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Indice
1. Dove si narra del progetto del cavallo bianco
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2. Dove si narra di alta strategia elettorale
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3. Dove si narra della annunciazione ai parlamentari
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4. Dove si narra di un comizio nel lombardo-veneto
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5. Dove si narra di un comizio in terra di Sicilia
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6. Dove si narra dell'intervista televisiva di Giuditta Brown
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7. Dove si narra del discorso alla nazione
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1. Dove si narra del progetto del cavallo bianco
Quel giorno a Brugherio l’alba mandava bagliori dorati. Silviolo se li godette per lunghi minuti, quasi avidamente, passeggiando sul terrazzino della villa dove aveva trascorso la notte a preparare il meeting del mattino. Brugherio ispirava i suoi sensi fin da quando, giovanotto pieno di energie, ne aveva edificato con futuristici criteri interi quartieri dormitorio. E al meeting delle nove avrebbe dovuto presentarsi lucido, determinato, ricco di idee, tonico come un gingerino. Da condottiero, insomma. Vi avrebbe incontrato i suoi piÚ fidi collaboratori per disegnare la propria strategia elettorale. E sapeva benissimo che per vincere bisogna comunicare certezze e passioni anzitutto alla cerchia delle persone piÚ vicine. Aveva già deciso praticamente 1
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tutto: obiettivi, mosse, messaggi. Ma li avrebbe ascoltati lo stesso con pazienza, per dare loro l’eccitante sensazione di contare qualcosa nelle sue decisioni. Rientrò nel pensatoio, si sedette alla scrivania giocherellando con una matita rossa e blu quando entrò Priscilla, la sua cameriera preferita. Silviolo le lanciò un’occhiata entusiasta. La ragazza aveva un grembiulino azzurro leggermente aperto sopra le ginocchia che la fasciava maliosamente nella polverosa luce del mattino. “Buona giornata”, fece lui con voce allegra e squisitamente padronale, iniziando a squadrarla. “La trovo in forma” disse da consumato corteggiatore, aggiungendo dopo un secondo “e anche in sostanza”. Scoppiò a ridere di gusto, come ogni volta che raccontava una barzelletta che evocasse le più apprezzate virtù femminili. Priscilla fece un risolino divertito e lusingato di circostanza, depositò un caffè ristretto sulla mensoletta vicino al telefono. Poi, come ogni mattina, tirò fuori uno speciale fazzolettino anticerone e lo passò sulle cornette di tutti i telefoni. “Buon lavoro, presidente”, gli fece sorniona. Lui sorrise e riprese in mano la matita. Guardò e riguardò gli appunti stesi nella notte insonne, li mandò a memoria per stupire ancora una volta i suoi collaboratori, usi giurare al mondo che egli avesse tre marce in più di un mortale, e si ricompose i capelli.
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Alle nove in punto giunse Servio Tulliolo, il più fidato dei suoi consiglieri, il più destro dei suoi bracci destri. Paffuto, con le guance lisce come il sederino di un bebè, un dolce sorriso da prete, amava il suo principale di un amore intenso e sacrale. Al punto che aveva rinunciato a tutti i capelli per regalargli − per effetto del puro confronto ravvicinato − la meravigliosa sensazione di possederne tanti. Silviolo alla sua sola vista si entusiasmò. Godeva già al pensiero di vederlo annuire in estasi a ogni sua parola durante il meeting. Giunse poi Azzimino, la capigliatura liscia e ben sistemata che sembrava programmata da un computer, nessuno mai l’aveva vista scomporsi a refolo di vento o a uragano. Poi suonò Sulpicio, l’ambasciatore prediletto, l’uomo per tutte le missioni, il viaggiatore fidato per tutti i continenti. Solo a Torino, per via di quel nome così imbarazzante per il vernacolo locale, Silviolo non si era mai sentito di mandarlo. Una privazione che aveva purtroppo contribuito a non fare mai decollare il feeling con la famiglia Agnelli. Quindi via via arrivarono tutti gli altri. Giunse Giuliano, il consigliere di maggior peso, celebre per gli eccessi fisici e intellettuali. Giunse Marcello, celebre per gli eccessi di frequentazioni. Giunse Tarquinio Priscolo, celebre per la inimitabile deferenza con cui assentiva in silenzio a ogni parola del Capo. Dopo essersi contati si recarono insieme al meeting point dove si sedettero circolarmente. Sette in tutto, come i re di Roma. Silviolo li arringò da par suo. Le sinistre, disse, sentono il vento in poppa. E nel dire quella parola non seppe trattenere un sorriso birichino e boccaccesco. Ma noi, aggiunse, abbiamo il dovere di contrastarle fino all’ultimo. Vi dirò di più: questa è una partita che si vince in zona Cesarini, credetemi, li sollecitò con il suo sempre efficace gergo calcistico. Mostrò loro i risultati di un sondaggio. Le massaie, vi si diceva, avevano il dente avvelenato con i prezzi. L’euro, ecco, dobbiamo battere sull’euro per 3
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prenderci il voto delle massaie. Gli anziani, poi, avevano il problema della sicurezza. Ma anche quello delle pensioni, azzardò timidamente Azzimino. Certo, rispose lui un po’ bruscamente, e noi mettiamo tutto insieme. E gli diciamo che i delinquenti pullulano grazie ai clandestini protetti dalla sinistra, e che, senza i poliziotti di quartiere che abbiamo voluto noi, gli ruberanno le pensioni all’uscita degli uffici postali. Poi annunciò raggiante: e infine gli operai. Gli altri sei si guardarono stupiti. Si dissero l’un l’altro senza parlare: e che gli racconteremo mai agli operai dopo tanti anni? che li abbiamo fatti fessi senza rimedio? Silviolo invece calò l’asso. Gli operai temono la disoccupazione. E noi gli spiegheremo che perdono il lavoro per colpa della Cina, che la colpa è dei sindacati che invece di andare in Cina a chiedere più salario per i veri sfruttati stanno qui a fare le marce e i cortei politici per i comunisti. Servio Tulliolo lo guardò incantato. Gli percorse con una sbirciata devota tutti i capelli che portava sdraiati sopra la fronte e pensò: ha qualcosa di geniale. Massaie, anziani, operai. I disgraziati, le persone comuni, li aveva messi tutti insieme dalla sua parte. Tra gli imprenditori e i professionisti ne aveva già almeno la metà senza nemmeno bisogno di aprir bocca. E i giovani?, azzardò Sulpicio. I giovani, Silviolo, come li porterai a votare per noi? “Giast e minut”, rispose lui nel suo inglese sprint, come diceva. Riprese in mano i fogli dei sondaggi e poi spiegò: vedete, i giovani oggi sono in cerca di ideali. Qui il 52 per cento risponde che è disposto a rinunciare a un po’ di benessere materiale pur di vivere in una società più ricca di valori. Noi lanceremo una grande campagna di valori, contro il materialismo della sinistra. Sentendolo parlare così, Azzimino gongolava. Lui, il Capo, era lanciatissimo. Basta con il titolo di studio, aggiunse, come se per essere davvero qualcuno si debba essere laureati o diplomati. Forse che un contadino che fa bene il suo lavoro non ha una sua grande digni4
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tà, a volte più grande di quella che abbiamo tutti noi messi assieme? I sei fecero andare su e giù vigorosamente il mento, in segno di libero assenso. E allora perché mai dovremmo mandarli tutti a scuola o all’università, solo per parcheggiarli a poltrire in attesa che facciano manifestazioni con le bandiere rosse? Sapete che vi dico? Noi proporremo un epocale ritorno al lavoro manuale. Basta con i lazzaroni, con i figli di papà. In quel mentre bussò alla porta il giovane primogenito Gianromolo. Silviolo si alzò subito premuroso e gli chiese se avesse bisogno di qualcosa. Gianromolo gli sussurrò qualcosa nelle orecchie, scusandosi a gesti con gli astanti. Il padre trasse dal portafogli il libretto degli assegni, gli firmò qualcosa, e poi gli chiese di rimandargli indietro l’elicottero prima di sera. Dove eravamo arrivati?, riprese. Ai figli di papà, risposero tutti in coro. Ecco, aggiunse, noi dobbiamo dare un futuro ricco di valori ai nostri giovani. La religione, la patria, l’amore verso i genitori e verso le istituzioni, il piacere del sacrificio. Quale legge finanziaria è in grado di contabilizzare questi valori? Eppure se fossero diffusi e vincenti (usò esattamente questo aggettivo) il paese sarebbe enormemente più ricco e i giovani più soddisfatti. Non voglio fare l’utopista. Diciamo che è una questione tennica. Proprio così disse: “tennica”, come dicono i milanesi di fuori le mura, incapaci per vocazione di mettere in fila la “c” e la “n”. “Tennica”, ripeterono tutti in coro. Ormai la strategia era chiara. Silviolo avrebbe puntato le sue carte sugli strati meno ricchi della popolazione. Li avrebbe presi per il verso giusto, avrebbe suonato le loro corde, avrebbe gettato il peso dei suoi messaggi sulle televisioni che possedeva in grande copia, si mormorava nell’opposizione che ne avesse addirittura tre e mezzo e che altre due e mezzo ne controllasse in virtù della sua autorevolezza e del suo prestigio politico. Il meeting point ormai era tutto un surriscaldarsi di idee, di ardimenti 5
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intellettuali, di slanci verbali e immaginifici. Sicché quando entrò la povera Priscilla per una tornata di caffè sul vassoio d’argento, fu un rotear di mani galeotto al suo passaggio e un fiorir di commenti a doppio senso. Silviolo, che godeva particolarmente nel vedere crescere a sé d’accanto un clima tra il deferente e il goliardico, ne approfittò per raccontare una delle sue mitiche barzellette. Ci sono un italiano, un tedesco e un cinese, incominciò. Ma proprio in quel momento trillò il telefonino numero sette, quello dedicato alla linea diretta con George. Si emozionò talmente che aggiunse subito: no, c’è anche un americano. Poi scattò in piedi, si riaggiustò anche il nodo della cravatta e salutò l’amico con trasporto, facendo plateali segni agli altri sei. Ma ceeertooo, esultò a non si sa quale notizia. Dopodiché si fece confidenziale e suggerì all’amico quel che solo lui, con la sua autorevolezza, poteva suggerirgli. Io ritirerei le truppe, George, lo consigliò. Dammi retta, il mondo non capisce e noi occidentali, tu e io per primi, abbiamo delle grandi responsabilità verso il pianeta. Questa guerra ha sempre meno senso ogni giorno che passa. Non è per dar corda ai pacifisti, tanto quelli lo sappiamo che sono manovrati dai comunisti, Fidel Castro in testa a tutti. Ma dobbiamo fare questa scelta proprio per affermare la nostra funzione guida. Per far vedere che siamo lungimiranti, che sappiamo unire l’uso determinato della forza con il senso della democrazia. Ascoltami George, recitò quasi sottovoce. Dall’altra parte vi fu qualche secondo di silenzio. Poi, dalla cornetta di nuovo cosparsa di cerone, risuonò nel meeting point un urlo terrificante. Silviolo corse pallido verso un angolo, con la faccia contro il muro, continuando a ripetere “Per favore, piano, ci sono qui delle persone, d’accordo George, dicevo così per dire, occhei, occhei, non preoccuparti, non lo dico più”. Poi si voltò verso i suoi fedelissimi e disse loro: “George dice che è perfettamente d’accordo con me, e anzi mi ringrazia per l’enne6
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simo consiglio che gli ho dato. Ragazzi, davvero questi americani sono dei bambinoni che vanno guidati con santa pazienza. Mi dice solo che c’è qualche ulteriore valutazione che vorrebbe approfondire con me nel mio prossimo viaggio a Washington”.
Se non ci fossi tu, lo vezzeggiò Servio Tulliolo, il mondo andrebbe avanti senza un disegno intelligibile. Disse questa frase, e soprattutto impiegò quell’espressione − “disegno intelligibile” − come se stesse argomentando di teologia. Gli altri non ebbero il coraggio di ridere, si limitarono ad annuire senza intervenire di rinforzo com’erano soliti fare in altri casi. L’urlo lanciato da oltre oceano, d’altronde, era risuonato in tutta la stanza. Per fortuna l’atmosfera di imbarazzo venne rotta da un nitrito potentissimo proveniente dalle stalle. E che è?, sobbalzarono all’unisono i consiglieri. Silviolo li rassicurò subito. È il cavallo preferito di Marcello, spiegò. Dev’essere ancora addomesticato ma abbiamo ingaggiato un domatore delle Madonie che è un’autentica cannonata. Delle Madonie?, chiese incredulo Azzimino. Certo, rispose Silviolo, non lo sai che sulle montagne della Sicilia occidentale si trovano i domatori e gli stallieri più pregiati? Ce li invidiano anche all’estero. A quel punto Giuliano, l’ultimo consigliere sopraggiunto, ebbe una pensata straordinaria, una pensata delle sue. Silviolo, suggerì, ma perché se abbiamo 7
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questi cavalli e questi domatori non te ne vai per l’Italia in campagna elettorale su un cavallo purosangue? Pensaci bene. Mortadella userà un Tir. Tu userai un cavallo. Per un istante i collaboratori di Silviolo rimasero vagamente interdetti. Ma già l’istante dopo l’idea aveva conquistato la loro immaginazione. Fu tutto un tripudio, un trionfo di pacche sulle spalle, di previsioni − è il caso di dire − felicemente galoppanti. Vedendo l’espressione interessata del Capo, i sei fecero a gara per far bella mostra delle proprie idee. Servio Tulliolo fu immediatamente un passo avanti agli altri. Ma certo, disse, devi andare su un cavallo bianco per tutta la penisola. Solo sulla penisola?, protestò subito Marcello. Ma no, si difese lui, certo che deve andare anche in Sicilia. E in Sardegna, fecero in coro gli altri. D’accordo, riprese Servio Tulliolo, penisola e isole. Ma su un cavallo bianco, come l’eroe di una leggenda, come il salvatore della nazione. Come il generale di un esercito coraggioso, distillò Azzimino. Silviolo era visibilmente inorgoglito da quelle immagini favolose. Le parole poi, “leggenda”, “eroe”, “coraggioso”, lo stuzzicavano nel suo ingenuo desiderio di passare alla storia come un Liberatore. Ma t’immagini, ti rendi conto della forza che avrebbe un’apertura del telegiornale con Silviolo che entra al galoppo in una città festante? E ormai con i capelli al vento, chiosò Marcello, fissando complice Silviolo negli occhi. Certo, con i capelli al vento, gorgogliò felice il buon Servio. E poi nessuno potrebbe più fare battute sulla sua altezza, perché la figura di lui a cavallo sarebbe imponente quanto il Colleoni. Davvero per tutti gli italiani sarebbe nel modo più plastico e autorevole il “Cavaliere”. Ma non si dice fantino?, scappò di domandare a Gianromolo, che era entrato un attimo per chiedere al padre il numero dell’elicottero che doveva usare. Fu subito zittito dagli altri, amorevolmente ma con leggero sussiego. Ora ognuno trovava un ottimo motivo per perorare il giro 8
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d’Italia a cavallo. Vuoi mettere Mortadella? Quello se ne va in Tir lasciando una scia di inquinamento dovunque. Mentre tu fai una campagna ambientalista, ecologica, e va a finire che ti prendi i voti di tutte le associazioni verdi; quelle non criptocomuniste, almeno. Sì, sì, gongolò Sulpicio, e poi Mortadella dà l’idea di avere bisogno di una corte che viaggia con lui, e gli italiani penseranno subito che se si porta la corte dietro prima di vincere le elezioni chissà che corte si porta al seguito quando le ha vinte. Tu invece te ne vai da solo, diritto in sella, affrontando il tuo destino a testa alta. Tutti ti vedranno come l’uomo di coraggio a cui affidare le sorti dell’Italia. E non basta. Mortadella se ne andrà sulle autostrade e salterà centinaia di città. Mentre tu a cavallo sarai costretto ad andare per le strade statali, e così girerai per l’Italia della provincia, che è quella più profonda, più calda. Diranno che lui è un freddo e tu un italiano vero, degno dell’Italia dei comuni. A sentire quelle osservazioni, Giuliano si leccava barba e baffi. Mentre Marcello appariva inarrestabile, in ogni senso. Si muoveva, girava circolarmente intorno al tavolo. Ma certo, vedo già lo slogan sui manifesti sei per sei, in tutte le città: la Casa delle libertà è a cavallo. Fantastico!, urlarono tutti in coro. Silviolo vide però in quel riferimento alla Casa delle libertà una diminuzione del suo individuale eroismo e corresse. Fantastico mica tanto, commentò. Diciamo “un presidente a cavallo” o, se proprio dobbiamo fare riferimento a un’entità più generale, mettiamo “l’Italia è a cavallo”. Grandioso!, esplosero di nuovo all’unisono. Brindiamo, esortò festante Silviolo. Chiamò subito Priscilla, la quale − avvertendo con sensibilità tutta femminile l’attimo d’estasi collettivo − si sentì spinta a dimenarsi leggermente entrando con la bottiglia di champagne. Gli occhi le si appiccicarono sul di dietro ben tornito, qualche mano sfiorò casualmente il grembiulino azzurro, lo sguardo di Sulpicio riuscì a frugare furtivamente nel piccolo spacco sopra le 9
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ginocchia. Fu un coro: brinda con noi Priscilla. La ragazza si protestò astemia e riprese la porta con andatura maliziosa, sapendosi osservata. Gli altri alzarono i calici per brindare al presidente a cavallo. Ma mentre le braccia erano già lanciate verso l’alto Silviolo bloccò tutti con un gesto imperioso e fece “aspettate, prima vi racconto una barzelletta”. Gli altri si fermarono sorridenti. Poi prese la parola lui. Dunque, iniziò, io muoio (e nel dirlo fece un ampio gesto delle corna rivolte verso il pavimento) e vado all’inferno. Qui vedo i diavoli girovagare senza mansioni precise battendo la fiacca e allora dico a Satana: ma voi all’inferno siete disorganizzati. Lui allora si arrabbia e mi dice: ah sì?, e allora se qui non ti piace vattene pure in paradiso. Così, dopo essermela spassata sulla terra, sono arrivato gratis in paradiso. E qui ristette in silenzio. Gli altri restarono a loro volta muti e incerti in attesa della continuazione, della battuta folgorante. Silviolo comunicò: è finita. Allora i sei scoppiarono a ridere, dandosi grandi manate sulle spalle, di vero gusto. È proprio il caso di dire che ne sai una più del diavolo, commentò al colmo del divertimento Azzimino. E giù di nuovo una fragorosa risata collettiva. Si lasciarono con la convinzione di avere partorito un’idea geniale, in grado di stritolare senza problemi le ambizioni di rivincita del centrosinistra. Venne subito commissionato un sondaggio da fare in giornata. Scientifico, si raccomandò Silviolo, il più scientifico possibile. E aggiunse l’ordine di “attenzionare”, come diceva lui con linguaggio d’appuntato, tutti i posti delle grandi città in cui si potevano affiggere in modo visibile i megamanifesti di se medesimo cavaliere sul quadrupede immacolato. Marcello gli annunciò che sarebbe andato a trovare il domatore delle Madonie, in fin dei conti era partito tutto dal nitrito del suo cavallo. E gli chiese devotamente se aveva ordini da trasmettergli. Il Capo fece cenno di no. Licenziò i fedelissimi, diede loro 10
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appuntamento per il giorno dopo, annunciando che sarebbe rimasto lì a Brugherio e che si sarebbero visti alle nove in punto.
Poi si ritirò nel thinking point, una stanza allestita per le decisioni strategiche, nella quale aveva riunito, per ispirarlo, le immagini dei suoi pensatori e artisti preferiti. Tra un Apicella della scuola napoletana, un Tony Renis del secondo Novecento, un Licio Gelli di data incerta, un giocondo Bush jr del Duemila e un caravaggesco Putin con colbacco, si sistemò sulla poltrona sdraiando le gambe su una sediola. Il cavallo bianco, rimuginava. Io su un cavallo bianco. L’immagine gli era piaciuta da morire, ma ora iniziava a valutarne tutte le conseguenze. Chissà perché, ma c’era qualcosa che, in fondo in fondo, non lo convinceva. Anzitutto perché a cavallo non ci sapeva andare. Certamente non ci avrebbe messo molto tempo a imparare. Non era egli forse dotato di qualità sovrannaturali, tanto da potere impadronirsi in fretta dei mestieri e delle professioni, compresa quella del regista televisivo, dell’allenatore o del politico, che agli altri richie11
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dono normalmente anni e anni di duro apprendistato? E poi, se sapeva andare a cavallo perfino Giuliano (che pur ne era caduto una volta), anche lui avrebbe imparato ad andarci in pochi giorni. Semmai il problema era quello di trovare un cavallo bianco, ma bianco, ossia candido, per davvero. Se ne sarebbe trovato uno pienamente fotogenico e telegenico, in grado di non sfigurare sotto di lui sui manifesti di tutta Italia? Un cavallo con una bella criniera che potesse fare degno pendant con la sua, visto che quel riferimento di Marcello ai capelli al vento lo aveva mandato letteralmente in sollucchero? Ci pensò e ripensò, scrutando circolarmente i ritratti solenni dei suoi maestri lungo le pareti del thinking point. Alla fine decise, come nei momenti cruciali, di ascoltare il parere dei suoi due figli, Gianremolo e Gianromolo. Telefonò al secondo e gli disse di tornare presto con l’elicottero. Poi chiamò il primo e gli chiese di interrompere per un pomeriggio le impegnative attività di corteggiamento di ballerine che lo assorbivano senza sosta. All’ora del tè i due gioielli arrivarono a Brugherio. Toccarono lievemente anche loro, a distanza di mezz’ora l’uno dall’altro, le rotondità della povera Priscilla e si sedettero davanti al potentissimo padre incartato nelle sue incertezze. Con la loro ingenuità giovanile Gianromolo e Gianremolo restarono di stucco quando sentirono che cosa era stato escogitato nel meeting point di Brugherio. Gianromolo, che pure aveva un carattere assai quieto, si inalberò. E quei sei, chiese, ti hanno suggerito seriamente la strategia del cavallo bianco? Papà, incalzò, tu mi stai dicendo che dei tuoi consiglieri più fidati neanche uno si è alzato a raccomandare di non dire fesserie? Silviolo, che pure era incerto su quel progetto, fu percorso da un fremito di impermalimento a sentire il figlio maggiore parlare con quella intolleranza da no global. Tutto sommato l’idea era piaciuta anche a lui. Anzi, senza il tutto sommato. Lo aveva invece proprio entusiasmato. E dunque gli intimò spazientito di non esage12
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rare. Ma Gianromolo andò avanti senza troppi riguardi. Anzitutto non sai andare a cavallo. Questo lo so, ma non è un problema, gli replicò il padre. Lo è, lo è. Ma siccome non lo ammetterai mai, ti chiedo un’altra cosa. Ma ti rendi conto? Prova un po’ a immaginare la scena. Tu vai con il cavallo a un comizio, tutti ti si fanno intorno per festeggiarti, viene un sindaco di Forza Italia a riceverti con tanto di fascia tricolore, tu scendi gloriosamente dalla sella mentre una elegante signora sempre di Forza Italia ti regala una rosa davanti alle tivù e, giusto in quel momento, magari mentre lei ti bacia, plaff, il cavallo lascia cadere le sue, diciamo così, frittate in mezzo alla folla. Così i bambini scoppiano a ridere e il primo cretino di passaggio esclama “ecco, si vede che è arrivato”. E il giorno dopo chi passa lì sul posto dice “ecco le sue tracce”. Ma ti rendi conto delle battute al vetriolo dei tuoi nemici, dei commenti acidi dei giornalisti, e anche delle arrabbiature dei negozianti che dovranno pulire davanti al marciapiede? Non solo: ma se il cavallo imbizzarrisce, magari davanti a una bandiera rossa, e tu inizi a correre in groppa a lui per la piazza gridando aiuto, e non sai quando ti fermi? Ma dico, papà, ma che consiglieri hai? In effetti il film mentale di dovere chiedere aiuto tra le risate della piazza, proprio lui onnipotente, un po’ lo urticava. E poi l’idea di vedere associato il suo arrivo con le produzioni maleodoranti dell’equino, per quanto bianco e immacolato potesse essere, be’, questa lo inquietava veramente. Gianremolo diede man forte al fratello senza tuttavia smettere di parlottare più o meno segretamente al cellulare con le sue ballerine. Poiché coglieva in ogni caso il senso delle obiezioni di Gianromolo, e vedeva le rughe paterne accentuarsi ogni minuto di più in una smorfia di resa, non gli riuscì difficile sintonizzarsi con il clima morale del momento. Papà, aggiunse, ma poi sei sicuro che gli animalisti non ti facciano una campagna contro, 13
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che non diranno che per una tua vanità elettorale stai spremendo ogni goccia di fatica e di sudore da un povero cavallo, costringendolo a girare per tutta l’Italia con gli speroni ficcati nei fianchi? E ci pensi poi agli slogan che potrebbero inventarsi? Le sinistre sono spietate, lo sai. Direbbero “L’Italia è rimasta senza benzina”. Oppure, peggio, “Finalmente si è dato all’ippica”. Le obiezioni dei figli erano diventate ormai incalzanti. Silviolo non riusciva proprio a superarle, benché solo il Signore sapesse quanto, ma davvero quanto, gli aveva fatto piacere sognarsi a cavallo di un cavallo bianco nella sua eroica lotta contro il Tir di Mortadella. Re Artù, Che Guevara, Garibaldi: chi gli sarebbe assomigliato di più? Quando i due giovanotti se ne furono andati, ciascuno indefessamente impegnato nelle proprie meritorie attività, Silviolo si concentrò nelle proprie riflessioni. Invano guardò i volti penetranti ed evocativi di Tony Renis e di Putin per trarne qualche suggestione. Chiamò Priscilla, pronta in queste occasioni a sentirsi rifilare qualche barzelletta scaldaumore. In effetti il padrone pensò sulle prime di raccontare quella dell’italiano, del brasiliano e del tedesco; poi, dopo avere leggermente sfiorato il di lei grembiulino all’altezza dei fianchi, le chiese di portargli un tè caldo. Un tii, le disse con un inglese intonato al thinking point. Le aggiunse di attenzionare bene la temperatura, che non fosse bollente. Poi telefonò all’amica prediletta, una platonica passione che coltivava dagli anni dei fasti immobiliari. Lei rispose subito. Numa Pompilia, le disse, mi daresti un tuo consiglio su una questione che mi sta molto a cuore? Mi vorrebbero far fare una campagna elettorale in groppa a un cavallo bianco, come un eroe leggendario. Tu che ne dici? I miei consiglieri più fidati spingono molto su questa idea, ci sto facendo fare anche un sondaggio. Ma Gianromolo e Gianremolo sono contrari. Ostili addirittura, direi. Numa Pompilia cercava di non contraddirlo mai. E 14
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anche stavolta, avendone intuito le perplessità, lo assecondò amorevolmente. Mi sembra che i tuoi splendidi figli abbiano ragione, sussurrò al telefono. Ma in che condizioni si troverebbe la tua schiena dopo avere percorso tutta l’Italia a cavallo? Dove finirebbe, per mesi e mesi, il mio tombeur de femmes? Me lo troverei imbalsamato in una cintura Gibaud? Fu un attimo. L’osservazione di lei stroncò definitivamente, senza più appello, l’idea del cavallo bianco. Quel senso pratico tipicamente femminile ebbe il sopravvento su tutte le immaginazioni politiche e le strategie di marketing elettorale dei consiglieri più fidati. Silviolo andò a dormire ben determinato a scartare il progetto che tanto aveva entusiasmato il suo staff nel meeting point. Curò che non ci fossero capelli sul cuscino e si addormentò del sonno del giusto. Il mattino dopo alle nove i sei giunsero tutti insieme. Allegri, tonici, evidentemente rafforzatisi vicendevolmente nella convinzione di avere davvero partorito il giorno prima un’idea geniale. Silviolo li accolse con un pizzico di freddezza, seppure con le consuete pacche sulle spalle e offrendo loro il celebre caffè di Priscilla (caffè corretto, suggeriva lui sogghignando; dove il “corretto” stava per il palpeggiamento clandestino che gli ospiti di casa solevano concedersi all’arrivo della tazzina). E allora?, esordì Sulpicio. A Brugherio si chiedeva sempre così, quando si incontrava una persona. Era un modo automatico di intavolare la discussione anche se si sapeva che l’interlocutore non era di buon umore, o addirittura aveva patito un lutto. Un modo così contagioso che anche nella vicina Milano l’avevano adottato, specie dopo i matrimoni e i funerali. E allora?, fece dunque Sulpicio. E allora niente, rispose Silviolo un po’ infastidito. Gli altri si scambiarono sguardi di sorpresa. Lui si aggiustò il nero ciuffo e partì subito in quarta. Ma ci avete riflettuto? Ma davvero vi sembra una buona idea? Ma sapete quante controindicazioni ha questa pensata? Gliele enumerò tutte. La schiena, gli 15
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imbizzarrimenti del cavallo, i micidiali “plaff” all’arrivo nelle piazze, i problemi di telegenia dell’equino bianco. Gli altri sulle prime rimasero interdetti; poi, un po’ feriti nel loro orgoglio di strateghi, cercarono di riconvertirlo agli originari entusiasmi. Ma come, fece Servio Tulliolo, ma pensa anche al messaggio che potresti mandare. Ne abbiamo parlato tutto ieri con Marcello, vero Marcello? Marcello assentì. Senti qua che roba: la destra sul destriero! È fantastico! Avresti un vantaggio, una vera rendita di posizione semantica rispetto alla sinistra, che non potrebbe mai lanciare uno slogan simile dall’altra parte. Gli altri facevano di sì con la testa. Ma Marcello, intuendo la contrarietà del Capo, corresse subito: anche se, a ben vedere, noi non siamo la destra, noi dobbiamo dire che siamo il centro. Nemmeno, si inserì Giuliano. Noi dobbiamo dire che siamo i riformisti contro i comunisti. A sentir questo, Silviolo, che di riforme ne aveva obiettivamente fatte tante e tutte clamorose, si ringalluzzì. Certo, riformisti, aggiunse; e senza cavallo bianco. Servio Tulliolo, che sentiva i suoi sodali sfilarsi dalle originarie posizioni, si aggrappò alla speranza che il Capo potesse essere nuovamente convinto dallo strumento di persuasione per lui più potente: i sondaggi. E proprio in quel momento bussò Priscilla con una grande busta su un vassoio: lo manda la “Data Champions”, disse. Silviolo la aprì, la guardò con attenzione corrucciata, poi sbatté i fogli sul tavolo e comunicò secco ai suoi fedelissimi: avevo ragione io, non se ne fa niente. Con squisita educazione Azzimino chiese di poter sapere i risultati. Erano inequivoci. Alla domanda su quale animale fosse simbolicamente più adatto a portare in groppa Silviolo in giro per l’Italia, il 48 per cento rispondeva “un asino”, il 23 per cento “un mulo”, e solo il 14 per cento rispondeva “un cavallo bianco”, al quale forse si potevano aggiungere un 8 per cento che rispondeva “una tigre” e un 4 per cento che rispondeva “un toro”. Servio Tulliolo fece l’ultimo disperato tentativo. 16
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Ma vedi, disse, l’asino, l’asinello, è il simbolo di Mortadella. Se le gente immagina te che lo cavalchi vuol dire che tu gli sei superiore, che ci monti addirittura sopra e lo porti dove vuoi. Insomma, ti vede come il dominatore, è chiarissimo. E il mulo, scusa, il mulo − aggiunse Sulpicio − è il simbolo della fatica, dell’umiltà. Se tanti lo indicano, associandolo a te, vuol dire che nella gente ha sfondato l’immagine del presidente operaio. Silviolo ebbe la poderosa tentazione di prendere tutti a calci nel sedere. Ma che fesserie state dicendo!, li apostrofò scrutandoli circolarmente negli occhi, con l’esclusione di Marcello, con il quale non se lo sarebbe mai potuto permettere per via di antiche gratitudini. Giuliano per la paura inghiottì di corsa un supplì che aveva appena estratto dal taschino della giacca. Ma di che cianciate sulla mia pelle, continuò lui quasi sprezzante, che poi sono io che pagherei per tutti, io che pagherei il prezzo delle vostre minchionerie. Abbassarono tutti il viso come chierichetti contriti, in attesa di sentirsi annunciare subito, lì nel meeting point, la strategia alternativa. Silviolo lo capì. E anche se non aveva ancora messo a punto una vera strategia, la annunciò lo stesso, come il suo ruolo di capo gli richiedeva. “Farò il giro d’Italia in elicottero” disse di colpo. Fu un trionfo immediato. “Grandioso”, disse uno. “Sublime” squittì un altro. “Geniale”, decretò un altro ancora, in un turbinio indistinto di lodi e assensi. Altro che Mortadella con il suo Tir, costretto a viaggiare terra terra. Tu, lo lusingò Servio Tulliolo, ti innalzerai sopra tutti e dall’alto tutto vedrai. Nessuno, aggiunse bofonchiando come quando si faceva spiritoso, potrà dire che non vedi oltre il tuo naso. A quella battuta risero tutti, chi più chi meno esageratamente. Bisognerà attenzionare bene tutte le piazzole di atterraggio, consigliò Azzimino, che aveva ormai assimilato il linguaggio del suo Capo. E dove non ce ne sono bisognerà cantierare gli spiazzi più adatti, aggiunse Silviolo sempre più 17
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operativo. Giuliano lanciò anche lo slogan che avrebbe conquistato gli italiani: “lassù qualcuno ti ama” propose entusiasta. “L’Italia vola”, lanciò Marcello. Servio Tulliolo, piccato per essersi fatto superare in fantasia dagli altri, rilanciò ricordando la vittoria di George in America. Un messaggio religioso ci vuole, disse, un messaggio religioso. Sentite questo: “Padre nostro che sei nei cieli”. Silviolo si inorgoglì, si pavoneggiò alla sola idea di vedere quella frase stampata sui manifesti sei per sei in tutta Italia, poi con finta modestia rispose “forse è troppo, sentirò il parere di Benedetto”. Accompagnò tutti alla porta che dava sul giardino, la celebre garden door di Brugherio. La richiuse mentre dietro di lui passava Priscilla. Alla vista del grembiulino azzurro la sua mano non si tenne. La sai l’ultima sugli incontinenti?, le disse complice muovendole due passi dietro. Lei accennò uno stuzzicante gesto di insofferenza e lui riprese. Allora, ci sono un incontinente tedesco, un incontinente americano e un incontinente comunista... In quel momento suonò il telefono. Era Numa Pompilia. Come è andata? Bene, mia cara. Farò il giro d’Italia in elicottero. La schiena anzitutto! E risero di gusto. Certo che passerò a trovarti, aggiunse. Anzi, promise, già la prossima settimana farò cantierare una piazzola d’atterraggio vicino a casa tua.
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