causa principale di emiplegia in individui giovani che vivono in zona endemica di Chagas. c / Forma digestiva: le manifestazioni classiche sono il megaesofago e il megacolon. Il sintomo caratteristico del megaesofago è la disfagia ad insorgenza graduale. Successivamente compaiono odinofagia da spasmo esofageo, reflusso e ptialismo con ipertrofia parotidea. Può esservi broncoaspirazione con tosse notturna e possono aversi crisi di soffocazione. Radiologicamente il megaesofago chagasico è classificato in 4 gruppi tenendo conto: dell’attività contrattile, della ritenzione, della dilatazione, e dell’allungamento dell’organo: gruppo I: calibro normale, transito lento, piccola ritenzione di contrasto; gruppo II: discreto aumento di calibro, apprezzabile ritenzione di contrasto, onde terziarie e ipertonia dell’esofago inferiore; gruppo III: grande aumento del diametro esofageo, attività motoria ridotta, grande ritenzione di contrasto, ipotonia dello sfintere; gruppo IV: dolico-megaesofago atonico, allungato, ripiegato sulla cupola frenica. Il sintomo principale del megacolon è la costipazione intestinale progressiva e ribelle, accompagnata spesso da meteorismo. La dilatazione inizia nella porzione distale, retto e sigma, per propagarsi al discendente e trasverso.
DIAGNOSI La diagnosi della fase acuta si basa sui dati epidemiologici, sulla presenza dei segni della porta d’entrata (Romaña, Chagoma), sulla presenza di febbre, adenopatie, spleno- ed epatomegalia, edemi, miocardite ecc… La conferma si ottiene con la dimostrazione del T. cruzi nel sangue circolante con l’esame microscopico. Si possono inoltre ricercare gli anticorpi IgM anti tripanosoma con la immunofluorescenza.
/ osservatorio
La diagnosi della fase cronica si basa sui dati epidemiologici e sul quadro clinico, radiologico, e elettrocardiografico in presenza di “patíe” (cardiopatie e patie digestive). La diagnosi eziologica prevede la presenza di IgG specifiche, per mezzo della fissazione del complemento (Reazione di Guerrero e Machado), della emoagglutinazione indiretta, della immunofluorescenza indiretta e del metodo immunoenzimatico. La dimostrazione del T. cruzi nel sangue circolante può essere ottenuta con la xeno-diagnosi di Brumpt.
TERAPIA a / sintomatica: in caso di tachiaritmia si ricorre agli antiaritmici, in particolare amiodarone e propafenone. La bradiaritmia e il blocco atrio-ventricolare totale richiedono l’impianto di pace-maker. L’insufficienza cardiaca risponde meglio ai diuretici che alla digitale. Per i megavisceri la correzione, nei casi avanzati, è chirurgica. b / eziologica: dispone attualmente di 2 prodotti: nifurtimox (Lampit®, Bayer) e benzonidazolo (Rochagan®, Roche). L’efficacia di entrambi è stata comprovata nella fase acuta della malattia, con la negativizzazione sia della xeno-diagnosi che delle reazioni sierologiche. La dose di nifurtimox, in commercio in compresse orali da 120 mgr di base, per un adulto è di 8-10 mgr/kg/die e per i bambini di 15 mgr/kg/die in 3 somministrazioni, per periodi di 50-90-120 giorni, in base alla tolleranza. Il benzonidazolo è commercializzato in compresse orali da 100 mgr. La dose adulti è di 5 mgr/kg/die e per i bambini 10 mgr/kg/die in 2 somministrazioni, per un periodo di 60 giorni. Gli effetti collaterali dei farmaci sono: dermatosi tipo eritema poliformo; neuropatia periferica in genere reversibile sulla interruzione e al termine del trattamento; inappetenza; calo di peso. PROFILASSI Si basa fondamentalmente nella lotta ai vettori con insetticidi di azione residuale: Ddt e Bhc, spruzzati sulle pareti delle abitazioni invase da triatomi. Per la trasmissione trasfusionale, la profilassi si basa sullo screening sierologico dei donatori. Un’alternativa di efficacia comprovata è la sterilizzazione del sangue con una soluzione di violetto di genziana 1:4.000 e in ragione di 0,25 gr. per litro di sangue. È questa una pratica di uso comune in regioni brasiliane ad elevata endemia, come Minas Gerais e Geiás.
BIBLIOGRAFIA CONSULTATA Z. Brenner, Z. Andrade, Trypanosoma cruzi e Doença de Chagas, Guanabara Koogan, Rio de Janeiro, 1979. J. Cançado, Doença de Chagas. Imprensa Oficial do Estado de Minas Gerais, Belo Horizonte, 1968. J.R. Cançado, M. Chuster, Cardiopatia Chagasica, Fundação Carlos Chasos, Belo Horizonte, 1985. F.S. Laranja, E. Dias, G. Nobrega, A. Miranda, Chagas Diseas, a clinical epidemiologic and pathologic study. Circulation, 14:1035-1060, 1956.
R.S. Nacruth, Doença de Chagas, Fundo Editorial Byk, S. Paulo, 1990. A. Rassi, J. Tranchesi, B. Tranchesi, Doença de Chagas, Apud Veronesi, R. Doerges, Infecionas e Parasitarias, 8° ed. Guanabara Koogan, Rio de Janeiro, 1997. J.N. da Rezende, K.M. Lauar, A.R. Oliveira, Aspectos clinicos e radiologicos, de speristalsis do esôfago. Rev. Brasil. Gastroentero, 12 [txt incomprensibile]. J.M. Rezenda [txt incomprensibile], A. Rassi, Compromeriamento do esofago na moléstia de Chagas; …esofago e cardiopatia. O Hospital, 53:1-15, 1958.
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N/
i numeri della salute
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DISEGUAGLIANZE NELLA SALUTE FIGURA 1 / MORTALITÀ INFANTILE Nei paesi a basso e medio reddito e in differenti gruppi di popolazione.
più poveri
più ricchi
infant mortality rate (per 1,000 live births)
120 110 100 90 80 70 60 50 40 30 20 10 0 East Asia and Pacific (CI= -0.18)
Europe and Central Asia (CI= -0.13)
Latin America and the Caribbean (CI= -0.21)
Middle East and North Africa (CI= -0.15)
South Asia (CI= -0.14)
Sub-Saharan Africa (CI= -0.10)
FIGURA 2 / MALNUTRIZIONE SEVERA NEI BAMBINI Nei paesi a basso e medio reddito e in differenti gruppi di popolazione.
più poveri
severe stunting among children (%)
35 30 25 20 15 10 5 0 Europe and Central Asia (CI= -0.24)
Latin America and the Caribbean (CI= -0.47)
Middle East and North Africa (CI= -0.18)
South Asia (CI= -0.20)
Sub-Saharan Africa (CI= -0.16)
più ricchi
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La Banca Mondiale ha recentemente pubblicato un ampio documento sulle diseguaglianze nella salute da cui abbiamo tratto le seguenti 4 figure, dedicate alla salute materno-infantile. FONTE / A. S. Yazbeck, Attacking Inequalities in the Health Sector, 2009
FIGURA 3 / UTILIZZAZIONE DEI SERVIZI DI ASSISTENZA MATERNO-INFANTILE In 56 paesi a basso e medio livello di reddito e in differenti gruppi di popolazione.
più poveri
più ricchi
100 90
coverage rate (%)
80 70 60 50 40 30 20 10 0 antenatal care
oral rehydration therapy
full immunization
medical treatment of acute respiratory infection
attended delivery
medical treatment of fever
modern contraceptive use (women)
FIGURA 4 / PERCENTUALE DI PARTI ASSISTITI DA PERSONALE QUALIFICATO Nei paesi a basso e medio reddito e in differenti gruppi di popolazione.
più poveri
più ricchi
deliveries attended by a medically trained person (%)
100 90 80 70 60 50 40 30 20 10 0 East Asia and Pacific (CI= 0.15)
Europe and Central Asia (CI= 0.06)
Latin America and the Caribbean (CI= 0.08)
Middle East and North Africa (CI= 0.20)
South Asia (CI= 0.32)
Sub-Saharan Africa (CI= 0.25)
R/ rassegna
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/ rassegna
LO ZIMBABWE AI TEMPI DEL COLERA Oltre 100 mila casi di malattia con una letalità del 4%. Il governo ha tardato a dare notizia dello stato di emergenza nazionale, dichiarando più volte di avere sotto controllo l’epidemia ed assicurando gli interlocutori della solidità del sistema sanitario nazionale.
Testo di / Nicolò Giusti / Studente di medicina / Pisa
L’epidemia di Colera scoppiata in Zimbabwe nell’agosto del 2008 è stata, ad oggi, la più grave esplosione della malattia in Africa, che ha registrato 98.343 casi e reclamato 4.275 vite. Questa drammatica ecatombe è purtroppo la manifestazione più visibile di un tracollo economico-sociale che lo stato si è trovato ad affrontare negli ultimi anni, generato dal malcostume governativo, da politiche bigotte e violente, dall’arroccamento al potere di Robert Mugabe, leader del partito Zanu-Pf, ex guerrigliero dell’indipendenza dal Regno Unito. Lo Zimbabwe, così come altri stati africani, non è mai stato esente da focalai epidemici più o meno gravi, tuttavia quest’ultimo outbreak ha raggiunto tale portata in quanto una serie di fattori chiave si sono andati ad amalgamare, generando un terreno fertile alla diffusione della malattia.
Tuttavia, non tardò a mancare l’insurrezione della maggioranza nera, discriminata ed emarginata, che sfociò in una sanguinosa guerra civile che si protrasse fino 1979, anno in cui, sotto la supervisione dell’Inghilterra, fu indetto un periodo di transizione che avrebbe portato a nuove elezioni, concesse col suffragio universale. Così l’anno seguente, Robert Mugabe, leader dell’Unione Africana Nazionale Zimbabwe (Zanu), fu eletto capo del governo, posizione mantenuta fino ad oggi, tramite il controllo delle forze armate, la repressione degli schieramenti politici avversi, accuse di manipolazione elettorale e gravi violazioni dei diritti umani. Nel settembre del 2008, con lo stato devastato dalla violenta epidemia di Colera, si è formato un governo di unità nazionale tra Mugabe e Morgan Tsvangirai, capo dell’opposizione, con l’intesa di superare la grave crisi che lo Zimbabwe si trova oggi ad affrontare.
DALLA RHODESIA ALLO ZIMBABWE La storia coloniale dello Zimbabwe risale al 1888 quando Cecil Rhodes, distinto esploratore e politico britannico, fondò la British South Africa Company, con lo scopo di garantirsi l’egemonia di gran parte dei territori dell’Africa Australe, ricchi in minerali. Tuttavia si dovette attendere il 1923 affinché la Rhodesia Meridionale – vecchio nome dello stato mentre la parte settentrionale corrispondeva all’attuale Zambia – divenisse ufficialmente colonia britannica e si instaurò nel paese un governo di minoranza bianca, a cui spettava per diritto il possedimento delle terre coltivabili. Nel 1965, Ian Smith, primo ministro rhodesiano, britannico, colone che divenne poi sostenitore dell’apartheid in Sudafrica, dichiarò la Rhodesia indipendente dalla madrepatria, con la Unilateral Declaration of Indipendence, accollandosi le critiche dell’Onu (di cui le prime sanzioni economiche furono proprio dirette a questo regime minoritario razzista) e il non riconoscimento internazionale della sovranità della neonata Repubblica di Rhodesia. Tuttavia, il Sudafrica e il Portogallo simpatizzarono per il nuovo regime sostenendo lo stato e, nonostante tutto, la Rhodesia ebbe un crescente sviluppo economico che la portò ad essere uno dei paesi africani più ricchi, in virtù dei possedimenti minerari.
IL TRACOLLO ECONOMICO Il periodo coloniale lasciò nelle mani del nuovo capo del governo una solida impalcatura economica, basata principalmente sui latifondi di proprietà degli ex-coloni britannici e sulle ricchezze minerarie del paese: oro, argento e nichel. Robert Mugabe impostò inizialmente una politica economica di matrice marxista, appoggiando soprattutto le varie etnie nere ma, tuttavia, nell’arco di pochi anni si instaurarono fenomeni di corruzione e clientelismo, a favore di Mugabe, del suo clan e della sua etnia. C’è da dire che questi fenomeni, così rimarchevoli agli occhi occidentali, sono una costante che ricorre nella evoluzione storica di praticamente tutti i paesi subsahariani, in quanto la distinzione, a noi ovvia, tra cosa pubblica e cosa privata non ha mai messo radici in questi stati, dove la percezione sociale è basata su un concetto di assistenza e solidarietà che ogni individuo ha nei confronti di un altro che possa legittimare, a praticamente qualsiasi livello, un’appartenenza comune, sia questa familiare, etnica, di clan, di lavoro, di partito, da cui ci si aspetta un gesto tangibile, pena la perdita della reputazione.
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La nascita di reti clientelari e l’imposizione di un regime militare violento, l’espropriazione forzata dei latifondi e la loro ingiusta e maldestra ridistribuzione, hanno provocato dagli anni ‘90 in poi un tracollo dell’economia, tassi d’inflazione spropositati, un declino dello stato sociale e delle strutture assistenziali con l’impoverimento massiccio della popolazione, che ad oggi ha una speranza di vita alla nascita di 43 anni, tra le più basse al mondo.
LA MISERIA E LE MALATTIE Indubbiamente le scelte in campo economico hanno avuto rilevanza fondamentale sulla situazione del sistema sanitario pubblico dello Zimbabwe. L’instabilità dell’economia e la totale svalutazione della moneta locale hanno reso possibile le cure solo a quella ridotta percentuale della popolazione che poteva permettersi di pagare in dollari americani. Ancora più grave, il taglio dei fondi statali in settori come la prevenzione e cura delle principali malattie infettive, unito all’assenza di impianti fognari funzionanti, dell’approvvigionamento di acqua potabile, dell’elettricità e dei servizi di smaltimento dei rifiuti, hanno favorito l’esplosione epidemica di queste. La crisi economica è arrivata a livelli tali da non consentire il pagamento dei salari dei professionisti sanitari, il mantenimento di scorte di medicinali, ed ad oggi non vi è più nessuna scuola di medicina nel paese. Questo ha portato alla chiusura anche dei principali ospedali pubblici, avvenuta oltre che per l’assenza di fondi anche per l’intervento della polizia nel mese di novembre 2008. Molte sono state le denunce della stampa internazionale sulla crisi umanitaria dello stato. L’accesso all’istruzione è calato a meno del 20% della popolazione infantile; più di 7 milioni di persone (per una popolazione totale di 12 milioni) soffrono di malnutrizione ed ovunque s’intensificano violazioni oltre il limite dei diritti umani, come la prostituzione infantile, lo sciacallaggio, l’emigrazione clandestina. Oltre alla malnutrizione, il 15,1% della popolazione è infetto dall’Hiv, senza possibilità di ottenere una terapia antiretrovirale; metà della popolazione vive in aree endemiche per la malaria, e la tubercolosi è una delle principali cause di morte. L’Oms stima che il 70-80% degli ammalati di Tb sia portatore del virus dell’Hiv.
IL COLERA Determinata dal Vibro Cholerae, bacillo gram-negativo a forma di virgola scoperto da Robert Koch nel 1883 in India, è una malattia diarroica acuta, caratterizzata da ripetute scariche alvine didatticamente definite ad “acqua di riso” e vomito incoercibile. L’intensa disidratazione che ne consegue provoca gravi squilibri elettrolitici, emoconcentrazione, debolezza, shock ipovolemico, coma e morte; spesso in 2-3 giorni di malattia, con una breve in-
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cubazione di circa 24-48 ore. La patogenesi è da ascriversi alla colonizzazione del tratto intestinale dell’ospite, dove il Vibro si moltiplica elaborando una tossina capace di alterare il trasporto ionico mucosale con richiamo di sodio ed acqua nel lume intestinale, a cui consegue la profusa diarrea. La malattia si trasmette per via orofecale, attraverso le feci degli ammalati o dei portatori e la contaminazione delle acque superficiali. La terapia è semplice: si basa sulla reidratazione dell’ammalato a cui può essere aggiunta una terapia con tetraciclina o eritromicina. Nel mondo si sono avute 7 pandemie dal 1817, 6 delle quali hanno colpito anche l’Italia, di cui l’ultima avvenuta negli anni ’70 del secolo scorso. La diffusione del “mostro asiatico”, così chiamato perché originario delle rive del Gange, si è accompagnata in occidente, alla parallela presa di coscienza da parte dei governi delle problematiche dello sviluppo urbano e delle questioni igienistiche relative alla prevenzione delle “malattie della miseria”; di cui il colera è l’esempio paradigmatico. Così gli stati più ricchi recepirono queste nozioni e si attuarono le riforme governative volte alla soluzione di questi problemi (in Italia fu la legge Crispi-Pagliani del 1888). Questo, in un periodo storico in cui non erano ancora disponibili antibiotici od altri medicinali da utilizzare per controllare la diffusione della malattia, dimostrò come l’adozione di misure d’igiene pubblica fosse necessaria per il controllo di molte patologie. Rimane una carenza diffusa, purtroppo, nella maggioranza degli stati africani. L’epidemia ha avuto origine nel sobborgo dormitorio di Chitungwiza, della capitale Harare, nell’agosto 2008. Quindi si è rapidamente diffusa in 55 dei 62 distretti del paese, con la maggioranza dei casi registrati fuori dai grossi centri abitati, con alcuni di questi verificatisi oltre i confini nazionali, nella regione di Limpopo, in Sud Africa, forse in relazione all’esodo della popolazione verso zone libere dalla malattia. Il governo ha tardato a dare notizia dello stato di emergenza nazionale, dichiarando più volte di avere sotto controllo l’epidemia ed assicurando gli interlocutori della solidità del sistema sanitario nazionale. Promesse vane che hanno, insieme alle illecite condotte del governo, frenato le donazioni economiche internazionali in virtù di una mancata trasparenza sulle politiche interne. Ad oggi ci sono stati oltre 100.000 casi di malattia con una letalità del 4% (http://saluteinternazionale.info/2009/09/il-colerain-africa-una-tragedia-evitabile/). Da agosto la gravità e l’incidenza dei casi sono diminuite gradualmente così come il tasso di mortalità allentando la morsa che cingeva la popolazione, soprattutto grazie all’impegno di molte associazioni umanitarie. La nascita del governo d’intesa tra Mugabe ed Tsvangirai getta nuove speranze sul futuro, ma permane incertezza riguardo alla durata dei rapporti pacifici tra i 2 attori politici, da cui dipende il benessere della popolazione, 12 milioni di persone.
BIBLIOGRAFIA CONSIGLIATA ZARDH - Zimbabwe Association of Doctors for Human Rights: Cholera in a time of Health System Colapse. Carbone, L’Africa: gli stati, la politica, i conflitti.
salute e sviluppo 58 / ottobre 09 / 73
www.bbc.co.uk www.who.int/en G. Cosmacini, Le Spade di Damocle.
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/ rassegna
SETTIMANA DEL BREASTFEEDING L’ALLATTAMENTO ESCLUSIVO AL SENO L’Organizzazione Mondiale della Sanità raccomanda l’allattamento materno esclusivo fino a 6 mesi, e associato a diverso cibo fino a 2 anni di vita. Tale protocollo è raccomandato anche per infanti di madri sieropositive se un sostituto artificiale non è possibile o sicuro.
Testo di / Fabio Manenti / Responsabile Settore Progetti, Medici con l’Africa Cuamm / Italia
Medici con l’Africa Cuamm ha partecipato con diverse iniziative alla settimana mondiale sull’allattamento materno, dall’1 al 7 agosto 2009. La settimana si celebra ogni anno in memoria della dichiarazione di Innocenti fatta dall’Oms e dall’Unicef nell’agosto del 1990 di proteggere, promuovere e supportare l’allattamento materno. Quest’anno la settimana mondiale era dedicata in particolar modo ai contesti di emergenza dove l’allattamento materno si è dimostrato ancora più efficace nel ridurre la morbilità e mortalità infantile. Tuttavia i contesti africani dove si trovano ad operare i nostri volontari sono, per le condizioni socioambientali ed economiche, situazioni in cronica emergenza. È stato dimostrato che anche in condizioni di non emergenza gli infanti non allattati al seno hanno una probabilità di morire entro i primi di 2 mesi vita 6 volte superiore. L’organizzazione mondiale della sanità raccomanda l’allattamento materno esclusivo fino a 6 mesi, e associato a diverso cibo fino a 2 anni di vita. Tale protocollo è raccomandato anche per infanti di madri sieropositive se un sostituto artificiale non è possibile o sicuro: è stato provato infatti che la trasmissione del virus dell’Hiv è 11 volte superiore se all’allattamento è associato cibo solido è di 1,5 volte se è associato altro tipo di latte (Coovadia e altri, Lancet, Vol. 369, 2007). Nonostante l’allattamento materno sia una pratica ritenuta diffusamente praticata e in particolare nei paesi a basso reddito, si stima che l’allattamento non ottimale sarebbe responsabile di circa 1,4 milioni di morti (R. Black et al., Lancet 2008; 371:24360). L’inizio precoce dell’allattamento esclusivo nel periodo perinatale potrebbe ridurre del 13% la mortalità neonatale. In molti paesi dell’Africa subsahariana i dati riguardo all’allattamento materno esclusivo nei primi 6 mesi di vita del neonato sono preoccupanti e in media probabilmente meno del 40% dei neonati sono allattati esclusivamente fino a 6 mesi. Se tale pratica è più “comprensibile” nei paesi sviluppati dove le condizioni socioeconomiche favorevoli e il continuo martellamento pubblicitario di pratiche nutrizionali “supposte” migliori e certamente più comode in contesti di ritmi di vita frenetici (lavorativi e sociali), non lo è affatto in situazioni dove l’allattamento artificiale non
può essere sostenuto per i costi e le condizioni igienico-sanitarie. Nella tabella a lato sono illustrati i dati riguardanti l’allattamento nei paesi dell’Africa subsahariana dove lavora Medici con l’Africa Cuamm. In parallelo sono elencati anche i dati riguardanti la prevalenza di diarrea, l’accesso all’acqua pulita e la mortalità. Evidente è l’alta prevalenza di diarrea, in particolare nel primo anno di vita, lo scarso accesso all’acqua pulita e il ricorso anche nei primi 6 mesi di vita all’uso di acqua (probabilmente per diluire altri cibi o sostanze) oltre che al latte materno. Le domande che sorgono immediatamente sono: quanto della mortalità neonatale, cioè del primo mese di vita, e quella nel primo anno, sono legate all’uso di acqua contaminata? E quanti bambini si potevano salvare usando, come raccomandato, il solo latte materno per i primi 6 mesi di vita? Perciò, nella settimana mondiale dell’allattamento materno nei contesti dove opera Medici con l’Africa Cuamm si sono attuate diverse iniziative a livello ospedaliero e sul territorio di tipo educativo con informazione alle donne e alle mamme in particolare sui vantaggi dell’allattamento esclusivo. Così, nelle cliniche prenatali, negli ambulatori pediatrici, nei reparti di pediatria e nelle campagne di vaccinazione sul territorio si è parlato durante la settimana dell’allattamento materno esclusivo. Ad esempio, all’ospedale di Naggalama in Uganda, durante la settimana, 149 future mamme sono state istruite sull’uso esclusivo dell’allattamento materno, 98 mamme che hanno partorito in ospedale sono state direttamente formate sull’uso di tale pratica, 68 mamme nel reparto di pediatria e 50 mamme in una sessione sul territorio circostante l’ospedale sono state istruite sull’importanza dell’allattamento esclusivo per 6 mesi. Così pure presso l’ospedale di Wolisso in Etiopia, durante la settimana sono state formate 45 future mamme in clinica prenatale, 62 mamme che hanno partorito in ospedale, 73 mamme dei bambini ricoverati, 32 in una sessione sul territorio vicino a Wolisso. Particolarmente commovente è stato un episodio accaduto durante questa settimana nell’ospedale di Yirol in Sud Sudan dove un neonato abbandonato fuori dall’ospedale è stato dapprima affidato a una nutrice e poi grazie alla mobilitazione del personale dell’ospedale e delle autorità locali è stata trovata la vera madre,
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ANGOLA 2007 (diverse fonti)
ETIOPIA DHS 2006
/ rassegna
MOZAMBICO DHS 2003
salute e sviluppo 58 / ottobre 09 / 75
UGANDA DHS 2006
TANZANIA DHS 2004
SUD SUDAN DHS 1990
ALLATTAMENTO MATERNO ESCLUSIVO: 0-2 mesi
N.A.
67%
49.8%
64.8%
70%
N.A.
4-5 mesi
11%
31%
13.7%
34.8%
12.5%
N.A.
ACQUA 0-2 mesi
N.A
14%
35.9%
4.6%
18.4%
N.A.
ACQUA 5-6 mesi
N.A
18.7%
32%
8.7%
16.4%
N.A.
% DI DIARREA SUL TOTALE DI MALATTIE RIPORTATE
N.A
18%
14%
25.8%
12.6%
29.8%
% DIARREA 0-11 mesi
N.A
43.2%
37,7%
63.2%
32.8%
71.3%
% DELLA POPOLAZIONE CON ACCESSO A SORGENTI DI ACQUA PULITA
38%
16.6%
15,8%
25.2%
25.2%
16%
MORTALITÀ NEONATALE (0-1 mesi)/1000
54
39
48
29
32
43.7
MORTALITÀ POST NEONATALE (1-12 mesi)/1000
62
38
76
46
36
26.3
MORTALITÀ INFANTILE (0-12 mesi)/1000
116
77
124
75
68
66.9
ALLATTAMENTO ASSOCIATO A:
una ragazzina di 16 anni, che è stata convinta a prendersi cura del neonato sopravvissuto e in buone condizioni grazie appunto al latte materno esclusivo. Tutto questo è ovviamente ancora non sufficiente. Se davvero vogliamo contribuire alla riduzione della mortalità infantile in
questi paesi, tale pratica, poco costosa ed estremamente efficace, deve diventare uno dei pilastri delle attività routinarie dei programmi di educazione sanitaria per la componente infantile così come del monitoraggio all’interno dei nostri progetti come uno degli indicatori di efficacia dei nostri interventi materno-infantili.
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salute e sviluppo 58 / ottobre 09 / 77
MEDICI CON L’AFRICA CUAMM Mission Nata nel 1950, Medici con l’Africa Cuamm è la prima ong in campo sanitario riconosciuta in Italia (in base alla Legge della cooperazione del 1972) e la più grande organizzazione italiana per la promozione e la tutela della salute delle popolazioni africane. Realizza progetti a lungo termine in un’ottica di sviluppo, intervenendo con questo approccio anche in situazioni di emergenza, per garantire servizi di qualità accessibili a tutti. A tale scopo si impegna nella formazione in Italia e in Africa delle risorse umane dedicate, nella ricerca e divulgazione scientifica in ambito tecnico di cooperazione sanitaria, nell’affermazione del diritto umano fondamentale alla salute per tutti, anche dei gruppi più marginali, diffondendo nelle istituzioni e nell’opinione pubblica i valori della solidarietà e della cooperazione tra i popoli, della giustizia e della pace. Storia In cinquantanove anni di storia: (%),) sono le persone inviate nei progetti: di queste 367 sono i ripartiti una o più volte. Il totale complessivo degli invii è stato quindi di 1.908; *%.), gli anni di servizio effettuati, con una media di 3 anni per ciascuna persona inviata; 0)' gli studenti ospitati nel collegio: di questi 640 italiani e 280 provenienti da 34 paesi diversi; ).0 i medici veneti partiti in quasi 60 anni; (0) gli ospedali serviti; */ i paesi d’intervento; (,' i programmi principali realizzati in collaborazione con il ministero degli Affari Esteri e varie agenzie internazionali.
Oggi siamo presenti in: Angola, Etiopia, Kenya, Mozambico, Sud Sudan, Tanzania, Uganda con: ./ fg\iXkfi`: 50 medici, 6 paramedici, 2 esperte comunitarie e 20 amministrativi e logisti +' gif^\kk` di cooperazione principali e un centinaio di micro-realizzazioni di supporto, con i quali appoggia: 14 ospedali 25 distretti (per attività di sanità pubblica, assistenza materno-infantile, lotta all’Aids, tubercolosi e malaria, formazione) 3 centri di riabilitazione motoria 4 scuole infermieri 3 università (in Uganda, Mozambico ed Etiopia). Collegamenti nazionali/internazionali A livello nazionale e internazionale Medici con l’Africa Cuamm fa parte di Volontari nel mondo - Focsiv, la federazione degli organismi cristiani di servizio internazionale volontario. È membro dell’Associazione delle Ong italiane e di Medicus Mundi International, la federazione internazionale di organismi di cooperazione in campo sanitario. Medici con l’Africa Cuamm è parte anche di Link 2007, associazione che riunisce 11 delle principali ong italiane. È corrispondente – in collegamento stabile e riconosciuto – dell’Unicef e sottoscrittore del Codice di condotta della Croce Rossa Internazionale. Ha sottoscritto l’accordo di partenariato con Echo, agenzia dell’Unione Europea per gli aiuti umanitari.
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