TUTTE LE DONNE DEL PRESIDENTE

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1. Compra Silvio, lava più bianco

Gennaio 2007. Roma, Auditorium della Conciliazione. Si svolge la ventitreesima cerimonia di assegnazione dei Telegatti, promossa da Tv sorrisi e canzoni. Un cliché di serata mondana da rotocalco, nella contemplazione della cui cronaca un target sommariamente spesso descritto come “casalinga di Voghera” (molto diversa dalla “casalinga di Treviso” per l’essere quest’ultima presumibilmente di sinistra, per via della sua paternità morettiana) devolverà pomeriggi di messe in piega, accovacciata sotto un casco ronzante come un uovo durante la cova, ipnotizzata da primizie quali: abiti simili o addirittura uguali, vittorie annunciate, rivelazioni (premonizioni e altri sortilegi), fisiognomica applicata (al limite della divinazione, capace di intuire dal rigore di uno zigomo la storia di una vita intera di una soubrette), e la ieratica elencazione delle portate della cena di gala seguente apparecchiata da qualche vaticinatore sotto 15


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le volte della “cappella della Veronica” di Santo Spirito in Sassia. L’assoluta inesistenza di notizie scaturita da tale contesto sarà colmata con mefistofelica maestria grazie alla capacità della rivista patinata di turno, in edicola a un euro con in più un portacipria Deborah, di creare fatti laddove non c’è altro che il consumarsi dell’ovvio: la tivù premia se stessa, in tivù. Ecco che allora il 29 gennaio si leggerà, sullo stesso sito della rivista promotrice, «tutto quello che non avete visto». Ansiosa di scoprire cosa si sia persa e quando, la nostra insaziabile pavese si rende conto che, nell’imperscrutabile fuori onda, o mentre recuperava una vaschetta Sammontana dal frigo e ne scalpellava il contenuto con un cucchiaio, erano avvenuti accadimenti cruciali quali «Pippo Baudo che sale a sorpresa sul palco» («a sorpresa» e «sul palco», in pratica un ossimoro); o «l’esilarante momento» in cui Germano Leonardi, il perfetto sconosciuto lettore di Sorrisi estratto fra tutti coloro che avevano espresso il loro voto, era stato chiamato senza essere trovato perché si era smarrito dietro alle quinte, finché non era stato riaccompagnato in scena (una gag da far impallidire i fratelli Marx); o ancora, battute sulla “pelata” del conduttore, cioè Bisio (rivoluzione copernicana dell’umorismo). Tutto quel che occorre, quindi, per «sdrammatizzare la liturgia delle premiazioni» (che c’era di drammatico? Che c’era di liturgico?). Nulla è accaduto, insomma, tranne quello che si sapeva sarebbe accaduto. Tant’è che Repubblica il 26 gennaio, all’indomani della serata, liquida così l’evento: «L’assenza del vicepresidente di Mediaset, Pier Silvio Berlusconi, è stata l’unica vera notizia al galà dei Telegatti, ieri a Roma.» Per tirare fuori un’altra mezza dozzina di righe si specula rapidamente sul malanno di stagione che avrebbe fatto perdere l’imperdibile al rampollo presidenziale. Non è successo niente, non c’è niente da aggiungere, ma siamo contenti che l’abbiate visto. E invece, a distanza di quattro giorni, qualcosa accade, e “il battito d’ali di una farfalla in Brasile genera un tornado in Texas”. 16


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Il lepidottero, nel nostro caso, è l’aggraziato presidente sempreverde (sulla cromia ferve un dibattito: il Times lo definisce permatanned, cioè sempre abbronzato, di un color marrone rossiccio, a un passo dall’essere inserito in una mazzetta pantone), mentre il tornado è Veronica Lario. Il Brasile è l’auditorium, e il Texas, Macherio. Mr. B in questo caso non sbatte le ali, s’intende. Eppure il vigoroso moto non è escluso dall’affaire. Nel parterre dei felini mediatici si agitano veline, soubrettes, showgirl, beautiful women e pulchritudinous, recita The Independent (agli anglofoni, tacciati non ricordo da chi di avere dozzine di salse e un solo formaggio, non si può negare di saper sfoderare innumerevoli similitudini nei contesti più inutili), e il latin lover si destreggia con la verve dell’intrattenitore come solo lui sa fare. Su ciò che viene detto, ma non trascritto, non si può dire nulla. Ma quel che è certo è che di almeno un volo del lepidottero, di fiore in fiore, esiste testimonianza: alla Yespica disposta ad andare con lui su un’isola deserta, risponde: «Con te andrei ovunque»; della Carfagna, invece, sentenzia: «La Carfagna... guardatela, se non fossi già sposato me la sposerei.» Robetta da niente. S’è mai visto un volatile che non si pavoneggi? E soprattutto, chi non andrebbe su un’isola deserta con Miss Amazzonia? E perché non, a questo punto, in una villa in Costa Azzurra, dove è più facile comprare il pesce fresco e non occorre scacciare grossi rettili dal proprio giaciglio? Dopotutto, la Yespica è già reduce dall’Isola dei Famosi e dall’omonimo spagnolo Supervivientes. Riuscirebbe a sopravvivere anche sull’isola di Lost, di certo non la scoraggerebbe un nuovo naufragio con Mr. B. Lei non dice, però, «ovunque», che è farina del sacco di lui, e quindi vera piaggeria. Ad esempio, non andrebbe probabilmente il 7 agosto a Melegnano, essendo Mr. B implicitamente disposto a farlo. Quale adulazione più genuina, peraltro, che una millantata proposta di nozze? Non solo sei bella, ma sono disposto ad abituarmi al tuo esasperante vezzo di far parte della Commissione Affari costituzionali. È talmente ovvio. Quando la domanda di matrimonio è seria, racchiude in sé il timore di potere essere 17


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rifiutati. Quando si tratta di blandizie, si dà per scontato che sia gradita, anzi, auspicata. Una volta si adulava la bellezza. Poi, quando la scienza ha dimostrato che le donne hanno un cervello, a tratti funzionante, s’è passati a complimentarsi per quello. Infine, per andare oltre la professionista, per non oltraggiare la femminilità, s’è ritornati all’estetica. Perbacco, che grazioso accostamento un dottorato in economia e un paio di tette. Quel che è certo è che se non sei un adulatore sei un cafone. Il farfallone lo sa, e si adegua. Il contesto è mondano: in cui non solo puoi, ma devi adulare a destra e a manca. Se poi ti imbatti in qualche taglia quaranta, sei anche credibile, e il tutto viene più naturale, soprattutto se consideri che le tue commensali sono strizzate in abiti scomodi e sgranocchiano gran gambi di sedano mentre tu affondi la seconda porzione di parmigiana di melanzane. Sono affermazioni maschiliste, per le quali ogni donna si sentirebbe offesa? Di certo non la Yespica né la Carfagna, dirette interessate. Neppure Gabriella Carlucci, che si è sorbita mensa e commensali e, interpellata sull’accaduto, si schernisce caparbiamente: «Per carità, non mi faccia dire nulla». Ma poi, siccome si sa: le peggiori cose si fanno con le migliori intenzioni, chiarisce: «A quella cena è stato spiritoso con tutti e con tutte, come sempre del resto. Le ha fatto quella battuta perché lei (la Carfagna) era lì, se si fosse trovato davanti un’altra l’avrebbe detto a un’altra.» Il dumasiano principio d’innocenza sottinteso in questa generalizzazione (una per tutte, tutte per una) potrebbe anche essere offensivo per le interessate: se ci fosse stata Rosy Bindi, che il Cavaliere non ha mancato di ricordare in altri contesti, sarebbe stato identico. Sono insomma cose che si dicono. A tutte. Belle e brutte. È una forma di considerazione non peccaminosa, come la charlotte senza calorie. Alla Carlucci le avrà dette, cose del genere, no? «No, con me nessuna battuta mai.» Però. Neanche la fugace prospettiva di una sveltina nel chiostro? Che maleducato. Tra le donne polemiche, le femministe dell’ultimo minuto, per disgrazia del Cavaliere planato c’è anche Veronica Lario. La 18


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quale, preso atto della disponibilità del consorte a trasformarsi nel novello protagonista di Cast away, e sostituire la testa vuota di Wilson con quella della Yespica (vuota per piena, purché corredata delle altre membra in grado di fare di un qualsiasi essere umano Miss Amazzonia), o di convolare a terze nozze con la Carfagna, stabilisce che, ohibò, trattasi di mancanza di rispetto. Cosa farebbe qualsiasi donna offesa, a questo punto? Come reagirebbe qualsiasi moglie o fidanzata, sapendo che il partner solitario – molto simile al passero per il suo essere l’uccello più noto e comune d’Italia – si è ornitologicamente reso disponibile a edificare nidi altrove (e che altro attendersi da uno che ha cominciato con la Cantieri Riuniti Milanesi?)? Ma è semplice: aspetterebbe il consorte misurando il soggiorno a grandi passi in pantofole e gettando sguardi torvi all’orologio da parete (150 punti Esselunga), mulinando un mattarello come Andy Capp and Florrie, tagliando le sue cravatte preferite, frugando nei suoi cassetti, violando la sua agenda, bloccando la sim, ispezionando i colletti delle camicie alla ricerca di rossetti sbiaditi, e chiamando la migliore amica cercando, a seconda dell’indole, dissuasione, incitamento, rassicurazione, istigazione a farla lunga o persuasione a tagliar corto. Non così Veronica. Prima aspetta qualche giorno, perché il farfallone notturno non rincasa a Macherio, da tre settimane, e quindi hai voglia a scarpinare per Villa Belvedere, residenza di lei, guardando l’orologio da parete (Cartell, Svezia, 1880 ca., in legno dorato e intagliato a motivi floreali con pendolo a “coda lunga”): anche sentirsi al cellulare è un evento. Ebbe persino a dire, la buona Veronica, che «non c’è solo il telefono. Spesso lo vedo anche in televisione». Poi ha dovuto (probabilmente) consultare un avvocato, perché certe cose mica si possono dire con leggerezza. L’undicesimo comandamento non è certo non querelare: né l’azione legale è preclusa dal vincolo nuziale. Anzi. Poi sfoglia l’Eco della stampa, casomai il lepidottero si sia pentito attraverso una qualche forma di media, facendo pervenire sentite scuse. Tutto ciò analizzato, e riscontrato che nessun ravvedimento si staglia all’orizzonte, solo allora si può dare inizio alla lite. In punta 19


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di penna, con grazia, con garbo, con dignità. Il massimo che può accadere a una moglie esasperata è che i vicini di pianerottolo, i dirimpettai, sentano levarsi urla e minacce, e vedano lo sposo citofonare forsennatamente, chiuso fuori casa. L’umiliazione, vera o presunta, consumata tra le mura di una festa è patrimonio dei soli presenti, forse di qualche passaparola. Se sei Veronica Lario, invece, è gossip. Se sei Veronica Lario e rispondi, è cronaca. Chiunque legga un giornale, abbia un pc, veda la tivù, sa delle galanterie del tuo onorevole, ma non onorabile, marito. Va da sé, quindi, che l’onta si moltiplica, monta come il bianco d’uovo. Puoi non reagire affatto. Non ho sentito e poi, uh, quante me ne dicono. Se dessi retta alle voci... Oppure prendi posizione, e se lo fai devi essere granitica. Ed ecco che «amore mio, ti sembrava il caso?» assume la forma di una lettera aperta a Repubblica: «Egregio Direttore, con difficoltà vinco la riservatezza che ha contraddistinto il mio modo di essere nel corso dei ventisette anni trascorsi accanto a un uomo pubblico, imprenditore prima e politico illustre poi, qual è mio marito. Ho ritenuto che il mio ruolo dovesse essere circoscritto prevalentemente alla dimensione privata, con lo scopo di portare serenità ed equilibrio nella mia famiglia. Ho affrontato gli inevitabili contrasti e i momenti più dolorosi che un lungo rapporto coniugale comporta con rispetto e discrezione. Ora scrivo per esprimere la mia reazione alle affermazioni svolte da mio marito nel corso della cena di gala che ha seguito la consegna dei Telegatti, dove, rivolgendosi ad alcune delle signore presenti, si è lasciato andare a considerazioni per me inaccettabili: “...se non fossi già sposato la sposerei subito”, “con te andrei ovunque”. Sono affermazioni che interpreto come lesive della mia dignità, affermazioni che per l’età, il ruolo politico e sociale, il contesto familiare (due figli da un primo matrimonio e tre figli dal secondo) della persona da cui pro20


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vengono, non possono essere ridotte a scherzose esternazioni. A mio marito e all’uomo pubblico chiedo quindi pubbliche scuse, non avendone ricevute privatamente, e con l’occasione chiedo anche se, come il personaggio di Catherine Dunne, debba considerarmi La metà di niente. Nel corso del rapporto con mio marito ho scelto di non lasciare spazio al conflitto coniugale, anche quando i suoi comportamenti ne hanno creato i presupposti. Questo per vari motivi: per la serietà e la convinzione con la quale mi sono accostata a un progetto familiare stabile, per la consapevolezza che, in parallelo alla modifica di alcuni equilibri di coppia che il tempo produce, è cresciuta la dimensione pubblica di mio marito, circostanza che ritengo debba incidere sulle scelte individuali, anche con il ridimensionamento, ove necessario, dei desideri personali. Ho sempre considerato le conseguenze che le mie eventuali prese di posizione avrebbero potuto generare a carico di mio marito nella sua dimensione extra familiare e le ricadute che avrebbero potuto esserci sui miei figli. Questa linea di condotta incontra un unico limite, la mia dignità di donna che deve costituire anche un esempio per i propri figli, diverso in ragione della loro età e del loro sesso. Oggi nei confronti delle mie figlie femmine, ormai adulte, l’esempio di donna capace di tutelare la propria dignità nei rapporti con gli uomini assume un’importanza particolarmente pregnante, almeno tanto quanto l’esempio di madre capace di amore materno che mi dicono rappresento per loro; la difesa della mia dignità di donna ritengo possa aiutare mio figlio maschio a non dimenticare mai di porre tra i suoi valori fondamentali il rispetto per le donne, così che egli possa instaurare con loro rapporti sempre sani ed equilibrati. RingraziandoLa per avermi consentito attraverso questo spazio di esprimere il mio pensiero, La saluto cordialmente.» (31 gennaio 2007) 21


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Gli altri maschi, quando sbagliano, se la cavano con oblazioni: un mazzo di rose è esageratamente retrò, oltre a costituire una conclamata ammissione di colpa; a meno che non siano quelle, asfittiche, acquistate nottetempo vicino a piazza Garibaldi. La cena in un buon ristorante è potenzialmente peggiorativa: più è carino il rimedio, più verosimile il torto. Altrimenti si tentano stratagemmi alla Moccia come lo sms corruttore, che ricalca un sms di primo innamoramento e imperitura memoria: della prima uscita, della prima notte, della prima volta in cui si è riusciti a estorcere un sì anziché un no. O uno nuovo di pacca, che sembra rinverdito d’improvvisa passione – solo che, a differenza dei primi, si farà di tutto per stare nei 160 caratteri. Si tenta la strada della razionalità («amore mio, hai frainteso»), dello sgomento («amore mio, non so cosa mi sia preso»), della seduzione («amore mio, non amo che te»), della sbrigativa dissipazione dell’equivoco montante («amore mio, che cazzo dici?»). Si coinvolgono amici che portino scuse, ambasciate, chiarimenti, minacce sottintese. Oppure, se è estate, si parte per la Grecia con loro, e lei si arrangi. Si interpongono problemi di quotidiana vita vissuta: e va bene, parliamone, ma intanto accompagniamo mio zio che ha l’ortopanoramica. Al Cavaliere falenato tutto ciò è precluso. A un certo livello politico e sociale, anche andare in bagno richiede i prodromi di un summit. Perciò, le scuse alla buona Veronica non possono pervenire né via fiore stremato, né via Bacio Perugina, né per sms dai caratteri contingentati. Come accadeva quando si era giovani, giovanissimi, diciamo alle medie, gli amici del cuore – nel nostro caso Niccolò Ghedini, che gli anticipa quello che leggerà sul “mattinale” con la cernita della stampa – vengono a parte del dispetto della consorte prima del consorte. Quando la luce del giorno lambisce le pagine di Repubblica, la farfalla notturna si trova smarrita come tutte le falene davanti al sole. Così impossibilitato a ricorrere a una delle scappatoie dell’italiano medio, il nostro riunisce attorno a sé gli amici di sempre: Gianni Letta, Fedele Confalonieri e appunto Ghedini. E con loro comincia a cercare il bandolo della matassa. 22


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In un Paese in cui si riescono a tenere nascosti i mandanti delle stragi e la ricetta del coniglio in fricassea, non c’è verso di occultare una querelle domestica. La cronaca racconta di come il povero lepidottero sia stato stizzito e piccato, e caparbiamente abbia rifiutato di parlare con Veronica durante la mattinata. Gianni Letta, fino ad allora, era sempre stato la prima linea contro la quale si infrangevano le avvisaglie di maretta, un frangiflutti che dalla palazzina barocca di Macherio registrava l’imminenza di lettere, interviste, partecipazioni a iniziative, e ne drenava la portata. Non così quel 31 gennaio in cui, come accade in ogni famiglia media quando marito e moglie simpaticamente si accapigliano, viene indetto un sondaggio nazionale per misurare il polso degli italiani, e in particolare della casalinga di Voghera. Che è, in realtà, la vera protagonista di questa vicenda. È per lei che il politico cromaticamente più coerente d’Europa ha piaggiato un totale di oltre tre metri e quaranta di avvenenza femminile da poco meno di metà della quota; è per lei che Veronica Lario ha difeso la sua dignità davanti ai suoi figli; è per lei che il cromocostante presidente ha ponderato la reazione, non potendosi limitare a rimandare, o alzare i toni, o tagliar corto. Perché la casalinga di Voghera sarà lì, seduta sulla sua poltrona in vero finto coloniale Aiazzone da 130 euro, a osservarlo. Sono, quelli, i momenti in cui si soffre. Sono i momenti in cui non frega niente a nessuno del tuo programma elettorale, della successione di Fini nel partito unico, della risposta di Maroni, della maggioranza della sinistra in Parlamento, della votazione pomeridiana sulla mozione sui Pacs (tutte cose che peraltro in genere interessano a pochi), e neppure, arrivo a dire, neppure di Ronaldo al Milan (che interessa a molti). Quando la cronaca scalza il calcio, siamo alla frutta: l’Italia è ferma, appesa, sospesa, per sapere come reagirà. Se, infatti, ci sono innumerevoli modi di fare nel modo sbagliato una cosa, non è detto che ce ne sia anche uno solo di farla nel modo giusto. È triste immaginare un Berlusconi rabbuiato in un angolo, occupato a ricreare con i soldatini di piombo una versione rivisitata della battaglia di Waterloo, in cui Napoleone vince, il duca 23


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di Wellington diventa il suo palafreniere e a Sant’Elena viene allestita una sontuosa Standa, mentre i frangiflutti Paolo Bonaiuti e Valentino Valentini devono ammettere che la lettera è «scritta molto bene». E per forza. Cinque giorni, probabilmente un avvocato, la rassegna stampa: che ci poteva essere, di non calmierato, non soppesato, non valutato, in quella lettera? Ghedini, un uomo la cui posizione nessuno invidierebbe, prende il coraggio a due mani intanto che vengono schierate le 16 mila sciabole dell’Armée du Nord, e Le Petit Tondu nostrano sibila: «Chiamala tu, perché se rispondo io alla sua telefonata...: è un colpo basso, non me lo doveva fare. Ma gliela farò pagare.» Va così. Ghedini telefona alla donna più indispettita d’Italia, e il cui dispetto è tra i più noti al mondo. «Lei, signora, ha fatto una cosa gravissima. Ma come le è venuto in mente. Questi sono affari privati, non si mettono sui giornali. Eppoi abbiamo sempre trovato una soluzione, mi pare. Ne stavamo parlando, stavamo trattando ma ora rischia di rovinare tutto. Io lo dico anche nel suo interesse.» Forse solo a persone estranee ai fatti non può sfuggire la schizofrenica dicotomia implicita nelle affermazioni di Ghedini. Come avviene che le deprecate esternazioni pubbliche diventino improvvisamente un fatto privato? È stata vera gloria, e soprattutto, vera telefonata? Così dice Repubblica. «Dovevate pensarci prima», avrebbe risposto lei. Questo è verosimile. Bisognava pensarci prima. Ma: dovevate? Voi chi? Chi sta litigando con chi, esattamente? D’un tratto, un collettivo è divenuto responsabile delle azioni di un singolo. Armiamoci, e partite. La prima strategia deliberata, comunque, è quella del coniglio scampato alla fricassea: immobilità e silenzio. Non una parola, non un commento, tacesse la Carfagna, guai alla Yespica, le tv del gruppo non fiatino. Come dicevamo, però, talvolta anche cercare di non produrre effetti produce effetti. Il Corriere, puntuale, lo registra quello stesso 31 gennaio. «Silenzio nel notiziario delle 12.25 di Studio Aperto. Silenzio anche nell’edizione del Tg5 delle 13. Nulla anche nel Tg4 delle 24


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13.30», mentre la notizia rimbalza dalla Rai a La7 a Sky Tg24. Tacere quando c’è qualcosa da dire è forse peggio che parlare quando da dire non c’è nulla? Non solo. La Stampa rilancia insinuando che a far perdere la testa al Cavaliere e le staffe a Veronica sarebbe stata ben altra signora: definita da se stessa pratica, idealista e rompiscatole, e da lui una «rompi» (ne conviene), una che morde il polpaccio (ohibò), sempre secondo La Stampa «duttile ed erotica clava mediatica». O la manager d’acciaio sempre più ribelle, come ha titolato appena troppo pomposamente il Giornale, in un’apologia/elegia dell’ottobre 2006: «Ha i capelli rossi lunghi sino alle spalle, indossa tailleur giacca e gonna, porta tacchi alti anche se di suo raggiunge già il metro e settantadue, ha gambe lunghe e il fisico da mannequin in quanto non supera i 55 chili di peso.» Chi è costei, donna dalla capigliatura rutilante con uno stacco di coscia degno del salotto berlusconiano di Porta a porta? Ma Michela Vittoria Brambilla! A 18 anni finalista Miss Italia per la Romagna (va da sé), quindi giornalista per le tre reti Fininvest. Come inviata del programma televisivo I misteri della notte si cimenta in una serie di speciali dedicati alla descrizione della vita notturna di Hong Kong, San Francisco, Barcellona, Budapest, Milano e Città del Messico, dando ampio sfoggio delle sue qualità fisiche. Poi abbandona il normale cursus honorum delle predilette berlusconiane indossando veri indumenti e svolgendo un vero lavoro, dedicandosi all’imprenditoria nel ramo ittico, cosa che le vale l’appello di “rossa salmonata”. Nel 2001 è nella grande distribuzione, si innamora, apre un poliambulatorio medico, ha 3 cani, 24 gatti, 2 asini, 200 piccioni, 3 galline e 4 caprette, e ancora «nell’aprile 2003 è eletta presidente dei giovani imprenditori della Confcommercio di Lecco, tre mesi più tardi è vicepresidente dei giovani della Lombardia, sette mesi dopo il balzo alla presidenza nazionale.» Animata d’incontrollabile energia, inevitabilmente nel 2006 approda a Forza Italia. Il Veneto le nega l’elezione, ma lei intan25


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to fonda i Circoli della libertà, con lo scopo di rappresentare le istanze dei cittadini alla politica. Nel 2007 annuncia trionfalmente che i Circoli sono oltre 5 mila, al primo raduno di fine anno partecipano 12 mila persone… (cioè, una, due per sede?! Se la direzione nazionale afferma che gli elenchi sono conservati dai responsabili territoriali, e non ce ne sia un quadro completo, manca un elenco ufficiale per questioni di privacy (?!), Diario, per inciso, arriva ad affermare a fine agosto dello stesso anno che i circoli sono 20 in totale, 12 a Roma e 8 a Milano). Ma che importa. Non contenta, lei dirige il Giornale della libertà, il settimanale dei circoli distribuito insieme a il Giornale, nonostante la protesta dei giornalisti. Indomita, fonda la Tv della libertà, una rete di partito satellitare, online e su 40 emittenti locali, che trasmette dirette e servizi come i messaggi di Berlusconi, gli auguri di Natale dei parlamentari e varie versioni del videoclip “meno male che Silvio c’è”. MVB libera insomma tutto e tutti (circoli, tivù, giornali), mentre avversari e antagonisti supplicano Berlusconi, che la sponsorizza in ogni dove, di rispettare una deontologia meritocratica (...) e lui li tranquillizza: «Farà anche lei la trafila». Ma quale? Definita «un po’ Morticia Addams rossa e un po’ Jessica Rabbit magra», con lei e per persone come lei («giovani e piene d’ambizione, molto telegeniche») presto Berlusconi si inventa il Pdl, scatenando una faida forzista per la sopravvivenza. Mario Ajello sul Messaggero osserva: una volta i settantenni, per una ragazza, si limitavano a cambiare la macchina, ora invece cambiano i partiti. L’unta di Mr. B si merita un bel titolo di Francesco Bei: «Forza Italia, un partito in rivolta contro l’ascesa di Michela la rossa». Nel 2007, infatti, Berlusconi parla solo della Brambilla e dei Circoli. Designa la Rita Hayworth della politica italiana come solo successore al premierato di lì a due anni, invitandola a intervenire nella riunione di gruppo di Forza Italia alla Camera (senza alcun titolo), suscitando il finimondo; e ancora i giornali raccontano che «l’infatuazione politica per la Brambilla è tale che il Cavaliere ne ha persino parlato a Vladimir Putin a cena nella dacia di San Pietroburgo.» Se insomma esponenti di partiti (non solo Forza Italia, anche allo stesso Fini non va giù) non l’amano, di certo non l’ama nep26


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pure Veronica, in quella trionfale galoppata conclusasi recentemente al dicastero del Turismo. Quale che sia la donna della discordia, mora o rossa, nostrana o straniera, quando un fatto privato diventa pubblico non c’è modo di ripercorrere la strada a ritroso. Risolvere privatamente getta orrende, inquietanti ombre di interpretazione discrezionale. Al di là dell’impossibilità di placare la Lario con Interflora – non un mazzo di gerbere, ma l’intera S.p.A. –, che se ne farebbe la casalinga di Voghera di un’inspiegata, inspiegabile ricomparsa in pubblico dei litigiosi coniugi mano nella mano a distanza di quindici giorni? Ormai non è più la loro lite: è la sua. Le hanno raccontato le galanterie di lui e la stizza di lei e ora vuole un finale. Inutile, peraltro, insistere su questa cosa della privacy. L’adulazione altrui in pubblico è adulazione di sè. È la vanità di far sentire a tutti le supposte discrezioni destinate a una persona sola. E compiacersi della propria audacia, della propria fantasia, della propria eloquenza, della propria imprevedibilità. Tutte cose, per inciso, che mancano del tutto in «verrei con te ovunque» – anche a Melegnano – detto a Miss Amazzonia e «se non fossi sposato ti sposerei» detto a un’ex pin-up. Non rimane che il compiacimento. Bonaiuti avrebbe detto: «E ora? Che facciamo?» (rimarcando la risolutezza che s’impone a un sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega all’Editoria). Semplice la risposta: fare peggio. Se non puoi sussurrare, strilla. Se non puoi saltare, striscia. Anche l’umiliazione è un momento di elevatissima vanità. E lo sa bene la farfalla con le piume da pavone, visto che è stato lui stesso non molto tempo prima a sollecitare prurigini tra la sua stessa moglie e il primo ministro danese, Rasmussen, sostenendo che lui fosse «così bello che potrei presentarlo a mia moglie.» Che faceva, sull’onda dell’entusiasmo per i Pacs si metteva ad adulare un uomo? Ma no, affatto. Poiché, però, si vociferavano insinuazioni con protagonisti Cacciari e la Lario, questa leggerezza significava so tutto e controllo tutto, dispongo di ogni bene, anche del tradimento che riesco a sobillare, perpetrare e 27


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orchestrare ai danni di me stesso. Allora furono costernazione (di Rasmussen, cui Mr. B chiarì: iu dont no de istori, ai’ll tell iu leiter), ironia (Veronica Lario, che constatò: «Mia figlia Barbara si è iscritta alla facoltà di filosofia dell’Università del San Raffaele, in cui insegna proprio Cacciari. Mi sembra una situazione ideale») e sarcasmo (Cacciari: «Io non voglio neppure parlare di una barzelletta del genere. Cosa vuole dire? Mi sembra una stupidaggine totale»). Fare gossip su se stessi, autocalunniarsi, è una contorta ma non necessariamente inefficace forma di vanità. Il nostro Enrico IV, comunque, se ne va a Canossa per metafora epistolare con una missiva, almeno quella, pare, autografa. Per la precisione, sempre secondo Repubblica, la lettera di scuse «la scrive Berlusconi e poi viene ritoccata dai presenti. L’ultima versione, però, è affidata ancora a Ghedini. Prima di divulgarla c’è il parere tecnico-giuridico.» La prosa è un po’ dozzinale, onestamente. La Aspesi commenterà, forse con troppa drammaticità: «[lettera] superficiale, di uno che ancora una volta non ha capito, priva cioè di anche un solo lampo di autentica angoscia per aver passato il segno forse per sempre.» Eccessivo? Sarà stata comunque legalmente inappuntabile, ma una lettera che non strappa una smorfia, nel bene e nel male, è la maschera di Fedro: senza cervello. Purtroppo per me, per voi, per Veronica e per tutte le casalinghe di Voghera, essere personaggi pubblici impone anche questo. Qualcuno litiga al tuo posto, si scusa al suo posto, qualcuno subentra nelle incombenze del principe consorte. Qualcuno che è pagato per interpretare solo uno dei ruoli, ed è assolutamente indifferente a tutti gli altri, come in un film di Stoppard. La somma delle parti (la penitenza, la minimizzazione, il contrappasso, la tutela legale, l’italiano corretto, se non bello) non fa il tutto. Non fa gran che, in effetti. Ma lui non può occuparsi di tutto. Ci mette il compiacimento – tutto quello che si può stantuffare in un metro e settanta di falena. Ma per pentimento, passione, mortificazione, diplomazia 28


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e contrizione c’è bisogno di qualcuno che le provi al suo posto. Naturalmente un professionista. «Cara Veronica, eccoti le mie scuse. Ero recalcitrante in privato, perché sono giocoso ma anche orgoglioso. Sfidato in pubblico, la tentazione di cederti è forte. E non le resisto. Siamo insieme da una vita. Tre figli adorabili che hai preparato per l’esistenza con la cura e il rigore amoroso di quella splendida persona che sei, e che sei sempre stata per me dal giorno in cui ci siamo conosciuti e innamorati. Abbiamo fatto insieme più cose belle di quante entrambi siamo disposti a riconoscerne in un periodo di turbolenza e di affanno. Ma finirà, e finirà nella dolcezza come tutte le storie vere. Le mie giornate sono pazzesche, lo sai. Il lavoro, la politica, i problemi, gli spostamenti e gli esami pubblici che non finiscono mai, una vita sotto costante pressione. La responsabilità continua verso gli altri e verso di sè, anche verso una moglie che si ama nella comprensione e nell’incomprensione, verso tutti i figli, tutto questo apre lo spazio alla piccola irresponsabilità di un carattere giocoso e autoironico e spesso irriverente. Ma la tua dignità non c’entra, la custodisco come un bene prezioso nel mio cuore anche quando dalla mia bocca esce la battuta spensierata, il riferimento galante, la bagattella di un momento. Ma proposte di matrimonio, no, credimi, non ne ho fatte mai a nessuno. Scusami dunque, te ne prego, e prendi questa testimonianza pubblica di un orgoglio privato che cede alla tua collera – conclude il Cavaliere – come un atto d’amore. Uno tra tanti. Un grosso bacio.» (31 gennaio 2007) Un quinto delle parole dedicate alle scuse, il doppio alla venerazione di sè, della propria storia – bella a prescindere dall’insinuata e presto scalzata ipotesi di successivi e meno negoziabili passi (separazione?), del proprio essere un mattatore, con 29


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e senza il quale non si può stare. Niente, e così sia. La lettera arriva alle 15.00, e pare che alla Lario sia stato chiesto se desiderasse modificarla. Sono mortificato. Vorrei che tu fossi molto mortificato. Sono molto mortificato. Un’ora e mezza dopo esce il comunicato. Pace fatta? La casalinga di Voghera non ha molte altre aspettative. I nostri consumano insieme ai figli una cena frugale nel castello di Macherio (torta salata alle erbette selvatiche, crescia sfogliata al rosmarino e cuore di lonzino, torta brusca con cacio e lombetto stagionato, crostini tiepidi con le alici, ghiottonerie tartufate, tortino di fegatini di fagiano e faraona, crespella di ricotta affumicata, torta di zucchine, cacio e zafferano, turbante di frittatine con dadolata di pomodori al timo e corona di erbette, minestrella d’orzo e farro alle erbe officinali e salvia con bignole ripiene di pancetta affumicata, fritto di regaglie alla costumanza feretrana con aglio e salvia, coniglio alle olive nere con crema di peperoni rossi, pecorino alle foglie di noce con miele d’acacia, gelo di mandorla e croccante di noci, squaglio di cioccolato fondente e zenzero, torta di pere), per ritornare presto alla sobrietà delle rispettive esistenze. Lui a Roma, lei alle incombenze di una qualsiasi madre di famiglia: «Centinaia di chiamate da tutto il mondo. C’è anche chi le ha proposto di tenere una rubrica di qualsiasi argomento su un settimanale.» Qualsiasi argomento. Se è una finta, accidenti, che fregatura. Ma vogliamo sprecare l’occasione? Almeno facciamoci su una rubrichetta. E quell’idea della Dunne non è male. La metà di niente. Sarà un trionfo. L’Italia è piena di silenzi che hanno bisogno di essere gridati. Che fortuna. Se invece è vero, la massaia, e poi padri di famiglia con l’affitto bloccato, giovani spose con un contratto a progetto, imbalsamatori a un passo dalla pensione, fuoricorso di economia, si vedono togliere il sonno dall’interrogativo: Veronica si sarà offesa? Silvio sarà stato serio? E qual è il modo migliore di aprire i 30


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ravanelli, una volta tagliati? (è metterli nell’acqua fredda). Dall’altro lato, c’è la pioggia di consigli e commenti inspiegabilmente profusi sul sito di Forza Italia. L’alzata di scudi a proteggere la trapiantata cresta del galletto. Non si può neanche dire bella gnocca!? Lo spot è servito: compra Silvio. Lava più bianco, le spara più grosse, ci sta nel bagaglio a mano, ti insulta ma si scusa, lascia intendere a tutti che ti metterebbe le corna ma probabilmente non lo fa, e nel fingere di domandare perdono è così deliziato di sè, si sente irresistibile, si ama un casino. La Repubblica, che ha pubblicato la lettera di Veronica Lario, onorevolmente tiene il punto fino alla fine di quello che The Independent chiama very ordinary bit of Berlusconian nonsense, regalando prime pagine ai commenti del 1 febbraio di Francesco Merlo e Natalia Aspesi, commissionando persino un sondaggio per scoprire se gli italiani abbiano trovato la lettera di Veronica una buona idea (la poveretta sarà stata in palpitante attesa del responso...). Inoltre, dedica le pagine 1, 2, 3, 4, 6, 7 e 19 alla replica di Mr. B; Libero ben quindici pagine, con commenti, ricostruzioni della vita privata e pubblica della coppia e varie reazioni del mondo politico; il Corriere della Sera cinque pagine alle vicende familiari di Mr. B; il Giornale altrettante – le prime. Il quotidiano di via Solferino, peraltro, puntigliosamente segnala il passaggio della notizia del giorno sulla CNN, sul Washington Post, su El Mundo, dall’Alpi alle Piramidi, dal Manzanarre al Reno. Ma proprio la stampa estera, con questo inconsistente, imperscrutabile senso delle priorità, a tratti si accoda al Times che, incredulo di fronte alla querelle in corso, lei sì, la metà di niente, ha pubblicato il 1 febbraio una lettera posticcia, titolando l’articolo «Marriage Italian Style», anche se Italian Style sarebbe stato forse sufficiente. «Silvio Berlusconi rimette scuse alternative alla moglie irritata 31


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Cara Veronica, è veramente penoso leggere la tua lettera sulla prima pagina di Repubblica, in cui sostieni di aver trovato i miei innocui lazzi d’amoreggiamento rivolti durante la cena di gala alla mia compagna di partito Mara Carfagna (anni 31) “lesivi della tua dignità”. Madonna mia! Solo perché dico a una bella e giovane politica il cui seno nudo può essere scorto su vari siti internet che “se non fossi già sposato la sposerei” ciò significa che lascerei il tuo fianco? No! Nè significa che sia uno sciovinista che svilisce o sminuisce le donne. A ogni modo, per più di un motivo sono stato felice di leggere la tua lettera aperta. Perché sollevando le tue recriminazioni, mi offri l’opportunità di dimostrarti che sono un marito abbastanza uomo da sedere, esaminare le tue lamentele, punto per punto, e riconoscere dove tu ti sbagli. Parlo molto ma non faccio niente (è il mio modo di far politica all’opera!). Rispetto a molti politici sono esemplare. Guarda i presidenti francesi! Guarda Bill Clinton (e anche Monica Lewinsky!). Guarda John Major e Edwina Currie! Jackie Kennedy ha forse scritto una lettera al Washington Post mentre suo marito era indaffarato in altrui letti? E se per una volta scherzo con il primo ministro danese, Anders Fogh Rasmussen, dicendogli che è “di così bell’aspetto che sto pensando di presentargli mia moglie”, pensi che l’intendessi davvero? Dove sarebbe l’Italia se le persone cominciassero a credere ai politici? Quindi, come possiamo riparare il nostro matrimonio? La vita di un politico è concitata. Ma dobbiamo trovare il tempo di uscire a cena due volte la settimana − tu il martedì, io il venerdì (scherzo, amore mio!). Il tuo sempre innamorato marito, Silvio»

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