Ilaria D’Aprile Ilaria D’Aprile, laureata in Scienze Forestali e Ambientali presso l’Università di Bari e con Master in Educazione Ambientale per la promozione di uno sviluppo sostenibile presso l’Università di Bologna, è esperta in educazione alla sostenibilità e realizza progetti di formazione per insegnanti e studenti curiosi. È presidente di “Essere Terra”, associazione che promuove i viaggi a piedi e l’educazione sostenibile. Coltiva lo stupore e la meraviglia per le cose che la circondano. Con la meridiana ha pubblicato Abbecedario verde. Salvare la Terra partendo dalla scuola (2011).
In copertina disegno di Fabio Magnasciutti
APPRENDERE CON GIOIA Outdoor Education nei cortili scolastici
APPRENDERE CON GIOIA
Praticare Outdoor Education significa valorizzare lo spazio esterno come contesto educativo, mettendo al centro i bisogni dei bambini e degli educatori come comunità educante, pensando non solo al bambino e alla bambina di oggi, ma immaginando l’uomo e la donna di domani. Bambini ed educatori devono avere chiaro di far parte di una comunità cui possono fare affidamento, di essere in prima persona responsabili di delicati equilibri del pianeta e che il loro impegno è necessario per la stessa sopravvivenza degli umani. Per fare questo è fondamentale uscire dal perimetro dell’aula e sognare il mondo che verrà, a partire dal contesto a loro più prossimo: il cortile scolastico. La scuola ha dunque bisogno di intraprendere un nuovo sentiero pedagogico, che è anche un percorso politico di educazione alla cittadinanza. Una scuola che educa il Paese ha bisogno di fare Outdoor Education, ovvero di una didattica fondata sulla motivazione, sugli interessi e i talenti dei bambini; che stimola i legami cooperativi tra adulti e tra generazioni; che si fonda sul piacere del fare e dell’apprendere; che riflette sull’educazione emozionale per favorire la costruzione di relazioni significative; che dà spazio al pensiero divergente attraverso il corpo, il gioco e l’ambiente, strumento che non ha eguali per conoscere se stessi, gli altri e il mondo che ci circonda.
Ilaria D’Aprile
ISBN 978-88-6153-798-9
Euro 13,50 (I.i.) 9 788861 537989
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Silvia D’Aprile Rizzello Ilaria
A SCUOLA IL APPRENDERE MONDO CONTA CON GIOIA Percorsi attività OutdooreEducation di neimediazione cortili scolastici e comunicazione interculturale
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Indice
Prima di cominciare ..................................... 9 Introduzione ................................................. 11 Parte Prima Outdoor Education Ambiente esterno = ambiente educativo ..... 25 La pedagogia del rischio .............................. 35 Conclusioni ................................................... 39 Parte Seconda Sei cammini per l’Outdoor Education La cassetta degli attrezzi per l’Outdoor Education ................................................. 43 Coltivare il silenzio. Apprendere le sfumature della vita .................................. 47 Attività .......................................................... 49 Celebrare la bellezza. Riaffermare il diritto alla poetica ................................................ 57 Attività .......................................................... 59 Praticare il buono. Azioni che cambiano il mondo ................................................... 67 Attività .......................................................... 69 Abbracciare la gentilezza. Prendersi cura dell’altro da sé .......................................... 75 Attività .......................................................... 76 Imparare la cooperazione. Oltre l’individualismo ........................................ 83 Attività .......................................................... 85 Celebrare la lentezza. Cogliere l’essenza della vita ................................................... 93 Attività .......................................................... 95 Conclusioni. Educare il Paese ...................... 103 Bibliografia ................................................... 105 Sitografia ....................................................... 107
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Introduzione
L’educazione è il momento che decide se noi amiamo abbastanza il mondo da assumercene la responsabilità e salvarlo così dalla rovina, che è inevitabile senza il rinnovamento, senza l’arrivo di esseri nuovi, di giovani. Nell’educazione si decide anche se noi amiamo tanto i nostri figli da non estrometterli dal nostro mondo lasciandoli in balìa di se stessi, tanto da non strappargli di mano la loro occasione d’intraprendere qualcosa di nuovo, qualcosa d’imprevedibile per noi; e prepararli invece al compito di rinnovare un mondo che sarà comune a tutti Hannah Arendt1 Se dovessimo chiedere ai nostri ragazzi che cosa cambiare nella scuola di oggi credo che ci risponderebbero di modificarla completamente, di rivoluzionarla. I dati della commissione ministeriale sullo stato di benessere e malessere dei preadolescenti italiani a scuola ci dicono che il 73% di loro supera la soglia di malessere e il 60% sostiene di soffrire da quando ha memoria della scuola2. Questo ci informa che più della metà dei ragazzi attribuisce il proprio malessere al percorso scolastico. Ma che cosa produce questa condizione? 1. Arendt, 1999. 2. Commissione istituita dal Consiglio Nazionale Ordine degli Psicologi insieme al Miur.
Secondo Daniela Lucangeli “agli studenti si chiede di imparare troppo, in poco tempo, senza passione, con l’ansia di doverne rendere conto”3. Inoltre i ragazzi vivono in una condizione che potremmo definire di “arresti domiciliari-scolastici”4. Secondo i dati Istat, infatti, trascorrono circa l’85% del loro tempo rinchiusi tra casa e scuola. Poiché i bambini si trovano a non poter manifestare la loro naturale vivacità ne consegue la diffusione di un “deficit di natura” – evidenziato da Richard Louv – come una progressiva alienazione dalla natura che conduce, tra le altre cose, disamore nei confronti dell’ambiente, minore utilizzo dei sensi e maggior tasso di malattie fisiche ed emotive. Anche la didattica di emergenza utilizzata durante il lockdown ha mostrato tutti i suoi limiti: la scuola non può ridursi a mera somministrazione di una didattica centrata sul trinomio trasmissione-spiegazione-verifica, dove ci si affida al voto per tenere gli alunni ancorati agli schermi. Va ricordato che la didattica a distanza ha lasciato soli circa 1/5 degli studenti, inasprendo di fatto le disuguaglianze economiche, sociali e culturali che difficilmente potranno essere colmate nel breve periodo. È per questi motivi che la crisi portata dal covid-19 offre una grande opportunità per tutti: quella di sperimentare una nuova scuola. Per la prima volta ci siamo accorti che per affrontare la crisi pandemica (ma vale per tutte le altre crisi: ambientale, economica, sociale) occorrono capi politici preparati, docenti visionari, ottimi medici e scienziati, professionalità che spesso abbiamo dovuto richiamare dall’estero. Perché va ricordato, oggi più che mai, che l’educazione è politica perché “non si limita alla sfera individuale ma è un meccanismo rigenerativo della so-
3. Lucangeli, 2019. I corsivi sono di chi scrive [N.d.R.]. 4. Farnè, 2015b. APPRENDERE CON GIOIA
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cietà5” contribuendo alla formazione dei futuri abitanti del territorio in cui opera. Per affrontare le crisi, dobbiamo immaginare una nuova scuola offrendo agli studenti la migliore educazione possibile e a noi educatori la possibilità di guardare oltre il suo perimetro. Il nostro compito oggi è di enorme responsabilità: creare una scuola in cui si apprende con gioia, che si prende cura dell’ambiente, aperta al territorio, sicura e inclusiva perché capace di non lasciare indietro nessuno. Se Danilo Dolci diceva “ciascuno cresce solo se sognato” allora è necessario sognare alla massima potenza per creare una scuola grande come il mondo.
La scuola dove si apprendere con gioia Ordinare di recitare a memoria ciò che non si capisce è crescere pappagalli. Insegnate ai bambini a fare domande perché si abituino a obbedire alla ragione e non all’autorità come gli ottusi, né all’abitudine come gli stupidi. Chi non sa viene ingannato da tutti, chi non ha viene comprato da tutti Simón Rodríguez6 Come già accennato la ricerca di Daniela Lucangeli7 restituisce un’immagine claustrofobica della scuola italiana, in cui la gioia dell’apprendimento è soffocata dall’ansia da prestazione. In queste circostanze il cervello produce il cortisolo, l’ormone dello stress, ovvero è costretto 5. Pestalozzi, 1996. 6. Galeano, 2006. 7. Lucangeli, op. cit. 12
a spendere energie per qualcosa che genera uno stato d’allerta che inceppa l’apprendimento: lo studente si blocca e non riesce a imparare. Pertanto se la scuola fa leva sulla paura e sul senso di colpa di fatto inibisce l’apprendimento. Ma quali sono gli ingredienti fondamentali per apprendere meglio e con maggiore facilità? Li spiega bene Paolo Mai nelle lezioni di Asilo nel Bosco, che ho avuto il piacere di frequentare. Il maestro racconta che gli studi di neuroeducazione, una disciplina in cui si incontrano neuroscienze, pedagogia e psicologia, sociologia e antropologia, pongono una domanda importantissima: Alla luce delle nuove scoperte sul funzionamento del nostro cervello come possiamo strutturare sentieri d’apprendimento che ci permettano di utilizzare l’enorme potenziale che custodiamo nella scatola cranica?
Secondo la neuroscienza apprendiamo meglio e più facilmente se nel nostro cervello non solo funziona il lobo prefrontale, che attiva la capacità di concentrarsi, la memoria a breve termine e il controllo degli impulsi, ma anche quello temporale, legato alla memoria a lungo termine e l’amigdala, che provvede alla gestione delle emozioni. Quale attività, dunque, meglio del gioco attiva naturalmente e tiene allenate le diverse aree celebrali? Durante le attività ludiche il cervello produce un surplus di glucosio e ossigeno, energie che permettono di continuare l’esperienza. Inoltre richiedono concentrazione, capacità di prendere decisioni, stimolano le emozioni e i sensi. Attraverso il gioco la plasticità celebrale, che permette di apprendere, funziona al massimo. Ciò dimostra brevemente che il gioco, lungi dall’essere considerato una perdita di tempo, dovrebbe avere un ruolo centrale nell’apprendimento a tutte le età. Tra gli ingredienti fondamentali per l’apprendimento c’è il movimento. Bastano quattro minuti di attività aerobica per produrre irisina, un neurotrasmettitore che migliora la capacità di atten-
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zione. Per aumentare concentrazione e memoria il nostro cervello ha bisogno di un corpo che si muove. In Finlandia – dove la scuola, secondo le classifiche internazionali, raggiunge i risultati migliori in termini di apprendimento e benessere – la didattica è strutturata in modo che ogni 30 minuti di lezione vi sia una pausa all’aperto o in aule speciali, allestite per permettere agli studenti di fare attività fisica mentre studiano. Altro elemento fondamentale per l’apprendimento è la motivazione che genera la dopamina, l’ormone della ricompensa. Quando un individuo scopre il proprio talento è motivato e si impegna ancora di più per migliorarsi proprio grazie alla dopamina. La neuroeducazione, inoltre, rimarca come il piacere sia veicolo di un buon apprendimento, poiché genera un altro ormone, la serotonina, una sostanza sedativa che mostra una relazione diretta con i livelli dell’umore e con altre funzioni dell’organismo (fame, sonno, ecc.), oltre ad essere attivatore dello stato di flusso in cui riusciamo a realizzare le migliori prestazioni. Come diceva Gianni Rodari: “Perché dobbiamo imparare con le lacrime ciò che possiamo imparare col piacere?”. Ne deriva che nella scuola in cui si apprende con gioia i bambini devono nutrirsi di esperienze piacevoli. Il nuovo filone della ricerca scientifica condotto da Daniela Lucangeli e dal suo gruppo di ricerca di Padova, che studia emozioni e apprendimento, si chiama warm cognition, letteralmente “cognizione calda”, secondo cui le emozioni si fissano nella memoria a lungo termine. Pertanto un bravo insegnante è quello che incoraggia le emozioni positive, crea una relazione con i propri studenti, attraverso la quale attiva un meccanismo emotivo che permette loro di apprendere. A sostegno del fatto che una buona relazione tra docenti e discenti sia uno degli elementi più importanti per l’apprendimento c’è la ricerca condotta da John Hattie – che ha realizzato la più ampia meta-analisi mai condotta – sui 200 fatto-
ri che incidono sull’apprendimento8. Tra questi quelli che incidono di più sono: la fiducia che gli insegnanti infondono negli studenti; l’esempio di cooperazione che mostrano gli adulti che vivono intorno ai bambini che li motiva a collaborare tra di loro; la fiducia e la sana autostima che i bambini nutrono in se stessi. Pertanto un bambino apprende meglio se gli si dà fiducia, ha una forte motivazione interna e una sana autostima e se può fare esperienze dirette insieme ad altri bambini stimolato dall’esempio offerto dagli adulti. In conclusione il nostro cervello apprende grazie a due sentinelle della memoria a lungo termine deputate alla selezione della moltitudine di informazioni in entrata: l’amigdala permette di memorizzare ciò che emoziona, mentre l’ippocampo seleziona ciò che stupisce. Il resto delle informazioni sosta nella memoria a breve termine per essere poi cancellato. La domanda ora è: quale miglior contesto può favorire l’incontro dei bambini con lo stupore e la meraviglia, emoziona, stimola il gioco e la cooperazione, promuove il movimento, l’esperienza diretta e sviluppa l’intelligenza ecologica? La natura. La scuola in cui si apprendere con gioia è una scuola che esce dall’aula per scoprire che il mondo naturale è un sillabario di esperienze indispensabili “affinché cresca una generazione consapevole di appoggiare i piedi su una Terra”9.
La scuola che si prende cura dell’ambiente Molte maestre lamentano che i bambini in prima elementare non sanno stare seduti alla sedia, ovvero non riescono ad accettare di rimanere per 8. Hattie, 2016. 9. Bussolati, 2013. APPRENDERE CON GIOIA
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quattro ore in una posizione innaturale! Qualunque essere umano a un certo punto necessita di una pausa. Il movimento è un bisogno primario ed è fondamentale per lo sviluppo e la crescita di un bambino. Per aumentare attenzione, concentrazione e memoria il cervello ha bisogno di un corpo che si muove. Dovremmo ricordarci che non solo abbiamo un corpo ma che siamo un corpo. In questo modo i nostri bambini non vivrebbero un grave squilibrio tra lo sviluppo cognitivo e le esperienze reali, tra la mente e il corpo. Quando tornano a casa le condizioni non migliorano e i “non bambini” vivono una condizione di libertà vigilata. Lo spazio dell’infanzia si ritira sempre di più dall’esterno verso l’interno. Sostiene Roberto Farnè che per quasi tutto il tempo libero durante l’infanzia – dove l’esperienza ludica ha una specifica identità – i bambini giocano sorvegliati, diretti, animati da adulti e per lo più in un luogo chiuso. L’idea che il bambino possa godere di un’attività ludica, da solo o insieme ad altri, liberamente e fuori dallo sguardo di un adulto, è pressoché inconcepibile. Nella nostra società, così attenta a proteggere l’infanzia da tutti i possibili rischi, il bambino non può fuggire la presenza dell’adulto, e l’adulto non sopporta l’ansia della perdita di controllo sui bambini quando si accorge che non sono sotto il suo sguardo vigile (o di qualcuno delegato a tale funzione)10.
Questo accade perché i bambini di oggi hanno avuto un graduale ma radicale spostamento da una vita di tipo sostanzialmente rurale a una urbanizzata; i bambini delle generazioni agricole infatti potevano manifestare la propria naturale vivacità con il gioco libero e indirizzare le energie imitando gli adulti e affiancandoli nella cura della campagna e degli animali. Al contrario le città non sono fatte a misura di bambino. Questa mancanza di gioco libero all’aria aperta po10. Farnè, Agostini, 2014. 14
trebbe portare molti bambini a tenere comportamenti aggressivi e iperattivi, con conseguenti livelli di attenzione bassi proprio perché si trovano nella situazione di non poter esprimersi secondo i tempi e gli spazi propri dell’infanzia. Richard Louv lo ha definito “deficit di natura” nei bambini11. L’educatore americano sottolinea la progressiva alienazione dalla natura che porta tra le altre cose, disamore nei confronti dell’ambiente, un minore utilizzo dei sensi e un maggior tasso di malattie fisiche ed emotive. L’autore suggerisce a genitori ed educatori di far trascorrere ai bambini quanto più tempo possibile in ambienti naturali. Anche per Eric Kandel (Premio Nobel per la medicina nel 2000) nel corso della nostra vita l’apprendimento scolpisce il cervello, creando continuamente nuove connessioni neurali. Pertanto nel caso sia stato diagnosticato un Disturbo Specifico di Apprendimento pur essendo consapevoli che non si guarisce, è importante sapere che può essere compensato soprattutto grazie agli stimoli offerti da un ambiente naturale. In linea con quanto indicato nei temi dell’Agenda per lo Sviluppo Sostenibile 2030, quello che mi sta a cuore approfondire è proprio l’origine della grave crisi ambientale che stiamo vivendo: il disamore nei confronti della natura. In tempi non lontani gli effetti nocivi degli interventi dell’uomo sull’ambiente erano prevedibili, perché limitati nel tempo e nello spazio, mentre oggi con la globalizzazione le conseguenze sono tanto remote da essere difficilmente controllabili in termini previsionali dalla mente umana. Non riusciamo a percepire la minaccia del caos climatico per esempio, perché pur essendo consapevoli che fenomeni estremi potranno accadere, non ne percepiamo la misura e le conseguenze. Per questo è importante maturare, come spiega Jones12, la consapevolezza che agire è indispensabile a 11. Louv, 2006. 12. Jones, 1990.
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non pregiudicare l’esistenza presente – e di chi ancora non è nato – e che questa responsabilità non ricade solo su scienziati, politici e tecnici ma riguarda tutti i soggetti. Siamo tutti chiamati a dare un contributo per ripensare a ciò che sta distruggendo il pianeta, per promuovere stili di vita alternativi al consumismo, che migliorino la qualità della vita, benessere e felicità di tutti i popoli ora e in futuro. Se la scuola è il luogo della costruzione del pensiero critico è da qui che bisogna partire per ritrovare il nostro legame atavico con la terra, ritrovare l’innata biofilia dei bambini e ricostruire il nuovo abitante del pianeta. Numerosi sono gli autori che hanno fornito alcune possibili risposte; fra tanti scelgo uno stralcio della Battaglia su Thoreau, che meglio si avvicinano al mio pensiero. Il rapporto tra uomo e ambiente è concepito nei termini di un’interazione, il cui paradigma normativo è rappresentato dalla simpatia e che si fonda sull’esperienza della natura come esperienza di un soggetto altro da noi. È proprio questo permanere della diversità che consente la simpatia: se l’io si annullasse, venisse cancellato o, al contrario, assorbisse l’altro, non potrebbe più avere l’esperienza di un soggetto altro da sé. Il paradigma della simpatia prefigura la possibilità di rapporti etici rispettosi della differenza. Rendendosi padrone di ciò che, invece, lo domina, l’uomo occidentale è divenuto estraneo al suo essere, si pensa in modo improprio; non riesce a scoprire quel che è contemplando gli alberi, i fiori, gli animali, ma si afferma domando, dissodando, catturando. Ed è la via dello stupore a rendere possibile la comunicazione simpatetica tra le creature più diverse, il reciproco riconoscimento, la fraternità ritrovata. L’uomo degno di questo nome si sentirà imparentato non solo con la propria famiglia con il proprio ambiente ma con ogni vita umana e naturale13.
Mi sento di sottolineare che questo aspetto della simpatia, che può tradursi nell’amicizia, è una componente della biofilia, l’amore per la vita, gli esseri viventi e per noi stessi. L’amici13. Battaglia, 1999.
zia per la natura è un’esperienza che comporta l’apertura verso la sua alterità: essa non diviene un bene in nostro possesso, non si riduce a qualcosa che fa parte del nostro mondo o della nostra soggettività. L’amicizia è una rinuncia all’istinto di possesso, favorisce una cultura della percezione capace di far apparire al meglio le differenze e di cogliere l’altro, di vederlo, di ascoltarlo, senza perdere né l’io, né il tu. Come a dire che se la pianta del bosco, il ragno, l’ape e la coccinella non ci emozionano da piccoli, da grandi non saranno altro che cose senza valore o solo nella misura in cui possono essere contabilizzate in senso monetario e che quindi sarà possibile distruggere a nostro piacere con un colpo di mano. Al contrario, come scrivo in Abbecedario verde14, ciò che avvicina gli individui alla propria naturalità riuscendo a farli sentire simpaticamente simili alla natura, quindi amici, è proprio il contatto diretto e intimo tra sé e l’ambiente intorno; un contatto che rende possibile un incontro profondo e commosso con il tutto, dove il sé non si sente più limitato a essere una parte del tutto né limitante per la natura, ma può sentire a priori la propria unità con ciò che lo circonda, restituirne la bellezza e partecipare alla meravigliosa esperienza della res cogitans e res extensa riunite nella sintesi. Il sé scopre l’essenzialità e si spoglia delle sovrastrutture, scartavetra le vernici sovrapposte del dovere e riscopre la propria dimensione ingenua e avverte un sentimento di piacere commosso; e nel piacere, poter cambiare atteggiamento nei confronti della propria vita, rinunciare all’inessenziale, al già detto, l’inquieta ricerca di ricchezze materiali e di poteri erroneamente salvifici. Egli ritrova la pace, il respiro aperto all’altro, la bellezza per le cose semplici e non smette di meravigliarsi dei progetti complessi e perfetti della natura e ne avverte la grazia, con l’attenzione amorosa e la cura gratuita 14. D’Aprile, 2011. APPRENDERE CON GIOIA
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che solo una madre può manifestare. Di quella pace Maria Zambrano scrive con le parole che colgo più vicine al mio sentire. Di qui la pace, che si spande dall’essere unitosi alla sua anima, la pace, che discende dal sentirsi insieme allo scoperto e in se stesso, senza dover fronteggiare nulla né sopportare l’esistenza come peso. E la leggerezza del sentirsi sorretto senza fluttuare alla mercé della vita, dell’immensità della vita, senza sentire né la propria limitatezza né la sua limitatezza, lungi da come si sente quando va in qualche modo alla deriva, sull’oceano della vita, senza sostegno15.
Per i bambini l’amicizia per la natura è cosa innata. Eppure crescendo l’adultizzazione interviene a rompere l’equilibrio e tiene separati la mente dal corpo, il corpo dalla terra. Sono profondamente convinta che per adulti e bambini il ritorno alla natura è requisito fondamentale per la costruzione del nuovo abitante del pianeta: una persona consapevole, in grado di prendere in mano la propria vita e di gestirla secondo il proprio talento; una persona più equilibrata, curiosa, con maggiori capacità empatiche e di risolvere problemi. Questo cambiamento sarà possibile solo se tutti noi avremo chiaro di far parte di una comunità, di essere in prima persona responsabili persino dei più piccoli e delicati equilibri del pianeta e che l’impegno di tutti è necessario per la nostra stessa sopravvivenza. Per sentire di far parte della natura non sono sufficienti alcuni incontri episodici di educazione ambientale nelle scuole, poche uscite didattiche l’anno o qualche pomeriggio all’aria aperta. È necessario attuare proposte coraggiose, in cui l’immersione nella natura, selvatica o meno, sia il fondamento di un’esperienza pedagogica che ponga al centro il bambino, le sue competenze, e mantenga intatta la sua capacità di incuriosirsi, esplorare, meravigliarsi e vivere sempre nuove avventure. Ed è un’immersione necessaria anche per gli adulti: solo da esperienze autentiche 15. Zambrano, 2004. 16
possono nascere motivazioni forti per cambiare le cose. In natura facciamo esperienza dell’aria, dell’acqua, del suolo, degli animali e delle persone intorno; scopriamo nuovamente di avere un corpo; scopriamo che corpo e terra sono la nostra casa. L’Outdoor Education, che mette al centro la relazione tra uomo, ambiente e gli altri esseri viventi, potrebbe essere l’orientamento pedagogico per sentirsi finalmente a casa.
La scuola aperta al territorio Sono passati 200 anni dacché i bambini sono stati rinchiusi all’interno di un’aula. Se questo aveva senso per la scuola nata con un processo umanistico legato alla rivoluzione industriale in preparazione a ciò che avrebbero dovuto fare dopo i futuri operai, ovvero stare rinchiusi dentro una fabbrica, oggi l’aula è un posto innaturale per iniziare un processo educativo. Sappiamo che l’apprendimento è legato anche al movimento e che rimanere nello stesso posto a studiare discipline diverse fa perdere alla conoscenza il senso del reale. La scuola di oggi per stare al passo coi tempi deve uscire dal perimetro dell’aula e aprirsi al territorio. Un suggerimento viene proprio dal passato dove si ritrovano molte proposte di scuola all’aperto – già collaudate e sperimentate anche in risposta ai problemi infettivi diffusi all’inizio del Novecento – che si potrebbero organizzare anche ora in breve tempo, sempre mantenendo il distanziamento fisico. Infatti, l’idea del fare scuola out-door è convinzione che s’intreccia da tempo con l’evoluzione del pensiero pedagogico. Ne sono testimonianza le scuole all’aperto froebeliane, le riflessioni delle sorelle Agazzi e Maria Montessori, le testimonianze di scuola di Mario Lodi, Loris Malaguzzi e Lorenzo Milani. Diverse sono le esperienze italiane già in atto da diversi
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anni; solo per citare alcune: la rete delle scuole all’aperto16, le scuole Montessori17, le scuole Reggio Children18, le scuole Waldorf19. Quello che propongo in questo libro è la creazione di una scuola che valorizzi al massimo le opportunità di star fuori attraverso le esperienze di Outdoor Education (OE)20. Per promuovere questo orientamento pedagogico è fondamentale concepire l’ambiente esterno in sé come luogo di formazione, uno spazio suggestivo privilegiato di esperienze formative, a partire da quello più prossimo: il giardino della scuola o il suo cortile. Nel corso della mia esperienza di progetti di Outdoor Education ho avuto modo di verificare che in Puglia – ma penso che il discorso possa estendersi a tutta l’Italia – ci sono cortili di grande bellezza ma sottoutilizzati, con i bambini costretti a trascorrere l’intervallo nei corridoi. Ci sono scuole con cortili di cui i bambini occupano ogni piccolo spazio: bambini che si costruiscono giochi con legnetti e materiale non strutturato raccolto nel giardino. Ci sono scuole dove esperti architetti hanno ignorato qualunque esigenza di libertà dei bambini e hanno progettato edifici con spazi esterni talmente risicati che i ragazzi sono costretti al solo transito prima di accedere alle aule dove trascorrono tutto il loro tempo. Ci sono scuole dove incuria e malcostume rendono pericolosi i cortili. Talvolta è la paura degli insegnanti, il loro timore di assumersi troppe responsabilità di fronte alle leggi della sicurezza a privare i bambini delle esperienze all’aperto. Della degenerazione del concet16. Cfr.: www.scuoleallaperto.com. 17. Cfr.: www.operanazionalemontessori.it. 18. Cfr.: www.reggiochildren.it. 19. Cfr.: www.educazionewaldorf.it. 20. “L’utilizzo del termine inglese è funzionale per condividere un significato riconosciuto a livello internazionale: OE è una sorta di ‘ombrello’ che raccoglie molte proposte formative accomunate dal ruolo fondamentale dell’ambiente esterno, delle metodologie attive e del contesto formativo generale in cui sono collocate”, cit. Bortolotti, 2011, p. 409.
to di prevenzione in iperprotezione e del compito degli adulti di evitare incidenti parleremo ampliamente nel capitolo “La pedagogia del rischio”. Una cosa va chiarita: fare Outdoor Education non significa semplicemente uscire all’aperto, ma innescare dei processi di formazione veri e propri. Si parte dall’esperienza ma è importante concettualizzare cosa si sta facendo. Lungi dall’avere derive ideologiche di tipo spontaneistico o di ingenuo naturalismo21, l’OE consente ai bambini di trascorrere tempi non residuali ma significativi all’aperto, dove rinforzare autonomia di azione e di relazione, impossibili in ambienti chiusi. Pertanto per sfruttare al massimo questa opportunità non possiamo affidarci all’improvvisazione; occorrono corsi di formazione, stipulare accordi con i soggetti che hanno già avviato questo tipo di sperimentazione. In Italia sono più di 150 le realtà di educazione in natura già avviate e che potrebbero offrire un contributo in tal senso. E neppure si vuole esaltare il fuori per denigrare l’aula. Come ricorda Roberto Farnè praticare l’OE significa ridefinire lo spazio interno come luogo di decantazione delle esperienze, di elaborazione di conoscenze attraverso i linguaggi appropriati; significa portare dentro ciò che si è trovato/provato fuori, dove dentro significa anche dentro di sé come esperienza vissuta22.
D’altronde molteplici ricerche confermano i benefici dell’OE23: • dal punto di vista socio-relazionale l’attività all’aperto procura benessere perché allevia lo stress, rasserena, diminuisce la disposizione al conflitto e stimola lo sviluppo del senso di autonomia e indipendenza dall’adulto, grazie all’aumento di distanza che gli spazi aperti consentono; 21. Farnè, 2015a. 22. Farnè, 2014. 23. Ceciliani, 2011, p. 413. APPRENDERE CON GIOIA
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• dal punto di vista cognitivo incrementa la concentrazione, l’attenzione spontanea, la riflessione, il ricordo delle conoscenze e il loro transfert; • dal punto di vista emotivo si evidenzia un migliore sviluppo dell’immaginazione e del senso di meraviglia. Come evidenzia Anders Szczepanski, l’ambiente può avere un effetto profondo sui bambini a causa della loro maggiore plasticità: i bambini che hanno un contatto giornaliero con la natura hanno punteggi più elevati nei test di concentrazione e autodisciplina, giocano in modo più variegato, hanno più capacità di linguaggio e collaborazione. L’Outdoor Education favorisce, inoltre, la riduzione dei comportamenti antisociali e devianti nei contesti scolastici24. Altra limitazione all’utilizzo dei cortili è che hanno uno spazio risicato che non consentirebbe l’accesso a più classi contemporaneamente: lo confermano i dati statistici sconfortanti sulla presenza di aree verdi nei cortili scolastici rispetto al numero di alunni delle scuole italiane. Nei comuni capoluogo in media ci sono circa 8,5 m2 di verde per alunno. Una cifra che varia tra le diverse aree del Paese a discapito del Sud Italia (circa 6 m2). Questo mette in evidenza un fatto: per rispondere alle esigenze di distanziamento fisico bisogna aprire nuove strutture scolastiche rimaste chiuse per il calo demografico, spazi aperti sia pubblici che privati. Questo vorrebbe dire svolgere le lezioni in aule didattiche decentrate e nel territorio, che diventa esso stesso ambiente educativo: piazze, musei, campi, spiagge e boschi. Spazi pieni, non vuoti di contenuti! Tutto quello che è possibile raggiungere a piedi oppure in treno. Anche il più sperduto paesello italiano può rivelarsi una grande opportunità per imparare la storia, la geografia e la letteratura direttamente sul territorio. 24. Wattchow, Brown, 2011. 18
I bambini in questa sorta di laboratori decentrati hanno l’opportunità di aprirsi alla conoscenza e ampliare i propri interessi, che poi riporterebbero in aula grazie alla guida dei docenti. La conoscenza così partirebbe dai bambini per trovare l’approfondimento grazie al lavoro degli insegnanti: un processo completamente rovesciato rispetto a quello della lezione frontale in aula. Quelle sopradescritte sono tutte argomentazioni che ci spingono a considerare il territorio intorno alla scuola come una grande opportunità per ampliare l’offerta formativa. In questa direzione va il documento, firmato da dieci sigle (associazioni educative e pedagogiche, contesti educativi e formativi, associazioni di famiglie, servizi di volontariato, enti del terzo settore), che contiene anche proposte concrete per rinnovare l’istruzione costruendo una scuola inclusiva25. Nel documento, tra l’altro, si suggerisce la costruzione in modo diffuso di Reti ad Alta Densità Educativa attraverso la piena attuazione dell’autonomia scolastica, riconoscendo la scuola come principale agenzia educativa dei territori con una forte apertura verso l’esterno e stabilendo rapporti con quei soggetti del terzo settore che già collaborano con gli istituti scolastici. Inoltre nel documento si propone di stipulare un vero e proprio Patto Educativo di Corresponsabilità in cui gli adulti educatori (insegnanti, cittadini, amministratori, ragazzi delle superiori) si riconoscono nel conseguimento dello stesso obiettivo: creare una scuola grande come il mondo.
La scuola che non lascia indietro nessuno La pandemia da covid-19 ha amplificato le disuguaglianze sociali ed economiche tra gli alunni: se prima avevamo solo un sentore delle condi25. Cfr. Retisolidali: https://tinyurl.com/y4534yr4.
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zioni in cui vivono determinate famiglie con la didattica a distanza abbiamo ottenuto nomi e cognomi di chi vive questa discrepanza. Molti stanno pensando a come colmare i dislivelli aggravati dal periodo di sospensione e spesso i maestri e soprattutto maestre e professoresse si fanno carico dei drammi sociali ed esistenziali di tanti ragazzi che la società getta al margine, si trovano necessariamente ad essere anche un po’ psicologhe e un po’ assistenti sociali26.
Probabilmente in questo anno scolastico così complicato da cominciare invece che pensare a ciò che si è perduto bisognerà partire da quello che i bambini hanno guadagnato durante la chiusura: hanno imparato che gli altri sono importanti, che seguire le regole per il bene comune è un gesto altruistico fondamentale, che nella vita esistono situazioni traumatiche che vanno affrontate insieme. Il lavoro è estenuante e il cambiamento della scuola impellente. A frenarlo non è soltanto la mancanza di risorse economiche. In un periodo storico in cui tutte le conoscenze possono essere raggiunte accendendo un computer che cosa è importante che i bambini apprendano? Ritengo che il rinnovamento nella scuola possa avvenire solo se tutti, insieme, guardiamo a un orizzonte comune di benessere come quello suggerito dalle Life Skills redatte dall’Oms nel 1993: le competenze che interessano le aree cognitiva, relazionale ed emotiva, necessarie per prevenire il disagio minorile. L’Oms ha poi chiesto agli stati membri di aiutare i bambini ad acquisire tali competenze, grazie alle quali potranno affrontare efficacemente le richieste e le sfide della vita quotidiana. Dovrebbe essere convinzione comune che se un ragazzo rimane indietro ne siamo tutti responsabili, in modo tale da scatenare le nostre energie migliori per aiutarlo a risollevarsi e farlo brillare. 26. Cfr. Lorenzoni, 2015.
Secondo l’Oms le prime abilità che i bambini devono acquisire riguardano l’area cognitiva: imparare a prendere decisioni e risolvere problemi. La psicologia ci dice che le frustrazioni sono un’opportunità per sperimentarsi, mettersi in gioco, sbagliare e attivare un processo autonomo di risoluzione dei problemi. Le frustrazioni aumentano l’autostima e l’autonomia dei bambini affinché imparino a scegliere responsabilmente. Si tratta, inoltre, di competenze essenziali affinché i bambini sentano di essere parte della Terra e consapevoli di quello che le accade. Altre competenze importanti dell’area cognitiva per il benessere del bambino sono: coltivare il senso critico e la creatività. Circa il 97% dei bambini possiede il pensiero divergente; con la crescita e l’inserimento nei meccanismi della vita adulta tale pensiero diventa un tesoro custodito dal solo 30%. Come scrive ancora Lorenzoni La scuola dovrebbe essere il principale luogo di incontro con il bello. Dovrebbe assicurare democraticamente a tutti l’incontro con ciò che di più straordinario hanno concepito e costruito uomini e donne nella storia. Ma pittura, architettura, letteratura e musica vanno frequentate in modo diretto e concreto. E allora bisogna uscire, esplorare la natura e le città e imparare a scoprire i tesori che ci sono nel territorio che ci circonda27.
Le competenze che appartengono all’area relazionale sono: la comunicazione efficace e la relazione interpersonale. Un’importante ricerca sulla felicità, condotta da circa ottant’anni dall’Università di Harvard, ci dice che sono proprio le relazioni interpersonali l’ingrediente fondamentale per la felicità e che affinché i bambini apprendano a stare bene insieme gli adulti devono fornire loro esempi autentici di cooperazione. Come a dire che i bambini impareranno dal nostro esempio solo se saremo credibili. Le ultime Life Skills riguardano invece l’area emotiva28: 27. Ibidem. 28. Guarino, Lancellotti, Serantoni, 2011. APPRENDERE CON GIOIA
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• gestione dello stress: la capacità di riconoscere le cause dello stress e di controllarlo; • autocoscienza: conoscenza di sé e del proprio carattere. Capacità di riconoscere i propri bisogni e le proprie esigenze, le proprie qualità e debolezze e di riflettere con obiettività su se stessi; • empatia: la capacità di comprendere gli altri e di mettersi “nei loro panni” migliora le relazioni sociali e facilita la comprensione e l’approccio alle diversità etniche, culturali, ecc., favorendo il comportamento personale e l’aiuto degli altri; • gestione delle emozioni: i bambini devono avere ruolo attivo nell’acquisizione delle competenze per la vita e devono imparare a riflettere su come si sono sentiti durante un conflitto. Per raggiungere gli ultimi quattro obiettivi indicati dalle Life Skills è fondamentale perseguire il sentiero dell’educazione emozionale. L’etimologia della parola emozione proviene dal latino ex moveo, tirare fuori, come non considerare dunque le emozioni come il motore che muove il mondo29? Le emozioni sono una bussola esistenziale, ci indicano la strada da seguire. Le emozioni giocano un ruolo chiave nella relazione tra corpo e natura: sono saldamente connesse al pensiero razionale e alle scelte etiche che facciamo. L’educazione emozionale insegna a stare attenti a non inibire la nostra risposta emotiva e a risvegliare il senso di responsabilità. Aumentare la capacità di comprendere ciò che proviamo ci aiuta a gestire al meglio le nostre reazioni in ogni momento. Quando impariamo ad ascoltare le nostre emozioni possiamo fare delle scelte consapevoli, permettendo ai nostri corpi di guidarci responsabilmente nell’interazione con il mondo. Tuttavia mi preme sottolineare quello che dice Paolo Mai30: per educare alle 29. Mora, 2013. 30. Corso online “Il modello educativo dell’Asilo nel Bosco” ottobre 2019. 20
emozioni è necessario agire in maniera sistemica, lavorare non solo sui bambini ma su tutta la comunità educante. Infatti se si vuole produrre un cambiamento è indispensabile agire su quattro ambiti d’intervento. 1. Autoeducazione degli educatori; 2. con le famiglie: sia a livello culturale (corsi di formazione) che individuale (sostegno alla genitorialità); 3. nel gruppo di educatori: per supportarsi e migliorare il benessere sul lavoro; 4. con i bambini: alfabetizzazione (imparare a riconoscere le emozioni) e gestione delle emozioni. Per riconnetterci responsabilmente al pianeta dobbiamo tutti imparare ad ascoltare e gestire le emozioni in modo da farci guidare dal senso di responsabilità. Oltre alle Life Skills per ridurre il disagio minorile è indispensabile rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana
come recita l’articolo 3 della Costituzione italiana. Questo significa che per attenuare le differenze che portano alla discriminazione durante il percorso formativo ciascun alunno deve poter scoprire il proprio talento e imparare a coltivarlo. Come scrive ancora Lorenzoni la scommessa dell’educare sta nell’aprire i destini di ciascuno alla maggiore libertà di scelta possibile, partendo dalle condizioni date, spesso anguste31.
Infatti come scrive Martin Seligman, fondatore della psicologia positiva, tutti noi siamo dotati di potenzialità che ci rendono unici e che una volta riconosciute possono essere utilizzate al servizio di qualcosa di più grande per produrre felicità e 31. Lorenzoni, 2019.
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gratificazione. Scoprire il proprio talento è una delle migliori prevenzioni del disagio minorile, perché avere una forte motivazione interna impedisce di percorrere strade che potrebbero compromettere la propria esistenza irrimediabilmente. Concludendo, per non lasciare nessuno indietro l’educazione e la scuola devono trasformarsi in uno spazio di esercizio di responsabilità comune e condivisa da tutti, “perché – come dice Pestalozzi – l’educazione non si limita alla sfera individuale ma è un meccanismo rigenerativo della società”. Dalla scuola dell’infanzia fino all’università siamo tutti responsabili dei due milioni e mezzo di ragazzi che hanno smesso di studiare. Una situazione di tale gravità richiede un intervento della massima urgenza da parte del Governo, perché questa forzata inattività danneggia la loro intelligenza ma anche l’intera società: quando permettiamo a un ragazzo di abbandonare la scuola stiamo creando una mina vagante. Il mio sogno è che la scuola diventi un luogo di educazione dove le persone, come dice David Bueno, possano crescere in dignità. È quello che accade in alcune scuole in cui la relazione educativa prima che la relazione didattica è il fondamento degli obiettivi che si vogliono realizzare. Educazione per me significa incontro, socialità, passione per il sapere, rispetto di ogni individuo per quello che può e vuole dare. La scuola che sogno è quella che rispetta ogni singolo individuo nel suo essere attraverso un ascolto profondo e privo di giudizio. E che lo trasforma in una persona migliore. Questo obiettivo è difficile rinchiuderlo in un tempo e uno spazio. Una delle cose più paradossali è che lo spazio possa essere un’aula. Pertanto garantiremo che diventi un luogo di educazione, quindi di benessere, per i bambini quando apriremo la scuola al territorio e sapremo coinvolgere gli studenti, partendo dal loro interesse e facendo loro scoprire il tesoro che
nascondono, aiutandoli a conoscere se stessi e a crescere in autostima e autonomia. Ma perché possano fidarsi di noi dovremo imparare a cambiare postura, sia educatori che genitori, così che i bambini riconoscendo autenticità, umiltà e coerenza ci considerino un esempio a cui ispirarsi – giammai da copiare. Allora saremo in grado di instaurare una buona relazione, un dialogo aperto e autentico privo di giudizio, un vero dialogo d’amore con loro nel quale l’altro rappresenta una ricchezza da valorizzare e non un soggetto da plasmare. Quando dopo averli profondamenti ascoltati i bambini avranno scoperto il proprio talento, e che la felicità proviene dal metterlo a disposizione degli altri, allora avremo posto le basi per la costruzione di una nuova comunità che agisce in maniera responsabile e pronta a convivere pacificamente per il benessere di tutti gli esseri viventi.
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Parte Outdoor Education Prima
Posso insegnare ai bambini il ciclo dell’acqua e se lo svolgo in modo didatticamente adeguato i bambini lo capiscono e lo imparano. Ma se un bambino ha avuto esperienza della pioggia sul viso, quell’apprendimento sarà diverso. L’ambiente esterno diventa il campo di esperienza Alberto Manzi
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Ambiente esterno = ambiente educativo
Nella progettazione di percorsi di educazione all’aperto sono indispensabili sperimentazione e ricerca poiché non esiste un modello da applicare in maniera standardizzata. Infatti l’Outdoor Education, così come convenuto a livello internazionale, pone l’accento solo su di un punto di vista, su di un orientamento pedagogico: quello di valorizzare al massimo le opportunità dello star fuori e del concepire l’ambiente esterno in sé come luogo di formazione1. Questo vuol dire che non esistono prescrizioni sugli obiettivi da raggiungere né sulle attività e percorsi didattici da affrontare, perché dipendono dal contesto educativo, dai bisogni dei bambini e dalla specificità degli educatori. Si tratta, infatti, di affinare un curriculum contestuale nel quale è l’analisi del contesto a far emergere la proposta didattica. Dobbiamo ragionare sul fatto che l’ambiente esterno è molto più che il luogo dove svolgiamo le attività umane, perché se da un lato siamo in grado di modificare i luoghi, dall’altro essi ci formano e definiscono la nostra identità. Innanzitutto per approcciarsi a questo orientamento pedagogico bisogna desiderare di cambiare atteggiamento nei confronti dell’educazione. Infatti uno dei motivi che mi hanno spinto a scri1. Farnè, 2015a.
vere questo libro è quello di promuovere un cambiamento nella postura dell’educatore sfiorando i temi dell’educazione cui più tengo, sostenibilità ed emozioni perché penso che non esiste cura che funzioni senza impegno, motivazione e cuore. Non è mia intenzione né prescrivere istruzioni e neppure somministrare facili ricette su come fare educazione all’aperto. Mi auguro che il testo possa offrire l’opportunità di pensare piuttosto che al “cosa” fare al “come” farlo per promuovere un cambiamento nelle abitudini di adulti e bambini, dare un contributo alla costruzione del vostro personale orizzonte pedagogico cui potervi ispirare durante i percorsi di OE. Inoltre mi auguro possiate prendere spunto dalle attività didattiche descritte nella Parte Seconda del libro per tenere vivo il piacere di imparare giocando. Per quanti di voi sono preoccupati che l’approccio di OE esalti il tempo trascorso in cortile e mortifichi quello in sezione mi preme sottolineare che praticare OE significa piuttosto integrare entrambi i contesti e dare origine a percorsi di apprendimento innovativi ed efficaci. Infatti come ricorda Roberto Farnè lo spazio interno nell’OE si trasforma nel luogo di decantazione delle esperienze, di elaborazione di conoscenze attraverso i linguaggi appropriati; significa portare dentro ciò che si è trovato/provato fuori, dove dentro significa anche dentro di sé come esperienza vissuta2.
Sempre secondo Farnè, senza alcuna intenzionalità pedagogica di contenuto qualcuno potrebbe pensare che l’OE si presti a derive ideologiche di tipo spontaneistico o di ingenuo naturalismo3. C’è il rischio che passi il concetto che l’apprendimento all’aperto sia esclusivamente gioco e movimento libero. Se consideriamo l’apprendimento non solo come trasmissione di nozioni ma ciò che coniuga conoscenza, abilità e atteggiamenti orientandoli nella direzione di uno sviluppo per2. Ibidem. 3. Ibidem. APPRENDERE CON GIOIA
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sonale allora consentire ai bambini di trascorrere tempi non residuali ma significativi all’aperto è la condizione fondamentale per affidare a loro stessi autonomia di azione e di relazione impossibile in ambienti chiusi. Ovviamente ci deve essere una progettazione essenziale, una programmazione minima dello “stare fuori”, che preveda la preparazione dei contesti educativi per tutto ciò che può colpire l’attenzione dei bambini e avviare un processo di apprendimento. I tempi devono essere quelli a misura di bambino che deve sentirsi libero di muoversi ed esplorare4. Inoltre, come sottolinea Cooper5, dovremmo pensare all’OE come a un approccio interdisciplinare: l’OE può incorporare arte, scienza, scienze sociali, matematica ed educazione fisica; attraversa discipline e soggetti, coinvolge domini cognitivi, affettivi e psico-motori. Non ha vincoli di orari, di programmi e questa maggiore flessibilità ed enfasi sugli apprendimenti attivi e di prima mano offre l’opportunità di mettere in discussione le strutture e i valori dominanti nelle società.
In conclusione valorizzando al massimo le opportunità dello star fuori l’ambiente esterno, outdoor assume la valenza di un contesto educante che, oltre a essere un luogo in cui si apprende, offre l’opportunità di rafforzare il senso di rispetto per l’ambiente naturale e consente di esprimere e potenziare le competenze emotivo-affettive, sociali, espressive, creative e senso-motorie6.
Origini dell’Outdoor Education in Europa A metà tra l’Ottocento e il Novecento mentre la civiltà industriale metteva le sue radici in Europa 4. Ibidem. 5. Cooper, 2010. 6. Wattchow, Brown, 2011. 26
trasformando gli ambienti di vita e costringendo un continuo flusso di popolazione rurale verso la città, il diffondersi di malattie infettive orientava privati, filantropi, amministrazioni municipali e autorità centrali verso una dimensione nuova della cura educativa. Le scuole all’aperto sorte come scuole per la tutela e cura dell’infanzia gracile, malata e povera, aprirono tuttavia scenari alla definizione di nuovi modelli organizzativi della scuola e della didattica tout court, che contribuirono in maniera rilevante al rinnovamento scolastico del secolo scorso e alla promozione dei diritti dell’infanzia. Si può dire che all’origine delle pedagogie all’aperto – esperienze come “open air school” nel Regno Unito, “école de plein air” in Francia, “walden-schule” in Germania, “escuelas a l’aire lliure” in area spagnola – troviamo senz’altro una matrice medico-igienica come forma di prevenzione delle malattie infettive. Ciò che caratterizzava questo tipo di didattica è che le lezioni oltre che all’interno dell’edificio venivano svolte anche all’esterno e i bambini erano immersi nella natura per una osservazione diretta7. Obiettivi diversi ebbe l’attivismo pedagogico che – a partire dalle “scuole nuove” inglesi di Cecil Reddie e Haden Badley; francesi di Edmond Demolins, dove i bambini svolgevano attività legate alla terra in un’area selvaggia della Normandia; tedesche di Hermann Lietz, nelle cui “case di educazione” i bambini vivevano un’esperienza comunitaria in un contesto rurale; fino all’Italia con le sorelle Agazzi a Mompiano, nel bresciano, e a Maria Montessori – valorizzò il ruolo dell’ambiente esterno come luogo privilegiato di apprendimento informale e formale. Si trattava di esperienze molto diverse tra loro per tipologia di utenza e di innovazione metodologico-didattica, comunque destinate a studenti sani.
7. D’Ascenzo, 2018.
Ilaria D’Aprile
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Parte Sei cammini per Seconda l’Outdoor Education
Si capisce bene cos’è la scuola quando la viviamo come se fosse il luogo dove si entra competitivi, aggressivi, razzisti e, dopo aver lavorato e studiato insieme per i bisogni comuni, si esce rispettosi degli altri, amici, tolleranti Gianfranco Zavalloni
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Coltivare il silenzio. Apprendere le sfumature della vita
Momento di pausa in classe. Una collega si avvicina per chiedere qualcosa. Chiacchiericcio dei bambini; per non farci sopraffare dalle voci aumentiamo il volume delle nostre. S’innesca un gioco al rialzo. Non comprendo le parole della collega. Prima provo fastidio, poi rabbia che sale, sale… conto fino a dieci, mi giro verso i bambini in silenzio, tendo un braccio e miro con delicata fermezza a ciascun bambino guardandolo sorridente, dritto negli occhi. Loro riconoscono il gesto. La “bacchetta del silenzio” farà il resto. Noi adulti parliamo troppo. Dobbiamo imparare a moderare la cacofonia della nostra vita per apprezzarne i momenti di quiete. Soprattutto i bambini hanno poche occasioni per sperimentare il silenzio. E quando li sentiamo tranquilli siamo tentati sempre d’interrompere la magia preoccupati che stiano attraversando un momento di difficoltà oppure che il silenzio sia preludio della prossima azione criminale. Stiamo comunicando loro che il silenzio è mancanza, assenza di qualcosa e non piuttosto un dono per recuperare la calma interiore e permetterci nuove possibilità di arricchire il rapporto con gli altri. I suoni di ciò che ci circonda disegnano il paesaggio sonoro, sosteneva John Cage, compositore musicale tra i più innovativi, giunto a teorizzare l’importanza del silenzio con un famoso brano in cui l’assenza
di musica è interrotta solo dai colpi di tosse, dai cigolii delle sedie, e dagli altri rumori di fondo del pubblico in attesa del concerto4. Se siamo a contatto con la natura il paesaggio descritto dal silenzio diventa un quadro meraviglioso. Le nostre scuole devono creare il maggior numero possibile di momenti di tranquillità affinché i bambini guardino al silenzio come a un amico che li aiuti a rigenerarsi, a riconnettersi e a recuperare il piacere di ascoltare. I bambini a scuola devono fare esperienza del silenzio e imparare a non temerlo, a conoscerlo, apprezzarlo e trarne tutti i benefici. Per Maria Montessori educare al silenzio ha una doppia funzione. La prima è quella di produrre piacere: il silenzio aiuta a riprendere forze. La Montessori invitava i suoi alunni a non sprecare nulla di una pausa e a coglierne ogni sfumatura. Molteplici studi hanno infatti dimostrato che le attività di mindfulness, ovvero porre attenzione con consapevolezza al momento presente e senza giudizio, portano a una diminuzione dello stress e a un aumento dell’attenzione, del controllo delle emozioni e della capacità di calmarsi. La seconda ha una funzione più strettamente educativa: il silenzio che aiuta a concentrarsi, a rallentare e prendersi cura di quello che si fa nel momento presente. Aiuta a riflettere su di sé e a riconnettere mente e corpo, che solitamente nella fretta tendiamo a separare. Fare silenzio serve a comprendere meglio, a porre domande giuste e permette di ritrovare il piacere di ascoltare e non solo quello di parlare. Per costruire un dialogo, alla base di qualunque processo educativo, è importante che tutti i bambini abbiano la possibilità di esprimere la propria opinione; per far questo gli adulti devono fare un passo indietro, fare silenzio, sospendere il giudizio per considerare ogni contributo importante per la costruzione collettiva del sapere. Solo in 4. D’Aprile, Favale, 2015. APPRENDERE CON GIOIA
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questo modo si costruirà un vero scambio culturale che arricchisce tutti. È talmente alta la necessità di riportare il silenzio nelle nostre vite che la giornalista e ricercatrice Nicoletta Polla-Mattiot e il professore Duccio Demetrio, ordinario di filosofia all’Università Bicocca di Milano, hanno dato vita nel 2010 all’Accademia del Silenzio. I coraggiosi obiettivi dell’accademia sono: • promuovere una “nuova militanza del silenzio” nei consueti luoghi di vita; • favorire un approfondimento delle occasioni creative che hanno la necessità del silenzio; • imparare un “linguaggio del silenzio”, delle pause, del giusto tono, dell’ascolto condiviso. Un’ottima opportunità per abitare il silenzio e reimparare ad ascoltare è la natura, il luogo dove si apprende il linguaggio del silenzio e si apprezzano meglio tutte le sue straordinarie potenzialità. Fare esperienze ad alto contatto con la natura permette al corpo di recuperare integrità e consapevolezza. L’immersione nei suoni della natura ci consente un ascolto profondo dei nostri bisogni. Ascoltare la voce della natura migliora il rapporto con noi stessi e con gli altri. Attraverso la pratica costante di concedersi tempi di quiete è possibile apprezzare le sfumature delicate della vita. Di seguito sono descritte alcune attività da svolgere all’aperto per aiutare i bambini a far tesoro del silenzio e coglierne la sua speciale ricchezza.
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Attività
Camminata silenziosa
Invitate i bambini a camminare seguendo un percorso prestabilito nel giardino. Durante la camminata appuntate le osservazioni che i bambini fanno rispetto a ciò che vedono. Ripetete la camminata, questa volta mantenendo il silenzio. Riunitevi seduti in cerchio e domandate: “Che cosa vi ha colpiti durante la passeggiata silenziosa?”. Invitate i bambini a fare un confronto tra le due passeggiate: “Come vi siete sentiti? Che opportunità ha offerto praticare il silenzio?”. Ripetete un’ultima volta la passeggiata con le nuove competenze acquisite, concentrandovi sul respiro. La coda del cortile Tornare in classe e appuntare sul quaderno quello che si è imparato da questa esperienza. In alternativa si può realizzare un elaborato grafico. Per continuare Ripetere la camminata più volte nel corso dell’anno scolastico per permettere ai bambini di prendere confidenza con l’esercizio. Qualora possiate praticare la camminata in un ambiente naturale i bambini potrebbero usare questa pratica per attivare tutti i sensi e apprezzare meglio l’immersione in natura. I giapponesi, grandi estimatori delle camminate nei boschi, la chiamano terapia del Shinrin-Yoku ovvero guarire lo stress immergendosi nella natura. Thich Nhat Hanh, monaco vietnamita, ha indicato nella meditazione camminata una via per la presenza mentale, l’interruzione del dialogo interno, la consapevolezza del momento presente: in breve, una via per la felicità. Suggerisce: imparate a dare il benvenuto a ciò che vedete, sentite, incontrate e attraversate mentre camminate all’aperto nella Natura. Per esempio, se sentite il canto degli uccelli mentre camminate, potete salutarli silenziosamente nel vostro cuore.
Proporre ai bambini di ringraziare mentalmente tutto quello che incontrano camminando in natura può accrescere la loro innata amicizia per i viventi.
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Attività
Gioco degli sguardi
Seduti in cerchio si dettano le regole del gioco: non utilizzare parole e gesti. L’obiettivo è quello di passare lo sguardo da una persona all’altra in maniera continuativa, senza interruzioni, in modo tale da non farlo “cadere a terra”. Un primo giocatore punta gli occhi su qualcuno all’interno del cerchio in maniera inequivocabile. Quindi chi ha ricevuto lo sguardo lo trasmette a un altro, che a sua volta lo passerà a un terzo giocatore. Il gioco continua sino a quando lo sguardo “cade”. Allora il gioco ricomincia. Terminata la sessione, chiedete ai bambini come si sono sentiti. Quali emozioni hanno provato. Guardare negli occhi qualcuno può suscitare imbarazzo. Parlare delle difficoltà che si incontrano nell’utilizzare una comunicazione fatta di soli sguardi. Conoscono altri giochi in cui devono curare il linguaggio non verbale? Quanto è importante il silenzio per esprimere certe emozioni? La coda del cortile In classe realizzare un elaborato di gruppo (un’azione teatrale, un disegno, un cartellone) che racconti le emozioni provate durante l’esperienza. Per continuare Alfabetizzazione emozionale: riconoscere le emozioni. Ricercare, raccogliere e ritagliare tutti i volti che esprimono le emozioni primarie cioè quelle innate e presenti in ogni essere umano (gioia, rabbia, tristezza, paura, disgusto, sorpresa) e le secondarie (allegria, vergogna, gelosia, ansia, rassegnazione, invidia, speranza, perdono, offesa, nostalgia, rimorso, delusione) che originano dalle primarie e nascono dalle interazioni sociali. Quali sono le espressioni del volto e del corpo per esprimere ciascuna emozione? Proporre un gioco: dividere i bambini in gruppi più piccoli. Comincia un gruppo alla volta. Un componente interpreta un’emozione, mentre il resto del gruppo deve indovinarla. Vince il gruppo che riconosce più emozioni.
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Ilaria D’Aprile Ilaria D’Aprile, laureata in Scienze Forestali e Ambientali presso l’Università di Bari e con Master in Educazione Ambientale per la promozione di uno sviluppo sostenibile presso l’Università di Bologna, è esperta in educazione alla sostenibilità e realizza progetti di formazione per insegnanti e studenti curiosi. È presidente di “Essere Terra”, associazione che promuove i viaggi a piedi e l’educazione sostenibile. Coltiva lo stupore e la meraviglia per le cose che la circondano. Con la meridiana ha pubblicato Abbecedario verde. Salvare la Terra partendo dalla scuola (2011).
In copertina disegno di Fabio Magnasciutti
APPRENDERE CON GIOIA Outdoor Education nei cortili scolastici
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Praticare Outdoor Education significa valorizzare lo spazio esterno come contesto educativo, mettendo al centro i bisogni dei bambini e degli educatori come comunità educante, pensando non solo al bambino e alla bambina di oggi, ma immaginando l’uomo e la donna di domani. Bambini ed educatori devono avere chiaro di far parte di una comunità cui possono fare affidamento, di essere in prima persona responsabili di delicati equilibri del pianeta e che il loro impegno è necessario per la stessa sopravvivenza degli umani. Per fare questo è fondamentale uscire dal perimetro dell’aula e sognare il mondo che verrà, a partire dal contesto a loro più prossimo: il cortile scolastico. La scuola ha dunque bisogno di intraprendere un nuovo sentiero pedagogico, che è anche un percorso politico di educazione alla cittadinanza. Una scuola che educa il Paese ha bisogno di fare Outdoor Education, ovvero di una didattica fondata sulla motivazione, sugli interessi e i talenti dei bambini; che stimola i legami cooperativi tra adulti e tra generazioni; che si fonda sul piacere del fare e dell’apprendere; che riflette sull’educazione emozionale per favorire la costruzione di relazioni significative; che dà spazio al pensiero divergente attraverso il corpo, il gioco e l’ambiente, strumento che non ha eguali per conoscere se stessi, gli altri e il mondo che ci circonda.
Ilaria D’Aprile
ISBN 978-88-6153-798-9
Euro 13,50 (I.i.) 9 788861 537989
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