A basso volume. La tecnologia accessibile alle persone sorde e ipoacusiche dalla pandemia in poi

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Martina

A basso volume

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Gerosa, Isabella Ippoliti, Andrea Mangiatordi, Nicola Rabbi
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a cura di

Martina Gerosa, Isabella Ippoliti, Andrea Mangiatordi, Nicola Rabbi

A basso volume

La tecnologia per una comunicazione accessibile alle persone sorde e ipoacusiche dalla pandemia in poi

INDICE Prefazione di Filippo Petrolati 7 Introduzione di Luisa Accardo 11 La sordità è un universo variegato di Martina Gerosa 15 La fatica psicologica di Isabella Ippoliti 39 Pandemia e Comunicazione: storia di un progetto di Nicola Rabbi 45 Vademecum: eventi e riunioni online accessibili a persone con disabilità uditiva di Andrea Mangiatordi 59

prefA zione di Filippo Petrolati*

oltre la cultura accessibile, per la comunità

Cultura accessibile. Una locuzione di uso comune che si è trasformata in una scorciatoia cognitiva che valuta i luoghi della conoscenza – musei, sale concerto, teatri, biblioteche – rispetto alla loro praticabilità da parte della popolazione con disabilità fisico-motorie. Non è sbagliato, ma pericolosamente limitante. Come ben scrive Nicola Rabbi nel terzo capitolo di questo volume.

Promuovere una cultura accessibile [...] significa costruire una società migliore per tutti perché le facilitazioni e i servizi che vengono fatti in questa direzione alla fine hanno come risultato un cittadino più attento, sensibile alla diversità, meno incline al pregiudizio e alla violenza.

Muovendo da questo paradigma, il progetto “Pandemia e Comunicazione: video tecnologie contro l’esclusione dei soggetti con disturbo uditivo” della Cooperativa sociale Accaparlante è un tentativo riuscito di disarticolare la scorciatoia cognitiva di cui scrivevamo all’inizio, restituendo tutta la giusta complessità a un processo di progettazione sociale che va ben oltre le pur odiose barriere architettoniche. Il progetto che sta alla base di questo volume ci invita a sof-

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* Direttore Fondazione di Comunità Milano Città, Sud-Est, Sud-Ovest e Adda Martesana.

fermarci singolarmente sul concetto di cultura e su quello di accessibilità a partire dagli errori o, a voler essere generosi, dai limiti progettuali dei servizi di videofonia e teleconferenza. Limiti che c’erano, ma pochi di noi vedevano, (s)travolti dalla ricerca di un surrogato alla socialità – lavorativa, amicale ed educativa – nei mesi più duri della crisi epidemica.

Fondazione di Comunità Milano ha voluto sostenere il progetto “Pandemia e Comunicazione” con il suo strumento più emblematico, “Bando57”, riconoscendo la chiara definizione di un bisogno, quello delle persone sorde e ipoacusiche di Milano e dei 56 comuni del suo territorio di riferimento che la pandemia ha escluso dalla comunicazione, in presenza e a distanza. L’uso delle mascherine ha impedito e impedisce, infatti, la labiolettura, mentre le tecnologie utilizzate per la comunicazione – pensiamo ai servizi di videofonia e teleconferenza – e la didattica a distanza non prevedono forme di sottotitolazione. A partire da queste sfide, il progetto ha voluto individuare, valutare e promuovere le migliori tecnologie di supporto alla comunicazione accessibile, in presenza e a distanza.

Accaparlante ha attivato una squadra eterogenea per competenze e risorse personali e desiderosa di condividere un modello di intervento innovativo, nel metodo e nel merito. A una lunga fase laboratoriale per l’assessment tecnologico, nel corso della quale si sono vagliate le opzioni disponibili per la comunicazione accessibile, è seguito un periodo di prototipazione che testasse assunti e strumenti con persone sorde e ipoacusiche di età, formazione e competenze digitali differenti. Si è andati oltre, declinando il know-how sviluppato nella pratica quotidiana con sessioni dimostrative, e attraverso l’attivazione di uno sportello di assistenza.

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Per l’ampia rete di stakeholder coinvolti, il progetto “Pandemia e Comunicazione” è perfettamente coerente con gli obiettivi del nostro “Bando57” che, fin dal nome, mette al centro i 57 comuni di Milano e delle aree Sud-Est, Sud-Ovest e Adda Martesana dell’area metropolitana. Con questo strumento la nostra Fondazione valuta e sostiene progetti capaci di offrire risultati concreti che migliorino la qualità di vita della comunità, costruiscano competenze a medio-lungo termine e implementino case history replicabili.

Il progetto di Accaparlante è uno dei 79 interventi supportati dal “Bando57” nel 2020 per un importo complessivo deliberato di oltre 4 milioni di euro, indirizzati verso progetti di utilità sociale nei settori dell’assistenza sociale, della salvaguardia dell’ambiente, delle attività culturali di particolare interesse sociale con una costante attenzione alle fasce più fragili della popolazione e alla coesione sociale. Ultima nata del network di 16 fondazioni territoriali volute da Fondazione Cariplo, Fondazione di Comunità Milano ha un profondo legame con le istituzioni e il tessuto sociale ed economico dell’area metropolitana grazie al quale favorisce nuove forme di partecipazione, reti solidali e di prossimità, con iniziative che spesso partono dal basso e diventano tessere di un mosaico di rigenerazione sociale. Una vocazione all’ascolto e al fare insieme che abbiamo ritrovato e apprezzato nel progetto “Pandemia e Comunicazione” cui auguriamo di crescere e germogliare in nuovi territori così da abilitare risorse specifiche di comunicazione sociale e da favorire processi partecipativi con il contributo di istituzioni, terzo settore, imprese e cittadini.

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inTroDUzione di Luisa Accardo*

I diritti degli uomini devono essere di tutti gli uomini, proprio di tutti, sennò chiamateli privilegi.

Lo ricordo molto bene quel giorno. Era domenica, ero sul treno per tornare a casa da Napoli a Torino e ha preso avvio il tam tam mediatico sulla chiusura delle scuole per il Coronavirus.

Da quel momento messaggi, chiamate, videochiamate, ricerca di informazioni da fonti ufficiali, con il web che traboccava di notizie contraddittorie. Ricordo persino voci riguardanti la chiusura delle scuole in Piemonte trovate su una pagina Facebook che si occupa di meteo.

La chat degli Educatori Professionali e Assistenti alla Comunicazione dell’Istituto dei Sordi di Torino era un trillo continuo: incertezze, proposte, disperazione, cauto ottimismo, inviti a mantenere la calma. Un microcosmo che rispecchiava perfettamente ciò che stava succedendo nella vita di tutti. E interrogativi, tanti interrogativi, a cui nessuno di noi sapeva dare risposta e che, soprattutto, non si sapeva a chi rivolgere. Questo era il sentimento comune, condiviso da tutti. Eravamo tutti sulla barca dell’incertezza, con molti giorni di navigazione davanti e circondati da arcobaleni colorati, video in tutte le lingue con l’ormai memorabile

* Direttore del Dipartimento Servizi Educativi – Fondazione Istituto dei Sordi di Torino.

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“Andrà tutto bene” e il bisogno urgente di reinventarci nel lavoro a distanza con gli studenti sordi, dai bimbi piccoli

del nido agli universitari, dai segnanti agli oralisti, con disabilità complesse e con coloro che presentavano difficoltà nei collegamenti, sia per non abilità o familiarità nell’uso degli strumenti informatici, sia per problemi di connessione e giga a disposizione.

In Istituto ideammo il nostro #noncifermiamo, creando un Google Drive condiviso su cui caricare materiali, proposte di attività e suggerimenti organizzati per temi e fasce d’età. Con l’intento di progettare proposte formative e cercare di dare una struttura alle nuove modalità di lavoro, diffondemmo al nostro interno un documento intitolato “Il lavoro a distanza... forte, sì! Ma cos’è?”, nel quale (facendoci ispirare dagli scritti di Ianes e del compianto Canevaro) abbiamo dato forma al lavoro a distanza e individuato gli obiettivi e i doveri principali del nostro lavoro: trasmettere contenuti e mantenere il contatto umano e sociale anche attraverso semplici forme come un sano saluto, una frase di rassicurazione o la condivisione di preoccupazione, cercando in tutti i modi di evitare il rischio di ritrovare i nostri ragazzi e le nostre famiglie, dopo i giorni di isolamento, ancora più isolati.

È stato un lavoro frenetico fatto di ricerche, approfondimenti e occasioni urgenti di confronto su temi poco conosciuti ed esperiti in un clima emotivamente denso di timore e contraddizioni. E abbiamo imparato, insieme ai nostri ragazzi e ai colleghi, in un percorso disseminato di tentativi ed errori, a individuare le strategie e gli strumenti più utili1.

Ora, a distanza di tempo, mi sono resa conto di quanto un volume come questo che ho l’onore di introdurre, sarebbe stato un’ottima base di partenza, pragmatica ed efficace, per tutti i servizi a cui accedono anche le persone sorde.

1 In questo avvio ho scritto pressoché sempre al plurale e non in prima persona poiché, sebbene sia io – insieme ad alcuni preziosi colleghi – a occuparmi direttamente del coordinamento dei servizi di educativa scolastica e territoriale, si è trattato di un lavoro di squadra e i meriti sono da condividere tra tutti coloro che con me lavorano presso la Fondazione Istituto dei Sordi di Torino.

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Si sarebbe avuta, grazie al capitolo della disability manager di Martina Gerosa, una maggior conoscenza della sordità, di quanto la parola sordo contenga al suo interno plurimi significati, delle realtà associative e delle istanze legislative e giuridiche a cui far riferimento per praticare l’inclusione.

Ci si sarebbe presi maggiormente cura nelle persone sorde – come segnalato dalla psicologa Isabella Ippoliti –, degli aspetti emotivi legati al distacco, alla condizione di non partecipazione e al senso di solitudine e frustrazione amplificati dallo stare a casa, dagli atteggiamenti individualistici delle persone vs empatia, al non veder riconosciuti bisogni comunicativi essenziali.

Si sarebbe saputo, grazie al Vademecum del professor Andrea Mangiatordi, quali prodotti tecnologici sono più funzionali in base agli attori presenti e alle situazioni da condividere, non perdendo di vista i principi dell’Universal design. Si sarebbe diffusa maggiormente l’idea, in chi non la possiede ancora o non la pratica abbastanza, della necessità di coinvolgere direttamente le persone con access needs nella progettazione delle situazioni comunicative non frequenti o con barriere fino ad ora non sperimentate, come le mascherine. Accorgendosi che, come ci segnala il giornalista Nicola Rabbi nel suo capitolo, con il coinvolgimento in prima persona nella messa in pratica, la realtà è, talvolta, altra cosa; ne sono chiara manifestazione gli incontri della Comunità di pratica di cui fa parte, preziosa esperienza da diffondere.

La pandemia, con le limitazioni che necessariamente ne sono conseguite, ha permesso in qualche modo di rendere alle persone udenti più comprensibili gli stati di non piena accessibilità comunicativa. In molti, ad esempio, si sono accorti direttamente di quanto l’impiego della mascherina comporti una fatica maggiore, in termini di concentrazione e uso marcato di espressività non verbale, o del rischio di misunderstanding anche negli scambi tra persone udenti

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che non hanno difficoltà di accesso linguistico. O, ancora, di quanto, in situazioni di emergenza, sia fondamentale ricevere informazioni chiare e precise nei contenuti e nella forma.

Personalmente, ma credo sia un sentimento condivisibile, ho avuto la necessità e il tempo per far decantare – da un punto di vista insieme emotivo e professionale, dopo il vortice della pandemia, paragonabile (per continuare la metafora enologica) alla rotazione data a un calice di vino –tutte le riflessioni relative al periodo che abbiamo vissuto.

E credo che ora sia il tempo giusto per la pubblicazione del presente volume che mette in comune e narra in modo oggettivo e altamente competente, a più mani, non solo buone prassi, ma una condizione che dovrebbe essere trasversale in qualsiasi ambito esistenziale: l’accessibilità. E dove il concetto di pazienza – riportato in alcune delle pagine che seguiranno – nell’accezione del “non si può fare altro” non sia quello significativo ma quello che, insieme a tolleranza, apertura, flessibilità e disponibilità all’altro costituisce il substrato delle relazioni comunicative e sociali.

A prescindere dalla pandemia.

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Esplorando l’universo delle disabilità uditive, sordo è un termine dietro al quale si manifestano condizioni diversissime, non bisogna immaginare che la sordità comporti per tutte le persone che fanno i conti con essa la condizione di non-udire-mai. Anzi. Ogni persona ha, oltre che il suo particolare deficit uditivo, la sua storia e il suo modo di stare al mondo, di udire, comunicare e relazionarsi agli altri che occorre conoscere e interpretare correttamente, nell’ottica bio-psico-sociale della Classificazione internazionale del funzionamento, della disabilità e della salute3. A parità di deficit uditivo, ossia di curva audiometrica – a cui per decenni è corrisposta la percentuale di invalidità attribuita dalla Commissione di riconoscimento della sordità o invalidità – il funzionamento di una persona è variabile: varia a seconda delle caratteristiche individuali ma dipende soprattutto dai contesti e dalle relazioni che possono essere più o meno facilitanti.

2 L’introduzione del capitolo è tratta dalla parte del contributo, curato da Martina Gerosa: “Relazionarsi con donne con disabilità sensoriale” di Martina Gerosa e Simonetta Cormaci, in “Disabilità: la discriminazione non si somma, si moltiplica. Azioni e strumenti innovativi per riconoscere e contrastare le discriminazioni multiple” – FISH Onlus (finanziamento del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, 2020).

3 In inglese International Classification of Functioning, Disability and Health (in sigla: ICF), sistema di classificazione della disabilità introdotto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) a partire dal 2001.

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SorDiTÀ
LA
È Un UniVerSo VArieGATo2 Martina Gerosa

Tra i facilitatori per le persone sorde o ipoacusiche assumono un’importanza strategica le tecnologie assistive4.

C’è chi nasce con deficit uditivo, anche grave, ben compensato con apparecchi acustici o impianto cocleare e ha appreso la lingua scritta e orale attraverso un percorso di logopedia senza conoscere la lingua dei segni, chi fa questo percorso è detto oralista. C’è chi, invece, è nato e/o cresciuto a stretto contatto con la comunità dei Sordi, con la propria lingua, cultura e, seguendo un approccio bilingue, impara a comunicare con le parole dell’italiano e con i segni della LIS, Lingua – non linguaggio! – dei Segni Italiana5.

E infine c’è chi da adulto, dopo aver fatto un percorso oralista, si avvicina al mondo delle persone sorde segnanti e sceglie di imparare la lingua dei segni. Tra queste Caterina Bagnara, che racconta l’importanza che ha avuto per lei conoscere la comunità sorda e la LIS in età adulta6. Per comunicare con le persone sordocieche c’è anche la LIS Tattile (LIST). In Italia la maggioranza delle persone con deficit uditivi non conosce la lingua dei segni che è usata da circa 70mila persone7. In questo numero, oltre alle persone

4 Deve far riflettere il fatto che oggi, a livello mondiale, solo una persona bisognosa su 10 ha accesso alla tecnologia assistiva a causa dei costi elevati e della mancanza di consapevolezza, disponibilità, personale qualificato, politiche e finanziamenti, come si può evincere visitando il portale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità: tinyurl.com/2mwc86zt

5 Per saperne si veda il lemma di Wikipedia curato dall’Istituto di Scienze Cognitive e Tecnologie della Cognizione del CNR di Roma, dove a partire dagli anni Ottanta si è sviluppata la ricerca sulla Lingua dei Segni Italiana: bit.ly/3Mvy5ad

6 Video-testimonianza di Caterina Bagnara al convegno organizzato da Linear per il ventennale dell’azienda (2007): tinyurl.com/2ku7x7sw

7 Questo dato è riportato nel docufilm Segna con me, uscito nel 2013, realizzato dalla giornalista Silvia Bencivelli e dalla videomaker Chiara Tarfano, con la consulenza scientifica di Valentina Foa. È illuminante per conoscere il punto di vista delle persone sorde (e non) che riconoscono il valore della lingua dei segni: urly.it/3t_r0

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sorde8 sono compresi coloro che frequentano la comunità dei Sordi in qualità di familiari, interpreti LIS, assistenti alla comunicazione, amici, così come persone con difficoltà di comunicazione nelle lingue orali. C’è chi comunica senza neppure che il suo interlocutore si accorga del suo “udito differente” e chi invece, appena inizia una comunicazione verbale, manifesta chiaramente difficoltà di comprensione e anche di espressione, comunicando con una “voce particolare”, che rende riconoscibile la presenza di un problema di udito; altre volte, invece, la “voce particolare” fa pensare che la persona sia straniera9.

Pertanto, quando si entra in relazione con una persona con difficoltà uditiva, occorre innanzitutto capire – meglio ancora farsi dire direttamente da lei – quale modalità di comunicazione preferisce, in quel dato momento e contesto.

Proprio in quel momento e contesto: se una persona sorda è bilingue, quindi parlante e segnante, ci sono situazioni in cui preferisce comunicare con le parole, anche aiutandosi con la lettura labiale e il supporto di parole scritte, e altre situazioni in cui, invece, si sente più libera di comunicare segnando.

Il variegato universo appena descritto è quello che da diversi anni un numero crescente di persone definisce “arcipelago della sordità” 10. Per concludere il quadro

8 “18mila sarebbe il numero massimo e per eccesso di sordi segnanti italiani” in base a informazioni raccolte nel 2018 direttamente dal presidente dell’Ente nazionale sordi, come riportato nella rivista ufficiale della società italiana di otorinolaringoiatria: “Argomenti di Acta” n. 1 marzo 2022: urly.it/3t_qa

9 A questo proposito, si veda il corto Io, straniera? scritto da Valeria Cotura e diretto da Alessandro Mastrantonio, menzionato al concorso 2010 “Sapete come mi trattano?” di FISH. In esso una donna ipoacusica oralista mette in luce come percepisce lo sguardo degli altri sulla sua diversità: urly.it/3t_q-

10 “Arcipelago Sordità” (www.arcipelagosordita.it) è un interessante sito, di cui è responsabile la dottoressa Enrica Répaci, grazie a cui si può compiere una specie di viaggio, per esplorare le diverse isole di cui si compone l’universo della disabilità uditiva che appaiono divise ma che in realtà sono unite nel profondo.

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introduttivo, qualche cifra per avere una minima idea dell’ordine di grandezza del fenomeno della sordità sul quale non esistono dati certi. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità la disabilità comunicativa generata da una ipoacusia, dovuta a perdite uditive superiori a 35 decibel, viene vissuta dal 3,5% della popolazione, in Italia da oltre 2 milioni di persone; mentre altri studi considerano le perdite a partire dai 20 decibel che colpirebbero ben il 14% della popolazione, rappresentata in particolare dalla Terza Età, stimando così la presenza di circa 8 milioni di ipoacusici. Le cosiddette “sordità gravemente invalidanti” colpiscono le persone a cui è stato riconosciuto lo status di “sordità” che dà diritto all’indennità di comunicazione: in Italia sono circa 43mila soggetti dichiarati dall’INPS, ossia dall’Istituto Nazionale Previdenza Sociale; a questi sono da aggiungere 132mila adulti “sordi grandi invalidi” 11 .

Non sono da dimenticare infine le persone con disabilità plurisensoriale, le cosiddette persone sordocieche, in Italia circa 190mila persone, che in metà dei casi sono in condizione di pluriminorazione psicosensoriale 12 .

Che tipo di problemi hanno dovuto affrontare le persone con disabilità uditive durante la pandemia?

La mattina di domenica 5 aprile 2020, dopo le prime settimane complicate in cui è esplosa la pandemia da

11 Dati da “Hearing loss prevalence and year lived with disability, 20092019: findings from Global Burden of Disease Study 2019”, in “Argomenti di Acta Otorhinolaryngologica Italica”, “Stato attuale delle Politiche Sanitarie Italiane sulla Sordità” a cura di Domenico Cuda et al., 2022. Link in nota n. 8.

12 A questo link sul sito della Lega del Filo d’Oro sono presenti dati relativi alla sordocecità in Italia: urly.it/3t_qx

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SARS-CoV-2, mi sono confrontata con Enrico Dolza13 che dirige lo staff dell’Istituto dei Sordi di Torino, sui bisogni che stavano manifestando le persone sorde, in particolare le più fragili. L’Istituto torinese è sempre un avamposto privilegiato per monitorare i problemi emergenti, essendo a stretto contatto con molte persone sorde, con cui collabora in vari ambiti, a partire dalla scuola. Enrico ha immediatamente rilevato, fin dalle prime settimane della pandemia, problemi di accessibilità nella vita quotidiana.

Cosa dicono i decreti? Molte cose riguardano da vicino ogni persona, ma nessuno spiega niente scrivendo in “burocratese”, per esempio i nuovi permessi 104 e i moduli di autocertificazione per andare al lavoro, ma anche banali regole di comportamento. Enrico mi ha raccontato: “Io personalmente tutto il giorno ricevo videochiamate da persone sorde che non capiscono le disposizioni che vengono date”. Sono emersi grossi problemi di comunicazione. Un esempio per tutti: come comunicare col medico di base?

In periodo di emergenza si potevano fare solo visite telefoniche.

I medici mandavano ricette dettando al vicino di casa della persona sorda, che scriveva su un foglio: “Tachipirina 1000 tre volte al dì”. E la persona sorda faceva una videochiamata per domandarmi: “dì: cosa significa?”.

Enormi problematiche sono sorte nella didattica a distanza, non immediatamente accessibile. Luisa Accardo, responsabile del Dipartimento Educativo dello stesso Istituto, in quel periodo ha predisposto un documento utile per

13 Enrico Dolza, linguista, ha conseguito un dottorato in pedagogia speciale ed è professore a contratto all’Università di Torino. Si segnalano questi due suoi contributi: Dolza E., Sordità: disabilità o identità?, in “Effeta” (Fondazione Gualandi), n. 2 dicembre 2017, pp. 24-29; Dolza E., Accessibilità non fa rima con disabilità, in “Effeta” (Fondazione Gualandi), n. 1 giugno 2020, pp. 4-8.

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gli assistenti alla comunicazione impegnati in innumerevoli scuole di ogni ordine e grado e in università. Ci siamo trovati di colpo in un mondo popolato da persone che hanno iniziato a indossare, tutte, la mascherina protettiva, un ostacolo nella comunicazione per chi per capire deve vedere il volto dell’interlocutore leggendo le parole sulle labbra14. Questo è stato il problema più sentito, percepito da pressoché tutte le persone con difficoltà uditive, anche da coloro che solitamente fanno una vita “normale”, senza necessità di assistenti e mediatori. Le difficoltà sorte in tempo di pandemia sono state tutte ascrivibili alle barriere della comunicazione, con cui le persone con disabilità uditiva già normalmente devono fare i conti. Le barriere si sono ingigantite, oltre che per l’utilizzo delle mascherine, per l’isolamento, non si è più potuto vivere seguendo i soliti ritmi e stili di vita, supportati da persone che danno aiuto, facendo da tramite in determinati contesti, in particolare a scuola e al lavoro. Confinati tra le mura domestiche, tutti hanno iniziato a utilizzare molteplici sistemi e tecnologie per la comunicazione. Sono emersi interrogativi sul funzionamento delle varie piattaforme come Zoom, Microsoft Teams, Skype e tante altre. L’esperienza di numerose video-riunioni, nonché lo scambio con esperti come Andrea Mangiatordi, esperto di didattica inclusiva, ricercatore e docente dell’Università Bicocca, e il confronto con le persone con disabilità uditive, a un certo punto ha portato a concludere che Skype rappresentava uno strumento valido per comunicare da remoto, consentendo di effettuare videochiamate con la trascrizione automatica e al contempo di avere una finestra per scambiare messaggi in

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Digitando sul motore di ricerca in internet “comunicazione + sordità” si legge immediatamente: “Come comunicare con una persona sorda? Comunicare con i sordi: capire e farsi capire. Per consentire al sordo una buona lettura labiale la distanza ottimale nella conversazione non deve mai superare il metro e mezzo. La fonte luminosa deve illuminare il viso di chi parla e non quello della persona sorda: bisogna parlare con il viso rivolto alla luce”. Ecco che vedere in volto un interlocutore che parla è cruciale per poterne comprendere le parole, www.ens.it

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chat oltre che di condividere documenti di studio e di lavoro. In altri gruppi, in presenza di persone sorde segnanti, la piattaforma più idonea per effettuare videochiamate si è rivelata Zoom perché era possibile fissare più di un partecipante sullo schermo e ciò rendeva visibile l’interprete oltre all’oratore. In realtà, via via sono emerse altre piattaforme di videochiamata che abbiamo esplorato e testato nell’ambito della Comunità di pratica di cui si leggerà poi.

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durante la pandemia le persone con disabilità uditiva hanno visto aumentare le proprie difficoltà, incontrando ulteriori barriere nella comunicazione, oltre quelle con cui già devono normalmente fare i conti. Accessibilità e inclusione sono parole belle e virtuose ma dobbiamo praticarle grazie alla scienza e al progresso tecnologico. per trovare soluzioni bisogna tener presente che ogni persona è unica e diversa e che la tecnologia deve sempre di più avvicinarsi alla persona e tenere conto dell’emotività di ciascuno di noi.

ISBN 978-88-6153-912-9

Euro 14,50 (I.i.)

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