La carezza di Dio. Lettera a Giuseppe (con pref. del card. Semeraro)

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Antonio Bello è stato vescovo di Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi e presidente nazionale di Pax Christi. La sua scelta pastorale, vissuta sull’opzione radicale degli ultimi, e il suo impegno per la promozione della pace, della nonviolenza, della giustizia e della solidarietà, lo rendono ancora oggi, dopo la sua morte, tra i più audaci profeti dei nostri giorni.

È noto che, in occasione del 150mo anniversario della dichiarazione di san Giuseppe quale patrono della Chiesa universale, il Papa ha indetto uno speciale «Anno di San Giuseppe», durante il quale – come si legge nel Decreto della Penitenzieria Apostolica, col quale si concede il dono di speciali Indulgenze – «ogni fedele sul suo esempio possa rafforzare quotidianamente la propria vita di fede nel pieno compimento della volontà di Dio». Per guidare e accompagnare la nostra riflessione, Francesco ha pubblicato una lettera apostolica nella quale di san Giuseppe ha inteso illustrare un particolare aspetto: quello della paternità. La lettera ha, per questo, come titolo: Patris corde che, secondo una consolidata prassi, è l’espressione con la quale si apre il documento: «Con cuore di padre: così Giuseppe ha amato Gesù, chiamato in tutti e quattro i Vangeli “il figlio di Giuseppe”». Opportuna, dunque, l’iniziativa di ripubblicare un ampio testo del Servo di Dio Antonio Bello nel quale la figura di san Giuseppe è un po’ il filo conduttore. Si tratta dell’intervento che egli fece ad Assisi in occasione del 42° Convegno Giovanile che si svolse dal 27 al 31 dicembre 1987 presso la Cittadella di Assisi sul tema: Catturati dall’effimero? Questo spiega il sottotitolo della conferenza ora di nuovo pubblicata: Nella società dell’usa e getta, che fa da sfondo all’esposizione e, in qualche maniera, ne guida la stesura.

Antonio Bello

LA CAREZZA DI DIO Lettera a Giuseppe

Prefazione del card. Marcello Semeraro “Si è fatto tardi, Giuseppe. Nella piazza non c’è più nessuno. I grilli cantano sul cedro del tuo giardino. Nelle case, le famiglie recitano lo ‘Shemà Israel’. E tra poco Nazareth si addormenterà sotto la luna. Di là, vicino al fuoco, la cena è pronta. Cena di povera gente. L’acqua della fonte, il pane di giornata, e il vino di Engaddi. E poi c’è Maria che ti aspetta. Ti prego: quando entri da lei, sfiorala con un bacio. Falle una carezza pure per me. E dille che anch’io le voglio bene. Da morire. Buona notte, Giuseppe!”

Card. Marcello Semeraro

Euro 8,00 (I.i.)

la meridiana

collana paginealtre

Luce e Vita

collana Quaderni 64

ISBN 978-88-6153-828-3

Condivisione, gratuità e servizio nella società dell’usa e getta

Luce e Vita


Antonio Bello

La carezza di Dio Lettera a Giuseppe Prefazione del card. Marcello Semeraro Introduzione di mons. Domenico Cornacchia

Luce e Vita

paginealtre

Quaderni 64

edizioni la meridiana p a g i n e a l t r e



Introduzione

Quando Papa Francesco ha annunciato la volontà di indire per il 2021 “L’anno di San Giuseppe”, per ricordare il 150° anniversario della dichiarazione del padre putativo di Gesù quale patrono della Chiesa universale, avvenuta l’8 dicembre 1870, immediatamente il mio pensiero è andato al bellissimo testo del Servo di Dio, il vescovo don Tonino Bello che, utilizzando un genere letterario a lui molto caro – quello delle lettera – si mette a dialogare con San Giuseppe. Ho riletto con grande emozione lo scritto dell’amato pastore e – ne ero sicuro – ho trovato molto attuali le parole che don Tonino rivolge a San Giuseppe, nonostante il contenuto fosse stato pensato per una conferenza tenuta ad Assisi il 30 dicembre 1987. Subito ho chiesto che, in questo anno speciale, il testo fosse ripubblicato in una nuova edizione perché potesse arrivare nelle mani di quanta più gente possibile, e diffuso soprattutto tra i giovani che non hanno conosciuto di persona il “Vescovo del grembiule”. La riflessione che don Tonino propone è una preziosa opportunità per riscoprire la figura di San Giuseppe, nel suo ruolo di artigiano del legno, 11


La carezza di Dio

O Dio, riusciamo ad ammettere che nel per fare innamorato del suopure lavoro, come pure suo il legno ci vuole l’albero, e che per fare l’albero ci vuole compito di marito di Maria, innamorato della sua il semeee,diperfino, sposa Gesù. che per fare il seme ci vuole il fiore. Ma nonAnche abbiamo più il che coraggio di concludere checon per il tema ha ispirato il dialogo fare tavolo ci –vuole un fiore, e logratuità lasciamoe dire solo San un Giuseppe condivisione, servizio ai poeti. nella società dell’usa e getta – affascina e provoca ancora oggi a scelte coraggiose di essenzialità Non si ripara più e sobrietà necessarie in un mondo che rischia di perdersi nel superfluo e nell’effimero. Ma apre Ma alla se oggi, qui da noi, di di quegli botteghe artigiane anche considerazione “scarti” dellaè rimasto solo qualche nostalgico scampolo, non diè nostra società che Papa Francesco non manca tanto perché non sidella genera quanto perché ormai mettere al centro vitapiù, della Chiesa. non si ripara più nulla. Il mio augurio è che, grazie alla lettura di Vedi,“Lettera Giuseppe. In questi pochi minuti dacché sto questa a san Giuseppe” – sapientemente parlando con sono già Marcello entrati nella bottega un bamintrodotta dalte,Cardinal Semeraro –, come bino ruzzola ascritti cui rifare l’asse, una pure in di lacrime tutti gli con altrilanumerosi di don Tonino vecchietta con la scranna da impagliare di nuovo, un Bello, possa crescere e diffondersi la fama di santità contadino col mastello a cui si è infracidita una doga, dell’amato Servo di Dio e, con i suoi preziosi un carrettiere col mozzo della ruota che si è sgranato insegnamenti, possa maturare in tutti uno stile di dai raggi. vita cristiano sempre più coerente alla radicalità Da noi, non si usa più. Quando un oggetto si è anche evangelica indicata da Gesù. leggermente incrinato nella sua funzionalità, lo si mette da parte senza appello. Del resto, se nelle sue + Domenico viscere non racchiude un’anima d’amore,Cornacchia per quale Vescovo di Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi scopo accanirsi nel ridare la vita ad un corpo già nato cadavere? La nostra la chiamano, perciò, civiltà dell’usa e getta. Al televisore che sta in cucina si è fulminata una valvola? Niente paura: viene messo da parte e sostituito con un altro che ha il videoregistratore incorporato. Alla bambola, che sembra sia stata sorpresa da un colpo apoplettico, si sono scaricate le pile? Portala al 12 11


Premessa

Premessa

Il titolo originario era un altro. Quello assegnatomi dagli organizzatori del 42° Convegno giovanile di fine dicembre ‘87 celebrato, alla Cittadella di Assisi, sul tema: «Catturati dall’effimero» *. Dovevo concludere io, con una conferenza dal titolo molto impegnativo: «Condivisione e gratuità nella società dell’usa e getta». Ci ho riflettuto a lungo. Sarebbe venuta fuori una relazione troppo tecnica per un vescovo obbligato a farla, e troppo noiosa per i tantissimi giovani obbligati a sentirla. Ho chiesto, allora, un’idea a Giuseppe, lo sposo di Maria. Lui me l’ha data. E ho svolto il tema immaginandomi ospite per mezz’ora della bottega di Nazareth. Ho cambiato, così, genere letterario. Chi sa che qualcuno, complice la poesia, non venga più facilmente indotto a cambiare genere di vita. + + don don Tonino, Tonino, vescovo vescovo

*

30 dicembre 1987

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Antonio Bello

bidone della spazzatura. Ne acquisteremo una di quelle che sono vendute con tanto di certificato di nascita, si sposano, fanno l’amore e vanno ai campeggi estivi. Al fucile-giocattolo, regalato al bambino il giorno di Natale, è caduta la vite del grilletto? Presto fatto. Per Capodanno pronto un mitra, col nastro delle aro sarà S. Giuseppe, pallottole a doppio E se ildella nastro inceppa, scusamicarrello. se approfitto tuasiospitalità per la Befana un sottomarino lanciamissili con e, ecco con una audacia al limite della discrela verifica computerizzata degli colpiti.nella zione, mi fermo per obiettivi una mezzoretta Alla giacca fustagno caduto unper bottone? Al tuadibottega di èfalegname scambiare soprabito di velluto si è scucita la fodera? Al reggiquattro chiacchiere con te. seno di pizzo è allentato l’elastico? un paio Non vogliosi farti perdere tempo. A Vedo che di nesanhai dali sipoco, è staccata la fibbia? Non tivale la spesaPerciò, ripararli. così e la mole di lavoro sovrasta. tu Porta via pure al macero, senzail scrupoli. Anzi, no: un continua a piallare tuo legno, mentre io, momento! Tra giorni passeranno quelli della Caritas seduto su una panca, in mezzo ai trucioli che profuparrocchiale. Chetifortuna: una fava prendiamo due mano di resine, affido lecon mie confidenze. piccioni. Intanto, senza spendere una lira, ci liberiamo Non preoccuparti neppure di rispondermi. So, del il guardaroba da ingombri fastidiosi. E poi,i diamine! resto, che sei l’uomo del silenzio, e consegni tuoi penaiutiamo la gente, facendo contento il Signore, il quale sieri, profondi come le notti d’Oriente, all’eloquenza ha detto che i poveri li avremo sempre con noi. Un dei gesti più che a quella della parole. angolo Paradiso, un giorno, ce lo negherà cerVedi,diun tempo anche da noinon le botteghe degli artitamente, visto che ce lo stiamo accaparrando pure giani erano il ritrovo feriale degli umili. Vi si sia parlava contutto: i riciclaggi delle superflue. di di affari, di nostre donne,cose di amori, delle stagioni, Ma che c’è, Giuseppe? Vedo che ti sei fermato col della vita, della morte. martello brandito a mezz’aria, e i tuoi dolenti Le cronache di paese trovavano lì la occhi loro versione mi trafiggono con unodell’innocuo sguardo di disgusto! ufficiale, e i redattori pettegolezzo quoHo capito: quel tuo vuol rotative dire: «Midegli fate tidiano affidavano alle sguardo rapidissime pietà. Altro usa e getta. Valicando davvero ogni avventori la che diffusione delle ultime notizie. limite, avete invertito la frase in getta e usa, vistoscanche Il tempo passava così lento, che gli intervalli sieteogni così abietti snaturare l’intima essenza diti quartoda d’ora dalla perfino torre campanaria semdella carità, piegandola di possesso». bravano una eternità. alla Mavostra forse,libidine era proprio questa

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La carezza di Dio

lusinga O Dio, d’eternità riusciamo a rendere pure adpreziosa ammettere un’opera che per d’artifare il gianato. legno ciEvuole a darle l’albero, vita, era e che proprio per fare quella l’albero angosciante ci vuole il porzione seme e, di perfino, tempoche cheper vi veniva fare il seme racchiusa. ci vuole Sembrava il fiore. Ma che non la materia abbiamo prima più ildicoraggio una seggiola di concludere o di un vomere che per fare non un fosse tavolo tantoci ilvuole legnouno fiore, il ferro, e loma lasciamo il tempo. direEsolo che ai la poeti. fatica del fabbro o del carpentiere, del sarto o del calzolaio, fosse quella di addomesticare le ore e i giorni, comprimendoli nel mistero dell’effimero, e creandosi Non si ripara più così, per un istinto di conservazione, riserve di tempo negli dalle sue mani. Il tempoè Maotri se delle oggi,cose qui prodotte da noi, di botteghe artigiane allora, imprigionato materia scampolo, come l’anima rimasto solo qualchenella nostalgico nonnelè corpo, ruggiva dentro un oggetto e gli dava movenze tanto perché non si genera più, quanto perché ormai di vita, se nonpiù proprio non si ripara nulla. l’accento della parola. Le cose nascevano, perciò, lentamente e constoi Vedi, Giuseppe. In questi pochi minuti dacché tratti di una parlando con fisionomia te, sono già irripetibile. entrati nella Come bottegaun unfiglio. bamPrima, un atto d’amore, dolcissimo e soave. Poi bino in lacrime con la ruzzola a cui rifare l’asse,nove una mesi. vecchietta con la scranna da impagliare di nuovo, un contadino col mastello a cui si è infracidita una doga, un carrettiere mozzo della ruota che si è sgranato Non si generacolpiù dai raggi. Da noi,purtroppo, non si usa più. unbotteghe oggetto sine è anche Oggi, qui Quando da noi, di sono leggermente incrinato nella sua posto funzionalità, lo si rimaste veramente poche. Al loro sono subenmetteledagrandi parteaziende senza appello. Del resto, se nelle sue trate di consumo. viscere racchiude d’amore, per Non non si genera più. O un’anima meglio, si concepisce soloquale l’arscopo accanirsi nelpassione, ridare la evita un corpo già L’arnato chetipo. Ma senza conadmolto calcolo. cadavere? chetipo poi, questo sordido ermafrodita, riproduce con Ladi nostra la chiamano, perciò, civiltà dell’usa getta. ritmi allucinante celerità squallidi sosia, con el’unico Al televisore che sta inpoco. cucina si è fulminata una valdesiderio che campino vola? paura: viene messo da parte emostriciatsostituito Ed Niente eccoli allineati, questi elegantissimi con dalla un altro ha Belli, il videoregistratore toli vita che breve. ma senz’anima.incorporato. Perfetti, ma Allaidentità. bambola,Lucidi, che sembra sia stata sorpresa da un senza ma indistinti. Non parlano. colpo apoplettico, sono scaricate le pile? al Perché non sono sifrutto di amore. Non Portala vibrano, 19 6 11


Antonio Bello

perché nelle bidone della loro spazzatura. vene nonNe ci sono acquisteremo più i fremiti una del di quelle che tempo prigioniero. sono vendute con tanto di certificato di nascita, Sì, Giuseppe, si sposano, è proprio fanno l’amore questa anemia e vannodiaitempo campeggi che estivi. gelide le nostre opere. rende Al fucile-giocattolo, Ecco, attraverso l’uscio regalato socchiuso, al bambino scorgo diillàgiorno Maria di Natale, intenta a ricamare è caduta unlapanno vite del bellissimo, grilletto?senza Presto cuciture, fatto. Per Capodanno tessuto tutto d’un sarà pezzo pronto da un cima mitra, a fondo. col nastro Probabildelle pallottole mente è laa tunica doppiodicarrello. Gesù per E sequando il nastrosarà si inceppa, grande: per laprepara gliela Befana ecco fin d’ora, un sottomarino prima già che lanciamissili lui nasca. con la verifica Io non computerizzata me ne intendo, degli e perciò obiettivi non so colpiti. se gli arabeschi Alla che giacca disegna di fustagno con l’agoè siano caduto fatti unabottone? punto erba, Al soprabito o a punto di ombra. velluto Forse si è sono scucita fattila afodera? punto in Alcroce. reggiseno Una di pizzo cosa, siperò, è allentato intuisco: l’elastico? che quando A un paio tuodifiglio sandali si è staccata indosserà quellalatunica, fibbia? Non lui, l’eterno, vale la spesa si sentirà ripararli. le Porta amorosamente spalle via al macero,protette senza scrupoli. dal fragileAnzi, tempono: di sua un momento! Tra giorni passeranno quelli della Caritas Madre. parrocchiale. Povera Maria. Che fortuna: A Gesù, convorrebbe una fava prendiamo dargliela tutta due piccioni. intera la sua Intanto, vita. Ma senza nonspendere può. Allora una gliene lira, ciregala liberiamo una il guardaroba porzione, racchiusa da ingombri nello scrigno fastidiosi. di quella E poi, tunica. diamine! aiutiamo Forse un la gente, giorno, facendo propriocontento per questo, il Signore, sulla vetta il quale del ha detto che Golgota, gli uomini i poveridella li avremo Crocesempre non vorranno con noi.laceUn angolo di Paradiso, un giorno, non ce lo negherà cerrarla. tamente, Oggi, da visto noi, che anche ce loistiamo ricami accaparrando vengono fatti sia in serie. pure con una C’è i riciclaggi ditta la delle qualenostre ha inventato cose superflue. una macchina che fa iMa punti che«perfetti»: c’è, Giuseppe? e nonVedo soltanto che quelli!... ti sei fermato E se col tu, martello dopo averbrandito comprato a mezz’aria, un guanciale e i disegnato tuoi occhiadolenti punto mi trafiggono Assisi, la nottecon pensi unodisguardo poggiarediildisgusto! capo su un frammento Ho di capito: tempoquel regalatoti tuo sguardo da una anonima vuol dire: ricamatrice, «Mi fate pietà.come bella AltroS.che Chiara, usa e tigetta. illudiValicando amaramente. davvero ogni limite, Questo aveteè invertito forse il sacrilegio la frase inpiù getta grave e usa, della visto nostra che siete così civiltà. Abbiamo abietti da creduto snaturare che per perfino fare un l’intima tavoloessenza sia sufdella carità, ficiente il legno. piegandola alla vostra libidine di possesso». 17 14 10


La carezza di Dio

O Dio, riusciamo pure ad ammettere che per fare il legno ci vuole l’albero, e che per fare l’albero ci vuole il seme e, perfino, che per fare il seme ci vuole il fiore. Ma non abbiamo più il coraggio di concludere che per fare un tavolo ci vuole un fiore, e lo lasciamo dire solo ai poeti.

Non si ripara più Ma se oggi, qui da noi, di botteghe artigiane è rimasto solo qualche nostalgico scampolo, non è tanto perché non si genera più, quanto perché ormai non si ripara più nulla. Vedi, Giuseppe. In questi pochi minuti dacché sto parlando con te, sono già entrati nella bottega un bambino in lacrime con la ruzzola a cui rifare l’asse, una vecchietta con la scranna da impagliare di nuovo, un contadino col mastello a cui si è infracidita una doga, un carrettiere col mozzo della ruota che si è sgranato dai raggi. Da noi, non si usa più. Quando un oggetto si è anche leggermente incrinato nella sua funzionalità, lo si mette da parte senza appello. Del resto, se nelle sue viscere non racchiude un’anima d’amore, per quale scopo accanirsi nel ridare la vita ad un corpo già nato cadavere? La nostra la chiamano, perciò, civiltà dell’usa e getta. Al televisore che sta in cucina si è fulminata una valvola? Niente paura: viene messo da parte e sostituito con un altro che ha il videoregistratore incorporato. Alla bambola, che sembra sia stata sorpresa da un colpo apoplettico, si sono scaricate le pile? Portala al 18 11


Antonio Bello è stato vescovo di Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi e presidente nazionale di Pax Christi. La sua scelta pastorale, vissuta sull’opzione radicale degli ultimi, e il suo impegno per la promozione della pace, della nonviolenza, della giustizia e della solidarietà, lo rendono ancora oggi, dopo la sua morte, tra i più audaci profeti dei nostri giorni.

È noto che, in occasione del 150mo anniversario della dichiarazione di san Giuseppe quale patrono della Chiesa universale, il Papa ha indetto uno speciale «Anno di San Giuseppe», durante il quale – come si legge nel Decreto della Penitenzieria Apostolica, col quale si concede il dono di speciali Indulgenze – «ogni fedele sul suo esempio possa rafforzare quotidianamente la propria vita di fede nel pieno compimento della volontà di Dio». Per guidare e accompagnare la nostra riflessione, Francesco ha pubblicato una lettera apostolica nella quale di san Giuseppe ha inteso illustrare un particolare aspetto: quello della paternità. La lettera ha, per questo, come titolo: Patris corde che, secondo una consolidata prassi, è l’espressione con la quale si apre il documento: «Con cuore di padre: così Giuseppe ha amato Gesù, chiamato in tutti e quattro i Vangeli “il figlio di Giuseppe”». Opportuna, dunque, l’iniziativa di ripubblicare un ampio testo del Servo di Dio Antonio Bello nel quale la figura di san Giuseppe è un po’ il filo conduttore. Si tratta dell’intervento che egli fece ad Assisi in occasione del 42° Convegno Giovanile che si svolse dal 27 al 31 dicembre 1987 presso la Cittadella di Assisi sul tema: Catturati dall’effimero? Questo spiega il sottotitolo della conferenza ora di nuovo pubblicata: Nella società dell’usa e getta, che fa da sfondo all’esposizione e, in qualche maniera, ne guida la stesura.

Antonio Bello

LA CAREZZA DI DIO Lettera a Giuseppe

Prefazione del card. Marcello Semeraro “Si è fatto tardi, Giuseppe. Nella piazza non c’è più nessuno. I grilli cantano sul cedro del tuo giardino. Nelle case, le famiglie recitano lo ‘Shemà Israel’. E tra poco Nazareth si addormenterà sotto la luna. Di là, vicino al fuoco, la cena è pronta. Cena di povera gente. L’acqua della fonte, il pane di giornata, e il vino di Engaddi. E poi c’è Maria che ti aspetta. Ti prego: quando entri da lei, sfiorala con un bacio. Falle una carezza pure per me. E dille che anch’io le voglio bene. Da morire. Buona notte, Giuseppe!”

Card. Marcello Semeraro

Euro 8,00 (I.i.)

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Condivisione, gratuità e servizio nella società dell’usa e getta

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