IL CODICE DEL POTERE

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Introduzione

‹‹Non voglio un avvocato che mi dica quello che non posso fare. Lo assumo perché mi suggerisca come fare quello che voglio›› (John Pierpont Morgan, finanziere, fondatore della Jp Morgan)

Una sottile striscia professionale, lontana dal resto della categoria. In Italia gli avvocati del potere, che stanno dentro al potere, che lo affiancano, lo proteggono, sono pochi, pochissimi. Tutti gli altri colleghi, nel 2007 una massa di 170 mila persone non sempre con un lavoro di alto profilo, li guardano dal binocolo. Gli avvocati del potere sono super consiglieri, giuristi d’alto bordo, navigati difensori, ascoltate e preziose voci da interpellare nelle faccende che contano. Perché loro sanno ciò che si deve fare. Conoscono cosa e come muovere. Ma non solo. Gli avvocati del potere diventano anche ingranaggio, parte meccanica, ossatura del sistema di governo. Si tratti di economia, finanza o politica. Insomma: del potere sono parte integrante. La loro è una élite. Cambiata nel corso dei decenni, anzi rivoluzionata. Dai mostri sacri, dall’aristocrazia forense legata all’università, dal mito del professore e dal puro nepotismo, nel corso di cinquant’anni si è passati a un potere legale in mano a realtà professionali con centinaia di avvocati e milioni di euro di fatturato, delle specie di imprese multinazionali. La formula dominante ha cominciato a somigliare a quella delle law firm britanniche e americane. Con logica aziendalista, dove anche ai massimi livel9


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li i rapporti tra avvocati e clienti appaiono meno personalizzati. La tradizione, le torri d’avorio, la conservazione professionale hanno ceduto. Non del tutto, perché i feudi del passato in parte resistono nel presente. Ma altri, sempre più, appaiono i centri nevralgici. Il gotha forense ha dunque mutato pelle. Tuttavia non la forza, l’influenza. Una manciata di avvocati, negli anni Sessanta come nel 2007, continua a dettar legge. In modo complice, intimo, talvolta rischioso con l’affezionata clientela di imprenditori, finanzieri, politici. Ma chi sono, da dove arrivano, che fine hanno fatto nel tempo, come sono cambiati gli iscritti al club del potere legale italiano? Questo libro cerca di raccontare le loro storie. Non un dizionario di categoria, un elenco di tutti i nomi più o meno di grido che, inevitabilmente, sarebbe risultato incompleto. Non una raccolta di vicissitudini di influenti attori locali, magari discussi o peggio al soldo della criminalità, capaci di spumeggiare per brevi e inquinate stagioni. Ma selezione di un olimpo professionale. Il faro è puntato non tanto sulle vicende dai contorni esemplari e da manuale, sulle illustri biografie, sulle apologetiche agiografie, quanto, piuttosto, sulla genesi degli accadimenti professionali, sull’intrigo dei rapporti con il potere, soprattutto finanziario, sulle amicizie pericolose, sui retroscena di carriere professionali non di rado sorprendenti, sull’evoluzione del mestiere e sulle sue debolezze. E, perché no, anche sui passi falsi, che più o meno tutti i membri dell’élite forense hanno commesso. Un campionario che, come si vedrà, non si fa mancare niente. Far chiarezza sui segreti degli avvocati del potere non è stato semplice. Questa cerchia di legali costituisce una silenziosa e buia palude professionale. Quasi nessuno si dice disponibile a ricostruire pezzi di verità. Il puzzle va messo insieme a piccoli passi. Questo libro si basa dunque su oltre un centinaio di incontri avuti con protagonisti diretti, esponenti e conoscitori del reale potere legale italiano. Dall’incrocio delle informazioni è stato possibile suddividere le storie per aree omogenee e criticità. E quindi: l’esordio, lo sviluppo e la caduta dei primi grandi studi 10


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legali associati, con il corollario velenoso delle guerre intestine e familiari. L’ambito di lavoro principale è quello del diritto civile, in particolare commerciale e societario. Il potere è quello degli affari, delle imprese, della finanza. I primi grandi studi associati sono un crogiuolo di figure professionali di spicco, spesso un po’ dispotiche, abituate a imporre la linea. Gente che imbastisce strutture legali imperfette, squilibrate, ma per la prima volta di caratura internazionale. I capitani d’industria, i banchieri, le multinazionali, è a loro che chiedono aiuto negli anni Sessanta e Settanta. Si parla di una nicchia, un’avanguardia destinata nei decenni a sgretolarsi, appannarsi, non di rado a sparire. In quella fase rappresentano, però, l’alternativa ai solisti del diritto: una riserva sempreverde di avvocati marchiati quasi da un diritto dinastico, inarrivabili ai più, professionisti in guanti bianchi. Ecco i legali dal sangue blu. Sono i clan aristocratici dei docenti universitari, omaggiati, venerati, e poi eclissati con il sorgere della trasformazione dell’universo professionale, negli anni Novanta e Duemila. I boss dell’aristocrazia forense prendono strade differenti. C’è Mediobanca a Milano, attorno alla quale si forgia un grappolo di professionisti ritenuti depositari del potere giuridico. C’è il settore pubblico a Roma, che alimenta la supremazia di un gruppo di legali confidenti di chi detiene l’autorità. Ci sono i grandi avvenimenti economici e giudiziari che spaccano il paese e che portano, qua e là, la nascita di esponenti della casta aristocratica. Nei confronti di tutti loro la deferenza è massima. Il nocciolo duro degli avvocati primi della classe percepisce se stesso come raffinato ceto, universo privilegiato, quasi intoccabile. Una prima fila professionale che muove pedine, detta regole, cerca di non sporcarsi troppo le mani, tesse una trama di contatti che diventa micidiale lobby. Nei loro studi fanno la coda i potenti di turno, per un consiglio, un parere, una dritta. Come si vedrà, ce n’è per tutti i gusti. Gli avvocati intrecciati con l’accademia accompagnano imprenditori, finanzieri, grand commis, politici: talvolta verso il successo, talvolta verso il baratro. Succede che i legali dal sangue blu vengano dati per 11


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finiti, superati, ma sono sempre lì. Tanto per i primi grandi studi associati quanto per i docenti universitari, il mastice che tiene unito per decenni il potere forense italiano è un groviglio di altolocate conoscenze familiari, parentele influenti, benedizioni di partito. Anche se, come si vedrà, non mancano le eccezioni rappresentate da professionisti star sbucati dal nulla. Ma l’élite legale ha più facce. Ne fanno parte così altre due categorie distinte e dotate di ascendente, quella dei tributaristi e quella dei penalisti. La prima, chiamata in causa dal potere economico avverso alle richieste del fisco, conosce la gloria, ma poi la disgregazione e il dissolvimento dei nomi più pesanti. In certi casi sono capitomboli professionali che fanno rumore. Si ripete, in chiave fiscale, l’eclissi dei baroni universitari. La loro influenza nel panorama dei poteri non svanisce del tutto, anzi, in talune circostanze si radica, ma incontra la concorrenza delle realtà tributarie associate e perde inesorabilmente terreno. Per i penalisti vip, invece, la primavera sboccia con tangentopoli, all’inizio degli anni Novanta. Fino a quel momento i partiti e il potere economico e finanziario s’imbattono solo occasionalmente in problemi giudiziari. La difesa dei colletti bianchi scatenata dall’inchiesta mani pulite ridisegna il panorama degli avvocati da tribunale, poi diviso negli anni Duemila in sottogruppi vicini a particolari aree politiche. Il cosiddetto penale bianco è settore che vive confinato. Si tratti di docenti universitari o no, il rapporto con il resto del mondo forense è furtivo. Molto meno quello con la classe dirigente alle prese con guai giudiziari. Il difensore, professionista dell’emergenza, misura il proprio potere con l’elenco clienti non immacolati e con il rispetto che gli portano i giudici. Le storie raccontate disegnano il profilo di una specialità a più facce. Tuttavia, la massima autorità legale va ben al di là di realtà professionali simili a scrigni, argentate cellule forensi, come accade per tributaristi, penalisti e soprattutto solisti del diritto commerciale. Negli anni Novanta prendono corpo tentacolari e mastodontici studi legali e fiscali collegati ai network internazionali della revisione contabile. La loro forza è la quantità. Si gon12


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fiano a dismisura di professionisti, in modo iperbolico, sono al servizio totale e onnicomprensivo di aziende private, pubbliche, multinazionali, governi. Ma sono giganti che presto vacillano, colpiti dalle accuse di conflitto d’interesse con l’auditing. Non può durare, e quando la bolla scoppia sono dolori. Gli studi legali e fiscali allacciati ai network della revisione si aggrappano senza molta fortuna a un business che scivola loro via dalle mani. Nel frattempo, infatti, altri attori stanno picconando i tradizionali poteri forensi. Grazie all’irrompere delle privatizzazioni di aziende di Stato, negli anni Novanta inizia il ciclo degli studi stranieri. L’Italia diventa un prelibato boccone, un affare. Dalla Gran Bretagna e dagli Stati Uniti corrono in tanti, anche se pochi riescono a entrare nel club degli avvocati del potere. Anzi, in molti targati Londra e New York restano tagliati fuori e conoscono la crisi. Qualcuno sparisce, qualcuno si ridimensiona, altri resistono. È scontro di mentalità giuridiche, ma soprattutto di relazione con il comando. E poi bisogna fare i conti con il compiacimento del proprio ego, con il desiderio di individualità, di libero arbitrio, di guadagni. Americani e inglesi faticano ad adattarsi alle comode e protette abitudini dei colleghi vip italiani. E sono divorzi, conflitti, contese. Le difficoltà finiscono per rimescolare più volte le carte. Lo stesso vale per l’ultima leva dei grandi studi associati tricolori. In certi casi la loro crescita è tumultuosa e penetra nei gangli del potere. In molti, sulle tracce dei primi e storici studi associati nel frattempo sfioriti, tentano la scalata. Ma, nel 2007, è in particolare un ristretto tris di avvocati leader che riesce a esercitare reale influenza sull’apparato nodale del sistema economico e politico italiano. Si tratta di un tridente che raccoglie onori, incassa dorati profitti. Partecipa alle più rilevanti operazioni industriali e finanziarie degli anni Duemila. È un passaggio di consegne rispetto al precedente potere forense. I grandi studi associati tricolori funzionano come aziende e fanno il vuoto intorno. Ma il tris di avvocati al loro vertice corre tuttavia anche rischi, resta talvolta implicato in inchieste della magistratura. Le 13


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loro vicende in chiaroscuro traghettano a ogni modo il top della professione verso un nuovo assetto. Il resto di chi ambisce a entrare nell’Êlite legale rimane invece un passo indietro. Molti sono delusi, spesso scottati da esperienze negative, in certi casi poco edificanti. Il gotha forense, nella sua interezza, sempre piÚ, infatti, deve fare i conti con dissapori, litigi, divisioni, spaccature. Pratiche, come si vedrà , che gli avvocati del potere sanno realizzare da autentiche primedonne. F.S.

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