3. Origini e natura della Bioetica

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Dipartimento di Scienze della Vita e dell’Ambiente Corso di Laurea in Scienze Biologiche Insegnamento di Bioetica Dott. Massimiliano Marinelli

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ORIGINI E NATURA DELLA BIOETICA


Insegnamento di Bioetica

A cura di

Massimiliano Marinelli Progetto grafico e impaginazione

Jacopo Sabbatinelli

Logo “Medicina Narrativa� realizzato da

Andrea Brasili

Per maggiori informazioni

http://fb.me/Marinellibioetica postamarinelli@gmail.com

v. 1.0 del 01.04.2014 ad uso esclusivo degli Studenti

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Origini e natura della Bioetica

La bioetica globale da Potter a Jonas Ci sono essenzialmente due modalità di considerare la bioetica, secondo le due concezioni che negli stessi anni: all’inizio degli anni ‘70, fanno emergere questa riflessione su particolari problemi etici, che si impongono per la loro urgenza e novità. In primo luogo, coerentemente con una concezione etica ecologica inaugurata da Leopold, emerge una bioetica globale come una via d’uscita percorribile contro la minaccia di estinzione di specie viventi, compresa quella umana e di uno sconvolgimento della biosfera; in secondo luogo, la bioetica restringe l’ambito della riflessione ai mutati rapporti tra medico e paziente e ai nuovi problemi etici sollevati da progresso biotecnologico. Questa riflessione nasce nel solco dell’etica medica che diviene prima etica biomedica e poi assume anche essa il termine di bioetica. Può essere utile, quindi, tracciare una brevissima storia delle due concezioni della bioetica che, forse, integrandosi inconsapevolmente a vicenda, rendono ragione della necessità di una riflessione morale sul senso globale della vita dell’uomo e sull’etica della terra. L’origine delle due concezioni e del termine bioetica è negli Stati Uniti dove la storia ha inizio con Potter, l’oncologo americano che conia il neologismo, attaccando il termine bio con la parola etica. Quasi contemporaneamente il termine bioetica compare con un’accezione diversa nella riflessione di Callahan dell’Hastings Center è dal Kennedy Institute of Ethics che si

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occupano dei nuovi problemi etici emersi nei differenti rapporti tra cittadini e medicina. Il risultato di tale riflessione sistematica è pubblicato da Reich nella prima enciclopedia della bioetica. Storicamente la concezione potteriana della bioetica non ha avuto grande fortuna anche se alcune premesse sono state sviluppate filosoficamente e l’eco di tale riflessioni si trova in organismi internazionali come l’Unesco.

La Bioetica globale di Potter Van Resselaer Potter (1911-2001) ritiene che l’uomo, con il progresso tecnologico, invece di migliorare la vivibilità stava creando le premesse per la distruzione del pianeta. Di fronte a tale pericolo è necessario costituire una scienza nuova capace di rispondere alle minacce create dalla stessa umanità: Lo sviluppo raggiunto dalle biotecnologie impone ora di far uscire l’etica dallo splendido, ma sterile isolamento teorico, per coniugarla con la realtà e la prassi del fatto biologico. La specie umana, avendo sviluppato una civiltà fondata sulla scienza e sulla tecnica è ormai diventata, per via della sua crescita numerica e dell’inquinamento ambientale prodotto, in vero e proprio cancro della natura perché minaccia per se stessa: il suo istinto morale non è più sufficiente per salvarla e occorre una nuova etica della vita, elaborata dalla scienza ma non dalla scienza fisico- matematica; che è stata la causa principale dello squilibrio con la natura. Potter, quindi, ritiene che sia necessario forgiare un nuovo sapere capace di analizzare con occhio filosofico la biologia, intesa nel suo senso più ampio come scienza della natura. Soltanto la contaminazione tra un’etica che esce

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dalle torri d’avorio per poggiare i piedi sulla terra dove la vita si manifesta ed è in pericolo e le stesse possibilità biologiche che la scienza della natura inaugura può produrre una prassi capace di salvare il futuro dell’umanità e ripristinare l’equilibrio naturale. La tabella seguente mette a confronto le linee di tendenza delle due concezioni che negli anni 70 inaugurano la stagione della Bioetica.

Kennedy I.

Potter

Hastings C.

Tipologia

Nuova disciplina, necessità di un nuovo pensiero derivato dall’incontro tra etica e biologia

Espansione dell’etica verso i nuovi problemi

Oggetto

Ambiente, specie, viventi, pianeta

Liceità delle azioni umane nell’ambito della medicina biologia genetica

Obiettivo

Prolungare la sopravvivenza umana in una forma di società accettabile

Risolvere nel concreto i problemi morali nell’ambito biomedico

Aree di riflessione e filosofi

Ambientali, UNESCO, Jonas

Maggior parte di bioeticisti, medici, biologi, genetisti

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La bioetica globale di Potter, quindi, ha come suo oggetto l’intera biosfera. L’ecologia nel suo insieme ha ripreso alcune delle suggestioni potteriane, ma il termine bioetica non è frequentemente associato al fatto ecologico. In Italia Brunetto Chiarelli nella sua Bioetica globale 1 riprende il tema dell’alterazione dell’equilibrio causata dalla manipolazione irrazionale e incontrollata dell’uomo sulla natura che si aggrava con un automatismo incapace di prevedere le conseguenze degli atti di intervento. Tuttavia, la minaccia dell’uomo sulla natura e su se stesso ha rappresentato l’oggetto privilegiato di riflessione di un filosofo che ha elaborato principi etici e indicato nuovi soggetti di responsabilità che idealmente percorrono la strada inaugurata da Potter.

Hans Jonas: “Il principio di responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica” 2 Prenderemo in considerazione brevemente il testo di Jonas che rappresenta un momento fondamentale per lo sviluppo di concetti come responsabilità verso il la vita del pianeta e nei confronti delle generazioni future. La prefazione del 1977 esordisce con la necessità di un’etica auto-restrittiva capace di invertire la tendenza auto-distruttiva. È questo il compito che Jonas si è assunto:

1 2

Chiarelli B., Bioetica globale, Angelo Pontecorboli Editore, 1993. Hans Jonas, Il principio di responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica, Ed. italiana Einaudi, 1990.

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Il prometeo scatenato al quale la scienza conferisce forze senza precedenti e l’economia imprime un impulso incessante esige un’etica che mediante autorestrizioni impedisca alla sua potenza di diventare una sventura per l’uomo. La tesi con la quale Jonas prende le mosse è simile a quella di Potter: si tratta della tecnica, che nata dal Fuoco, il padre di tutte le tecniche da Prometeo, si è scatenata dalla rupe della Scizia dove i chiodi di Efesto lo avevano bloccata per trasformare le promesse in minacce. Jonas intravede qui l’ambiguità della tecnica che se da una parte promette all’uomo un futuro colmo di benessere e progresso dall’altra ne minaccia la stessa permanenza sulla terra e rende il pianeta da luogo da abitare a spazio desolato per Prometeo donò all’uomo il fuoco, il padre delle tecniche, e la cieca speranza, cioè la speranza dell’immortalità. Prometeo, quindi, tolto dalle catene supportato dalla smisurata potenza dell’economia e dalla illimitata fattibilità della scienza possiede una forza senza limiti ed esige un freno che solo una nuova etica potrebbe indicare. La mutata natura dell’agire umano Il punto di partenza della riflessione jonasiana è che la situazione attuale e i nuovi poteri che la tecnica moderna ha conferito all’uomo abbiano mutato la natura dell’agire umano. E poiché l’etica ha a che fare con l’agire tale mutamento esige anche una nuova etica. Ogni etica tradizionale infatti teneva in considerazione le seguenti premesse:

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1.

La condizione umana definita dalla natura dell’uomo e dalla natura delle cose è data da una volta per tutte nei suoi tratti fondamentali.

2.

Su questa base si può determinare il bene umano

3.

La portata dell’agire umano è strettamente circoscritta

Questa è l’etica antica, mentre l’etica di Jonas è: La natura dell’agire umano si è trasformata e poiché l’etica ha a che fare con l’agire, il mutamente dell’agire umano esige anche un mutamento dell’etica È la tecnica moderna che conferisce nuovi poteri all’uomo e ne modifica l’agire. Il rapporto uomo e natura. Per poter comprendere meglio la trasformazione della natura dell’agire umano legata allo sviluppo della tecnica può essere utile riflettere sul rapporto tra uomo e natura così come si era raffigurato nei secoli e percepito nell’antichità. L’uomo greco nell’antichità, per esempio, nonostante tutta la grandezza della sua inventiva, aveva ben chiara la propria piccolezza se raffrontata al cosmo. Soprattutto, l’uomo era consapevole di non poteva modificare la natura che rimaneva intangibile per lui. La natura era il permanente: mutevoli erano le opere umane. L’uomo poteva ritagliarsi uno spazio proprio, creando le città, che costituivano l’intero e unico ambito di responsabilità umana.

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La natura, quindi, ci ricorda Jonas non era oggetto di responsabilità, ma nella città: ossia nella formazione sociale artificiale, dove gli uomini intrattengono rapporti con altri uomini, nasce e dimora ogni etica tradizionale. Caratteristiche dell’etica tradizionale Intesa così è possibile elencare alcune caratteristiche tipiche dell’etica tradizionale: 1.

Il significato etico faceva parte del rapporto diretto con l’uomo con il suo simile, incluso il rapporto con se stesso: l’etica è esclusivamente antropocentrica.

2.

La condizione dell’uomo era considerata costante nella sua essenza e non plasmabile dalla tecnica.

3.

Il bene o il male si manifestavano nella prassi stessa oppure nella sua portata immediata con una prossimità dei fini che valeva per il tempo come per lo spazio

Nuove dimensioni della responsabilità La situazione, oggi, è radicalmente mutata. Le azioni umane possono avere potere sulla natura che diviene per la prima volta vulnerabile. Questo nuovo potere, quindi, annette nel novero delle responsabilità umane non solo le città, ma l’intera biosfera.

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L’universo morale che una volta era caratterizzato da legami di prossimità, reciprocità e contemporaneità si allarga nello spazio e nel tempo e investe forme di vita che non possono esprimere reciprocamente tale legame. Ecco allora che la responsabilità che disegnava un’etica del qui ed ora raffigura nuovi ambiti: la biosfera, con le specie viventi, sino alle stesse generazioni future. Nessuna etica del passato, annota Jonas, doveva tener conto della condizione globale della vita umana e del futuro lontano, anzi della sopravvivenza della specie. Inoltre anche l’esclusivo aspetto antropocentrico appare messo in discussione portando la ricerca del bene non soltanto nei tradizionali spazi di quello umano, ma anche nei territori eticamente sconosciuti del bene delle cose extraumane. Consiste di contemporanei e il suo orizzonte futuro è limitato alla durata probabile della loro vita. Il nuovo potere che ha l’essere umano è quello di modificare il genere umano perché ha potere sulla natura e sul futuro e quindi diventa responsabilità dell’uomo non solo la natura intera ma anche le generazioni future che potrebbero non sopravvivere dopo un’azione avvenuta oggigiorno. L’euristica della paura Quale etica può assumersi il compito di rispondere alle nuove esigenze legata alla mutata natura dell’agire umano.

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In questo vuoto etico nel quale l’uomo trema nella nudità di un nichilismo nel quale il massimo del potere si unisce al massimo di vuoto e il massimo di capacitò al minimo di sapere attorno agli scopi dove ricercare tale etica? Non appare possibile ristabilire la categoria del sacro perché tale idea ormai non è più condivisibile da tutti anche se è resistita alle forze distruttive dell’illuminismo scientifico. Ecco allora che la paura delle conseguenze potrebbe svolgere una funzione di freno, essere un surrogato della saggezza. Infatti la percezione del malum, più facile che la conoscenza del bonum, può svolgere un ruolo euristico, tuttavia non è possibile fondare un’etica sulla paura. Sul ruolo della paura e sulla necessitò di prestare più ascolto alla profezia di sventura che non a quella di salvezza, si svilupperà poi indipendentemente dalla riflessione di Jonas il principio di precauzione. Il principio Responsabilità Jonas di fronte ai rischi per l’umanità è certo che non si deve fare mai dell’esistenza o dell’essenza dell’uomo globalmente inteso una posta in gioco nelle scommesse dell’agire. Ecco allora la necessità di centrare l’etica sul concetto di responsabilità. Il novum etico, legato alla mutata natura dell’agire umano, diviene il principio etico per eccellenza e la morale diventa un’etica della responsabilità. Il principio responsabilità, formulato come un imperativo kantiano, recita:

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Agisci in modo che le conseguenze della tua azione siano compatibili con la permanenza di un’autentica vita umana sulla terra, oppure tradotto in negativo, agisci in modo che le conseguenze della tua azione non distruggano la possibilità futura di tale vita. Oppure, più semplicemente, non mettere in pericolo le condizioni della sopravvivenza indefinita dell’umanità sulla terra, o infine includi nella tua scelta attuale l’integrità futura dell’uomo come oggetto della tua volontà. Il presupposto metafisico della costruzione jonasiana Alla domanda perché è necessario che la specie umana rimanga sulla terra e su un pianeta ecologicamente abitabile, e perché si dovrebbe essere responsabili di generazioni che non sono ancora entrate nell’essere, Jonas risponde con una concezione che riprende temi metafisici. In estrema sintesi, ogni individuo vivente tenderebbe ontologicamente ad un fine che coincide con il bene. Il principio metafisico di partenza che è meglio essere piuttosto che non essere (lo scopo di tutti gli scopi è la vita), associato all’identità tra fine e bene, trasferisce l’imperativo categorico (ossia il dovere di essere) dall’individuo alla specie umana. L’uomo, essendo l’unico essere sulla terra che ha la possibilità di scegliere tra i fini, è chiamato a garantire il conseguimento del fine dell’essere. Quindi è necessario che la specie umana sia.

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Caratteristiche fondamentali della filosofia/proposta di Jonas 

La possibilità di distruzione della specie umana

La responsabilità verso le generazioni future

Modifica del rapporto di reciprocità, simmetria, prossimità, temporaneità

Apertura planetaria della discussione etica

Necessità di una visione non esclusivamente antropocentrica

Rilevanza della dimensione pubblica su quella privata

Presupposti metafisici

Il principio di precauzione e la società del rischio Dopo aver sintetizzato i concetti fondamentali espressi da Jonas nel suo principio responsabilità, è opportuno affrontare un altro principio, che prendendo le mosse, anche indirettamente da Jonas, tende a rispondere alle minacce che provengono dalla nostra società, intesa come società del rischio. Se, infatti, dovessimo oggi dare un aggettivo alla nostra società che è biotecnologica la potremmo definire come società rischiosa, perché l’uomo è costantemente sottoposto ai rischi causati dagli innumerevoli pericoli che egli stesso produce. Non potremmo vivere in nessun modo in questo momento, senza rischi. Non si può scegliere se ci sono o no i rischi ma è importante comprendere come

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nella quotidianità esistano rischi più o meno gravi di cui noi abbiamo una percezione a volte molto relativa. Il “principio di precauzione” nasce dalla richiesta di “agire con approccio precauzionale” allo scopo di proteggere l’ambiente (Conferenza di Rio, 1992: “United Nation Conference on Environment and Development”) e ratificato in Europa nel trattato di Maastricht nel 1993. L’Articolo 15 specifica l’utilizzo del principio di precauzione: Al fine di proteggere l’ambiente, gli stati applicheranno largamente, secondo le loro capacità, il Principio di precauzione in caso di rischio di danno grave o irreversibile, l’assenza di certezza scientifica assoluta non deve servire da pretesto per differire l’adozione di misure adeguate ed effettive anche in rapporto ai costi, dirette a prevenire il degrado ambientale. Il Regolamento CE 178/2002 per la sicurezza alimentare chiarisce: Art. 7 – Qualora in circostanze specifiche a seguito di una valutazione delle informazioni disponibili venga individuata la possibilità di effetti dannosi per la salute ma permanga una situazione d’incertezza sul piano scientifico possono essere adottate le misure provvisorie di gestione del rischio necessarie per garantire il livello elevato di tutela della salute che la Comunità persegue in attesa di ulteriori informazioni scientifiche per una valutazione più esauriente del rischio.

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Il principio di precauzione delinea la necessità di un atteggiamento di cautela intesa come anticipazione preventiva del rischio di fronte all’incertezza epistemologica del sapere scientifico. Di fronte all’immane potenza della tecnica moderna attuata attraverso le categorie economiche che ha indotto Jonas ad elaborare la sua etica della responsabilità, il principio di precauzione è una timida risposta politica internazionale. Nasce dai diversi episodi che hanno suscitato profonde preoccupazioni per la protezione dell’ambiente e dell’habitat umano, della sicurezza e della salute dell’uomo. Si pensi, per esempio, delle grandi catastrofi ecologiche (naufragio delle petroliere Amoco, Cadiz, Prestige), di emissioni nell’ambiente di prodotti chimici o comunque tossici (Bophal 1984, Seveso 1976, Messico 1988), di perdite di materiale radioattivo (Three Mile Island, Chermobyl), di esplosioni di impianti industriali (Toulouse 2001). Questi incidenti causati dall’uomo, a molti hanno fatto tornare alla mente la vendetta per aver commesso Hybris di fronte agli dei. È come se di fronte all’autoaccusa di hybris (tracotanza), l’uomo trovasse nel principio di precauzione un balsamo almeno momentaneo. Con Solone il termine hybris assume il significato di la perdita della misura: andare oltre misura, pensare smisuratamente, non riconoscere i propri limiti. Diventa una colpa collettiva. Mentre nei primi tragici greci la colpa è dell’eroe, ad esempio Agamennone che non accetta i doni del sacerdote di Apollo ma

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continua a volere Criseide, scatenando il conflitto con Achille, con Solone è la stessa polis che perdendo la misura sarà colpita per la sua tracotanza. 3 Dopo questa breve panoramica sulla bioetica globale da Potter a Jonas, si andrà a valutare un concetto più ristretto di bioetica che prende in considerazione in maniera particolare i mutati rapporti tra medicina etica e cittadini.

Un più ristretto concetto di Bioetica Se possiamo correttamente rintracciare le origini semantiche della bioetica nei lavori di Potter, tuttavia, la sua idea della nuova scienza non collima con il significato che successivamente ha assunto. Nella bioetica attuale, soprattutto in Italia, il concetto di bios che rappresenta l’oggetto della riflessione etica non comprende la Natura come regno dei viventi, ma assume il significato di vita umana, con una distinzione nella quale il termine bios è differente da zoe. Non si tratta della pura vita vegetale o animale ad essere oggetto della bioetica, né si intende di riflettere sui pericoli ambientali, quanto sul destino dell’uomo, sul nascere, curarsi e morire.

3

Sul principio di precauzione si può fare riferimento al testo omonimo del Comitato Nazionale per la Bioetica che può essere rintracciato nel sito de Governo Italiano http://www.governo.it/bioetica/pdf/principio_precauzione.pdf

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Lecaldano, in un importante saggio sulla bioetica 4, individua il nucleo essenziale della bioetica nelle questioni etiche originate, negli ultimi decenni, dai mutamenti che medicina e biologia hanno provocato per quanto riguarda il nascere e il morire degli esseri umani. L’autore, quindi, lascia fuori dalla riflessione bioetica tutte le questioni relative al trattamento degli animali non umani ed i problemi di etica ambientale, giudicandole di tale ampiezza e complessità da doversi affrontare in un’area del tutto autonoma della riflessione morale 5. Mentre la nuova etica potteriana e il monito di Jonas implicano la presenza di una bioetica globale 6 nel duplice significato di comprendere ogni luogo del pianeta e nel prendere in considerazione ogni aspetto dell’impatto tecnologico sulla natura, esiste un’idea più ristretta di bioetica che focalizza l’attenzione sull’uomo. Un riflesso di questa diversa visione del ruolo della bioetica è dato dalla lettura delle definizioni più accreditate che intendono delinearne l’oggetto, la metodologia di indagine e le finalità.

Lecaldano E., Bioetica le scelte morali, Laterza, 1999. Lecaldano E., Bioetica le scelte morali, Laterza, 1999, 6. 6 Un esempio è dato dalla rivista Global Bioethics dell’International Institute for the Study of man e dalla Europena Association of Global Bioethics, edita sino al 2001 in italiano da Firenze University Press dall’antropologo Chiarelli e dallo stesso Potter che riprendono i temi della bioetica potteriana. 4 5

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L’Encyclopedia of Bioethics nel 1978, definisce la bioetica come;

"lo studio sistematico della condotta umana nell'ambito della scienza della vita e della cura della salute, in quanto questa condotta è esaminata alla luce dei valori morali e dei principi". 7 Come afferma Pessina la definizione presenta due possibili equivoci: questo studio sistematico riguarda come di fatto operano gli uomini oppure come dovrebbero agire? 8 Inoltre quel riferimento a principi e valori morali non è una indicazione troppo generica, quando è proprio sul disaccordo tra principi e valori che oggi verte gran parte del dibattito bioetico? Il riferimento ai principi contenuto nella definizione di bioetica si colloca proprio in questa concezione più ristretta di bioetica che nasce come evoluzione e aggiornamento dell’etica medica. Nel 1969, infatti, nasce negli USA The Hasting Center che si propone di fornire una soluzione alle questioni etiche emerse con le nuove conquiste nel campo biomedico ed intende educare il grande pubblico ad un adeguato approccio etico nei confronti dei temi relativi alla procreazione, la cura degli anziani, l’assistenza ai morenti e l’eutanasia 9. Dopo 2 anni nasce The Kennedy Institute of Ethics, che si propone di riflettere in una prospettiva interdisciplinare sul significato della vita umana: se si debba mantenerla ad

Reich W.T., Encyclopedia of Bioethics, The Free Press New York 1978. Pessina A., Bioetica, l’uomo sperimentale, Bruno Mondadori, Milano, 1999. 24. 9 Quattrocchi P., La Bioetica. Storia di un progetto, in AA.VV., Dalla Bioetica ai Comitati etici, Milano, 1988, 75-80. 7 8

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ogni costo, se si possa interromperla nel suo inizio, cosa comporta la sua costitutiva relazionalità. È da questo centro che si forma la Enciclopedia di Bioetica a firma di William Reich che raccoglie in quattro volumi il contributo di 290 autori. Il movimento culturale americano di riflessione sui nuovi temi etici della vita umana, sfocerà in una bioetica medica che, attraverso la coniugazione di un sistema di principi nella pratica clinica, presentati in maniera paradigmatica dall’opera di Beauchamp e Childress 10 (bioetica dei principi), tenterà di risolvere pragmaticamente i singoli dilemmi tra medico e paziente. Tuttavia i problemi insiti nella definizione della bioetica hanno portato Reich ad una profonda revisione che, nella formula del 1995, recita: Bioetica è un termine composto derivato dalle parole greche bios (vita) e ethike (etica). Essa può essere definita come lo studio sistematico delle dimensioni morali incluse la visione morale, le decisioni, la condotta e le politiche delle scienza della vita e della cura della salute, usando diverse metodologie etiche in un quadro interdisciplinare 11. In questa nuova definizione scompaiono principi e valori per lasciare il posto ad un pluralismo etico, almeno di tipo metodologico, utilizzando la dimensione morale al plurale e allargando il discorso anche alla sfera politica.

Beauchamp T.L., Childress J.F., Principles of Biomedical Ethics, Oxford 1979 (seconda edizione ampliata, 1984). 11 Reich W.T., Encyclopedia of Bioethics 1995.. 10

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Non esistono concezioni differenti solo nella definizione della bioetica e nel suo campo di applicazione, allargato a tutto il bio-regno o limitato al mondo della medicina. Esiste un disaccordo su altri punti fondamentali di questo nuovo campo del sapere e, in particolare, sull’autonomia della bioetica come scienza capace di produrre soluzioni normative e sul fatto che si tratti di una nuova etica o di un’etica tradizionale che si occupa di una branca specialistica.

La bioetica è una disciplina autonoma? Anche nella determinazioni dei confini decisionali e della autonomia della bioetica, ci sono interpretazioni contrastanti: il filosofo italiano Scarpelli afferma che la bioetica non è disciplina che, sia pure nel quadro dell’etica, possa porsi come autonoma e indipendente: sotto il suo nome vanno fuochi di interesse, nuove problematiche legate al progresso della conoscenza e delle tecniche biologiche, ma un adeguato approfondimento riporta pur sempre alle questioni e agli atteggiamenti etici fondamentali concernenti l’uomo in quanto anima e corpo, spirito e materia, o, se si preferisce, organismo capace di azioni e interazioni significanti e simboliche eccendenti il campo della biologia 12. Al contrario c’è chi pensa come la bioetica rappresenti una disciplina autonoma e di più ampio respiro che, con la sua metodologia e con i risultati a cui giunge, contribuisce all’aggiornamento e alla giustificazione epistemologica

12

della

normativa

deontologica,

all’orientamento

Scarpelli U., la bioetica, Alla ricerca dei principi, in Biblioteca della libertà, 99, 1987, 7.

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dell’elaborazione legislativa, e all’inquadramento degli interventi sulla vita umana nell’ambito più ampio della biosfera, di cui discute criteri e limiti di liceità 13. Una tale bioetica sarebbe, secondo Sgreccia, articolata in tre distinti momenti: bioetica generale: in pratica una vera e propria filosofia morale; bioetica speciale, che affronta i grandi temi legati al progresso biomedico e la bioetica clinica che esamina nel concreto dell’agire quotidiano la decisione nei singoli casi.

Una nuova etica o un’etica per una nuova tecnica? Anche in questo caso ci troviamo di fronte a posizioni divergenti tra chi ritiene necessaria una nuova etica poiché il progresso della tecnologica modifica il nostro apparato concettuale e la nostra visione del mondo, spingendo a ripensare le categorie concettuali e a fondare un nuovo approccio 14. In questo senso deve essere inteso il novum etico della responsabilità proposto da Jonas e valutato nella lezione precedente. Si ricorda come nell’etica tradizionale: 

l’azione sul mondo non umano non era un tema etica in quanto non correlato ad una responsabilità o presa di potere;

13 14

Sgreccia E., Manuale di Bioetica, Vita e Pensiero, vol. 1, 1999, 51. Galletti M., bioetica, v. 1,0 in Floridi L., (a cura di) Linee di Ricerca, SWIF, 2006, ISSN, 1032, www.swif.it/biblioteca/lr.

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ci si limitava ad una visione antropocentrica basata sulla relazione dell’uomo con se stesso e tra uomo e uomo;

l’essenza dell’ente uomo era costante e non era oggetto di manipolazione tecnologica;

la moralità aveva a che fare con il qui e l’ora, connotandosi con la portata immediata dell’atto 15.

Oggi non è possibile ragionare con queste categorie. La nuova etica dovrebbe ripensare a fondo i principi fondamentali dell’etica e ricercare non solo il bene dell’uomo, ma anche il bene delle cose extraumane, cioè estendere il riconoscimento dei fini al di là della sfera dell’uomo e fare in modo che il bene dell’uomo includa la responsabilità per tali fini. Allo stesso modo, Singer rivendica il ruolo di una nuova etica capace di ripensare radicalmente e di rivoluzionare i nostri stessi concetti di vita e di morte e di evitare gli abusi che possono derivare dalle nuove pratiche, tutelando al contempo le preferenze e gli interessi di persone ed esseri senzienti 16. Questa nuova etica, tuttavia, non propone una nuova fondazione teoretica, ma si basa un sistema esistente che si può riscontrare in una forma di utilitarismo, prende atto del pluralismo etico e presenta il principio di rispetto

15 16

Jonas H., Dalla fede antica all’uomo tecnologico, Bologna, 1991, 46. Singer P., ripensare la vita, Il saggiatore, Milano, 2000.

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dell’autonomia delle persone come parametro preliminare per introdurre i principi etici di riferimento. Danner Clouser 17 invece non ritiene che le innovazioni tecnologiche spingano l’etica a trovare nuovi principi, ma a sviluppare tutte le implicazioni rilevanti dai principi che essa ha già. Della stessa idea Francesco Bellino 18 che afferma come la bioetica sia la stessa etica applicata d un’area specializzata di problemi. Si tratta dell’etica ordinaria, fondamentale, generale, applicata al bio-regno. Come un nuovo brano musicale non comporta per essere eseguito una nuova notazione musicale, così la novità dei problemi e dei contesti applicativi non comporta l’abbandono dell’etica generale e la sua sostituzione con una nuova etica. Se ogni nuovo problema applicativo dovesse esigere l’abbandono dei principi fondamentali generali, ammonisce Bellino, avremmo tante etiche applicate quanti sono i problemi e i nuovi contesti di riferimento, ma non avremmo più l’etica.

17 18

Danner Clouser K., bioethics, in Reich, Encyclopedia of bioethics, vol 1 116, 1995. Bellino F., I fondamenti della bioetica, Città Nuova Editrice, Roma, 1993.

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