Il mondo in tasca. Uno sguardo psicosocioanalitico sull’incontro con l’adolescente

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CRISTINA BARBIERI

MARCO VALENTINI

IL MONDO IN TASCA

UNO SGUARDO PSICOSOCIOANALITICO SULL’INCONTRO

CON L’ADOLESCENTE

con contributi di Mauro Rossetti e Maria Elena Petrilli

Cristina Barbieri – Marco Valentini

IL MONDO IN TASCA

Uno sguardo psicosocioanalitico

sull’incontro con l’adolescente

Con contributi di Mauro Rossetti e Maria Elena Petrilli

Presentazione di Leonardo Speri

Introduzione di Cristina Barbieri e Marco Valentini

Postfazione di Elena Molinari

Presentazione

I ragazzi non si fanno vedere sono sfuggenti come le pantere e quando li cattura una definizione il mondo è pronto a una nuova generazione

Non m’annoio, Jovanotti 1992

I volumi della collana Percorsi Psicosocioanalitici rappresentano un fermo immagine del punto provvisorio raggiunto dalle esperienze e dal processo di elaborazione del pensiero teorico e tecnico dell’Associazione ARIELE Psicoterapia sull’argomento trattato. Sono anche stati sempre oggetto di incontri propedeutici, dedicati alla condivisione e alla discussione, in cui gli autori e curatori hanno incontrato i soci, cosicché incontri e testo sono diventati inevitabilmente un work in progress, arricchito dalle successive presentazioni del libro in COIRAG, e non solo, aprendosi a nuove ibridazioni. Questo sesto volume, dedicato all’adolescenza, che rimane un emergente di cronica attualità, non fa eccezione e forse più di altri rappresenta la provvisorietà processuale di un pensiero che, come vedremo, ha anche radici lontane. Si tratta infatti di riflessioni su un oggetto, “l’adolescente” (ma sarebbe importante riconoscerlo subito nella sua soggettività), per sua natura imprendibile, come vuole la vecchia citazione in epigrafe, fuori campo, prossima al loro mondo benché indirizzata al nostro. Lavori giocoforza in corso, quindi, come sottolineano i curatori ed Elena Molinari nella sua ricchissima Postfazione: una dimensione isomorfa al transito e di rispecchiamento rispetto alla transitorietà radicale della condizione adolescenziale. La terra ignota e instabile che traspare nel libro è quella su cui si appoggia incerto ogni terapeuta che si sia impegnato in una relazione di aiuto.

1 Psicologo Psicoterapeuta Psicosocioanalista, Past President di ARIELE Psicoterapia. Specialista COIRAG, Membro della Commissione Scientifica COIRAG e già docente della Scuola di Specializzazione in Psicoterapia della COIRAG. Consulente Tecnico Scientifico dell’Istituto Superiore Sanità e del Comitato Italiano per l’UNICEF. Coordinatore del Gruppo di Interesse per l’Età Evolutiva della COIRAG. Già responsabile del Servizio Progetti e Promozione della Salute dell’ASL di Verona, svolge attività di Consulenza e Formazione per Servizi Pubblici e del Privato Sociale. In questa collana ha scritto con Aurelia Galletti Con la Lente della Mente.

Leonardo Speri

Ma dove sono gli adulti? Due suggestioni. La prima: in un incontro di psicoanalisti, alcuni anni fa, è stato presentato un sofisticato sistema di algoritmi in grado di discriminare in una quantità impensabile di messaggi e parole chiave nei social il potenziale annuncio di comportamenti autolesivi. L’ Intelligenza Artificiale sembra in effetti ormai in grado di individuare questi messaggi in bottiglia lanciati nell’oceano del grande Web. La domanda conseguente: chi li leggerà e, nel caso, come li leggerà? Chi si assume, e come, l’onere di essere l’interlocutore? La seconda: il gruppo di lavoro che ha redatto l’introduzione al report dei risultati di un questionario sui comportamenti di salute e sui bisogni degli adolescenti a Milano nel 1995, mutuato dal sistema di sorveglianza HBSC2 promosso dall’OMS, rilevava un tasso molto alto di risposte e di risposte libere di segno positivo, cosa non scontata, dato il carattere intrusivo e impersonale dell’indagine. Una possibile spiegazione diventava rintracciabile in più risposte rivelatrici, una in particolare: “Era ora che qualcuno si facesse avanti. Grazie!”3. Deve esserci davvero un grande bisogno che qualcuno legga il tuo messaggio o che ti veda, se già si è riconoscenti per l’attenzione attraverso un questionario. C’è da chiedersi, e questo è un nodo centrale, se non siano la portata di una sfida e un terreno così precario a indurre troppo spesso il mondo adulto, ora come già in passato, a rinunciare alla presenza e alla presa in carico. Il tema è quello della responsabilità della presenza ma anche del perché l’adolescenza sia così destabilizzante.

Se riusciamo ad andare oltre alla disapprovazione per la deriva dimissionaria degli adulti, dobbiamo osservare quanto difensiva sia oggi l’elusione degli innumerevoli messaggi, implicite richieste di riconoscimento e aiuto, che ci pervengono dai ragazzi come singoli e come soggetto collettivo. Quanto sentiamo inconsciamente enorme e pericoloso lo svuotamento addosso a noi del “mondo in tasca” evocato dal titolo, con le sue intensità maniacali e depressive, col suo carico ansiogeno di fantasmi, sia erotici che auto ed etero aggressivi, particolarmente prorompenti in questa fase dello sviluppo? Dobbiamo osservare anche che affrontarne le manifestazioni,

2 Health Behaviour School-aged Children (www.epicentro.iss.it/hbsc/). Il Sistema di Sorveglianza è tutt’ora attivo a livello nazionale.

3 C. Celata et al. (a cura di) Il mondo dell’Adolescenza: Pensieri, Enigmi, Provocazioni. Indagine OMS sui giovani e la salute a Milano, FrancoAngeli, Milano 1997.

così estreme, richiede una maturità che le ultime generazioni di genitori faticano a raggiungere, ma soprattutto il sostegno di un gruppo, di una comunità curante, di un sentire comune che oggi patisce, come giustamente sostengono i curatori, dell’erosione del suo tessuto connettivo, dei garanti metasociali.

L’incontro, oltre che doveroso, è tuttavia possibile e, come ci dice questo testo, lo è prendendo coraggio e dotandosi di strumenti come quelli richiamati nei tre livelli su cui Marco Valentini e Cristina Barbieri hanno scelto, come curatori, di fissare l’attenzione.

Risalendo il volume a ritroso, partendo dal loro contributo autoriale e la prospettiva PsicoSocioAnalitica che lo contraddistingue, troviamo il livello gruppale/istituzionale.

Il problema della reificazione in termini psicopatologici o di devianza sociale delle manifestazioni di disordine evolutivo, ancorché fisiologiche, con la conseguente stigmatizzazione sociale della domanda, ha interrogato la vita di ARIELE Psicoterapia ormai da quasi trent’anni4. La risposta, attraverso l’offerta di spazi istituzionali a bassa soglia, con la possibilità di intercettare e ascoltare un disagio ancora senza nome, si muoveva in controtendenza, allora e forse ancor di più oggi, con un ventaglio di interventi preformati, pesantemente a rischio di patologizzazione, di medicalizzazione, di stigma di devianza nelle sue forme più varie, di svalutazione sociale e così via, nella incapacità di vedere la persona nella sua complessità oltre al sintomo, il suo percorso evolutivo al di là delle fisiologiche disarmonie (qualcuno aveva coniato il termine “animalo” che divenne per molti di noi, più che lessico familiare, parte dell’E.C.R.O. gruppale5) Non solo: a far crescere la preoccupazione c’era e permane la consapevolezza della cecità dell’offerta istituzionale rispetto alla propria influenza, soprattutto circa gli effetti delle etichette diagnostiche, su soggetti affamati di identità e con una forte tendenza patoplastica, pronti a catturare un nome, l’ordine promesso dalla parola a lenire la confusione, e col nome un ruolo sociale, spesso antagonista, anche doloroso ed emarginante, purché riconoscibile. Di un ascolto istituzionale a bassa soglia erano stati precursori a livello nazionale i CIC (Centri di Informazione e Consulenza ex D.P.R. 309/90), sportelli con lo psicologo nelle scuole superiori. In una esperienza locale tesa a imprimere più forza ad un lavoro

4 Prima come ARIELE PsicoSocioAnalisi e dal 2002 come ARIELE Psicoterapia.

5 Si rimanda alla concezione di Pichon-Rivière, in particolare alla nota n. 120.

Leonardo Speri di rete attraverso un progetto pilota chiamato “Hamelin”, che evocava nel nome la favola del Pifferaio Magico, alla fine degli anni Novanta, i servizi territoriali6 accettarono di provare a essere almeno per un po’ una “comunità istituzionale pensante”, di lavorare insieme sperimentalmente a favore di un ascolto aspecifico che solo in caso di reale necessità attivasse il secondo livello specialistico. Al di là dei risultati istituzionali del progetto, e di una trasformazione abortita per i prevedibili arroccamenti istituzionali identitari, restò, oltre che un buon numero di incontri felici con gruppi di adolescenti, una rete di oltre 40 operatori formati, alcuni di loro oggi in ARIELE Psicoterapia che, grazie ad Aurelia Galletti e a Ermete Ronchi e con la supervisione di Annamaria Burlini, avevano portato a buon fine un articolato impianto formativo oggi ahimè impensabile. Molti i semi gettati, così da non rinunciare negli anni successivi a offrire agli adolescenti diverse occasioni di ascolto diffuse nel territorio, meno condizionate dall’identità e dalle appartenenze a un servizio specializzato, un po’ più libere dall’estenuante conflitto di competenze tra strutture e a copertura di aree di domanda completamente scoperte perché per nulla o mal presidiate.

È apparso fin da subito evidente che l’incontro a bassa soglia richiede, tutt’altro che paradossalmente, un alto tasso di esperienza clinica e di conoscenze teoriche e tecniche, di capacità di lettura del transfert e del controtransfert, sia dei singoli che dell’organizzazione, nonché delle complesse dinamiche, ben descritte dagli autori, che intervengono massicciamente a orientare la domanda e le risposte, individuali e istituzionali.

E a ben vedere in modo ricorsivo anche della Polis, del clima emotivo collettivo e delle sue risoluzioni formali che ne discendono, giuridiche, amministrative e organizzative.

È uno degli aspetti importanti che caratterizza le riflessioni che chiudono il volume e il progetto presentato, Spazio 14/22+, in cui l’ingrediente della gruppalità dei curanti diventa la garanzia della sostenibilità e anche della qualità, grazie al supporto degli strumenti analitici e psicosocioanalitici per l’analisi della cultura organizzativa, che, ricordiamo, integrano in modo originale, gra-

6 Tutti: Psichiatria, Neuropsichiatria Infantile e Psicologia dell’Età Evolutiva, Servizio per le Tossicodipendenze, Consultori Familiari, Servizi Sociali del Comune, Servizio Sociale del Tribunale dei Minorenni, Comunità e Strutture per l’accoglienza e la riabilitazione del privato sociale.

zie a Gino Pagliarani, i contributi della socioanalisi inglese e della psicoanalisi sociale argentina7.

Risalendo il volume, nello scritto di Maria Elena Petrilli troviamo quindi testimonianza di questa indispensabile alta competenza: il racconto quasi al microscopio della relazione terapeutica trattato con una straordinaria intensità, intimità analitica, capacità di lettura ma anche di continui riferimenti al pensiero teorico. Un pensiero capace di concentrare l’attenzione sulla relazione mantenendo insieme una visione binoculare, cioè uno sguardo sul mondo che in quel microcosmo si riflette. Perché dentro la stanza dell’analisi, finalmente riconosciuta non più impermeabile al sociale, e grazie al rigore della sua cornice, del setting, la leggibilità della storia del singolo all’occhio attento diventa anche la leggibilità del mondo.

Senza uno sguardo sul mondo, l’adolescente diventa un coacervo illeggibile di manifestazioni patologiche, senza la centralità dell’incontro interpersonale e della relazione, le potenzialità trasformative del rapporto terapeutico, del campo co-transferale, rischiano di venir dissipate.

È anche il lascito di una grande maestra, venuta a mancare mentre scrivevamo queste righe e alla quale, per quello che ci ha dato in conoscenze e passione, questo volume è doverosamente dedicato.

La psicoterapia richiede sapienza tecnica e adeguati riferimenti teorici per leggere le dinamiche e orientare eventuali progetti di cura; non va ridotta ad una salvifica “empatologia”, come ci ricorda Correale8.

Ed è su questo che in apertura del libro ci soccorre il contributo di Mauro Rossetti, interprete della cultura psicoanalitica argentina, co-fondatore del Gruppo Racker di Venezia, socio onorario di ARIELE Psicoterapia assieme all’amica e conterranea Maria Elena Petrilli.

Proprio partendo dalla differenza tra psicoterapia e un incontro empatico di tipo dialogico/pedagogico, in cui rischia di evolvere anche una psicoterapia a orientamento analitico se le interpre-

7 arielepsicoterapia.it/cornice-teorica

8 A. Correale (2011), Ogni relazione è terapeutica?, Congresso XII Giornate Psichiatriche Ascolane “Essere e intersoggettività. Intersoggettività dell’essere” The Psychiatry

On Line Italia Videochannel https://tinyurl.com/bhm8and2

Leonardo Speri tazioni vengono disinnescate riducendole a consigli, Rossetti ripercorre snodi chiave della ricerca psicoanalitica e degli elementi trasformativi della relazione terapeutica, offrendo al lettore una cornice indispensabile per conciliare il profondo coinvolgimento con gli adolescenti con la distanza necessaria per leggerne la vita interiore.

Con un excursus teorico che da Freud attraverso la Klein arriva a Meltzer, concentrandosi sul contributo di quest’ultimo, Rossetti ci offre un ricco quadro sinottico delle concettualizzazioni in gioco quando cerchiamo di comprendere il mondo mentale dell’adolescente, sulle quali poggia l’attesa trasformativa del nostro operare.

Il rischio del trascinamento nel concreto è costante, e probabilmente va anche corso, se si è capaci di mantenere l’indispensabile funzione analitica della mente. La post-fazione di Elena Molinari è molto di più di una postfazione, è il riattraversamento di tutto il testo attraverso ciò che evoca delle sue conoscenze e della sua esperienza professionale di analista, di cui ci fa generosamente parte.

Soprattutto incoraggiandoci a continuare nella ricerca con l’umiltà necessaria, e la curiosità, libera da competizione, tanto apprezzata da Meltzer, per stare al passo dell’evoluzione sociale e scoprire ancora qualcosa di nuovo.

Introduzione

Fermiamoci un attimo: arriveremo prima

Adagio arabo

Nel romanzo/diario del 2013 Gli sdraiati, Michele Serra racconta la relazione tra lui, il padre, e Tizio, il figlio diciottenne.

Tizio sembra incapace di portare a termine qualunque lavoro, resta sdraiato tutto il tempo sul divano, circondato dal computer acceso appoggiato sulla pancia, lo smartphone in una mano, “un lacero testo di chimica” nell’altra, le cuffiette dell’iPod nelle orecchie, la televisione a volume altissimo.

Il padre, che non riesce ad avere un dialogo con lui, fantastica di scrivere un romanzo epico, la Grande Guerra Finale (quella che attraversa le epoche da sempre tra i Vecchi e i Giovani) prima di perire nella battaglia con questa generazione di “mutanti”.

Oggi c’è da chiedersi se quella generazione di sdraiati, non fosse riuscita a vedere cose che la generazione degli eretti non aveva saputo vedere o non aveva ancora visto!

Alcuni anni dopo quel romanzo, in particolare dopo la pandemia da Covid-19, questi adolescenti sono diventati un emergente sociale da cui traspare un disagio, a volte grave. Questo disagio si esprime spesso attraverso forme di ansia e di depressione, comportamenti di isolamento e ritiro sociale, manifestazioni di aggressività auto (cutting) o eterodiretta (baby-gang e bullismo), disturbi dell’alimentazione, problemi legati all’identità di genere. Nel periodo pandemico la solitudine e l’assenza di occasioni di socializzazione per gli adolescenti, la carenza e la disomogeneità di risposte adeguate sul piano istituzionale, una mancata attenzione specifica verso la salute mentale dei ragazzi, le ansie e le difficoltà attraversate da parte del mondo adulto hanno sicura-

mente contribuito all’accentuarsi di questo disagio, come riconosciuto anche dall’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza1.

D’altra parte, sembra che gli adolescenti oggi fatichino a trovare adulti competenti: trovano più spesso adulti fragili e narcisisti, che non sono in grado di raccogliere la sfida dei figli e di aiutarli a crescere.

L’adolescenza pare essere paradossalmente un paradigma di riferimento per la società odierna, quella di cui Zagrebelsky parla nel suo libro Senza adulti2 , in cui si interroga sulle conseguenze della modificazione dei rapporti tra le età della vita, in favore della giovinezza a tutti i costi, a scapito dell’età matura. Come se, nella società liquida descritta da Bauman3, il tempo dell’adolescenza si fosse diluito.

È l’epoca delle “passioni tristi”4, caratterizzata dall’aumento del numero di giovani che accusano forme di disagio psichico che Benasayag e Schmit leggono come sintomo di un malessere generale che permea l’intera società, dominata da impotenza e incertezza, sentimenti che portano a rinchiudersi in se stessi e a vivere il mondo come una minaccia.

L’adolescenza, “una moltitudine felice-infelice compresa fra il periodo di latenza e lo stabilirsi dell’età adulta”5, se ancora inizia formalmente a 14 anni (alcuni segnali direbbero che questo inizio si sia anticipato), possiamo pensare che si estenda oggi almeno fino ai 24.

Le tappe che un tempo segnavano il passaggio all’età adulta, che fungevano da riti di passaggio (si pensi ad esempio al servizio militare), non esistono più o hanno perso di valore (si pensi a come erano attesi i 18 anni nel secolo scorso per poter votare). Lo stesso confine che era determinato dal raggiungimento della laurea, è stato sostituito dalle successive specializzazioni e dalla presenza di master post-universitari che sostengono tempi lunghi di attesa per entrare nel mercato del lavoro, allontanando l’ingresso nell’età adulta agli anni successivi.

Sembrano essere venuti meno i garanti metasociali che, come Kaës ci ricorda, colpiscono i garanti metapsichici della vita psichica ossia “le formazioni ed i processi dell’ambiente psichico su cui si basa e si struttura la psiche di ogni soggetto”, creando incertezza.

1 Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza, 2022.

2 Zagrebelsky, 2016.

3 Bauman, 2010.

4 Benasayag e Schmit, 2005.

5 Meltzer, 1973.

Cristina BarbieriMarco Valentini

[...] la violenza sociale e individuale, l’esclusione, i comportamenti devianti e marginali sono le espressioni manifeste della crisi dei garanti metasociali6.

In campo psicoanalitico, lo sviluppo della psicoanalisi degli adolescenti negli ultimi decenni ha comportato, nei fatti più che nella teoria,

un cambiamento del paradigma classico della psicoanalisi stessa […] in maniera analoga a quanto […] è successo con l’affermarsi della psicoanalisi dei bambini agli inizi degli anni ‘407

Da questo punto di vista il processo in corso di trasformazione e ricerca della tecnica nel lavoro con gli adolescenti, risuona con il processo di trasformazione e ricerca dell’identità in adolescenza. Il cambiamento del criterio sociologico di definizione dell’adolescenza, il modificarsi delle attuali patologie emergenti, le trasformazioni innescate dal periodo pandemico, hanno reso necessari oggi nuovi adattamenti e lo psicoterapeuta si trova anche a dover integrare ciò che l’era tecnologica e i suoi figli, i nativi digitali, impongono, come ad esempio la richiesta di psicoterapia o di consulenza online.

Nella fase attuale, a differenza di un tempo in cui la sofferenza adolescenziale pareva non essere vista nella sua specificità, si assiste a una sorta di sovraesposizione di un disagio profondo, diffuso, allarmante tra gli adolescenti. Rispetto all’emergenza e urgenza di tali problematiche, le Istituzioni degli adulti, se da una parte rispondono affermando la necessità di intervenire, dall’altra lo fanno con modalità a tempo e/o frammentarie, non sostenute da un pensiero progettuale che tenga conto anche degli aspetti emotivi in gioco, per cui gli interventi messi in atto risultano spesso fallimentari.

L’adolescenza impone a chi se ne occupa, di interrogarsi su cosa sia possibile fare e che abbia un senso e quali cambiamenti possano essere fatti ai diversi livelli.

La questione che si pone è anche di ordine etico e politico, perché ha a che fare con le aspettative e l’investimento dei ragazzi e delle ragazze, che possono essere forti e risultare traditi o disattesi dagli

6 Kaës, 2005.

7 Pellizzari, 2003.

INTRODUZIONE

adulti. Tutto questo è particolarmente evidente e pericoloso in questo momento storico in cui le politiche sociali e quindi l’investimento economico sulle Istituzioni che ne sono garanti, versano in grave sofferenza.

La curiosità che suscitano gli adolescenti, l’idea che come loro si muovono ci dice sempre qualcosa sulla Polis, l’esperienza che per molti anni abbiamo potuto fare in ambito pubblico nella prevenzione, nella terapia, nell’organizzazione e supervisione degli interventi istituzionali che riguardano questa fascia di età, ci hanno sollecitati ad assumerci la cura di questo Volume, inserendovi una rilettura delle parti più significative di questa nostra esperienza di lavoro.

Il titolo che abbiamo scelto, Il mondo in tasca, è evocativo dell’onnipotenza degli adolescenti, delle loro illusioni e delusioni, dei mondi segreti e sconosciuti che portano con sé, delle aspettative da cui si sentono gravati, delle speranze di cui si sentono deprivati, dell’invidia o dello sconcerto che suscitano, dell’ambiguità che evocano negli adulti. Nel titolo è contenuto anche, proiettivamente, quello che gli adulti sentono di aver perso irrimediabilmente perché, comunque sia andata, la loro adolescenza appartiene al passato.

Il volume raccoglie e sistematizza una parte di quanto l’associazione ARIELE Psicoterapia ha elaborato in questi anni sul tema dell’adolescenza, attraverso seminari dedicati e momenti di riflessione clinica condivisa.

Il testo propone una lettura che va dal mondo interno dell’adolescente al contesto con cui egli è in relazione, da quello familiare al gruppo dei pari fino ad arrivare alle Istituzioni di cura che se ne occupano, che, a loro volta, non possono non tener conto delle caratteristiche proprie del mondo interno adolescenziale per poter funzionare, in una interconnessione costante tra questi diversi livelli attraverso il cursore8 (di cui scriveva Ermete Ronchi) sul continuum “individuo, gruppo, istituzione, territorio sociale/polis, ecosistema e ritorno” che richiede di riconoscere emozioni specifiche ad ogni livello, per impedire “che la confusione e i conflitti diventino la regola”.

Il volume si articola in tre parti.

La prima parte è un affondo teorico che ha costituito il corpo di un percorso seminariale associativo condotto dal dott. Mauro

8 Ronchi, 1999.

Cristina BarbieriMarco Valentini

Rossetti. Il suo contributo si propone come consolidamento delle basi teoriche psicoanalitiche, versus le molte suggestioni presenti nel nostro campo di lavoro, portatrici di una supposta efficienza tecnico-operativa, sostenuta dalla tentazione di ottenere risultati immediati (senza “perdere tempo” in speculazioni astratte). Egli riprende le radici storiche del pensiero psicoanalitico, partendo dal pensiero di Meltzer, con il quale egli ha lavorato per molti anni, soprattutto sugli aspetti fisiologici e psicopatologici legati all’adolescenza.

La seconda parte è un estratto degli interventi seminariali condotti in Associazione dalla dott.ssa Maria Elena Petrilli. Maria Elena se ne è andata nel giugno 2024, lasciando un grande vuoto istituzionale (è stata socia onoraria di ARIELE psicoterapia) ma soprattutto un profondo dolore in tutti noi.

Con lo stile narrativo che la caratterizzava, attraverso il racconto della propria formazione e delle proprie esperienze cliniche, la dr.ssa Petrilli mette a fuoco alcuni concetti fondamentali della relazione terapeutica con gli adolescenti, anche quando questa prenda la forma di consulenza breve9; in questo lavoro viene messa in particolare evidenza l’importanza di tenere presente il transfert (“c’è sempre”) e di considerare il contesto (familiare, gruppale e geografico) nel quale l’adolescente è inserito.

La terza parte contiene le nostre riflessioni sul campo istituzionale nel quale siamo stati a lungo immersi, partendo dalla narrazione dell’esperienza fatta, per proporre una lettura psicosocioanalitica della dinamica che si attiva nell’incontro tra gli adolescenti e le Istituzioni di prevenzione/cura deputate ad occuparsi di loro, oltre a una rilettura funzionale di un pensiero progettuale, dove la teoria si pone al servizio della prassi. In particolare abbiamo voluto evidenziare la qualità delle emozioni che si mettono in gioco inevitabilmente in questo incontro e come queste risuonino potentemente nelle Istituzioni, andando a determinare interventi e scelte organizzative.

Il fil rouge che lega le tre parti è come salvaguardare la ricchezza dell’incontro ai diversi livelli: individuale, nel gruppo di lavoro e con l’Istituzione.

La scrittura ci ha costretti a disambiguare alcune questioni, ad aumentare la consapevolezza e il senso di alcune scelte che sono state operate in sede istituzionale, per estrapolarne considerazio-

9 Petrilli, 2015.

ni più generali che possano essere utili al lettore sulla relazione adolescenti-Istituzione, depositando nello scritto gli incroci tra teoria e prassi.

Il testo è rivolto in particolare alle colleghe e ai colleghi psicoterapeuti che lavorano con gli adolescenti e a chi si sta formando come psicoterapeuta, per approfondire aspetti di clinica individuale e istituzionale, ma anche a coloro che (insegnanti, educatrici ed educatori, operatori e operatrici sociali) si sentono curiosi e appassionati di questa fascia di età, con la speranza che questo scritto possa permettere a tutte e a tutti di aprire nuovi pensieri. Sottolineiamo che non è nostro intento tracciare un’immagine degli adolescenti e delle diverse forme in cui oggi si manifesta la loro sofferenza, così come non ci proponiamo di tracciare un modello di intervento. Il nostro obiettivo è quello di ricontestualizzare la nostra esperienza sul campo, proponendo una lettura clinica istituzionale, che evidenzia limiti e possibilità e che lascia anche aperte molte domande. In tal senso, questo testo ha il valore di un lavoro in progress perché, come scrivono Benasayag e Schmit:

Questo è lo sfasamento nel quale viviamo tutti i giorni: da una parte sogniamo una “grande scienza” perché ci offre le tecniche, fonte di comodità. Ma, dall’altra parte, soffriamo della nostra ignoranza, di non sapere minimamente come funzioni e come possa essere orientato e dominato quel favoloso mondo della luce che genera costantemente oscurità e incertezza10

10 Benasayag e Schmit, 2005.

Cristina

Bibliografia

Bauman Z., Amore liquido, Laterza, Bari-Roma 2010

Benasayag M., Schmit G., L’epoca delle passioni tristi, Feltrinelli, Milano 2013

Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza, Pandemia, neurosviluppo e salute mentale di bambini e ragazzi. Documento di studio e di proposta. I - La ricerca qualitativa, Istituto Superiore di Sanità, Roma 2022

Kaës R., Il disagio del mondo moderno e la sofferenza del nostro tempo. Saggio sui garanti metapsichici, in “Psiche”, anno XIII, n. 2/2005, Il Saggiatore, Milano

Meltzer D., Stati sessuali della mente, Armando, Roma 1973

Pellizzari G., La psicoanalisi degli adolescenti ha cambiato la tecnica psicoanalitica? in “Adolescenza e psicoanalisi”, anno III, n. 1 /2003

Petrilli M.E., Consultazioni brevi e lavoro psicoanalitico con gli adolescenti, “Quaderni di ARIELE Psicoterapia” n. 2, 2015

Ronchi E., Per un ascolto progettuale della mancanza. Verso un maggiore benessere gruppale e istituzionale, in Di Marco G. (a cura di), L’istituzione come sistema di gruppi, Centro Studi e Ricerche in “Psichiatria Istituzionale”, 1999

Serra M., Gli sdraiati, Feltrinelli, Milano 2013

Zagrebelsky G., Senza adulti, Einaudi, Torino 2016

Storia della teoria da Freud a Meltzer

PREMESSA

Entriamo subito nel vivo affrontando il pensiero di D. Meltzer che ha analizzato e discusso gli sviluppi della psicoanalisi da Freud alla Teoria delle Relazioni Oggettuali2, teoria a cui ha contribuito col suo pensiero, a cui facciamo riferimento nel nostro lavoro di psicoterapeuti con gli adolescenti.

Prendendo come spunto Meltzer, elenchiamo alcuni princìpi per una psicoterapia3.

Per prima cosa si deve essere convinti della preminenza della realtà psichica, perché questo porta a rendere valido il concetto di responsabilità individuale, che significa non rifugiarsi nei costumi (“oggi tutti fanno così”), in criteri sociologici della cultura o nelle statistiche.

1 Laureato Psicologo a Rosario (Argentina), ha avuto la sua formazione psicoanalitica nella Scuola di Pichon-Rivière a Buenos Aires. È personalità onoraria dell’Associazione ARIELE Psicoterapia.

In Italia dal 1973, è stato consulente e supervisore di numerosi Servizi socio-sanitari nel territorio veneziano. Co-fondatore del Centro Racker di Venezia, ha partecipato ai seminari e alle supervisioni di Donald Meltzer dal 1990 al 2003 e tenuto periodici gruppi di studio sulla Teoria delle Relazioni Oggettuali. Attualmente svolge attività libero professionale come psicoterapeuta.

Ha pubblicato con altri autori libri sulla clinica di Meltzer: Lavorando con Meltzer –Clinica del claustrum (Armando ed.), Transfert, Adolescenza, Disturbi del pensiero (Armando ed.), Meltzer in Venice (The Harris Meltzer Trust by Karnac ed.), curato il libro Mito, mistica e filosofia nel pensiero di Bion (Cafoscarina ed.), curato la prima edizione italiana dei testi di José Bleger Psicoigiene e Psicologia istituzionale (Lauretana ed. – rieditato dalle edizioni la meridiana nel 2011), la prima e la seconda edizione del testo Simbiosi e ambiguità (Lauretana ed. – Armando ed.).

2 Hinshelwood 1996: Oggetto: “Persona o cosa che serve per soddisfare un desiderio” per questa ragione lo si denomina come “rappresentante mentale dell’istinto”.

3 Meltzer, 1981, p. 49.

Mauro Rossetti Dice Michel de Montaigne (1500): “Le idee comuni ci sembrano naturali e ci nascondono il vero aspetto delle cose”4.

Nella psicoterapia ci sono due menti che si mettono in moto in un rapporto intimo che non ha paragoni (salvo quello nella prima infanzia con la madre).

Lo scopo primo della psicoterapia psicoanalitica non è solo quello di curare i sintomi, ma di aiutare il paziente perché impari a pensare se stesso nelle proprie parti più irrazionali, meno adattate, piacevoli o sgradevoli, che possono dominarlo.

Lo stesso succede quando affrontiamo lo studio di un autore o intraprendiamo una supervisione: s’impara a pensare ciò che fino a quel momento non si era pensato e a capire il perché di un certo problema o blocco momentaneo (controtransferale o per identificazione proiettiva) nel rapporto col paziente.

Il giorno dopo una supervisione riceviamo i nostri pazienti con un altro spirito, con maggior sicurezza, la sicurezza che dà “l’aver capito”, l’aver incorporato un altro modo di pensare, anche se le ipotesi di dire o fare in un determinato modo, ipotizzato nella supervisione, non trovano spazio momentaneo nella seduta successiva. Abbiamo invece ottenuto un pensiero che si mette in movimento, una dinamica che ci permette di cogliere il movimento mentale del paziente e nostro.

I concetti imparati come per esempio quelli di Io, Super-Io, comportamento, attaccamento, inconscio, caregiver, ecc., ci permettono a volte di orientarci per dare qualche spiegazione alla nostra relazione con il paziente, ma questa spiegazione sarà sempre superficiale (momentanea) se non sappiamo da quale modello della mente essi provengono, da quale contesto teorico, storico e filosofico furono concepiti. Potremmo dire: manca il “corpo”, la sostanza di questo intento di spiegazione dei problemi del paziente.

È questa la ragione che mi porta a specificare e approfondire certi concetti della psicoanalisi che spesso si considerano separatamente o si danno troppo per scontati.

Freud era un medico, un ricercatore nel campo della biologia medica e per sopravvivere economicamente iniziò la sua pratica professionale inoltrandosi nei sintomi isterici delle sue pazienti. Le origini della psicoanalisi hanno questa impronta medica ma, nel suo sviluppo, Freud dovette anche rispondere alle aspettative

4 De Montaigne, 2002.

scientifiche dell’epoca, condizione indispensabile per avere un riconoscimento sociale e distinguersi dagli ipnotisti e dai ciarlatani.

Con M. Klein, che non era medico e sicuramente aveva una mentalità fortemente pragmatica (non a caso fu bene accetta in Inghilterra), l’ottica della psicoanalisi cambiò radicalmente. M. Klein si liberò delle restrizioni di dover continuamente rispondere alla ‘scientificità’ medica delle sue affermazioni. Sviluppò un metodo e un concetto (paradossalmente estremamente scientifico) che è l’osservazione.

Lei descriveva ciò che vedeva nel gioco dei bambini e non si preoccupava di fare combaciare questa osservazione con la teoria psicoanalitica accettata fino allora o con le scienze naturali imperanti. Per questa ragione aveva molti detrattori. Alcuni psicoanalisti la accusarono sostenendo che le sue formulazioni non avevano niente a che vedere con la psicoanalisi (vedi il gruppo di Anna Freud), altri invece la accusarono di poca scientificità nelle sue ricerche. Comunque il suo insegnamento fu ripreso da un folto gruppo di psicoanalisti, che solitamente chiamiamo post-kleiniani. Tra questi, Bion sostiene che quando un modello non funziona non si devono avere esitazioni a sostituirlo con uno nuovo che risponda maggiormente alla realtà. Possiamo affermare che con M. Klein si mantiene la base di partenza di tutta la costruzione psicoanalitica. La psicoanalisi, dice Vegetti Finzi, “accoglie e gestisce il mandato socratico che sta alla base della nostra cultura: Conosci te stesso”5, mandato cui, con la psicoanalisi, si assolve, in modi diversi a seconda dei tempi e dei contesti storici e geografici in cui la psicoanalisi stessa si trova a operare.

IL TRANSFERT

Meltzer6 ci spiega come Freud scopre il fenomeno del transfert nei rapporti con i suoi pazienti. Data la sua formazione medica (lo ricordiamo: neurologo, con un inizio di carriera come ricercatore nel campo della neurofisiologia a Trieste), Freud partiva da una concezione, un modello dei processi mentali, neuro-fisiologico-idraulico (distribuzione dell’energia-libido ed equazione mente/cervello).

5 Vegetti Finzi, 1990.

6 Meltzer, 1989.

Mauro Rossetti

Questo modello, basato sulla trasmissione dell’energia attraverso il sistema neuronale, non teneva in considerazione i processi psichici da un punto di vista qualitativo, ma solamente quantitativo7. La vita mentale veniva concepita legata al corpo, ai suoi bisogni e tesa a soddisfare questi bisogni senza tener conto ancora del proprio ambiente.

Il concetto evolutivo di Freud partiva dall’impostazione darwiniana dello sviluppo e il principio della fisica alla quale Freud faceva riferimento era quello della conservazione dell’energia della termodinamica8, secondo la visione ottocentesca della fisica. Questa concezione della scienza portava la ricerca di Freud per la terapia delle patologie mentali, a decifrare quale era l’ingorgo dell’energia che provocava i disturbi mentali, usando all’inizio la tecnica ipnotica per provocare la catarsi dell’energia stessa. Secondo Meltzer il modello descritto non poteva dare a Freud la possibilità di concepire un “mondo interno”, un interno della mente composto da intrecci tra oggetti incorporati, anche se quando sviluppò la seconda topica (Io, Es e Super-Io) e ancor prima quando indagò sulla malinconia, parlò di “interiorizzazione”. Il transfert, per Freud, era pensato come una ripetizione del passato, di tracce dell’infanzia da recuperare attraverso i ricordi: i nevrotici sono soggetti che “soffrono di ricordi”, scriveva9. Meltzer, partendo dall’ottica kleiniana, critica questo modo di intendere la patologia dal punto di vista freudiano perché, secondo la Teoria delle Relazioni Oggettuali, le persone non soffrono di ricordi ma “vivono nel passato”, hanno una vita che dà continuità ad esperienze dolorose non assimilate. Questo ci porta a parlare di un contributo originale di Meltzer che cercherò di spiegare brevemente: il transfert preformato. Abbiamo visto spesso nel nostro lavoro, pazienti che credono, e anche noi lo crediamo, di essere in una seduta di psicoterapia ma che in realtà lo sono in un rapporto molto diverso. Ma quale? Il paziente non si lamenta, tra entrambi, paziente e terapeuta, “ci si intende bene” e si tira avanti, ma col tempo si riesce a percepire che non c’è un reale cambiamento. Spesso questo è dovuto al fatto che il paziente confonde la psi-

7 Ivi, p. 47.

8 Ne “L’Io e l’Es” Freud sostiene ancora la teoria pulsionale, quando dice che le pulsioni sono un’energia che sviluppa l’Io e il Super-Io.

9 Ricordiamo che i suoi studi sono iniziati con la concezione della teoria del trauma.

coterapia con una discussione tra due persone in cui uno cerca di convincere l’altro della bontà dei suoi argomenti. Oppure egli pensa che lo psicoterapeuta debba svolgere il ruolo di un medico odi un insegnante (tema ripreso anche spesso dalla figura dello psicoanalista che appare nei film americani): questo si evidenzia maggiormente quando un paziente accetta le descrizioni/interpretazioni in seduta, ma poi veniamo a sapere dal paziente stesso che ha detto in famiglia “il dottore/ssa mi ha detto che devo, ecc.”. Ha preso ciò che gli è stato detto per produrre in lui un pensiero, come una prescrizione o un consiglio, pensandolo equivalente a una “chiacchiera” con una persona di fiducia10. Questo atteggiamento, che possiamo chiamare resistenza, parte dall’esperienza che “l’insight è sempre doloroso, perché ci obbliga a cambiare opinione su noi stessi”11. È Bion che descrive il rovesciamento della prospettiva12, operazione in cui il paziente deve fare predominare le proprie illusioni sulla realtà.

Il paziente si appiglierà a un’ambiguità nella fraseologia o nell’intonazione dell’analista per dare all’interpretazione una direzione che l’analista non intendeva. È difficile osservare la differenza tra un insight autentico e gli effetti prodotti dal rovesciamento della prospettiva, giacché il paziente che rovescia la prospettiva, adopera anche le comuni forme di fraintendimento abbastanza spesso da tenere in ombra l’aspetto più grave della sua malattia. Egli accoglierà con piacere le interpretazioni di questi fraintendimenti, se esse sottolineeranno gli aspetti intenzionali del suo contributo (coincidono con ciò che lui pensa): “è un sollievo credere che la propria difficoltà è tenuta sotto un controllo cosciente”. Adatta l’interpretazione a “qualcosa che già sapeva o supponeva”.

Il rovesciamento della prospettiva serve per trasformare una situazione dinamica in una situazione statica. Se per opera delle interpretazioni dell’analista questa situazione non può essere sostenuta dall’analizzando, questi farà ricorso a fraintendimenti. In fondo, afferma Etchegoyen13, il rovesciamento della prospettiva mette in discussione il contratto terapeutico, perché il paziente

10 Rossetti, 2000.

11 Etchegoyen, 1990, pp. 843-846.

12 Bion, 1973.

13 Etchegoyen, 1990.

Mauro Rossetti fa un continuo riferimento ad un suo contratto che coincide con quello dell’analista nella forma, ma non nella sostanza. Ma di questo fraintendimento non è consapevole. Dice Meltzer che in questi casi è opportuno riconoscere la condizione di carcerato del paziente, la situazione invivibile di “un bambino che si è smarrito”: è indispensabile prendere contatto con questo bambino che abita nel paziente. In questi casi, o in questi momenti della terapia (poiché si parla anche di parti della personalità), qualsiasi interpretazione è inutile; quello che si deve fare, continua Meltzer, è di “spiegare la situazione” al paziente. Si conferma ancora una volta, alla base di questi modi di rapportarsi del paziente, l’esistenza di un meccanismo psicotico e quando si dice “spiegare la situazione”, si propone un lento e paziente lavoro di smontaggio del malinteso di fondo, seduta dopo seduta.

Euro 16,50 (I.i.)

Questo libro – il cui titolo è evocativo dell’onnipotenza degli adolescenti, delle loro illusioni e delusioni, dei mondi segreti e sconosciuti che portano con sé, delle aspettative da cui si sentono gravati, delle speranze di cui si sentono deprivati, dell’ambiguità che evocano negli adulti – raccoglie e sistematizza una parte di quanto l’associazione ARIELE Psicoterapia ha elaborato in questi anni sul tema dell’adolescenza, attraverso seminari dedicati e momenti di riflessione clinica condivisa.

Viene proposta una lettura che va dal mondo interno dell’adolescente al contesto con cui egli è in relazione, da quello familiare al gruppo dei pari, fino ad arrivare alle Istituzioni di cura che se ne occupano, che, a loro volta, non possono non tener conto delle caratteristiche proprio del mondo interno adolescenziale per poter funzionare in una interconnessione costante tra questi diversi livelli. Il testo è rivolto in particolare a psicoterapeuti che lavorano con gli adolescenti e a chi si sta formando come psicoterapeuta per approfondire aspetti di clinica individuale e istituzionale, ma anche a coloro (insegnanti, educatrici ed educatori, operatori e operatrici sociali) che si sentono curiosi e appassionati di questa fascia di età, con la speranza che questo scritto possa permettere a tutte e a tutti di aprire nuovi pensieri.

ISBN 979-12-5626-038-6

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