Adolescenti e musica. Come l'esperienza musicale accompagna la crescita emotiva

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Romina Alfano, psicologa specializzata in psicoterapia dell’adolescente e giovane adulto, arricchisce la propria formazione con tecniche a mediazione artistica. Ama la fotografia, la musica e la danza. Si è occupata di educazione alla legalità nelle scuole, ha maturato esperienza presso la NPI dell’A.O. Niguarda Ca’ Granda di Milano e in consultori e cooperative sociali e ha condotto un gruppo di Photolangage© rivolto a detenuti del carcere di Monza. Attualmente lavora in studio privato a Monza.

In copertina disegno di Fabio Magnasciutti In copertina disegno di Fabio Magnasciutti

a cura di Romina Alfano a cura di Romina Alfano

ADOLESCENTI E MUSICA Come l’esperienza musicale accompagna la crescita emotiva

ADOLESCENTI E MUSICA

Il rapporto con la musica avviene già nell’utero materno: il ritmo del cuore della mamma rappresenta per il feto la prima colonna sonora della vita. Nel corso dell’infanzia ciascuno costruisce gradualmente una sua prima esperienza sonora grazie ai suoni che percepisce intorno a sé. Ma è con l’adolescenza che i ragazzi e le ragazze cominciano a formare una propria identità musicale più sintonica con i cambiamenti del corpo e della mente scegliendo autori, generi musicali e, in alcuni casi, percorsi di studio. La musica rappresenta una risorsa preziosa da sempre nella formazione della personalità di ciascuno. Svolge un ruolo fondamentale nella costruzione di valori etici e contribuisce alla definizione e anche al riconoscimento dell’identità sociale di ognuno. Anche per questo nei Paesi europei, compreso il nostro, l’educazione musicale sta assumendo sempre più importanza tra gli obiettivi previsti dal curricolo scolastico che vede il rafforzamento delle intelligenze emotive. Questo libro aiuta a comprendere quanto e come la musica accompagni la crescita emotiva della personalità dei ragazzi e come una formazione attraverso di essa debba essere inserita tra gli strumenti utili per il miglioramento del sistema scolastico. Perché la musica non sia più considerata una semplice “risorsa ricreativa” o passione di pochi, bensì uno dei linguaggi educativi della Scuola pubblica che consentono a tutti e tutte di diventare cittadini.

a cura di Romina Alfano

ISBN 978-88-6153-883-2

Euro 13,50 (I.i.) Euro 13,50 (I.i.)

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a cura di Romina Alfano

ADOLESCENTI E MUSICA Come l’esperienza musicale accompagna la crescita emotiva


Indice

Introduzione di Romina Alfano......................... 7 Cosa fa la musica agli adolescenti di Diego Miscioscia............................................ 11 Se la vita è una composizione… Passione, lavoro, Sé: analisi di una ricerca di Romina Alfano.............................................. 27 Fare musica insieme nel canto corale: analisi di una ricerca di Miryam Pinotti.............................................. 33 La musica dei giovani d’oggi di Antonio Salerno............................................ 53 Conclusioni di Romina Alfano e Diego Miscioscia............... 69 Bibliografia....................................................... 71



Introduzione di Romina Alfano

Nella mia mente questo libro è associato all’immagine di una piantina di cotone, un batuffolo finalmente sbocciato: la sua realizzazione è stata come un’idea vaporosa che si è via via infoltita. Ogni sviluppo necessita di tempo, ma grazie al contributo di alcuni colleghi, che hanno aggiunto le proprie riflessioni alle prime condivise tra me e Diego Miscioscia, si è potuto delineare un piccolo spaccato dell’apporto della musica in relazione alla crescita personale, in particolar modo dei giovani. Non posso tacere che il terreno di coltura favorevole dell’Istituto Minotauro di Milano abbia giocato un ruolo importante. Quando, tra noi autori, ci siamo trovati in quelle stanze per progettare la struttura del libro, una piacevolezza mi ha pervasa nel sentire che anche Miryam Pinotti e Antonio Salerno parlavano quella lingua comune, quel particolare dialetto nella grande area psicoanalitica, che ha permesso di intendersi velocemente. Abbiamo potuto ragionare sull’interazione tra formazione in musica e formazione della personalità, così come provare a leggere in termini di codici affettivi le narrazioni delle più recenti canzoni rap e trap, comprendendoci l’un l’altro e rafforzando l’idea che questi concetti meritavano di esser resi pubblici e risuonare fuori da quelle stanze. Così è iniziato questo viaggio, in cui vi introdurrò ora con due brevi paragrafi, allo scopo di condividere anche con il lettore uno sfondo comune.

Sarà poi cura di Diego Miscioscia iniziare a dipanare i concetti di compito evolutivo e cultura giovanile; seguirà un mio approfondimento di ricerca riguardo coloro che scelgono la musica come professione, nel difficile intreccio tra sé personale e sé professionale. Una seconda ricerca, di Miryam Pinotti, ci porterà poi a scoprire l’importanza della voce, specifico ponte tra interno ed esterno. Antonio Salerno, infine, chiuderà con un accento sulla musica odierna, emissaria di messaggi da parte dei giovani, che sarebbe importante non restassero inascoltati da parte del mondo adulto. Vorrei ora portare l’attenzione su un’ultima considerazione: il titolo scelto ci è parso da subito davvero rispondente. I giovani che fanno musica e la musica che fa i giovani mostra bene quel rapporto bidirezionale che si è palesato dopo aver analizzato anche i dati delle nostre ricerche. I giovani, infatti, parlano attraverso le proprie scelte musicali e le proprie composizioni, ma rispecchiano in esse anche ciò che la società offre loro per plasmare se stessi nel processo di crescita. Ci sembra oltremodo fondamentale riflettere sul tipo di valori ed ideali che questa musica veicola, tanto più adesso che si presenta in modo pervasivo nella quotidianità di tutti.

A cosa serve la musica? Non è semplice render conto dei vantaggi e delle specificità di un bene immateriale, tanto più se si è abituati a focalizzare l’attenzione sull’utilità pragmatica di un prodotto come spesso si è portati a fare dalla logica industriale, che permea ormai gran parte del mondo globalizzato, e che ci ha dunque abituato a pensare in questi termini. D’altra parte, se anche ci si volesse lasciar affascinare da una risposta più emozionale, come potrebbe essere il dire che la musica serve a stare bene, si resterebbe comunque un po’ insoddisfatti dalla vaghezza e genericità del ADOLESCENTI E MUSICA

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concetto di benessere, ormai tanto commercializzato da risultare quasi svuotato e consunto. Penso che allora potremmo partire osservando una più palese constatazione, ossia che la musica è presente nella vita di ognuno di noi, a vari livelli, con maggiore o minore intensità e frequenza; nel mondo occidentale, ad esempio, è certamente vero che si è immersi in una continua proposta di musica anche senza una ricerca attiva da parte di ogni singolo, non una ricerca intenzionale di benessere: nessuno, infatti, riesce a sfuggire all’incredibile sovrabbondanza di sottofondi pubblicitari e musica diffusa durante momenti d’attesa o d’acquisto, al telefono e nei negozi. Altre volte, invece, sentiamo proprio dentro di noi la voglia di ascoltare la radio o un cd o andare ad un concerto dal vivo, scegliendo in maniera più attiva, e per alcuni il desiderio di fruizione si amplia addirittura anche alla produzione, in prima persona. Quanti hanno provato a suonare uno strumento musicale o a cantare, anche solo a livello amatoriale? Certamente una percentuale molto alta. Ampliando ulteriormente gli orizzonti, in culture diverse da quelle occidentali, forse è anche più marcata la presenza della musica come componente quotidiana, accompagnata o meno dal ballo, sia nella forma più spensierata dell’intrattenimento, che in quella più canonizzata della socialità rituale, o in quella ancor più sacra della spiritualità. Dunque possiamo pensare che la musica sia una necessità, quasi un bisogno basilare irrinunciabile? La risposta non è così immediata come potrebbe apparire. Certamente molto più che uno svago ed un modo per allietarsi ed allietare gli altri, la musica è un canale espressivo, strumento di gestione dell’emotività, anche se spesso inconsapevole per i più; la scienza ha abbondantemente dimostrato che la musica aiuta ad abbassare i livelli di stress, grazie anche alla percezione di sentirsi in connessione con gli altri e all’idea di condividere parti di Sé oltre il piano verbale. Capita di sentirsi in qualche misura compresi dall’Altro anche senza un’intermediazione razionale esplicita. 8

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Potremmo aggiungere che la musica ha indubbiamente, per molti, anche un ruolo nella costruzione dell’identità personale, ad esempio perché aiuta a sviluppare il senso di appartenenza ad un gruppo: pensiamo agli adolescenti che si definiscono in base alle proprie preferenze musicali (metallari, punk, rocker, ecc.) o anche agli adulti che frequentano contesti differenziati in base alla proposta musicale (discoteche, sale per concerti, festival e rassegne, ecc.) e ciò si riflette nel loro modo di essere, presentarsi e definirsi. Come già accennato, la musica è presente ed ha notevole importanza anche nella socialità intesa nei suoi aspetti rituali, quali feste e cerimonie, adesso come fin dai tempi più remoti: se ne attesta la presenza in contesti vari e diversi per territorialità ed epoca (Greci, Celti, Indiani, ecc.). Inoltre, discipline come la musicoterapia hanno di recente ben messo in luce le potenzialità anche nel campo della cura, della guarigione e del dolore, sistematizzando ed approfondendo una conoscenza già sciamanica e più legata alla spiritualità. Secondo alcuni ricercatori1, tuttavia, sembra che la musica sia funzionale ad un livello evolutivo superiore alla mera sopravvivenza, dunque che non sia così basilare, infatti “Gli esseri umani sembrano molto più uniformi nelle loro capacità linguistiche che in quelle musicali”2. Non esiste, ad esempio, una musica dei segni, pur essendo invece nato un linguaggio dei segni all’interno della comunità di individui sordi, proprio come necessità comunicativa irrinunciabile. Resta da sottolineare, però, che la musica ha il potere di cambiare la struttura stessa del nostro cervello, ampliando alcune aree a seguito di esperienze percettive o motorie o portando alcune aree a specializzarsi”, quindi come “le altre tecnologie di trasformazione, una volta inventata e sperimentata, diventa praticamente impossibile abbandonarla […] come fare e controllare il fuoco […]

1. Patel, 2014. 2. Ivi, p. 416.


Quando una cultura impara a fare il fuoco, non si può tornare indietro, anche se potremmo essere in grado di vivere senza questa capacità3.

che molti strumenti musicali vengono elaborati dal cervello come ‘voci superespressive’”6.

“la musica strumentale manca di specifico contenuto semantico, ma a volte può suggerire concetti semantici”4; è stato stabilito che vi è una “sostanziale sovrapposizione nei segnali acustici usati per esprimere emozioni di base in musica e nel discorso”5 e, come risulta da esperimenti scientifici, “gli ascoltatori erano abbastanza accurati nel giudicare l’emozione intesa da un oratore o esecutore pronunciando/eseguendo un dato passaggio parlato/ musicale, quando le emozioni rappresentate erano limitate a 5 categorie fondamentali: felicità, tristezza, rabbia, paura, tenerezza”; anche “Juslin e Laukka (2003) hanno avanzato l’interessante ipotesi

Pare, dunque, che la musica sia capace di veicolare emozioni e concetti, ma non in forma così precisa come quella verbale. Per similitudine, sarebbe comunicativa come uno sguardo o una carezza, ma non come una frase. Per certi versi potremmo dire che anche la comunicazione non-verbale sia universale, ma ben conosciamo i rischi di malinteso quando vengono utilizzati canali impliciti. Sentirsi “connessi” con l’Altro tramite la musica, come due persone che si amano, come un genitore e un figlio, forse è frutto di qualcosa di più complesso che una medesima percezione di frequenze, forse è la naturale predisposizione umana alla relazionalità che utilizza questo canale, come molti altri, per raggiungere quell’obiettivo di essere-con-l’Altro che genera benessere. L’essere-con-l’Altro, come Donald Winnicott ha ben spiegato, presuppone anche una certa solitudine, ossia un essere se stessi, unici, con le proprie peculiari sensazioni non necessariamente uguali a quelle esperite dall’Altro, pur essendo in uno stato di connessione e non di isolamento. Come dire, un mix di solitudine e di condivisione, ad un medesimo tempo, che sia sufficientemente soddisfacente. Lungi dall’essere una fusione in cui l’identità va perduta, l’essere-con-l’Altro significa mantenere un nucleo coeso che non è però chiuso ermeticamente, ma sta in un legame prezioso che arricchisce senza snaturare. Significa, cioè, aggiungere una quota di condivisione ad un nucleo che resta comunque individuale e unico. La musica è uno stimolo che indubbiamente viene processato dalla nostra mente e che produce reazioni neurovegetative, dunque vi è una componente biologica e fisica che può essere considerata universale, ma è innegabilmente anche un artefatto culturale7. Come capita spesso per le più com-

3. Ivi, pp. 446-447. 4. Ivi, p. 364. 5. Ivi, p. 384.

6. Ivi, pp. 385-386. 7. Juslin, 2009.

Oggi, dunque, è necessità? Forse la musica aiuta a vivere pienamente, andando ben oltre un mero limitarsi alla sopravvivenza.

Linguaggio universale? Si è generalmente portati a pensare che la musica sia un “linguaggio” universale, forse proprio per l’ampia diffusione che ha avuto nella storia umana e per la potente sensazione di coesione che essa veicola nei fruitori, come se tutti si capissero ascoltando senza parlare. Ma siamo sicuri che ciò che comunica l’emittente sia precisamente compreso dal ricevente? Certamente la musica può essere un buon ponte comunicativo, basandosi su capacità neurofisiologiche ampiamente diffuse nel genere umano, ma approfondimenti di ricerca più accurati hanno evidenziato che tale universalità si limita a certi aspetti e il termine “linguaggio” non è del tutto consono: un linguaggio è una struttura complessa di significanti e significati, cioè di contenitori e contenuti. Patel sottolinea che

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plesse espressioni umane, credo che il suo studio non sia riducibile ad un solo approccio; servono le neuroscienze, servono scienza e tecnica del suono, serve la psicologia e, a mio avviso, ognuna di queste discipline fornirebbe un utile apporto anche nella didattica musicale. Reputo mistificante, invece, il largo utilizzo di termini come “bagno sonoro”, “frequenza vibrazionale positiva”, “massaggio armonico” che di recente si leggono in proposte di ogni genere, in ambiti relativi al benessere e alla psiche; mi sembra che i concetti generici che veicolano contravvengano proprio a ciò che vorrebbero invece sottolineare, che la musica è una cosa seria e una risorsa da tenere grandemente in conto. Proprio come tale dovrebbe esser trattata, con cautela, rispetto e competenza. Credo sarebbe importante anche una riflessione sulla professione di musicista, molto bistrattata nel nostro Paese, ad esempio, dove si tende a non ritenerla un lavoro vero e proprio ma più un hobby o, al massimo, un contorno ad un’altra professione che permette di avere reddito. Durante la recente pandemia Covid-19, infatti, molti musicisti che lavoravano in ambiti meno famosi rispetto ad una scena internazionale o di spettacolo televisivo si sono ritrovati in seria difficoltà; non sono stati certo una delle categorie prontamente considerate per ricevere contributi statali d’aiuto nei mesi più restrittivi, ma anche prima di questo terremoto sociale legato alla pandemia non era ad esempio possibile scrivere “musicista” come professione sulla carta d’identità fino al 2018, anno in cui è stato concesso di definirsi “cantastorie” ad un giovane uomo di Abbiategrasso (MI), che ne aveva fatto una battaglia personale. Speriamo dunque, con questo nostro contributo, di gettare un fascio di luce su un angolo di mondo sociale prezioso e da custodire.

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Cosa fa la musica agli adolescenti di Diego Miscioscia1

Tu mi hai svelato cose che in me tenevo segrete, sei stato per le corde dell’anima il sussurro notturno del vento. Hugo Von Hofmannsthal

Introduzione In questo capitolo cercheremo di capire come la musica entri nel cuore e nella mente degli adolescenti e come questa risorsa li aiuti (oppure, vedremo in seguito, come in certi casi possa ostacolarli…) nella realizzazione dei loro compiti evolutivi. Il nostro target privilegiato saranno soprattutto quei ragazzi che alla musica dedicano una parte importante della propria adolescenza suonando uno strumento o cantando in qualche gruppo. Cercheremo, infine, di dare qualche suggerimento psicologico a coloro che dalla musica si fanno letteralmente rapire, decidendo di affidarle, non solo l’anima, ma anche tutte le proprie aspettative d’identità e di carriera futura; a quelli, cioè, che decidono, in genere verso la fine dell’adolescenza, di diventare dei veri e propri musicisti.

1. Psicologo e psicoterapeuta, socio fondatore dell’Istituto Minotauro, svolge attività clinica con adolescenti e adulti. Insegna presso la scuola di Specializzazione in psicoterapia dell’adolescente e del giovane adulto del Minotauro e presso L’Ecole Supérieure de Relooking. È autore di diversi articoli e pubblicazioni.

Peraltro la musica rapisce tutti alle soglie dell’adolescenza: essa, infatti, più degli amici, è sempre presente nella vita dei ragazzi. Offre loro sicurezza: rappresenta un bozzolo sonoro su misura e sempre a disposizione dentro cui ritirarsi. Ogni ragazzo impara presto a raccoglierla da più fonti: dai dispositivi informatici, dai cd dei propri gruppi preferiti, da Spotify, iTunes, Deezer, YouTube, Pandora, Twitter, dalla radio, dalla TV, dalle colonne sonore dei cartoni animati o dai film e dai videogiochi. Sicuramente, oggi la musica è la forma d’arte più diffusa tra i giovani. Essa è liquida e orizzontale: con un click ogni ragazzo sa di poter avere a disposizione tutto ciò che preferisce. Sa dove trovarla e sa che, come una vecchia amica fedele, la ritroverà come sottofondo nelle feste dei propri amici e nelle discoteche, sa che gli farà compagnia mentre studia, mentre gioca o mentre cammina per strada. Per questo la celebrerà nei concerti, cioè, in quei luoghi quasi mistici, dove andrà con tanti altri ragazzi come lui a condividere un rituale collettivo che vede proprio la musica come protagonista assoluta. A volte, sarà proprio la musica, grazie a uno strumento che in genere un ragazzo impara a suonare proprio durante l’adolescenza, che gli regalerà una delle più belle sensazioni che vi siano quando ci si stacca dall’infanzia: sentire di avere una capacità creativa tra le più apprezzate da parte del gruppo dei pari, cioè, da quelle persone da cui a quest’età, più ci si aspetta di essere accolti, riconosciuti e valorizzati. Questo sì che fa sentire vivo un adolescente! Molto più di una pagella scolastica con buoni voti, che, al più, è valida solo per tenere buoni e tranquilli i genitori, preoccupati per la sorte di questo figlio perennemente chiuso in cameretta ad ascoltare musica a un volume indecente. Suonare uno strumento in adolescenza, come vedremo in seguito, bonifica in modo importante le proprie paure rispetto al futuro. Rappresenta, infatti, già di per sé, una garanzia preziosa ADOLESCENTI E MUSICA

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del fatto che si riuscirà ad attraversare con una certa sicurezza questo nuovo territorio che all’inizio dell’adolescenza fa ancora molta paura: il preadolescente, infatti, vuole farcela da solo ad affrontare questa età della vita, sa che non può contare troppo sull’appoggio dei genitori (altrimenti si resta bambini) e quindi si sente notevolmente rassicurato dall’idea di possedere una competenza importante che gli permetterà di essere accettato dagli abitanti di questo nuovo mondo. Dire qualcosa di sé attraverso la musica facilita anche la comunicazione con gli adulti. Un bravissimo musicista e psicoterapeuta come Franco Giori nel proprio studio, per facilitare la comunicazione con gli adolescenti più chiusi e depressi che incontrava e che stentavano a parlare, utilizzava come strumento di sblocco una pianola. In un incontro tra psicoterapeuti ci aveva raccontato come, in diversi casi da lui trattati, questi ragazzi fossero riusciti ad aprirsi e a parlare con lui solo dopo che, su suo invito, erano riusciti a trovare le proprie note sui tasti di quella pianola.

Come funziona la musica? La musica è una tecnologia particolare che è presente in tutte le culture, anche in quelle più primitive e in questo periodo rappresenta sicuramente la forma culturale più accessibile per tutti gli esseri umani. Come strumento pregiato, essa permette di simbolizzare tutti gli stati d’animo, migliorando così la sensibilità personale e la capacità di riconoscere le emozioni; ma riesce anche a svolgere una funzione maieutica e anticipatrice di parti del Sé assopite o non ancora giunte a piena maturazione; rappresenta, quindi, un linguaggio metaforico che riesce creativamente ad esprimere e rendere così consapevoli parti di sé che sono negate al linguaggio verbale. 12

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Sondando gli strati più profondi dell’inconscio, la musica rende pensabili i diversi stati d’animo e le emozioni correlate che sono legate a particolari interazioni sociali (corteggiamento, scambio erotico, tenerezza, conflitto, liberazione, pace, vitalità, paura, rabbia, morte e rinascita, ecc.); essa permette, inoltre, una parziale elaborazione di vicende infantili difficili o traumatiche rimaste sepolte nell’inconscio, ma che sono ancora capaci di creare un particolare turbamento in un soggetto fragile com’è un adolescente. Come osservava anche Victor Hugo “La musica è capace di esprimere le cose che non possono essere dette e su cui però è impossibile continuare a tacere”. La musica, dunque, influenza il cervello molto più di altri prodotti culturali. In questo senso, lo sviluppo esponenziale che ha avuto negli ultimi decenni l’ascolto e la produzione della musica ha determinato delle vere e proprie ristrutturazioni cognitive e affettive, emotive e sociali nelle nuove generazioni, arrivando a influenzare il loro percorso evolutivo. Molti ricercatori hanno evidenziato la funzione di guida esercitata dalla musica e dagli stessi musicisti sullo sviluppo della consapevolezza di chi cresce. Come sostiene Susanne Lange2, “… un compositore non solo indica, ma anche articola sottili complessi di sentimenti cui la lingua non può dare nome, tantomeno stabilirlo.”. È interessante, a questo proposito, confrontare, come fa Aniruddh Patel3, le differenze tra il linguaggio verbale e quello musicale: questi due strumenti utilizzano categorie sonore simili (la melodia, il ritmo, l’altezza, l’intonazione e il timbro). Entrambi possono così costruire una “melodia”, cioè, “una sequenza organizzata di altezze che convogli una ricca varietà di informazioni all’ascoltatore […] informazioni affettive, sintattiche, pragmatiche ed empatiche.”4. A livello cerebrale, tuttavia, musica e linguaggio verbale rappresen2. Citata da Patel, 2014, p. 352. 3. Patel, 2014. 4. Ivi, p. 199.


tano due sistemi distinti. Come segnala Patel, vi sono “… casi documentati in cui i danni o anomalie cerebrali impediscono una funzione senza però compromettere l’altra (ad esempio, amusia o afasia)”5. Mentre il linguaggio verbale, utilizzando categorie come i sostantivi e i verbi, descrive meglio la realtà, la musica articolando meglio l’altezza e il ritmo, come abbiamo già visto, mette meglio in contatto e rappresenta più efficacemente tutti gli stati d’animo. La melodia di una narrazione musicale, quindi, acquista una potenza evocativa molto più forte di un discorso verbale. La sua forza sembra essere legata a una rete di “relazioni strutturali tra i suoni […] basati su un sistema stabile di intervalli”6, oltre che su una finalità puramente estetica. In modo sicuramente più poetico, Shaheen7 sostiene che una melodia è “un gruppo di suoni innamorati tra loro”. A differenza del linguaggio verbale, la musica riesce a entrare in contatto con gli stessi nuclei emotivi presenti in tutti gli esseri umani; riesce, quindi, a essere compresa e a significare almeno una parte dei suoi contenuti anche di là dai confini culturali in cui nasce. Un esempio potrebbe essere rappresentato dalla musica dei Beatles negli anni Sessanta, accolta con grande favore anche in oriente o, in questo periodo storico, dalla musica di alcuni gruppi giovanili coreani che sembrerebbero avere un certo successo presso molti dei nostri adolescenti. Certo, tutte le culture hanno una propria musica e quindi una propria sensibilità musicale; diversi esperimenti, comunque, confermano la capacità da parte di gruppi diversi di persone di attribuire un certo messaggio musicale a specifiche emozioni come la gioia, la tristezza o la rabbia.

5. Ivi, p. 2. 6. Ivi, p. 199. 7. Citato in Hast et al., 1999, p. 201.

I tempi della musica e i tempi della crescita I tempi della nostra vita sono sempre accompagnati da una determinata colonna sonora. Nel capitolo precedente abbiamo già visto come la musica sia una forma di comunicazione che ha le sue radici nella situazione intrauterina: nel feto, infatti, già alla decima settimana i recettori acustici sono giunti a piena maturazione. La voce della madre e il ritmo del suo cuore rappresentano per il feto la prima colonna sonora di una condizione di beatitudine che sarà poi ricercata per tutta la vita. Come osserva Franco Fornari: “All’origine la madre era il suono e il suono era presso la madre”8. Poi, dopo la nascita, il repertorio musicale del bambino si arricchisce di altri suoni: ninne nanne, voci melodiose e voci stonate; il bimbo stesso si esibisce in famiglia di fronte ai suoi primi spettatori in lallazioni e versetti, che sono immediatamente fatti propri da parte dei genitori e ripetuti in segno di approvazione. Così, nel corso dell’infanzia, influenzato dall’ambiente di appartenenza, un bambino costruisce gradualmente una propria prima identità sonora composta dai suoni che percepisce intorno a sé: la voce dei familiari, le prime canzoncine cantate in famiglia o che ascolta guardando i cartoni animati o i suoi primi film. Questo tipo di musica è offerto al bambino dai genitori, ma è anche richiesta attivamente da lui per rafforzare quel senso di sicurezza che nei bambini rimane precario per diversi anni. Solo verso gli 8 o 10 anni un bambino inizia a ricercare ed apprezzare altri tipi di musica, più rivolta all’avventura e all’esplorazione. Con l’adolescenza vera e propria, verso i 13 o 14 anni, comunque, si arriva a una fase di rottura con la vecchia musica. A quel punto, sollecitati dai cambiamenti del 8. Fornari, 1984.

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corpo, gli adolescenti vanno alla ricerca di una musica più creativa e trasgressiva, cioè di qualcosa che sia più sintonico con i cambiamenti prorompenti che essi sentono agitarsi dentro il proprio corpo e dentro la propria mente. Cercano una musica che si accordi anche con la danza, poiché il corpo ha bisogno, anzi, pretende, almeno simbolicamente, di vedere espressi, grazie all’unione della musica e della danza, nuovi affetti e desideri ancora poco comprensibili all’adolescente. A quel punto la vecchia musica finisce in soffitta! Anche la musica dei genitori o dei fratelli maggiori è rifiutata categoricamente: come per la musica dell’infanzia, infatti, anche questo tipo di musica, all’inizio del proprio cammino, fa temere agli adolescenti di restare intrappolati in un’identità che non è la loro. Non sono più i bambini di un tempo, ma non sono nemmeno i cloni dei genitori o la copia dei propri fratelli: ormai possiedono una propria identità, solo che essi non hanno ancora capito bene quale essa sia! Sicuramente la musica li aiuterà a trovare chi sono veramente: li aiuterà, cioè, prima a individuarsi e a definire il proprio Vero Sé e poi, finita l’adolescenza, a diventare soggetti adulti a pieno titolo. I primi passi autonomi che i preadolescenti muovono in campo musicale, dunque, magari in una direzione suggerita da un amico o dalla propria cultura generazionale, sono solitamente rivolti a ricercare una musica adatta a loro: innanzitutto deve essere nuova, non quella dei fratelli maggiori, ma soprattutto deve avere anche una qualità sonora protettiva e rassicurante. In questa fase della vita, infatti, il compito più importante su cui lavora la mente dell’adolescente è quello del distacco dall’infanzia e quindi l’elaborazione del lutto per la morte del Sé infantile. A quell’età, infatti, si deve abbandonare la protezione fisica dei genitori, l’innocenza del proprio corpo e quindi la possibilità del contatto fisico con i genitori e poi ci si deve staccare definitivamente da 14

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un mondo fatto soprattutto d’illusioni e di sogni magici. Per questo i preadolescenti, per smorzare il dolore della perdita che sentono dentro di sé, hanno bisogno di una musica capace di consolarli. Come osserva Maria Grasso, la musica in adolescenza, tra le altre cose, “assumerebbe la funzione di schermo protettivo, una riedizione di quell’involucro sonoro che nella prima infanzia era la voce della madre”9. La musica ricercata dai preadolescenti, dunque, ha in genere queste caratteristiche: è semplice, di facile accesso, ripetitiva, insomma, la musica tipica delle boy-band come le Spice girls. È una musica che i preadolescenti ascoltano ovunque: in cuffia, nei concerti, nei videoclip, in cameretta e sotto la doccia. Andrea, 13 anni, i cui genitori, per punizione a causa dei suoi brutti voti scolastici, avevano sequestrato per un mese le sue preziosissime mini casse per ascoltare la musica, mi raccontava che adesso per lui fare la doccia era diventato un momento triste e vuoto; non era più, come fino a pochi giorni prima, un momento allegro e spensierato durante il quale si lavava cantando e ballando con le casse a tutto volume e con la sua compilation giusta sull’iPod: improvvisamente era sceso il silenzio e il suo dover ubbidire ai genitori, che pretendevano che lui facesse una doccia al giorno, era diventato per lui una fatica e una doppia punizione. La musica, in sostanza, a quest’età sembra svolgere la funzione di oggetto transizionale, come l’orsacchiotto da piccoli: un bagno di suoni conforta gli adolescenti e li protegge dalla solitudine del mondo. È soltanto quando un adolescente arriva alle superiori che di solito inizia ad esplorare altri generi musicali, utilizzandoli creativamente in modo più ampio: se ne serve per scoprire ed elaborare nuovi desideri, per simbolizzare amore, odio, paura, rivolta e provocazione, per imme9. Grasso, 2018.


desimarsi ancora più profondamente in affetti ed emozioni che hanno bisogno di essere ascoltati e capiti. A quest’età, la musica è utilizzata anche per esplorare meglio l’inconscio, utilizzando magari toni distorti e musica atonale. La ricerca del Vero Sé, infatti, implica la necessità di individuarsi prendendo il meglio dai valori della propria epoca e della propria famiglia, ma anche cercando strade originali e valori più adatti alla nuova realtà in cui un giovane adulto andrà a vivere. Questa ricerca, tuttavia, richiede coraggio, sperimentazioni e anche scelte trasgressive. L’adolescenza rappresenta la fase della vita più rivoluzionaria: la capacità di cambiare così radicalmente in pochi anni il proprio modo d’essere, rinnovando le appartenenze e le modalità di relazione con gli altri; il modo di simbolizzare il proprio corpo e la propria stessa posizione nel mondo non hanno uguali nel corso della nostra esistenza. Non a caso, anche in altre fasi della vita, l’aver vissuto un’adolescenza creativa rappresenta per tutti una risorsa utile in momenti di crisi o di stallo. L’affermazione della scrittrice Elizabeth Gilbert all’interno del libro Mangia, prega, ama: “Fate casino e l’ispirazione vi troverà!” fa proprio riferimento al saper attingere a una fase della vita come l’adolescenza in cui si vive perennemente alla ricerca di se stessi: è solo sapendo ricreare da adulti quel mix di stati d’animo di incertezza ma anche di entusiasmo e speranza che è possibile affrontare cambiamenti importanti. È su questo piano, tuttavia, che in certi casi la musica può far deviare gli adolescenti da un cammino costruttivo e creativo proponendo loro modelli ideali inadeguati e pericolosi. Alcuni adolescenti, infatti, ispirati da generi musicali molto trasgressivi e provocatori e anche per contrapporsi a modelli adulti perbenisti, spesso adottano stili di vita pericolosi che non li aiutano sicuramente né a trovare il proprio benessere né a inserirsi nel mondo adulto. Gli stessi artisti, forse per facilitare ancora di più l’identificazione

dei ragazzi con la loro musica, sembrano a volte voler esasperare questi aspetti trasgressivi dell’adolescenza adottando un look provocatorio e uno stile di vita pericoloso, dedito magari ad alcool e droghe; gli stessi testi di alcune loro canzoni, in certi casi, sono molto espliciti nell’invitare i giovani alla violenza, all’uso di stupefacenti e perfino al suicidio. I rave party (letteralmente, “festa libera”, dal verbo inglese to rave, “farneticare”) e i free tekno (rave party durante i quali viene portata all’estremo la musica tekno) sono delle occasioni di incontro musicale da parte di migliaia di giovani in cui si fa più uso di droghe come l’Mdma, la ketamina e l’Lsd. Oltre agli artisti, che almeno scrivono canzoni avendo in mente un prodotto creativo e si esibiscono soprattutto per i giovani, esistono in questo campo anche diversi musicisti che, invece di proporre ai ragazzi qualcosa di artistico e creativo, sembrano più interessati a manipolarli, utilizzando la musica soltanto per ottenere finalità commerciali. Il mondo della pubblicità, ad esempio, sa bene come sfruttare la musica per vendere i propri prodotti ai giovani. C’è un interessante esperimento di North et al. (1999) citato da Patel10, sulle associazioni sociali della musica: sembra sia dimostrato che la musica, associata a determinate categorie sociali, faciliti l’acquisto di determinati prodotti e non di altri. Nello studio segnalato da Patel, nel reparto “acquisti di vino” di un grande supermercato inglese, a giorni alterni, veniva messa o musica tedesca o musica francese; naturalmente gli acquisti di vino tedesco erano superiori nei giorni in cui c’era musica tedesca e viceversa. Un bravo musicista ed esperto educatore come Roberto Carlotti, inoltre, mi segnalava di recente, in una comunicazione personale, come la musica dei flipper o dei moderni videogiochi “non risolva mai la musica e non chiuda mai la frase”, inducendo così il giocato10. Patel, op. cit., p. 358.

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re a proseguire il gioco stesso indefinitamente; altrettanto negativa sembrerebbe essere quella musica easy listening all’interno della quale tutte le dissonanze vengono addomesticate e rese insapori e indolori, così che le tensioni di cui è portatrice la musica vengano tranquillizzate. In questo modo, tuttavia, la musica perde il suo carattere creativo e più rivolto alla crescita del Sé e diventa soltanto uno strumento soporifero per addormentare le coscienze.

Musica e compiti evolutivi dell’adolescenza Dopo aver visto come la musica, nel corso delle prime fasi dell’adolescenza, accompagni i ragazzi verso la nascita sociale, ora, riferendoci in modo più specifico ai compiti evolutivi di questa fase della vita, cercheremo di capire come essa riesca a diventare una risorsa preziosa per questo cammino. Il primo compito evolutivo con cui si confrontano gli adolescenti riguarda il proprio corpo che cambia e il suo nuovo linguaggio erotico. La mente deve cercare di dare un significato etico, affettivo e relazionale ai cambiamenti numerosi, veloci e continui che esso subisce in questo periodo (il suo sviluppo, la voce che cambia, il desiderio e le nuove fantasie erotiche, la capacità di generare, la dipendenza da un’altra persona al di fuori della famiglia e infine tutte le nuove questioni relazionali legate al corpo che cambia: la sensualità, il corteggiamento, la gestione dell’eccitazione, l’orgasmo, ecc.). È per far fronte a tutte queste esigenze che cambia il paesaggio sonoro dell’adolescenza! Lì dove il linguaggio verbale potrebbe fare ben poco, dunque, viene in soccorso la musica: ad esempio, un ritmo veloce, dinamico e sempre più accelerato, sostenuto insieme dal basso e dalla batteria, rappresenta molto bene uno sta16

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to di eccitazione in continua crescita. Così, i suoni e i ritmi di una ricca esperienza musicale possono consegnare agli adolescenti una mappa precisa di come il corpo funziona e di come la mente possa accogliere, pensare e gestire la sua eccitazione e le emozioni. Naturalmente, una musica decisa, veloce e penetrante serve ai maschi anche per definire il senso della propria virilità; le ragazze, invece, per capire gli aspetti più sensibili e delicati della propria femminilità, solitamente vanno alla ricerca anche di musiche più dolci e accattivanti. In sostanza, la musica, oltre ad accompagnare o addirittura a far nascere in anticipo nella mente e nel corpo dell’adolescente il desiderio erotico, mostra le giuste tracce di un cammino che porta ad una sua gestione più equilibrata sul piano relazionale. La danza, spesso associata alla musica, rappresenta in modo ancora più chiaro ed efficace il corpo erotico che entra in relazione con gli altri: per un adolescente tali rappresentazioni sono sicuramente più chiare e preziose, per ciò che riguarda la sua maturazione psicosessuale, rispetto a ciò che può offrire un manuale di educazione sessuale! C’è anche da dire che, superata la prima fase dell’adolescenza, verso i 14-15 anni, i ragazzi ormai si sentono già abbastanza esperti: hanno costruito degli avamposti sicuri (anche musicali) per muoversi nel mondo e ora, quindi, come se fossero dei “giovani esploratori”, possono permettersi di pescare dentro diversi contributi musicali anche del passato. A quest’età, dunque, essi navigano già tranquillamente dalla musica classica, a quella popolare, fino a riscoprire la musica dei genitori e dei cantautori del passato, alla ricerca, in sostanza, di ciò che meglio rappresenti le loro passioni ed emozioni del momento: alla ricerca, cioè, di quella musica che può guidarli meglio nel difficile cammino per diventare adulti. Un altro compito evolutivo di difficile elabora-


zione durante l’adolescenza è quello che punta al raggiungimento di una certa autonomia affettiva da adulti. Oggi quest’obiettivo è reso più impervio da una serie di condizioni socioculturali negative. I nuovi modelli educativi delle famiglie, più affettivi e meno etici, meno centrati di un tempo sul favorire l’autonomia e la responsabilità dei ragazzi, non preparano più chi cresce al saper tollerare e gestire le frustrazioni e le delusioni della vita. La presenza costante nel corso della crescita delle nuove generazioni di videogiochi e di un’altra serie di supporti tecnologici, come computer, tablet e cellulari che permettono agli adolescenti d’essere sempre connessi, non li aiuta a gestire la solitudine e i progetti d’indipendenza. Le stesse attuali prospettive socio-economiche negative (le crisi ambientali e le maggiori difficoltà ad inserirsi nel mondo del lavoro) non rassicurano i giovani: questa sarà la prima generazione più povera dei propri genitori e che si confronterà con un futuro molto più incerto da tanti punti di vista (economico, relazionale e ambientale). In sostanza, la nostra epoca ci consegna una nuova generazione di ragazzi molto più fragili e spavaldi11 di un tempo, sostanzialmente incapaci di sentirsi sicuri nel mondo. Anche su questo compito, comunque, la musica fornisce un aiuto ed è un prezioso supporto psicologico per i ragazzi. La musica, innanzitutto, rappresenta la risorsa che gli adolescenti trovano più facilmente quando si confrontano con il bisogno di sentirsi più sicuri nel mondo: grazie alla musica condivisa con altri coetanei, infatti, gli adolescenti si accorgono molto presto che nel mondo esiste già una sorta di famiglia affettiva sociale pronta ad accoglierli e capiscono che spesso si tratta di una famiglia molto numerosa, che può riempire uno stadio durante un concerto e che condivide con loro le stesse ansie, speranze ed emozioni messe in musica. 11. Pietropolli Charmet, 2009.

L’autonomia affettiva, inoltre, può essere raggiunta più facilmente anche sviluppando buone conoscenze musicali o meglio ancora imparando a suonare con abilità uno strumento. Se la musica, come abbiamo visto, è una risorsa che offre un nuovo modo di rappresentarsi e di raccontarsi, il dimostrare di possedere competenze in questo campo è un ottimo modo per acquisire uno statuto speciale presso quegli amici che sono appassionati dello stesso tipo di musica. Per chi suona uno strumento, inoltre, accorgersi che la propria musica suscita interesse negli altri regala ancora più sicurezza, specialmente poi se il pubblico è addirittura disposto a pagare per ascoltare le proprie performance musicali. Questo aiuta chi suona a sentirsi più autonomo perché dimostra che le conoscenze e le competenze culturali creative possono garantire più sicurezza nella vita. Molto chiara, a questo proposito, la canzone di Lucio Dalla Una città per cantare, che racconta bene, sia con la musica e sia con le parole, il vissuto di un musicista che fatica a vivere la propria autonomia come indipendenza e creatività, percependola, invece, soprattutto come solitudine e abbandono; ma, in questa canzone, sia la musica, sia le parole, nel ritornello sembrano riprendere un messaggio di speranza e di vitalità; a quel punto, infatti, come racconta il testo con un crescendo musicale positivo e molto sicuro: “… se ti fermi, convinto che ti si può ricordare, hai davanti un altro viaggio e una città cantare”. In sostanza, quando si è convinti di poter essere visti, apprezzati e ricordati da qualcuno grazie alla propria creatività musicale, il lavoro sull’autonomia affettiva è ormai giunto a buon punto! Vi sono poi altre cose che la musica offre ai ragazzi per farli sentire più sicuri: con la sua forza e con la sua melodia essa può sostenere direttamente il loro orgoglio o la loro aggressività o anche la loro speranza di ritrovare nella vita adulta qualcuno che voglia loro bene, come è già successo in passato con i propri genitori. Molti ragazzi, ad esempio, sono attratti da quei musiADOLESCENTI E MUSICA

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cisti che, mettendosi in gioco di persona, puntano a rivendicare con orgoglio il diritto d’essere se stessi utilizzando una musica provocatoria e trasgressiva e uno stile personale molto originale (basti pensare a David Bowie, al filone punk e al glam rock). Molti giovani s’identificano con questo tipo di musica e con gli stessi artisti che la propongono; questo li aiuta a rafforzare la propria autonomia personale e la convinzione di poter avere il pieno controllo della propria vita. Altri tipi di musica, come ad esempio l’heavy metal, invece, sembrano offrire agli adolescenti tutta la carica aggressiva di cui essi hanno bisogno in questa fase della vita, in modo da ricordare loro che, per gestire l’autonomia, si può sempre contare su una forza personale che li sorreggerà nei momenti più difficili. Altri filoni più romantici, infine, utilizzando tenere canzoni melodiche, sembrano voler richiamare ricordi di vicinanza e di protezione e quindi la certezza che nella vita non si sarà mai soli, come non lo si è stati nel passato. Giulia a 12 anni stava vivendo un momento difficile: si era staccata con fatica da poco più di un anno da un’infanzia serena e piena di sogni. Da piccola in famiglia aveva vissuto in un clima di allegria e giocosità, grazie anche alla presenza di genitori aperti e amanti della musica che accoglievano sempre nella propria casa diversi amici musicisti; con questi amici il padre, anche lui esperto chitarrista, spesso suonava e cantava coinvolgendo tutti gli altri membri della famiglia. Da un paio di anni, tuttavia, il clima in casa era cambiato: i suoi genitori erano diventati più nervosi e litigiosi, gli amici si erano allontanati e presto Giulia scoprì che i suoi genitori stavano per separarsi. Non avendo amiche con cui confidarsi, Giulia si chiuse nella propria cameretta ad ascoltare musica tutto il giorno: fu così che scoprì Mozart. La musica di questo grande compositore la tolse dalla profonda tristezza in cui era piombata e approfondendo anche la biografia di quest’artista Giulia finì per provare per lui 18

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un grande amore platonico. Arrivò a identificarsi così tanto con Mozart che decise di dedicare anche lei la sua vita alla musica. Chiese quindi ai genitori di prendere lezioni di piano e quindi, grazie alla musica, riuscì a ritrovare dentro di sé delle risorse importanti per riorganizzare la speranza e affrontare quel momento per lei così difficile. La musica, poi, porta facilmente gli adolescenti a familiarizzarsi col mondo: fin da giovanissimi, infatti, i ragazzi, attraverso la musica, entrano in contatto con le culture di altre nazioni e questo li aiuta a sentirsi cittadini del mondo, quindi, più autonomi e sicuri. Più si cresce all’interno di questo compito evolutivo e più diventa facile integrare nel proprio repertorio musicale anche la musica dei genitori. Ricordo con simpatia Riccardo, un ragazzo di 17 anni, che fischiettava in sala d’aspetto del mio studio un motivetto che aveva appreso dal padre da piccolo, il suo primo maestro di chitarra e di fischio. Visitare la musica dei genitori, in questo senso, significa anche riconnettersi con l’anima delle generazioni precedenti, con la loro storia e con quello che consegnano alla generazione successiva della propria esperienza personale messa in musica. Anche questa libertà nel saper curiosare tra tutti i repertori musicali, libertà possibile soltanto quando si è raggiunto un certo livello di maturazione e di sicurezza affettiva, dunque, finisce per rafforzare l’autonomia stessa di chi cresce. Come vedremo più avanti, la musica aiuta a sentirsi più sicuri e autonomi anche sostenendo i valori degli adolescenti. Sul tema dell’autonomia personale, cercheremo inoltre di capire quale sicurezza può offrire la musica a chi sceglie di intraprendere questo cammino come scelta di vita e quindi come carriera personale.


Musica, valori e cultura giovanile La musica svolge un ruolo fondamentale nel sostenere la crescita dei ragazzi in altri due compiti evolutivi: la costruzione di propri valori etici e la definizione della propria identità sociale. L’importanza della musica in queste aree è cresciuta in modo esponenziale soprattutto da quando la cultura giovanile è diventata un soggetto centrale di riferimento per tutti i giovani. Abbiamo già visto fin qui quanto per i giovani la musica sia importante per la sua capacità di creare coesione sociale tra membri di un gruppo. Riuscire a definirsi all’interno di una certa nicchia di gusti musicali costituisce una prima tappa importante per la crescita di un adolescente: l’identificazione con un gruppo che condivide gli stessi interessi musicali, infatti, permette a un ragazzo di trovare, non soltanto la propria musica di riferimento, ma anche un importante spazio di appartenenza e molti altri riferimenti culturali ed etici utili per capire chi è veramente lui o lei. Oltre ad essere un collante sociale capace di rafforzare i legami tra le persone, dunque, la musica riesce a veicolare numerosi messaggi identitari preziosissimi per un giovane. Un ragazzo, infatti, nel messaggio musicale può trovare indicazioni che gli permettono di mettere meglio a fuoco chi è e chi vuole diventare. Anche il modo di vestirsi e di atteggiarsi, ispirato dalla musica e dagli artisti che la propongono, per quanto possa apparire bizzarro e provocatorio agli adulti, rappresenta per un ragazzo una prima possibilità di affermazione della propria identità sociale e questo lo aiuterà a trovare il proprio posto nel mondo al di fuori della famiglia. Dagli anni Sessanta in poi, comunque, questo compito di trasmettere indicazioni a chi cresce per mezzo della musica è stato assunto anche dalla cultura giovanile12. Gli adolescenti e i giovani, in precedenza, non avevano una propria cultura 12. Vedi Miscioscia, 1999.

di riferimento. Con la cultura beat e con la musica di Elvis Presley verso la fine degli anni Cinquanta, invece, comincia a prendere sempre più spazio la cultura giovanile: cultura fatta di moda, di un’estetica provocatoria, di graffiti, di tatuaggi e di piercing, ma soprattutto fatta di tanta musica! La cultura, e con essa la musica giovanile, in particolare con l’avvento dei grandi gruppi rock e della canzone di protesta di alcuni cantautori negli anni Sessanta (i Beatles, i Rolling Stones, Bob Dylan, John Baez, ecc.), è diventata il riferimento culturale più importante per i ragazzi, molto più della musica classica, di quella popolare e di tutte le altre forme musicali presenti nelle diverse culture e tradizioni. La cultura giovanile, fin dall’inizio, si è incaricata di proporre, soprattutto attraverso la musica, un nuovo modo di interpretare il mondo. Per questo motivo, un genere musicale, per essere riconosciuto come tipico di una certa epoca e come vero rappresentante della cultura giovanile, deve partecipare attivamente alla narrazione del tempo, magari modificando, con la musica e i testi delle canzoni, il giudizio espresso fin lì da altri artisti. La musica giovanile, cioè, deve esprimere un proprio giudizio, una propria narrazione, sulla realtà del mondo adulto e deve fare, direttamente o indirettamente, delle sue proposte etiche di rinnovamento e di cambiamento di tale realtà13. Un atteggiamento molto critico rispetto alla realtà dell’epoca è stato espresso soprattutto dalla musica giovanile degli anni Sessanta e Settanta. Questa “musica ribelle” (dal titolo di una canzone di Eugenio Finardi) proponeva una vera e propria sfida al mondo adulto. Essa, innanzitutto, si era fatta promotrice di importanti battaglie politiche e sociali contro la guerra e contro l’autoritarismo; anche per questo tale cultura era entrata subito nell’immaginario giovanile. Sul piano personale, inoltre, in quegli 13. Vedi Miscioscia, 2021.

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anni la cultura giovanile sollecitava un nuovo modo di pensare al Sé e alla sua nuova centralità. Aveva avviato la rivoluzione permissiva del comportamento sessuale anche integrando nel proprio stile la musica nera che, a sua volta, aveva immesso nella cultura giovanile e quindi nella mente di chi era giovane in quel periodo una potente energia, portando messaggi di vera sensualità e vitalità (basti pensare a Wilson Picket o a Otis Reding e al suo I’m a sex machine). I dischi e i concerti in quei due decenni aiutavano a capire quello che succedeva nel mondo e suggerivano le emozioni giuste da mettere in gioco. Indicavano in modo esplicito con i suoni e con i testi delle canzoni cosa fosse necessario fare (basti pensare a Imagine di John Lennon o a Blowin in the wind di Bob Dylan), ma, anche quando agiva in modo indiretto, la musica in cui i giovani si riconoscevano, influenzava fortemente i loro valori e la loro visione del mondo (basti pensare a Jimmy Hendrix che distorce l’inno americano con la sua chitarra elettrica durante la sua performance a Woodstock nel 1969). In quel periodo, le canzoni e gli stessi artisti che si ergevano col proprio stile di vita e con le loro scelte trasgressive a rappresentanti di questa nuova cultura, oltre ad esprimere la speranza di poter cambiare il mondo, proponevano ai giovani di liberarsi dalle proprie sovrastrutture psicologiche, sostenendo anche la possibilità di fare uso di sostanze per aprire la mente. Naturalmente, se la musica influenza i comportamenti dei giovani e quindi la loro stessa realtà, ciò che avviene nel mondo finisce per influenzare anche la musica. Così, verso la fine degli anni Sessanta e nel corso degli anni Settanta, la musica cambiò e divenne meno vitale ed ottimista. In quel periodo, infatti, la cultura giovanile stava vivendo una fase di delusione e di ritorno al privato a seguito della fine delle lotte dei movimenti giovanili e studenteschi e della consapevolezza delle gravi conseguenze negative che aveva avuto tra i giovani la 20

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diffusione dell’uso delle droghe. Così, la musica divenne meno impegnata, più dura e rabbiosa: questo è il periodo dell’heavy metal e del punk. La musica in quegli anni rimase comunque lo strumento più importante per rilanciare la speranza e le battaglie etiche delle nuove generazioni (è del 1971 il concerto dei più importanti artisti di quel periodo per aiutare la popolazione del Bangladesh dopo una grave alluvione in quel Paese. Nel 1984 venne organizzato da Bono, leader degli U2, e da Bob Geldolf, artista punk e promotore di eventi, un concerto che ebbe una risonanza mondiale per la liberazione di Mandela e nel 1985 l’ancora più il famoso “Live aid” in favore della popolazione etiope che soffriva la fame a seguito di una grave carestia). Negli anni Ottanta e nei primi anni Novanta la musica giovanile subì grandi trasformazioni e sembrò offrire ai ragazzi parametri più semplici e meno impegnativi: divenne più distaccata dalla realtà e sembrò limitarsi ad accompagnare i giovani alla scoperta di sé attraverso ritmi vitali o consolatori. È il momento dei club, della musica dance e dei rave party. In ogni caso la musica giovanile non resta mai ferma! Ogni epoca, infatti, è dotata di una propria identità e sensibilità e la cultura giovanile, attraverso la musica cerca sempre di interpretarla e di offrire delle sue risposte creative. In questo senso, la cultura giovanile sembra interpretare correttamente lo spirito degli ultimi decenni, ribaltando così la preoccupazione di Platone nella Repubblica che suggeriva ai responsabili del potere di non fare mai cambiare la musica (“Non s’introducono mai cambiamenti nei modi della musica, senza che se ne introducano nelle più importanti leggi dello Stato”): il nostro mondo, invece, dagli anni Sessanta in poi, ormai si muove sempre più velocemente e la musica deve saper interpretare lo spirito dei tempi e magari deve saper anticipare delle risposte creative ai cambiamenti della realtà trasformando i propri parametri e le proprie sonorità.


Dagli anni Novanta, gradualmente, con la cultura hip hop proveniente dagli Stati Uniti, si è affermata anche da noi la musica rap, genere che ancora oggi rappresenta il riferimento più importante della cultura giovanile. A parte la musica rap o tekno, gli anni dopo il Duemila non hanno espresso importanti filoni nuovi e creativi, da parte di molti musicisti si è preferito attraverso una sorta di crossover andare a recuperare vecchio materiale del passato offrendo una sorta di concentrato di tutti i decenni precedenti. Anche la musica rap, come vedremo più avanti, ha mantenuto lo spirito e le motivazioni tipiche della cultura giovanile, basta pensare qui in Italia all’uso politico del rap contro le mafie da parte di un rapper italiano come Frankie Hi-Nrg e le rivendicazioni da parte di molti rapper extracomunitari della loro nuova identità come italiani. Sicuramente, tuttavia, le canzoni rap (musica e testi) contengono soprattutto un messaggio polemico di denuncia verso un mondo adulto che sembra aver tradito i sogni dei giovani. La musica rap con le sue tonalità spesso veloci, affannate e piene di giudizi negativi, descrive la crisi della durata delle cose, dello stato continuo di vulnerabilità e insicurezza dei giovani attanagliati dal vuoto e dall’assenza di appartenenze significative; racconta bene l’amaro vissuto delle nuove generazioni consapevoli che numerose istituzioni (la coppia, la famiglia, la religione, le grandi ideologie politiche e soprattutto il mondo del lavoro) hanno smesso da tempo di rappresentare un riferimento di sicurezza e di protezione per il loro futuro. Tale messaggio, anche sul piano emotivo, sembra inoltre raccontare lo spirito più pragmatico e disilluso delle nuove generazioni, forse meno capaci di sognare e di proporre le loro utopie con la musica, ma altresì capaci di farsi sentire e di rivendicare i propri diritti. In genere, i reduci del ’68 e tutte le altre generazioni innamorate soltanto della musica della propria giovinezza tendono a criticare la qualità e il valore della musica tekno. Se si esce dall’inevitabile identificazione generazionale, tuttavia, è

possibile cogliere un messaggio importante anche in questo genere musicale, mi riferisco in particolare alla musica rap suonata dagli artisti più maturi: la durezza e la concretezza della musica tekno racconta la consapevolezza di una generazione che non vuole più vivere di sogni ed illusioni e che vuole invece confrontarsi con gli adulti rivendicando cambiamenti precisi del modo di vivere. Come abbiamo visto in precedenza, tuttavia, la musica a volte può essere di ostacolo alla crescita dei ragazzi. La stessa cultura giovanile, attraverso la musica, a volte lancia messaggi negativi o comunque troppo difficili perché siano compresi adeguatamente da parte di tutti i giovani. Così, in questo momento, la musica trap, un nuovo e più rabbioso filone della tekno, suggerisce che nulla ha più valore di là dal provare piacere e mantenere il potere sugli altri. Anche un certo tipo di musica ricercata, più interessata a evocare stati di trance che emozioni, può indurre scelte regressive nei giovani. Massimo De Mari, ad esempio, segnala il pericolo di quella musica che, invece di seguire canoni classici basati sulla tonalità, privilegia troppo spesso l’atonalità; secondo Mari, la tonalità […] con la risoluzione delle dissonanze, facilita l’organizzazione, il restauro e la ricostruzione degli oggetti interni […] mentre quella atonale, con le dissonanze che comporta, faciliterebbe la scissione, frammentazione e disorganizzazione degli stessi oggetti14.

14. De Mari, 2015, p. 61.

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Romina Alfano, psicologa specializzata in psicoterapia dell’adolescente e giovane adulto, arricchisce la propria formazione con tecniche a mediazione artistica. Ama la fotografia, la musica e la danza. Si è occupata di educazione alla legalità nelle scuole, ha maturato esperienza presso la NPI dell’A.O. Niguarda Ca’ Granda di Milano e in consultori e cooperative sociali e ha condotto un gruppo di Photolangage© rivolto a detenuti del carcere di Monza. Attualmente lavora in studio privato a Monza.

In copertina disegno di Fabio Magnasciutti In copertina disegno di Fabio Magnasciutti

a cura di Romina Alfano a cura di Romina Alfano

ADOLESCENTI E MUSICA Come l’esperienza musicale accompagna la crescita emotiva

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Il rapporto con la musica avviene già nell’utero materno: il ritmo del cuore della mamma rappresenta per il feto la prima colonna sonora della vita. Nel corso dell’infanzia ciascuno costruisce gradualmente una sua prima esperienza sonora grazie ai suoni che percepisce intorno a sé. Ma è con l’adolescenza che i ragazzi e le ragazze cominciano a formare una propria identità musicale più sintonica con i cambiamenti del corpo e della mente scegliendo autori, generi musicali e, in alcuni casi, percorsi di studio. La musica rappresenta una risorsa preziosa da sempre nella formazione della personalità di ciascuno. Svolge un ruolo fondamentale nella costruzione di valori etici e contribuisce alla definizione e anche al riconoscimento dell’identità sociale di ognuno. Anche per questo nei Paesi europei, compreso il nostro, l’educazione musicale sta assumendo sempre più importanza tra gli obiettivi previsti dal curricolo scolastico che vede il rafforzamento delle intelligenze emotive. Questo libro aiuta a comprendere quanto e come la musica accompagni la crescita emotiva della personalità dei ragazzi e come una formazione attraverso di essa debba essere inserita tra gli strumenti utili per il miglioramento del sistema scolastico. Perché la musica non sia più considerata una semplice “risorsa ricreativa” o passione di pochi, bensì uno dei linguaggi educativi della Scuola pubblica che consentono a tutti e tutte di diventare cittadini.

a cura di Romina Alfano

ISBN 978-88-6153-883-2

Euro 13,50 (I.i.) Euro 13,50 (I.i.)

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