Postfazione Esercizi di stile
Sembra facile. In fondo, il lavoro di un giornalista è scrivere. Con le parole e i verbi c’è familiarità. Con il tempo si acquisisce anche un metodo. Prima è, meglio è. Ma questo è un altro problema. Trovato un metodo, una cifra stilistica direbbe qualcuno, scrivere diventa veramente come scivolare sul velluto. Nessuna fatica. Nessun intoppo. Niente ostacoli. Un argomento vale l’altro. Cronaca, sport, spettacolo, cultura. Poi, però, capita di scrivere di cinema a luci rosse. E tutto ciò che si è pensato prima, il metodo che ci si è dati, la facilità di scrittura, non esistono più. Scrivere di cinema porno è come camminare nel cemento fresco. Delle due l’una: o si resta impiantati fino alla caviglia, senza riuscire più a muoversi, oppure se ne esce con i pantaloni sporchi. E ci si chiede: “chi me l’ha fatto fare?” Ma il dado è tratto. “Hai voluto la bicicletta? Adesso pedala”. Dunque. Sembra facile. Invece al primo verbo si è già bloccati. Il dito sul tasto, gli occhi incollati al video del computer. La frase che non va avanti. Il concetto che non prende forma. Cancellare. Nuovo giro. Nuovo verbo. Stesso problema. Colpa della lingua italiana. Una lingua duttile. Una lingua che si presta ai doppi sensi. Non sempre, ovviamente, non è obbligatorio. Ma se si scrive di cinema porno, il doppio senso è dietro l’angolo. 105
Anzi, è già arrivato prima ancora che uno se ne accorga. Esempio: una volta finito di girare, il regista monta il film... Altro esempio: quello dei film porno è un settore che tira… Parlando di cinema commerciale, sono due frasi di uso comune. Addirittura due frasi tecniche. Mai verrebbe in mente di usarne altre. Rendono, con semplicità ed immediatezza, l’idea. Quando si scrive di hard, rendono un’altra idea. Quella. Perché siamo tutti un po’ maliziosi. Perché l’argomento si presta alla malizia. E allora? Bisogna inventarsi un altro metodo, altri codici. Svicolare tra i verbi. Scrivendo di cinema a luci rosse, le persone non vanno. Partono. E, soprattutto, non vengono. Mai. Le persone arrivano. Il mercato non può tirare, può avere al massimo un incremento di fatturato. Il montaggio diventa post produzione. Il verbo montare resta chiuso nel cassetto. Dentro e fuori sono espressioni quasi vietate. Anche il verbo alzare può creare qualche difficoltà. Non può esistere uno scopo ma un obiettivo. Nessuno tiene in mano niente. Neppure le porte possono sbattere. Mettere in bocca a qualcuno qualcosa, fosse solo una frase, è pericoloso. Anche l’espressione lingua può prestarsi a qualche malinteso. Scrivere lingua morta vuol dire farsi del male. Il verbo schizzare, neanche parlarne. Penetrazione di mercato, lasciamo stare. Troppi scrupoli? Visto l’argomento non sono mai troppi. Naturalmente, la quantità di scrupoli dipende anche dal giornale sul quale si sta scrivendo sul tema. C’è una base minima comune. E una progressione matematica che varia a seconda della testata. Se si scrive per l’Unità, la progressione è infinita. Perché infinite sono le interpretazioni che saranno fatte. Non ultima quella politica. Cosa ci sia di politico nello scrivere di cinema a luci rosse non si sa. Ma una virgola (perfino politica, impresa che comporta uno sforzo di fantasia ai limiti della discopatia), insomma, una virgola sulla quale fare un appunto e qualcuno disposto a rischiare la discopatia si trova sempre. Sembra strano ma è successo. Scrivere di cinema a luci rosse, però, lascia libero spazio ai giochi di parole. Ai calembour. Certo, l’inventiva è limitata ad 106
una sola possibilità, l’assonanza tra hard core e cuore. Ma sul tema si possono inventare diverse soluzioni. La più classica, talmente classica che è stata anche utilizzata per titolare un articolo: “Va’ dove ti porta l’hard core”. Non è male anche “hard core ingrato”. Un po’ melodrammatico ma ad effetto “anima e hard core”. Modello sceneggiata, invece, “i figli so’ piezze ‘e hard core”. In realtà esisterebbero altre varianti, basta cambiare il soggetto da hard core a porno. Ma sono meno fantasiose. Meno evocative. Nell’ordine: “fronte del porno”, “porno subito”, “porno, chi parla?”. C’è pure la variante in inglese: porn in the Usa. A questo punto si potrebbe esagerare: when I was porn. Dopo c’è solo il tracollo della creatività. Scrivendo di cinema a luci rosse, probabilmente, non si diventa bravi giornalisti. Ma si impara a scrivere. A giocare con le possibilità offerte dalla lingua italiana. Ci si ingegna a modellarla. Si prende atto di quante sfumature il lessico della nostra lingua sia capace. È uno straordinario esercizio di stile. Ma anche di sobrietà. Stile e sobrietà che torneranno sempre utili. Forse, con il tempo, si può anche sperare di diventare dei discreti titolisti. Sempre e comunque si tiene in funzione la materia grigia. “E si vedono i film a gratis”, potrebbe aggiungere qualcuno. Non è necessario vedere migliaia di film per farsi un’idea di cos’è il porno. Ci mancherebbe. Esistono i consulenti. Come per qualunque altro argomento dello scibile umano. Nel caso, comunque, a chi chiede “ma li hai visti tutti ‘sti film?” si può tranquillamente rispondere, senza perdere una virgola del proprio aplomb: “L’importante non è vederli tutti. L’importante è non partecipare a nessuno”.
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