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Prologo
Diciamo la verità: essere eterosessuale è fuori moda. A qualunque sottocategoria tu appartenga. Se sei eterosessuale e convivi, proclami ai quattro venti che non senti il bisogno di sposarti. Ma è una bugia. Lo senti eccome, anzi, ne senti il dovere, ma hai il terrore di affrontare la questione, perché tua madre, tuo padre, tua zia (la sorella di tua madre) e l’altra zia (sorella di tuo padre), la tua cattolicissima cognata e il parroco che ti ha fatto anche la professione di fede, che sembrano tutti così moderni e aperti di vedute, indulgono allo stato attuale sulla tua convivenza, pronti a inviperirsi laddove questa si evolva nell’orribile matrimonio civile, e non la intendono in alcun modo che quale preludio di quello religioso. L’eventuale, possibile maternità della coppia rende la prospettiva matrimoniale ancor più concreta: se non si convince un figlio dell’esistenza di Babbo Natale, al più saprà che un regalo, meritato o meno, 7
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può essere cambiato conservando lo scontrino. Ma non vuoi precludergli la vita eterna, e quindi lo battezzi, né sentirti chiedere perché la fede che è perfetta per lui non lo è per te, quindi tanto vale dire sì anche tra consorti. Se son nozze, siano dunque con confetti e fiori d’arancio e abito bianco, foss’anche dal profilo arrotondato per inattesa dolce attesa. Allora, per evitare di innescare la miccia del dibattito sul tipo di rito, te la cavi con la scappatoia della convivenza. Ma non puoi farlo per sempre, e lo sai. E poi, superati i quaranta: - se dici “la mia ragazza”, o “il mio ragazzo”, vuol dire che è molto più giovane di te; - se dici: “fidanzato/a”, significa che vi sposerete; - se dici: “compagna/o” significa che non potete sposarvi perché uno di voi o entrambi siete separati non divorziati dal coniuge precedente: sicché vorreste, ma non potete. Nessuna indulgenza è prevista per matrimoni contratti a Las Vegas, a meno che a officiare non siano James Dean e Marilyn Monroe. Neppure per matrimoni a bordo di navi, salvo che non si tratti della Queen Victoria o di riproduzioni del Titanic o del Lusitania (affondamento incluso). Nessun rito civile può superare il vaglio della congrega di parenti, amici, colleghi, conoscenti. Il matrimonio civile è out. È per antonomasia: - in economia; - colpevole; - omertoso. Se anche decidessi di sposarti, sei destinato a sprofondare nell’anonimato quanto più ti affanni a rendere il tuo matrimo8
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nio diverso da tutti i matrimoni. La colpa non è tua, ovviamente; è difficile innovare qualcosa che migliaia di persone fanno da secoli, e migliaia di persone cercano di rendere originale. Ad esempio: lei non vorrà il solito pomposo abito. Ne vorrà uno che definirà semplice. Non sarà bianco. Sarà più un panna. Non “panna”. “Più un panna”. Non avrà fronzoli. Lei non sembrerà una bomboniera. Lei non ricorderà un centrotavola. Lei non lo pagherà, comunque, meno di quattromila euro. Di contro, il velo sarà di una versatilità quasi pionieristica. Potrà mutarsi in coprispalle, manicotto, scaldavivande e federa. Le scarpe richiederanno prove presso dozzine di negozi, alla ricerca di comfort colore e altezza tacco adeguati. Infine saranno fatte su misura, e sebbene nessuno sia disposto ad ammetterlo si tratterà del più banale e dozzinale décolleté color “più un panna” della storia. Avendo investito l’equivalente del valore dei mobili del soggiorno in un abito che tutto lascia intendere si indosserà una volta nella vita, è già nella mente della sposa il progetto di riciclarlo sulle figlie che verranno nel numero minimo di tre, come la corona d’Inghilterra. Un certo astio è subitamente covato laddove la prole osi disattendere le aspettative. Lui del suo abito non sa nulla, ma è pronto a comprarlo in una catena dozzinale, è pronto a noleggiarlo a ore, forse però non azzurro pastello, a riciclare quello di suo padre, suo fratello, suo cugino, a chiederlo in prestito, a prenderlo su internet. Il suo compito è di essere elegante abbastanza da stare accanto alla sposa ma non così tanto da distrarre da lei. Possibile vezzo: gemelli a tema, fermacravatta, fascia in vita. In caso di follia conclamata, frac. La chiesa sarà una minuscola chiesetta di pietra arrampicata su una collina scoperta andando a mangiare la polenta con 9
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il capriolo a Cernobbio, nel comasco, o quella del paesino natio di uno dei due, dove si sono sposati magari i nonni. In alternativa sono vagliabili la Sagrada Familia, Mont Saint Michel, remote Stavkirke. Molto gettonati i riti delle confessioni minori: copti, metodisti, evangelici, neocatecumenali, luterani, riformati, pentacostali, avventisti. Meglio comunque che siano state oggetto di efferate persecuzioni. Altresì gradito che gli sposi abbiano parte attiva e inattesa nella faccenda: possono leggere i Vangeli, personalizzare la formula, svenire o ballare il tip tap. Durante la cerimonia, alla fine della cerimonia, prima della cerimonia, canteranno tenori, vibreranno archi, soffieranno fiati, ci saranno oboe di palissandro clavicembali e mandolini e un coro di voci bianche viennesi. Il ricevimento non sarà il solito ricevimento, perché nessuno vuole troppa gente né che la poca gente si annoi e mangi troppo e stia al tavolo più di un paio d’ore; invitare troppe persone è kitsch, meglio una cerimonia ristretta (molto diversa dal pranzo in economia del rito civile per via del suo costo comunque spudorato). La cerimonia ristretta è come l’abito semplice. In un attimo ci si ritrova con sessanta invitati ciascuno, inclusi dei parenti di cui si ignorava l’esistenza, e naturalmente greggi di bambini riottosi e palesemente inadatti a un ricevimento di nozze, per stare a tavola non meno di sei ore. Caparbiamente, gli sposi sono pronti a giurare che il pranzo sarà leggero e veloce, anche di fronte al terzo invitato collassato alla dodicesima portata. Non mancherà la torta con i pupazzetti e i pupazzetti somiglieranno ai consorti. Il viaggio di nozze non sarà il solito viaggio di nozze: si comincia a ipotizzare tre settimane di Transiberiana, si vaglia 10
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una traversata dell’Atlantico in catamarano, si considera una full immersion speleologica nell’infinito labirinto delle grotte della Georgia caucasica. Quindi si patteggia per una settimana in un bungalow sulla spiaggia forse alle Maldive, forse alle Mauritius, forse alle Hawaii, e una in un tour iper organizzato in uno spicchio di giungla a due passi da uno dei resort più attrezzati del mondo, e al ritorno si ostentano foto scattate durante la traversata di un pauroso ponte tibetano molto simile a quello di Gardaland, raggiunto in jeep con aria condizionata, o mentre si spenzola imbragati come salami a metà di una parete di roccia sulla quale si è stati praticamente issati a peso morto e telecamera spenta da quattro portatori volenterosi. Le bomboniere non saranno le solite bomboniere: per cui, per non fare un segnalibro d’argento, si ripiega su un fermaporta di basalto o una prodiga raccolta fondi, che non vi rende originali ma, lasciando intendere che siate generosi, dissuade gli invitati da proferire commenti sarcastici: non avete i confetti ma avete salvato sette bonobo; le fedi non saranno sul solito cuscino: le porgeranno in un cestino, appese a un nastro di raso, incastonate in un fossile, al guinzaglio di un incolpevole animaletto mansueto e peloso. La lista nozze non sarà la solita lista nozze. Dapprima i nostri negheranno di volerla fare, e piuttosto di considerare distrattamente un obolo a fini turistici. Dopo sceglieranno un negozio di casalinghi d’importazione, e metteranno insieme il più classico servizio da dodici (giorni di utilizzo previsto nell’arco di una vita: tre all’anno, tutti in feste comandate), caratterizzato dall’essere stato dipinto a mano da qualche remota tribù quasi estinta beneficiaria di un progetto equo e solidale ma dannatamente costoso, e includerà otto pirofile (giorni di 11
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utilizzo previsto nell’arco di una vita: media di due all’anno, fino a tre in caso di divorzio e relativa spartizione dei beni e delle pirofile), la ieratica “zuppiera con mestolo di porcellana” (giorni di utilizzo previsto nell’arco di una vita: nessuno), la caraffa di cristallo (idem), vassoi in silverplate del diametro di una piscina (giorni medi di utilizzo previsto nell’arco di una vita: quattro all’anno, ma variabile in ragione delle visite di vecchie zie), portacaramelle in vetro di Murano (vero o finto) con inserti barocchi in argento che neanche la più pagata delle domestiche riuscirà a tenere puliti, una batteria di pentole degna del Four Seasons (utilizzo previsto nell’arco di una vita: una di uso quotidiano, due di uso settimanale, una di uso mensile, quarantatré mai usate), sette frullatori (nessun dato conforta un qualche consumo da parte degli sposi di centrifughe o frullati di alcun tipo. Maionese episodica, acquistata in barattoli da mezzo chilo in vendita a 1 euro e 20), più alcuni elettrodomestici forniti con presa tedesca senza adattatore e perciò accantonati in attesa dell’acquisto dei medesimi – mai avvenuto. Insomma: a meno di non invertirvi gli abiti – cosa che ti farebbe peraltro muovere i primi passi nelle cinque settimane, o di avere la disponibilità economica per sposarti con tutti gli invitati a bordo di un rompighiaccio lituano – difficilmente verrà fuori qualcosa di autenticamente innovativo. Non prendertela. Quanto più ti affanni a far sì che la vostra celebrazione non sia la solita, tanto più essa lo sarà. Il motivo per cui senti il bisogno di innovare la cerimonia, ma non la pizzeria nella quale ti rechi ogni sabato da dodici anni, è che mangiare la pizza non è noioso: avere una relazione etero sì. 12
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Infatti, se sei sposato, te ne sei pentito. Perché vedi il tuo amico convivente, e lo invidi con l’acrimonia di un pompelmo, giacché non sai che si consuma nel terrore di dover convolare, prima o poi, a una qualche forma di nozze. Se non hai tradito, tradirai. Se non tradirai, vorresti. Forse sei divorziato. Il divorzio, mi dispiace, non fa pensare che tu sia addolorato, ma sfigato. È come se avessi comprato dei calzari tipici e manufatti nel tuo viaggio in Mongolia e ti fossi accorto a casa che non ti vanno. Beh, non potevi fare più attenzione quando li hai scelti? Un divorzio – e uno solo – è una colpa: di leggerezza, superficialità, disamore doloso. Se vuoi permetterti di essere dignitosamente separato, quindi, di matrimoni alle spalle devi averne a grappoli. Oppure, devi avere una moglie pakistana, un marito con un braccio artificiale, in carcere, in esilio, su una piattaforma in Nigeria. Essere etero, monogamo, di lungo corso, è come guidare una Fiat Duna. Devi trovare una scappatoia per non precipitare sul fondo del sedimentato baratro delle relazioni sociali. E la migliore per riscattarsi, ovviamente, è diventare gay. Diventare gay si può. Non tutti sono così fortunati da nascerci, ma ci si può arrivare. Stai pensando al corso di francese in 182 lezioni che hai comprato in edicola a 24 euro e 90, e non hai mai aperto. Stai pensando che non sei mai riuscito a imparare a pattinare. Che scrivi a computer da dieci anni ma usi ancora solo gli indici. Certo, gli insuccessi pesano. Ma questo libro può aiutarti a trascurare il tuo noioso lato etero e 13
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diventare finalmente gay, e a renderti un membro non banale della società. In cinque settimane si può fare qualsiasi cosa. Entrare in una setta, abbracciare una fede, perdere peso, apprendere i rudimenti di uno sport. Diventare gay, però, richiede un serio lavoro interiore. Se sei un uomo e credi che basti indossare una Lacoste rosa e ascoltare Mina, o se sei una donna e sei convinta che una volta tagliati i capelli a zero e rinunciato ai tacchi sia fatta, vi state sbagliando. Essere gay ha una sua deontologia. Rinunciate ai luoghi comuni e affrontate con lo spirito giusto questo corso. Nessuno può farlo al vostro posto. Se state leggendo queste prime pagine, vi siete fatti una domanda. Se non arrivate alle ultime, non avrete la risposta. Siamo tutti un po’ gay Chi più, chi meno. Che sia vero o sia falso, non si può dimostrare. O meglio, un modo ci sarebbe. Nasciamo in una società che pianifica la quasi totalità delle attività sociali presupponendo che tutti siano eterosessuali. Sin dall’asilo si separano i maschietti dalle femminucce; lo spauracchio dei primi rapporti sessuali – comunque etero – viene sbandierato ancor prima dell’adolescenza; i bambini vengono preparati alla loro eterosessualità. Con i vestiti che gli si comprano, i giocattoli che gli si regalano, i cartoni animati che possono guardare, i giochi che sono spinti a fare. Un bambino è spronato a fare il selvaggio, una piccola rissa ogni tanto, qualche scaramuccia durante le partitelle in giardino, da simpatica canaglia. Una bambina è ammonita a ogni livido, graffio o scivolone nel fango che deve comportarsi come una signorina. È così per tutti, e loro pensano che sia la sola verità possi14
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bile. La società è eteronormativa, e di conseguenza se non sei etero sei fuori dalla norma, cioè non normale. È difficile che un bambino o un adolescente si avventurino nello studio etimologico delle parole, mentre invece è perfettamente in grado di capire cosa significhi essere isolato, irriso, corretto. Con l’eccezione di Brokeback Mountain, tutti i film contemplano un lui e una lei di mezzo – a meno che la protagonista non sia Jodie Foster: che si debba ridere, salvare il mondo, piangere, conquistare le galassie, espugnare Troia o esplorare gli abissi, state certi che a un certo punto ci saranno un lui e lei che si ameranno, o che si amerebbero, o che si sono amati in passato, con pieno soddisfacimento degli spettatori. Possono soffrire terribilmente, purché siano un lui e una lei e innamorati. Può anche darsi che la maggior parte degli esseri umani sia etero, ma di certo le circostanze la aiutano a convincersene. Se le persone crescessero convinte di avere davvero una scelta con pari possibilità, forse i numeri cambierebbero. Ogni volta che persone dello stesso sesso sono a lungo in uno stesso ambiente e “la seconda via” viene considerata come possibile, l’omosessualità salta fuori come le zanzare dopo un acquazzone: squadre sportive, forze armate, collegi e via dicendo. Per cui: o gli omosessuali hanno un particolare talento sportivo e bellico, oltre a essere virali e contagiosi nell’adolescenza. Oppure “l’occasione fa l’uomo gay” – e anche la donna. Perché questa divagazione? Per rassicurarvi. Probabilmente anche voi siete un po’ gay, e per verificarlo non dovrete né rifare le superiori né arruolarvi né giocare a football. Il motivo per cui avete deciso di diventare gay è affar vostro. Forse è un fenomeno di emulazione. Forse è perché 15
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essere gay è terribilmente alla moda: nessuna star o attore ha raggiunto un successo incontestabile finché i fan della comunità non provano a rivendicarne l’appartenenza alla schiera omosessuale. Persino il Vaticano si è accorto che le statue che piangono e i segreti di Fatima non tirano più come un tempo. Ogni schieramento politico che si rispetti deve averne dentro un paio dichiarati, e altri “in aria di”, quantomeno paparazzati in pose che, sebbene possano essere assolutamente casuali, innocenti e insignificanti, grazie a sfocatura e prospettiva potrebbero anche sottintendere un’implicita interpretazione sessuale. Se i politici non hanno la fortuna di essere gay, possono sperare che lo siano i loro figli, in modo da poter rilasciare dichiarazioni progressiste di incondizionato sostegno per uno stile di vita alternativo, e sincero affetto per generi e nuore diversi da quelli che si aspettavano (come il vicepresidente Dick Cheney, che riesce a essere repubblicano e a digerire un secondo mandato G.W. Bush, ma ha una figlia lesbica che ha avuto a sua volta una figlia – miracolosamente con la compagna). Forse avete guardato Will & Grace e avete scoperto che essere gay può essere molto divertente. Forse avete notato che i gay hanno sempre un sacco di amici e di amiche. Forse siete una donna e avete sentito dire che un rapporto può durare più di tre minuti. O è solo una faccenda di economia domestica, e volete qualcuno con cui scambiarvi i vestiti. Quale che sia il motivo, sappiate che le vostre ragioni diverranno patrimonio condiviso della comunità non appena compiuto il primo passo. I gay sono una collettività. Sono il popolo della diaspora dell’età contemporanea. Innanzi tutto si riconoscono tra loro al primo sguardo. Mentre in genere un 16
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etero ha bisogno di prove e verifiche che nulla invidiano al processo di canonizzazione dei santi per riconoscere un omosessuale, il gay riconosce il suo simile al primo sguardo. Lo sguardo in genere è ricambiato, tipo “tu sai di me e io so di te” (normalmente segue uno screening dei reciproci accompagnatori). In secondo luogo, sono ovunque. Se alle due di notte entrate in un locale e annunciate al microfono che vi occorre il numero di telefono di un veterinario sui quaranta anni di madre tedesca e padre cinese che viva a Minsk, qualcuno sicuramente avrà un amico che ha un’amica che ha un amico il cui ex compagno probabilmente è l’uomo che fa per voi, ma dovete specificare se cercate una persona bionda o mora. Per sostenere questa solidarietà “di genere”, ognuno deve dare il proprio contributo. E il contributo è la vita privata. L’omosessualità è l’e-Mule delle proprie vite, un programma di life sharing. Le mette in condivisione, non richiede download, e naturalmente non può essere disinstallato. Per cui, se avete deciso di fare questo tentativo, mettetevi il cuore in pace: non è cosa che si faccia sottobanco, zitti zitti, di nascosto. Coming out è la parola d’ordine. Essere etero è molto meno impegnativo: l’avete fatto, fino a oggi, senza che in pratica comportasse alcunché di gravoso, senza che su di voi pesassero oneri comportamentali o sociali. Quando eravate insieme ai vostri amici e passava una bella donna, gli apprezzamenti di uno o due di loro non erano fatti a titolo personale, ma a nome di voi tutti. Ad esempio: “A quella darei una botta”, significava implicitamente che tutti voi avreste fatto la medesima cosa, e il vostro era un silenzio assenso. Ma diventare gay comporterà, alla fine del vostro percorso, un’assunzione di responsabilità. È come se foste un ebreo che vive 17
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in un kibbutz e diventaste cattolico: prima o poi dovreste tirar fuori il presepe e affettare il panettone… Nessuno, badate bene, vi chiederà di farlo: siete voi che, molto presto, scoprirete che la vostra identità è incompleta senza che vi confrontiate con la comunità cui, realmente, state cercando di appartenere. Ma questo avverrà naturalmente e in un secondo momento. Probabilmente attraverserete prima la fase delle scuse. Ma perché affannarvi a inventarvene di nuove, quando da decenni, da secoli, altri lo hanno già fatto a vostro vantaggio? Eccone alcuni esempi per giustificare l’acquisto di questo libro (non c’è bisogno che diciate che non avete pensato nulla del genere. L’avete fatto, ma siamo solo a pagina 18): - me l’hanno regalato; - è per un mio amico; - credevo fosse un romanzo; - è un mondo che mi ha sempre incuriosito; - è un mondo che mi ha sempre attratto; - è un’esperienza; - si prova tutto almeno una volta (se l’avete detto, contattate l’editore e fatemi avere il vostro numero); - la commessa ha confuso le buste (siete patetici). C’è solo un modo per leggere onestamente questo libro. Ed è dire: forse potrei essere gay. Almeno un po’ gay. Per cui chiudetevi in bagno, nello stanzino, in garage, sprofondate la faccia in un cuscino, infilatela in un secchio, o andate sul balcone e gridatelo: forse sono gay. Bravi.
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